Legge delle proporzioni Proust 1799

Legge delle proporzioni Proust 1799

 

 

 

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Legge delle proporzioni Proust 1799

"Il problema della composizione delle sostanze: dati analitici ed impostazioni teoriche negli anni a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo"

Nell’incontro verranno illustrato il diverso approccio teorico e sperimentale che sul problema della composizione delle sostanze  assunsero i due chimici francesi J.L. Proust (1754-1826) e C.L. Berthollet (1748-1822) e i contenuti della loro disputa sull’argomento negli anni tra il 1799 e il 1807.

In questo incontro e nei successivi vedremo come negli anni a cavallo tra il settecento e l'ottocento si arrivò alla formalizzazione delle cosid­dette leggi stechiometriche. In particolare in questa prima parte vedremo come venne enunciata dal chimico francese J. L. Proust la cosiddetta legge delle proporzioni definite che può essere espressa modernamente così: “In un composto chimico le masse degli elementi sono sempre presenti in un rapporto definito e costante” (A. Bargellini, “Il mondo della Chimica”, A. Signorelli, Milano, 1996, pag. 101). Esamineremo poi brevemente i contenuti della disputa che sull'argomento si accese tra lo stesso Proust ed un altro chimico francese C. L. Berthollet. Prima di affrontare l'argomento sarà però necessario inquadrarlo nell'ambito della situazione della chimica alla fine del settecento.

Uno dei problemi principali della Chimica del ‘700 fu la spiegazione del perché le sostanze si combinassero tra esse. Per questo problema ci si rifaceva di solito all'idea newtoniana dell'attrazione tra corpuscoli. Newton aveva suggerito nella sua opera come i fenomeni naturali potessero dipendere dalla esistenza di forze di attrazione e repulsione tra le particelle dei corpi. Egli nella prefazione dei “Principia” (pag. XVIII) affermava:

“Mi piacerebbe che potessimo derivare tutti i fenomeni della natura  applicando lo stesso tipo di ragionamento introdotto nella meccanica. Sono indotto da molti indizi a sospettare che le particelle dei corpi per cause fin qui sconosciute sono o attratte reciprocamente le une verso le altre e aderiscono in forme regolari, o al contrario si respingono e si allontanano. Poiché tali forze sono ignote, i filosofi hanno fino ad ora tentato invano questa ricerca naturale, ma io spero che i principi da me presentati potranno spargere qualche luce anche su questo campo della filosofia”.

In questa ricerca delle forze a corto raggio vanno collocate le ipotesi e i tentativi di misura delle "affinità chimiche". Geoffroy, Bergman, Black furono tra i chimici che tentarono di classificare le sostanze in accordo alle loro reciproche affinità; essi arrivarono a costruire delle tavole di affinità in cui le sostanze potessero essere messe in ordine decrescente rispetto alla loro affinità per una sostanza data.  Ad esempio dalla constatazione che una certa base B2 nella sua combina­zione con un acido A veniva scacciata da una base B1, derivava nella tabella di affinità per la colonna dell’acido A la collocazione della base B1 più vicino ad  A della base B2.

 

Le tabelle così costruite potevano consentire ad occhio di prevedere quale reazione potesse avvenire e quale no. Bergman in particolare tentò anche  delle misure quantitative dell'af­finità, ad esem­pio comparando le quantità delle differenti sostanze che si combinano con una data quantità di una sostanza fissata. In questo stesso ambito va collocata la tabella delle masse equivalenti di acidi e basi pubblicata da E. G. Fisher nel 1803 sulla base dei dati sperimentali raccolti da J. B. Richter (che riprenderemo, forse nell’ambito di una esperienza di laboratorio).

