Cinema storia e registi famosi

Cinema storia e registi famosi

 

 

 

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Cinema storia e registi famosi

1- L’INVENZIONE E I PRIMI ANNI DEL CINEMA, 1880 – 1904

Introduzione
La cultura del diciannovesimo secolo (1800), l’era industriale offrirono i mezzi per duplicare un gran numero di lastre per lanterne magiche, libri di fotografie e di narrativa economica illustrata. Le classi medie e proletarie potevano visitare elaborati diorami- fondali dipinti con figure tridimensionali che raffiguravano importanti avvenimenti storici- mentre circhi, spettacoli di freaks, parchi di divertimento ecc. offrivano svaghi a buon mercato. Negli Stati Uniti molte compagni drammatiche, andavano in tournee , recitando su palcoscenici e teatri d’opera, ma trasportare intere produzioni teatrali di città in città, era costoso.
Il cinema, invece, offrì alle masse uno spettacolo visivo economico. Le performance registrate degli attori potevano essere mostrate al pubblico di tutto il mondo; i film diventarono la forma d’arte visiva popolare della tarda età vittoriana.
Il cinema fu inventato durante l’ultimo decennio dell’Ottocento (1890 ca.) in seguito alla rivoluzione industriale e divenne un meccanismo tecnologico alla base di una grande industriale, ma anche una nuova forma di intrattenimento e nuovo mezzo artistico.

L’INVENZIONE DEL CINEMA

Presupposti per la nascita del cinema
1) L’occhio umano riesce a percepire il movimento quando gli vengono messe davanti, in rapida successione, una serie di immagini, leggermente diverse fra loro, a una velocità di almeno sedici immagini al secondo. Vennero messi in commercio strumenti ottici che davano l’illusione del movimento, grazie a disegni, diversi l’uno dall’altro. Nel 1832 Plateau inventarono il fenachistoscopio, composto di un disco rotante di figure che lo spettatore vede attraverso una fessura e che da l’illusione del movimento. Lo zootropio del 1833, ideato da Horner, conteneva una serie di disegni su una sottile striscia di carta dentro un cilindro rotante;
2) La capacità di proiettare una serie rapida di immagini su una superficie venne risolta con l’adozione delle lanterne magiche, per proiettare su lastre di vetro, anche se gli operatori non erano riusciti a mettere in successione molte immagini abbastanza velocemente da creare l’illusione del movimento;
3) Venne usata la fotografia per riprendere le immagini una successivamente all’altra sua una superficie chiara. Per anni la fotografia su lastre di vetro o di metallo, senza l’uso del negativo, permetteva di ottenere solo una copia di ciascuna immagine, con tempi molto lunghi. Nel 1839 Talbot introdusse i negativi su carta, e divenne possibile stampare immagini fotografiche su lastre di vetro per lanterne e proiettarle;
4) Per impressionare le fotografie su una base flessibile in modo da poterle scorrere rapidamente attraverso una macchina da presa, Eastman nel 1888 ideò un apparecchio, Kodak, che impressionava i rulli di carta sensibile e successivamente introdusse il rullo di celluloide trasparente. La pellicola fu concepita per le macchine fotografiche ma lo stesso materiale poteva essere usato per la proiezione di un film;
5) Il meccanismo a intermittenza, per le macchine da presa e i proiettori era l’ultimo problema, anche se fortunatamente nel diciannovesimo secolo c’erano già invenzioni, come la macchina da cucire che richiedevano un meccanismo ad intermittenza.

I precursori del cinema
• Muybridge. Per fotografare i cavalli durante la corsa, per permettere lo studio del loro passo, posizionò in fila dodici macchine fotografiche, ciascuna con il tempo di esposizione di un millesimo di secondo, e costruì poi una lanterna magica per proiettare le immagini dei cavalli in movimento.
• Marey. Nel 1882 studiò il volo degli uccelli e i movimenti veloci di altri animali, grazie al fucile fotografico, che impressionava in una secondo dodici fotogrammi posti intorno al bordo di un disco di vetro.
• Reynaud. Nel 1887 costruì il prassionoscopio, una tamburo girevole, simile allo zootropio, dove le immagini potevano essere viste su una serie di specchi invece che attraverso delle fessure.
• Edison. Decise di costruire macchine per riprendere e mostrare immagini in movimento, con il suo assistente Dickson. Nel 1891 il kinetografo e il kinetoscopio era pronti per effettuare una dimostrazione. Il kinetoscopio era un apparecchio con uno spioncino, all’interno del quale la pellicola scorreva introno a una serie di rulli. Gli spettatori la facevano funzionare mettendo una moneta in una fessura. La pellicola 35mm con quattro perforazioni laterali è il modello usato tutt’ora. Inizialmente, però, la pellicola veniva impressionata a circa quarantesei fotogrammi al secondo, una velocità maggiore rispetto a quella del cinema muto. Edison e Dickson avevano bisogno di un repertorio di film e costruirono un piccolo teatro, Black Maria dove realizzarono film di 20 secondi circa, che erano brevi estratti da numeri eseguirti da famosi personaggi, ballerini, acrobati ecc. Edison aveva sfruttato il suo fonografo dandolo in affitto a locali dove i clienti, pagando un nickel, potevano ascoltare la registrazione attraverso le cuffie. Lo stesso metodo venne adottato per il kinetoscopio.
• Skladanowsky. Inventarono il bioskop, che conteneva due nastri di pellicola larghi 53 mm che scorrevano da una parte e dall’altra dell’apparecchio; i fotogrammi di ognuno venivano proiettai alternativamente.
• I fratelli Lumière. Il cinematografo, intorno al 1894, utilizzava la pellicola 35mm e un meccanismo ad intermittenza, come quello della macchina da cucire. Veniva montato davanti a una lanterna magca e diveniva una parte del proiettore. I fratelli Lumière girarono i loro film alla velocità di sedici fotogrammi al secondo, invece di quarantasei come Edison. Il primo film realizzato con questo sistema fu La sortie des usines Lumière (l’uscita dalle fabbriche Lumière): era un’unica inquadratura fatta fuori dalla fabbrica e conteneva gli elementi essenziali dei primi film: il movimento di persone prese dalla realtà. Nel 1895 in una delle sale del Grand Café di Parigi ebbe luogo una delle più famose proiezioni della storia:venticinque minuti di film, ciascuno dei quali di circa un minuto. Fra questi film, uno riprendeva Auguste e la moglie che davano da mangiare al loro bambino, L’arroseur et arrosé (l’innaffiatore innaffiato).
• Casler. Nel 1904 sviluppò il mutoscope, una specie di peep-show, che funzionava a monetine e che prevedeva una manovella che lo spettatore girava per far ruotare un tamburo che conteneva una serie di fotografie. Casler consultà Dickson che, insoddisfatto del suo lavoro da Edison, accettò di collaborare e insieme ad altri soci fondarono l’American Mutoscope Company.

Le prime produzioni e proiezioni cinematografiche
La maggior parte dei soggetti erano temi di cronaca e non di finzione, che potevano essere “vedute” e “panorami”, o brevi resoconti di viaggio. Nel 1898 i produttori americani usarono modellini di navi e panorami in miniatura per ricreare l’affondamento di una nave.
Sin dall’inizio della storia de cinema i film di finzione ebbero grandi importanza, come Arroseur et arrosè dei Lumière che mostrava una ragazzo che si prendeva gioco di una giardiniere calpestando la canna con cui stava innaffiando. Alcuni di questi film erano girati all’aperto, ma presto venne introdotto l’uso di fondali dipinti.
La maggior parte dei film delle origini era composta da una sola inquadratura. La macchina da presa rimaneva sempre nella stessa posizione e l’azione si svolgeva nel tempo di un’unica ripresa.
Lo spettacolo tipo era generalmente accompagnato dalla musica: nelle sale più modeste era suonata da un solo pianista; nei teatri se ne occupava l’orchestra.
Nella prima decade della storia del cinema si proiettavo i film in molte parti del mondo, ma la loro realizzazione avveniva principalmente nei Pesi in cui la macchina da presa era stata inventata: Francia, Inghilterra e Stati Uniti.

Lo sviluppo dell’industria cinematografica francese
I fratelli Lumière mandarono operatori in giro per il mondo a proiettare i film e alcuni di questi, girati dai loro operatori introdussero importanti innovazioni tecniche. Promio, inventò il movimento della macchina, ad esempio. Le prime cineprese infatti, erano sorrette da treppiedi fissi che non permettano alla macchina di ruotare o fare panoramiche, ma nel 1896 Primio introdusse il movimento in una ripresa di Venezia, mettendo il treppiede su una gondola, insieme ad altri operatori, perfezionò questa tecnica posizionando la macchina su navi e treni.
I fratelli Lumière incominciarono a vendere il loro cinematografo nel 1897, ma durante una proiezione al bazar de la Charité di Parigi, una tenda prese fuoco e l’incendio uccise 125 persone. I fratelli continuarono a produrre film, ma vennero gradualmente esclusi dal mercato da rivali più innovativi.
Charles Pathé acquistò nel 1895 alcune imitazioni di kinetoscopio di Paul e l’anno dopo fondò la Pathé Frères. Così un teatro di posa con le pareti di vetro e cominciò a vendere la sua cinepresa che divenne la più diffusa nel mondo. All’inizio Pathé non era originale, riprendeva le idee di Mèliès e di film americani e inglesi. La sua principale rivale era la Francia e la ditta fondata da Gaumont che si occupava di attualità, riprese da Alice Blaché la prima regista donna.

Georges Méliès: il mago del cinema.
Méliès era un illusionista e proprietario del Théatre Robert- Hudin. Dopo aver visto il cinematografo dei Lumière decise di arricchire il suo programma con dei film e chiese un proiettore a Paul. Riuscì a costruire una cinepresa per proiettare film, di tutti i generi, in voga a quei tempi. Il primo film in cui fa uso di trucchi è Escamotage d’une dame chez Robert- Hudin (sparizione di una signora al Robert- Hudin. 1896), in cui Méliès interpreta una mago che trasforma una donna in uno scheletro; il turcco consisteva nel fermare la cinepresa e sostituire la donna con lo scheletro. Successivamente, usò il fermo macchina e altri effetti per creare scene fantastiche e di magia più complesse. Uno dei suoi films più famosi è Le Voyage dans la Lune, 1902, film comico di fantascienza su un gruppo di scienziati a bordo di una navetta spaziale in orbita per la luna, che scappano dopo essere stati fatti prigioniere da una strana razza di creature sotterranee.

La Gran Bretagna e la “scuola di Brighton”
La maggior parte dei film veniva raggruppata insieme e mostrata come un numero unico all’interno del programma di uno spettacolo di Music- hall e seguendo il modello del periodo, i film erano molto semplici come Twins’ Tea Party (il tè dei gemelli, 1986) di Paul, che mostrava sue bambini che bisticciavano, poi si baciavano e facevano pace, con un’unica inquadratura girata all’aria aperta con la luce diretta del sole, su un fondo neutro.
Divenne popolare il phanotm ride, nato per dare allo spettatore l’illusione di viaggiare, ma i primi film inglesi divennero famosi per i loro effetti speciali, Hepworth, per esempio.
Altri produttori erano sparsi per l’Inghilterra e i più importanti si riunirono nella scuola di Brighton, ed i capiscuola erano Smith e Williamson. The big Smallow (il grand boccone, 1900) di Williamson presenta un’inquadratura iniziale che ritrae un uomo su un fondo bianco che fa dei gesti e si arrabbia perché non vuole essere ripreso; cammina in avanti avvicinandosi alla macchia da presa e spalanca la bocca come se volesse ingoiarla. Con uno stacco impercettibile la sua bocca viene sostituita da una fondale nero e si vedono l’operatore e la cinepresa cadere nel vuoto. Un altro stacco invisibile ci riporta alla bocca a aperta e l’uomo indietreggia, ridendo e masticano in maniera trionfante.
Mary jane’s Mishap (la disavventura di Mary Jane, 1903) è una commedia grottesca di Smith. L’inquadratura base, una sciatta domestica ripresa a figura intera in una cucina, viene alternata a parecchi inserti di mezze figure che mostrano le divertenti espressioni del suo viso.

Stati Uniti: la concorrenza e la rinascita di Edison
Dopo la prima presentazione del vitascope di Edison a New York nel 1896, le proiezioni di film si diffusero in tutto il mondo, ma il vitascope non era in vendita, anche se imprenditori acquistarono i diritti per usarlo in diversi stati. Dato che i film non erano sottoposti al regime del diritto d’autore e che le copie erano vendute invece di essere noleggiate, quelle di Edison venivano duplicate e vendute. In poco tempo entrarono in funzione centinaia di proiettori e fu possibile assistere alle proiezioni in teatri di varietà, parchi di divertimento ecc.
Negli anni tra il 1895 e il 1897 il cinema rappresenta una grande novità. Lo stupore di vedere immagini in movimento e inusuali riprodotte su uno schermo era il principale richiamo per il pubblico. Un altro tipo di film che contribuì a rivitalizzare il cinema furono le “passioni”: una serie di scene sulla vita di Gesù composte da un’unica inquadratura che somigliavano alle illustrazioni bibliche o a immagini di lanterne magiche.
Nel 1897 l’America Mutoscope era la più famosa società cinematografica d’America. Nel 1899 cambiò nome in American Mutoscope & Biograph, nome che rifletteva la doppia attività svolta nel campo dei peepshow e dei film da proiettare. L’attività venne intralciata da una causa intentata da Edison, il quale portava in tribunale ditte concorrenti per presunte violazioni delle leggi sui brevetti e i diritti d’autore. Nel 1908 assunse uno dei più importanti registi del cinema muto, Griffith.
Un’alta importante società che cominciò la sua attività è l’American Vitagraph fondata da Blackton e da Smith.
L’aumento della produzione della Am&B e della Vitagraph in seguito alla causa vinta contro Edison, costrinse quest’ultimo a girare molti più film per fronteggiare la concorrenza. Una delle tattiche che impiegò con successo fu la realizzazione di film più lunghi con l’appoggio di Porter.
La Edison Company costruì un teatro di posa di vetro dove i film venivano girati usando una scenografia dipinta in stile teatrale. A Porter sono state attribuite tutte le innovazioni del periodico antecedente al 1908, inclusa la realizzione del primo film narrativo (Life of an American Fireman, 1903) e l’invenzione del montaggio. Porter esaminò le voyage dans la lune di Méliès e decise di riprendere il suo modo di raccontare una storia attraverso le inquadrature, come Life of an American Fireman, che comincia con una lunga inquadrature del pompiere che sogna una donna e un bambino in pericolo durante un incendio; il sogno è reso con la nuvola di una fumetto nella parte alta dello schermo. Uno stacco su un primo piano mostra una mano che tira l’allarme antincendio pubblico e diverse inquadrature mostrano il pompiere che corre in direzione dell’ incendio. Il film finisce con due lunghe inquadrature della stessa azione da due punti di vista diversi; nella prima il pompiere entra da una finestra in una stanza da letto per salvare la madre e torna per salvare il bambino; nella seconda vediamo entrambi i salvataggi, ma da una cinepresa posizionata fuori dalla casa.
The Great Train Robbery (la grande rapina al treno, 1903) viene realizzato con undici inquadrature e narra la storia di una banda di ladri che assale un treno. Due sono gli elementi essenziali del film: la tecnica teatrale delle riprese, perché gli attori si muovo come su un palcoscenico e l’articolazione dei fatti in conseguente sviluppo temporale.Nel The Dream of a Rarebit friend (il sogno di un diavoletto Porter usa la sovrimpressione e fa oscillare la macchina da presa per rendere visivamente le vertigini di un ubriaco.

2 - L’ESPANSIONE INTERNAZIONALE DEL CINEMA, 1905 – 1912 (PP. 75- 103)

LA PRODUZIONE CINEMATOGRAFICA IN EUROPA
Intorno al 1905 sale permanenti vennero dedicate alla proiezioni di film e la produzione delle pellicole si allargò per soddisfare la sìcrescente domanda. L’Italia e la Danimarca divennero importanti produttori e i film divennero più lunghi, cominciarono a essere composti da diverse inquadrature e a raccontare storie più complesse.

Francia
Le due principali società erano la Pathé frères e la Gaumont.
La Pathé era già una grande società con tre diversi studi. Aveva una concentrazione verticale che comportava il controllo della produzione, distribuzione ed esercizio dei film. Costruiva le sue macchine da presa e i suoi proiettori, produceva film e fabbricava la pellicola su cui stampare le copie da distribuire. Contava sei registi che giravano ognuno un film alla settimana di tutti i generi: documentari di attualità, film storici ecc. nel 1903 la Pathé creò un sistema elaborato di colorazione meccanica del supporto (noto anche come pochoir in francese e stencil in inglese). Le aree da colorare erano ritagliare su copie matrici che venivano appoggiate sulle copie positive; ciascuna tinta era applicata sul film attraverso le sagome così ottenute mediante pennelli o tamponi intrisi di colore.
I maggiori film della Pathè avevano come protagonisti comici famosi: come la serie di max Linder, che si sentiva imbarazzato in società, frustrato in amore. I vari film di Linder esercitarono una forte influsso sulla cinematografia successiva tanto che Chaplin lo chiamò il suo “professore”.
La Pathé usava anche la strategia della concentrazione orizzontale, ovvero l’espansione di una compagnia all’interno di uno specifico settore dell’industria cinematografica, per esempio con l’apertura da parte di una distributore di nuovi uffici in altre città. La Pathè allargò la sua produzione aprendo nuovi teatri di posa in Italia, Russia e Stati Uniti.
La Gaumont assunse molti registi. Fu Alice Blanché a insegnare loro il mestiere e lei stessa iniziò a realizzare film più lunghi. Tra di loro vi era lo sceneggiatore e regista Feuillade, uno dei più importanti del cinema muto e la sua fortuna procedette parallela a quella della Gaumont. Era una autore versatile: realizzava commedie, film storici, film di genere ecc.
Sull’esempio della Pathé, altre società e singoli imprenditori aprirono nuove sale, come la Film Art, che produsse, l’assassinat du duc de Guise (l’assassinio del duca di Guisa, 1908), che racconta un celebre episodio della storia francese con la partecipazione di attori di teatro.

Italia
La Cines di Roma, la Ambrosio, la Itala di Torino era le principali case di produzione. Queste nuove società erano carenti di personale specializzato e chiamarono alcuni artisti dalla Francia.
Giovanni Pastrone era uno dei maggiori registi dell’epoca e girò la caduta di Troia in tre rulli che inagurò la moda a produrre film più lunghi e più fastosi.

Danimarca
Svolse un ruolo importante grazie all’imprenditore Ole Olsen, che cominciò la sua carriera proiettando film con un peepshow. Nel 1906 fondò la Nordisk e cominciò ad aprire uffici all’estero raggiungendo il successo con Caccia al leone del 1907, un film di finzione su un safari, anche se fu vietato in Danimarca dopo l’uccisione durante le riprese di due leoni. La filiale di New York della Nordisk si distinse con il nome di Great Nothern. I film della Nordisk erano polizieschi, melodrammi, drammi ecc. ed aveva anche un set che riproduceva un circo.

Altri paesi
L’Inghilterra rimase una presenza significativa nel mercato cinematografico mondiale, mentre il Giappone iniziò a fiorire nel 1908, con film che erano registrazioni di kabuki (teatro musicale). Il cinema russo, dominato dalla Pathé vide anche la nascita di molte società nazionali.

LA LOTTA PER L’ESPANSIONE DELL’INDUSTRIA CINEMATOGRAFICA AMERICANA

Il boom del nickloden
Nel 1905 i film venivano proiettati in sale di varietà, teatri e in altri luoghi d’incontro. La principale tendenza dell’industria cinematografica americana degli anni 1905-07 fu il grande sviluppo delle sale. Erano piccoli magazzini con meno di duecento posti a sedere; l’entrata costava un nickel o un dime e c’era solo un proiettore. Durante i cambi di rullo un cantante intratteneva gli spettatori,accompagnato dalla proiezione di lanterne magiche.
Andare al cinema non era più una novità, ma una forma di intrattenimento globale, un passatempo per coloro che avevano ottenuto la settimana corta.
I nickelodeon potevano programmare i film in continuazione, non erano stagionali, erano più economici.
Tutti i nickeloden erano ubicati nel quartiere degli affari o nelle zone industriali della città. Gli operai avevano così la possibilità di andare al cinema vicino a casa, anche se le donne e i bambini rappresentavano una grossa fetta del pubblico.
Nel 1908 i nickeloden erano diventati la principale modalità di proiezione ed avevano quindi bisogno di nuovi distributori o film exchanges .
Permisero, inoltre, a molti uomini di affari di intraprendere brillanti carriere come i fratelli Warner, Carl Laemmle, fondatore della Universal, William Fox, che fondò la compagnia che sarà poi la 20th century fox ecc.

La Motion Pictures Patents Company contro le società indipendenti
La Edison e la AM&B raggiunsero un accordo per creare una nuova società che avrebbe controllato tutte le altre e riscosso la tassa dovuta per produrre i film. Nel dicembre del 1908 venne così creata la Motion Picture Patents Company(MPPC). I membri americani della MPPC limitavano severamente il numero di società straniere che potevano entrare a far parte dell’associazione e importare film. Pathé e Méliès furono ammessi.
La MPPC sperava di controllare tutte le tre fasi dell’industria: la produzione, la distribuzione e l’esercizio. Solamente le società autorizzate potevano fare e distribuire i film e tutte le sale che volevano prendere a noleggio i film realizzati dai membri della MPPC dovevano pagare una tassa settimanale per questo privilegio. Eastman Kodak, accettò di vendere materiale fotografico solo ai membri della MPPC i quali, in cambio, si impegnarono a non comprare nessun’altra pellicola.
Questo accordò stabilì che il controllo dell’intero mercato cinematografico americano fossi in mano a una oligopolio. Diversamente dal regime di monopolio, l’oligopolio presenta un piccolo numero di compagnie che collaborano per controllare il mercato e impedire l’entrata di altre società.
I membri della MPPC stabilirono una scaletta regolare con le uscite settimanali. I film recenti erano i più cari mentre il loro valore diminuiva a mano a mano che venivano proiettati. La lunghezza standard dei film divenne di un rullo.
Non tutti i distributori e i produttori erano disposti a pagari tributi alla Edison e alla AM&B e anche i gestori delle sale che avevano ormai acquistato i loro proiettori erano contrariati. I cinema senza licenza costituivano una parte del mercato, la parte dei “ribelli”.
Nel 1909 la MPPC subì un duro attacco da parte di Carl Laemmle, che era a capo della più grande società americana di distribuzione, che restituì la licenza e fondò la Motino Picture Corporation, dalla quale sarebbe nata l’Universal. Nel giro di pochi anni sorsero una serie di compagnie indipendenti in tutto il paese.
La MPPC rispose al movimento indipendente creando nel 1910 la General Film Company per cercare di monopolizzare la distribuzione. Ma nel 1912 il governo americano intentò un processo contro la MPPC in quanto essa si configurava come un trust, un gruppo di società che svolgono la loro attività creando una situazione di ingiusta limitazione del commercio.

Pressioni sociali e autocensura
La rapida diffusione dei Nicklodeon fu la causa di pressioni sociali che miravano a riformare il cinema, molti gruppi regliosoi considervano i cinema luoghi pericolosi che traviavano i giovani e i film esempi che inducevano alla prostituzione e al furto.
Si formarono dei comitati di censura. Un gruppo di newyorkesi formò il Board of Censorship, un corpo privato che mirava a migliorare i l contenuto dei film e quindi a prevenire che il governo varasse una legge nazionale sulla censura. I membri della MPPC per acquistare rispettabilità, permisero che i loro film venissero esaminati e aiutarono il comitato anche finanziariamente. Grazie a questa collaborazione il nome del comitato cambiò in National Board Censorship e poi in Nation Board of Review.
Si cercò di creare film più lunghi e complessi dal punto di vista narrativo, con storie tratte dalla letteratura o che descrivevano eventi storici. Tali cambiamenti per attrarre un pubblico più raffinato contribuirono anche al miglioramento delle sale. Scomparve l’intermezzo di canzoni popolari, considerate un genere adatto alle classi basse, ma c’erano accompagnamenti musicali, con orchestre, con il fine di creare un’atmosfera diversa rispetto ai nickelodeon.

 

La nascita del lungometraggio
La tendenza verso programmazioni più lunghe e film di maggior prestigio artistico richiese di accrescere la lunghezza delle pellicole. Nei primi anni del secolo il termine feature definiva un film insolito segnalato nel cartellone pubblicitario, ma cominciò ad essere associato a film più lunghi.
Nel 1909 alcuni produttori americani cominciarono a realizzare film di più di un rullo, ma siccome il sistema rigido della MPPC permetteva di proiettare un solo rullo a settimana, gli esercenti potevano proiettare soltanto una parte di film alla volta.

Il trasferimento a Hollywood
Nei primi anni Dieci, l’area intorno a Los Angeles si impose come principale centro di produzione degli Stati Uniti. Molti erano i vantaggi di questa zona: il suo clima assolato ed asciutto permetteva le riprese in esterni per la maggior parte dell’anno; il sud della California offriva una notevole varietà di paesaggi, compreso l’oceano, il deserto e le montagne ecc. intanto il western divenne uno dei generi cinematografici più popolari: questi film sembravano più autentici se girati nel vero West invece che nel New Jersey.

ALTRI ESPERIMENTI SULLO STILE CINEMATOGRAFICO
A partire dal 1904, il cinema commerciale americano si orientò sempre più verso la narrazione. Inoltre le storie divennero più lunghe e necessitarono di una serie di inquadrature. I registi cercarono il modo per realizzare che il pubblico potesse capire. Nel 1917 i registi avevano elaborato un sistema di regole formali chiamato cinema hollywoodiano classico. Il principale problema che i registi dovettero affrontare nel periodo dei nickelodeon, fu il rendere comprensibili al pubblico i rapporti di causa- effetto, spazio e tempo dei film.
In alcune sale un presentatore spiegava la trama durante lo svolgimento del film. Il montaggio rappresentò un vantaggio per il regista che poteva così muoversi istantaneamente da uno spazio all’altro o staccare su inquadrature più ravvicinate per rivelare i particolari; ma se lo spettatore non capiva le relazioni temporali e spaziali tra un’inquadratura e l’altra, il montaggio aumentava la confusione.

Le didascalie
Erano di due tipi:
1. il tipo descrittivo inizialmente fu il più usato. Il testo era redatto di solito in terza persona e riassumeva l’azione che stava per iniziare o semplicemente la presentava, come il fidanzato di mia madre del 1911. le didascalie potevano anche segnalare salti temporali tra le scene;
2. i dialoghi, che suggerivano i pensieri in maniera più precisa dei gesti. Queste didascalie potevano essere poste prima dell’inquadratura o dopo. Quest’ultima soluzione divenne la norma dal 1914.

Gli inizi della continuità narrativa
Quando il montaggio unisce una serie di sequenze, la chiarezza narrativa dipende dal fatto che lo spettatore capisca il rapporto spaziale e temporale fra una sequenza e l’altra. I registi per mantenere questa connessione continua, svilupparono delle tecniche: il montaggio alternato, il montaggio analitico e il montaggio contiguo.
• Il montaggio alternato. Prima del 1906 nei film narrativi ci si spostava avanti e indietro fra azioni che avvenivano in luoghi diversi; al contrario, nella maggior parte dei casi, un’azione continua formava l’intera storia. Se le azioni innescate erano diverse, il film si concentrava su ognuna di esse nella sua interezza e quindi passava alla successiva. (alterna inquadrature di due o più eventi che si svolgono in luoghi diversi, ma simultaneamente, come in Nascita di Una Nazione.Per esempio nel Cheval emballé (il cavallo in fuga), si mostra un cavallo da tiro che mangia un sacco di avena davanti a un negozio. Nella prima inquadratura il cavallo è scheletrico e il sacco di avena pieno; nell’inquadratura successiva si vede il conducente dentro il palazzo e alla fine l’effetto che produce è quello del cavallo che ingrassa mentre il sacco si svuota. Griffith è il regista più spesso associato con la tecnica del montaggio associato. Nel The Lonely Villa (la villa isolata, 1909), un gruppo di ladri attira un uomo fuori dalla sua casa di campagna isolata mandandogli un falso messaggio e Griffith mostra l’azione simultaneamente in tre luoghi diversi.
• Il montaggio alternato. Suddivide uno spazio unico in inquadrature diverse. Un modo per farlo era inserire inquadrature ravvicinate di ciò che stava accadendo; in questo modo un campo lungo mostrava l’intero spazio e uno più stretto dava maggior rilievo agli oggetti e alle espressioni del viso.
• Il montaggio contiguo. In alcune scene i personaggi uscivano dallo spazio inquadrato per poi riapparire nell’inquadratura successiva. Questi movimenti sono tipici del genere dell’inseguimento. Nel giro di pochi anni i registi impararono a far muovere i personaggi nella stessa direzione, per far capire meglio allo spettatore dove avviene l’azione. Un altro modo per indicare che due spazi contigui sono uno vicino all’altro è quello di mostrare un personaggio che guarda in una direzione fuori campo mostrare ciò che sta osservando, come in dejeuner du savant (la colazione di uno scienziato) che ci mostra cosa lo scienziato vede nel microscopio attraverso un’inquadratura del suo punto di vista.
Agli inizi degli anni Dieci diviene frequente un nuovo tipo di raccordo. Un personaggio guarda semplicemente fuori campo, e dalla posizione della cinepresa nella seconda inquadratura, capiamo di star vedendo ciò che vede il personaggio, ma la seconda inquadratura può rivelare ciò che il personaggio sta guardando non esattamente dal suo punto di vista. Uno stacco di questo tipo è definito raccordo sullo sguardo. Nello stesso periodo in cui si iniziava ad usare il raccordo sullo <sguardo, i registi cominciarono anche ad utilizzare il doppio raccordo sullo sguardo:un personaggio guarda fuori campo un altro personaggio che nell’inquadratura successiva guarda nella direzione opposta rispetto al primo. Questo tipo è conosciuto anche come campo/controcampo. È usato nei dialoghi, nelle lotte e in quelle situazioni in cui i personaggi interagiscono l’uno con l’altra.

Posizione della macchina da presa e recitazione
A partire dal 1908 i registi, per meglio comunicare la psicologia del personaggio, cominciarono a collocare la macchina più vicino agli attori in modo che la loro mimica facciale fosse più visibile. Alcuni critici lamentarono che l’inquadratura, a piano americano, era innaturale e non artistica.
Griffith fu colui che esplorò le possibilità di dare maggior risalto alle espressioni del viso. Cominciò ad insegnare ad attrici di grande talento ad esprimere una vasta gamma di emozioni soltanto attraverso leggeri mutamenti nei gesti e nelle espressioni. Uno dei primi risultati fu The Painted Lady (la signora truccata), in cui G. colloca la cinepresa vicino all’eroina per inquadrare le sua follia, in modo da rendere visibile ogni minimo cambiamento nell’espressione del volto.
Un’altra tecnica è l’uso delle angolazioni alte e basse della macchina da presa. A partire dal 1911 circa, i registi cominciarono a inquadrare l’azione da sopra o da sotto presentando la scena da un punto di vista più efficace. Negli stessi anni le macchine da presa con cavalletto furono corredate di teste girevoli. Con questi cavalletti la macchina poteva ruotare per fare panoramiche orizzontali, oppure anche per panoramiche verticali.

Il colore
Sebbene la maggior parte delle copie di film muti che oggi vediamo sia in bianco e nero, molte venivano colorate secondo la moda. Le tecniche per colorare le copie da distribuire erano:
• La imbibizione, che consisteva nell’immergere la pellicola già sviluppata nella tinta che colorava le parti più chiare delle immagini, mentre quelle più scure rimanevano nere.
• Nel viraggio, la pellicola già sviluppata veniva immersa in una soluzione chimica che saturava le zone scure del fotogramma, mentre quelle più chiare rimanevano bianche.

La scenografia e l’illuminazione
All’inizio dell’epoca del Nickelodeon, molti film di finzione usavano ancora fondali dipinti sullo stile di quelli teatrali, insieme a qualche mobile vero o ad arredi scenici. Si usarono sempre più frequentemente set tridimensionali senza arredamenti o finestre dipinti. L’illuminazione era uniforme e piatta sia che fosse solare sia da una serie di luci elettriche.

Le origini del cinema da’azione
L’animazione venne usata dall’industria cinematografica a partire dal 1906 quando Blackton realizzò trasformazioni umoristiche di facce buffe, che consisteva in disegni di volti che si trasformavano in fotogramma, a mano a mano che si aggiungevano dei tratti. Due erano le animazioni delle origini; far muovere degli oggetti o produrre del disegni per ricreare il movimento.
Al primo genere di animazione appartiene The Haunted Hotel (l’hotel infestato dagli spettri, 1907) di Blackton, dove un pranzo si prepara da solo attraverso un’animazione realizzata con il procedimento del fotogramma singolo.

 

 

3 - CINEMATOGRAFIE NAZIONALI, CLASSICISMO HOLLYWOODIANO E PRIMA GUERRA MONDIALE 1913- 1919 (PP. 105- 116; 123 – 133)
Il periodo iniziale della prima guerra mondiale rappresentò un punto di svolta nella storia del cinema. Il serial emerse come una delle forme narrative dominanti e, in concomitanza, nuove tecniche meno dispendiose vennero introdotte nei procedimenti di animazione. Alla metà degli anni Dieci, la realizzazione dei lungometraggi si livellò su standard internazionali. L’industria hollywoodiana a differenza delle fiorenti industrie francesi ed italiane indebolitesi con l’inizio della guerra, andava assumendo importanza in quegli anni.
Proprio in questo periodo di importanti mutamenti scoppiò la prima guerra mondiale, nel 1914. la guerra ebbe profondi effetti sul cinema di tutto il mondo. L’impegno bellico influì particolarmente su Italia e Francia e dal 1916 gli Stati Uniti divennero i principali fornitori di pellicole del mercato mondiale, posizione che hanno mantenuto fino a oggi.

LA CONQUISTA AMERICANA DEL MERCATO MONDIALE
Fino al 1912 le compagnie americane erano quasi esclusivamente impegnate nella conquista del proprio mercato interno, che in seguito al boom dei nickeloden necessitava di una produzione di film sempre maggiore. La prima società americana ad aprire un proprio ufficio di distribuzione fu la Vitagraph, con succursali a Londra e a Parigi. Dal 1909 altre società americane si rivolsero ai mercati stranieri.
Francia, Italia e altri Paesi produttori si davano battaglia nel mercato mondiale, ma l’ingresso in guerra comportava il trasferimento del personale impegnato nel cinema al fronte. In Francia, dove gli stabilimenti della Pathé erano costretti a produrre munizioni e a utilizzare i teatri di posa come caserme, la produzione cessò quasi del tutto.
Venuta a mancare la produzione europea, molti paesi si rivolsero all’industria Hollywoodiana e dal 1916 l’esportazione americana crebbe a ritmi vertiginosi.

LA NASCITA DELLE CINEMATOGRAFIE NAZIONALI
Negli anni antecedenti la prima guerra mondiale il cinema era un’industria internazionale. Con la guerra la domanda di film da proiettare rimaneva tale e si svilupparono la produzione locale, come in Germania, in Svezia, mentre nazioni come l’Italia accusarono un netto declino.

Germania
Fino al 1912 la produzione dell’industria cinematografica tedesca era piuttosto trascurabile. Il cinema godeva di una pessima reputazione ed era considerato come una forma primitiva di intrattenimento perché colpevole di allentare il pubblico dagli spettacoli teatrali. Nel 1913 nacque però L”autorenfilm”. Il termine “autore” serviva a pubblicizzare il film riferendosi al testo famoso da cui era tratto, o di richiamo allo scrittore che aveva steso la sceneggiatura originale. Analogamente avveniva con noti personaggi del mondo teatrale, che venivano ingaggiati per dare credibilità e rilievo all’opera.
Il primo film che definì chiaramente i caratteri dell’Autorenfilm fu Der Andere (l’altro, di Max Mack, 1913). Un’altra opera importante fu Die Landstrasse di Paul: la storia narra di un delitto commesso in un piccolo villaggio da un evaso. È un film insolitamente sofisticato.
Ma il più famoso degli Autorenfilm è certamente lo studente di Praga di Stellan Rye, che segna l’esordio cinematografico di Paul Wergener. Il film è la storia di uno studente che, dopo aver venduto la propria immagine riflessa al diavolo in cambio di ricchezze, sarà perseguitato dal suo doppio fino al fatale duello finale. Vengono utilizzati numerosi effetti speciali, per creare le scene dove il protagonista si confronta con il suo doppio.
L’intera industria cinematografica tedesche conobbe una fase d’espansione principalmente grazie allo star system, impostosi grazie alla bionda Potten e alla danese Nielsen.

Italia
Il cinema italiano prosperò nella prima metà degli anni Dieci. Il successo dell’esportazione della realizzazione di lungometraggi, attrasse mole forze di talento vero l’industria cinematografica. I trionfi maggiori all’estero continuavano a essere decretati a film storici come Quo Vadis?, di Enrico Guazzoni, Cabiria, di Giovanni Pastrone, ambientato nella Cartagine del III secolo a.C. si sviluppa tra rapimenti e sacrifici umani, mentre l’eroe Fulvio e il suo schiavo Maciste cercano di salvare la protagonista. Cabiria si segnala anche per l’uso delle riprese realizzare con il carrello, alternate alle scene statiche.
Un secondo e ben distinto genere del cinema italiano si sviluppò come diretta conseguenza della nascita dello star system. I film appartenenti a questo filone ritraevano storia di passioni e intrighi dell’alta borghesi o dell’aristocrazia, condite con una miscela tragica di erotismo e morde. L’amor mio non muore, di Camerini, fissò le coordinate del genere, e soprattutto a lancia Lyda Borelli. La maggior rivale della Borelli fu Francesca Bertini, che con Assunta Spina, di Gustavo Serena, inaugurava una lunga serie di interpretazioni memorabili.
L’equivalente maschile della diva era il personaggio de forzuto, i cui caratteri principali furono definiti per la prima volta dall’Ursus di Quo Vadis? E dallo schiavo di Cabiria, Maciste.
Dopo la guerra, l’Italia cerò di riguadagnare un posto nel mercato mondiale, anche tramite iniziative quali la nascita, nel 1919 dell’Unione Cinematografica italiana.

 

Russia
Prima della guerra la produzione era largamente dominata dalla Pathé e dalla Gaumont. La prima società nazionale in grado di competere con l’ivasione francese fu creata nel 1907 dal fotografo Drankov, seguita dall’anno successivo dalla Khanzhonkov.
Il tipo di approccio tematiche la filmografia russa sviluppò drenate questi anni si distaccava dalla regola de lieto fine e privilegiava i toni melanconici. Il ritmo di molti film era lento, inframezzato da frequenti pause. I produttori russi cercavano attori e attrici in grado di replicare la popolarità di una Asta Nielsen.
I due registi più importanti degli anni della guerra furono Bauer e Protazanov, maestri del genere melodrammatico.
Bauer era un attento studioso della profondità dello spazio e cerca di soddisfare la passione del pubblico di quel periodo per le storie malinconiche all’estremo e centrate su malattie morbose. In la morte del cigno, una artista è ossessionato dal tentativo di raffigurare la morte di una ballerina.
La carriera di Protazanov era legata alle opere di Puskin e Tojstoj.
Nel 1917 con la rivoluzione i registi si trovarono a un punto di stallo e lo stile lento e intenso fu presto considerato antiquato.

Francia
All’inizio degli anni Dieci, l’industria francese conosceva ancora un periodo di prosperità. ,a nel 1913 la più grande delle compagnie francesi, la Pathé, decide di tagliare il troppo costo settore della produzione, per concentrarsi sulla distribuzione e sulla proiezione. La Pathé venne esclusa dal mercato americano a causa della crescita delle società indipendenti e quindi, dopo aver rotto con la MPPC cercò una società di distribuzione propria.
La casa francese si trovò relegata in una posizone marginale del mercato americano, ormai dominato dalle grandi compagnie che producevano lungometraggi. La Gaumont, al contrario aumentò la produzione affidandosi a due importanti registi: Perret e Feuillade. Il primo giunse alla notorietà nel 1909 realizzando una serie di film interpretati da se stesso; Perret diresse alcuni lungometraggi come L’enfant de Paris, melodrammatici racconti di rapimenti di bambini. Perret fu poi chiamato a Hollywood e io suo stile si irrigidì in formule ripetitive e al suo ritorno in Francia si dedicò a film epici.
Feuillade, invece, continuò a dedicarsi a diversi generi, incluse le commedie e la serie documentaria La vie telle qu’elle est.
Nonostante la Pathé e la Gaumont dominassero il mercato della produzione francese, non tentarono ma di monopolizzare l’industria, così che piccole compagni coesistervano pacificamente con i due colossi. Tutta questa attività subì un brusco arresto allo scoppio della prima guerra mondiale, e sono dopo il 1914 alcune sale furono riaperte. All’inizio del 1915 l’attività riprese su basi più limitate, con una particolare attenzione ai cinegiornali e ai film pittorici, come Mères françaises.
La reazione della Pathé alla nuova situazione dovuta alla guerra fu quella di distribuire film delle società indipendenti americane. L’enorme successo ottenuto da serial come The Perils of Pauline, assicurò alla casa francese notevoli profitti.

