Astronomia la cosmologia relativistica

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Astronomia la cosmologia relativistica

Cosmologia Relativistica
I primi tentativi di descrivere l'intero universo tramite gli strumenti della relatività si devono allo stesso Einstein, il quale nel 1917 aveva applicato all'intero universo le equazioni relativistiche ottenendo come risultato un universo non in equilibrio, ma in contrazione. Ma fino agli anni '20 del nostro secolo si riteneva che l'universo fosse statico. Einstein introdusse pertanto un termine correttivo, la cosiddetta costante cosmologica, con effetti repulsivi, per 'evitare' che l'universo collassasse sotto la spinta della attrazione gravitazionale prodotta dalla materia in esso contenuta. In seguito Einstein parlerà della costante cosmologica come uno dei più grossi abbagli della sua carriera.
In quello stesso anno Willem De Sitter trovò un'altra soluzione delle equazioni di Einstein (sempre utilizzando la costante cosmologica) che descrivevano un universo vuoto di materia caratterizzato da un moto di espansione.
Se Einstein avesse applicato le sue equazioni all'universo senza introdurre la costante cosmologica  avrebbe potuto anticipare la scoperta di un universo dinamico, in evoluzione.
Il risultato si deve invece al sovietico Aleksandr Fridman il quale nel 1922 ottenne una soluzione dinamica delle equazioni originarie di Einstein (senza la costante cosmologica). Facendo l'ipotesi che la materia potesse considerarsi diffusa in modo omogeneo all'interno dell'universo egli trovò che esso doveva essere caratterizzato da un'espansione uniforme.
Fridman giunse ad una descrizione che oggi riteniamo corretta della dinamica dell'universo, ma le sue equazioni non ebbero alcuna eco in occidente, fino a quando non vennero riscoperte in modo indipendente nel 1927 da George Lemaître, il quale suggerì che l'espansione avrebbe prodotto uno spostamento verso il rosso delle righe spettrali osservate, fatto poi confermato sperimentalmente dall'astronomo Hubble nel 1929.
Lemaître è forse maggiormente noto per esser stato il primo ad ipotizzare, in modo del tutto qualitativo, la nascita  dell'universo da un "atomo primigenio" superdenso, dalla cui esplosione avrebbero preso origine tutti gli elementi chimici e la radiazione cosmica. Per questo motivo è spesso ricordato come il "padre" del Big Bang.

Nel 1935 i modelli di Fridman trovarono una definitiva formalizzazione grazie ai lavori di Robertson e Walker. Oggi i modelli cosmologici basati sulle soluzioni di Fridman, Robertson e Walker sono spesso indicati come cosmologie FRW.
Essi corrispondono, anche dal punto di vista formale, ai tre modelli newtoniani ottenuti in precedenza.
Il modello con k = 0 è noto anche come modello di Einstein - De Sitter.
Si tratta ora di chiarire come in relatività generale certe grandezze debbano essere interpretate fisicamente in modo diverso rispetto a quanto abbiamo visto nella descrizione newtoniana.

La curvatura dello spazio-tempo
Secondo Einstein è possibile sostituire il modello newtoniano in cui la gravità si manifesta come una forza attrattiva, con un modello in cui la gravità viene concepita come una manifestazione della geometria dello spazio. In altre parole la presenza di materia è in grado di curvare lo spazio-tempo (cronòtopo). I corpi quindi, in assenza di forze gravitazionali, obbedendo al principio di inerzia si muovono nello spazio di moto rettilineo uniforme. Ma essendo lo spazio in cui si muovono curvo, essi seguono delle traiettorie non rette, pur continuando tali traiettorie ad essere i percorsi più brevi tra due punti.
Oltre a curvature locali, presenti ad esempio intorno ad una stella o ad un pianeta, è possibile concepire una curvatura complessiva che caratterizza l'intero universo e la cui entità dipende dalla densità effettiva di materia in esso presente.
Nelle equazioni relativistiche k rappresenta una misura della curvatura dello spazio-tempo ed è detto indice di curvatura.
Per Einstein dunque la densità di materia presente nell'universo condiziona la geometria dello spazio ed in uno spazio curvo la geometria euclidea non può più essere utilizzata.
A ciascuno dei tre modelli di espansione è quindi possibile associare una caratteristica curvatura spazio temporale ed in definitiva una particolare geometria.