 

 

 

Il significato della tabella, era il seguente: “se si prende una sostanza da una delle due colonne, ad esempio la potassa, a cui corrisponde il valore 1605, i valori nell’altra colonna indicano la quantità di ciascun acido necessaria a neutralizzare 1605 parti di potassa.”. In tabelle come questa risultava implicito che il prodotto di reazione fosse nei casi studiati composto dai reagenti in un rapporto immutabile. Questo era legato al fatto che in genere si riteneva che tra due sostanze ci fosse un'affinità "elettiva" costante. Probabilmente questa assunzione nasceva anche dalla regolarità di composizione osservata in minerali provenienti dalle diverse parti del mondo. Non va dimenticato infatti che il settecento, a causa di un primo notevole sviluppo industriale vide un fiorire di ricerche minerarie allo scopo di trovare maggiori quantità di metalli e di combustibili. Questo tra l’altro contribuì ad arricchire enormemente il numero di sostanze conosciute rispetto ai secoli precedenti. Tuttavia quella della composizione definita non era considerata una legge generale. Ad esempio Lavoisier che aveva generalmente assunto per parecchi composti una composizione definita, parlando dell'ossido d'azoto lo considerava in grado di prendere con l'ossigeno infiniti gradi di saturazione.

E' in questo quadro di riferimento che dobbiamo collocare Joseph Louis Proust. Egli nacque ad Angers nel 1754, figlio di un farmacista. Nel 1774, nonostante l'opposizione paterna si trasferì a Parigi dove studiò chimica con Hilaire Martin Rouelle. Per motivi di lavoro egli si trasferì in Spagna al servizio del governo spagnolo, dapprima come professore di Chimica al Collegio Reale di Artiglieria. Egli insegnava e svolgeva la sua attività sperimentale lì ed aveva anche il compito di condurre analisi geologiche e mineralogiche per conto del governo. Questa attività e l'opportunità di poter lavorare su campioni di minerale provenienti da tutte le colonie spagnole sono anche alla base della sua ricerca sulla composizione delle sostanze chimiche.

E' a Segovia che Proust scrisse il suo primo lavoro sulle proporzioni costanti nelle combinazioni chimiche, pubblicato nel 1799 negli Annales de Chimie et Physique (Vol. 32, pagg. 26-54). E' interessante notare che egli utilizzò per i suoi esperimenti quantità enormi rispetto ai pochi grammi che diventeranno usuali per l'analisi quantitativa solo pochi anni dopo.

In un primo esperimento partì da 100 libbre (» 50 Kg) di rame, lo sciolse in acido nitrico e lo precipitò come carbonato di rame, aggiungendo carbonato di potassio. Distillò a secco il carbonato che liberò acqua e anidride carbonica. Nella storta rimase una massa nera di ossido di rame del peso di 125 libbre. In un secondo esperimento al contrario partì da 180 libbre di carbonato di rame naturale (malachite)  da cui ottenne per distillazione 125 libbre di ossido, che, a loro volta per riduzione diedero anche in questo caso  100 libbre di rame. Per mostrare che non c'era differenza tra i carbonati di rame naturale e di laboratorio egli prese poi 100 libbre di carbonato di rame, lo sciolse in acido nitrico, lo riprecipitò con carbonato di potassio, riottenendo 100 libbre di carbonato di rame come all'inizio. Da ciò conseguiva che il carbonato di rame naturale e quello artificiale avevano la stessa composizione. Ugualmente partì da solfato, acetato, nitrato e cloruro di rame, per produrre l'ossido di rame. Quest'ultimo sempre risultava formato da 100 parti di rame e 25 parti di ossigeno. Da tale serie di esperimenti egli arrivò alla seguente conclusione:

“Se 100 parti di carbonato di rame naturale disciolte nell’acido nitrico e fatte riprecipitare con un carbonato alcalino ci danno 100 parti di carbonato di rame artificiale: se la base di queste due combinazioni è l’ossido nero [di rame] occorre riconoscere quella mano invisibile che tiene per noi la bilancia nella formazione dei composti e ne determina a suo piacimento le proprietà; occorre concludere che la natura non opera altrimenti nelle viscere della terra che sulla sua superficie o tramite le mani dell’uomo. Queste proporzioni sempre invariabili, queste proprietà costanti che caratterizzano i veri composti, artificiali o naturali, in una parola questo “pondus naturae” così ben previsto da Staahl; tutto ciò non può essere cambiato dal chimico in quanto è la legge dell’affinità che presiede ad ogni combinazione”.