Il breve apogeo del serial
La struttura ad episodi può essere vista come una sorta di transazione tra i film brevi, composti di un solo rullo, e i lungometraggi, infatti sebbene i primi episodi di serali fossero brevi, altri aggiungevano e superavano i quarantacinque minuti.
Le storie su cui si reggevano i serial erano tutte giocate sull’azione con elementi tipici come tesori nascosti, geni del crimine, ambientazioni esotiche e salvataggi audaci.
Il serial per eccellenza costruiva un intreccio narrativo attraverso vari episodi, i quali finivano sempre in un momento culminate dell’azione, con i personaggio principale in pericolo e ciò induceva gli spettatori a tornare a vdere i successivi episodi.
Il serial ebbe origine quasi contemporaneamente e in Francia e negli Stati Uniti. The Adventure of Kathlyn è il primo ad essere realizzato negli Stati Uniti. The Perils of Pauline, prodotta dalla Pathé nel 1914 è il più importante serial in Francia. I due serial hanno fissato i canoni fondamentali della “serial queen”: l’eroina, spesso definita come plucky (audace) che finiva sempre pr scampare agli stravaganti complotti contro di lei.
Il nome di maggior rilievo legato ai serial fu quello di Feuillade con Fantomas; Fantomas incarnava il criminale per eccellenza, mago dei travestimenti e sempre in grado di eludere la caccia del suo eterno rivale, il detective Juve. Feuillade filmava gli episodi nelle strade dei Parigi e in studio con scenografie piuttosto convenzionali, creando una bizzarra giustapposizione tra il normale contesto della quotidianità e gli eventi fantastici, da incubo.
Anche nella cinematografia tedesca degli anni Dieci si possono rintracciare esempi significativi di serial, come Homunculus, la storia di un umanoide creato in laboratorio che manovrava le borse internazionali cercando di assumere il controllo de mondo.
La produzione di serial continuò ad essere significativa in Francia e in altri paesi almeno fino agli anni Venti, mentre negli Stati Uniti divenne un modulo per produzioni a basso costo in piccole sale.

Verso lo studio system
L’evoluzione verso le studio system Hollywoodiano spesso cominciò con la fusione di due o più piccole case di produzione o distribuzione. Nel 1912 il produttore indipendente Carl laemmle, che aveva combattuto la MPPC, ebbe un ruolo chiave nella formazone della Universal Film Manufacturing Compagny. Nel 1913 Laemmle acquisì il controllo della società e dopo due anni riuscì a costruire uno studio a Hollywwod, la Unviersal City.
Sempre nel 1912 Adoolph Zukor ottenne un grande successo importando e distribuendo la Reine Elisabeth, un film francese e diede vita alla Famopus Players in Famous Play, che divenne ben presto parte integrante di uno dei più potenti studios hollywoodiani. Un passo decisivo verso lo studio system si ebbe nel 1914 quando W.W. Hodkinson riunì undici società di distribuzione locale nella Paramount. Nello stesso anno fu cretata anche la Feature Play Company, concentrata inizialmente sulla produzione del registra DeMille.
Nel 1916 Zukor prese le redini della Paramount fondendo la Famous Players in Famous Play e la Future Play Company nella Famous Players – Lasky, consociata con la Paramount per la distribuzione.
Tuttavia si stravano formando anche altre compagnie come la Warner Bros o la Fox Film & Co.
Presto si presentò una nuova sfida per la Paramount che imponeva due programmazioni alla settimana. Un gruppo di esercenti si associò per produrre pellicole indipendenti dando vita al First National Exhibitors Circuits. Per tutta risposta Zukor cominciò ad acquistare direttamente sale cinematografiche.

Il cinema di Hollywood negli anni Dieci
Verso la fine degli anni Dieci il pubblico straniero accoglieva con meraviglia i cambiamenti del cinema americano. Oltre al fascino dei nuovi divi e alla ricchezza dei set un’altra ragione di attrazione era la capacità dei registi americani di garantire la chiarezza della narrazione. Verso la metà degli anni Dieci singole scene girate in uno spazio unitario venivano frammentate in diverse inquadrature, facendo seguire a quella iniziale, una o più inquadrature ravvicinate per mostrare i particolari dell’azione.
Le inquadrature in soggettiva venivano usate più di frequente. Lo stile visivo stava cambiando; molti dei primi film usavano una illuminazione diffusa e uniforme, sia all’aperto, sia con la luce artificiale, oppure combinando le due. Alla metà degli anni Dieci si incomincia ad illuminare una porzione della scena come nel film i I Prevaricatori, del 1915, dove la luce proveniente da un unico forte proiettore posto fuori campo a sinistra crea un drammatico effetto di silhouette sulla parete trasparente, dopo che il cattivo è stato ucciso.
Le trame dei film Hollywoodiani consistono in una catena di cause ed effetti che interagiscono con la psicologia del personaggio e ogni personaggio è contrassegnato da una serie di caratteristiche che lo contraddistinguono e lo rendono riconoscibile.
Il protagonista entra in conflitto con la volontà degli altri personaggi, supera gli ostacoli e il film si conclude con un happy end.

Film e registi
Durante questo periodo i grandi studios hollywoodiani accrebbero la loro produzione di lungometraggi e si disputavano gli attori più popolari.
Griffith lasciò la Biograph Company e diresse, sulla scia di Quo Vadis? L’affresco epico in quattro rullo Giuditta di Betulla, e realizzò quadro lungometraggio per la sua nuova compagnia indipendente, la Mutual.
Nello stesso periodo Griffith lavorava a un progetto ambizioso: Nascita di una nazione, del 1913. E’ l’epica storia della guerra civile americana incentrata su due famiglie amiche, che vengono a trovarsi tra gli opposti schieramenti del conflitto. Realizzà inquadrature che spaziavano dalle ampie vedute delle battaglie ai dettagli intimi dei vari personaggi.
Nel successivo film Griffith tentò di superare se stesso: Intolerance che univa tra loro quattro serie separate e ambientate in diverse epoche storiche: la caduta di Babilonia, alcuni episodi della vita di Cristo, la strage di San Bartolomeo in Francia e la storia di uno sciopero in una città americana. Per enfatizzare la natura immobile dell’intolleranza, Griffith, ricorre a una narrazione ad incastro, invece di raccontare una storia dopo l’altra.
Altri registi di questi tempi diventarono influenti figure: Maurice Tourneur, emigrato dalla Francia realizzò l’anello dei desideri, la storia di una ragazza convinta dei poteri magici di un anello donatole da una zingara, con il quale cercherà di far riconciliare un nobile locale con il figlio, grazie però alla sua semplicità.
Cecil B. DeMille è ricordato per I film epici dell’epoca del sonoro. I Prevaricatori diffuse l’uso selettivo e direzionato delle luci.
Diversi altri registi iniziarono le loro carriere negli anni Dieci: Walsh, con Regeneration, una storia realistica ambientata nei bassi fondi; Ford, con Centro! E l’indemoniato.
Molti di questi registi erano coinvolti nella realizzazione delle slapstick comedy, film brevi di genere comico, drammatico o di attualità.
La repentina ascesa dell’inglese Chaplin da interprete di music- hall a star internazionale gli permise di dirigere molti dei film da lui interpretati. Il suo stile fu subito riconoscibile per un uso paradossale degli oggetti, come ad esempio in Charlot usurario dove misura il valore di un orologio ascoltando il suo ticchettio con uno stetoscopio. Si cimentava in coreografie di risse e fughe come in Charlot al pattinaggio. In alcuni dei suoi film, come Il vagabondo e Charlot emigrante, introdusse un elemento di pathos fin ora sconosciuto. Il “piccolo vagabondo” con la bombetta, il bastone e le scarpe troppo grandi diviene una delle figure più conosciute in tutto il mondo.
William Hart divenne popolare per i film western attore dal volto allungato e magro perfetto per interpretare personaggi segnati dalla vita, spesso criminali.

4 - LA FRANCIA NEGLI ANNI VENTI (PP.143- 161)

L’INDUSTRIA FRANCESCE DOPO LA PRIMA GUERRA MONDIALE
La produzione cinematografica in Francia subì un rapido declino durante la prima guerra mondiale, a causa delle risorse assorbite dall’impegno militare.
Prendendo in esame la produzione francese dal 1918 al 1928, si possono individuare diversi fattori in grado di chiarire le ragioni della sua crisi:
• L’importazione di film stranieri continuava ad aumentare, con una preponderanza di film americani;
• La situazione nel campo dell’esportazione non era migliore: i film stranieri non riuscivano a penetrare nel mercato americano e solo pochi film francesi riscuotevano successo. La Francia poteva contare solo su un numero limitato di acquirenti;
• Lo stesso mercato francese era modesto e i film raramente riuscivano a coprire i costi senza ricorre alla distribuzione all’estero. Così si manifestò la necessità di un cinema nazionale in grado di opporsi alla concorrenza straniera;
• La mancanza di unità perché la Gaumont e la Paramount abbandonarono la produzione e rinunciavano a sistema verticale, come quello Hollywoodiano. Il settore della produzione francese vantava solo piccole case attive per la durata di qualche film che ovviamente non potevano nulla contro la potenza americana;
• Negli anni Venti li scambi commerciali erano ancora in mano a piccole imprese e la piccola produzione continuò ad essere la più diffusa.
• Non sorprende quindi che non ci fosse accordo tra i tre settori dell’industria (produzione, distribuzione ed esercizio) e che gli esercenti delle sale si rivolgessero al mercato dei film americani, certamente più redditizi.
• A rendere le cose ancora più difficili erano le attrezzature, obsolete; la produzione era legata ai teatri di posa costruiti prima della guerra e la penuria di capitali impediva l’aggiornamento e di ammodernare questi teatri di posa con le nuove tecnologie americane.

I GENERI PIÙ IMPORTANTI DEL DOPOGUERRA
Uno dei generi che, diversamente dagli altri paesi, continuava ad avere successo in Francia era il serial. Molte produzioni costose venivano ambientate nel passato e utilizzavano come sfondo i monumenti francesi risparmiando su eventuali ricostruzioni in studio.
Questi film erano pensati per l’esportazione.
Un altro genere di film era quello fantastico, il cui maggior autore fu René Clair. Il suo primo film Paris qui dort narrava di un misterioso raggio che paralizza l’intera città. Clair utilizza il fermo fotogramma per gli attori immobili, per suggerire il senso della città bloccata. Queste opere si rifacevano alla tradizione popolare del primo cinema francese, con i trucchi di Méliès.
Anche il genero comico continuò a essere popolare nella Francia del dopoguerra. Max Linder fu il protagonista di uno dei primi lungometraggi comici, Le petit café, dove interpretava un cameriere che pur avendo ereditato una forte somma di denaro è costretto a proseguire il suo lavoro per onorare il contratto.

 

L’IMPRESSIONISMO FRANCESE
Si sviluppa tra il 1918 e il 1923 ed è caratterizzato da una fascinazione per la bellezza pittorica dell’immagine e un interesse per un’approfondita indagine psicologica

Le relazione tra il movimento impressionista e l’industria
Questi autori furono facilitati dalla crisi che affliggeva l’industria, che induceva le case di produzione a cambiare spesso le loro politiche d’investimento, così da aprire le strade a registi che chiedevano finanziamenti.
Gance realizzò deuxième symphonie, il primo film importante del movimento impressionista: è la storia di un compositore che crea una sinfonia capace di suscitare una tale impressione sugli ascoltatori da essere considerata diretta discendente di Beethoven.
La Gaumont, otteneva gran parte dei suoi profitti grazie ai serial di Feuillade. Una parte di questi guadagni furono impiegati per finanziare il secondo film impressionista, l’opera di Marcel Herbier Rosa Francese, un allegoria sulla guerra talmente ricca di simbolismi da risultare quasi incomprensibile al pubblico.
Epstein esordì con un’opera quasi documentaristica, Pasteur.

La teoria impressionista
Lo stile impressionista discende, in buona parte, dalla convinzione dei suoi autori che consideravano il cinema come una forma d’arte. Partendo dall’assioma che l’arte è tale perché esprime qualcosa, espressione dell’artista più che universale verità, gli impressionisti cercavano di creare un’esperienza emotiva per lo spettatore, suggerendo ed evocando senza affermare chiaramente. In poche parole, il lavoro dell’arte è quello di creare emozioni transitorie, “impressioni”.
Tutti i teorici erano d’accordo nel sottolineare l’estraneità del teatro. Gli impressionisti rifiutarono qualsiasi imitazione dei moduli teatrali o letterari, per la loro attenzione alle emozioni più che alle storie.
Nel tentativo di definire in maniera più precisa la natura dell’immagine cinematografica, alcuni teorici fecero uso del concetto di photogenie, qualità che distingue l’immagine filmica dall’oggetto originale (qualità poetica e intima delle cose che solo il cinema riesce a rivelare)

Gli elementi fondamentali dell’impressionismo
• Le tecniche di ripresa e montaggio servivano a suggerire la soggettività dei personaggi, spesso tramite immagini mentali: visioni, sogni, ricordi. Tecniche quali la sovrimpressione o il flashback, erano comuni a tutti i film;
• I film contenevano un gran numero di effetti ottici che modificavano la visione dell’immagini per esaltare la bellezza dell’inquadratura o renderla ancora più stupefacente, con il trittico creato in Rosa Francese da Herbier attraverso la divisone del fotogramma in tre porzioni. La sovrimpressione poteva suggerire il pensiero o i ricordi del personaggio. Ad ex. In Napoleon la passione che unisce Napoleone e Giuseppina quando si baciano la prima notte di nozze, l’immagine viene offuscata fino a un grigio indistinto;
• La ripresa viene anche effettuata attraverso uno specchio ricurvo per distorcere l’immagine come in Eldorado di Herbier.
• Anch variando la messa a fuoco dell’obiettivo si poteva esprimere la soggettività del personaggio, sia mostrandolo allo spettatore, sia adottando il suo punto di vista;
• Vennero anche realizzati due film per sperimentare un montaggio molto veloce per esplorare lo stato mentale dei protagonisti: la rosa sulle rotaie di Gance e le coeur fidéle di Epstein. Gance si ancora oltre in Napoleon: nella scena finale monta, in rapida successione tre inquadrature, una di fianco all’altra, combinando sovrimpressioni multiple. La cura principale di questo film era rivolta soprattutto all’aspetto fotografico e di illuminazione degli oggetti, in modo da poter esaltare l’effetto di photogenie;
• Sorprendenti scenografie:nell’epoca dell’Art Nouveau i registi chiamavano a collaborare pittori, architetti per ottenere la photogenie con i paesaggio naturali
• L’intreccio di questi film era spesso subordinato alle motivazione psicologiche, anche se i meccanismi classici di cause ed effetto venivano rispettati e poi gli effetti di ripresa, montaggio e messa in scena, non riguardavano l’intero film ma solo parte di esse, per approfondire le reazioni psicologiche. Solo pochi autori cercarono di fare della soggettività del personaggio il punto di partenza per l’intera forma del film come la glace a trois faces (lo specchio a tre facce), Epstein concepì un plot ambiguo e sfuggente, in cui tre donne molto diverse, raccontano la relazione con lo stesso uomo, fornendo di costui un immagine contraddittoria.

La fine dell’impressionismo francese
Inizio a declinare negli ultimi anni del Decennio.
Lo spostamento degli interessi di molti autori, i cambiamenti dell’industria, furono alcune delle cause.
Esisteva una crescente convinzione che il successo dell’impressionismo avesse condotto a una larga diffusione delle sue tecniche e a u conseguente indebolimento del suo impatto. Infatti, Epstein sperimento storie sempre più semplici in uno stile quasi documentario, utilizzando attori non professionisti ed eliminando il lavoro sul montaggio e sul movimento della macchina
Un altro fattore era legato all’impatto dei film sperimentatali realizzati dagli autori dada e surrealisti, mostrati nelle stesse serate di quelli impressionisti. Questa diversificazione stilistica decretò la fine dell’impressionismo, ma prima ancora quella dei registi, a causa della precarietà economica che erano costretti ad affittare teatri di posa.
Verso la fine degli anni Venti, la grande distribuzione cominciò a perdere interesse per i film impressionisti.
Dal punto di vista delle case produtrici si mirò a una rafforzamento tramite una serie di fusioni: la Pathé, la Natan e la Cinéroman, divederono origine alla Pathé- Natan; e dall’altra parte la Gaumont- FrancoFilm- Aubert.

5 - LA GERMANIA NEGLI ANNI VENTI (PP.163- 183)

LA GERMANIA DOPO LA PRIMA GUERRA MONDIALE
Al termine della guerra, nonostante l’esito negativo del conflitto e le conseguenti restrizioni economiche, la Germania poteva vantare una florida industria cinematografica.
L’espansione dell’industria cinematografica tedesca durante la guerra fu possibile grazie al decreto governativo del 1916 che vietava l’importazione della maggior parte dei film stranieri. La richiesta di film non accennò a diminuire e così nacquero case di produzione come l’UFA (Universum Film Aktiengesellschaft). Il divieto rimase in vigore fino al 1920 garantendo ai produttori locali la possibilità di operare in condizioni di minima concorrenza.
Paradossalmente gran parte di questo successo fu ottenuto proprio negli anni di maggior difficoltà del paese che, dopo il trattato di Versailles dovette affrontare una situazione finanziaria di caos a causa degli obblighi di risarcimento.

GENERI E STILI DEL CINEMA TEDESCO DEL DOPOGUERRA
A causa dell’isolamento in cui operò l’industria cinematografica tra il 1916 e il 21, pochi furono i reali cambiamenti nel tipo di film realizzati in quegli anni. Il genere fantastico, continuò ad essere il più rilevante.
Subito dopo la guerra fu possibile una breve sospensione dei controlli di censura che incoraggiò la moda di un filone di flm sulla prostituzione, le malattie veneree, la droga e altri problemi sociali; ma l’opinione diffusa che queste pellicole fossero pornografiche, ne determinò la censura.
Tuttavia è possibile individuare pochi principali filoni che si affermarono negli anni del dopo guerra: il film storico- spettacolare, l’espressionismo e il Kammerspielfilm.

Il film storico- spettacolare
Cercando di seguire l’esempio del cinema d’anteguerra, capace di ottenere successi internazionali con kolossal epici come Quo Vadis? E Cabiria, il cinema tedesco post- bellico puntò sull’impatto spettacolare. Alcuni di questi film risciurono a guadagnare celebrità, rivelando nomi come Lubitsch.
Il risultato fu la produzione di film abbastanza spettacolari da poter competere sul mercato straniero come Madame Dubarry.
Lubitsch divenne il più importante autore del filone epico- storico prima di trasferirsi negli Usa e il suo primo grande successo fu l’emporio di scarpe Pinkus, in cui recitava il ruolo di un giovane commerciante ebreo. Fu con l’attrice polacca Pola Negri che raggiunse il successo internazionale e dopo film come Anna Bolena, fu chiamato a Hollywood.

 

L’ESPRESSIONISMO
Nel febbraio 1920 a Berlino, veniva proiettato per la prima volta il gabinetto del dottor Caligari di Wiene. Gran parte di questa originalità risiedeva nell’uso di set stilizzati, con bizzarri, distorti edifici dipinti sullo sfondo. la recitazione era fatta di movimenti innaturali, a scatti, simili a quelli della danza. I critici sostennero che lo stile espressionista, affermatosi in molte arti, era arrivato anche al cinema.
L’espressionismo era apparso intorno al 1908, nel campo della pittura e del teatro e rappresentava una reazione al realismo, il tentativo di esprimere, attraverso distorsioni estreme, le emozioni più vere e profonde, nascoste al di sotto della superficie della realtà.
In pittura l’espressionismo si raccolse intorno a due gruppi principali: Die Brücke e Der Blaue Reiter, che facevano uso di ampie campiture di colori luminosi, figure allungate, espressioni grottesche e angosciate.
Gli edifici apparivano incurvati e distorti, il suolo vertiginosamente inclinato. Questi effetti di deformazione erano difficili da ottenere nelle scene di film girate in esterni, ma l’esempio di Caligari, dimostrava come le ricostruzioni in studio potessero avvicinarsi alla stilizzazione della pittura espressionista.
Un modello ancora più diretto era il teatro, come il dramma di Kokoschka Assassino, speranza di donna; gli allestimenti scenici assomigliavano spesso ai quadri espressionisti, con grandi forme senza sfumature di colore e una recitazione fatta di ampi gesti, di grida, di posture esagerate. L’intento era di riuscire a esprimere le emozioni dei personaggi nella maniera più diretta ed estrema possibile.
• Mentre per l’impressionismo l’elemento determinate era l’uso della macchina da presa, l’espressionismo puntava sulla messa in scena; la maggior parte dei film operano per attirare l’attenzione. Insomma, non solo si voleva che la scenografia funzionasse quasi come elemento vivente, ma anche il corpo dell’attore era un elemento visivo.Nella pratica un film non è come un’opera pittorica e quindi la trama deve procedere.
• I film espressionisti utilizzavano svariate tecniche per riuscire ad ottenere un unione tra gli elementi scenografici, gli attori, i costumi e l’illuminazione. Ad esempio i costumi di Jane in Il gabinetto del dottor Caligari, presentano le stesse linee frastagliate che caratterizzano la scenografia sullo sfondo.
• Ma forse il tratto più caratteristico e ovvio dell’espressionismo è l’uso di forme distorte ed esagerate che trasformano gli oggetti: abitazioni ogivali, sedie di dimensioni smisurate, scalinate irregolari.
• Un ultimo elemento fondamentale è la pratica di giustapporre forme simili all’interno della stessa inquadratura; Muranu utilizza scenografie stilizzate, nelle quali le figure umane si fondono con ciò che le circonda richiamandole la forma; ad esempio, gli archi ogivali in Nosferatu, collegati al vampiro e alla sua bara.
• L’illuminazione di questi film proveniva da fonti laterali o frontali per meglio sottolineare le relazioni tra le figure e spesso anche le ombre creavano effetti deformanti, come le ombre enormi e grottesche in Nosferatu.
• Il montaggio in genere è semplificato e si avvale si soluzioni come il campo/controcampo o il montaggio alternato.
• Possedevano un ritmo lento in modo da permettere allo spettatore di esplorare i diversi elementi dell’inquadratura.
• L’uso della macchina da presa è più funzionale che spettacolare e difficilmente si hanno movimenti di macchina o riprese particolarmente angolari.
• I registi dell’espressionismo sono più vicini agli impressionisti francesi nel ricorrere a storie in grado di accordarsi alle caratteristiche del loro stile. Il film che inaugurò il movimento, il gabinetto del dottor Caligari, faceva ruotare gli insoliti effetti di distorsione del film intorno alla personalità malata e insana del protagonista.
• Altre opere del filone sono ambientate nel passato e ricche di elementi esotici, di fantasia o di orrore;Nosferatu il vampiro di Murnau e’ una storia di vampiri ambientata nella metà del 19° secolo; questo film e’ l’esempio di molti film espressionisti che presentano una storia che fa da cornice, oppure episodi autonomi incastonati nel racconto; la storia e’ raccontata dal cronista della città di Brema ; all’interno del racconto i personaggi leggono dei libri: il primo e’ il testo che spiega i comportamenti dei vampiri, il secondo e’ il diario di bordo della nave che porta in città il conte Orlok .
• Un esempio di film espressionista che si svolge nel presente e’ il dottor Mabuse di Fritz Lang .

Il Kammerspielfilm
Negli anni che videro la nascita del movimento espressionista, abbiamo il filone del Kammerspielfilm dove,all’interno del quale la figura predominante e’ Mayer.
Caratteristiche diverse dall’espressionismo:
1. attenzione rivolta a pochi personaggi, esplorando gli effetti di una crisi della loro esistenza. Più che enfatizzare il manifestarsi delle emozioni si puntava su una recitazione evocativa e sulla forza rivelativa dei dettagli.
2. uso più controllato della scenografia, e una maggiore attenzione alla psicologia dei personaggi più che alla spettacolarità.
3. le deformazioni dell’espressionismo apparivano non per ottenere effetti fantastici o soggettivi, ma per esprimere la monotonia e la cupezza degli ambienti. I film evitavano gli elementi leggendario o fantastici, comuni all’espressionismo in favore di storie ambientate nel presente, nella vita di tutti i giorni, coprendo lassi di tempo molto brevi, come il Sylvester, la storia si svolge nell’arco di una singola nottata.
4. Non vengono usate didascalie; per suggerire gli eventi narrati su affida a semplici situazioni, a dettagli della recitazione, a simbolismi.
5. l’intreccio è basato su intensi drammi emotivi che si concludono in modo tragico. Proprio per questo motivo, per le atmosfere claustrofobiche, questi film interessavano ai critici o al pubblico intellettuale e sempre per questo motivo Pommer, produttore de L’ultima risata , insistette perché Mayer aggiungesse un finale positivo alla storia.

I tedeschi all’estero
La sperimentazione di differenti generi cinematografici contribuì a far cadere i pregiudizi verso l’industria tedesca, permettendole di guadagnarsi un posto di rilievo nel mercato mondiale, soprattutto con Madame Dubarry e con il gabinetto del dottor Caligari.

TRASFORMAZIONI DI RILIEVO NELLA SECONDA METÀ DEGLI ANNI VENTI
Nonostante questi successi, l’industria cinematografica tedesca, non potè continuare a lungo a produrre film nello stesso modo. Oltre all’influenza che proveniva dai mercati stranieri, con nuove tecnologie, il mercato nazionale non beneficiava più della protezione garantita dagli alti tassi di inflazione. Da una parte, registi di prestigio accettarono l’offerta di lavorare a Hollywood; dall’altra si cominciò ad imitare i modelli produttivi americani, anziché crearne di alternativi.

La moderazione tecnologica degli studi tedeschi
Nel corso degli anni Venti, la tecnologia cinematografica aveva fatto grandi progressi. Molte compagnie ammodernarono le loro strutture o ne crearono di nuove. La UFA, ad esempio, ingrandì i suoi stabilimenti. Queste innovazioni tecnologiche rispondevano al desiderio di creare film in grado di impressionare il publico per la loro grandezza produttiva. Gli scenografi sperimentarono l’uso di false prospettive e di modelli in scala, im modo da far apparire anche più smisurati i set. Ne La strada (die Strasse), venne utilizzato un modellino molto elaborato per rappresentare il paesaggio urbano sullo sfondo di una scena che presentava in primo piano vere automobili e uomini in carne ed ossa. Ne L’ultima risata, la strada di fronte all’hotel appare più grande di quanto non fosse in realtà grazie ai modellini delle auto e di pupazzi che si muovono sui binari.
I produttori tedeschi tentarono anche di impadronirsi delle innovazioni illuminotecniche e fotografiche dei registi americani, come l’illuminazione in controluce e l’uso di luci artificiali anche per le esterne.
Ma anche alcune innovazioni tecniche realizzate dalla Germania ebbero una notevole influenza sulla cinematografia internazionale, come la “macchina da presa slegata”, che si muove liberamente attraverso lo spazio.
Nella sceneggiatura di Sylvester, Mayer specificava che la cinepresa doveva essere montata su un dolly per poterla spostare con fluidità attraverso il caos cittadini. Ma il film L’ultima risata, divulgò i movimenti di macchina; Murnau realizzò l’inquadratura iniziale piazzando la macchina da presa su una ascensore in discesa; in seguito, essa sembra volare attraverso lo spazio per seguire lo squillo di una tromba che raggiunge il protagonista. Quando poi egli si ubriaca durante una festa, la machina viene collocata assieme a lui su una piattaforma girevole che ruota sempre più velocemente fino a trasformare lo sfondo in un turbine.

La fine del movimento espressionista
Dal punto di vista produttivo, il periodo più proficuo dell’espressionismo si colloca tra il 1920 e il 1924. i due soli film realizzati dopo dalla UFA sono Metropolis e Faust. I due fattori principali del declino furono gli elevati costi delle ultime produzioni e la partenza di numerosi registi alla volta di Hollywood.

LA NUOVA OGGETTIVITÀ
Rappresenta un maggiore interesse per la realtà sociale e per l’ambientazione urbana. I protagonisti di questi film erano spesso borghesi agiati, che per una serie di circostanze si trovavano immersi nell’ambiente delle strade, con ladri, prostitute e truffatori.
Il film che decretò il successo di questo tipo di ambientazione fu La strada di Grune. La storia narra di un uomo che attirato dal fascino e divertimento che la vita di strada sembra offrirgli, fugge dalla moglie e finisce nella baracca di una prostituta.
Il regista più celebrato della seconda metà del decennio fu Pabst, giunto al successo con la realizzazione di uno dei più importanti film con ambientazione urbana: l’ammaliatrice.

 

G.W.Pabst e la nuova oggettività
Il suo film l’ammaliatrice rimane il più noto dei cosiddetti “film della strada”. Ambientato a Vienna durante il dopoguerra, la storia seguiva i destini di due donne: Greta, figlia i un impiegato statale e Maria, cresciuta in un ambiente povero. Quando il padre di Greta perde gran parte del suo denaro, lei è quasi costretta a prostituirsi e nel contempo Maria diventa l’amante di un ricco signore.

6 - IL CINEMA SOVIETICO NEGLI ANNI VENTI (PP. 187- 215)
L’era del cinema sovietico dopo la rivoluzione può essere divisa in tre periodi; il primo durante il comunismo di guerra (1918 –1920), in cui il paese si trovava in una situazione di guerra civile con enormi difficoltà economiche, che ovviamente si ripercuotevano sull’industria cinematografica. Un secondo, in cui il cinema diede timidi segni di ripresa, caratterizzato dalla Nuova Politica Economia (NEP) (1921- 1924). Infine, un ultimo periodo (1925- 1933) caratterizzato dalla crescita e dalle esportazioni in cui produzione, distribuzione ed esercizio ricominciarono a funzionare. In questi anni nacque il movimento legato alle teorie sul montaggio, ma fu anche segnato dal primo piano quinquennale, emanato nel 1928, che introdusse un controllo sempre più serrato da parte dello Stato sulle produzioni cinematografiche.

LE DIFFICOLTÀ DEL COMUNISMO DI GUERRA (1918 – 1920)
La rivoluzione esplosa in Febbraio ebbe un impatto modesto sull’industria cinematografica, potenziatasi durante la guerra. Venivano distribuiti per lo più film realizzati in precedenza e furono pochi quelli politici ad essere messi in elaborazione. Bauer ad esempio girò Il rivoluzionario.
Nel giro di pochi anni le più importanti società di produzioni russe interruppero la loro attività e dopo la rivoluzione d’Ottobre, la responsabilità per il settore cinematografico passò a un nuovo organo di controllo, il Commissariato Popolare per L’Istruzione.
Nel 1918 il Narkompros tentò di acquisire il controllo completo sulla distribuzione, sulla produzione e sull’esercizio. Alcune cooperative governative stavano già organizzando proprie unità di produzione per realizzare film di propaganda, come coabitazione: prendeva spuntò dalla pratica messa in atto dai soviet di dividere grandi edifici appartenuti alle famiglie aristocratiche per fornire alloggio ai più poveri; quando a un modesto custode e a sua famiglia viene assegnata parte della spaziosa abitazione di un agiato professore, esplodono le inevitabili incomprensioni, ovviamente, nel finale i protagonisti impareranno a convivere in armonia. Il 1918 fu anche l’anno che registrò i primi tentativi registici di due giovani autori, importanti negli anni Venti: Vertov e Kulesov, che realizzò il progetto dell’ingegner Pright. K. a differenza degli altri autori sovietici, impiegava il montaggio contiguo, analogo a quello del cinema di Hollywood.
Anche se queste produzioni rappresentavano segnali positivi, nel 1918, l’industria sovietica ricevette due gravi colpi; il primo era la scarsa disponibilità di equipaggiamenti e di pellicola vergine dovuta alla fuga delle case di produzione a causa della rivoluzione e alla mancanza di una produzione autoctona. Il governo affidò un milione di dollari a distributore attivo, durante la prima guerra mondiale, Cibrario che procurò solo materiale scadente fuggendo con parte del denaro. Un secondo problema fu il decreto che impose a tutte le ditte private in possesso di pellicola vergine di segnalarlo alle autorità; ovviamente, produttori e distributori nascosero le loro scorte e si prospettò un periodo di carenza ancora maggiore.
La conseguenza di tutto ciò fu che i pochi film realizzati erano brevi film di propaganda con chiari ed elementari messaggi a favore del nuovo governo.

LA RIPRESA DURANTE LA NUOVA POLITICA ECONOMICA (1921 – 1924)
All’inizio del 1922, Lenin rilasciò due comunicati ufficiali che avrebbero determinato lo sviluppo successivo della cinematografia sovietica. Il primo era la cosiddetta “ proporzione di Lenin” e stabiliva che la programmazione cinematografica doveva bilanciarsi tra intrattenimento e istruzione. Inoltre dichiarò che “di tutte le arti per noi il cinema è la più importante” probabilmente riferendosi alla sua forza di propaganda tra le masse analfabete. Verso la fine del 1922 il governo fece un tentativo per organizzare la debole industria cinematografica, creando una compagnia la Goskino che monopolizzava la distribuzione e da cui dovevano passare tutte le compagnie di produzione, pubbliche e private. Il progetto però falli, dato che esistevano ancora molte società sufficientemente potenti per competere con la Goskino e in grado di pagare prezzi più alti per comprare i film.
Gli anni della NEP nonostante le notevoli difficoltà registrarono una crescita, seppure lenta. Centri di produzione apparvero nelle zone non appartenenti alla etnia russa, cosicché le popolazioni locali poterono assistere a film che rispecchiavano le loro tradizioni culturali.

LA CRESCITA DELLE ESPORTAZIONI E DEL CONTROLLO DELLO STATO (1925 – 1933)
Fallito il tentativo con la Goskino, di centralizzare la distribuzione cinematografica il governo decise di creare la Sovkino. La Goskino rimase in vita per un certo periodo, dedicandosi a piccole produzioni, tra queste però spicca il capolavoro del cinema sovietico e il primo film a raccogliere un enorme successo: la corazzata Potëmkin di Ejzenstejn.
La Sovkino dovette fronteggiare il compito di aprire nuove sale nelle città, anche nelle più piccole e di rifornire le regioni rurali di oltre un migliaio di attrezzature portatile per le proiezioni; considerando poi la povertà dei lavoratori di queste zone i prezzi dei biglietti gi questi cinema ambulanti, coprivano solo parte delle spese.
Un alto obiettivo primario fu produrre film che incarnassero l’ideologia comunista per diffonderle anche nelle zone più remote del paese. I primi film della scuola del montaggio, con le loro rappresentazioni delle ribellioni all’oppressione degli zar, furono graditi proprio per i loro contenuti. Forte del successo critico, ed economico, una nuova generazione di registi riuscì a potare avanti per qualche anno le sperimentazioni stilistiche basate sul montaggio.

UNA NUOVA GENERAZIONE DI REGISTI
Gli anni che seguirono la rivoluzione furono caratterizzati da un diffuso clima di entusiastica sperimentazione da parte di artisti che cercavano un nuovo approccio creativo in sintonia alle mutate condizioni sociali. Un primo risultato di questa ricerca nacque e si sviluppò nelle arti visive con il costruttivismo, che ebbe diversi legami con i registi della scuola del montaggio. Nonostante la radicalità dei proclami, le radici del costruttivismo, affondavano in tendenze prerivoluzionarie. Influenze del cubismo francese e del futurismo italiano avevano dato origine a un movimento, sviluppatosi in Russia chiamato cubo- futurismo, impegnato in un chiassoso attacco contro tutte le tradizionali forme artistiche. Una seconda tendenza, a qui si dava il nome di suprematismo, si distingueva per un approccio più spirituale ed astratto.
Per l’artista costruttivista l’arte deve adempire a una funzione sociale; non è oggetto di pure contemplazione e l’artista non è un visionario ispirato, ma un artigiano che utilizza materiali appropriati per creare un oggetto artistico.
I costruttivisti spesso paragonano l’opera d’arte ad una macchina e puntano l’attenzione sull’assemblaggio delle parti. Questa idea veniva messa in relazione al termine francese montage che indicava l’assemblaggio delle inquadrature. La fabbrica e la macchina divennero i simboli della nuova società.
Ejzenstjn era uno dei più importanti rappresentanti del costruttivismo; vide i film di Méliès e si appassionò al cinema. Il suo primo lungometraggio, che portava sullo schermo le teorizzazioni del montaggio, fu Sciopero, ambientato in fabbrica; a questo seguirono altri tre film con lo stesso stile: La Corazzata Potëmkin, Ottobre e Il vecchio e il nuovo.
Altro protagonista era Kulesov che realizzò il film La Macchina del Cervello, che rappresentava gli esperimenti di Pavlov sul riflesso condizionato, mostrando quindi l’interesse costruttivista per i dati fisici come base per le risposte emozionali.
Pudovkin realizzò invece La Madre e La Fine di San Pietroburgo
Un altro autore di rilievo fu Vertov, con L’uomo con la macchina da presa.

Gli scritti teorici dei registi del montaggio sovietico
• Kulesov fu il più conservatore del gruppo, legato ad un idea del montaggio funzionale alla chiarezza narrativa e all’impatto emozionale, come nei film americani.
• Vertov era il più radicale, enfatizzava l’utilità del documentario e per lui il cinema di fatti era la vita colta alla sprovvista; tutto era legato alla capacità di selezione e di combinazione dei cine-fatti.
• Ejzenstejn elaborò la concezione di montaggio più articolata e complessa; E. intendeva il montaggio come principio formale generale presente anche nel teatro, nella poesia o nella pittura; il montaggio era una collisione di elementi, per cui le sequenze dovevano essere poste in conflitto l’una con l’altra.

La forma e lo stile del montaggio sovietico
Per ricordare il ventesimo anniversario della rivoluzione, fallita nel 1905, furono realizzati due film, ispirati alle teorie sul montaggio: La Corazzata Potemkin e La Madre, mentre altri due per celebrare il decimo anniversario della rivoluzione bolscevica, Ottobre di Ejzenstejn e la Fine di San PietroBurgo di Pudovkin.
• Nei film sovietici la presenza del soprannaturale era nulla e i personaggi riassumevano l’appartenenza ad una determinata classe sociale; ne La Madre e La Fine di San Pietroburgo i personaggi simboleggiano differenti approcci alla causa rivoluzionaria; nei film di E. non compaiono personaggi principali, ma sono le masse a fungere da protagonista.
• Un altro aspetto che caratterizzava la narrazione di questi film era lo stile volto a creare il massimo di tensione dinamica; infatti questi film, attraverso l’uso del montaggio, erano composti da un elevatissimo numero di inquadrature, anche all’interno della stessa azione; così un oggetto o un personaggio immobile potevano essere mostrati da differenti punti di vista.

Strategie di montaggio:
• Overlapping editing, un inquadratura può ripetere in parte o per intero l’azione dell’inquadratura precedente; ad esempio nelLa Corazzata Potemkin, c’è una scena in cui uno dei marinai che parteciperanno all’ammutinamento contro gli ufficiali zaristi esprime la sua rabbia gettando a terra e rompendo uno dei piatti che stava lavando; questo gesto, dalla durata brevissima, viene mostrato con dieci inquadrature diverse, per enfatizzare il primo atto di ribellione che porterà all’ammutinamento.
• Montaggio ellittico, si ottiene l’effetto opposto dell’overlapping, eliminando parti di un evento, così da farlo durare un tempo minore di quanto accadrebbe in realtà. Un esempio tipico è il montaggio discontinuo o jump cutting, dove una scena viene mostrata dallo stesso punto di vista, ma le inquadrature differiscono solo per qualche elemento delle messa in scena.
• Montaggio delle attrazioni, collega due azioni per esprimere un concetto, ad esempio, nella parte finale di sciopero, E. passa dall’immagine di un ufficiale che abbassa violentemente i pugni nel momento in cui ordina il massacro degli scioperanti a quelle di un macellaio che brandiscono un coltello che si abbatte su un toro per ucciderlo. L’intera sequenza si sviluppa alternando le scene della morte dell’animale con quelle dell’attacco agli scioperanti per creare un analogia.
• L’inserto non diegetico, il termine diegetico indica il tempo e lo spazio in cui si svolge l’azione; di conseguenza un elemento non diegetico si colloca al di fuori del mondo rappresentato; per esempio la voce over di un narratore, che non è un personaggio non della storia, è un suono non diegetico. Il toro che viene ucciso in Sciopero non ha relazioni di spazio, di tempo, di causa con i lavoratori in sciopero, è un immagine non dietetica, per esprimere una similitudine: gli scioperanti vengono macellati come gli animali. Le inquadrature non diegetiche fanno parte del montaggio del montaggio intellettuale di E., ad esempio in Ottobre Kerenskij viene paragonato a Napoleone.
• Contrasto grafico, quando con uno stacco da un inquadratura all’altra si varia la direzione della composizione. La celebre sequenza della scalinata di Odessa nelLa Corazzata Potemkin rappresenta questo conflitto grafico, dove i gradini creano forti linee diagonali dal margine sinistro in basso dell’inquadratura verso quello in alto a destra, mentre le figure scendono verso destra.