Fino agli inizi dell'Ottocento l'unica geometria conosciuta era quella formalizzata da Euclide a partire da cinque postulati, tra cui il 5°, noto anche come postulato "delle parallele".

Nella prima metà dell'Ottocento si fece strada l'idea che altre geometrie fossero possibili, soprattutto ad opera di Gauss, Riemann, Bolyai e Lobacevskij.
Già nel '700 il padre gesuita Gerolamo Saccheri, tentando di dimostrare il quinto postulato aveva costruito una geometria fondata sui primi quattro, che violava volutamente il quinto. Egli sperava così di ottenere una costruzione priva di coerenza interna in modo da ottenere una dimostrazione per assurdo del quinto postulato. Ottenne invece una geometria lontana dal senso comune, ma perfettamente coerente.

Fu solo nella prima metà dell'Ottocento che si arrivò ad accettare l'idea che geometrie non-euclidee, così sono dette le geometrie che violano il quinto postulato, potevano essere formalizzate fondandosi puramente sul principio di non contraddizione.
Esistono due tipi fondamentali di geometrie non-euclidee.
Le prime che affermano che per un punto esterno ad una retta data non passa alcuna parallela (geometria ellittica o sferica - Riemann).
Le seconde che affermano che per un punto esterno ad una retta data passano infinite parallele (geometria iperbolica - Lobacevskij).  
A Gauss  e Riemann si deve invece un'altra importante generalizzazione del concetto di geometria. La geometria a tre dimensioni può essere infatti considerata come un caso particolare di geometrie costruite con un numero qualsivoglia di dimensioni. Nasce dunque l'idea di una geometria in grado di descrivere spazi curvi a più dimensioni.

Tutto ciò rimase pura speculazione teorica fino a quando la teoria della relatività generale non dimostrò che la materia era in grado di curvare lo spazio tempo quadridimensionale.

Poiché però è per noi impossibile la rappresentazione di uno spazio curvo a tre dimensioni (e tantomeno a quattro, se consideriamo anche la dimensione temporale) è conveniente pensare allo spazio come ad una superficie a due dimensioni. Tutte le considerazioni che faremo potranno poi essere utilizzate per descrivere la geometria dell'intero universo.
Quando si lavora su superfici curve le distanze non possono più essere misurate tramite rette, ma tramite linee curve. In una superficie piana la retta rappresenta la distanza più breve tra due punti. In una superficie curva la distanza più breve tra due punti è una linea curva detta geodetica. Le rette sono le geodetiche delle superfici piane.

1) superfici sferiche e universo ellittico     k > 0
Le superfici sferiche sono superfici a curvatura costante positiva. Le geodetiche di una superficie sferica sono archi di cerchio massimo (un cerchio massimo si ottiene intersecando la superficie con piani passanti per il centro). Non esistono due geodetiche parallele poiché tutte si intersecano in due punti opposti. Tale superficie deve essere dunque descritta tramite una geometria non euclidea (ellittica). Costruendo un triangolo con tre archi di geodetica si può facilmente verificare che la somma degli angoli interni è sempre maggiore di 180°. Muovendosi lungo una geodetica si può ritornare al punto di partenza.
L'universo sarebbe caratterizzato da una geometria di questo tipo, naturalmente con tre dimensioni spaziali, se la sua densità effettiva fosse maggiore della sua densità critica.
Dunque un universo che contiene una quantità tale di materia da produrre una curvatura costante positiva. Un universo caratterizzato da una geometria ellittica è anche un universo chiuso, destinato a fermare la sua espansione e a contrarsi.
In un tale universo un raggio di luce, costretto a seguire le traiettorie più brevi e quindi una geodetica, si ritroverebbe al punto di partenza dopo aver attraversato tutto lo spazio.