E’ importante in tale affermazione l’idea di un principio onnicomprensivo di proporzione in natura e in laboratorio che resterà costante nell'opera di Proust anche se non sarà mai riempito di un contenuto.  Degno di nota anche il rifarsi a Stahl e il citare esplicitamente l'idea dell'elezione (affinità elettiva). Può sembrare sorprendente che dall'analisi effettuata su un solo composto, Proust si sentisse autorizzato ad una affermazione così generale.  Questo può risultare più comprensibile se pensiamo come detto sopra che l'idea di una costanza nella composizione delle sostanze fosse generalmente accettata dalla comunità dei chimici da decenni e quindi, per così dire, Proust  assumesse per così dire su di sé tutta l'eredità di questo passato.

Un problema che presto Proust dovette affrontare fu quello delle differenti proporzioni con cui a volte le sostanze potevano combinarsi. Ad esempio nel 1801 egli affrontò il problema della composizione della pirite (composta da zolfo e ferro). Nel frattempo egli era stato trasferito a Madrid dove era stato organizzato un unico attrezzatissimo laboratorio. L'opulenza di tale laboratorio divenne leggendaria (Dumas un celebre chimico francese dell'ottocento, nel suo corso di lezioni di Chimica del 1836 in cui ricorda la disputa tra Proust e Berthollet, parla di utensileria di laboratorio in platino). Ritorniamo all'analisi della pirite. Essa analizzata in laboratorio mostrava contenere un sovrappiù del 20% (ma altri avevano trovato risultati assi differenti fino al 25, 28%) circa  di zolfo rispetto al prodotto di combinazione di laboratorio tra ferro e zolfo che presen­tava un rapporto ponderale Fe/S pari a 100/60. Questo sovrappiù poteva essere tolto dalla pirite naturale per riscaldamento, ritornan­do ad un solfuro di ferro della stessa composizione di quello di laboratorio. La conclusione a cui giungeva Proust era che la pirite era un composto dello zolfo che la natura sovraccaricava di zolfo, “come per assicurare la durata del suo lavoro”.

Successivamente Proust, evidentemente in­soddisfatto della precedente "spiegazione" e della diversità nelle analisi del contenuto di zolfo tra la pirite naturale e il prodotto di sintesi di laboratorio, riuscì a preparare artificialmente un solfuro di ferro più ricco in zolfo e con una composizione all’incirca uguale a quella della pirite naturale. Quindi egli dovette accettare che esistevano in realtà due rapporti di combinazione tra zolfo e ferro rispettivamente pari a 60:100 l’altro 90:100. Egli però non portò giustificazioni teoriche a questa apparente eccezione alla teoria di una unica affinità elettiva.

Nei mesi seguenti Proust pubblicò un altro articolo in cui affrontava il problema dei supposti molteplici ossidi dell'antimonio egli mostrò come i 6 ossidi ipotizzati dal chimico francese Thenard erano in realtà una miscela di soli due ossidi uno contenente 23 e l'altro 30 parti di ossigeno per 100 parti di antimonio. Anche per il ferro egli dimostrò che la presunta moltepli­cità di ossidi erano in realtà miscele dei due veri ossidi del metallo (l'ossido rosso e l'ossido nero). Questa questione della esistenza di più composti tra due elementi ha fatto nascere negli storici della scienza la domanda sul perché Proust abbia mancato di scoprire e di enunciare anche l’altra legge stechiometrica che va sotto il nome di proporzioni multiple il cui enunciato in termini moderni potrebbe essere espresso come: “Se due elementi formano più di un composto le masse di un elemento che si combinano con una massa costante del secondo stanno fra loro in un rapporto espresso da numeri piccoli e interi” (A. Bargellini, op. cit.).  Ragionando in termini moderni le formule dei due ossidi di antimonio sono rispettivamente Sb2O3 e Sb2O5. Quindi per 2 moli di atomi di Sb nei due ossidi esisteranno rispettivamente 3 e 5 moli di atomi di O. Questo rapporto in massa dovrà ritrovarsi anche se indichiamo le quantità in grammi e quindi per una stessa quantità di antimonio le masse di ossigeno nei due ossidi dovrebbero stare tra loro nel rapporto 3:5 (=0.6). I dati sperimentali di Proust davano invece, riferite a 100 parti in peso di antimonio, quantità di ossigeno pari nei due casi a 23 e a 30. Il rapporto dell’ossigeno nei due ossidi era quindi 23:30 (=0.76), dato ben diverso dal dato “moderno”. Questo fa capire che le quantità troppo grandi di materiali analizzati, le metodologie di  analisi utilizzate, i criteri di purezza delle sostanze erano tutti fattori che impedivano ai dati di “parlar da soli”. Come vedremo sarà solo nell’ambito della teoria atomica daltoniana che la legge delle proporzioni multiple sarà enunciata quasi come un ovvio corollario della teoria e servirà anzi come guida e riferimento per testare l’attendibilità delle procedure sperimentali. Di fatto Proust ancora nel 1811, in una lettera la già citato Thénard, mostrerà di non comprendere o apprezzare la legge delle proporzioni multiple, ormai enunciata e generalmente accettata. Tornando agli articoli del 1801-1802,  troviamo in Proust le prime affermazioni su una differenza tra veri composti e soluzioni solide. Quelli che erano ritenuti composti a composizione variabile tra l'ossido di antimonio e lo  zolfo erano in realtà soluzioni tra le due sostanze e così pure tra il solfuro di rame e lo zolfo. Sul problema della distinzione tra vere sostanze e soluzioni torneremo più sotto.