I registi sovietici dovettero anche lavorare sulla composizione delle singole inquadrature per migliorare gli effetti di montaggio, si diffusero così: le inquadrature dal basso, che rendevano i personaggi minacciosi o eroici; inquadrature inclinate o decentrate che dinamizzavano le immagini; o altre in cui la linea dell’orizzonte era posta nell’estremità inferiore del quadro.
Per quanto riguarda gli effetti speciali ne L’uomo con la macchina da presa di Vertov troviamo sovrimpressioni e split-screen. Vertov spacca in due un enorme edificio come se fosse un uovo. L’opera di E. sulle collettivizzazioni agricole, Il Vecchio e il Nuovo, usava la sovrimpressione di un toro che domina sopra un prato occupato da una mandria di mucche per suggerire l’importanza dell’animale per la rinascita della nuova fattoria. Questi trucchi non erano usati per esprimere la percezione dei personaggi, come nell’espressionismo francese, ma per esprimere significati simbolici.
Dato che molti film sovietici di questo periodo affrontavano situazioni storiche o sociali, alcuni elementi della messa in scena tendeva ad essere realistici. Le scena potevano essere girate in fabbriche, come in Sciopero o in La Madre e i costumi indicare l’appartenenza a una determinata classe sociale.
Anche l’illuminazione e la recitazione erano usate con specifici tratti peculiari. I film sovietici difficilmente usavano una illuminazione intensa, riprendendo il più delle volte i personaggi sui fondali neri. per quanto riguarda la recitazione possiamo incontrare esempi che spaziavano dal realismo alla stilizzazione. Poiché gran parte dei personaggi avevano il compito di rappresentare una classe sociale si ricorreva alla tipizzazione per suggerire la classe di appartenenza. Accanto a questa prassi altre autori adottarono una recitazione stilizzata, detta biomeccanica ed eccentrica, che puntava sull’impatto fisico e non sulla psicologia del personaggio.
Dai tre movimenti d’avanguardia finora analizzati solo quello sovietico continuò anche nell’epoca del sonoro.

 

Il piano quinquennale e la fine del cinema di avanguardia
Il film legati alla sperimentazione del montaggio furono esportati con successo e allo stesso tempo elogiati in patria per i loro contenuti politici; questo accrebbe si l’attività cinematografica, ma portò ad un controllo sempre maggiore del governo. L’accusa era di “formalismo” che indicava come l’opera fosse troppo complessa per essere compresa dalle masse.
Criticati dalla stampa ufficiale molti degli autori più radicali non riuscivano a trovare i fondi per i loro progetto, come Kulesov e Vertov.
Con il primo quinquennale l’industria cinematografica venne centralizzata; l’obiettivo era di aumentare la produzione costruendo sedi ben equipaggiate, mentre tutti i film dovevano essere pensati per un pubblico di operai e contadini per il mercato interno.
Un ulteriore passo verso la centralizzazione dell’industria fu la creazione nel 1930 della SoyuzKino per la supervisione di tutte le produzioni, distribuzioni ed esercizio.

7 - L’ULTIMA STAGIONE DEL MUTO A HOLLYWOOD (920- 1928) (PP.217 – 242)
Gli anni Venti furono caratterizzati da prosperità e benessere e a livello sociale, a una certa apertura nelle abitudine e nel costume, tanto che questo periodo fu etichettato come ““I ruggenti anni Venti””.
Il clima di generale prosperità e ricercatezza degli anni Venti, non riguardava tutte le fasce sociali: il razzismo imperversava, capeggiato da Ku Klux Klan. A dispetto di una situazione così squilibrata, l’industria cinematografica riuscì a beneficare delle disponibilità di capitali di questo periodo, e rispecchio lo stile di vita frenetico dell’”età del jazz”.

LE CATENE DI SALE CINEMATOGRAFICHE E LA STRUTTURA DELL’INDUSTRIA
Un fattore strategico dell’espansione dell’industria fu l’acquisto e la costruzione di sale cinematografiche da parte delle grandi case di produzione, che si assicuravano un canale di distribuzione dei propri film. Di conseguenza, i produttori cominciarono a innalzare con più tranquillità i budget, e gli studios si diedero battaglia per offrire al pubblico produzioni dispendiose. Si formò una nuova generazione di registi e Hollywood divenne una meta ambita da molti autori stranieri.
Il fattore più indicativo di questa crescita fu la tendenza verso una concentrazione di tipo verticale. Le società più grandi si organizzarono in modo tale da combinare la distribuzione e la produzione con la proprietà di catene di sale cinematografiche.
Nei primi tempi, queste catene si svilupparono a livello locale. La First National Exhibitors’ Circuit, capeggiata dalla Stanley Company of America, mise in crisi le grandi compagnie; questa combinazione a tre livelli garaniva alla casa di produzione una sicura distribuzione e visione delle opere: più grande era la catena di sale controllata dalla società, maggiore era la diffusione dei film.
Un’altra importante società di quegli anni fu la Loew’s Inc, che aveva come fondatore Marcus Loew. Loew creò quella che sarebbe diventata, dopo la Paramount, la società cinematografica di Hollywood per eccellenza: la Mnetro- Goldwyn- Mayer (MGM).
L’espansione delle grandi case hollywoodiane fu diretta conseguenza di una strategia distributiva tesa a massimizzare i loro profitti, e contemporaneamente a condannare ai margini del mercato le altre compagnie. Per poter controllare anche le sale di cui non erano proprietarie, le società Holylwoodiane ricorsero a un sistema di block booking, che obbligava gli esercenti interessati alla proiezioni dei film di maggiore richiamo, a noleggiare anche altri film con minor possibilità di successo. I singoli esercenti dovevano accordarsi con più società e distributori dovevano ricorrere ad altre case di produzione, per riuscire ad offrire programmi completi. Per queste ragioni le principali società di associarono, conducendo il mercato cinematografico degli annienti verso una condizione di oligopolio.
Una volta intuita l’importanza che le sale cinematografiche rivestivano per il successo del film, le grandi società si impegnarono a renderle sempre più sfarzose e in grado di colpire la fantasia dello spettatore. Negli anni Venti l’esperienza dei vedere un film era arricchita dalle dimensioni delle sale, dalle decorazioni. L’uso dell’aria condizionata per esempio, fu un grande incentivo perché i mesi estivi spesso registravano un netto calo delle presenze; alcune sale imitavano i teatri tradizionali aggiungendo elementi in stile baroccò: grandi lampadari, cupole; altre ancora davano allo spettatore la sensazione di trovarsi sotto un cielo sellato.
Le compagnie a concentrazione verticale che controllavano la maggior parte delle catene di sale cinematografiche, la Paramount – Public, la MGM e la First National, costituivano le “Tre Grandi”. Subito dopo seguivano le “Piccole Cinque”: Universal, Fox, Producers Distribuing Coporation, Film Booking e Warner Bros.

LA NASCITA DELLA MOTION PICTURE PRODUCERS AND DISTRIBUTORS ASSOCIATION
Alla grande espansione dell’industria cinematografica si accompagnò una crescente richiesta per un maggiore controllo della censura. Molti film realizzati nel dopo guerra avevano come soggetto “I ruggenti anni Venti”: musica jazz, liquori illegali, feste frenate; le commedie di DeMille, presentavano l’adulterio come un frivolo e affascinante passatempo.
In questo stesso periodo, l’attenzione dell’opinione pubblica fu catturata dalle rivelazione sulla vita privata di registi e attori Hollywoodiani: scandali a sfondo sessuale e flagranti violazione della legge sul proibizionismo.
In parte per la necessità di restituire a Hollywood un’immagine accettabile agli occhi dell’opinione pubblica, in parte per evitare pesanti controlli di una censura federale, i principali studios si accordarono per dare vita alla Motion Picture Producers and Distributors of America (MPPDA), con a capo dell’organizzazione Hayes.
La strategia di Hayes consisteva nel tentativo di costringere i produttori a eliminare dai loro film tutti i possibili elementi offensivi, arrivando a fare includere clausole di tipo morale nei contratti degli studios.

IL CINEMA DEGLI STUDIOS: REGISTI, STAR, GENERI
Già negli anni Venti i teatri di posa delle grandi compagnie permettevano di escludere totalmente la luce solare per poter girare intere sequenze solo con luce artificiale. Le parti della scena situate sullo sfondo venivano illuminate con lui di riempimento, mentre le figure principali erano sottolineate da netti controluce, che illuminavano da dietro e da sopra. La luce principale proveniva da un lato dall’inquadratura, mentre da lato opposto una seconda luce più debole serviva per ammorbidire le ombre, attenuando i contrasti. Questi tre punti d’illuminazione, principale (key light), luce di riempimento (fill light), controluce (backlight), costituirono la base del sistema d’illuminazione del cinema hollywoodiano.
Negli anni Venti l’uso del montaggio contiguo divenne sempre più sofisticato.
Durante gli anni Venti cominciò ad affermarsi la generazione di registi che avrebbero dominato tre decenni successivi del cinema americano: Ford, Vidor e altri nomi famosi. Nacquero filoni, come i film antimilitaristi, mentre i generi precedenti come i western assunsero maggior prestigio. Ma la cosa più importane fu la crescita dei budget di produzione, dovuta soprattutto al consolidamento dell’esportazione di film di Hollywood.

I film ad alto budget dei primi anni Venti
Un film che ben rappresenta le nuove tendenze produttive di questo periodo è i quattro cavalieri dell’Apocalisse di Ingram; basato su un romanzo di grande successo, era la storia delle alterne fortune di una famiglia del Sud negli anni della prima guerra mondiale, presentata secondo un’ottica nuova per quegli anni. Nonostante la Germania fosse dipinta come una terra di barbari malvagi, il conflitto, più che eroico, appariva in tutta la sua tremenda carica distruttiva: nella scena finale l’orrore della guerra viene mostrato attraverso un cimitero militare coperto da innumerevoli croci. Il trionfo del film fu dovuto anche alla copia di attori Rodolfo Valentino e Alice Terry.
Cecile DeMille lavorò per la Paramount, con commedie a sfondo erotico, spesso interpretate da Gloria Swason, come Perché cambiate moglie ?, mettevano in scena lusso, mode e situazioni provocanti.
Quando i suoi film furono attaccati dalla censura, DeMille confezionò pellicole che combinavano melodrammi con soggetti religiosi, come I dieci comandamenti: il tema centrale era la fuga degli ebrei guidati da Mosè fuori dall’Egitto, intermezzata dalla storia di un giovane moderno, poco incline al rispetto della moralità, che si ripromette di infrangere tutti i dieci comandamenti.
Griffith diresse importanti produzioni a soggetto storico: se in Nascita di una Nazione e Intolerance, si era ispirato al cinema epico italiano e soprattutto a Cabiria, ora il suo modello erano i film storici di Lubitsch. Il più grande successo di G. in quegli anni fu Le due orfanelle; ambientato durante la rivoluzione francese vantava la presenza di entrambe le sorelle Gish, Lillian e Dorothy. Un altro suo film epico fu America, sulla rivoluzione americanam e Isn’t life Wonderful, che cambiava completamente genere raccontava le difficoltà della Germnaia post bellica.
Von Stroheim diresse per la Universal Mariti ciechi. La trama del film racconta le vicende d una coppia in vacanza in montagna; la donna viene quasi sedotta da un bieco personaggio rappresentato proprio dal regista. Il successo di questo film li consentì di girare anche Femmine folli, nel quale interpretava un’altra figura negativa. V.S. superò di gran lunga la cifra accordatagli per la costruzione del set che riproduceva Monte Carlo. La Universal approfittò della situazione pubblicizzando il film come la prima pellicola constata un milione di dollari, ma il vero problema era che la prima versione del film durava sei ore. V.S. si rivolse quindi alla società indipendente Goldwyn per la quale realizzò rapacità; la versione originale di nove ore, fu ridotta a circa la metà. Era la storia del rozzo dentista e della sua miserevole moglie; ma l’atmosfera cupa del film lo rese impopolare. V.S. ottenne successo alla MGM con La vedova allegra e poi, per la Paramount diresse Marcia nuziale.

I generi minori diventano rispettabili
Dopo la formazione del 1919 della United Artists, il primo dei fondatori a lavorare per essa fu Douglas Fairbanks. His majest, the American fu l’opera che lo lanciò. Dalla commedia passo a film più ambiziosi come Il segno di Zorro , che poi abbandonò per dedicarsi a film di cappa e spada, come I tre moschettieri e Il pirata nero.
Un alto genere che guadagnò prestigio negli anni Venti fu western, fino ad allora utilizzato in modeste produzioni destinate ai cinema di provincia. Il genere di impose presso il pubblico con la realizzazione di Pionieri : storia di un viaggio epico verso il west di una carovana.
John Ford ottenne il primo vero successo con Il cavallo d’acciaio, western ad alto costo in cui, narrando la storia della costruzione della prima ferrovia attraverso il continente, esprimeva tutta la sua sensibilità per la messa in scena del paesaggio; ben presto, Ford divenne il principale autore della Fox, attivo anche in altro generi. Realizzò solo un altro Western nel decennio, I tre furfanti .
Altro regista che esordì negli anni Dieci, dirigendo western a asso costo u Borzage. Tra questi The gun woman, storia di una scafata proprietaria di una sala da ballo, la Tigre, che uccide l’uomo che la ama pur di non lasciarlo partire per diventare un bandito. Oggi il nome di Borzage è spesso associato al melodramma, come Homoresque, la vicenda sentimentale di un violinista ebreo ferito durante la prima g. mondiale; ma alcuni dei suoi lavori migliori appartengono ad altri generi. The Circe, è una commedia romantica, mentre Lazybones è una commedia sulle gesta di un giovane indolente senza particolari obiettivi, che finisce pe sacrificare la sua già compromessa reputazione allevando il figlio della sorella della donna che ama.
In seguito alla proiezione di Il gabinetto del dottor Caligari negli Stati uniti, il cinema dell’orrore divenne gradualmente un genere popolare. La prima casa a puntarvi fu la Universal, sfruttando l’attore Loan Chaney, “l’uomo dalle mille facce”, che fu Quasimodo di Il gobbo di Notre Dame, e il protagonista di Il fantasma dell’opera; ma i film più emblematici vennero interpretati dall’attore sotto la direzione di Tom Browning. Nel film Lo sconosciuto interpretava Alonzo, un lanciatore di coltelli che finge di essere senza braccia; la sua stupenda partner nutre una paura psicologica di essere toccata da qualsiasi uomo, e si fida solo di Alonzo. Per conquistare il suo amore, Alonzo, decide di farsi amputare le braccia, ma tornato al circo scoprirà la donna con un altro uomo.
Il genere gangster non fu importante fino alla metà degli anni Venti: pochi film avevano per soggetti le vicende delle bande criminali tra cui il The Musketeers of Pig Alley di Griffith e Rgeneration di Walsh. Un film che fu importante per fissare gli elementi del genere fu Le notti di Chigago.

La comicità negli anni Venti
Durante gli anni Dieci molti film comici erano basati sul gag fisiche, il cosiddetto “slapsitck”. Di solito si trattava di cortometraggi che venivano proiettati prima di film importanti.
Negli anni Venti, i lungometraggi comici diventarono più comuni. Le star già note come Chaplin, Keaton e Lloyd si forzarono di costruire storie più solide e convincenti.
• Harry Langdon fu impegnato in numerosi lungometraggi realizzati per Mack Senett. Langdon colpiva per il suo volto e la sua espressione infantile, unita a un carattere ingenuo che reagiva placidamente a quanto accedeva intorno a lui. I suoi primi lungometraggi furono Di corsa dietro un cuore, La grande sparata e Le sue ultime mutandine. Il suo fascinò resto principalmente legato a una comicità che si esprimeva soprattutto visivamente.
• Charles Chaplin era apparso in un primo lungo metraggio comico, Il romanzo di Tilli e nel 1921 ottenne un grande successo con Il monello, da lui stessi diretto e in cui recitava insieme al attore bambino Coogan, nel ruolo del trovatello allevato dal personaggio di un vagabondo interpretato da Chaplin. L’entusiasmo con cui il film fu accolto aumentò le ambizioni di Chaplin che realizzò La donna di Parigi, satira amaramente ironica dell’alta società, in cui egli appariva in una parte secondaria.
• Lloyd sfruttò la voga dei lungometraggi, facendo del personaggio occhialuto da lui creato, il protagonista di Sailormade man, la storia di un giovane impetuoso che si guadagna l’amore attraverso una serie di avventure. Lloyd viene ricordato soprattutto per i film in cui è presente una componente di suspance, come in Preferisco l’ascensore, dove crea un delle scene comiche più memorabili della storia del cinema, penzolando appeso a un orologio posto in cima ad un edificio. Alcuni dei film da lui interpretatati lo raffigurano come il giovane ragazzo di paese che diventa eroica davanti a una sfida, come il Girl Shy o Viva lo sport.
• Buster Keaton è ricordato soprattutto per il soprannome di “faccia di pietra” attribuitogli a causa della mancanza assoluta del sorriso sul suo volto. Il suo gusto per un umorismo bizzarro lo portò a una comicità al limite del surreale. Il primo film di successo fu The Navigator, la storia di una coppia di sconosciuti alla deriva sull’oceano a bordo di un trasnstalantico. Keaton esplorò spesso la possibilità del mezzo cinematografico come in La palla n. 13 (Sherlok junior) del 1934, che contiene un film nel film: il protezionista sogna mentre la sua immagine entra nel film che viene proiettato nella sala. Forse la sua opera meglio riuscita è Il generale, la storia di un rischioso salvataggio durante la guerra di successione.

Malgrado tutti i principali attori comici si confrontassero con i lungo metraggi, i film comici brevi rimasero sempre presenti nei programmi delle proiezioni. I maggiori produttori del genere rimasero Roach e Sennett. Sotto la loro guida emerse una nuova generazione di star. I due nomi più importanti son quelli di Stan Laurel e Oliver Hardy (Stanio e Olio),

Nuovi investimenti e film campioni d’incasso
Alla metà degli anni Venti, gli investimenti di Wall Street nell’industria cinematografica, accrebbero le possibilità di produzioni con budget elevati. La MGM fu particolarmente impegnata nella realizzazione di pellicole prestigiose, come Ben Hur, di Fred Niblo; le riprese cominciarono ad effettuare in Italia. Per poter filmare la corsa delle bighe fu necessario un set enorme, lungo il quale furono sistemate diverse cineprese che riprendevano la scena dai vari angoli possibili, e che permisero in sede di montaggio, di dare un ritmo travolgente all’intera sequenza.
Un altro film di rilievo, prodotto dalla MGM, fu un’opera pacifista sulla prima G.Mondiale, La grande parata di King Vidor, che girò anche Il vino della giovinezza, la storia di tre generazioni di donne: la nonna saggia, ma impotente di fronte al minacciato divorzio della figlia e la nipote, convinta da questo episodio, di poter trovare l’amore fuori dal matrimonio. La grande parata, invece, fu un progetto molto più ambizioso che aveva tra i suoi protagonista John Gilbert, l’idolo romantico per eccellenza dopo la scomparsa di Rodolfo Valentino. Nella prima parte del film, il ricco e giovane personaggio, interpretato da Gilbert, partito volontario per la prima g.Mondiale, intreccia una relazione con una contadina francese, ma in seguito, la storia si sposta bruscamente su epiche scene di guerra. Tuttavia, l’importanza del film risiede proprio in questo, poiché ancora meglio di I quattro cavalieri dell’Apocalisse, La grande parata, descrive gli orrori della guerra, rappresentando i soldati tedeschi, anche esse vittime dei combattimenti; da solo nella trincea faccia a faccia, con un giovane tedesco in fin di vita, invece di finirlo, il protagonista li accende una sigaretta. Altri film di guerra degli anni Venti e Trenta, seguirono questo modello, mostrando la ferocia e l’inutilità della guerra.
Un film del tutto diverso fu La folla realizzato da Vidor, storia di una coppia appartenente alla classe lavoratrice, il cui matrimonio entra in crisi dopo la morte, in un incidente stradale, di uno dei figli.
Come la MGM, anche altre case di produzione si lanciarono nei film ad alto budget. Nel 1927 la Pramount distribuì Ali, un altro racconto agrodolce sulla prima G.Mondiale. i due protagonisti del film, Jack e David, sono entrambi piloti ed innamorati della stessa ragazza; la vicina di Jack, Mery è a sua volta innamorata di lui, tanto da seguirlo al fronte come infermiera della crocerossa. L’interprete di Mary, Clara Bow, conobbe un momento di celebrità a cavallo degli anni Trenta, diventando il simbolo della ragazza disinibita, nella “età del jazz”; il suo più famoso film, Cosetta, le guadagnò il soprannome di It-girl, eufemismo di sex appeal.
Come accedeva in La grande parata, Ali, combinava il romanticismo dell’intreccio con spettacolari sequenze dei combattimenti. La ricercatezza nei particolari, l’uso del montaggio contiguo, l’illuminazione direzionata e i movimenti di macchina, fecero di Ali la sintesi dell’ultimo periodo del cinema muto hollywoodiano.

Un cinema a basso costo e non convenzionale
Non tutti i film di valore realizzati in quegli anni furono campioni d’incasso. Le Cinque Piccole e numerose ate compagnie indipendenti realizzo produzioni a medio e basso costo per le programmazione nelle sale d perfiferira e di provincia.
Accanto a opere non convenzionali, ma realizzate con grandi ambizioni, com Rapacità o La folla, esisteva una produzione marginale originale e autonoma, che annoverava tra i suoi autori William C. DeMille, fratello del ben più noto Cecil B. William diresse alcuni film interessanti, spesso incentrati su peronsaggi disadattati. In Conrad alla ricerca della sua giovinezza un soldato inglese ritorna dall’India e scopre di non avere uno scopo nella vita; cercando di ricreare il clima della sua adolescenza, riunisce intorno a se i cugini in una divertente sequenza dove i cibi e i giochi cercati per assaporare le antiche gioie non riescono però ad eliminare il clima di malinconia. Miss Lulu Bett è la storia di donna semplice rimasta nubile, che per potersi mantenere assume un ruolo servirle nella famiglia della sorella. Dopo essersi ribellata a un falso matrimonio, con un bigamo, sposa felicemente il maestro del paese.
Un altro notevole talento isolato di questo periodo fu Karl Brown, che nel 1927 diresse per conto della Paramount, Amore nudo e crudo, un film fuori dal comune per il suo realismo. Girato internamente in Noth Carolina, con attori non professionisti, questo dramma rurale contravveniva alle norme stereotipate del periodo, raccontando la storia di una società arcaica che opprime le donne. Un giovanotto del luogo, che vorrebbe proseguire gli studi, rinuncia ai suoi soldi, per mandare al college una giovane amica; quando il brutale padre di lui decide di sposare la ragazza, lei riesce a difendersi con un ascia, e a scappare con il suo compagno da quel mondo primitivo. La carriera registica di Brown fu molto breve e presto tornò a fare l’operatore.

REGISTI STRANIERI A HOLLYWOOD
Prima del 1920, gli autori provenienti da altri paesi avevano lavorato solo occasionalmente per l’industria americana; i due nomi più noti erano stati quelli dell’inglese Chaplin e il francese Tourneur. Ma negli anni Venti le case di produzione americane, iniziarono la caccia per scovare talenti stranieri e l’impatto dei registi immigrati sulla cinematografia hollywoodiana si fece rilevante.

Lubitsch arriva a Hollywood
Il flusso regolare di taenti europei verso Holywood cominciò dopo la distribuzione negli Stati Uniti di Madame Dubarry di L. rappresentato con il titolo di Passions. Sia la star del film, Pola Negri, chiamata subito dalla Paramount, sia L. che la seguì negli States, cominciarono la loro carriera a H. L. imparò subito ad armonizzare il suo stile con quello classico Hollywoodiano. Pickford volle L. per decidere la sua produzione Rosita. Il film tuttavia, non incontrò il favore dell’attrice e dunque L. non proseguì la collaborazione con la United Artists. La Warner Bros, invece, a sorpresa ingaggiò L. facendone il suo autore di punta. Sotto influenza di La donna di Parigi di Chaplin, L. diresse una serie di commedie sofisticate che analizzavano la società dell’epoca. Le ingegnosità con cui L. riusciva a suggerire le appetiti sessuali e le rivalità sotterranee che si nascondeva tra le pieghe delle buone maniere erano già tipici di quello che verrà definito “il tocco di L.”. questo “tocco” si esprimeva anche attraverso un estrema fluidità del racconto, capace di indicare gli stati d’animo dei personaggi, semplicemente dal modo in cui cambiavano posizione all’interno della scena o dalla direzione dei loro sguardi da un’inquadratura all’altra.
I principali film realizzati da L. per la W.B furono: Matrimonio in quattro, Il Ventaglio di Lady Windermere e La vita è un Charleston.

I registi scandinavi in America
Anche i più importanti registi scandinavi degli anni Dieci e dei primi anni Venti giunsero a Hollywood, lavorando soprattutto per la MGM. Tra i primi vi fu Benjamin Christensen, il cui esordio americano con Il Circo del diavolo, recuperava un genere tipico del cinema scandinavo degli anni Dieci, i film sul circo. C. realizzò diversi film di suspance, il più riuscito dei quali fu Sette passi verso Satana.
Il regista svedese Mauritz Stiller e la sua scoperta Greta Garbo furono abbinati per la realizzazione di Il Torrente; ma l’eccentricità e l’incapacità di S. di adattarsi ai rigidi metodi di lavorazione Hollywoodiani, causò la sua rapida sostituzione. Il produttore tedesco Erich Pommer, lo chiamò per la regista di L’ultimo addio, interpretato da Pola Negri. Fu questa la più importante produzione hollywoodiana di S. da ricordare anche per la presenza di alcuni movimenti di macchina nello stile del cinema tedesco, con la macchina da presa posta su elaborati ascensori.
Victor Sjostrom, modificò il proprio nome in Victor Sistrom realizzò La spada della legge, che nonostante lo stile piuttosto accademico conteneva diverse sequenze di paesaggio che richiamavano la sensibilità per la natura. Il suo film successivo, Quello che prende gli schiaffi, ambientato nel mondo del circo, costituì un trampolino di lancio per Lon Chanej che guadagnò una notevole popolarità. Fu poi la volta di La lettera rossa, con Lylian Gish, che aveva da poco abbandonato la collaborazione con Griffith ed ero sottocontratto per la MGM; altro film fu Il Vento, la storia di una donna che si reca nel selvaggio West desolato e spazzato dal vento, per raggiungere il suo futuro sposo. Costretta a uccide e seppellire un uomo che la vuole violentare, diventa quasi folle, in preda a visioni del cadavere dissepolto dal vento.

Registi europei alla Universal
La Universal diede presiglio alle sue produzioni con il regista portoghese Paul Fejos, con The last moment, che mostrava le visioni di un uomo che stava annegando. Primo amore, era invece la semplice storia di una coppia di lavoratori. In seguito F. girò uno dei primi musical Broadway; il set del film fu realizzato in stile espressionista , utilizzando una gigantesca gru per realizzare audaci movimenti della macchina da presa attraverso la scena.
Paul Leni produsse L’uomo che ride; il protagonista era un inquietante personaggio condannato da un taglio sulla bocca a un continuo, ghigno grottesco.

L’influenza di Murnau alla Fox
M. si recò ad Hollywood per girare con un enorme budget Aurora (sunrise). Sceneggiato da Mayer, la storia racconto un dramma psicologico semplice ma intenso: un pescatore dopo aver meditato l’uxoricidio per poter fuggire in città con la sua amante, deve riguadagnarsi la fiducia della moglie. Il film risultò troppo sofisticato per diventare veramente popolare e la fortuna di M. subì un rapido declino.
Nonostante la scarsa popolarità, Sunrise ebbe un forte impatto sui registi americani, in special modo su Ford e Borzage. Ford girò un dramma sentimentale sulla prima guerra mondiale, Four Sons e aveva alcuni punti in comune con il cinema francese.
Borzage, in Settimo Cielo, utilizza la falsa prospettiva, tipica di M.

INNOVAZIONE TECNICHE E STILISTICHE
• Nuovo approccio alla fotografia: alcuni autori iniziarono a sistemare davanti all’obiettivo tessuti trasparenti o filtro, per creare immagini indistinte. Lenti particolari, inoltre, potevano mette a fuoco l’azione in primo piano a discapito dello sfondo. il risultato fu il soft style dell’immagine;
• Introduzione delle nuove pellicole pancromatiche, in sostituzione di quelle ortocromatiche. Queste ultime erano sensibili solo a certe porzioni dello spettro visivo, e cioè al viola, al blu e al verde; diversamente, le parti in giallo e in rosso apparivano quasi nere. Le pellicole pancromatiche, registravano invece l’intero spettro dei colori con un’intensità costante. Erano comunque molto costose, facili a deteriorasi e richiedevano una maggiore esposizione alla luce per ottenere un’immagine soddisfacente. Dal 1925 Eastman Kodak introdusse nel mercato versioni sempre più sensibili, stabili e a prezzi contenuti.

9 - INTRODUZIONE DEL SONORO (PP.280-298)
la maggior parte dei film muti era accompagnata da musica dal vivo, dal semplice pianoforte fino ad intere orchestre, e spesso all’azione sullo schermo venivano sommariamente sincronizzati effetti sonori.
Si conviene di solito che l’anno di introduzione del suo sincronizzato sia stato il 1927, quando la Warer Bros, di distribuì Il cantante di jazz. Il sonoro portava con sé implicazioni economiche e tecnologiche, ma influenzò anche lo stile.

IL SONORO NEGLI STATI UNITI
Dei tre paesi che avrebbero dominato la conversione del mondo al sonoro- gli Stati Uniti, la Germiana e l’URSS- l’industria cinematografica americana fu la prima a compiere il passaggio con successo.
Lee DeForest presentò il suo Phonofilm nel 1923. Questo brevetto di pellicola sonora, convertita l’audio in onde riprodotte su una normale pellicola a 35mm, su una striscia ricavata a fianco del fotogramma.
Durante gli anni Dieci e i primi anni Venti la western Electric aveva sviluppato sistemi di registrazione, amplificatori e altoparlanti. Nel 1925 la W.E. mise in vendita il suo sistema di registrazione su disco.
La Warner Bros. Era in piena espansone e i fratelli W. Vedevano il sonoro soltanto come un’alternativa economia all’intrattenimento dal vivo che accompagnava la programmazione cinematografica. La W.B. collaudò il medito Vitaphone in una seri di cortometraggi. La prima proiezione pubblica, il 6 agosto 1926, si apriva con otto cortometraggi, tra cui un discorso di Will hays e un’aria da I pagliacci; seguiva il film Don Giovanni e Lucrezia Borgia, accompagnato da musica registrata ma senza dialoghi.
Nel 1927 ebbe luogo la prima di Il cantante di Jazz di Alan Crosland. La maggior parte delle sequenze aveva solo un accompagnamento musicale, ma in quattro scene la star del vaudeville, Al Jolson cantava e pronunciava anche qualche parola. Dopo qualche altra pellicola parzialmente sonorizzata, il 1928 vide l’uscita trionfale de primo “sonoro al 100%” con The Lights of New York.
Mentre la Western Electric sviluppava il suo sistema a dischi, due ingegniei- Theodo Case e Earl Sponable- avevano creato un sistema di pellicola basato in parte su quello di DeForest. La Fox Film Corporation investì nel loro sistema. La Fox ribattezzò il lor sistema in Movietone e nel 1927 lo sperimentò con brevi film.
Altro importante sistema di sonorizzazione era basato su un nuovo tipo di pellicola sonora sviluppata dalla RCA 8radio Corporation of America): il Phonophone.
Le Cinque Grandi nel 1927 firmarono l’accordo di scegliere insieme il sistema sonoro più adatto e alla fine optarono per il sistema della Western Electric.
Le compagnie di Hollywood continuarono per alcuni anni a distribuire la maggior parte dei film in doppia versione, su dischi fonografici e una con pellicola sonora.
Una volta scelto lo standard da adottare, gli studios di H. iniziarono rapidamente ad installare le apparecchiature nelle sale. I cinema indipendenti do solito sceglievano uno dei sistem più economica, ma spesse le sale più piccole non potevano permettersi apparecchiature sonore.
Anche se molti dei primi film sonori erano stati e pieni di dialogo, alcuni cineasti risposero in modo creativo attraverso il genere del musical, che offriva buone possibilità per l’uso ingegnoso del sonoro come La canzone di Broadway o l principe consorte.

La tecnologia sonora degli inizi e lo stile classico
All’inizio del sonoro l’industria cinematografica si trovò di fronte a numerosi problemi di stile: i primi microfoni erano direzionali e captavano qualsiasi rumore del set, per cui dovevano essere sistemati in cabine insonorizzate; tutti i suoni di una singola scena andavano registrati nello stesso momento, data l’impossibilità di mixer e se nel film era presente un’orchestra, questa doveva essere presente durante le riprese; la sistemazione del microfono limitava l’azione poiché spesso veniva sospeso a pesanti impalcature.
I cineasti erano riluttanti a rinunciare alla flessibilità e all’enfasi che il montaggio aveva offerto loro nell’era del muto. Per poter alternare totali, piani ravvicinati e controcampi senza perdere tra uno stacco all’altro il sincrono tra suono e movimento delle labbra, utilizzavano la tecnica della cinepresa moltiplica: la scena veniva ripresa contemporaneamente da più angolazioni strategiche.

Oltre l’ostacolo della lingua
Il cinema sonoro creò un serio problema a tutti paesi produttori: l0stacolo della lingua rischiava infatti di costituire un limite alle esportazioni. Per i film muti era sufficiente tradurre le didascalie, ma per il parlato la faccenda era un po’ più complessa.
Le prime proiezioni di film sonori tentarono diverse soluzioni al problema. A volte i film venivano mostrati all’estero senza alcuna traduzione: dato che il suono era ancora una novità, la cosa poteva talvolta funzionare.
Poiché mixare era impossibile, doppiare una colonna sonora in una lingua straniera era costoso. Molti produttori erano giunti alla conclusione che l’unico modo per continuare a raggiungere i mercati stranieri fosse quello di girare ogni film in più versioni.

10 – Lo studio System a Hollywood – 1930-1945

Tra il 1930 e il 1945 gli Stati Uniti attraversarono una durissima Depressione a cui seguì, durante la seconda guerra mondiale, una ripresa altrettanto spettacolare. Il mercato finanziario toccò il suo punto più basso a metà del 1932, subito prima delle elezioni presidenziali, nelle quali Franklin D. Roosevelt conquistò la prima di quattro vittorie scaricando la colpa del disastro su Herbert Hoover. Il nuovo presidente si mosse subito a sostegno dell'economia: la National Recovery Administration, avviata nel 1933, guardava con una certa indulgenza a concen¬trazioni e oligopoli, dimostrando nel contempo un'inedita tolleranza nei con¬fronti dei sindacati operai: due politiche che ebbero su Hollywood un impatto fondamentale. La ripresa avvenne in modo diseguale, con l'ulteriore complicazione di una nuova - anche se meno grave - recessione tra il 1937 e il 1938. Nel 1938, comunque, l'accresciuto intervento governativo stava conducendo il Paese fuori dalla Depressione. Il dilagare della guerra in Europa accelerò il proces¬so. L'America si erse ad "arsenale della democrazia", vendendo armi ai suoi alleati in giro per il mondo e poi potenziando le sue stesse risorse belliche. La crescita della pro¬duzione assorbì gradualmente la forza lavoro disponibile.La guerra permise l'espansione dell' economia americana: un boom condiviso dall'industria cinematografica grazie a un'impennata dell'affluenza degli spettatori.

LA NUOVA STRUTTURA DELL'INDUSTRIA CINEMATOGRAFICA
All'epoca del muto, l'industria del cinema di Hollywood si era svilup¬pata in un oligopolio di società unite nello scopo di chiudere il mercato alla concorrenza; ma anche se questa struttura rimase relativamente stabile negli anni Trenta, l'avvento del sonoro e l'inizio della Depressione provocarono qualche cambiamento. La sola grande società nata come conseguenza diretta dell' introduzione del sonoro fu la RKO (abbreviazione di Radio-Keith-Orpheum), fondata allo scopo di sfruttare il sistema della RCA, il Phonofilm. La Fox conobbe una notevole espansione sul finire degli anni Venti, ma l'inizio della Depressione la costrinse a ridurre gli investimenti: la società dovette vendere alla Warner Bros. la sua quota di controllo della First National recentemente acquisita. Così la Warner, fino ad allora una piccola società, crebbe fino a diventare uno degli studios più grandi degli anni Trenta. Nel 1930 l'oligopolio di Hollywood si era assestato in una struttura che per quasi vent'anni non avrebbe conosciuto grandi cambiamenti. Otto gran¬di società dominavano l'industria: le prime cinque - le " major", dette anche le cinque grandi - erano la Paramount (già Famous Players-Lasky), la Loew's (nota generalmente con il nome della sua filiale produttiva, MGM), la Fox (che divenne 20th Century-Fox nel 1935), la Warner Bros. e la RKO. Le major avevano una struttura a concentrazione verticale, disponendo ciascuna di una sua catena di sale e di un' apparato distributivo internazionale. Le "minor", o le "tre piccole" - compagnie minori prive o povere di sale -, erano la Universal, la Columbia e la United Artists. Esistevano inoltre diversi pro¬duttori indipendenti, alcuni dei quali realizzavano film costosi, o di "serie A", paragonabili a quelli delle major. Le società che (come la Republic o la Monogram) facevano solo film più economici, o di "serie B", erano note come "Poverty Row”.

Paramount La Paramount nacque come società di distribuzione e iniziò la sua espansione acquistando una quantità di sale. Questa strategia fu efficace negli anni Venti, ma la morsa della Depressione ridusse di molto i proventi della società costringendola ad accendere pesanti ipoteche sui suoi cinema. Nel 1933 la Paramount dovette dichiarare fallimento e sotto amministrazio¬ne controllata subì una drastica ristrutturazione: continuò a produrre film ma senza riuscire a ricavarne profitti. Nel 1936 Barney Balaban, il direttore delle sale Paramount, divenne presidente dell'intera società e la portò nuovamente in attivo, con tale successo da fargli mantenere l'incarico fino al 1964. Nei primi anni Trenta la Paramount era nota per le produzioni di stile "europeo": Josef von Sternberg vi girò i suoi film esotici con Marlene Dietrich, e una delle star principali era il francese Maurice Chevalier. Si faceva molto affidamento sui comici della radio e del vaudeville. Nella seconda metà del decennio, Balaban diede alla Paramount un indirizzo più apertamente americano: Bob Hope e Bing Crosby, stabilmente assestati tra i principali campioni commerciali del periodo della seconda guerra mondiale, furono due pilastri dello studio assieme al duro Alan Ladd e all'attrice comica Betty Hutton. E Cecil B. DeMille continuò negli anni Trenta e Quaranta a sostenere la compagnia che aveva contribuito ad avviare con una serie di film storici ad alto budget.

Loew’s/MGM Tra il 1930 e il 1945 la MGM se la cavò molto meglio: la sua piccola catena di sale imponeva oneri ridotti facendone lo studio con gli utili più alti d'America. Parte del merito era della guida tranquilla di Nicholas Schenck, che si occupava della Loew's da New York. I produttori più in vista, come Louis B. Mayer e Irving Thalberg, dirigevano gli stabili¬menti sulla costa occidentale con una politica di film d'alto profilo e alti budget. I film della MGM avevano spesso un aspetto più sfarzoso di quelli degli altri studios e inoltre la MGM si vantava di avere sotto contratto «più stelle le di quante ce ne sono in cielo.» Tra i registi importanti che lavoravano sta¬bilmente per essa spiccavano George Cukor e Vincente Minnelli. La scuderia comprendeva divi come Clark Gable, Spencer Tracy, Mickey Rooney e Judy Garland. Greta Garbo negli Stati Uniti valeva più per il prestigio che per il suo valore commerciale, ma i suoi film andavano bene in Europa; allo scoppio della guerra, quando i mercati europei si chiusero ai film ameri¬cani, la MGM non esitò a scaricarla. Durante la guerra, nuove star di prima grandezza emersero nello studio, tra cui Greer Garson, Gene Kelly, e Katharine Hepburn - quest'ultima in coppia con Spencer Tracy.

20th Century-Fox. Anche a causa della sua rapida espansione nell'era del sonoro la Fox affrontò la Depressione in condizioni peggiori di qualsiasi altra major. I guai della società proseguirono fino al 1933, quando Sidney Kent, già capo della distribuzione per la Paramount, ne prese le redini e riuscì a rimetterla in sesto. Fondamentale fu l'unione, nel 1935, con la più piccola Twentieth Century, un accordo che comportò la nomina di Darryl F. Zanuck a capo degli studi della Costa Occidentale, che lui diresse con polso di ferro.
La 20th Century-Fox aveva relativamente poche star: il comico Will Rogers fu popolarissimo fino alla sua morte nel 1935, mentre la star del pat¬tinaggio Sonja Henie e la cantante Alice Faye mantennero per qualche anno una certa fama. Ma l'attrazione principale dello studio fu la piccola Shirley Temple, che detenne il primato assoluto degli incassi dal 1935 al 1938. Con l'adolescenza, la sua popolarità cominciò a sbiadire e i maggiori profitti della 20th Century-Fox in tempo di guerra vennero dai musical con Betty Grable. Tra i principali registi che lavoravano per la Fox in questo periodo vanno ricordati Henry King, Allan Dwan e John Ford.