2) superfici iperboliche e universo iperbolico       k < 0
Le superfici iperboliche sono superfici a curvatura costante negativa. Possiamo immaginarle come una superficie "a sella". In queste superfici esistono infinite geodetiche  che passano per un punto esterno ad una geodetica data senza mai intersecarsi con questa. Tale superficie deve essere quindi descritta tramite una geometria non-euclidea (iperbolica). Costruendo un triangolo con tre archi di geodetica si può verificare come la somma degli angoli interni è minore di 180°.
L'universo sarebbe caratterizzato da una geometria di questo tipo, naturalmente con tre dimensioni spaziali, se la sua densità effettiva fosse minore della sua densità critica.
Dunque un universo che contiene una quantità talmente bassa di materia da produrre una curvatura costante negativa. Un universo caratterizzato da una geometria iperbolica è anche un universo aperto, destinato ad espandersi per sempre.

3) superfici piane e universo piatto o euclideo      k = 0
Le superfici piane sono superfici a curvatura nulla. In esse vale la geometria euclidea. L'universo sarebbe caratterizzato da una geometria di questo tipo, naturalmente con tre dimensioni spaziali, se la sua densità effettiva fosse uguale alla sua densità critica.
Un universo caratterizzato da una geometria euclidea è anch'esso un universo aperto, destinato ad espandersi per sempre.
Se noi fossimo in grado di tracciare un enorme triangolo con dei raggi laser nello spazio e poi ne misurassimo la somma degli angoli interni potremmo capire in che tipo di spazio viviamo (piano, sferico o iperbolico) e di conseguenza quale sarà il destino dell'universo (aperto o chiuso).

Il fattore di scala R e la metrica dell'universo
Nella cosmologia relativistica non è possibile parlare di raggio dell'universo. La grandezza R che compare nelle equazioni va interpretata come un fattore di scala.
Un esempio servirà a chiarire.
Immaginiamo un mappamondo sul quale sia rappresentata la superficie terrestre. Ogni luogo è individuato tramite le sue coordinate geografiche (latitudine e longitudine). Supponiamo di essere interessati unicamente alla latitudine, cioè alla distanza angolare di un luogo dall'equatore.
Ad esempio Roma si trova a 42° a nord dell'equatore. Noi sappiamo che 1° di latitudine corrisponde a circa 110 km. Così per calcolare la distanza in km di una città dall'equatore dobbiamo moltiplicare la sua coordinata (latitudine) per un fattore che in questo caso è 110 km/grado.
Roma perciò disterà 42° x 110 km/grado = 4620 km dall'equatore.

Immaginiamo ora che la terra improvvisamente si gonfi uniformemente, raddoppiando il suo diametro. Tutte le distanze tra le diverse località raddoppieranno. Ma le coordinate dei diversi luoghi rimarranno le medesime e noi potremmo continuare ad utilizzare il nostro mappamondo, con l'avvertenza che ora 1° di latitudine non vale più 110 km, ma 220 km.
Roma disterà ora 42° x 220 km/grado = 9240 km dall'equatore.

In altre parole ogni volta che la terra cambia dimensioni, noi possiamo mantenere inalterate le coordinate dei diversi luoghi ed aggiornare il fattore di conversione che chiameremo fattore di scala. Se la terra raddoppia il suo diametro, raddoppiamo anche il fattore di scala, se lo triplica lo triplichiamo e così via.

Per l'universo il ragionamento è analogo. Poiché l'espansione si suppone avvenga radialmente per tutti i punti, sarà sufficiente un'unica coordinata spaziale x che individua la posizione di un punto rispetto all'origine, arbitrariamente fissata.
Tale coordinata rimane costante durante l'espansione. E' una caratteristica del punto (come la latitudine di Roma nell'esempio precedente) e lo accompagna durante il suo moto di recessione radiale. Per questo motivo tale coordinata è detta coordinata comovente o radiale. La relatività fornisce le relazioni che legano il fattore di scala R al tempo t nei diversi modelli cosmologici. Così per ottenere la distanza effettiva D di un punto è necessario moltiplicare la coordinata per il fattore di scala.

 

Fonte: http://rodomontano.altervista.org/downloads/Cosmologia.zip

Sito web da visitare: http://rodomontano.altervista.org

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

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