Abbiamo detto che l’accettare che alcuni elementi si combinino tra di loro in più di un rapporto cioè che esistano due o più sostanze costituite dai due stessi elementi legati tra loro in quantità diverse, poteva essere un punto debole della teoria delle affinità elettive. Qualche ricercatore del periodo tento un “éscamotage” per risolvere il problema. Ad esempio il chimico inglese T. Thomson, nel 1801 parlando dei due ossidi del ferro affermava:

“Ferro e ossigeno possono combinarsi solo nelle proporzioni di 73 parti di ferro e 27 parti di ossigeno. Queste due quantità si saturano reciprocamente e formano un composto che è incapace di ricevere in esso altro ferro o altro ossigeno: questo composto è l’ossido verde di ferro. Come accade allora, ci si potrebbe chiedere che esiste un secondo ossido di ferro, l’ossido marrone che contiene 52 parti di ferro e 48 di ossigeno, proporzioni certamente molto diverse da 73 e 27? Io rispondo che c’è una affinità tra l’ossido verde e l’ossigeno: essi sono capaci di combinarsi insieme  e di saturarsi l’un l’altro nelle proporzioni di 71,5 parti di ossido verde e 28.5 parti di ossigeno ed il composto che essi formano è appunto l’ossido marrone che evidentemente globalmente risulta formato da 52 parti di ferro e 48 parti di ossigeno. Ma esso non è formato dalla combinazione di queste due sostanze direttamente ma dalla combinazione dell’ossido verde e dell’ossigeno. Ciò accade ugualmente per altri metalli” . Argomentazioni di questo tipo non sono però presenti in Proust che in genere assunse il ruolo dello sperimentatore che si limita a raccogliere dati e non si lancia in ipotesi o teorizzazioni.

A questo punto dobbiamo far entrare in scena l'altro personaggio della disputa Claude Louis Berthollet (1748-1822). In realtà sulla scena della Chimica costui era già da alcuni anni e se vogliamo ben più alla ribalta che non Proust. Era membro dell'Accademia delle Scienze dal 1780, aveva insieme a Lavoisier, Fourcroy e Guyton de Morveau presen­tato il Metodo per una nuova Nomenclatura chimica, basato sulle nuove idee lavoisieriane, aveva avuto un ruolo di prim'ordine durante la rivoluzione francese nei suoi anni più caldi come membro della commis­sione per la produzione di munizioni. Anche dopo la fine del Terrore la sua figura era rimasta in primo piano ed anzi aveva stretto amici­zia con Napoleone che aveva accompagnato durante le campagne d'Italia e d'Egitto. Nel 1801 aveva già pubblicato un'importante opera dal titolo “Recherches sur les lois de l'affinité” in cui aveva sottoposto a dura critica la teoria settecentesca delle affinità elettive, a cui avevamo accennato all'inizio. Nel 1803 egli ritorna sull'argomento in un'opera in due volumi, dal titolo “Essai de Statique Chimique” in cui ambiziosa­mente si propone di costruire una teoria generale che comprenda tutto il notevole patrimonio di conoscenze chimiche fin lì raggiunto. E' in tale opera che Berthollet esprime le sue critiche per la posizione di Proust che a lui pare, e diremo a ragione, un nuovo sostenitore delle idee delle affinità elettive. Poichè la posizione critica di Berthol­let nei confronti dell'idea di proporzioni costanti nella composizione delle sostanze nasce dal suo più generale  concetto di affinità, è necessario esaminare sia pur sommariamente le sue idee sull’argomento. .