Warner Bros. Come la Fox, subito prima dell'inizio della Depressione anche la Warner Bros. aveva chiesto prestiti per espandersi: per far fronte ai debiti fu necessario liquidare alcune proprietà e tagliare le spese. Harry Warner dirigeva la società da New York, perseguendo una politica di pro¬fitti modesti ma sicuri generati da un numero relativamente alto di pro¬getti a basso budget. Gli effetti sui film erano evidenti. Anche se quanto a risorse la Warner non avrebbe avuto nulla da invidiare alla MGM, i suoi set erano molto più piccoli e la sua scuderia di attori popolari - James Cagney, Bette Davis, Humphrey Bogart, Errol Flynn e altri -lavoravano in un maggior numero di film. Spesso i soggetti venivano riciclati e lo studio si specializzò nel creare generi popolari per poi spremerli a fondo: il musical alla Busby Berkeley, il gangster movie, il film impegnato basato su fatti d'attualità, la biografia. Quando iniziò la guerra, la Waner fu la prima a lanciarsi con successo sul film bellico. Il fatto che tante produzioni Warner di quel periodo siano oggi dei classici testimonia l'abilità dei registi dello studio a raggiungere buoni risultati con risorse limitate.

RKO. Tra tutte le major fu quella dalla vita più breve. Nel 1928 la Radio Corporation of America (RCA) non riuscì a convincere nessuno studio ad adottare il suo sistema sonoro, così decise di passare essa stessa alla produzio¬ne cinematografica senza però mai riuscire a tenere il passo con le altre major. Nel 1933 la società fallì e non fu riorganizzata fino al 1940: a quel punto la prosperità generale dell'epoca bellica aiutò la RKO a tornare in attivo - anche se i problemi si ripresentarono poco dopo la fine della guerra. La RKO non aveva una politica stabile, e non disponeva di grosse star. Ci furono successi isolati come King Kong ma gli unici a garantire incassi sicuri erano Fred Astaire e Ginger Rogers, i cui musical tennero banco dal 1934 al 1938. In definitiva, i magri profitti della RKO provenivano soprattutto dalla distribuzione dei film animati prodotti dalla Walt Disney. Un giovane e discusso produttore teatrale assunto in que¬sto periodo fu Orson Welles: il suo Quarto potere sarebbe stato ricordato come il film più importante della RKO, anche se all'epoca fu un investimento deludente. Durante questi anni, sotto la supervisione di Val Lewton, il setto¬re "serie B" della RKO produsse alcuni tra i film a basso costo più creativi dell'epoca dello studio system.

Universal. Pur avendo un esteso sistema distributivo ed essendo la maggiore delle "tre piccole", la Universal ebbe problemi economici per rutto il periodo 1930-1945: senza star importanti, la società vedeva i registi migliori passare a studios più grandi. La strategia iniziale della Universal fu di lanciare nuove star in film horror visivamente sorprendenti; si imposero così Bela Lugosi con Dracula, Boris Karloff con Frankensteine Claude Rains con L'uomo invisibile. Dopo il 1935, la Universal si dedicò ancora di più al pubbli¬co di provincia, trovando una nuova star adolescente nella vivace cantante Deanna Durbin. La serie B era la risorsa più importante per lo studio, come dimostrarono negli anni Quaranta i film di Sherlock Holmes con Basil Rathbone e la serie slapstick di Abbott e Costello (Gianni e Pinotto).

Columbia. Sotto l'attenta direzione del capo dello studio Harry Cohn, la Columbia attraversò la Depressione con i conti in attivo. I bassi budget non le impedirono di produrre film popolari, spesso con star o registi presi in pre¬stito da studios più grandi (evitando così il costo di tenerli sotto contratto). Frank Capra, il regista più importante della Columbia, vi rimase per tutti gli anni Trenta. Le star del suo Accadde una notte (lt Happened One Night, 1934) erano Claudette Colbert (presa in prestito dalla Paramount) e Clark Gable (della MGM): film, regista e attori vinsero tutti l'Oscar, e il film fu uno dei maggiori successi della Columbia.
Anche se diversi registi importanti lavorarono brevemente alla Columbia - in particolare, John Ford per Tutta la città ne parla (The Whole Town's Talking, 1935), George Cukor per Incantesimo (Holiday, 1938), e Howard Hawks per Avventurieri dell'aria (Only Angels Have Wings, 1939) e La signora del venerdì (His Giri Frida)l, 1940) -, nessuno vi si fermò. Per rutto questo periodo, le sorti dello studio dipesero in larga misura dai western di serie B e da altre produzioni a basso costo (tra cui i film dei Tre Stooges).

United Artists. Il declino della UA iniziò all'epoca del sonoro. D.W. Griffith, Mary Pickford e Douglas Fairbanks si ritirarono tutti nella prima metà degli anni Trenta, e Charles Chaplin dirigeva soltanto un film ogni cin¬que anni. La UA fu la sola major a veder scemare i suoi profitti durante il boom degli anni di guerra. Osservando i film UA di questo periodo la loro diversa provenienza è evidente: il variegato listino affianca a prestigiose produzioni inglesi come Le sei mogli di Enrico VIII, i musical comici con la popolare star di Broadway Eddie Cantor, alcu¬ni dei film americani di Alfred Hitchcock, e alcune delle opere migliori di William Wyler, come Infedeltà e La voce nella tempesta. A differenza di quanto avveniva nel periodo del muto, la UA dovette anche adattarsi a rimpinguare i suoi listini con film a basso budget o perfino di serie B.

Gli indipendenti. Non si può dire che tra le major, le minor e gli indipen¬denti esistesse una vera concorrenza, perché nell'industria ognuno aveva una sua funzione: le major fornivano gran parte dei film di serie A per i cinema migliori; le minor provvedevano agli altri film necessari per far fronte alle richieste del mercato e rifornivano sale secondarie. Qualche società indipen¬dente realizzava film di prestigio, mentre altre, come la Monogram e la Republic, coprivano la seconda parte dei doppi spettacoli con prodotti di serie B: quasi sempre avventure, western, gialli d'azione e serial. Ancor più lontani dal mainstream di Hollywood erano gli indipendenti che producevano pellicole a basso costo per specifici gruppi etnici, ma l'introduzione del sonoro richiese produzioni in una gran varietà di lingue. Nelle città in cui esisteva un'enclave di immigrati ebrei, ad esempio, c'era una certa richiesta di film in lingua yiddish: già alcuni film muti erano stati distribuiti anche con didascalie yiddish, ma il parlato produsse negli anni Trenta una breve fioritura di film ebraici. Ulmer diresse con Prati verdi, 1937 uno dei più fortunati esempi del genere; altri registi adattarono opere dal teatro popolare. I temi ricorrenti erano crisi familiari e lo scontro tra la vita moderna nelle città e i valori tradizionali; il tutto corredato da frequenti intermezzi musicali. Nel 1939 la seconda guer¬ra mondiale spazzò via il cinema yiddish dalla Polonia e nel 1942 la produ¬zione era ormai cessata anche negli Stati Uniti. Nonostante illimitato successo di alcune forme di produzione indipen¬dente, per una nuova società - grande o piccola - era praticamente impossi¬bile ritagliarsi una fetta significativa del mercato cinematografico: le compa¬gnie di Hollywood avevano creato una situazione protetta all'interno della quale si prestavano le star, ognuna proiettava nelle sue sale anche i film delle altre e tutte collaboravano fra loro in svariati modi: per esempio creando la Motion Picture Producers and Distributors Association in risposta alle pres¬sioni per l'introduzione della censura.

LA PRATICA DELL'ESERCIZIO NEGLI ANNI TRENTA
L'introduzione del sonoro e la Depressione cambiarono in modo signifi¬cativo il modo in cui le sale presentavano i film. Il controllo creativo della program¬mazione era stato completamente tolto dalle mani degli esercenti locali, che ora ricevevano spettacoli completi su pellicola. La Depressione diede un taglio all' epoca dei cinema di lusso. Molte sale non potevano più permettersi maschere che accompagnavano gli spettatori ai loro posti. Alla ricerca di nuove fonti di entrate, gli esercenti iniziarono a vendere caramelle, pop-corn e bevande. Visto che molti spettatori potevano spendere poco, in aggiunta ai consueti cortometraggi si inaugurò la consue¬tudine dei doppi e a volte tripli spettacoli: il secondo film era di solito un serie B a basso costo, ma dava allo spettatore l'idea di "due al prezzo di uno"; soprattutto, il doppio spettacolo consentiva un intervallo durante il quale lo spettatore poteva consumare bibite e altro. Un altro trucco degli esercenti per attrarre gli spettatori erano i premi: un'estrazione di biglietti vincenti, oppure un cuscino ricordo insieme al bigliet¬to. Le iniziative più efficaci erano le "dish night", in cui ogni biglietto dava diritto a una stoviglia di porcellana, che la sala acquistava all'ingrosso: per com¬pletare un intero set di terraglie le famiglie dovevano tornare ogni settimana. Durante la seconda guerra mondiale l'incremento del pubblico fece cadere in disuso alcuni di questi incentivi: la produzione di serie B perse importanza, ma il doppio spettacolo rimase, così come il banco dei rinfreschi. Molte grandi sale si erano deteriorate durante la Depressione, ma erano anco¬ra pronte ad accogliere le nuove folle di spettatori.

INNOVAZIONE CONTINUA A HOLLYWOOD
L'espansione dell'industria negli anni Venti aveva fatto nascere molte società di servizi tecnici e moltiplicato i reparti negli studios. La rivoluzione del sonoro era stata il primo frutto della crescita tecnologica del settore, ma l'innovazione proseguì speditamente anche nel successivo ventennio. Attraverso gli sforzi degli studios, dei tecnici e di istituzioni di coordina¬mento come l'Academy of Motion Picture Arts and Sciences, la tecnica cine¬matografica divenne più versatile e sofisticata.

Registrazione del suono
I metodi di registrazione del suono subirono un costante miglioramen¬to. I primi microfoni non erano direzionali e coglievano rumori non voluti prodotti da troupe e macchinari, ma gradualmente furono sviluppati modelli che si potevano puntare verso la fonte sonora prescelta. Le prime ingombran¬ti aste da microfono vennero presto sostituite da "giraffe" più leggere e versa¬tili . Sul finire del 1932 i progressi nella registrazione di più piste audio consentivano di registrare separatamente musica, voci ed effetti che sarebbero poi stati mixati insieme su un'unica pista .sonora. I numeri musica¬li venivano di solito registrati prima delle riprese e gli attori mimavano le parole in playback. Nello stesso anno fu inaugurata anche la soluzione di stampare numeri identici sui margini dei negativi dell'immagine e del sono¬ro, permettendo un' accurata sincronizzazione di inquadrature anche brevi. Mentre il primo cinema sonoro tendeva a evitare musica d'atmosfera non diegetica, la registrazione su piste multiple favorì l'introduzione di quella che si sarebbe chiamata colonna sonora, in cui lunghi passaggi musicali accompa¬gnavano l'azione e il dialogo. Fu soprattutto Steiner a fissare le consuetudini musicali degli studios: la sua enfatica partitura per King Kong ebbe vasta influenza come uno dei primi esempi di "stile sinfonico". Di solito i com¬positori cercavano di comporre musica non invadente: come il montaggio con¬tiguo, la scenografia e le altre tecniche, la musica doveva servire a sostenere la narrazione senza attirare l'attenzione su se stessa.

Movimenti di macchina
Molti dei primi film sonori ricorrevano a movimenti di macchina, anche se ciò richiedeva solitamente di girare la scena muta e aggiungere il suono in seguito, o di costruire complessi marchingegni per spostare la pesante cabina di ripresa. Un'inquadratura in movimento spiccava all'interno del film, che era spesso realizzato a cinepresa multipla, pregiudicando la fluidità della nar¬razione. Si cominciarono così a usare rivestimenti che attutissero il rumore della cinepresa, e si crearono versioni perfezionate dei dolly e delle gru già usati sul finire dell'epoca del muto. Il 1932 fu anche in questo ambito un anno di svolta, con l'introduzio¬ne del Rotambulator di Bell & Howell. Si trattava di un dolly di oltre tre quintali che poteva sollevare la macchina da presa verticalmente da 45 cm fino a due metri di altezza, permettendo all'operatore di fare panoramiche, piegarsi in alto o in basso e spostarsi agevolmente su un carrello. Il Panoram Dolly della Fearless Company (1936) poteva passare attraverso un'apertura di 90 cm. Le spettacolari carrellate di alcuni film tra il finire degli anni Trenta e l'inizio dei Quaranta, in cui la macchina da presa attraversa due o più stan¬ze, si devono a questo genere di equipaggiamento. Anche i movimenti con le gru divennero più comuni. Il famoso dolly all'indietro di Via col Vento di Victor Fleming, 1939 sull'enorme banchina ferroviaria piena di confederati feriti fu realizzato con una gru per costruzioni. Grosse gru venivano utilizzate anche nei teatri di posa, di solito per le inquadrature spettacolari di epopee storiche, musical o film fantastici. Nel musical fiabesco targato MGM Il mago di Oz, (The Wizard of Oz, di Victor Fleming, 1939), la macchi¬na da presa piomba sulla città di Munchkin e sulla Strada dei Mattoni Gialli. La maggior parte delle gru erano comunque modelli ridotti per movimenti verticali o diagonali meno vistosi.

Technicolor
Senza dubbio, l'innovazione più spettacolare dell'epoca fu il colore. Accanto ai vari procedimenti non fotografici per colorare la pellicola dopo aver ultimato le riprese, il periodo del muto aveva visto anche qualche tentativo per introdurre sistemi fotografici. Il sistema a doppia pellicola della Technicolor era stato usato di quando in quando nei film di Hollywood durante gli anni Venti e sopravvisse fino ai primi anni del sonoro, ma era costoso e produceva colori tra l'arancione rosato e il blu verdognolo. Nei primi anni Trenta la Technicolor inaugurò una nuova macchina da presa dotata di prismi per suddividere la luce che proveniva dall'obiettivo su tre diverse pellicole in bianco e nero, una per ciascuno dei colori primari. La tecnica fu proposta al pubblico da Disney nel cortometraggio animato F lowers and Trees (Fiori e alberi, 1932). La Pioneer Pictures, una piccola casa di pro¬duzione indipendente che apparteneva a uno dei principali azionisti Technicolor, produsse nel 1935 un cortometraggio musicale ripreso dal vivo, dimostrando che il Technicolor poteva restituire colori vivaci anche in un teatro di posa. I colori chiari e saturi offerti dalla Technicolor giusti¬ficavano per certi film il costo aggiuntivo; le major furono quindi liete di adot¬tare la novità, e la società ebbe modo di monopolizzare il processo, fornendo le macchine da presa speciali, offrendo supervisori a ogni singola produzione, sviluppando e stampando la pellicola. Oggi noi vediamo il colore nei film come un elemento di maggiore rea¬lismo, ma negli anni Trenta e Quaranta lo si associava spesso a fantasia e spet¬tacolo e lo si utilizzava soprattutto per avventure esotiche come Il giardino del¬l' oblio o La leggenda di Robin hood o musical come Incontriamoci a Saint Louis di Vincente Minnelli, 1944.

Effetti speciali
Essendo in grado di garantire praticità, efficienza e sicurezza, gli effetti speciali furono usati di frequente ed ebbero un impatto notevole sui film di questo periodo. Nell'era del muto, l'operatore si occupava dei trucchi durante le ripre¬se, ma l'uso della cinepresa multipla e le altre complicazioni del sonoro fece¬ro sì che il compito fosse affidato a specialisti. Gli studios aprirono reparti dedicati agli effetti speciali che spesso inventavano e costruivano apparecchi su misura per scene specifiche. Di solito l'effetto speciale prevedeva che immagini girate separatamen¬te venissero combinate in uno di questi due modi: la retro proiezione (detta anche proiezione per trasparenza) o la stampa ottica. Nel primo caso gli attori recitano sul set nel teatro di posa mentre su uno schermo dietro di loro si proietta un'immagine girata in precedenza da una troupe ridotta, o "seconda unità": un esempio tipico sono molte delle scene in cui i perso¬naggi sono in automobile, girate su veicoli in studio mentre lo sfondo scorre su uno schermo La retroproiezione faceva risparmiare poiché atto¬ri e troupe evitavano di girare in esterni. La stampa ottica, offriva più opzioni per rifotografare e combinare le immagini. La tecnica consisteva in un proiettore puntato nell'obiettivo della cinepresa: era possibile muovere entrambi in avanti o indietro, alternare diversi obiettivi e mascherare porzioni dell'immagine in modo da poter impressionare di nuovo quella parte di pellicola; si poteva sovrimprimere un'immagine su un'altra o unire come pezzi di un puzzle parti di immagini diverse; una singola immagine poteva essere ingrandita o la sua velocità alterata. L'uso più classico della stampa ottica permetteva di risparmiare sulle scenografie completando quelle effettivamente costruite in teatro: coprendo una parte del fotogramma con un mascherino, l'operatore poteva lasciare un'a¬rea non impressionata dove il tecnico degli effetti speciali avrebbe inserito in seguito un'immagine dipinta, "matte painting" Assai più complessi erano i mascherini mobili ("travelling mattes"). Qui l'operatore degli effetti doveva realizzare due o più mascherini per ogni foto¬gramma che componeva la sequenza truccata ed esporre il film due volte, fotogramma per fotogramma, usando a turno le maschere complementari per coprire una porzione di pellicola. I mascherini mobili erano usati comune¬mente per creare tendine (transizione in cui una linea attraversa lo schermo, cancellando un'inquadratura gradualmente e facendo nel contempo apparire quella successiva). La stampante ottica era usata spesso per produrre brevi raffiche di inquadrature che usavano sovrimpressioni di fogli di calendario, titoli di giornale e immagini simili per suggerire il passaggio del tempo o il corso di un'azione particolarmente lunga. Altri effetti si ottenevano utilizzando modellini, come nei decolli e atterraggi di aerei in Avventurieri dell'Aria.

Stili di ripresa
Nei primi anni Trenta gran parte degli operatori usavano un'immagine "sfumata" basata sulla diffusa moda stilistica degli anni Venti . Ora però l'effetto flou divenne meno estremo e più uniforme: il ricorso a fil¬tri vistosi o a lastre di vetro unte e distorcenti fu sensibilmente ,ridotto, e i laboratori degli studios cominciarono a rendere la pellicola più grigia e sfu¬mata nella fase di sviluppo. Nel 1931 la Eastman Kodak introdusse la pelli¬cola Super Sensitive Panchromatic, adatta alla luce diffusa prodotta dalle lampade a incandescenza che si erano rese necessarie in seguito all'introdu¬zione del sonoro. Alcuni film sceglievano un'immagine scintillante e poco contrastata per trasmettere fascino o un'atmosfera romantica; altri preferivano uno stile meno impastato, pur evitando sempre contrasti eccessi¬vi di bianchi e neri . Una pratica diffusa tra i registi americani degli anni Trenta era radu¬nare gli attori in un'area relativamente priva di profondità, per poi passare da uno all'altro alternando campi e controcampi. Altri preferivano compor¬re inquadrature più profonde, magari lasciando leggermente fuori fuoco l'area in primo piano oppure mantenendo a fuoco l'intera imma¬gine. Il regista Orson Welles e l'operatore Gregg Toland svilupparono il con¬cetto della profondità di fuoco e ne fecero un uso estensivo in Quarto potere. Molte delle inquadrature in profondità del film sono ottenute con la stam-pante ottica, combinando piani nitidamente a fuoco girati separatamente; in alcuni casi certi elementi in primissimo piano sono disposti molto vicino all'obiettivo e a distanza notevole da quelli sullo sfondo, e tutto risulta per¬fettamente a fuoco: l'esempio più spettacolare è la lunga scena della firma del contratto. Welles sperimentò ancora su questa soluzione nel suo secondo film, L'orgoglio degli Amberson (The Magnificent Ambersons, 1942), per il quale l'operatore Stanley Cortez ottenne molte inquadrature con profondità di fuoco senza ricorrere a trucchi fotografici. L'influenza di que¬sti film visivamente innovativi si diffuse presto in tutto il cinema e compor¬re inquadrature su piani distanti fra loro egualmente a fuoco divenne pratica comune. Nel complesso, l'innovazione tecnologica tra il 1930 e il 1945 non cambiò il cinema di Hollywood in modo sostanziale: l’azione narrativa e la psicologia dei personaggi rimasero centrali e la regola della contiguità assi¬curò un orientamento tradizionale nello spazio del film. Suono, colore, profondità di fuoco e altre tecniche porrarono tuttavia importanti innova-zioni nello stile.

REGISTI DI PRIMO PIANO
In aggiunta ai registi affermati che già lavoravano a Hollywood, l'introdu¬zione del sonoro e la difficile situazione politica nel vecchio continente portaro¬no agli studios molti nuovi registi di formazione teatrale o di origine europea.

La vecchia generazione

• Charles Chaplin fu uno dei più strenui avversari del cinema parlato. Come produttore di se stesso e star di popolarità eccezionale, fu in grado di continuare a fare film "muti" (solo con musica ed effetti sonori) più a lungo di chiunque altro a Hollywood. La sua produzione, comunque, rallentò in modo considerevole e si limitò a due lungometraggi senza dialoghi, Luci della città 1931 e Tempi moderni 1936. Il primo film parlato di Chaplin, Il grande dittatore (The Great Dietator, 1940), una impreve¬dibile commedia sulla Germania nazista.
• Josef von Sternberg aveva diretto in Germania L'angelo azzurro, il suo secondo film sonoro. Tornato a Hollywood con la star del film, Marlene Dietrich, vi realizzò altri sei film, tutti con la sua attrice, tra cui Marocco (Morocco, 1930) e Venere bionda (Bionde Venus, 1932). La passione di Sternberg per le ombre e per le inquadrature barocche divenne ancora più intensa e l'attenzione minuziosa a costumi, illuminazio¬ne e fotografia donò a Marlene Dietrich un fascino raramente eguagliato.
• Ernst Lubitsch si adeguò rapidamente al sonoro con Il principe consorte e proseguì realizzando molti musical e popolari commedie. Diresse anche Greta Garbo nel suo penultimo film, Ninotchka.
• John Ford continuò a essere notevolmente prolifico, firmando ventisei film negli anni Trenta e molti altri nel decennio seguente, prima di arruo¬larsi in marina. Attivo soprattutto presso la 20th Century-Fox, diresse alcu¬ne delle star più popolari dello studio; realizzò una trilogia con Will Rogers (Dr. Bull (1933), Il giudice Priest (1934) e Il battello pazzo), Nonostante la sua propen¬sione per il western, ne girò uno solo durante questo periodo: ma si tratta¬va di Ombre rosse (Stagecoach, 1939), che divenne un classico del genere. Il film segue il viaggio di un eterogeneo gruppo di persone attraverso il peri-coloso territorio dei pellerossa; Ford usò qui per la prima volta le irreali for¬mazioni rocciose della Monument Valley, una scenografia naturale che sarebbe divenuta il suo marchio di fabbrica nei western successivi. Quello stesso anno Ford diresse Alba di gloria. Com'era verde la mia valle (1941) rac¬conta invece con tono nostalgico la progressiva disintegrazione di una fami¬glia molto unita di minatori gallesi. Ford fu in grado di creare situazioni profondamente commoventi utilizzando il campo lungo o indugiando quietamente su una scena silenziosa mentre i personaggi riflettono su quanto è accaduto . Nella composizione delle inquadrature e nel modo di ripresa, egli fece un uso innovativo delle profondità di campo che avrebbe influenzato Orson Welles (il quale, prima di fare Quarto potere, stu¬diò con attenzione Ombre rosse).
• Howard Hawks, che aveva cominciato la sua carriera a metà degli anni Venti, solo ora potè affermarsi veramente. Come Ford, si cimentò in gene¬ri diversi, specializzandosi in un cinema asciutto nel racconto e nella reci¬tazione e rivelandosi maestro del ritmo veloce e del montaggio contiguo. La signora del venerdì è il modello della commedia sonora. La divertente sceneggiatura rac¬conta del direttore di un giornale che cerca di impedire alla ex moglie di rinunciare al giornalismo per risposarsi: l'attira quindi nella missione di smascherare alcuni politici corrotti che, per assicurarsi la vittoria alle ele¬zioni, vogliono far condannare a morte un povero diavolo innocente. Cary Grant, Rosalind Russell recitano a velocità verti¬ginosa un dialogo scoppiettante, mentre Hawks registra l'azione con campi e controcampi "invisibili" e aggiustamenti discreti dell'inquadratura. Hawks si dedicò alle avventure in aeroplano con Avventurieri dell'aria, ambientato in un porticciolo del Sudamerica dove una piccola linea aerea cerca di recapitare la posta al di là di uno stretto passaggio tra le montagne. Hawks crea un' intensa atmosfera di amore e pericolo con mezzi semplici: gran parte dell'azione si svolge all'interno e nei paraggi di un unico edifi¬cio, immerso nella notte o nella nebbia, dove i componenti la piccola comu¬nità aspettano il ritorno di ogni volo. Come spesso accade nei film di Hawks, i personaggi, sia maschili che femminili, devono dimo¬strarsi abbastanza duri e stoici da poter affrontare i loro problemi.
• William Wyler aveva esordito come regista di western a basso costo sul finire del periodo muto, ma la sua occasione arrivò nel 1936 quando iniziò a lavorare con il produttore indipendente Samuel Goldwyn. Diresse diversi film degni di nota: tra questi, Figlia del vento, La voce nella tempesta e Piccole volpi. La foto¬grafia degli ultimi due film è di Gregg Toland, ed entrambi hanno immagi¬ni in profondità di campo che ricordano i film di Ford e di Welles.
• Il veterano Frank Borzage continuò a dirigere melodrammi sentimen¬tali. Addio alle armi era l'adattamento del roman¬zo di Hemingway su un soldato americano e un'infermiera inglese che si innamorano durante la prima guerra mondiale.
• King Vidor continuò a frequentare una varietà di generi, dal western al melodramma. Il suo Amore sublime, è un classico mélo e raccon¬ta di un'operaia che sposa il figlio del padrone di una fabbrica: l'incapacità della donna di superare le differenze di classe dovute alle sue umili origini finisce per minacciare il matrimonio di sua figlia con un giovane della buona società; così preferisce sacrificarsi, divorziando dal marito e facendo adotta¬re sua figlia dalla nuova e più raffinata moglie di lui.
• Raoul Walsh lavorò in svariati generi e realizzò parecchi impor¬tanti film d'azione a cavallo tra gli anni Trenta e i Quaranta. I ruggenti anni Venti (The Roaring Twenties, 1939) è un film di gangster che mette a confronto le vite i tre reduci della prima guerra mondiale. Il film è notevole anche per alcune spettacolari sequenze di montaggio, tra cui la rappresentazione del crollo dei mercati finanziari con l'immagine di una telescrivente che si gonfia fino a rag¬giungere una dimensioone enorme e poi va in pezzi. Una pallottola per Roy (High Sierra, 1940) è la storia di un assassino (Humphrey Bogart) che fugge tra le montagne per sottrarsi alla polizia e diventa amico di una ragazza zoppa. Il film segnò una svolta nella carriera di Bogart.

Nuovi registi
L’introduzione del sonoro portò a Hollywood diversi registi teatralida New York. Tra questi George Cukor, che si specializzo’ in prestigiosi adattamenti letterari lavorando soprattutto alla MGM. Un altro regista venuto da Broadway fu Vincente Minnelli, che divenne speciaiista di musical. Nel 1940 entrò nella divisione musical della MGM che, sotto il produttore Arthur Freed, avreb~e presto radunato alcuni dei migliori talenti musicali di Hollywood, da Judy Garland a Gene Kelly e Fred Astaire. Minnelli curò la coreografia di alcuni film di Busby Berkeley, tra i quali Musica indiavolata, e fu poi promosso alla regia con Due cuori in cielo. Il suo film più celebrato del periodo bellico fu Incontriamoci a Saint Louis con Judy Garland.
Altri nuovi registi di questo periodo emersero dalle file degli sceneggia¬tori. Preston Sturges che aveva lavorato alla complessa di Quarto Potere passò alla regia. Un altro sceneggiatore passato alla regia era John Huston, che aveva collaborato a Figlia del vento e Una pallottola per Roy. Il suo film d'esordio, Il mistero del falco è uno dei primi esempi di film noir. Huston passò gran parte della guerra sotto le armi e girò alcuni importanti documentari bellici prima del suo ritorno a Hollywood dopo il 1945. Tra i registi emersi fra il 1930 e il 1945 colui che avrebbe avuto più influenza fu Orson Welles.

Registi immigrati
I cineasti stranieri continuarono ad affluire a Hollywood. Se alcuni erano attratti dai salari più alti o dalla possibilità di lavorare negli studios meglio attrezzati del mondo, il diffondersi del fascismo in Europa e l'inizio della seconda guerra mondiale aumentarono il numero di coloro che cercava¬no rifugio negli Stati Uniti. Insoddisfatto della sua scarsa autorità in Inghilterra e affascinato dalle possibilità tecniche offerte da Hollywood, Alfred Hitchcock firmò un con¬tratto con David O. Selznick: il suo primo film americano, Rebecca, la prima moglie, era una prestigioso adattamento letterario e vinse l'0scar come miglior film, ma non rientrava pienamente nel genere suspense per cui il regi¬sta era famoso. Tra i numerosi film da lui realizzati durante la guerra c'è L'ombra del dubbio (Shadow of a Doubt, 1943): un uomo che seduce e uccide ricche vedove è ospitato dalla famiglia di sua sorella in una cittadina pella California; riesce ad affascinare tutti, finchè la giovane nipote scopre la verità e ne rimane sconvolta. Girando in esterni, Hitchcock esaltò una quie¬ta atmosfera di provincia che metteva ancor più in risalto i segreti delitti dell'assassino. L'esodo tedesco a Hollywood iniziato nell'era del muto accelerò quando i nazisti presero il potere nel 1933. Fritz Lang arrivò nel 1934; potè lavorare con regolarità (circa un film all'anno fino al 1956), ma di rado ebbe il pieno controllo sui suoi progetti e non raggiunse mai il prestigio che aveva avuto in Germania. Lavorò in molti generi, realizzando western, film di spionag¬gio, melodrammi e film di suspense. Altri due nuovi arrivati furono Billy Wilder e Otto Preminger. Wilder era stato sceneggiatore in Germania e proseguì la carriera a Hollywood; il suo cupo studio sull'alcoolismo, Giorni perduti (The Lost Week-end, 1945) ottenne l'0scar come miglior film. Preminger, pur essendo ebreo, si trovò ad interpretare negli Stati Uniti il ruolo di perfidi nazisti. Riuscì comunque a conquistare la sedia da regista nei primi anni Quaranta.

INNOVAZIONI E TRASFORMAZIONI DEI GENERI
Molti generi dell'era del muto continuarono a vivere nel periodo sono¬ro. Tuttavia, i mutamenti tecnici del settore e più generalmente le trasfor¬mazioni sociali provocarono il sorgere di nuovi generi e l'introduzione nei vecchi di alcune varianti.

Il musical
L'introduzione del sonoro promosse il musical a un ruolo di primo piano. Alcuni dei primi musical "rivista" si limitavano a cucire insieme diversi numeri musicali; altri, come La canzone di Broadway, raccontavano storie dietro le quinte di uno spettacolo, giustificando ciascun numero come esibizione dei personaggi. Esistevano anche musical-operetta - un esempio è Il principe consorte - che ambientavano le storie e i numeri musicali in luoghi di fantasia. Nei musical "integrati", infine, canti e balli si svolgevano in ambienti comuni. Presto il musical "rivista" morì, ma tutti gli altri tipi rimasero in auge. Un delizioso esempio del sottogenere "operetta" fu Amami stanotte (Love Me Tonight, 1932) di Rouben Mamoulian. Il film inizia con una scena dove si sente l'influenza dei primi film sonori di René Clair: una strada parigina prende vita sul far del mattino e ogni rumore contribuisce a formare un ritmo che sfocia in un numero musicale. Il musical "dietro le quinte" fu reso tipico da una serie di film della Warner Bros. coreografati da Busby Berkeley. Quarantaduesima strada (42nd Street, di Lloyd Bacon, 1933) fissò molte convenzioni del genere: una inge¬nua corista diventa improvvisamente una star quando la solista si infortu¬na alla vigilia della prima di un grande spettacolo a Broadway. Il regista la incoraggia e naturalmente la ragazza diventa davvero una star e lo spettacolo sul palco¬scenico include alcune delle complesse coreografie di Berkeley, realizzate montando la cinepresa su una piattaforma sospesa in cima a un braccio mec¬canico.
I musical con Fred Astaire e Ginger Rogers, coreografati da Hermes Pan, erano tra i più popolari. In Follie d'inverno (Swing Time, di George Stevens, 1936), Astaire è un ballerino di vaudeville che corteggia vinger Rogers, istruttrice di danza. Che avessero trame "dietro le quinte" o "inte¬grate", i musical Astaire-Rogers erano sempre storie d'amore, e molti dei numeri di danza erano parte del corteggiamento della coppia: nonostante le iniziali incomprensioni e gli antagonismi, l'elegante armonia dei loro movi¬menti mostra che sono fatti l'uno per l'altra. Nella stessa epoca anche la MGM diede al genere musicale il suo con¬tributo. Mickef Rooney e Judy Garland fecero coppia in diversi film centra¬ ti su adolescenti impegnati a "montare" uno spettacolo, come Musica india¬volata. Judy Garland divenne una star nella sfarzosa fantasia in Technicolor Il mago di Oz, e uno dei suoi film migliori fu Incontriamoci a Saint Louis di Minnelli. Un'altra star MGM la cui carriera iniziò in questo periodo fu Gene Kelly, il cui stile di danza era spesso chiassoso e atletico come nel numero «Make Way for Tomorrow» in Fascino di Charles Vidor (1944).

La screwball comedy
Nella screwball comedy, al centro della trama sono sempre romantiche coppie di eccentrici, ritratti spesso con toni da slapstick: anche per questo, i protagonisti sono di solito gente agiata, che può permettersi di comportarsi in modo bizzarro nonostante le avversità della Depressione. La coppia può all'inizio essere antagonistica, come in Scandalo a Filadeifia di George Cukor, ma non sono rari gli amori che valicano le divi¬sioni di classe. La screwball comedy fu inaugurata nel 1934 da due film molto diversi. Ventesimo secolo (Twentieth Century) di Hawks tratta i suoi due protagonisti, Carole Lombard e John Barrymore, con assoluto cinismo: un impresario tea¬trale un po' gigione trasforma una bellissima commessa in una star e poi la seduce; ma presto lei adotta nella vita di tutti i giorni gli stessi atteggiamenti
teatrali di lui, e la seconda metà del film - tutta ambientata su un treno – è una rassegna di liti e capricci. L'altra screwball comedy del 1934, Accadde una notte, di Capra, è più sentimentale. La protagonista viziata che cerca di sfuggire a suo padre per sposare un superficiale playboy rese popola-re il personaggio della "ereditiera testa matta": un reporter molto più con¬creto l'aiuta sperando in uno scoop, e i due si innamorano. L'immagine della donna ricca e viziata sarebbe stata portata agli estremi in Susanna (Bringing Up Baby, 1938) di Hawks. Il genere si sviluppò rapidamente, e Capra restò uno dei suoi esponenti migliori. I primi film del genere parlavano della Depressione, ad esempio in Accadde una notte, il reporter vuole scrivere un articolo sull'ereditiera fuggitiva per riguadagnarsi il lavoro. Più in là nel decennio, comunque, le trame di molte screwball comedies abbandonarono i problemi sociali dell' epoca, specialmente quello della disoccupazione. La screwball comedy fiorì tra il 1934 e il 1945. Sturges vi contribuì anche con il tardo e più amaro Infedelmente tua (Unfaithfully Yours, 1948), in cui un direttore d'orchestra si convince che sua moglie ha un amante e durante un concerto fantastica di ucciderla in tre modi diversi, ognuno legato a un brano musicale appropriato. Anche Hawks realizzò due screw¬ball postbelliche: in Ero uno sposo di guerra (un ufficiale francese patisce una serie di umiliazioni quando deve vestirsi da donna per accompagnare la sua fidanzata negli Stati Uniti dopo la seconda guerra mondiale) e Il magnifico scherzo (mostra invece i deliranti effetti di un siero della giovinezza su persone apparentemente rispettabili).

Il film horror
Nell'epoca del somoro l'horror divenne un genere di primo piano. Alcuni film dell'orrore erano stati prodotti negli anni Venti, perlopiù dalla Universal. Lo schema di molti film futuri fu fissato nel 1927 dal popolare Il castello degli spettri di Paul Leni, in cui un gruppo di persone si trova in un castello iso¬lato per assistere alla lettura di un testamento. La Universal rinnovò questi primi successi nel suo filone horror, a cominciare da Dracula di Tod Browning: anche se tradiva la sua provenienza dalla versione teatrale del romanzo originale di Bram Stoker del 1897, e pur soffrendo di alcune delle lentezze dei primi film sonori, il film fu un succes¬so dovuto in gran parte all' interpretazione di Bela Lugosi nel ruolo principa¬le. Poco dopo, Frankenstein di James Whale trasformò Boris Karloff in una star, grazie all' interpretazione del mostro con l'aiuto di un pesante trucco. Il ciclo horror della Universal raggiunse il clou fra il 1932 e il 1935: Whale diresse The Old Dark House (La vecchia casa oscura, 1932), che bilanciava suspense e commedia intrappolando un gruppo di eccentrici in una isolata casa di campagna nella proverbiale notte buia e tempestosa; e firmò anche L'uomo invisibile e La moglie di Frankenstein. Uno dei più efficaci ed eleganti tra questi film fu La mummia (The Mummy), diretto nel 1932 da Karl Freund (l'operatore tedesco di L'ultima risata e di molte altre importanti opere del muto): la mummia di un antico sacerdote egiziano torna in vita ai giorni nostri e cerca di uccidere una donna che ritiene essere la reincarnazione della sua defunta amata. Negli anni seguenti, gli horror della Universal si appiattirono nella reiterazione delle formule. Una seconda serie significativa di horror fu realizzata nei primi anni Quaranta dal reparto "B" della RKO per iniziativa del produttore Lewton, che che con un budget ridotto, i film di Lewton evitavano l'ostenta¬zione visiva di mostri e violenza, concentrandosi invece sulla minaccia di orrori invisibili. In Il bacio della pantera, la protagonista è ossessionata da una pantera allo zoo e sembra avere il potere soprannaturale di trasformarsi in una belva assassina.

Il cinema sociale
La Depressione risvegliò l'interesse per i problemi sociali e molti film degli anni Trenta se ne occuparono. Nel 1934, ad esempio, King Vidor girò Nostro pane quotidiano, ritraendo un gruppo di disoccupati che organizzavano una coopera¬tiva agricola. La Warner Bros. era particolarmente impegnata nel cinema sociale. Fritz Lang fece uno dei migliori film di argomento sociale, Furia (Fury, 1936), sul tema del linciaggio: mentre è in viaggio per recarsi dalla sua fidanzata, il protagonista viene arrestato in una piccola città e accusato ingiustamente di omicidio; i cittadini danno fuoco alla prigione e lui viene dato per morto. In realtà è salvo, ma è amareggiato al punto da permettere quasi che i suoi aggressori vengano condannati per la sua morte, prima che la protagonista lo persuada a farsi avanti. John Ford contribuì al cinema sociale con Furore 1940, un adattamento del romanzo di John Steinbeck sui contadini del¬l'Oklahoma rovinati dalla Depressione. Dopo l'entrata in guerra degli Stati Uniti, l'incremento dell'occupazio¬ne e la ritrovata prosperità ridussero la produzione di film sociali: il genere sarebbe resuscitato nel dopoguerra.

Il film di gangster
Il genere gangster era legato in qualche modo al cinema sociale. Anche se all'epoca del muto il cinema si era occupato sporadicamente delle bande di strada, il primo film importante imperniato su un gangster fu Le notti di Chicago di von Sternberg. Il genere guadagnò prestigio nei primi anni Trenta con Piccolo Cesare, Nemico pubblico e Scarface (di Howard Hawks, 1932): si trattava di film d'attualità, che traevano ispirazione dal crimine organizzato cresciuto durante il Proibizionismo (1920-1933). I film di gangster erano centrati sull'ascesa al potere di criminali senza scrupoli, una progressione scandita da vestiti sempre più costosi e automo¬bili potenti. Il Codice Hays proibiva di raf¬figurare in maniera positiva i criminali, ma i produttori si difendevano sostenendo di limitarsi a esaminare un problema sociale.Tutti i prota¬gonisti muoiono violentemente nel finale, così che gli studios potessero sostenere di aver dimostrato che il delitto non paga. Tuttavia, i gruppi di opinione insistevano sul fatto che questi finali non fossero suffi¬cienti a cancellare la raffigurazione del crimine come uno stile di vita movimentato ed eccitante: per queste ragioni l'uscita di Scarface fu ritardata e i produttori furono obbligati a inserire scene - non girate da Hawks - con poliziotti e politici che denigravano la forza e la violenza delle bande. Gli studios si sforzarono di evitare la censura senza dover rinunciare all'eccitazione che il genere poteva garantire: ad attori strettamente iden¬tificati con ruoli criminali, come James Cagney e Edward G. Robinson, venivano affidati anche ruoli di poliziotti duri e violenti.