Berthollet riconosceva l'importanza della teoria dell'affini­tà; egli però riteneva che essa era stata fino ad allora una dottrina ancora immatura nelle mani dei chimici che avevano costruito le tabel­le di affinità. La principale obiezione a queste tavole era che esse assumevano l'affinità come una forza generale indipendente­mente dalle condizioni sperimentali. Già Lavoisier e Bergman avevano rilevato la variazione dell'affinità con la temperatura, ma in gene­rale essa era rimasta una nozione in qualche modo assoluta. Berthollet sviluppò l'idea di affinità evidenziandone il carattere relativo, soggetto a variare con le condizioni fisiche dell'esperimen­to (temperatura, quantità, solubiltà, stato fisico).

In particolare la quantità di reagenti poteva influenzare l'affinità chimica, nel senso che anche se A è più affine a Z di B, tuttavia una adeguata aggiunta di B a AZ produrrà la formazione di un parziale ammontare di BZ. Berthollet suggerì l'uso di un concetto come "massa effettiva" come combinazione di quantità e affinità chimica. Si narra che tale idea sia stata rafforzata in Berthollet da una osservazione fatta durante la sua permanenza in Egitto al seguito di Napoleone.  Egli infatti in tale paese rimase particolarmente colpito dall’apparentemente inesauribile produzione di carbonato di sodio che si aveva presso il lago Natron. Egli cercò una spiegazione del fenomeno nella presenza di uno strato di sale marino sulla superficie del terreno e nella vicinanza delle montagne della Libia, costituite da calcare. Se queste due sostanze reagiscono tra di loro si possono formare carbonato di sodio e cloruro di calcio. E’ forse utile esprimere la reazione utilizzando moderne formule chimiche.

2NaCl + CaCO3 Û Na2CO3 + CaCl2

Il problema è che tale reazione in condizioni ordinarie non avviene, anzi si ha la reazione inversa (mescolando soluzioni acquose di carbonato di sodio e cloruro di calcio, precipita il poco solubile carbonato di calcio). Berthollet pensò che la sua spiegazione fosse accettabile solo se si rifletteva sulle eccezionali condizioni del luogo in cui si aveva una temperatura elevata ed una enorme quantità di carbonato di calcio. Quando acque salmastre filtravano attraverso i pori del calcare la relativamente debole affinità tra queste due sostanze veniva aumentata dall’effetto combinato di temperatura e massa del carbonato di calcio presente.

In base a quanto detto sinora, la combinazione tra due sostanze A e B poteva avvenire in diverse e continue proporzioni di combinazione che potevano variare tra un minimo (sotto il quale la quantità di una sostanza B era troppo poca perché si manife­stasse  affinità per  A) e  un massimo (oltre il quale A non poteva interagire con ulteriori quantità di B perché già saturata di essa). E' da questa idea che nasce appunto il rifiuto di Berthollet dell'idea delle proporzioni costanti di combinazione. Dal concetto di massa effettiva Berthollet derivò che la proporzione con cui una sostanza si combina con un'altra cresce regolarmente. C'erano un limite massimo e un minimo a questa proporzione, un punto di "soglia" e un punto di "saturazione" entro cui le quantità reciproche potevano variare. E' da notare come nell'esemplificare tali idee Berthollet non operi una distinzione di principio tra combinazioni chimiche propriamente accettate da tutti, e dissoluzioni come miscele di gas leghe vetri soluzioni di solido in solvente.. Tutte queste sono per lui combinazioni che non differiscono tra di loro che per l'intensità di interazione. E' questa idea che sta alla base del suo pensiero ed è su questa che si incentrerà alla fine la polemi­ca con Proust.

Tornando al problema delle proporzioni di combinazione, Berthollet doveva comunque riconoscere che in qualche caso le sostanze si combi­nano in proporzioni definite, ma cercò di risolvere l'apparente con­traddizione o assumendo che ciò era dovuto alle particolari condizioni di reazione o semplicemente attribuendo la pretesa di proporzioni definite alla superficialità delle osservazioni sperimentali

Per quanto riguarda il primo punto Berthollet ipotizzò che la spiegazione del fatto che talvolta le sostanze si combinino in proporzioni fisse era nei mutamenti peculiari nello stato fisico delle sostanze durante le combinazioni. Ad esempio il rapporto 2 a 1 tra idrogeno e ossigeno nell'acqua era spiegato con la condensazione che avveniva quando i due gas si combinavano in queste due proporzioni (notevole quando dai due gas si formava acqua liquida, ma sensibile anche nel caso di formazione di vapor d'acqua). Le mole­cole di acqua si impacchettavano più vicine solo quando si aveva quel rapporto di combinazione. A questo punto l’instaurarsi di questo impacchettamento e di questa interazione così forte impediva ad altre particelle di avvicinarsi e di variare quindi la composizione.

Anche per gli ossidi dei metalli Berthollet ammise in alcuni casi la fissità dei rapporti. In genere succedeva secondo lui allorché un metallo si ossidava solo a temperature elevate in cui era allo stato liquido e quasi sul punto di divenire vapore. La formazione dell’ossido produceva uno stato solido (in genere gli ossidi dei metalli fondono a temperature più elevate dei metalli stessi) e questo generava le condizioni di condensazione, favorevoli all’ottenimento di un rapporto di combinazione costante.

“Se i metalli che  si ossidano volatilizzandosi prendono tutto insieme una quantità di ossigeno che si può considerare costante, e se le proporzioni definite di ossigeno con cui si legano sembrano favorevoli all’opinione contro cui io sto argomentando, non avviene invece la stessa cosa per quei metalli che entrano in una fusione tranquilla come lo stagno o il piombo: la loro ossidazione progredisce da un minimo fino ad un termine massimo e noi vediamo succedersi i colori e le altre proprietà che accompagnano ogni grado di ossidazione; così il piombo forma un ossido grigio che poi passa a differenti sfumature di giallo per divenire infine rosso” (C.L. Berthollet, Essai, pag. 370)

Senza entrare in ulteriori particolari sulle varie sostanze prese in esame, c’è da dire che Berthollet a volte da l’impressione al lettore di aver costruito una teoria infalsificabile. Infatti egli stesso ammetteva l’esistenza di possibili eccezioni alla sua regola generale delle proporzioni variabili. A volte la sua ipotesi di condensazione per spiegare la presenza in una sostanza di un rapporto di combinazione definito sembrano un espediente ‘ad hoc’ per far rientrare tale dato nel suo impianto teorico. Inoltre, se Proust presenta dati che a noi moderni possono sembrare imprecisi, Berthollet spesso si limita a dare descrizioni qualitative dei corpi come le variazioni di colore o a presentare la variabilità nei dati ottenuti da altri sperimentatori come la prova della non discontinuità nelle composizioni.

In questa visione complessiva Berthollet non può esimersi dall'attac­care i recenti lavori di Proust che gli appare, a ragione, come un'esponente della vecchia concezione delle affinità elettive:

“Molti chimici, colpiti dalle proporzioni definite nelle quali si trovano limitate alcune ossidazioni, suppongono che ci siano sempre dei gradi determinati per la combinazione con l’ossigeno; essi prestano alla natura una bilancia che determinerebbe le proporzioni di combinazione, senza prestare alcuna attenzione alle circostanze nelle quali è possibile trovare le cause che limitano l’azione delle sostanze che si stanno combinando... un chimico le cui opinioni ricevono molto credito, Proust, ha soprattutto cercato di stabilire tale legge” (Essai, pag 373).

La risposta di Proust a questi attacchi pubblicati nell’opera “Essai de Statique Chimique” del 1803 non si fa attendere. Nel 1804, egli interviene polemizzando sulla tendenza di Berthollet  a limitarsi speso a caratterizzazioni superfi­ciali basate sul colore e lo accusa di  abbandonarsi a teorizzazio­ni troppo premature.