Il film noir

In qualche misura la narrazione cinica e violenta del film di gangster fu raccolta dal film noir. Nel 1946 questo termine fu assegnato dai critici fran¬cesi a un gruppo di film americani girati durante la guerra e distribuiti all'e¬stero in rapida successione dopo il 1945: "noir" significa "nero" o "scuro" ma può anche voler dire "tenebroso". Per convenzione si ritiene che il noir, più simile a uno stile e a una tendenza narrativa che a un genere vero e proprio, nasca nel 1941 con Il mistero del falco di Huston o, ancor prima, col B-movie Lo sconosciuto del terzo Piano. La maggioranza dei noir raccontano delitti, ma la tendenza scavalca i generi e comprende opere di impegno sociale e spy stories. Il noir deriva dal romanzo poliziesco hard-boiled americano, le cui ori¬gini risalgono agli anni Venti. In romanzi scabri e sensazionalistici come Piombo e sanglle (Red Hat"Vest, 1929) Dashiell Hammett si era contrapposto ai classici gialli inglesi e alle loro atmosfere posate, ambientate tra personaggi di classe elevata e in eleganti dimore di campagna; altri importanti autori hard-boiled erano Raymond Chandler, James M. Cain e Cornell Woolrich. Così come i loro modelli letterari i noir si rivolgevano soprattutto a un pubblico maschile: gli eroi sono quasi sempre uomini, di solito investigatori o criminali, caratterizzati da pessimismo, insicurezza o da una visione del mondo fredda e distaccata. Le donne sono seducenti ma traditrici, spingono i protago¬nisti nel pericolo o li usano a fini egoistici. L’ambientazione classica è la gran¬de città, specialmente in scene notturne: marciapiedi lucenti e bagnati di piog¬gia, vicoli oscuri e bar equivoci sono i luoghi tipici. Lo stile abbonda di ango¬lazioni dall'alto o dal basso, luci soffuse, forti grandangoli e riprese in esterni, anche se capita che alcuni film noir contengano pochi di questi elementi. Il mistero del falco fissò molte delle convenzioni del noir. Humphrey Bogart divenne una star di prima grandezza nel ruolo di Sam Spade, un inve¬stigatore privato che deve decidere se denunciare o meno l'infida donna fata¬le che lo ha assunto e che lui (forse) ama: in una lunga inquadratura lui le spiega amaramente perché deve mandarla in prigione e promette di aspettar¬la durante gli anni che dovrà scontare; la donna viene portata via dalla poli¬zia in ascensore, mentre sul suo viso si disegna un'ombra che la marchia come il prototipo della dark lady.
Il debito del noir nei confronti del cinema tedesco degli anni Venti può essere in parte spiegato dal fatto che quattro registi europei furono tra i prin¬cipali esponenti del genere. Il dottor Mabuse di Lang aveva anticipato il noir, e la sua carriera americana sviluppò questa tendenza e portò ad altri due notevoli noir del periodo bellico: La donna del ritratto (Woman in the Window, 1944) e La strada scarlatta (Scarle! Street, 1945). Un altro immigrato tedesco, Otto Preminger, raggiunse la fama con un imponante noir: Vertigine (Laura, 1944) racconta di un poliziotto frustrato che indaga sull'omicidio di una sofisticata dirigente pubblicitaria e si inna¬mora di lei attraverso il suo diario e il suo ritratto. I flashback, le vivide scene oniriche, i colpi di scena, furono un caso estremo di narrazione noir.
L'esempio forse migliore del noir di epoca bellica venne da un altro immigrato; La fiamma del peccato (di Billy Wilder, 1944). I noir erano l'unico genere di Hollywood che consentisse finali non lieti, anche se a volte si aggiungeva un lieto fine improvviso - e spesso poco convincente. La fiamma del peccato rispettò le con¬venzioni anche nelle luci, con le immagini spesso solcate da ombre di vene¬ziane e di altri elementi della scenografia.

Il film di guerra
Tra il 1930 e il 1945 i film di guerra subirono grandi cambiamenti. La disillusione seguita alla prima guerra mondiale era sfociata in un pacifismo che dominò i film di tutti gli anni Trenta, e fino a Pearl Harbour la maggio¬ranza dei cittadini americani si oppose all'entrata in guerra. Dopo Pearl Harbour, comunque, il cinema sostenne la causa bellica fino in fondo. I film di guerra erano vivaci e spesso mostravano americani di varie origini etniche uniti nel combattere l'Asse: in Arcipelago in fiamme (Air Force, di Howard Hawks, 1943), uomini provenienti dall'Europa orientale, dall'Ir¬landa, ebrei e altri, sono membri dell'equipaggio dello stesso bombardiere. Molti film di guerra sui nazisti si limitavano a rappresentarli come assassini a sangue freddo; la propaganda' contro i giapponesi; però, spesso aveva toni più razzisti, e sfruttava immagini stereotipate: in Obiettivo Burma! (Objective Burma, di Raoul Walsh, 1945), ad esempio, il protagonista condu¬ce una squadra di paracadutisti a liberare una parte della Birmania dai giap¬ponesi, i quali a un certo punto vengono definiti "scimmie".
Uno dei pochi film di guerra a mostrare meno entusiasmo fu I sacrifica¬ti di Bataan (They Were Expendable, di John Ford, 1945), storia dell'equipag¬gio di un torpediniere che combatte valorosamente ma viene sconfitto nelle Filippine: alcuni soldati vengono tratti in salvo ma altri, incluso uno dei pro-tagonisti, devono restare indietro ed affrontare la cattura o la morte. Ford, che era stato in Marina ed era stato ferito mentre riprendeva materiale per il suo documentario The Battle of Midway (La battaglia delle Midway, 1942), rea¬lizzò per I sacrificati di Bataan molte scene realistiche di combattimento.

L'ANIMAZIONE E LO STUDIO SYSTEM
Prima del 1910 i film di animazione avevano costituito una novità; arri¬vati agli anni Trenta, però, la generale adozione di metodi di lavoro più razio¬nali li aveva resi comuni in quasi tutti i programmi cinematografici. Sia le major che le minor distribuivano regolarmente disegni animati producendoli nei propri dipartimenti di animazione. Alcune di queste serie erano altamente standardizzate, sfornate con effi¬cienti sistemi da catena di montaggio; la Universal distribuì film di Walter Lantz dal 1929 fino al 1972; il personaggio più famoso di Lantz, Picchiarello (Woody Woodpecker), debuttò nel 1941. Inoltre vi erano le serie prodotte dallo studio Walt Disney, una casa indipendente dedita esclusivamente all'animazione. Nel 1928, l'e¬norme successo di Disney con Steamboat Willie, un cartone animato di Topolino (Mickey Mouse), aveva traghettato l'animazione nell' era del sonoro, dandole notevole rispettabilità. Lo studio proseguì con disegni animati di Topolino. Nel 1932, la Disney abbandonò la Columbia per affidare i suoi film alla prestigiosa distribuzione United Artists; la critica mondiale iniziò all'improvvviso a salutare nei suoi cortometraggi, dai movimenti fluidi e con il dialogo ridotto al minimo, la risposta ai problemi dei film sonori troppo parlati. Lo studio fu anche tra i primi ad adottare il Technicolor a tripla pellicola. Disney dominò gli Oscar nella categoria riservata ai cartoni animati con film come I tre porcellini. La società investiva molto sui suoi prodot¬ti, mettendo al lavoro un enorme staff di disegnatori in grado di creare sfondi dettagliati e ombreggiati e una quantità di disegni in movimento dai colori brillanti. Nel 1937 la Disney passò a farsi distribuire dalla RKO, risollevandola da una situazione traballante con l'uscita di Biancaneve e i sette nani, il primo lungometraggio americano di ani¬mazione. Bambi del 1942 sviluppò la naturale propensione per gli sfondi realistici, con morbidi dipin¬ti a pastello per le ambientazioni naturali. Il film fece anche ampio uso della nuova cinepresa multiplane un elaborato banco di animazione che permetteva di distri¬buire gli ambienti e le figure su cels posti su vari livelli: ognuno di questi livelli poteva essere spostato fotogramma per fotogramma a varie velocità avvicinandolo o allontanandolo dalla macchina da presa, dando così allo spet¬tatore l'illusione di attraversare uno spazio tridimensionale. Nel 1927, la Paramount iniziò a distribuire film di Max e Dave Fleischer: il duo introdusse Betty Boop, una ragazza sexy e innocente che passava per una quantità di avventure, spesso incontrando fantasmi e mostri. Betty dovette smorzare di molto i toni dopo che nel 1934 fu imposto il rispetto del Codice Hays; una figura secondaria apparsa per la prima volta in Popeye the Sailor (Popeye il marinaio), un cartone di Betty Boop del 1933, divenne così la star principale dello studio. I Fleischer distri¬buirono illungometraggio I viaggi di Gulliver che dava al personaggio movimenti realistici realizzati col rotoscope, riser¬vando ai lillipuziani un aspetto più caricaturale. Nel 1930 la Warner Bros aprì un reparto animazione nei suoi studi a Hollywoode e anche i loro cortometraggi furono costruiti su canzoni popolari, trat¬te dai musical dello studio: la serie fu battezzata "Looney Tunes" ("Melodie sciocche"). Il sistema Warner era più elastico di quello degli altri studios: nacquero così superstar come Porky Pig, Daffy Duck, Bugs Bunny e Elmer Fudd. Il gruppo Warner non aveva le risorse per creare sfondi dettagliati o figure animate ai livelli dei prodotti Disney: il loro marchio di fabbrica divenne la velocità, il riferimento all'attualità e un umorismo demenziale che contrastava con il sentimentalismo e la carineria della maggior parte degli altri cartoni. I cortome-traggi della Warner piacevano agli adulti quanto ai bambini e divennero enormemente popolari.

 

 

 

 

 

 

 

12 – URSS, GERMANIA E ITALIA

ITALIA: PROPAGANDA CONTRO IL DIVERTIMENTO
Per tutti gli anni venti il fascismo non si diede troppo da fare per mettere i media sotto controllo; l’unico sforzo che il governo fece per centralizzare la propaganda fu la costituzione dell’ Unione Cinematografica Educativa (LUCE) allo scopo di controllare documentari e cinegiornali. Le ragioni di questo disinteresse sono attribuibili all’ideologia fascista, molto più vaga di quella comunista o nazista, che pur cercando di disciplinare la vita pubblica, badava a non toccare troppo gli interessi privati e a dare assistenza all’industria piuttosto che nazionalizzarla.

Tendenze dell’industria
Alla fine degli anni venti l’imprenditore Stefano Pittaluga cercò di rianimare l’industria cinematografica italiana creando una società a concentrazione verticale. Acquistò anche il vecchio studio della CINES e lo riaprì nel 1930; per qualche anno dominò la produzione italiana, ma non poteva risanare da sola l’intera industria in crisi; la concorrenza dei film stranieri era ancora troppo forte e l’avvento del sonoro accelerò il declino della produzione; nel 1930 si produssero solo 12 film italiani. Tra il 1931 1 1933 il cinema fu oggetto di una serie di leggi protezionistiche; il governo garantì una serie di sussidi, obbligò le sale a proiettare un dato numero di film italiani e tassò i film stranieri. Venne anche inaugurata nel 1932 la Mostra del Cinema di Venezia, ideata come vetrina internazionale per i film italiani. Al declino della nuova CINES corrispose quindi la nascita di nuove altre case di produzione (LUX,MANENTI,TITANUS,ERA) e alla fine degli anni trenta la produzione poteva contare cu circa 45 film all’anno, ma purtroppo la maggior parte dei film non avevano successo commerciale. Nel 1934 il governo intervenne in maniera più decisa, creando la Direzione Generale per la Cinematografia diretta da Luigi Freddi, che si distinse subito nel nuovo incarico per un atteggiamento stranamente liberista; era convinto che gli spettatori italiani avrebbero rifiutato film pesantemente propagandistici e si affiancò ai produttori per incrementare un cinema di “distrazione” vicino allo spirito hollywoodiano (il cinema italiano non divenne mai un cinema politico standardizzato, lo stesso Mussolini di rado vietava film anche se li vedeva tutti in anteprima come Stalin). Questo punto di vista portò il governo a una serie di nuove scelte; nel 1935 nacque l’ Ente Nazionale delle Industrie Cinematografiche (ENIC) cui fu data autorità per intervenire in ogni settore del cinema. L’ENIC rilevò la società di Pittaluga, ma nel 1935 gli studi della CINES furono distrutti da un incendio; iniziò la costruzione di Cinecittà sovrintesa da Freddi, un moderno complesso di teatri di posa statali alla periferia di Roma. Venne fondata anche una scuola di cinema, il Centro Sperimentale di Cinematografia , che ben presto iniziò anche pubblicare la rivista “bianco e nero” che prosegue anche tuttora le pubblicazioni. L’investimento del Governo nella cultura alimentò il prestigio internazionale, l’Italia aveva l’aspetto di un paese moderno e cosmopolita, e registi stranieri venivano a girare nella penisola. Anche la legislazione si fece più incisiva: una legge garantì finanziamenti statali per i film ad alto budget, la legge Alfieri commisurava stanziamenti ai film in base al numero di biglietti venduti e quindi favorendo i film che piacevano al popolo, e la legge sul Monopolio diede all’ENIC il controllo di tutti i film importati. Il risultato di tutto ciò fu che nel 1941 la produzione era raddoppiata; 83 lungometraggi prodotti.

Un cinema di evasione
Questa relativa autonomia dell’industria cinematografica non rendeva il cinema immune dalla propaganda; documentari e cinegiornali del LUCE magnificavano il regime di Mussolini e non mancarono i film esplicitamente fascisti come Camicia nera di Gioacchino Forzano del 1932 e Vecchia guardia di Alessandro Blasetti DEL 1933. Le politiche fasciste furono glorificate in modo più indiretto in spettacoli storico patriottici come 1860 Blasetti e Scipione l’Africano di Carmine Gallone (1937). Nonostante l’odio per il comunismo erano apprezzati dagli intellettuali fascisti anche i film sovietici e speravano in un cinema di propaganda nazionalistica; questi ”fascisti di sinistra” apprezzavano lo spettacolo epico, masse in marci a sull’Etiopia, battaglie, ed elefanti di Roma lanciati contro le orde pagane. Comunque fino alla seconda guerra mondiale il cinema propagandistico non emerse e la norma fu quella di un cinema di evasione. Il periodo vide fiorire diversi generi popolari, commedie o melodrammi drammatici ambientati tra gente ricca e ambienti sfarzosi (da qui il nome film dei telefoni bianchi). Un prototipo fu La canzone dell’amore di Gennaro Righelli del 1930 e T’amerò per sempre di Mario Camerini del 1933. il cinema sonoro diede rapidamente il via alla produzione di commedie romantiche costruite su melodie di successo e incoraggiò l’umorismo dialettale e molti comici popolari come De Sica e Totò. De Sica recitò nella commedia romantica in film CINES che lo resero celebre come Gli Uomini che mascalzoni del 32 e Il Signor Max del 37 entrambi di Camerini. Più tardi De Sica divenne uno dei registi più importanti e l’accoppiata Aldo Fabrizi e Anna Magnani anticiparono con la commedia popolare successi del calibro di Roma città aperta. La varietà della produzione italiana è esemplificata nell’opera di Alessandro Blasetti che passò dal successo critico di Sole a Resurrectio (1930), un melodramma romantico in cui combinava il montaggio rapido e i complessi movimenti di macchina tipici dello stile internazionale del muto con tecniche sonore sperimentali. Blasetti sosteneva che gli artisti dovessero l’ideologia fascista in modo creativo. Con l’imponente 1860 il regista portò il dialetto nel film storico e ricorse al simbolismo eroico del cinema sovietico; firmò anche film dei “telefoni bianchi” , drammi psicologici e una commedia importante come Quattro passi tra le nuvole (1942) da un soggetto di Cesare Zavattini.

Un nuovo realismo?
Tra il 40 e 42 i successi bellici dell’Italia diedero forza anche al cinema e la nuova Cines, riportata in vita da Freddi, produsse più film di qualsiasi altra società, e questa impennata avviò la carriera di registi giovani che sarebbero diventati famosi nel dopoguerra. Tra i giovani intellettuali si stava intanto una coscienza antifascista, atmosfera che favoriva la nascita di nuove tendenze artistiche. Una di queste detta “calligrafismo” per i suoi impulsi decorativi, tornava alle tradizioni teatrali del XIX secolo; esempi tipici sono Un colpo di Pistola di Castellani e Via delle Cinque Lune di Chiarini. Ma una generazione più giovane stava già discutendo i meriti dell’arte realistica; influenzati da Hemingway ed altri autori americani, alcuni scrittori invocavano al ritorno del naturalismo e al Verismo di Verga e allo stesso modo sulle pagine di “Cinema” e di “Bianco e Nero” i critici invocavano un cinema che parlasse di gente vera in ambienti reali. Gli aspiranti registi intanto subivano l’influenza dei film della scuola sovietica e del realismo poetico francese. Nel 1939 Michelangelo Antonioni sognava un film ambientato sul fiume Po e che raccontasse la vita lungo la riva e nel 1943 venne realizzato in un cortometraggio dal titolo Gente del Po. Durante gli anni della guerra uscirono nuovi film che esprimevano una nuova fiducia nei dialetti, nelle riprese in esterni, e negli attori non professionisti. La nave bianca di Roberto Rossellini del 1941 puo’ essere considerato come uno dei precursori di questa nuova tendenza, ma a muoversi con decisione verso un nuovo realismo furono tre film dei primi anni 40:

- Quattro passi tra le nuvole (1942) di Blasetti racconta di un commesso viaggiatore che frustrato da una vita noiosa accetta di fingersi il marito di una ragazza incinta e ripudiata dalla famiglia. È una commedia populista su argomenti come la maternità extramatrimoniale, che conferì al genere una melanconia quietamente ironica.
- I Bambini ci guardano (1943) è il quinto film di De Sica, e il regista spinge il melodramma sull’orlo della tragedia descrivendo una donna tentata dall’abbandonare marito e figlio per un’amante; situazione famigliare che De Sica e lo sceneggiatore Cesare Zavattini complicano adottando il punto di vista del bambino; nell’impressionante finale il bambino rifiuta il bacio della madre che ha spinto il padre al suicidio. Anche se la famiglia dei protagonisti è benestante viene evitata l’eleganza dei “telefoni bianchi” a favore di una forte critica sociale.
- Ossessione (1943) fu la più audace manifestazione della tendenza al realismo, tratto dal romanzo di James M. Cain Il postino suona sempre due volte. I movimenti di macchina di visconti sono articolati come quelli di un film Hollywoodiano ma la messa in scena è sorprendentemente scabra; ambientato nella pianura padana arida e battuta dal sole e gli attori indossano vestiti sudati e sporchi. Oltre ad affrontare un tema proibito come l’adulterio, Visconti aggiunge al romanzo di Cain anche il tema dell’omosessualità; dopo alcune discusse proiezioni Ossessione fu tolto dalla circolazione.

La produzione italiana subì un precipitoso arresto e non si riprese fino al 1945 quando i ricordi della Resistenza e l’impegno di descrivere la vita quotidiana sarebbero state le fonti di ispirazione primaria del neorealismo.

 

 

 

 

 

 

 

13 - IL REALISMO POETICO E IL FRONTE POPOLARE (INCOMPLETO)
Realismo poetico
Il realismo poetico non è un vero e proprio movimento come l’impressionismo o l’avanguardia sovietica, è piuttosto una tendenza generale, un genere in cui i protagonisti sono figure ai margini della società che trovano un’occasione di riscatto in amori intensi ma che si risolvono in un’ultima, definitiva, sconfitta. Avvisaglie del realismo poetico le troviamo già in film come Le petite Lise di Jean Grémillon del 1930 e Pensione Mimosa di Feider del 1934. Fu però a metà degli anni trenta che il realismo poetico si affermò perentoriamente, con autori come JULIEN DUVIVIER, MARCEL CARNE’ E JEAN RENOIR. Il principale contributo di Duvivier è Pepè le Moko, storia di un gangster c he si nasconde nella Cashbah di Algeri e che si innamora di una Parigina, e quando tenta di fuggire con lei viene arrestato e poi si suicida. Pepè è interpretato da Jean Gabin, uno degli attori più popolari dell’epoca, perfetta incarnazione dell’eroe disperato; bello abbastanza da poter interpretare sia drammi che commedie ed plausibile anche come esponente della classe operaia, fu protagonista di Il porto delle nebbie e Alba Tragica, i due principali contributi al realismo poetico di Marcel Carné. Il più significativo dei registi francesi degli anni trenta fu pero’ Jean Renoir, la cui carriera si estende dagli anni 20 agli anni 60. Il suo primo film sonoro La Purga al Pupo fu solo una farsa con lo scopo per ottenere finanziamenti per altri progetti; il film seguente, La Cagna del 1931, è infatti ben diverso e può essere considerato un preludio al realismo poetico, oltre ad introdurre molti elementi che caratterizzeranno lo stile di Renoir, come virtuosistici movimenti di macchina, scene in profondità di campo e improvvisi cambiamenti di tono. Anche se lo stile del è realistico, Renoir lo apre e lo chiude col sipario di un teatrino di marionette, quasi a suggerire che si tratta solo di una recita. A metà degli anni trenta realizzò alcuni film sotto l’influenza dei progressisti del fronte popolare. Fece però anche Une partie de Campagne nel 1936, un breve film non politico in delicato equilibrio tra ironia e tragedia. Durante un picnic in una locanda di campagna una famiglia parigina incontra due giovani che seducono la moglie e la figlia, per la gioia della prima e la diperazione della seconda, visto che tra lei e il suo seduttore nasce un amore senza speranza. Per tutto il film Renoir esprime il piacere della vacanza e il senso di perdita che la seguirà. A causa del maltempo il film non potè essere ultimato e fu distribuito solo nel 1946 con 2 didascalie per riassumere le parti mancanti. Con La grande Illusione del 1937 Renoir assunse una posiszione pacifista nel momento in cui la guerra con la Germania sembrava imminente. Ambientato in un campo di prigionia tedesco dutrante la prima guerra mondiale, il film suggerisce che i legami di classe possano essere più importanti della fedeltà alla propria nazione; l’ufficiale francese protagonista si capisce di più con l’aristocratico comandante del campo tedesco che con i suoi uomini; quando egli si sacrifica per favorire la fuga di alcuni di essi il comandante tedesco (interpretato da Erich Von Stroheim) coglie l’unico fiore della prigione, alludendo all’estinzione della propria classe. La speranza sorride invece ai sottoposti Maréchal e Rosenthal, un operaio e un ebreo, che riescono a fuggire. Questo contrasto tra un’aristocrazia in declino e la classe lavoratrice appare anche nel film con cui Rnoir chiude il decennio, La Regola del Gioco del 1939: durante un grande ritrovo nel castello di un nobile, un celebre aviatore si innamora della moglie del padrone di casa che a sua volta sta cercando di fuggire con l’amante. La confusione amorosa trova eco anche nei paralleli intrghi tra i servitori. Le complicazioni galanti culminano nella lunga e virtuosistica scena in cui i personaggi entrano ed escono dalle stanze allacciando e sciogliendo i rapporti l’uno con l’altro. Alla fine la confusione causerà la morte di una persona, fatto che verrà nascosto dal padrone di casa. Per Renoir nessuno dei personaggi è malvagio, sono solo esseri umani fallibili e che reagiscono l’uno all’altro. In questo film Renoir impiegò scenografie spaziose e intricate, e ampi movimenti di macchina per esprimere la continua iterazione tra i personaggi. L’esito de La regola del gioco fu fallimentare; il pubblico non ne capì la mescolanza di humor e crudeltà e lo concepì come un attacco alla classe dirigente, infatti fu subito proibito.

Breve interludio: il fronte popolare
La sinistra francese non fu mai una forza compatta fino al 1934 quando la paura del fascismo e i problemi economici dovuti alla depressione diedero vita un partito di coalizione di sinistra che comprendeva il Partito comunista francese (PCF), i socialisti e i radicali socialisti moderati. Questa coalizione vinse le elezioni del 1936 e il socialista Léon Blum divenne capo del Governo. Il fronte popolare era compatto solo sulla carta, infatti dissensi interni sul modo di condurre il paese i blum fecero cadere il Governo nel 1937. Per quanto breve il periodo del fronte popolare aveva però avuto sul cinema un impatto visibile; il fronte popolare formò a gennaio del 1936 il gruppo Ciné-Liberté, finalizzato alla produzione di film e alla pubblicazione di una rivista. Il gruppo produsse La vie est à nous (1936), un lungometraggio di propaganda per le imminenti elezioni di primavera al quale seguì due anni dopo La Marsigliese (1938). Renoir fu scelto per supervisionare la realizzazione collettiva di La vie est à nous e per dirigere l’epico La Marsigliese. Il Fronte popolare fu ispiratore di numerosi film commerciali, tra cui due di ambiente proletario Il delitto del Signor Lange del 1935 di Renoir che parla della vicende in un caseggiato che ospita una lavanderia, appartamenti e una casa editrice. L’editore Batala sfrutta i suoi dipendenti, amministra male gli affari e seduce una giovane lavandaia. Costretto a fuggire le redini della società vengono prese dal caporedattore Monsieur Lange e tutto prende una piega diversa, prosperosa e felice. Quando Batala tornerà Lange per preservare quello che aveva costruito lo uccide e fugge con la sua amante. Fu il primo film più apertamente di sinistra e costituì uno dei motivi per cui al regista fu affidata la supervisione di La vie est à nous. La Bella brigata del 1937 di julienm Duvivier è invece la storia di 5 operai disoccupati che vincono alla lotteria e aprono un locale, il Chez Nous, sul fiume vicino a Parigi.

 

IL CINEMA DEL FRONTE POPOLARE: LA VIE EST A NOUS E LA MARSIGLIESE

Queste 2 produzioni nacquero al di fuori dei canali tradizionali. La vie est nous fu finanziato in gran parte da offerte raccolte dal PCF e sia attori che tecnici vi lavorarono gratis. Fu un’opera collettiva, Renoir coordinò la produzione e diresse solo alcune scene , altre scene furono realizzate da Brunius, Le Chanois e Becker. Il film era innovativo e mescolava scene ricostruite e riprese dal vero. Il film utilizza anche immagini fisse, didascalie, cinegiornali. Dopo le elezioni il film sparì dalla circolazione e solo nel 1969 ne fu ritrovata una copia.
Del tutto diverso è La Marsigliese, film epico che rievoca i fatti della Rivoluzione Francese. Realizzato a sostegno del Fronte Popolare era previsto che il film sarebbe stato finanziato con i proventi delle sottoscrizioni del sindacato dei lavoratori, ma i soldi non bastarono e Renoir fu costretto a fondare una società effimera della durata di un film. Il film risultò però impopolare, forse anche perché Renoir non volle trasformare Luigi XVI e la sua corte in un covo di malvagi. Il regista preferì glissare eventi cruciali della rivoluzione e concentrarsi su un gruppo di soldati che marciava da Marsiglia alla volta di Parigi cantando la canzone che diventerà l’inno nazionale.

 

15 - IL CINEMA AMERICANO NEL DOPOGUERRA 1946 – 1967

Gli Stati Uniti uscirono dalla seconda guerra mondiale in condizioni di prosperità, mentre i paesi europei, vinti e vincitori, dovettero affrontare la ricostruzione. L’America assunse il ruolo di superpotenza mondiale, aiutando i propri alleati e gli ex-nemici. L’Unione Sovietica intanto affermava la propria autorità e Stalin iniziò a muoversi per mantenere il controllo sui paesi dell’est europeo conquistati durante la guerra. In risposta il presidente americano Churcil dichiarò che una cortina di ferro divideva l’est dall’ovest; USA e URSS entrarono in una guerra fredda destinata a durare quasi 50 anni.

L’IMPATTO POLITICO DELLA GUERRA FREDDA SU HOLLYWOOD
Durante gli anni 30 molti intellettuali di Hollywood avevano espresso simpatia per il comunismo sovietico, al punto che alcuni si erano addirittura iscritti al Partito Comunista americano. Dopo la guerra il ferreo anticomunismo della politica americana mise molti progressisti in una situazione compromettente; nel 1947 il congresso cominciò a indagare sulle attività comuniste negli USA per conto dello HUAC (comitato per le attività antiamericane) allo scopo di individuare i presunti sovversivi. Molti si diedero da fare per collaborare col Governo facendo i nomi delle persone legate ai comunisti; Testimoni del calibro di Jack Warner, appoggiato da gary Cooper, Ronald Reagan e altre star denunciarono come comunisti diversi sceneggiatori. Le udienze che la HUAC tenne nel 1947 miravano a dimostrare che i film prodotti a Hollywood erano inquinati da idee comuniste, da qui l’enfasi sugli sceneggiatori. Alcuni cineasti finiti sulla lista ner dovettero emigrare per continuare a lavorare o lavorare sotto pseudonimo. Le udienze della HUAC avevano lasciato un’eredità di sfiducia e talenti sprecati.

IL DECLINO DELLO STUDIO SYSTEM HOLLYWOODIANO
L'industria del cinema doveva affrontare anche problemi economici. Nell'immediato dopoguerra le prospettive sembravano eccellenti: i reduci dal fronte e i lavoratori ben pagati cominciarono a spendere e ad affollare le sale cinematografiche. Gli incassi del 1946 furono i più alti nella storia del cinema. Anche il mercato internazionale di Hollywood si stava allargando. Verso la fine della guerra gli studios trasformarono la divisione estera della MPPDA in una nuova organizzazione commerciale, la Motion Picture Export Association of America (MPEAA). Per assicurarsi che Hollywood si presentasse sui mercati internazionali come un fronte unico. Molti Paesi approvarono leggi protezionistiche che fissavano quote, sus¬sidi alla produzione e restrizioni all' esportazione di valuta, con esiti alterni. Nel 1947 la Gran Bretagna impose una tassa addizionale sui film importati e la MPEAA rispose annunciando che le major non avrebbero più offerto al Paese nuovi film: un boicottaggio che vinse la resistenza in otto mesi, costrin¬gendo il governo inglese a revocare il provvedimento. In altri casi Hollywood spendeva fondi "congelati" girando film nei Paesi che impedivano l'esportazione di valuta, evitando fra l'altro l'alto costo del lavoro negli Stati Uniti. Dopo il 1946, però, le fortune di Hollywood sul mercato interno subi¬rono una battuta d'arresto La produzione e i profitti crollarono e la RKO dovette cessare l'attività nel 1957. I motivi del declino erano 2: un processo giudiziario che alterò per sempre il modo di fare affari a Hollywood e il profondo cambiamento nelle abitudini degli spettatori americani.

La decisione Paramount
A partire dagli anni Dieci, gli studios di Hollywood si erano sostenuti a vicenda nella creazione di un oligopolio, giungendo a controllare di fatto l'intera industria cinematografica. Nel 1938, il Ministero della giustizia avviò una causa, ricordata come "il caso Paramount": il governo accusava le "cinque grandi" (Paramount, Warner Bros., Loew's-MGM, 20th Century-Fox e RKO) e le "tre piccole" (Universal, Columbia e United Artists) di violare le leggi antitrust appoggiandosi l'una con l'altra per mono¬polizzare il mercato cinematografico. Le "cinque grandi" possedevano catene di sale, vendevano i film in pacchetti e usavano altri mezzi illeciti per tenere i film indipendenti fuori dal circuito delle prime visioni; le "tre piccole" non possedevano sale ma erano accusate di contribuire all'esclusione di altre società dal mercato. Nel 1948 la Corte Suprema degli Stati Uniti dichiarò le otto società colpevoli di condotta monopolistica e ordinò alle major di rinunciare alle sale. La Corte diffidò inoltre le società imputate dall'insistere nella politica delle vendite a pacchetti e in altre condotte che fossero di ostacolo agli esercenti indipen¬denti.
La nuova politica dell'industria cinematografica sortì prevedibili effet¬ti positivi: le sale indipendenti, che fino ad allora si erano dovute acconten¬tare di film a basso costo di società marginali, ebbero accesso a una gamma molto più vasta di materiale (anche se la concorrenza televisiva ne avrébbe presto fatte fallire parecchie). Con la possibilità di accedere a sale più gran¬di, anche gli studios minori poterono produrre film a budget più alto. Infine, il nuovo assetto incoraggiò la produzione indipendente: divi e registi abbandonarono gli studios per fon¬dare proprie società e fra il 1946 e il 1956 il numero annuale di film indi¬pendenti fu più che raddoppiato. La sola United Artists, società di distribuzione di film indipendenti, distri¬buiva cinquanta film l'anno. Nel complesso, però, la struttura dell'industria non cambiò in modo sostanziale. I produttori indipendenti non potevano permettersi di avviare grandi circuiti di distribuzione che avrebbero richiesto una fitta rete di uffi¬ci locali e una quantità di spese fisse: di fatto tutte le società indipendenti dovevano distribuire i loro prodotti attraverso le grandi case di distribuzio¬ne. Dopo la metà degli anni Cinquanta tutte le grandi società di Hollywood avevano nei loro programmi stagionali di distribuzione una quantità di pro¬duzioni indipendenti. Le major e le minor continuarono a dominare il mercato.

Mutamenti dello stile di vita e nuovi intrattenimenti
Una seconda causa del declino dello studio system furono i mutamenti sociali e culturali. Negli anni Dieci e Venti, le sale cinematografiche erano state costruite in zone facilmente accessibili, vicino a linee di trasporto pub¬blico nelle zone centrali delle città, ma dopo la guerra molti americani inziaro a trasferirsi nelle zone suburbane delle città e le famiglie non erano disposte ad affrontare lo spostamento fino al cen¬tro per un film. La gente tendeva a starsene in casa ad ascoltare la radioe ben presto cominciò a guardare la televisione: e cioò portò nel decennio 1947-57 a un crollo del 74% dei pro¬fitti dell'industria cinematografica. Gli spettatori iniziarono a essere più selettivi e tendevano a scegliere un film "importante", interpretato da divi celebri o particolarmente ricco nelle scenografie e nei costumi. Per venire incontro a queste nuove esi¬genze, le grandi case di produzione ridussero drasticamente il numero di film distribuiti, e si sforzarono di proporre attrazioni grandiose.

Schermi più larghi e colorati
L'immagine televisiva dei primi anni Cinquanta era piccola, opaca e in bianco e nero e i produttori, nel tentativo di strappare gli spettatori ai loro salotti e riportarli al cinema puntarono sull'aspetto e sul suono dei loro film. Il colore era il modo più ovvio per differenziare i film dalla televisione. Molti utilizzavano il Technicolor, ma il monopolio della Techniolor portò i produttori indipendenti a protestare per l'accesso privile¬giato che la società riservava agli studios: nel 1950 una sentenza obbligò la TechniColor a rendere i suoi servizi accessibili a tutti. Quello stesso anno però, la Eastman introdusse una pellicola a colori monostriscia (monopack): l'Eastman Color poteva essere utilizzata con qualsiasi cinepresa ed era facile da sviluppare e ciò contribuì ad aumentare il numero di film girati a colori, che raggiunsero la totalità nel 1967: la diffusione del TV-color fu decisiva in questo senso, poi¬ché gli studios dipendevano sempre più dalla vendita dei diritti d'antenna e i network televisivi preferivano trasmettere film a colori. L’Eastman Color non era di qualità come il Technicolor, ma moti operatori erano con¬vinti che la pellicola monopack avesse una resa migliore sul formato panora¬mica. Sfortunatamente i colori dell'Eastman Color tendevano a sbiadire. All' epoca, comunque, i film a colori offrivano qualcosa di molto diver¬so dalla televisione. Lo stesso valeva per le immagini più grandi. Il Cinerama, un sistema a tre proiettori che creava un'immagine su più pannelli, apparve nel 1952: This ls Cinerama era un documentario che accom¬pagnava il pubblico in una corsa sull'ottovolante, in un volo attraverso il Grand Canyon e in altre scene da brivido. Proiettato per altre due anni in un unico cinema di New York con un biglietto d'ingresso particolarmente Costo¬so, il film incassò quasi 5 milioni di dollari. Meno complesso era il Cinemascope, introdotto dalla 20th Century-Fox e usato per la prima volta in La tunica di Henry Koster (1953) che divenne uno dei formati panoramici più popolari perché utilizzava una nor¬male pellicola 35mm e ottiche piuttosto semplici. Fu adattato praticamente da tuttia parte la Paramount che insistette con il proprio sistema, il Vistavision. Dopo il 1954 praticamente tutti i film hollywoodiani erano concepiti per essere proiettati in un formato superiore all' 1,37:1. Per competere con l'America, le principali cinemato¬grafie straniere svilupparono i loro propri sistemi panoramici con lenti ana¬morfiche, tra cui il Sovscope (in URSS), il Dyaliscope (Francia), il Techniscope (la Technicolor italiana). Simili immagini richiedevano schermi più larghi, una proiezione più luminosa e modifiche nella progettazione stessa delle sale. I produttori esige¬vano anche suono stereofonico su base magnetica. Durante i prìmi anni Cinquanta, gli studi di Hollywood si convertirono gradualmente dalla regi¬strazione ottica del suono a quella su pista magnetica, con nastri da un quarto di pollice o banda magnetica 35mm. Queste innovazioni permisero ai tecnici di esaltare le proiezioni in formato panoramico con un suono su più piste ma la maggior parte delle copie distribuite utilizzavano la traccia ottica. Altre innovazioni del periodo furono mode passeggere come film in 3D che lo spettatore guardava indossando occhiali pola¬rizzati che univano le due immagini in una sensazione di profondità e ancor meno durò il tentativo di arric¬chire i film con gli odori.

La crescita degli indipendenti
Con la riduzione del numero di film prodotti dai grandi studios di Hollywood, la produzione indipendente acquistò uno spazio maggiore. Gli indipendenti assumevano il personale necessario alla realizzazione di un film volta per volta, creando un "pacchetto" con il quale ottenere i finanziamen¬ti; una volta realizzato, il film era perlopiù distribuito da una delle "cinque grandi" o delle "tre piccole". Anche le grandi società avevano scoperto che riducendo il numero di attori e di registi tenuti sotto contratto era possibi¬le ridurre le spese, e sempre più spesso i loro listini furono rimpolpati dal-l'acquisto di film indipendenti. All'inizio del 1959, circa il 70% della produzione era costituita da film indipendenti; negli anni Sessanta la percentuale raggiun¬se la quasi totalità dei film, mentre gli studios si dedicavano soprattutto a serie televisive. Alcuni dei progetti messi in campo dai produttori indipendenti erano film ad alto budget, simili a quelli che le major offrivano ai circuiti di prima visione. Spesso si trattava di film storici o adattamenti di best-seller: come Spartacus prodotto nel 1960 in Technicolor e Super Technirama 70 da Kirk Douglas e distribuito dalla Universal; il suo cast di stelle includeva lo stesso Douglas, Laurence Olivier, Tony Curtis e Jean Simmons. Il regista Otto Preminger, proveniente dalla 20th Century-Fox, si diede alla produzione indipendente e distribuì con la Columbia e la United Artists riduzioni di best-seller quali Anatomia di un omicidio (Anatomy of a Murder, 1959), Exodus e Tempesta su Washington (Advise and Consent, 1962). Ai più deboli fra i produttori indipendenti restava compito di colma¬re il vuoto dovuto alla drastica riduzione della produzione a basso costo da parte delle major. La domanda fu coperta da società indipendenti specializzate in film di exploitation, produzioni minime che - nell'impossibilità di avvaler¬si di divi o autori affermati - si basavano su argomenti attuali o sensaziona¬listici che potessero essere exploited, vale a dire sfruttati commercialmente. I film di exploitation esistevano fin dalla prima guerra mondiale, ma negli anni Cinquanta guadagnarono visibilità e gli esercenti, ora liberi di noleg¬giare materiale da chiunque desiderassero, scoprirono che certi prodotti a bas¬sissimo budget offrivano spesso un profitto più sostanzioso dei colossi degli studios, che pretendevano cospicue percentuali sugli incassi. Le società dedite all'exploitation sfornavano a due soldi film horror, di fantascienza ed erotici. Tra i più bizzarri vanno ricordati quelli di Edward D. Wood, che ignorati o presi a zimbello ai tempi della loro uscita, sarebbero divenuti nei decenni successivi autentici cult movie. Un po' più impegnativi erano i film di exploitation realizzati dall'American International Pictures (AIP) che sfruttavano la passione dei liceali per l'horror, la criminalità giovanile, la fantascienza e la musica. L'AIP investì in produzioni più impegnative come i musical da spiaggia e un ciclo di film horror ispirati a Edgar Allan Poe inaugurato da I vivi e i morti di Corman. Le pellicole di Corman si distinguevano per il ritmo veloce, l'ironico umorismo e gli effetti speciali da bancarella, con mostri che sembravano fab¬bricati con scarti di materiale idraulico e pezzi di frigorifero. Corman si vanta di aver girato tre commedie nere, A Bucket of Blood (Un sec¬chio di sangue), La Piccola bottega degli orrori (The Little Shop of Horrors) e Creature from the Haunted Sea (Creatura dal mare fantasma) (tutti del 1960) nell'arco di appena due settimane e con una spesa complessiva inferiore a 100.000 dollari, in un periodo in cui il costo medio di un film prodotto dagli studios era di un milione di dollari. Il ciclo ispirato alle opere di Poe guadagnò al regista qual¬che apprezzamento critico per l'uso inventivo dell'illuminazione e del colore, ma i teen-ager apprezzavano soprattutto l'istrionismo di Vincent Price. Costrette a lavorare con budget ridottissimi, la AIP e altre società specializzate in exploitation esplorarono nuovi ed efficienti meccanismi di pro-mozione. Alla AIP spesso si ideava un titolo con relativo manifesto e campa¬gna pubblicitaria e solo dopo averne provato l'efficacia su esercenti e pubbli¬co si procedeva a scrivere una sceneggiatura. Mentre i grandi distributori seguivano il metodo di avviare la distribuzione di un film in poche sale sele-zionate, gli indipendenti spesso praticavano uscite a tappeto (facendo uscire un film contemporaneamente in molte sale). Inoltre facevano pubblicità in televisione, distribuivano film durante l'estate (ritenuta fino ad allora una stagione di pochi incassi) e resero i drive-in locali di prima visione. Tutte queste innovazioni furono gradualmente assorbite dalle major. L'allentarsi dei controlli censori favorì negli anni Sessanta il diffondersi dell'elemento sessuale: dal mondo dei film porno 16mm emersero i "nudies", proiettati nei cinema più scalcinati delle grandi città americane. L'erotismo si mescolava con il gore in Blood Feast (Festa di sangue, 1963) e 2000 Maniacs (1964) di Herschell Gordon Lewis. Russ Meyer iniziò con i "nudies" prima di mettere a punto la sua caratteristica mistura di scene di sesso esasperato e parodistico ed esplosioni di violenza estrema (Motorpsycho, 1965; Faster Pussycat! Kill! Kill!, 1966). I successivi film indipendenti di Engel furono realizzati con una cinepresa leggera 35mm e suono in presa diretta che 'anticipava lo stile documentario dei cinema diretto. Jonas e Adolfas Mekas modellarano Guns of the Trees e I magnifici idioti sulle speri¬mentazioni della Nouvelle Vague francese. Il membro più celebre di questo gruppo off-Hollywood era John Cassavetes. Attore di New York dedito al metodo di Stanislavskij, Cassavetes che aveva costruito la sua carrriera sul palcoscenico e in televisione, riuscì a racimola¬re donazioni sufficienti a permettergli di dirigere Ombre (Shadows, 1961), un film la cui radicale scelta estetica si riassumeva nel cartello che lo concludeva: «Il film che avete appena visto era un' improvvisazione». Il soggetto - due fratelli e una sorella neri nell'ambiente newyorchese del jazz e dei party - non era mai stato scritto: le scelte creative sul dialogo e sull'interpretazione furono condivise dal regista con gli attori. Pur scegliendo uno stile semi-documentaristico, con imma¬gini sporche e sgranate, Cassavetes si affidò anche alla profondità di fuoco e a interludi di poesia familiare tratti dal cinema hollywoodiano contem¬poraneo. Ombre vinse premi a festival e aprì a Cassavetes le porte di Hollywood per un paio di film fallimentari: il regista tornò così al cinema indipendente, finanziando i suoi film con il suo lavoro di attore in pellicole commerciali.

Cinema d' essai e drive-in
L'esplosione della produzione indipendente era frutto di una strategia più ampia dei produttori, che rispondevano alla fuga del pubblico concen¬trandosi su settori specifici della popolazione. Prima degli anni Cinquanta, la maggioranza delle produzioni degli studios erano pensate per un pubblico familiare: ora cominciavano ad apparire con sempre maggiore frequenza film destinati agli adulti, ai ragazzi o agli adolescenti. Puntando su queste ultime due categorie, la Disney avviò la produzio¬ne di film con personaggi reali proponendo classici d'avventura, riduzioni di romanzi per ragazzi e commedie fantastiche. Relativamente a basso costo, questi film figuravano rego¬larmente ai vertici delle classifiche d'incasso. A metà degli anni Cinquanta, quando gli spettatori nati durante la seconda guerra mondiale iniziarono a far sentire il loro peso ai botteghini, il mercato dei film per gli adolescenti esplose: i musical rock, le storie di delin¬quenza giovanile, la fantascienza e l'orrore attiravano i più giovani. Gli studios rispo¬sero con commedie giovanilistiche "pulite" come le storie d'amore con Pat Boone. La fiorente cultura giovanile americana, centrata su seratine romanti¬che, musica pop, auto truccate e fast food - cominciò a essere esportata in tutto il mondo influenzando il cinema degli altri Paesi. Dagli anni Sessanta in poi il mercato giovanile divenne il target principale per la maggior parte dei film di Hollywood. La tattica del target individuato su base demografica fece nascere anche nuovi tipi di fruizione. Anche se fin dagli anni Venti esistevano piccole sale specializzate in film stranieri, il pubblico d'essai divenne una realtà considerevole dopo la guerra. Col declino della produzione americana, l'importazione di film offriva alle sale meno importanti abbondanza di materiale a basso costo: alcu¬ne sale indipendenti alle prese col calo degli spettatori scoprirono un nuovo pubblico proiettando film d'essai e facendo appello al gusto dell'élite locale. Fra l'altro, i film stranieri non venivano trasmessi alla televisione, e si tratta¬va dunque di una nicchia di mercato priva di concorrenza che faceva appello a un pubblico istruito. Il flusso delle imporiazioni iniziò subito dopo la guerra, sulla scia degli alti incassi di Roma città aperta di Roberto Rossellini, distribuito nel 1946. Amanti perduti di Marcel Carné, 1945 e Ladri di biciclette furono tra i molti film che abituarono gli spettatori americani ai sottotitolianche se le importazioni erano dominate in gran parte dal cinema inglese. Negli anni Cinquanta alcuni film stranieri provenienti da Paesi in cui le maglie della censura erano meno strette fecero del sesso un' attrazione per i cinema d'essai: Piace a troppi di Roger Vadim rese Brigitte Bardot famosissima negli Stati Uniti. Un'altra interessante alternativa per gli esercenti in crisi erano i drive-in: il proprietario non aveva bisogno di un costoso edificio ma soltanto di uno scher¬mo, di un altoparlante da due soldi per ogni posto macchina e di un banchetto per le bevande e della biglietteria. Il terreno agricolo costava relativamente poco e il fatto che di solito il drive-in sorgesse subito fuori città lo rendeva accessibile alla popolazione della periferia. Ora la gente che frequentava di rado le grandi sale del centro poteva vedere un film senza tanti problemi. Il biglietto era a buon mercato, dato che i film erano spesso seconde e terze visioni e l'idea incontrò il favore del pubblico giovane.

Sfide alla censura
I film di exploitation, quelli di importazione e gli argomenti "adulti" prescelti dai produttori indipendenti non potevano non sollevare problemi: spesso i film non riuscivano a ottenere il visto delle commissioni locali di cen¬sura. La svolta si ebbe quando Il miracolo di Rossellini fu vietato perché giudicato blasfemo dalla Commissione statale di censura di New York. La Corte Suprema dichiarò che i film erano protetti dalla libertà di espressione sancita dal Primo Emendamento. Successive sentenze chiarirono che i film potevano essere censurati solo se accusati di oscenità, e anche que¬sta era definita in modo vago e restrittivo. Molte commissioni locali di cen¬sura furono sciolte 'e sempre meno film furono messi al bando. Anche il meccanismo di autocensura dell'industria, la Motion Picture Association of America (MPAA, già nota come Motion Picture Producers and Distributors Association), cominciò a incontrare difficoltà nel far rispettare il suo Codice di Produzione. E i produttori capiro che per competere con la televisione, dove la censura imperversava, era creare film che contenessero materiale più audace: produttori e i distributori si spinsero quindi sempre più in là rispetto ai limiti consentiti dal Codice, e quando la MPAA rifiutò di approvare il pur blando La vergine sotto il tetto di Otto Preminger 1953, la United Artists lo distribuì ugualmente. Preminger con¬tinuò a provocare il Codice: anche il suo L'uomo dal braccio d'oro (The Man With the Golden Arm, 1955), dedicato al problema della droga, fu distribuito dalla United Artists senza il visto della MPAA:apparve chiaro che il Codice non solo era ormai inefficace ma costituiva una pubblicità preziosa per i film che condannavae nel 1966, la MPAA sospese l'emissione dei visti. Da quel momentO, i film che non si conformavano ai suoi standard portarono l'etichetta «Consigliati a un pubblico adulto» ma tuttavia anche questo metodo si rivelò inefficace e fu presto sostituito da un sistema di classificazione più sistematico.

Hollywood si adatta alla televisione
La televisione costituiva una minaccia a diversi punti di forza della pro¬grammazione nelle sale: i cinegiornali scomparvero quasi del tutto quando i telegiornali si dimostrarono ben più efficienti e immediati. I film a disegni animati furono emarginati più lentamente: per due decenni dopo la guerra i film continuarono a essere preceduti da un cortometraggio d'animazione e i migliori animatori continuarono a creare opere di grande inventiva comica e tecnicamente impeccabili (William Hanna e Joseph Barbera realiz¬zarono con la serie di Tom e Jerry alcuni dei film forse più truculenti della storia di Hollywood). Il reparto animazione della Warner Bros. divenne ancor più scatenato nelle invenzioni bizzarre di quanto non fosse stata durante la guer¬ra con The Great Piggy Bank Robbery di Bob Clampett e What's Opera, Doc?. di Chuck Jones. Walt Disney continuò a distribuire i suoi caitoon attraverso la RKO fino al 1953, quando aprì la sua casa di distribuzione Buena Vista. Anche se la pro¬duzione dei corti proseguiva, i maggiori profitti venivano dai lungometraggi d'animazione: un catalogo che si arricchiva regolarmente di novità ma per¬metteva anche cicli che riedizioni. Si trattava come sempre di versioni edulco¬rate di classici per l'infanzia, anche se Alice nel paese delle meraviglie (Alice in Wonderland, di Clyde Geronimi, Hamilton Luske, Wilfred Jackson e Walt Disney, 1951) sfoggiava una verve slapstick che mancava in opere più solenni come Cenerentola (Cinderella, di Clyde Geronimi, Hamilton Luske, Wilfred Jackson e Walt Disney, 1950) e La bella addormentata nel bosco (Sleeping Beauty, di Clyde Geronimi e Walt Disney, 1959). Lo studio tornò alla sua tradizione di azione dal vivo combinata all' animazione con l'enorme successo di Mary Poppins (Id., di Robert Stevenson, 1964). Verso la metà degli anni Sessanta, comunque, i cartoni animati televisi¬vi avevano catturato il pubblico e gli studi principali cessarono di fatto la produzione dei cortometraggi animati e dal 1969 in poi Bugs, Daffy, Braccio di Ferro e i loro colleghi si sarebbero trasferiti in massa dal cinema dietro casa alla tele¬visione del sabato mattina. E tuttavia Hollywood seppe adattarsi con altri mezzi all'era televisiva, muovendosi rapidamente per trarre vantaggio dalla sua nuova concorrente. Tanto per cominciare, i network avevano bisogno di enormi quantità di pro¬grammi da trasmettere. Nei primi anni Cinquanta, circa un terzo del materiale teletrasmesso consisteva in vecchi film delle Poverty Row, ma nel 1955 anche gli studi maggiori iniziarono a vendere i diritti televisivi dei loro titoli. Inoltre gli studi di Hollywood iniziarono a creare serie televisive. Nel 1949 la Columbia convertì il suo reparto cortometraggi alla produzione tele¬visiva: tra i suoi prodotti va ricordata la fortunata serie "Father Knows Best" (1954-1962). Quando nel 1953 i network passarono dagli sceneggiati in diretta ai telefilm girati su pellicola, la richiesta di matgeriale si intensificò e i produttori indipendenti furono pronti a soddisfarla con serie come "I Love Lucy" . Col declino della produzione cinemato¬grafica, i grandi studios iniziarono a generare profitti affittando le loro strut¬ture a produzioni indipendenti, destinate sia al cinema che alla televisione. Forse l'uso più accorto del nuovo mezzo fu quello di Walt Disney, che rifiutò fermamente di vendere i suoi cartoni animati alla televisione sapendo che future riedizioni accuratamente programmate avrebbero continuato a produrre profitti. Nel 1954, Disney si accordò con la ABC per produrre uno spettacolo settimanale di un'ora dal titolo "Disneyland": la serie ebbe un suc¬cesso enorme e sopravvisse per decenni sotto nomi diversi. Lo spettacolo, pieno di cortometraggi e brani scelti nell'archivio dello studio, permetteva a Disney di fare pubblicità ai suoi film per il cinema e al suo neonato parco dei divertimenti (aperto nel 1955). Nel complesso, dopo qualche anno di incertezze, le società di Hollywood intese come entità corporative non furono affatto danneggiate dalla concorren¬za televisiva ma, semplicemente, vi si adattarono estendendo la loro attività per coprire le esigenze di entrambi i mercati. Il declino fu però inevitabile per la parte dell'industria dedicata al cinema: negli anni Trenta le major distribuiva¬no quasi 500 pellicole all'anno, mentre all'inizio degli anni Sessanta la media era inferiore a 150. Gli incassi continuarono a calare fino al 1963, quando la televisione giunse a saturare il mercato americano.

STORIE, STILI E GENERI
Anche se la base industriale di Hollywood cominciava a sgretolarsi, lo stile classico rimaneva il principale modello di racconto. La trama di Quarto potere (Citizen Kane, di Orson Welles, 1941) aveva una complessità rara nel cinema sonoro di Hollywood e creò la moda della tecnica narrativa soggettiva. Film di questo tipo si basano su tecniche di ripresa e di regia esplorate dall'impressionismo fran¬cese e dall' espressionismo tedesco. Analogamente, la costruzione narrativa divenne più intricata: la strut¬tura "investigativa" di Quarto potere, interrotta da flashback di persone che rievocano gli avvenimenti del passato, divenne un modello. Alcuni film introdussero sperimentazioni nell'uso del flashback come Paura in palcoscenico di Alfred Hitchcock, ad esempio, include tlashback che lo spettato¬re scopre in seguito essere bugie. Nessuna di queste innovazioni minò le basi della narrazione cinematogra¬fica classica - una catena di cause ed effetti centrata su un protagonista, un percorso "lineare" verso la coerenza e la conclusione. Per la verità, il fatto che gran parte di questi esperimenti sul tempo narrativo avessero a che fare con delitti da spiegare o misteri da sciogliere suggerisce di cercare nelle convenzioni del genere i motivi della predilezione per strutture complesse. Le acrobazie temporali divennero ancora più estreme durante gli anni Sessanta nei film influenzati dal cinema d'autore europeo. Altri registi abbracciavano un nuovo realismo nell'ambientazione, nelle luci e nella nar¬razione stessa e la tendenza alle riprese in location continuò nel semidocumentario, di solito un giallo d'investigazione o d'azione che ambientava un racconto di fantasia in luo¬ghi reali ed era spesso ripreso con le apparecchiature leggere perfezionate durante la guerra. Questi film, basa¬ti su fatti realmente accaduti, erano spesso commentati da una tonante voce fuori campo che evocava i documentari bellici e e le radiocronache. Una complessa narrazione a flashback e il sapore semidocumentario talvol¬ta convivevano nello stesso film: Viale del tramonto di Billy Wilder, la cui trama è raccontata fuori campo da un uomo morto, utiliz¬za le vere scenografie di Hollywood. Uno degli esempi più articolati di artificio nel semidocumentario è Rapina a mano armata di Stanley Kubrick, nel quale un gruppo di uomini compie in un ippodromo una rapina organizzata su un minuzioso calcolo dei tempi. Kubrick ci offre di fatto imma¬gini da cinegiornale della pista e delle corse, con un'asciutta voce "divina" fuori campo che indica il giorno e l'ora di molte scene, ma manipola il tempo in modo assai complesso: il film ci mostra una parte della rapina, poi fa un passo indietro per mostrare gli eventi che hanno portato a quella fase; e, poiché segue l'azione da diversi punti di vista, il film mostra gli stessi eventi più volte. Quarto potere aveva rafforzato l'uso di inquadrature lunghe e immagini composte in profondità: queste tecniche, già accolte durante la guerra, divennero ancor più importanti sul finire degli anni Quaranta e nei primi Cinquanta. Ora si potevano girare scene in un'unica inquadratura (il cosiddetto piano sequenza) con fluidi movimenti di mac¬china facilitati dai nuovi dolly "crab" che consentivano di muoversi libera¬mente in qualsiasi direzione. Fu inoltre largamente imitata la vivida profondità di fuoco che era stata un marchio di fabbrica di Welles e Toland. Molte di queste innovazioni erano associate al noir, lo stile" dark" che continuò a imperare fino alla fine degli anni Cinquanta. I direttori della fotOografia più audaci spinsero l'illuminazione in chiaroscuro all'estremo. I noir divennero sempre più sfacciatamente barocchi, con inquadra¬ture inclinate e più livelli di quinte visive. Nei film drammatici in bianco e nero, l'illuminazione cupa continuò anche negli anni Sessanta, ma i film di altri generi preferivano un look più chiaro e luminoso: la maggior parte dei melodrammi, dei musical e delle commedie degli anni Cinquanta evitavano il chiaroscuro. La fotografia con profondità di fuoco continuò a essere utilizzata negli anni Sessanta nei film in bianco e nero, ma quelli a colori di solito sceglievano immagini più piatte; comunque, per qualche tempo, la stupefacente profondità di fuoco di Welles si rivelò impossibile da ottenere con le lenti anamomche del Cinemascope. A metà degli anni Sessanta, sotto l'influenza di movimenti come il cine¬ma diretto e la Nouvelle Vague, i direttori della fotografia iniziarono a usare lenti a focale lunga per appiattire lo spazio dell'immagine e per sfumare e ammorbidire i contorni. Il teleobiettivo divenne così più comune del gran¬dangolo e i registi cominciarono a usare un montaggio più spettacolare e veloce: Help! di Richard Lester frantumava i numeri musicali dei Beatles in dozzine di inquadrature senza continuità. La bizzarra tecnica di Lester derivava dalla pubblicità televisiva e dalla com¬media eccentrica inglese. Il montaggio veloce divenne ancora più popolare con Dolci vizi al foro sempre di Richard Lester e con Il laureato di Mike Nichols. I film di Lester crearono la moda di scene non parlate, spesso composte da un montaggio di varie scenette, legate da canzoni pop. L'esempio più famoso è forse il modo in cui le parole di Simon & Garfunkel nella colonna sonora di Il laureato commentano lo straniamento del protagonista. L'integrazione di intere canzoni nelle scene d'azione di praticamente tutti i generi divenne una caratteristica del cinema americano degli anni Sessanta e fecero delle colon¬ne sonore una nuova fonte di profitti. Questa tendenza sarebbe proseguita fino agli anni Novanta, quando praticamente ogni film avrebbe obbligato¬riamente incluso musica rock, quanto meno nei titoli di coda.

La nobilitazione dei generi
Le principali case di produzione rinnovarono quasi tutti i generi per offrire sempre qualcosa in più che consentisse di spiccare sulla concorrenza. I capi degli studios potenziarono la spettacolarità con le star più famose, con scenografie e costumi sfarzosi, con il colore e con lo schermo panoramico e anche i generi minori beneficiarono degli sforzi per trasforma¬re sceneggiature di serie B in film di serie A. Il western del dopoguerra fu incanalato sui binari del "filmone" da David O. Selznick con Duello al sole di King Vidor (1945): il film ottenne ottimi incassi e fissò lo standard per i successivi western monumentali. Anche alcuni western più modesti si avvalsero di mezzi sfarzosi, della maturità e varietà di registi e interpreti, di un nuovo modo di raccontare e di temi complessi. Il genere aiutò John Wayne e James Stewart a consolidare la loro popolarità nel dopoguerra. Le trame incorporavano tensioni psicologiche e sociali: un western poteva avere un'anima liberale, patriarcale, giovanili¬sta o psicopati¬ca. La nuova ricerca di spettacolarità raggiunse anche il melodramma. La figura centrale del rinnovamento del genere fu Douglas Sirk, un immigrato che negli anni Quaranta aveva diretto film antinazisti e noir. I critici dei decenni successivi tributarono alla regia di Sirk la capacità di trascendere i traumi da psicologia spicciola e i finali forzatamen¬te lieti delle sceneggiature. Nessun genere più del musical, forse il più longevo tra i prodotti hol¬lywoodiani, godette dei benefici di questa generale riqualificazione. Benché fre¬quentato da tutti gli studios, nel dopoguerra il musical fu appannaggio soprat¬tutto della MGM: le tre unità produttive dello studio confezionavano di tutto, dalle biografie operistiche alle stravaganze acquatiche di Esther Williams. Musical "dietro le quinte" come I Barkleys di Broadway (The Barkleys of Broadway, di Charles Walters, con .Fred Astaire e Ginger Rogers, 1949) erano bilanciati da produzioni "folk" come La canzone di magnolia (Show Boat, di James Whale, 1951); adattamenti di successi di Broadway (ad esempio Baciami, Kate!) si affiancavano a sceneggiature originali (come Sette spose per sette fratelli, Seven Brides for Seven Brothers, di Stanley Donen, 1954). Un film poteva essere costrui¬to su una raccolta di successi di un'unica coppia paroliere/musicista: Spettacolo di varietà, ad esempio, si basava sulle canzoni di Howard Dietz e Arthur Schwartz. Il reparto musical più celebrato della MGM era quello controllato da Arthur Freed, produttore di primo piano fin dai tempi di Il mago di Oz: Freed poteva vantare i talenti miglio¬ri - Judy Garland, Fred Astaire, Vera-Ellen, Ann Miller - e, sopra tutti, Gene Kelly, instancabile e sorridente ballerino che introdusse alla MGM una coreo¬grafia atletica moderna: Un giorno a New York (On the Town, codiretto da Kelly e Stanley Donen, 1949), storia frenetica di tre marinai con una giornata di libera uscita a Manhattan, non era il primo film ad ambientare i suoi numeri in luoghi autentici, ma la coreografia e il montaggio gli diedero un' energia febbrile urbana; Kelly seppe fare del musical il veicolo di un aspro commento sulle frustrazioni maschili nell' America del dopoguerra. Più leggero era il tono di Cantando sotto la pioggia (Singin' in the Rain, di Kelly e Donen, 1952), considerato all'unanimità il miglior musical del perio¬do. Ambientato durante la transizione al sonoro, il film si fa beffe dell'arro¬ganza di Hollywood, parodiando lo stile dei primi musical e proponendo gag utilizzando il sonoro fuori sincrono. I pezzi da antologia includono il convul¬so «Make 'Em Laugh» di Donald O'Connor, il numero eponimo di Gene Kelly - che unisce dolly vertiginosi a una coreografia agile fra pozzanghere e ombrel¬li - e «Broadway Melody», un omaggio esuberante ai musical MGM delle ori¬gini del sonoro. Pur continuando a produrre musical d'impatto anche dopo la metà degli anni Cinquanta, la MGM dovette da allora subire la concorrenza. Bulli e pupe, Cenerentola a Parigi della Paramount, West Side Story (di Robert Wise e Jerome Robbins) della United Artists e contribuirono anche i cartoni ani¬mati Disney. La 20th Century-Fox basò molti musical su sccessi di Broadway tra cui il grande Tutti insieme appassionatamen¬te di Robert Wise. La Warner diede il suo contri¬buto al genere con È nata una stella di George Cukor per poi .dominare gli anni Sessanta con The Music Man e My Fair Lady. Il rock and roll portò al musical del dopoguerra un nuovo dinamismo. Sia le major che gli indipendenti si lanciarono all'inseguimento dei giovani compratori di dischi. Elvis Presley propose in dodici anni una serie di trenta musical in una versione del rock and roll piuttosto edulcorata. Western, melodrammi e musical erano stati i generi principali per diversi decenni, ma l'inflazione dei valori spettacolari e la scommessa sui kolossal portò alla ribalta un altro genere. Lo spettacolo biblico si era rivela¬to proficuo nelle mani di Cecil B. DeMille negli anni Venti e Trenta, poi nes¬suno se ne era più interessato finché non fu lo stesso DeMille a riesumarlo in Sansone e Dalila, il maggiore incasso del 1949. Quando anche Quo Vadis? Di LeRoy e Davide e Betsabea di Henry King) riportarono a casa enormi profitti, cominciò un ciclo di grandi cavalcate storiche. Le folle oceaniche, le battaglie colossali e i set grandiosi richiesti dal genere ne facevano l'occasio¬ne ideale per lo schermo panoramico e così La tunica, Ben-Hur, Spartacus e La caduta dell'impero romano sfoggiarono tutti nuove tecnologie visive. I dieci comandamenti, l'epopea biblica dal successo più duraturo costò più di 13 milioni di dollari, una cifra stratosferica per l'epoca; ma nono¬stante effetti speciali ambiziosi, come l'apertura del Mar Rosso, la regia di DeMille riproponeva perlopiù la messa in scena dei suoi film degli anni Trenta. Ben presto il cinema epico giunse a esplorare praticamente ogni perio¬do storico: sullo schermo si alternavano epopee egiziane (Cleopatra, di Mankiewicz), avventure cavalleresche e saghe rivoluzionarie del ventesimo secolo (Lawrence d'Arabia e Il dottor Zivago entrambi di David Lean). Gran parte di questi film attraevano il pub¬blico, ma a causa degli sforamenti di budget alcuni si rivelarono economica¬mente poco convenienti. Un altro genere resuscitato dalla nuova attenzione ai film kolossal fu la fantascienza, che nel dopoguerra aveva goduto di notevole espansione in campo letterario: fu il produttore George Pal a dimostrare con Uomini sulla luna di Irving Pichel che l'era atomica offriva un ottimo mercato per il cinema fantastico. La fortuna del film diede a Pal accesso ai bud¬get della Paramount per Quando i mondi si scontrano e per due prestigiose produzioni tratte da opere di H.G. Wells, La guerra dei mondi di Byron Haskin (1953) e L'uomo che visse nel futuro di George Pal. Usando il colore e sofisticati effetti speciali, i film di Pal aiutarono la fantascienza ad acquistare rispettabilità, ma lo sforzo più riconoscibile in questo senso fu Il pianeta proibi¬to che esibiva musica elettronica, un "mostro dell'inconscio" e una trama basata su La tempesta di Shakespeare. Alla rinascita del cinema fantastico contribuì anche 20. 000 leghe sotto i mari della Disney. Film di fantascienza e horror più economici affrontarono il tema della lotta della tecnologia contro una natura sconosciuta: L'invasione degli ultracorpi di Don Siegel (1955) racconta di una piccola città invasa da baccelli che clonano i cittadini e li rimpiazzano con copie prive di sentimenti. All'opposto di queste fantasie paranoiche vi erano quelle ani¬mate da ideali "pacifisti". Gli effetti speciali dominavano i film su esperi¬menti scientifici strampalati o mal riusciti, e questi film furo¬no spesso interpretati, alla luce delle caratteristiche di quegli anni, come metafore della guerra fredda o degli effetti spaventosi delle radiazioni. L'effetto dell'amplificazione dei film di serie B era forse ancor più visi¬bile nella crescita del cinema di spionaggio ad alto budget. L'eleganite Intrigo internazionale (North by Northwest, 1959) di Alfred Hitchcock aveva per pro¬tagonista un innocente coinvolto in un intrigo di spie; ma il catalizzatore per la promozione in serie A del genere fu il personaggio dell' agente britannico ]ames Bond creato da Ian Fleming: dopo i primi due film tratti dai suoi romanzi, 007 divenne un'inesauribile miniera d'oro con lo strepitoso succes¬so di Agente 007, Missione Goldfinger. Gli intrighi dei film di Bond erano pieni di erotismo, inseguimenti,armi surreali, ironia e sensaziona¬li scenografie. I produttori Harry Saltzman e Albert Broccoli proseguiranno la serie per decenni cambiando più volte registi e protagoni¬sti, facendone la saga forse di maggior successo della storia del cinema. Per poter competere con i nuovi standard spettacolari, i film a budget ridotto erano costretti a trovare altrove i loro appigli commerciali: i gialli d'azione divennero più violenti; Un bacio e una Pistola di Aldrich o La vendetta del gang¬ster. Quando il celebrato Hitchcock girò un thriller in bianco e nero intitolato Psyco (Psycho, 1960) senza star di prima grandezza e con un budget da serie B, lanciò un filone che sarebbe proseguito per decenni. Il prestigioso A sangue freddodi Richard Brooks, girato in un anacronistico bianco e nero, era la riduzione di un best-seller ma cercava un look da noir a basso budget soprattutto perché lo stile accentuava la brutale amoralità dei due giovani assassini protagonisti. Dopo aver passato quindici anni a riverni¬ciare le formule dei generi, i registi più importanti procedevano ora a dar loro una mano di sporco.

REGISTI PRINCIPALI: DIVERSE GENERAZIONI
Alcuni autori di primo piano si ritirarono o rallentarono l'attività poco dopo la guerra. Ernst Lubitsch morì, Josef von Sternbergconcluse la sua carriera con L'isola della donna contesa, Frank Capra diresse il popolarissimo La vita è mera¬vigliosa, ma i suoi pochi film successivi non ebbero grande eco. Il grande dittatore aveva segnato l'addio del vagabondo di Charlie Chaplin e i suoi nuovi personaggi, uniti alle controversie sulle sue idee politiche e la sua vita privata, ne fecero diminuire la popolarità. Nel complesso, comunque, un certo numero di registi veterani manten¬nero nel dopoguerra una posizione importante. Cecil B. DeMille, Frank Borzage, Henry King, George Marshall e altri che avevano iniziato la carrie¬ra durante la prima guerra mondiale rimasero sorprendentemente attivi negli anni Cinquanta e perfino nei Sessanta.
– Raoul Walsh, ad esempio, continuava a sfornare virili film d'azione.
– Ford, che produceva i suoi film in proprio con la Argosy, era il regista più in vista della vecchia generazione. Quasi tutta l'opera di Ford nel dopoguerra fu nel genere western. Sfida infernale è un'ode alla vita di frontiera girata con la profondità e i chiaro scuri che Ford aveva già sperimentato, dieci anni prima. La sua "trilogia della Cavalleria" (Il massacro di Fort Apache, I cavalieri del Nord-Ovest, Rio Grande) rende omaggio alla coesione del corpo militare; I dannati e gli eroi e Cavalcarono insieme sollevano problemi quali lo stupro e l'incrocio delle razze nello stile dei "western liberali" e ciascuno di essi tenta nuove strade: il primo con una narrazione a flashback, il secondo con una lunga inquadratura immo¬bile. L'uomo che uccise Liberty Valance, ampiamente riconosciuto come l'elegia fordiana del mito della frontiera, ha la semplicità di una favola: il lato eroico del west muore nella corruzione por¬tata dalla ferrovia e dalla politica di Washington. Il protagonista di Sentieri selvaggi (1956), inconfutabil¬mente il più complesso dei western di Ford, si chiama Ethan Edwards e dà la caccia ai Comanche che hanno sterminato la famigha di suo fratello e rapito sua nipote Debbie: ma il suo compagno d'avventura Martin Pawley si rende gradualmente conto che Ethan non ha intenzione di salvare Debbie, bensì di ucciderla, colpevole di essere diventata una sposa indiana. Di rado il western aveva mostrato un protagonista così complesso, nel quale devozione e orgo¬glio si scontrano con razzismo e gelosia sessuale. Nella scena clou del film, quando Ethan sta per uccidere Debbie, i comuni ricordi dell'infanzia di lei ristabiliscono il legame reciproco purificando Ethan del suo istinto omicida. La coerenza stilistica di Ford è evidente in Sentieri selvaggi. La struttu¬ra cromatica del film riflette il cambio delle stagioni nella Monument Valley e la profondità di campo fordiana spicca nell'evocativo ricorrere di figure in controluce riprese da interni; anche il gesto finale con cui John Wayne si stringe l'avambraccio è modellato su un gesto di Harry Carey in Straight Shooting. Per molti critici e giovani autori degli anni Settanta, Sentieri selvaggi divenne l'esempio della ricchezza emo¬zionale della tradizionl hollywoodiana.
– William Wyler diresse drammi prestigiosi e film in studio fino agli anni Sessanta, ottenendo alti incassi con I migliori anni della nostra vita e Ben-Hur.
– Howard Hawks realizzò commedie e film d'azione e avventura fino al 1970.
– King Vidor passò al grande spettacolo (Guerra e pace, 1956) dopo aver diretto melodrammi eccessivi e magnilo¬quenti.
– George Stevens diresse alcuni dei maggiori successi dell' epoca, in particolare Il cavaliere della valle solitaria e Il gigante.
– Vincente Minnelli e George Cukor, registi specializzati in melodrammi, commedie e musical, spiccano per un uso accorto delle inquadrature lunghe. La macchina da presa di Cukor è un'osservatrice discreta che permette agli interpreti di dispiegare al meglio le loro performance. Le inquadrature più distanti di Minnelli enfatizzano l'interazione dei personaggi con l'ambiente
– Jean Renoir e Max Ophuls, tornarono in Europa poco dopo l'Armistizio, ma altri prosperarono a Hollywood. Il successo maggiore arrise ad Alfred Hitchcock.
– Fritz Lang conti¬nuò a realizzare sobri e cupi film di genere che emanavano un malessere al limite della paranoia come Il grande caldo
– Billy Wilder divenne un regista di primo piano soprattutto per i suoi drammi carichi di ironia (Viale del tramonto) e per il cinismo delle sue commedie erotiche (Quando la moglie è in vacanza, L'appartamento, lrma la dolce). Con A qualcuno piace caldo Wilder, meno mordace del solito, deliziò le platee con le sue gag sul travestimento.
– Otto Preminger, si coltivò un' immagine persona¬lissima sia come attore che come regista. Era a favore per la riduzione del tempo delle riprese, spingendo la tecnica del piano sequenza ancor più all'e¬stremo di Cukor e Minnelli. Benché Preminger componesse in modo ingegnoso le sue inquadrature in Cinemascope, la maggior parte dei suoi piani sequenza rifug¬gono da effetti espressivi: i movimenti di macchina complessi e i virtuosismi sono rari e la macchina da presa si limita a osservare personaggi impassibili, gran parte dei quali impegnati a mentire l'un l'altro. Questa imperturbabilità dona ai noir e agli adattamenti di best seller di Preminger una suggestiva opacità.
– Orson Welles. Licenziato dalla RKO dopo L'orgoglio degli Amberson divenne un regista errante: girò film per la Columbia, la Republic e la Universal ma produsse gran parte delle sue opere con pochi spiccioli, fondi racimolati tramite finanziatori europei e proventi delle sue apparizio¬ni come attore (ad esempio nel wellesiano Il terzo uomo, di Carol Reed). Come regista e interprete Welles realizzò riduzioni di classici come Otello ma anche film di spionaggio (Rapporto confidenziale) e gialli (La signora di Shanghai, L'infernale Quinlan), portando in tutti la tecnica spettacolare che aveva intro¬dotto in Quarto potere: uso gotico del chiaroscuro, profondità di fuoco, colon¬ne sonore di devastante potenza, dissolvenze riflessive, improvvisi stacchi, accavallarsi e interrompersi del dialogo, intricati movimenti di macchina. La scena cruciale di La signora di Shanghai, una sparatoria in un labirinto di specchi, punta palesemente più a un virtuosistico sfoggio di immagini spiaz¬zanti che a una soluzione plausibile del dramma ; L'infernale Quinlan, che si apre con uno dei piani sequenza più barocchi della storia di Hollywood, portò il noir a livelli mai raggiunti prima. In Falstall tratto dalle opere di Shakespeare su Enrico IV, Welles mise in scena la sequenza di battaglia più cinetica e impressio¬nante dell'epoca. Welles continuò ad assediare gli studios negli anni Settanta e Ottanta nella vana speranza di completare alcuni suoi progetti di vecchia data. Orson Welles proveniva dagli ambienti del teatro di sinistra di New York, così come parecchi altri registi che come lui approdarono a Hollywood.

Durante gli anni Trenta il Group Theatre trapiantò in America il "metodo" naturalistico di recitazione insegnato da Stanislavskij al Teatro d'arte di Mosca. Il principale allievo del Group era Elia Kazan, che si impo¬se a Hollywood pur continuando a dirigere a Broadway le prime rappresen¬tazioni di Morte di un commesso viaggiatore, Un tram che si chiama desiderio e La gatta sul tetto che scotta. Dopo essersi specializzato in film di spirito liberale sui problemi sociali, Kazan passò rapidamente a prestigiosi adattamenti cinema¬tografici di opere di Tennessee Williams, Un tram che si chiama Desiderio (1951) e Baby Dol! (1956), oltre a film di critica sociale come Un volto nella folla che denuncia gli abusi dell'uso della televisione a fini politici. Dopo la guerra Kazan e due colleghi di New York fondarono l'Actors Studio, nella convinzione che il "metodo" di Stanislavskij richiedesse all'at¬tore di radicare la sua performance in esperienze personali: l'improvvisazione era una strada verso una recitazione naturale, anche se a volte dolorosa e non priva di rischi. La concezione di Kazan trovò in Marlon Brando il suo princi¬pale esponente: una classica applicazione del "metodo" avviene in Fronte del porto (1954) dello stesso Kazan, quando Terry raccoglie il guanto caduto a Edie e inizia a giocare con esso. Trattenere il guanto diven¬ta un pretesto per costringerla a restare vicino a lui, ma il fatto di raddriz¬zarne le dita, di piluccarne peluzzi e perfino di provare a indossarlo diventa¬no indizi che esprimono la sua attrazione per lei e offrono un' eco delle burle dell'infanzia che lui ricorda. Il "metodo" avrebbe avuto un'enor¬me influenza su Hollywood attraverso Kazan, Brando, James Dean, Karl Malden e altri membri dell' Actors Studio. Nicholas Ray lavorò col Group Theatre prima di fare da aiuto regista a Kazan per Un albero cresce a Brooklyn. Esordì nella regia con la dolorosa storia di una coppia in fuga costretta a una vita da fuorilegge, La donna del bandito. Eternamente ai margini, Ray si specializzò in film dedicati a uomini la cui durezza nasconde una pulsione autodistruttiva: Diritto di uccidere (1950) coin¬volge uno sceneggiatore di Hollywood in un omicidio e ne rivela la narcisi¬stica abitudine di sfruttare gli altri; nell'insolito western Johnny Guitar il pistolero stanco è dominato dalla durissima signora di un saloon e il momento cruciale del film è un duello alla pistola tra due donne; in Gioventù bruciata (Rebel Without a Cause, 1954) James Dean è un altro eroe tormenta¬to, infantilmente passivo e privo di certezze: il film dimostra anche l'uso pos¬sente che Ray fa dell'inquadratura in Cinemascope. Dopo diver¬si altri "melodrammi virili", Ray concluse la sua carriera a Hollywood con due kolossal storici, Il re dei re e 55 giorni a Pechino.

Un altro gruppo di registi del dopoguerra emerse dalla sceneggiatura. Samuel Fuller, era stato sce¬neggiatore per un decennio prima di dirigere Ho ucciso Jesse il bandito. Ex reporter per i tabloid di New York, Fuller portò in tutti i suoi progetti una sensibilità da B-movie: il suo stile faceva ricorso a inten¬si primi piani, inquadrature fuori centro e un montaggio shock per sottoli¬neare storie di tradimento nel sottobosco criminale o di uomini che affronta¬no la morte in battaglia. Fuller punta dritto allo stomaco ad esempio durante una scazzottata in Mano peri¬colosa, un uomo è trascinato giù per una scala, sbattendo il mento su ogni scalino. Fuller ama orchestrare scene di lotta che assal¬gorio lo spettatore: l'inizio di Il bacio perverso (The Naked Kiss, 1963) rivolge la sua furia contro il pubblico, con una donna che colpisce direttamente la macchina da presa. Robert Aldrich costruì Un bacio e una pistola e Prima linea sui dialoghi vuoti e il sadismo esasperato della narrativa pulp.