La polemica continuò per qualche anno.  Le posizioni dei due scienziati si cristallizzarono in due versanti contrapposti. Da un lato  Berthollet  ribadì e delineò meglio la propria posizione. Nel 1805 (Journal de Physique, 60, 347-51) egli così si esprimeva:

“Prima di proseguire la discussione in cui sono entrato con Proust, è opportuno definire chiaramente l’oggetto della disputa e la differenza delle nostre opinioni. Io ho preteso di stabilire che l’osservazione dei fenomeni chimici conduce a questo principio generale,  che una sostanza può combinarsi in qualsiasi proporzione con un’altra con cui esercita una affinità reciproca, ma che l’effetto di tale affinità diminuisce man mano che la quantità di questo sostanza diviene più considerevole. Io non ho concluso da ciò che non ci siano affatto delle combinazioni in proporzioni costanti ma ho preteso che: 1° il numero di tali combinazioni costanti sia molto più piccolo di quanto non si creda; 2° quando le proporzioni sono costanti occorre cercarne la ragione nella condensazione che si produce nella combinazione. Io ho esaminato in questa luce le combinazioni più deboli e quelle più forti, quelle che sono viste come semplici dissoluzioni e quelle a cui si assegna il nome di combinazioni, anche se tutte sono ugualmente il risultato di una affinità sottoposta alle medesime leggi e che non si possa tracciare alcuna linea di demarcazione tra esse. .. Prima di passare all’esame dei fatti sarebbe utile che Proust spiegasse la differenza che egli stabilisce tra combinazione e dissoluzione, in quanto lasciando nel vago tale distinzione diverrebbero vaghe anche le successive considerazioni.”.

Questo problema della distinzione tra soluzioni e combinazioni chimiche divenne un punto di difficoltà per la posizione di Proust, in quanto nell’analisi di minerali o di prodotti di reazione di laboratorio ci si poteva imbattere fatalmente in soluzioni solide di ossidi e metalli, ossidi e ossidi, ossidi e solfuri ecc. i cui componenti non potevano essere facilmente separati per via chimica. Tali soluzioni solide apparivano omogenee e simili a vere sostanze chimiche (il criterio della invarianza di proprietà fisiche, non era ancora entrato e nell’uso e codificato per discriminare tra sostanze e soluzioni). La risposta di Proust a tale argomento polemico di Berthollet fu appassionata ma non poteva essere per i motivi suddetti pienamente convincente. Egli nel 1806 (Journal de Physique 63, 364-377) ad esempio affermò:

“Io non ho paura di rispondere a tale questione, per fondata che essa appaia né ho paura di inoltrarmi in una regione che la scienza dei fatti non rischiara ancora adeguatamente...l’attrazione che fa disciogliere lo zucchero nell’acqua sarà o non sarà la stessa che fa disciogliere una quantità fissata di carbonio e di idrogeno in una quantità di ossigeno  per formare lo zucchero delle nostre piante; ma quello che vediamo chiaramente è che questi due tipi di attrazione sono così differenti nei loro risultati che è impossibile confonderli”.

Proust sentiva la differenza tra vere combinazioni chimiche e questi “assemblages de combinaisons”. Ma la distinzione che poneva tra le due categorie era appunto il rispetto o meno di una composizione definita e costante senza alcun altro criterio indipendente ed il suo discorso rischiava quindi di chiudersi a cerchio in sé stesso.

C’è da dire, che nel dibattito in un articolo del 1804 (Journal de Physique 59, 321-343), Proust introdusse una argomentazione in termini “microscopici” delle sua legge delle proporzioni definite:

“Analizzate della potassa (idrossido di potassio) che abbia assorbito dell’acido carbonico (anidride carbonica) o dentro cui qualcuno abbia fatto cadere delle gocce di acido solforico nitrico ecc. Voi non troverete che del carbonato, del solfato, del nitrato saturi e tutto il resto della potassa non avrà reagito, cioè una molecola di potassa, di terra, di ossido che si trova in presenza di acido non attira la metà né un quarto di quello che le serve per reagire. Dal contatto medesimo essa costituisce una combinazione completa obbedendo ai rapporti assegnati dall’affinità”.

Chiariamo che la parola molecola (“molecule”) significa semplicemente quantità piccola di materia e non ha il significato che potremmo attribuirgli noi. In ogni caso è in una visione microscopica, che, vedremo, Dalton vedrà ovvia la legge delle proporzioni di Proust. Gli atomi non possono spezzarsi in due, per cui si combineranno o 1 a 1 o 1 a 2 ecc, ma non potranno combinarsi in qualsiasi rapporto. Questa discontinuità  a livello microscopico si traduce poi in una discontinuità di composizione a livello macroscopico. In Proust questo accenno vago introdotto episodicamente nel corso della disputa con Berthollet restò fine a sé stesso e non venne mai più ripreso o sviluppato.