Le nuove leve del dopoguer¬ra, provenivano di norma dal teatro o dallo studio system. La genera-zione più giovane, che iniziò a fare film a metà degli anni Cinquanta, aveva spesso cominciato dalla televisione. John Frankenheimer, Sidney Lumet, Martin Ritt e Arthur Penn arrivarono al cinema dopo aver fatto la regia di sceneggiati trasmessi in diretta e portarono sul grande schermo un' estetica "televisiva" di grandi primi piani, set claustrofobici, profondità di fuoco e scentggiature molto parlate. Tutti divennero figure importanti nella Hollywood dei primi anni Sessanta e furono tra i primi a trarre ispirazione dal cinema d'autore europeo e dalla Nouvelle Vague in Mickey One di Penn (1965), L'uomo del banco dei pegni di Lumet e Operazione diabolica di Frankenheimer (1966). Nonostante le difficoltà dell'industria, registi di generazioni diverse e di diversa esperienza fecero del cinema hollywoodiano del dopoguerra una forza centrale nella cinematografia mondiale. Il sistema aveva perduto la sua stabilità economica, ma i generi e gli stili del periodo classico offrivano una cornice all'interno della quale i registi potevano creare film personali e potenti. Così, anche i giovani e ambiziosi cineasti che vennero alla ribalta nell'Europa dei primi anni Sessanta trassero spesso ispirazione dalla Hollywood del dopoguerra.

L'EVOLUZIONE DEI FORMATI PANORAMICI
I formati panoramici introdotti nei primi anni Cinquanta hanno conti¬nuato a dominare le sale cinematografiche, ma le proiezioni sono state ogget¬to di ulteriori innovazioni tecnologiche. Poiché solo le sale "road-show" erano attrezzate per il 70mm, i film panoramici erano distribuiti anche in copie 35mm per le sale di periferia. Con il declino americano del 70mm il 35mm ricon¬quistò il suo dominio. Oggi, comunque, alcuni film ad alto budget sono gira¬ti in 35mm ma distribuiti in 70mm, cosa che permette eccellenti ingrandi¬menti e suono migliore. Questo significa che un film in 35mm può essere girato con un determinato rapporto ma proiettato in un altro. Se un film è girato su 35mm anamorfico, le copie in 35mm saranno di solito proiettate col rapporto 1:2,35, mentre le copie 70mm si vedranno nello standard 1:2,2.. Quando i film sono visti in un' occasione diversa dalla proiezione in sala, appaiono spesso in standard radicalmente differenti da quelli per cui sono stati concepiti. Una copia in 16mm di un film Cinemascope può essere ana¬morfica, può avere un mascherino che la adatta a un formato panoramico piùangustO dell'originale 1:2,35, o può essere in una versione "normale" che riempie del tutto il fotogramma a 1,37. Queste ultime due versioni possono essere proiettate senza una lente speciale, ma tagliano-gran parte dell'imma¬gine originale. Lo standard televisivo, concepito per coincidere con il rapporto Academy di 1:1,37, mostra abitualmente i film panoramici in versione nor¬male. Per non tagliare l'azione in un film girato per lo schermo panoramico, i tecnici della televisione hanno escogitato il processo di pan-and-scan, che introduce movimenti di macchina o stacchi che non sono nell'originale. Per evitare simili problemi, alcuni operatori girano i film in formato panorami¬co tenendo presente la futura proiezione televisiva. Questo è più facile quan-do si gira utilizzando l'intero fotogramma (vale a dire nel rapportO 1:1,37). Il formato quadrato è il più adatto a versioni che appariranno in televisione e videocassetta. Girando con rapporti più ampi, l'operatore può tenere in con¬siderazione il rapporto televisivo lasciando spazi vuoti nell' inquadratura. Attualmente molti film sono distribuiti su laserdisc nel formato "letterbox" che si avvicina all'immagine più ampia del grande schermo e anche le stazio¬ni televisive via cavo stanno iniziando a programmare queste versioni di film classici panoramici.

IL CINEMA DI EXPLOITATION E GLI ESPERTI DI "FILM STRANI"
Fin dagli anni Settanta, i film di exploitation sono divenuti oggetto di culto. Alcuni appassionati trovano esilaranti i dialoghi interminabili, le interpretazioni legnose e la tecnica approssimativa. Questa filosofia del così-¬brutto-da-essere-bello è stata resa popolare da The Golden Turkey Awards di Harry e Michael Medved (Putnam, New York, 1980). Altri estimatori consi¬derano i film di exploitation una sfida diretta all'idea di normalità espressa dalla Hollywood mainstream: nata nell'epoca del Punk e della musica No Wave, questa concezione della tecnica grossolana e del cattivo gusto come portatori di un potenziale sovversivo è esemplificata in lanzine come «Film Threat» e «That's Exploitation!». Con la recente disponibilità in video di materiale di exploitation, una sottocultura "psicotronica" è cresciuta attorno a film violenti, vecchi o più recenti.

 

16 – Parte sul Neorealismo

ITALIA: NEOREALISMO E OLTRE
La tendenza cinematografica più importante dell'epoca apparve in Italia negli anni 1945 -1951: il neorealismo. Esso non fu un movimento così originale o compatto come si è a lungo pensato, ma senza dubbio creò un diverso approccio al cinema di finzione ed ebbe enorme influenza sul cine¬ma di altri Paesi.

LA PRIMAVERA ITALIANA
Con la caduta di Mussolini, l'industria cinematografica italiana perse il suo centro organizzativo e molte case di produzione dovet¬tero ridimensionarsi. Mentre le società interne tentavano di sopravvivere, il cinema neorealista si impose come una forza di rinnova¬mento culturale e sociale. Durante il declino del regime fascista era affiorato un impulso realista: Quattro passi tra le nuvole (di Alessandro Blasetti, 1942), I bambini ci guardano (di Vittorio De Sica, 1943), Ossessione (di Luchino Visconti, 1942) portarono alcuni autori a concepire un cinema nuovo. Dopo la liberazione nella primavera del 1945, la gente di ogni classe diven¬ne ansiosa di rompere con il passato e i registi furono pronti a farsi testimoni di quella che fu chiamata "prima¬vera italiana". Il "nuovo realismo" era arri¬vato e nasceva dal contrasto con molti dei film che li avevano preceduti: il cinema italiano era rinomato in tutta Europa per le sue meravigliose scenografie in studio, ma gli studi statali di Cinecittà avevano subito pesanti danni durante la guerra per cui i cineasti si spo¬starono nelle strade e nelle campagne. Un'altra novità era l'esame critico della storia recente. I film neoreali¬sti proponevano storie contemporanee con una prospettiva da "fronte popo¬lare": la trama di Roma città aperta (di Roberto Rossellini, 1945) era ad esempio ispirata a eventi reali avvenuti nell'inverno 1943-1944. I protago¬nisti sono coinvolti nella lotta contro le truppe tedesche che occupano Roma. Paisà (1946), di Rossellini, offre una visione caleidoscopica dell'entrata degli Alleati in Italia e mette a fuoco non solo la lotta fra i partigiani e le forze occupanti ma anche le tensioni, le incomprensioni e le" occasionali affinità che sorgevano tra la popolazione e le truppe americane. Il tema della differenza tra lingue e culture ha in Paisà la stessa importanza degli eventi storici da esso raccontati. Ben presto i cineasti passarono dall' eroismo partigiano a problemi socia¬li contemporanei, come la divisione della società in fazioni contrapposte, l'in¬flazione e la disoccupazione crescente. Poche opere neorealiste rappresentano il dopoguerra in modo più vivido di Ladri di biciclette (di Vittorio De Sica, 1948): storia di un operaio la cui sussistenza dipende dalla sua bicicletta. Il film mostra la brutale rapacità della vita nel dopoguerra. Il pro¬tagonista, Ricci, si rivolge a ogni istituzione ma nessuno è in grado di recuperare la bicicletta rubata e molti sono indifferen¬ti alla sua tragedia: con il figlio Bruno è costretto a vagare per la città in un'i¬nutile ricerca. Nel film, a questa critica sociale fa da contrappunto la disintegrazione della fiducia tra padre e figlio: il momento cruciale si ha quando, in preda alla disperazione, Ricci cerca di rubare a sua volta una bicicletta e Bruno lo guar¬da in preda allo shock di chi vede crollare tutte le illusioni sul proprio padre. A Ricci è risparmiato l'arresto e Bruno, che ora accetta dolorosamente la fra¬gilità del padre, riafferma il suo amore prendendolo per mano. Lo sceneggia¬tore del film, Cesare Zavattini, aveva espresso più volte il desiderio di fare un film che si limitasse a seguire un uomo per novanta minuti della sua vita: Ladri di biciclette non è questo, ma all'epoca fu visto come un passo verso l'i¬dea di Alicata e De Santis di seguire il «passo lento e stanco» dell'operaio.
Alcuni film esplorarono i problemi della vita rurale; la più nota è La terra trema di Visconti - libero adattamen¬to di I Malavoglia di Giovanni Verga - , che ritrae la sfortunata ribellione di un gruppo di pescatori siciliani contro i grossisti di pesce che li sfruttano. Nel 1948, la "primavera italiana" si concluse con la sconfitta alle elezio¬ni dei partiti liberali e di sinistra e l'Italia si spostava verso un'economia europea di tipo moderno. L'industria del cinema scoprì di poter esportare film perfino negli Stati Uniti.
Gran parte dei film neorealisti ritraevano un Paese desolato e colpito dalla povertà e ciò faceva infuriare politici ansiosi di dimostrare che l'Italia era sulla via della democrazia e della prosperità. La chiesa cattolica condannò molti film per il loro anticlericalismo e per il modo in cui descri¬vevano la vita e le abitudini sessuali della classe operaia, mentre la sinistra ne attaccava la mancanza di un'esplicita dichiarazione di fede politica. Poche opere neorealiste furono popolari presso il pubblico: gli spetta¬tori si lasciavano attrarre più volentieri dai numerosissimi film americani in circolazione. Il sottosegretario allo spettacolo Giulio Andreotti trovò il modo di rallentare l'avanzata dei film americani frenando allo stesso tempo gli imbarazzanti eccessi del neorealismo: nel 1949, la "legge Andreotti" fissò limiti alle importazioni, ma pose anche le basi per fornire prestiti alle case di produzione. Per concedere un prestito, tuttavia, una commissione statale doveva approvare la sceneggia¬tura, e i film privi di un punto di vista politico erano premiati con somme maggiori. Ancor peggio, a un film poteva essere negata la licenza di espor¬tazione se «diffamava l'Italia». La legge Andreotti aveva insomma creato una censura preventiva.
La mossa coincise con un generale abbandono del neorealismo più "puro” così alcuni autori cercarono e un'ambientazione neorealista girando melodrammi e storie d'amo¬re tradizionali in regioni che offrissero un colore locale pittoresco. Emerse anche il "neorealismo rosa", un cinema che inseriva personaggi della classe operaia negli schemi della commedia populista in stile anni Trenta. In questo scenario, l'Umberto D di De Sica e Zavattini (1951) - che descriveva la vita solitaria di un pensionato – non poteva non colpire i funzionari come una pericolosa regressione: il film inizia con una scena in cui la polizia disperde una dimostrazione di vecchi pensio¬nati e si chiude col fallimento del suicidio di Umberto.

INNOVAZIONI NARRATIVE
All'inizio degli anni Cinquanta l'impulso neorealista era ormai esaurito e presto emersero molte posizioni critiche. Una corrente vedeva nel neorealismo un' informazione impegnata, un'altra posizione metteva invece l'ac¬cento sulla dimensione morale dei film. Una teoria più astratta, sostenuta dai critici francesi André Bazin e Amédée Ayfre, si concentrò su come l'approccio documentaristico del neo¬realismo rendesse lo spettatore consapevole della bellezza della vita di ogni giorno riprendendo le idee di Cesare Zavattini, che voleva un cinema che presentasse il dramma nascosto negli eventi quotidiani. Gran parte degli storici del cinema ritiene il neorealismo un momentO importante non solo per le sue posizioni politiche e la sua visione del mondo ma anche per le innovazioni nella forma cinematografica. Si ritiene di solito che il tipico film neorealista sia girato in esterni, con attori non professionisti e inquadrature grezze, improvvisate, ma in realtà i film con queste caratteristiche sono ben pochi: la maggior parte delle scene in interni è girata in set ricostruiti in studio e illuminati con cura e il dialogo è quasi sempre doppiato, permettendo un controllo anche a riprese ultimate. Se alcuni interpreti sono effettivamente non profes¬sionisti, più comunemente si ha quella che Bazin chiama la tecnica dell' «amalgama», in cui attori non professionisti sono mescolati a divi come Anna Magnani e Aldo Fabrizi e molti film sono montati rispettando le norme dello stile clas-sico hollywoodiano. Le scene contengono fluidi movimenti di macchina, un nitore impeccabile e un'azione scandita su più piani. È tipico del cinema neorealista l'uso di maestose colonne sonore. Le maggiori innovazioni del neorealismo risiedono nell'articolazione del racconto: un motivo ricorrente è quello della coincidenza. Questi sviluppi narrativi, che rinne¬gano illogico concatenarsi degli eventi tipico del cinema classico, sembrano più obiettivamente realistici e riflettono la casualità degli incontri nella vita quotidiana. A questa tendenza va aggiunto l'uso massiccio dell'ellissi: i film neorealisti spesso trascurano le cause degli eventi a cui assistiamo. L'allentarsi della linearità della trama è forse più evidente nei finali voluta¬mente irrisolti: a metà di Roma città aperta, Francesco sfugge ai fascisti, ma poi non se ne sa più nulla; in Ladri di biciclette, Ricci e Bruno si perdono tra la folla senza aver ritrovato la bicicletta: come tireranno avanti, il film non lo dice. Il risultato sembra sempre una mera sequenza di eventi: la scena B segue alla scena A semplicemente per il fatto di essere avve¬nuta dopo, non perché la scena A ne sia la causa. Gran parte di Ladri di bici¬clette ruota attorno alla ricerca della bicicletta rubata, dal mattino al tardo pomeriggio, seguendo la cronologia della giornata. Anche le sequenze finali di Germania anno zero (947), il terzo film di Rossellini nel dopoguerra, sono caratterizzate da questo andamento episodico: il piccolo Edmund - che riassume in sé la confusione morale della Germania sconfitta - abbandona la famiglia e vaga per le strade di Berlino; gli ultimi quattordici minuti del film lo seguono attraverso un'unica notte fino al matti¬no successivo, concentrandosi su avvenimenti casuali. Edmund guarda una pro¬stituta che lascia un suo cliente, vaga-bonda tra le rovine degli edifici, fino a quando si uccide buttandosi dalla cima di un edifi¬cio semidistrutto dopo aver visto portare via la bara di suo padre. Benché il sui¬cidio sia una conclusione narrativa tradizionale, Rossellini ci conduce a esso attraverso un film fatto di avvenimenti quotidiani, colti quasi per caso. Davanti a una trama che consiste di fatti privi di un reciproco nesso cau¬sale, lo spettatore non sa più distinguere tra "scene madri" e momenti di pas¬saggio: il racconto neorealista tende ad "appiattire" tutti gli eventi allo stesso livello, In Umberto D, una scena è dedicata al risveglio della cameriera che inizia il suo lavoro quotidiano in cucina: Bazin elogiò l'in¬dugiare della macchina da presa su "micro-azioni" insignificanti che il cinema tradizionale non mostra mai. Il neorealismo si sforzava di descrivere la vita comune in tutte le sue sfu¬mature. In Paisà scene vagamente comiche o patetiche si alternano a esplo¬sioni di violenza. Probabilmente l'esempio più famoso di commistione di toni in film dell'epoca è la scena della morte di Pina in Roma città aperta; Rossellini inizia la scena con una forte suspense quando i soldati tede¬schi circondano un blocco di edifici e iniziano a cercare partigiani nascosti. Il tono cambia di nuovo quando Pina vede che i tedeschi hanno cattu¬rato Francesco, il suo uomo, e lo stanno portando via con un camion. Si libe¬ra dalle guardie e corre dietro al camion. Improvvisamente si sente una raffica di mitragliatrice. Nell'inquadratura seguente, vista dagli occhi di Francesco, Pina è colpita e cade. Inizia una musica cupa. (In un film più classico, Francesco avrebbe visto l'as¬sassino di Pina e avrebbe passato il resto del film a cercare la vendetta. Ma qui Pina è abbattuta da una raffica anonima e l'identità dell'assassino non è mai rivelata. Inoltre Pina è stata presentata come la protagonista del film e la sua morte improvvisa costituisce una sorpresa alla quale nel 1945 ben pochi spettatori erano prepa¬rati). Le soluzioni narrative e stilistiche del neorealismo ebbero grande influenza sul cinema moderno internazionale che sarebbe sorto di lì a poco.

Oltre il neorealismo
A parte opere come Umberto D, il neorealismo rosa fu la forma domi¬nante del movimento nei primi anni Cinquanta: l'enorme successo di Pane, amore e fantasia di Luigi Comencini aprì la strada a un filone di imitazioni che proseguì fino agli anni Sessanta. Il neorealismo rosa conservava in parte la scelta di ambientazioni autentiche, l'uso di attori non professionisti e occasionalmente sfiorava questioni sociali, ma riconduceva il neorealismo nella più forte tradizione della commedia italiana. Mentre la ripresa econo¬mica continuava a spingere l'Italia verso una crescente prosperità, gli spet-tatori divennero sempre più insofferenti all'attenzione neorealista verso povertà e sofferenza. Nello stesso periodo, l'industria interna cominciava a prestare più atten¬zione al mercato internazionale. Anche se centinaia di film americani erano distribuiti con successo nell'Italia degli anni Quaranta, il governo italiano congelava i profitti all'interno del Paese. QuestO incoraggiò Hollywood a reinvestire il denaro nella produzione, distribuzione e programmazione di film italiani. L'Italia sosteneva anche produzioni americane sul proprio terri¬torio, mettendo a disposizione attori e tecnici. Molti generi tradizionali si rivelarono esportabili: il fortunatissimo Pabiola (1948) di Blasetti ridiede vita al kolossal storico e le platee in Europa e in America scoprirono il gusto del "peplum", parate di forzuti come Ulisse (di Mario Camerini, 1954) e La rivolta dei gladiatori (di Vittorio Cottafavi, 1958). Altrettanto successo arrise alla commedia all'italiana in cui, ai collau¬dati Vittorio De Sica e Totò, si affiancavano scoperte del dopoguerra come Sophia Loren, Vittorio Gassman, Alberto Sordi e Marcello Mastroianni: i tito¬li di maggior successo furono l soliti ignoti (di Mario Monicelli, 1958) e Divorzio all'italiana (di Pietro Germi, 1962). Carlo Ponti e Dino de Laurentiis erano le punte di diamante di una nuova generazione di produttori che guar¬dava al di là della frontiera italiana e trasformarono gli studi di Cinecittà, finalmente rimessi in funzione, in una vera fabbrica di film. Altri cineasti si indirizzarono verso il ritratto psicologico. L'attenzione era centrata sull'importanza delle circostanze sociali nei rapporti fra gli individui. Michelangelo Antonioni, uno dei maggiori registi dell' epoca, ammetteva che non era più importante fare un film su un uomo a cui hanno rubato la bicicletta, ma vedere cosa c'è nella mente e nel cuore dell'uomo che ha subito il furto (Era una metafora allusiva nel descrivere gli animi del dopoguerra). L'interesse per gli effetti della guerra e della ricostruzione segna nei primi anni Cinquanta sia l'opera di Antonioni che di Rossellini. Entrambi rivelano come la vita dell'individuo sia alterata dalla confusione del dopoguerra. Dopo la trilogia della guerra - Roma città aperta, Paisà e Germania anno zero - il cinema di Rossellini si concentra sul tentativo di ridare umanità a quella che vede come una società in disfacimento. I suoi film divennero altamente didascalici, tesi a mostrare come l'opinione comune tenda a scambiare le persone sensibili per sempliciotti, eretici o folli. Nei film con Ingrid Bergman, Rossellini descrive la graduale scoperta della consapevolezza morale da parte di un personaggio femminile come ad esempio in Europa 51 dove una madre distrutta dal suicidio del figlio dedica la sua vita ad alleviare le soffe¬renze degli altri: la sua carità non può che essere scambiata per follia e lei fini¬sce imprigionata in un manicomio. Rossellini si concentra sulla straordinarietà di chi sa riscoprire valori fondamentali nel mondo del dopoguerra. Al contrario, i film di Antonioni sono incentrati sul modo in cui l'ambizione e i cambiamenti di classe spingono gli individui a perdere il loro senso morale. In Cronaca di un amore (1950), ad esempio, il protagonista e la protagonista, anni prima, hanno acci¬dentalmente provocato la morte di un' amica; ora la donna è sposata con un facoltoso industriale mentre l'uomo fa il venditore di automobili. La curiosità del marito di lei per il passato della moglie lo porta ad assumere un investi¬gatore, le cui ricerche finiscono per riaccendere la passione fra i due amanti, inducendoli a progettare l'omicidio dell'industriale. La narrazione di molti film d'autore italiani dei primi anni Cinquanta si fonda su convenzioni neorealiste come l'ellissi e il finale aperto: in particolare, l'attenzione agli stati psicologici degli individui condusse Rossellini e Antonioni verso uno stile anti-drammatico derivato dalla particolare attenzio¬ne del neorealismo agli eventi meno significativi. La trama di un film poteva alternare scene di conversazione banale ad altre in cui si vedono i personaggi interagire con l'ambiente o semplicemente muoversi attraverso un paesaggio. Un esempio canonico di racconto de-drammatizzatO è Viaggio in Italia di Rossellini, in cui le liti fra Katherine e il marito si alternano con scene delle escursioni di lei in luoghi turistici di Napoli e dintorni. Sempre più spesso i registi utilizzavano lente carrellate per esplorare le rela¬zioni tra i personaggi e un ambiente concreto. I film di Antonioni di quel periodo spinsero questa tendenza all'estremo affidandosi a lunghi piani sequen¬za. Dopo i primi anni Cinquanta i cineasti misero in scena personaggi delle classi medie e alte, nell'intento di analizzare gli aspetti psicologici della vita con-temporanea. In alternativa, Federico Fellini descriveva le classi medie e basse in modo più poetico in una serie di film che inizia con Luci del varietà 1950, codi¬retto con Lattuada).

20 – Nuove proposte cinematografiche giovani – 1958-1967

I dieci anni che seguirono il 1958 videro in tutto il mondo straordinari fer¬menti nel cinema inteso come arte: alle innovazioni degli autori già affer¬mati si aggiunse una quantità di nuove tendenze e di nouvelles vagues impe¬gnate ad affrontare la tradizione modernista con spirito critico e rinnovatore. Fra i registi più giovani molti sarebbero divenuti le figure centrali dei decen¬nI successivi.

LE NUOVE ISTANZE DELL'INDUSTRIA
In tutto il mondo il cinema si trovava in condizioni molto favorevoli ai nuovi talenti. I produttori puntarono a nuovi seg¬menti di pubblico con coproduzioni e film erotici indivi¬duando rapidamente un terreno fertile nella cultura giovanile emersa sul fini¬re del decennio in gran parte dei paesi occidentali. In Europa la liberazione ses¬suale, la musica rock, le nuove mode, l'esplosione del calcio e di altri sport, e nuove forme di turismo divennero i simboli della generazione che raggiunge¬va la maturità attorno al 1960. L'impulso verso una comoda vita urbana fu rafforzato dal boom economico, che dopo il 1958 favorì in tutta Europa un netto miglioramento nella qualità della vita. Fenomeni analoghi emergevano in Giappone e nell'Europa dell'Est. E per attrarre un pubblico giovane le case di produzione aprirono la strada a registi giovani, esordienti; la nuova generazione accelerò il processo di internazionalizzazione della cultura cinematografica: i cinema d'essai e i cineclub si moltiplicavano, men¬tre la lista delle città che ospitavano festival internazionali si allungavano.

TENDENZE FORMALI E STILISTICHE
Qualsiasi Paese si prenda in esame, il nuovo cinema è un disordinato assortimento di cineasti molto diversi le cui opere di solito non rivelano quel¬l'unità stilistica presente nei vari movimenti dell'epoca del muto. Non si può tuttavia negare che le varie tendenze condivisero alcuni elementi generali. La nuova generazione era la prima ad avere il senso della storia del cine¬ma: la Cinémathèque Française a Parigi, il National Film Theatre a Londra e il Museum of Modern Art di New York divennero templi per giovani spetta¬tori desiderosi di scoprire il cinema mondiale. Le scuole di cinema proiettava¬no e studiavano i classici del cinema internazionale e alcuni registi più anzia¬ni divennero autentici padri spirituali. I giovani registi assorbi¬rono in particolare l'estetica del neorealismo e del cinema artistico degli anni Cinquanta, sviluppandone l'esperienza. Più vistose erano però le innovazioni tecniche, anche perché parte del nuovo cinema si identificava con un approccio più immediato al linguaggio filmico: a partire dalla fine degli anni Cinquanta, e per tutti gli anni Sessanta, si misero a punto macchine da presa senza bisogno di cavalletto, mirini reflex per vedere esattamente ciò che inquadrava l'obiettivo, e le pellicole divennero più sensibili. Gran parte di questo materiale era destinato a semplificare la vita ai documentaristi ma gli autori di fiction non esitarono ad appro¬priarsene: diventava così possibile girare in presa diretta, registrando il rumo¬re d'ambiente del mondo reale, lontano dal silenzio pneumatico dei teatri di posa; l'obiettivo poteva esplorare le strade e scovare i personaggi in mezzo alla folla. Il cinema di fiction conquista negli anni Sessanta libertà espressi¬va: spesso la macchina da presa si mantiene lontano dal soggetto e ricorrendo allo zoom per coglierne i dettagli. I primi piani e il gioco di campi e controcampi sono realizzati sempre più spesso con focali lunghe, una tendenza che dominerà tutti gli anni Settanta. Il ruvido stile documentario non provocò però la condanna del cinema alla registrazione passiva del mondo reale; i giovani registi saccheggiarono anzi le potenzialità del montaggio frammentario e discontinuo in una misura mai vista dall'epoca del muto: in Fino all'ultimo respiro Godard frantuma le regole fondamentali del mon¬taggio contiguo arrivando al jump cut, al taglio di alcuni fotogrammi all'inter¬no di una sequenza che viene così punteggiata da stridenti "salti". Il montaggio divenne un elemento centrale nella creazione del film, anche se i registi più anziani preferivano uno stile più scorrevole. Gli autori più estremi del periodo puntavano addirittura a una forma di collage, assemblando nelle loro opere materiale girato per l'occasione, di repertorio (cinegiornali, vecchi film) e ogni altro genere di immagini (pubblicità, istan¬tanee, manifesti e via dicendo). Ma la nuova generazione intensificò anche il ricorso alla sequenza lunga,uno dei principali tratti stilistici del dopoguerra. Una scena poteva essere risolta tutta in una sola inquadratura (piano sequenza) ¬per la quale le macchine da presa leggere si rivelarono ideali. Qualcuno alter¬nava piani sequenza e montaggio brusco: nella Nouvelle Vague c'era chi spez¬zava una sequenza lunga e fluida con un improvviso primo piano; altri, si ispiravano a Ophuls e Antonioni e costruivano i film con una successione di lunghi e intricati piani sequenza. Le nuove tecniche del cinema diretto permettevano ora ai registi più giovani di spingersi ancora più avanti su questa strada, ambientando le storie nel loro quartiere o nel loro appartamento, con uno stile che i registi tradizionali giudicavano grezzo e poco professionale. Si sviluppò in questo periodo anche il realismo soggettivo del cinema d'autore. I flashback iniziarono a essere utilizzati per intensificare una percezione dello stato mentale dei perso-naggi: Hiroshima mon amour (di Alain Resnais, 1959) portò al flashback "sog¬gettivo" legioni di registi, mentre proliferavano le scene fantastiche e oniriche. Tutte queste immagini mentali diventano più frammentarie e disordinate di quanto non fosse accaduto nel cinema del passato: la narrazione può essere interrotta da squarci di altre realtà che solo a poco a poco divengono identifi¬cabili come ricordi, sogni o fantasie. Al limite, questa realtà può restare incomprensibile fino all'ultimo, a suggerire come nell'esperienza umana realtà e immaginazione possano fondersi. Anche la tendenza a inserire il commento dell' autore proseguì e si rinn¬novò: i cadenzati movimenti dell'obiettivo di Truffaut attorno ai suoi perso¬naggi suggeriscono di vedere le loro vite come una lirica danza; in alcune scene di 81/2 (1963) mescolano in modo inestricabile ricordi e immagini di fantasia. Gli autori più giovani sperimentavano anche un uso ambiguo della forma narrati¬va: all'ambiguità contribuisce anche il rac-conto "aperto", come quando nel finale di Fino all'ultimo respiro ci resta il dub¬bio sull' atteggialnento della giovane studentessa nei confronti di Michel. La perdita di chiarezza delle storie raccontate parve allontanare il cinema dalla missione di documentare il mondo e la società. Unendosi alla profonda conoscenza della storia del cinema da parte dei giovani registi, l'abbandono del realismo oggettivo rese autoreferenziale forma e stile dei film: molte pellicole non cercavano più di riflettere una realtà esterna e il cinema si ripiegò su di sé concentrandosi sui suoi stessi materiali, strutture e storia. La riflessività resta un tratto chiave del cinema nuovo e in generale del cinema artistico degli anni Sessanta. Anche i film di montaggio, che giustappongono materiale di fonti o periodi diversi, contribuiscono a un'analoga consapevolezza dell'artificio fil¬mico. I nuovi movimenti arrivavano a citarsi a vicenda: il cinema rico¬nosceva insomma i meccanismi dell'illusione e i debiti di ogni film verso la storia del mezzo.

FRANCIA: NOUVELLE VAGUE E CINEMA NUOVO
Nella Francia degli ultimi anni Cinquanta l'idealismo e i movimenti politici del primo dopoguerra mutarono in una cultura quasi apolitica del con¬sumo e del divertimento. La nuova generazione destinata a occupare presto i posti di potere in Francia fu battezzata Nouvelle Vague, ed era in gran parte composta da avidi lettori di riviste di cinema e frequentatori di cineclub e cinema d'essai: un pubblico, insomma, pronto per film meno allineati di quel¬li del cinema di qualità. Nel 1953 il Centre National du Cinéma aveva introdotto un premio di qualità che permetteva a nuovi registi di realizzare cortometraggi; una legge del 1959 rilanciò con il sistema della avance sur recettes ("anticipo sulle ricevute"), che finanziava le opere prime sulla base della sceneggiatura. Fra il 1958 e il 1961 esordirono così nel lungometraggio dozzine di registi. Uno sviluppo così vistoso comprendeva naturalmente tendenze molto differenti, ma le due principali sono quelle che si identificano con il gruppo della Nouvelle Vague da una parte e dall'altra con quelli della Rive Gauche, auto¬ri di poco più anziani che solo ora si affacciavano sul mondo del cinema.

La Nouvelle Vague
Si deve in gran parte alla Nouvelle Vague l'immagine romantica del giovane regista che lotta per sfidare con un cinema personale le convenzio¬ni dell'industria. Paradossalmente, molti componenti del gruppo sarebbero divenuti rapidamente autori commerciali, spesso di livello assai ordinario. I principali esponenti della Nouvelle Vague nascevano come critici dei «Cahiers du cinéma», erano fedelissimi alla politica degli autori e convinti che il regista dovesse esprimere una sua personale visione del mondo, una visione che non doveva esprimersi solo nella sceneggiatura del film, ma anche nello stile. Gran parte degli appartenenti ai «Cahiers» esordirono come registi di corti, ma quasi tutti sarebbero passati al lungometraggio entro la fine del decennio, sostenendosi e spesso finanziandosi vicendevolmente. L'epifania della Nouvelle Vague avvenne con quattro film usciti fra il 1958 e il 1960. Le beau Serge e I cugini di Claude Chabrol. I quattrocento colpi di François Truffaut, sen-sibile ritratto di un piccolo ladro fuggiasco, vinse a Cannes il premio per la miglior regia e impose la Nouvelle Vague nel mondo. Ma il più innovativo dei quattro resta Fino all'ultimo respiro di Jean-Luc Godard, resoconto degli ultimi giorni di vita di un piccolo criminale. Mentre Chabrol, Truffaut e Godard già lavoravano ai loro film successivi, altri giovani registi erano pronti all'esordio. Molti film della Nouvelle Vague erano l'ideale per le necessità finanzia¬rie dei produttori: girati in ambienti reali con attrezzatura leggera, attori poco noti e troupe ridotte all'osso, potevano essere ultimati in fretta e per metà del budget medio abituale; spesso si girava senza sonoro e si provvedeva in segui¬to al doppiaggio. Per tre anni, inoltre, svariate opere del genere produssero guadagni notevoli, portando alla fama Jean-Paul Belmondo e altre star che avrebbero dominato per decenni il cinema francese. Come indica lo stesso termine di Nouvelle Vague (traducibile come "nuova ondata"), gran parte del successo del gruppo si può attribuire al suo legame con il pubblico giovane: la maggior parte dei suoi componenti era nata attorno al 1930 e abitava a Parigi. Incentrato sulla vita professionale urbana tra mode chic e auto sportive, bar, party notturni a oltranza e locali jazz, il cinema della Nouvelle Vague proponeva l'ambiente dei caffè come se fosse cat¬turato con l'immediatezza del cinema diretto. Parecchie erano anche le affinità tematiche fra una pellicola e l'altra: dell'Autorità era meglio diffidare; l'impe¬gno politico o romantico era considerato con sospetto; le azioni gratuite dei personaggi recavano tracce di un esistenzialismo pop e in un'eco del reali¬smo poetico, del cinema di qualità e dei noir americani, spesso i soggetti ruo¬tavano attorno a una femme fatale. Gli autori della Nouvelle Vague condividono alcuni principi di base e, come Antonioni e Fellini, spesso strutturano le trame su eventi casuali e digressioni, intensificando inoltre la tendenza ai finali aperti: il celebre finale di I quattrocento colpi fece del fermo immagine una tecnica ideale per esprimere una situazione irrisolta . Allo stesso tempo la, mescolanza di toni del neorealismo è portata all'estremo: in Truffaut, Godard e Chabrol alla com¬media farsesca subentrano spesso ansia, dolore e morte. I registi furono infine i primi a riferirsi sistematicamente alle tradizioni cinematografiche precedenti considerando la storia del cinema una presenza viv (in Fino all'ultimo respiro il protagonista imita Humphrey Bogart). Questa coscienza del debito di ogni film nuovo con quelli passati valse come introduzione al cinema riflessivo degli anni Sessanta. Visto il sostegno dato dai «Cahiers» a un cinema personale, non c'è da stupirsi che la Nouvelle Vague non si sia coagulata in un movimento compat¬to nello stile come l'espressionismo tedesco o la scuola del montaggio sovieti¬co: le diverse direzioni prese negli anni Sessanta dai suoi esponenti induce semmai a vederla come una breve alleanza di temperamenti differenti. I due registi più importanti e influenti restano tuttavia Truffaut e Godard, anche se molti loro colleghi ebbero notevole fortuna.

Nuovo cinema francese: la Rive Gauche
La fine degli anni Cinquanta portò alla ribalta un altro eterogeneo grup¬po di cineasti, noti fin da allora come quelli della Rive Gauche, della "riva sini¬stra". Mediamente più anziani e meno cinefili di quelli dei «Cahiers», tendeva¬no ad assimilare il cinema ad altre arti, in particolare alla letteratura. Anche il loro cinema, comunque, era d'impronta moderna e favorito dall'interesse del pubblico giovane per la sperimentazione. Il prototipo dei film della Rive Gauche è Hiroshima mon amour, diretto da Alain Resnais su sceneggiatura di Marguerite Duras. Apparso nel 1959, il film divise la ribalta con I cugini e I quattrocento colpi, offrendo ulteriore prova del rinnovamento del cinema francese ma anche marcando la propria diversità dalle opere di Chabrol e Truffaut: al tempo stesso altamente intellettuale e capace di scioccare profondamente, Hiroshima mon amour contrappone in modo inquietante presente e passato. Giunta a Hiroshima per un film contro la guerra, un' attrice francese è attratta da un giapponese e nell'arco di due giorni e due notti ci fa l'amore, ci parla, ci litiga fino a che i due raggiungono un'oscura comprensione recipro¬ca. Nella mente di lei riaffiorano intanto i ricordi del soldato tedesco amato durante l'occupazione; tenta così di associare il suo tormento durante la secon¬da guerra mondiale con le terribili sofferenze inflitte dalla distruzione atomi¬ca di Hiroshima nel 1945. Il film si chiude con un' apparente riconciliazione della coppia e l'idea che la difficoltà di comprendere in pieno qualsiasi verità storica sia analoga a quella di comprendere un altro essere umano. Marguerite Duras costruisce la sua sceneggiatura come un duetto in cui voci maschili e femminili si intrecciano sulle immagini: spesso non è chiaro se la colonna sonora stia proponendo una conversazione reale, un dialogo imma¬ginario o un commento espresso dai personaggi, mentre il film passa con disinvoltura dall'azione della trama a materiale documentario, di solito di Hiroshima, o a inquadrature della giovinezza francese dell'attrice . Anche se i flashback erano divenuti frequenti già negli anni Quaranta e Cinquanta, i salti temporali di Resnais sono improvvisi, frammentari e spesso sospesi in modo ambiguo fra ricordo e fantasia. Nella seconda parte di Hiroshima mon amour il giapponese segue la fran¬cese per la città durante la notte e ai flashback si sostituisce la voce interiore di lei che commenta ciò che sta accadendo nel presente. Se la prima metà del film era così veloce nel ritmo da disorientare lo spettatore, la seconda rallenta fino a corrispondere al passo di lei, al suo nervoso fuggire e alla paziente atte¬sa dell'uomo: il ritmo, che ci costringe a osservare le sfumature del comporta¬mento dei due, anticipa quello di Antonioni in L'avventura. Nel 1959 Hiroshima mon amour fu presentato fuori concorso al Festival di Cannes e vinse il premio della Critica Internazionale: le scene di intimità ses¬suale e lo stile del racconto fecero sensazione, e l'ambigua mescolanza di reali-smo documentario, evocazioni soggettive e commenti dell'autore costituirono una tappa importante nello sviluppo artistico del cinema di tutto il mondo. Hiroshima mon amour diede a Resnais fama internazionale e il suo film seguente, L'anno scorso a Marienbad, sviluppò ulteriormente l'ambiguità moder¬nista: fantasia, sogno e realtà - sempre che ce ne sia - si mescolano nella vicen¬da di tre personaggi che si incentrano in un lussuoso albergo. Il successo di Hiroshima mon amour contribuì a lanciare altri registi della Rive Gauche. Georges Franju e anche Marguerite Duras si sarebbe poi cimentata nella regia. Il cinema francese degli anni Sessanta era uno dei più ammirati e imitati in tutto il mondo. La tradizione di qualità era stata sop¬piantata da un cinema assolutamente moderno. Benché Eric Rohmer fosse di quasi dieci anni più vecchio dei suoi amici ai «Cahiers», la fama lo raggiunse un po'" più tardi. Esteta riflessivo, Rohmer aderì scrupolosamente agli insegnamenti di Bazin: Il segno del leone ricorda Ladri di biciclette per come descrive i vagabondaggi di un uomo senza casa nel caldo dell'estate parigina (Fig. 20.17). Dopo quest'opera, Rohmer avviò la serie dei "Sei racconti morali", inda¬gini oblique su uomini e donne colti nello sforzo di bilanciare 1'intelligenza con impulsi emotivi ed erotici. Nel primo lungometraggio della serie, La col¬lezionista (preceduto da La boulangère de Monceau, La panettiera di Monceau, 1962, e La carrière de Suzanne, La carriera di Suzanne, 1963), la ninfetta Haydée tenta il superintellettuale Adrien ma si tiene appena fuori della sua portata (Fig. 20.18); il successo del film permise a Rohmer di completare la serie con La mia notte con lvIaud (Ma nuit chez Maud, 1967), Il ginocchio di Claire (Le genou ie Claire, 1970) e L'amore, il pomeriggio (L'amour, l'après-midi, 1972). La seconda serie, "Commedie e proverbi", si è chiusa nel 1980 quando il regi¬sta ha avviatO la terza, "I racconti delle quattro stagioni". Sgonfiando le pre¬tese dei suoi personaggi - ma sempre guardando con simpatia i loro sforzi di essere felici - il cinema di Rohmer restituisce il sapore del romanzo di costu¬me -o dtti film di Renoir. Se Rohmer predilige un racconto conciso e di nitida ironia, i film di Jacques Rivette - un altro critico dei «Cahiers» - tentano di catturare il flus¬so continuo della vita stessa: L'amour fou (L'amore folle, 1968) dura oltre quat¬trO ore, Qut 1 (1971) arriverà a dodici. Queste durate abnormi permettono a Rivette di svolgere gradualmente un ritmo quotidiano dietro al quale incom¬bono cospirazioni intricate e seminascoste. Paris nous appartient (1960) inaugura quest'anima paranoide: a una gio¬vane donna viene detto che gli invisibili governatori del mondo hanno por¬tato un uomo al suicidio e presto uccideranno l'uomo che lei ama. Il film deve molto a Lang, di cui Rivette ammirava le parabole sul fato annunciato da oscuri presagi, e introduce anche il tema della fascinazione per il teatro: uno dei percorsi narrativi segue un aspirante regista che tenta di mettere in scena Pericle princiPe di Tiro di Shakespeare in circostanze improvvisate (Fig. 20.19). L'amour fou sviluppa l'argomento in modo più elaborato seguendo la troupe di un film 16mm che documenta l'attività" di una trOlipe teatrale (Fig. 20.20). Considerato marginale nel primo periodo della Nouvelle Vague, Rivette sarebbe diventato autore di vasta influenza nel cinema fran¬cese degli anni Settanta. Decisamente più stilizzati sono i film di Jacques Demy, la cui carriera decollò con Lola donna di vita (Lola, 1961, dedicato a Max Ophuls in ricor¬do di Lola Montès): assieme a La grande peccatrice (La baie des anges, 1962) il film inaugura, nel ricorso a scenografie e costumi artificiali, quella che sareb¬be stata la cifra del regista. Ancor più lontano dal realismo è Les parapluies de Cherbourg (Id., 1964), in cui tutto il dialogo è cantato: la colonna sonora pop di Miche! Legrand e le vibranti combinazioni cromati che di Demy ne fecero un enorme successo commerciale. lnjosephine la ragazza dei miei sogni (1967), un omaggio ai musical della MGM, un'intera città balla sugli umori dei suoi protagonisti (Fig. 20.21). La maggior parte dei film di Demy sono disturba¬ti dal contrasto fra un sontuoso approccio visivo e trame banali o perfino squallide. L'etichetta della Nouvelle Vague fu spesso applicata a registi che aveva¬no poco in comune con il gruppo dei «Cahiers»: ad esempio il selvaggio Les abysses (Gli abissi, 1963) di Nico Papatakis deve in gran parte al teatro del¬l'assurdo lo psicodramma frenetico di due cameriere (Fig. 20.22); al contrario, un autore mainstream come Louis MalIe opta per uno stile da Nouvelle Vague. nel suo Zazie nel metrò 0960; Fig. 20.23). La Nouvelle Vague diventava insomma quasi un marchio capace di consentire l'emergere di una gran varietà di giovani registi.