Nel 1807, la polemica tra Proust e Berthollet di fatto terminò. Indubbiamente pesarono anche situazioni personali. A Proust in particolare accadde di veder il suo laboratorio distrutto durante i disordini seguiti all'invasione della Spagna da parte delle truppe napoleoniche. Proust che era in quel periodo in Francia per motivi personali, si trovò improvvisamente sul lastrico. Grazie all'intercessione di Berthollet a sua insaputa, Napoleone gli offrì un aiuto economico consistente a patto che Proust mettesse su una fabbrica per ricavare lo zucchero dall'uva (sull'argomento aveva fatto anni prima alcune ricerche. Proust non accettò (secondo Dumas in quanto uomo di scienza e poco dedito alle applicazioni industriali). Egli visse appartato e in modeste condizioni economiche fino alla Restaurazione del 1815 quando venne nominato membro dell'Accademia delle Scienze, anche se non risiedeva a Parigi, e gli fu concessa una pensione. A parte la già citata lettera del 1811 scritta per rivendicare la paternità delle legge delle proporzioni definite (che peraltro Berzelius gli aveva immediatamente attribuito) di lui non restò altra traccia di lavoro scientifico. Berthollet esprimerà ancora le sue idee sulla analogia tra combinazioni chimiche e dissoluzioni nell'introduzione alla traduzione francese della terza edizione del System of Chemistry di T. Thomson, a proposito della nuova ipotesi di Dalton, che egli considererà con estrema diffidenza come una indimostrabile speculazione su cose (le particelle microscopiche) che sfuggono ad ogni esperienza. La sua posizione di prestigio resterà in Francia immutata. Napoleone lo nominò conte e Senatore. Tuttavia anche per vicissitudini famigliari (il suicidio del figlio Amedeo per il fallimento della fabbrica di carbonato di sodio che utilizzava il metodo sviluppato dal padre) a partire dal 1807 condusse vita ritirata ad Arcueil, alla periferia di Parigi, dove insieme a Laplace creò la Società omonima. Alla sconfitta di Napoleone votò per la sua decadenza (per salvare la Francia?) e mantenne comunque il suo prestigio e la sua posizione anche con Luigi XVIII. Ambedue i contendenti comunque escono dalla ribalta della scena scientifica senza che uno dei due abbia per così dire trionfato sull'altro.  Possiamo dire  che il successivo ingresso in campo della teoria di Dalton renderà ovvia ed implicita la affermazione della legge delle proporzioni costanti e delle proporzioni multiple, che, come vedremo, Dalton raggiungerà in maniera del tutto autonoma da Proust e in generale dall'analisi chimi­ca. Tuttavia possiamo dire che il successo della teoria atomica di Dalton  spingerà i chimici a trascurare le posizioni di Berthollet, abbandonando anche le sue interessanti ed anticipatrici visioni sul problema dell'equilibrio chimico. Anche il problema di una chiara di­stinzione tra combinazioni chimiche e situazioni quali leghe vetri ecc. che non rispettavano le proporzioni costanti venne accantonato come oscuro e se ne rimandò la piena compren­sione nell'ambito della definizione del concetto di fase.

Bibliografia  - Fonti secondarie

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Gillispie, Dictionary of Scientific Biography (voci Berthollet a cura di S. K. Kapoor e Proust a cura di S. Mauskopf)  

S. K. Kapoor ,Berthollet Proust and Proportions, Chymia, 10 (1965), 53- 110

F. Calascibetta, "Il problema della composizione delle sostanze: il ruolo degli esperimenti e delle teorie", in "Atti  del III Convegno Nazionale di Storia e Fondamenti delle Chimica", Bren­ner (1991), 195-203

In genere pagine di storia della Chimica potrebbero essere trovate al sito web http://webserver.lemoyne.edu/faculty/giunta/

 

Fonte: http://web.mclink.it/MC2865/SSIS/chi271101.doc

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Legge delle proporzioni Proust 1799

 

 

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