ITALIA: CINEMA GIOVANE E WESTERN ALL'ITALIANA
A cavallo fra gli anni Cinquanta e Sessanta l'industria del cinema italia¬no era in condizioni molto migliori di quella francese. Il mercato internazionale si rivelava accessibile a film horror, a commedie come Divorzio all'italiana e ai nuovi film epico-mitologici come Le fatiche di Ercole e sia l'America che le altre Nazioni europee partecipavano con entusiasmo a coproduzioni con l'Italia: mentre Cinecittà sfornava un film dopo l'al¬tro, nel 1962 Dino De Laurentiis costruì alle porte di Roma un grande com¬plesso di teatri di posa. All'inizio degli anni Sessanta l'Italia era il più forte centro di produzione dell'Europa occidentale. I registi più in vista erano Fellini e Antonioni, ormai affermati come auto¬ri dopo i loro primi film degli anni Sessanta, ma l'espansione dell'industria favorì l'esordio di dozzine di nuovi registi: molti di questi si dedica¬rono ai generi popolari, ma alcuni divennero autori celebri e imitati. Come è faci¬le intuire, l'influenza della tradizione neorealista era spesso piuttosto marcata. Il più deciso aggiornamento del neorealismo avviene nell'opera di Ermanno Olmi: dalla prima scena - quella di un giovane che si sveglia men¬tre i suoi genitori preparano la colazione - Il posto (1961) porta avanti la paziente osservazione della vita quotidiana di Umberto D. Un tipico elemento che collega il film ai fermenti giovanili del cinema di tutto il mondo è l'allentarsi della struttura narrativa: la ricerca da parte del ragazzo di un impiego statale, la piccola routine dell'ufficio e le vite malinconiche degli impiegati sono raccontate in modo aneddotico e ricco di digressioni; la sotto¬trama romantica resta irrisolta. L'alternanza di tocchi satirici e affetto ricorda l'atteggiamento di giovani registi cechi come Menzel. I giovani registi di sinistra accentuarono l'impulso del neorealismo alla critica sociale. L'impulso neorealista trovò anche uno sviluppo in forma di modernismo radicale nell'opera di Pier Paolo Pasolini. Marxista non ortodosso, omosessua¬le, non credente ma imbevuto di cattolicesimo, Pasolini sollevò un polverone nella cultura italiana passando al cinema dopo aver già raggiunto la popolarità come poeta e romanziere e aver collaborato a diverse sceneggiature, e in parti¬colare a quella di Le notti di Cabiria di Fellini. Pasolini sosteneva di ispirarsi a Chaplin, Dreyer e Mizoguchi nella convinzio¬ne che il regista potesse rivelare la dimensione epica e mitica del mondo. Accattone (1961) e Mamma Roma (1962), gelide analisi della povertà urba¬na, furono salutati come un ritorno al neorealismo, ma il modo in cui Pasolini descrive l'ambiente sembra dover più a I figli della violenza di Bufiuel, e non solo per le scene di selvaggia violenza ma per l'inquietante onirismo. Pasolini accusava il neorealismo di essere troppo legato alle politiche della Resistenza e di offrire un realismo solo superficiale. I primi film di Pasolini propongono un' accozzaglia di atmosfere e immagini disparate: in composizioni che ricordano i dipinti rinascimentali, i personaggi pronunciano parole volgari; scene girate per strada alla manie¬ra del cinéma-vérité sono commentate dalla musica di Bach. Pasolini spiega¬va questi accostamenti di stile con la tesi che i contadini e i livelli più bassi della classe operaia urbana mantenessero dei legami con la mitologia prein¬dustriale, che egli intendeva evocare con le sue citazioni di grandi opere d'arte del passato. Se Pasolini, scrittore sperimentale divenuto cineasta, ricorda in qualche modo Robbe-Grillet, Bernardo Bertolucci è l'equivalente italiano dei registi della Nouvelle Vague. A diciannove anni fu aiuto regista di Pasolini in Accattone, e proprio Pasolini firmò il soggetto del suo primo film, La commare secca (1962). Devoto cinefilo, Bertolucci da ragazzo aveva passato le vacanze a vedere film alla Cinémathèque Française: ma anche se il regista si identificherà fortemente negli autori della Nouvelle Vague la costruzione accurata e l'eleganza tecnica dei suoi film lo avvicinano piuttosto a modernisti più anziani come Resnais. In La com¬mare secca alcuni sospetti di omicidio sono interrogati da investigatori fuori campo e i flashback provvedono a mostrarci le diverse versioni degli eventi secondo ogni testimone. Questa soluzione, già usata in Quarto potere, si applica qui a una classica situazione neorealista: il furto di una borsa che ricor¬da sia Ladri di biciclette che Le notti di Cabiria. La sceneggiatura di Pasolini crea variazioni sulla soluzione interrompendo un flashback con l'altro e ricorrendo a flashback ancora anteriori per mostrare la vittima che si prepara a uscire la mat¬tina del furto; ma lo stile visivo di Bertolucci è molto più morbido di quello del maestro e si serve di lente carrellate e composizioni ben calibrate. Il titolo più celebrato di Bertolucci in questo periodo fu l'autobiografico Prima della rivoluzione (1964), la storia di un giovane che si innamora della zia: percorso da riferimenti ai «Cahiers du cinéma» e a registi di Hollywood, il film rivela nel regista una perfetta padronanza delle tecniche spiazzanti del nuovo cinema. Evitando le fratture radicali di Godard, Bertolucci firma opere tecnicamente impeccabili, qualità che sarà alla base dei suoi successi negli anni Settanta e Ottanta. La prosperità dell'industria permise gli esordi di Olmi, Pasolini, Bertolucci e molti altri registi ma l'occasione, come in Francia, durò appena qualche anno: la crisi iniziò nella stagione 1963-64, quando i grandi film in costume passarono di moda e le case di produzione subirono costosi fallimen¬ti - in particolare Il Gattopardo (1963) di Luchino Visconti e Sodoma e Gomorra di Robert Aldrich. Nel 1965 lo Stato intervenne offrendo aiuti analoghi a quelli francesi: premi per progetti di qualità, mutui garantiti e crediti tratti da fondi speciali. Mentre questa politica provocava un nuovo boom, l'industria si lanciò in produzioni a basso budget che esploravano generi nuovi come l'erotismo e le imitazioni di James Bond; Mario Bava reinventò il thriller fantastico con inedi¬te sfumature erotiche, scenografie barocche e bizzarri movimenti di macchina (I tre volti della paura, 1963; Sei donne per Fassassino), ma il genere italiano di maggior successo internazionale fu quello poi definito nei paesi anglofoni "spa¬ghetti western", e il cui esponente di maggior spicco era Sergio Leone. Amante dei fumetti e dei noir americani, Leone era un cinefilo appassio¬nato almeno quanto i colleghi della Nouvelle Vague; aveva lavorato come aiuto regista per suo padre Roberto Roberti, per De Sica (in Ladri di biciclette) e per diversi registi americani che giravano film in Italia. Dopo aver diretto due film epici in costume, Leone passò al genere con cui i produttori sperava¬no di ristabilizzare l'industria. Per un pugno di dollari (1964), Per qualche dollaro in più (1965) e Il buono, il brutto e il cattivo (1966) sono rimasti i prototipi del western all' italiana e hanno tutti per protagonista il laconico e ispido Clint Eastwood, che vaga in un mondo di grottesca assurdità ispirato ai film di samurai di Kurosawa. I western di Leone sono all'insegna di un crudo realismo - città malsane, pon¬cho luridi e una violenza molto più efferata di quanto gli spettatori avessero mai visto - ma tra le loro caratteristiche c'è anche uno splendore quasi operi¬stico: paesaggi sconfinati (ripresi a basso costo in Spagna) si alternano a detta¬gli panoramici di occhi o di mani; il grandangolo distorce la profondità e lo sgargiante stile di Leone spinge le convenzioni del western al livello di pura cerimonia, tanto che un confronto in un bar diventa lungo e stilizzato come il duello di Ivan il terribile di Ejzenstejn. Queste scene sovraccariche sono spesso sdrammatizzate con ironia e umorismo nerissimi. Anche le colonne sonore di Ennio Morricone conferiscono all'azione un affiato eroico, utilizzando ad esempio un volo d'archi, ma sono pronte a burlar¬sene con un fischio o un improvviso effetto sonoro: Leone parlava di Morricone come di uno "sceneggiatore" perché era pronto a sostituire una battuta del dia¬logo con una espressiva frase musicale6. La musica contribuiva anche ad ampli¬ficare i nodi tematici del film, come alla fine di Per qualche dollaro in più, quan¬do il parallelo fra una sparatoria e una corri da emerge non solo dall' ambienta¬zione in un'arena ma anche dai palpitanti ottoni messicani della colonna sonora. L'enorme successo della cosiddetta "trilogia del dollaro" scatenò il filone del western all'italiana e diede celebrità internazionale a Leone, a Morricone e a Eastwood. Anche se Leone si mantenne all'interno di un genere popolare, il suo modo ricco e personale di reinventarne le convenzioni si rivelò altrettanto importante degli sforzi di quei registi d'essai che avevano rivisto e sfidato la tradizione neorealista.

IL NUOVO CINEMA TEDESCO
Nel febbraio 1962 al festival di Oberhausen emersero i nuovi impulsi della Germania Occidentale: venti sei giovani autori firmarono un manifesto dichia¬rando la morte del vecchio cinema e denunciarono la decomposizione dell'indu¬stria e il crollo dei biglietti, promettendo di riconquistare fama internazionale. All'inizio del 1965, dopo tre anni di corridoio e discussioni pubbliche, il gover¬no centrale fondò la Commissione per il Giovane Cinema Tedesco, un ente che sulla base della sceneggiatura offriva mutui senza interesse ai registi segnalatisi con cortometraggi interessanti. Durante la sua breve vita il Kuratorium finanziò quasi due dozzine di lun¬gometraggi a basso budget, quasi sempre girati in ambienti reali e con attori disposti a lavorare a buon mercato, ma spesso in grado di provocare lo shock della novità: ribattezzati Rucksackfilme ("film zaino"), descrivevano la Germania contemporanea come una terra di matrimoni in frantumi, amori inaciditi, ribel¬lione giovanile e sesso promiscuo, spingendosi talvolta fino a suggerire la persi¬stenza nel presente dell' eredità nazista. Dopo quasi due decenni di rispettose riduzioni dei classici, il nuovo cinema tedesco strinse alleanze con scrittori spe-rimentali per un cinema d'autore che, a differenza di quello francese, mirava a una qualità letteraria. Più avanti, il gruppo di Oberhausen avrebbe ammesso che il manifesto era stato sostanzialmente un bluff, ma molti dei firmatari - come Edgar Reitz e Volker Schl6ndorff - riuscirono a proseguire la carriera. Col senno di poi, e da una prospettiva internazionale, i due debutti più notevoli del perio¬do furono comunque quelli di Alexander Kluge e Jean-Marie Straub. Kluge realizzò una serie di cortometraggi e nel 1965 ottenne il finanziamento del Kuratorium per La ragazza senza storia. Il suo stile - jump cut, accelerazioni, titoli distraenti, carrellate e panoramiche con macchina a mano ¬e il suo modo di raccontare ellittico e frammentato fanno di La ragazza senza sto¬ria un prodotto tipico del cinema nuovo anni Sessantai. Molto più schiva è la figura di Jean-Marie Straub, nato in Francia. Impressionato in gioventù da Perfidia di Bresson e dai film di Lange Dreyer, Straub contrappone materiali di finzione e documentari: Machorka-Muf/ - una denuncia del sorgere del militarismo in Germania – è composto da brandelli di dialogo, azione e monologo interiore, alternati con paesaggi e titoli di giornale, e riesce a comprimere il breve romanzo di B6ll da cui è tratto in appena 18 minuti. Nicht verso'hnt è ancora più audacemente con¬densato: in appena 50 minuti Straub e Huillet trovano la continuità fra le due guerre e il presente attraverso la storia di tre generazioni di una famiglia. La recitazione deliberatamente inespressiva e addirittura ampollosa, il gran numero di personaggi, i salti improvvisi e non segnalati fra presente e passa¬to, la frammentazione netta delle scene rendono Nicht verso'hnt quasi incom¬prensibile a una prima visione; la complessità della trama è accompagnata da una compiaciuta bellezza visiva e dal suono in presa diretta, una rarità tra giovani registi che abitualmente preferivano ridurre i costi ricorren¬do al doppiaggio. I distributori tedeschi non vollero avere nulla a che fare con il film, che tuttavia consentì a Straub di ottenere i finanziamenti del Kuratorium per un lungometraggio sulla vita di Bach. Il film che ne scaturì e le opere successive avrebbero avuto una notevole eco in tutto il mondo. Già alla fine del 1967 il nuovo cinema tedesco vantava parecchi titoli di successo. Il cinema mainstream invocò una nuova forma di sussidio e nel gennaio 1968 ottenne una legge per lo sviluppo del cinema che sbarrava la strada ai registi esordienti e favoriva i produttori che sfornavano serie com¬merciali veloci e a basso budget. Per giunta la nuova legge controllava anche i contenuti con una clausola che rifiutava l'appoggio a film «contrari alla costi-tuzione, alla morale o al sentimento religioso». Alcuni esordienti usarono i fondi del Kuratorium e l'attenzione dei pro¬duttori verso il mercato giovanile per girare thriller di spionaggio e comme¬die sexy.

 

25 – Caduta e rinascita di Hollywood a partire dagli anni ‘60

Negli Stati Uniti fra la fine degli anni Sessanta e l'inizio degli anni Settanta la protesta nei confronti dell'autorità raggiunse il culmine dopo gli anni della grande depressione. L'atteggiamento liberale del movimento per i diritti civili aveva provocato la radicalizzazione del Black Power; l'opposi¬zione al coinvolgimento degli Stati Uniti nella guerra del Vietnam si era intensificata; Martin Luther King e Robert F. Kennedy furono assassinati; la polizia attaccò i dimostranti durante il congresso del Partito Democratico a Chicago nel 1968; il presidente Nixon estese la partecipazione americana alla guerra. Le università esplosero: nel 1970 ben 400 chiusero o entrarono in sciopero. Il ritiro delle forze statunitensi dal Vietnam nel 1973 non riuscì a sanare le divisioni che la guerra aveva creato nella società americana. La nuova sinistra crollò, in parte a causa di dispute interne, in parte perché l'assassinio degli stu¬denti della Kent State University nel 1970 sembrò dimostrare la fragilità del-l'azione organizzata: il risentimento degli elettori della classe media nei con¬fronti dei radicali della costa orientale, della sinistra e della controcultura favorì l'ascesa di Nixon al potere. I sollevamenti internazionali di questo periodo diedero origine a un cine¬ma politicamente critico e anche negli Stati Uniti i registi si dedicarono a un cinema "impe¬gnato" di protesta sociale. Allo stesso tempo l'industria hollywoodiana cercò di attirare i giovani con film di controtendenza, sforzo che generò alcuni esperi-menti nella direzione della crescita di un cinema d'arte americano. In risposta allo spostamento verso destra del governo, all' inizio degli anni Settanta gli attivisti radicali e di sinistra abbracciarono una "micropo¬litica", concentrandosi su problemi concreti (aborto, discriminazioni razzia¬li o sessuali, welfare, politica ambientale), alla ricerca di un profondo cam¬biamento sociale. Molti documentaristi americani parteciparono a questi movimenti che, tuttavia, erano ferocemente contrastati dalla nasci¬ta di una "nuova destra" formata da organizzazioni conservatrici che erano in grado di ottenere consenso a livello locale reintegrando la preghiera nelle scuole, chiedendo l'abolizione del diritto all'aborto recentemente conquista¬to e altro ancora. La lotta fra i movimenti riformisti e le forze della nuova destra sarebbe diventato il nodo politico centrale dopo la metà degli anni Settanta, e molti film (Lo squalo di Steven Spielberg, 1975; Nashville di Robert Altman, 1975) ne por¬tano le tracce. Queste tensioni avevano come sfondo la recessione dell'economia statu¬nitense - causata dall' embargo sul petrolio e dalla forte concorrenza da parte di Giappone e Germania - che chiuse l'era della prosperità del dopoguerra. Il periodo coincide con la riscoperta da parte di Hollywood del blockbuster e con la salita al potere dei "movie brats", i "ragazzacci del cinema", tra i quali George Lucas, Steven Spielberg, Francis Ford Coppola, che diventarono i nuovi leader creativi dell'industria. L'amministrazione Reagan (1980-1988), che si identificava ampiamente nei programmi della nuova destra, diminuì il controllo sull' economia tagliò le spese per l'assistenza pubblica, inaugurando un periodo di crescente specula-zione finanziaria in cui diversi gruppi di controllo acquistarono le compagnie hollywoodiane e le legarono a case discografiche ed editrici. Dal punto di vista dell'immagine, Reagan rappresentò un'America ancora una volta detentrice di valori forti e padrona di ogni situazione. Sebbene quest'immagine si frantumasse di fronte alla crescita del deficit federale e allo scandalo Iran-Contras, Reagan aveva dalla sua parte l'essere il presidente degli Stati Uniti nel momento in cui i Paesi dell'Europa occi¬dentale e dell'Unione Sovietica cominciavano a liberarsi della politica della guerra fredda. Ex attore cinematografico che nei suoi discorsi di presidente citava battute dei film della Warner Bros. e che soprannominava la sua ini¬ziativa strategica di difesa ad alta tecnologia "guerre stellari", Reagan venne ferito in un attentato per mano di un uomo ossessionato da Taxi Driver, di Martin Scorsese, 1976: in tutti questi sensi, si ebbe la misura della per¬vasività del cinema hollywoodiano nel profondo della coscienza del Paese. Negli anni Ottanta il cinema americano cessò di essere di controcultura: rivolgendosi a spettatori diversi diventò un elemento centrale nella cultura di massa e uno dei protagonisti dell' informazione mediatica.

L'INDUSTRIA CINEMATOGRAFICA: RECESSIONE E RINGIOVANIMENTO
Ben-Hur, Tutti insieme appassionatamente , Il Dottor Zivago e altre megapro¬duzioni degli anni Sessanta batterono ogni precedente record d'incassi. I pro¬duttori investirono voracemente grandi somme in vari blockbuster, nella spe¬ranza di aver trovato una soluzione alla minaccia della televisione, ma flop costosi come Il favoloso Dottor Dolittle dimostra¬rono che questa strategia poteva provocare gravissimi disastri finanziari. Allo stesso tempo, le principali compagnie dovettero far fronte alla concorrenza di "instant majors" come i canali televisivi ABC e CBS che cominciarono a pro¬durre film per le sale. La prosperità degli anni Sessanta finì e le banche forzarono le major a tagliare la produzione e a evitare le megaproduzioni. Gli esercenti cominciarono a costruire sale all' interno dei centri commerciali e a dividere vecchi cinema in due o più sale. Il risultato fu una serie di sale piccolissime con una pessima qualità della visione e del sonoro. I produttori andarono alla ricerca di nuovi modi per attrarre il pubblico. Una possibilità provenne dai mutamenti nei criteri nazionali di censura. Negli anni Cinquanta e Sessanta il potere dell'Hays Office sui contenuti dei film si era ridotto notevolmente e intorno alla metà degli anni Sessanta molti film famosi vennero distribuiti senza il visto del PCA (Production Code Administration), mentre altri lo ottennero nonostante la presenza di scene di nudo e di altri elementi "scandalosi". Gli strepitosi incassi di Chi ha paura di Virginia Woolf? di Mike Nichols (1966), seb¬bene fosse vietato ai minori di diciotto anni se non accompagnati dai genito¬ri, aprirono la via a una classificazione differente.
Nel 1968 le società aderenti alla MPAA crearono un sistema di valuta¬zione codificato dalle lettere dell'alfabeto:

G (general: ammesse tutte le età)
M (mature: adulti e giovani maggiorenni)
R (restricted: gli spettatori di età infe¬riore ai sedici anni devono essere accompagnati
X (i minori di sedici anni non sono ammessi)

Il nuovo sistema permetteva all'industria di mostrarsi sensibile all'interesse pubblico e, allo stesso tempo, permetteva ai registi di rappresentare la violenza, la sessualità e idee non orto¬dosse. Il nuovo liberalismo diede la possibilità a film come Il mucchio selvaggio o Un uomo da marciapiede di arrivare in vetta alle classifiche. Molti film successivi riu¬scirono a spingere oltre i criteri di accettabilità, fino alla revisione del sistema di valutazione che alzava l'età per i film "R" e "X" e sostituiva la categoria "M" con "PG" (i film per i guali era consigliato l'accompagnamento dei genitori). I produttori costretti a darsi da fare per porre rimedio alla recessione notarono anche che Il laureato (The Graduate, di Mike Nichols, 1967) e Gangster Story (Bonnie and Clyde, di Arthur Penn, 1967) avevano venduto un'enorme quantità di biglietti rivolgendosi al pubblico giovane. Gli studios lanciarono così una serie di film giovanili (youthpix) che affrontavano temi non trattati dalla televisione. Il prototipo fu Easy Rider (di Dennis Hopper, 1969), cronaca del viaggio in motocicletta di due spacciatori di droga attraverso l'America. Realizzato con meno di mezzo milione di dollari, divenne uno dei film di maggior successo dell'anno e sca¬tenò un'orda di imitazioni. I film giovanili trattavano temi come la ribellione universitaria, la controcultu¬ra, ma comprendevano anche film nostalgici e commedie anarchiche (MASH, di Robert Altman, 1970). Quando Yellow Submarine (di George Dunning 1968) ottenne un succes¬so strepitoso grazie ai disegni animati "psichedelici" che illustravano le can¬zoni dei Beatles, i produttori si resero conto che anche il cinema d'animazio¬ne poteva conquistare il pubblico universitario. Ralph Bakshi realizzò Fritz il gatto (Fritz the Cat, 1972), il primo cartoon a essere classificato con una "X", adatto quindi a un pubblico abituato all'etica della droga e del libero amore dei fumetti underground. Film comici grossolani destinati al pubblico giovanile che avevano come protagonisti attori diventati famosi con lo show televisivo "Saturday Night Live" (Chevy Chase, Bill Murray, Dan Aykroyd, Steve Martin), oltre ai film diretti da John Landis (Animal House, 1978) e da Ivan Reitman (Polpette, Meatballs, 1979), trionfarono al box-office e aiuta¬rono a risollevare Hollywood dalla sua crisi. All' inizio e alla metà degli anni Settanta l'industria beneficiò anche di un certo numero di successi basati sui generi tradizionali (guerra-musicale-gangster) e in alcuni casi tornò alla strategia del blockbuster degli anni Sessanta. Ma colpiscono maggiormente quei film, a volte a basso e medio costo di registi giovani o sconosciuti che ottennero un enorme successo commerciale: Il padrino (di Francis Ford Coppola, 1972), Il braccio violento della legge (1971) e L'esorcista (1973), entram¬bi di William Friedkin; American Graffiti (1973) e Guerre stellari (Star Wars, 1977) di George Lucas, Rocky (di John Avildsen, 1976), Lo squalo e Incontri ravvicinati del terzo tipo (1977) di Steven Spielbeig. Gli studios che avevano da poco scampato la minaccia della bancarotta, ottennero profitti mai raggiunti prima. La nuova prosperità portò dei cambiamenti, poiché il successo dell'in¬dustria si basava ora su pochissimi film: ogni anno, solo una decina di titoli "da non perdere" facevano il tutto esaurito, mentre la maggior parte dei film prodotti dalle major non riusciva neanche a recuperare i costi. L'industria cinematografica cercò quindi di minimizzare i rischi. Seguendo l'esempio di società come l'AIP, gli studios facevano in modo mas¬siccio pubblicità in televisione e distribuivano film contemporaneamente in centinaia di cinema. Dato che gli spettatori continuavano ad andare a rivedere Lo squalo, i distributori si resero conto che era conveniente estendere i periodi di pro-grammazione dei film importanti. Nel pianificare le produzioni, gli studios optarono per i sequel e le serie basate su successi come Rocky, Guerre stellari. Inoltre, il successo di giocattoli, magliette e altri gadget di Guerre stellari convinse gli studios a creare le loro società di merchandising. Le sette compagnie che dominavano la produzione controllavano anche la distribuzione: la Warner Communications, la Gulf + Western (Paramount), la Disney, la MCA (Universal), la MGM/UA Corporation, la 20th Century¬Fox e la Columbia. Come sempre, le major controllavano la distribuzione interna e interna¬zionale dei film statunitensi e un film finanziato fuori dagli studios non pote¬va essere proiettato diffusamente a meno che non fosse distribuito da una delle principali compagnie. In assenza di un sistema basato sulla produzione in serie, le principali compagnie cercavano di accaparrarsi progetti avviati esternamente. Un pro¬duttore indipendente poteva confezionare un pacchetto costituito da sceneg¬giatura, regista e protagonisti; a loro volta, un regista o un attore potevano dar vita ad un progetto dello stesso tipo; gli agenti di conseguenza si specializza¬rono sempre più nel riunire i loro clienti in pacchetti, una strategia sviluppa¬ta dalla Creative Artists Agency di Michael Ovitz. I registi dipendevano dalle major per i finanziamenti, le strutture dei tea¬tri di posa e la distribuzione. I dirigenti degli studios - spesso gruppi di impiegati con poca esperienza in campo cinematografico - giocavano d'azzar¬do facendo credere che valesse la pena aumentare gli investimenti sui produt¬tori, i registi e gli attori che avevano alle spalle importanti successi. Spielberg e Lucas divennero potenti produttori in grado di trovare finanziamenti ovun¬que e di chiedere riduzioni nelle percentuali di distribuzione. Gli anni Settanta inaugurarono dunque un'era dominata dall'accordo": Gli "accordi di sviluppo" erano convenienti ma spesso si risolvevano in film mai terminati. Gli "accor¬di globali" pagavano le star e i registi ,per sviluppare progetti a loro cari per gli studios e i dirigenti dal canto loro speravano che con queste "operazioni ausiliarie" i beneficiari sarebbero stati disposti a partecipare ad altri progetti dello studio. Molti registi, tuttavia, si lamentarono del fatto che girare un film era diventato secondario rispetto a stringere un accordo. Dato che i registi di successo ottennero un controllo maggiore sui loro progetti, i budget spesso si gonfiarono a dismisura ma l'industria continuò a prosperare. I produttori si resero conto che questi successi potevano essere sfruttati in una misura che non aveva precedenti. I sequel ebbero un grande successo con Il padrino - Parte II (di Francis Ford Coppola, 1974) e con i capitoli successivi di Rocky; Rambo (di Ted Kotcheff, 1982); e Star Trek (di Robert Wise, 1979). Le serie, a lungo associate con film di serie B, vennero considerate un buon investimento dopo il successo dei film di James Bond; presto Indiana Jones, Freddy Krueger e altri personaggi diven¬nero garanzia di incassi. Il fatto che le compagnie appartenessero a gruppi accelerò la tendenza a realizzare film che facessero parte di una linea di pro¬duzione di giocattoli, vestiti e altri gadget. Iniziò l'epoca delle "sinergie": il film diventava una pedina in una più ampia strategia di marketing che coin-volgeva l'etichetta discografica della compagnia, i suoi canali televisivi.e il merchandising. Le principali compagnie continuarono a essere acquistate da grandi società non americane come la giapponese Matsushita che comprò la MCA (Music Corporation of America) e la Universal, mentre la Sony acquistò la Columbia. Nella produzione americana affluirono sempre più finan¬ziamenti stranieri, in particolare dalla pay-tv francese Canal Plus. I film venivano sempre più spesso finanziati dietro garanzie fornite dagli esercenti che si accollavano i rischi maggiori pur di avere l'ultimo film di Lucas o di Spielberg. I gestori delle sale cominciarono anche a sostituire i locali scalcinati con sale tenute meglio e più lussuose. La Cineplex Odeon, una società canadese che puntava sulla tecnolo¬gia e sul comfort, inaugurò la tendenza a costruire cinema multiplex. Presto i gruppi che possedevano le compagnie di produzione e di distri¬buzione cinematografica cominciarono ad acquistare catene di sale: nel 1991 la MCA possedeva sia la Cineplex Odeon che la Universal Studios. Questa ten¬denza scavalcò i decreti anti-monopolio del 1948 e segnò il ritorno della com¬pagnia a concentrazione verticale tipica dell'epoca degli studios hollywoodiani.

L'espansione verso il video
La prosperità dell'industria cinematografica negli anni Ottanta era in parte dovuta allo sviluppo delle nuove tecnologie. Quando, alla fine degli anni Settanta, nacque la pay-tv, gli studios cominciarono a vendere i diritti ai canali via cavo. Presto le televisioni via cavo cominciarono a finanziare i film e a comprare i diritti tele¬visivi prima della produzione. La Disney creò un suo canale, mentre altre com-pagnie acquistarono quote delle società che operavano via cavo. Successivamente, all'inizio degli anni Novanta, il modello si sarebbe ribaltato: le grandi compagnie che operavano via cavo avrebbero comprato azioni di cate¬ne di sale cinematografiche e avrebbero pianificato il finanziamento di film girati dagli studios destinati alla programmazione pay-per-view che avrebbe fatto concorrenza alla distribuzione in prima visione degli stessi titoli. Anche il videoregistratore aiutò l'industria cinematografica ad aumenta¬re i profitti: la Matsushita introdusse il VHS (Video Home System) e in tutto il mondo ci fu una rapida espansione dell'ho¬me video. Le principali compagnie si resero conto che le videocassette potevano fruttare loro maggiori guadagni e crearono dei settori specializzati nella realizzazione e distribuzione delle videocassette. L'uscita in videocassetta sostituiva la seconda e terza visione del film in voga nel periodo dell'apogeo hollywoodiano. I distributori scoprirono con piacere anche che se una videocassetta veni¬va venduta a un prezzo ragionevole, molti spettatori l'avrebbero comprata. La Paramount si azzardò a immettere sul mercato la videocassetta di Flashdance (di Adrian Lyne, 1983) mentre il film era ancora sugli schermi cinemato¬grafici: le vendite della versione in cassetta non solo andarono molto bene, ma aumentarono il successo del film nelle sale. Nel 1986 almeno la metà delle entrate delle principali compagnie cine¬matografiche proveniva dalla vendita delle videocassette. L'home video aiutò le compagnie di Hollywood a ridurre i rischi di produzione e accrebbe l'interesse per i film in prima visione. Una serie di proiezioni in sala faceva pubblicità e forniva al pubblico informazioni che aiutavano il film ad avere successo anche in video¬cassetta. Più recentemente, quando dai film popolari cominciarono anche a essere prodotti vidogiochi, gli studios crearono apposite consociate. La rinascita dell'industria negli anni Settanta stabilì il modello da seguire per i due decenni successivi. Malgrado i flop occasionali, il sistema, in generale, godeva di buona salu-te. Circa la metà dei profitti derivanti dalla proiezione nelle sale continuava ad affluire dai Paesi stranieri, e i successi dei blockbuster, dopo la metà degli anni Settanta, assicurarono a Hollywood il dominio sui mercati oltreoceano. Alla fine degli anni Ottanta il numero dei film provenienti da Hollywood aumentò in tutti i Paesi europei e i cambiamenti avvenuti nell'Europa orientale apriro¬no un nuovo mercato all'invasione americana. Le compagnie estere si affrettarono a investire nei film hollywoodiani, con capitali privati o con accordi per coproduzioni sostenuti dai governi. Terminator 2, Balla coi lupi e Basic lnstinct (di Paul Verhoeven, 1992) beneficiarono tutti di finanzia¬menti internazionali e delle prevendite a società europee. Nel mercato cine¬matografico globale che stava emergendo, Hollywood continuò a svolgere il ruolo principale.

Grandi e piccole società indipendenti
Le difficoltà e la ripresa delle major e delle mini-major erano legate, negli Stati Uniti, al destino della produzione indipendente. La crescita del pubblico degli adolescenti nel dopoguerra aveva offerto alle compagnie indi¬pendenti come la Allied Artists e la American International Pictures (AIP) la possibilità di entrare nel mercato dei film a basso costo. Verso la fine degli anni Sessanta le compagnie indipendenti che pro¬ducevano questi film si rafforzarono, in parte grazie a un Production Code meno rigido e in parte per il declino delle major. La moda dei film giovanili venne rafforzata dal ciclo di' film dell'AIP che avevano come protagoniste bande di motociclisti. I film del più importante regista dell'AIP, Roger Corman, ebbero una forte influenza sui giovani regi¬sti della fine degli anni Sessanta; l'AIP diede anche l'opportunità di lavora¬re a Francis Ford Coppola, Woody Allen, Martin Scorsese, Brian De Palma, Robert De Niro e ]ack Nicholson. Durante quasi tutti gli anni Settanta la produzione indipendente si dimostrò una forte alternativa alle major: mentre gli studios riducevano i costi di produzione, i film a basso costo servivano per riempire il mercato. Le società cominciarono a specializzarsi in determinati generi - i film sulle arti marziali, di azione, erotici ("sexploitation", cioè sfruttamento del sesso) o che si rivolgevano agli afroamericani ("blax¬ploitation", o sfruttamento dei neri) offrivano. Lo sfruttamento del mercato giovanile avvenne con film dell'orrore come la commedia grottesca di Tobe Hooper Non aprite quella porta (1974), oppure il più sobrio e costoso Halloween (di John Carpenter, 1978). Questi film inaugurarono un ciclo di horror, oggi ancora in voga. In alcune sale, i film a basso costo potevano attrarre un pubblico che i più patinati prodotti realizzati negli studios non raggiungevano. Gli adole¬scenti e gli studenti universitari cominciarono ad accalcarsi per andare a vedere film-culto come quelli diretti da John Waters. I gestori delle sale si resero conto dell'opportunità di sfruttare gli "spettacoli di mezzanotte" che attraevano un vasto pubblico: The Rocky Horror Picture Show (di Jim Sharman, 1975) e Eraserhead (di David Lynch, 1978) incassarono molto soprattutto grazie a questi spettacoli. Le major risposero assorbendo gli elementi sensazionalistici che aveva¬no rappresentato l'arma vincente dei film indipendenti. Guerre stellari e Incontri ravvicinati del terzo tipo incorporarono elementi della fantascienza a basso costo, mentre Alien ( di Ridley Scott, 1979) e altri film rifletterono i nuovi parametri di violenza stabiliti da registi indipendenti come Carpenter e David Cronenberg. Negli anni Ottanta i film delle major continuarono a includere sesso e violenza. Quando anche autori solitamente orientati verso il pubblico delle famiglie sperimentarono temi più forti, il sistema di valutazione MPAA fu revisionato e venne inserita la categoria "PG-13". Di conseguenza il mercato indipendente in qualche modo ne risentì. I registi indipendenti riguadagnarono un po' di potere con la nascita della televisione via cavo e dell'home video quando dopo il 1984, una produzione minore poteva essere finanziata quasi com¬pletamente dalle prevendite della videocassetta. Molti film indipendenti non venivano proiettati nelle sale, ma erano trasmessi direttamente sulla televisione via cavo o distribuiti in videocassetta e la maggior parte delle produzioni indipendenti si adattò all'uso di formule ormai consolidate che fecero aumentare l'interesse verso il cinema di genere. Il pubblico giovanile divenne appassionato di film musicali, thriller, film dell'orrore e di fanta¬scienza, tutti chiaramente catalogati nel più vicino videonoleggio. Molte delle compagnie indipendenti, come la Cannon e la De Laurentiis si allargarono a dismisura cercando di svolgere un ruolo centrale nella produzione come nella distribu¬zione, ma si trovarono a subire rovesci finanziari. Ciononostante, l'incredibile aumento nella produzione diede grandi opportunità a registi di tutte le generazioni e il cinema indipendente a basso costo ha dimostrato di avere una grande capacità di ripresa.

VERSO UN CINEMA D'ARTE HOLLYWOODIANO: DAL 1968 ALLA META DEGLI ANNI SETTANTA
Con la recessione della fine degli anni Sessanta e il tentativo di conquistare un pubblico universitario, il cinema hol¬lywoodiano accolse più favorevolmente le tecniche narrative che il cinema d'arte europeo aveva già sperimentato. 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick (2001: A Space Odyssey, 1968) è, da una parte, un revival del genere fantascientifico, mentre dall'altra sfrutta il simbolismo enigmatico del cinema d'arte europeo. Le lun¬ghe scene di vita quotidiana asettica sulla nave spaziale (compresi molti brani privi di funzione drammatica), l'uso ironico della musica e il finale inganne¬vole e allegorico invitano a un'interpretazione tematica generalmente riservata ai film di Fellini o di Antonioni. Anche la tendenza giovanilistica incoraggiò la sperimentazione stilistica. Gli elementi che hanno attratto il pubblico giovane in Easy Rider possono esse¬re la colonna sonora rock e il viaggio di due spacciatori di droga attraverso l'America, ma era il suo stile a sconvolgere gli spettatori come mai prima di allora. I passaggi da un'inquadratura all'altra, infatti, sono discontinui: qualche fotogramma dell'inquadratura precedente, per esempio, si alterna con qualche fotogramma della successiva. Un'inquadratura enigmatica di una motocicletta in fiamme, inoltre, punteggia la narrazione prefigurando la fine dell'odissea dei due spacciatori. Altri "road movie" adottarono un approccio libero e aperto alla narrazio¬ne, come Cinque pezzi facili e Strada a doppia corsia, film che si carat¬terizzano per la rarefazione dei dialoghi e le caratterizzazioni minimaliste. Ciao America e Hi Mom!, entrambi di Brian De Palma, sono film a episodi di controcultura che mescolano la musica rock, un umori¬smo mordace ed espedienti stilistici autoriflessivi presi da Truffaut e Godard. Altri registi fecero sporadiche incursioni nel cinema d'arte. John Cassavetes, unico membro della New Wave americana che era entrato nel cinema mainstream, si ispirò al suo stesso Ombre (Shadows, 1960) in un gruppo di film che mettono in scena una recitazione quasi improvvisa¬ta e un uso della macchina da presa casuale. Volti (Faces, 1968) e Mariti (Husbands, 1970), con gli improvvisi zoom sui primi piani e la ricerca di det¬tagli rivelatori, usano le tecniche del cinema diretto per analizzare lo squallo¬re quotidiano e le delusioni delle coppie della classe media americana. Nel frattempo, la politica dell'autore si era diffusa negli Stati Uniti e i "movie brats", che avevano cominciato a lavora¬re negli anni Sessanta, l'avevano imparata nelle scuole di cinema. Molti di loro sognavano di diventare artisti come i venerati autori europei e i registi delle nouvelles vagues. Il più famoso di loro è Francis Ford Coppola. Nel 1969 Coppola fondò l'American Zoetrope per produrre i suoi film. Malgrado il fallimento a causa di una cattiva gestione, l'American Zoetrope lasciò in eredità La conversazione (The Conversation), il film che Coppola girò nel 1974 con i proventi di Il padrino. Come i film di Altman, La conversazione usa le convenzioni del cinema d'arte insieme a quelle di uno specifico genere hol¬lywoodiano, in questo caso il film di detective. Anche se La conversazione viene spesso paragonata a Blow-up, Coppola esplora la mente del protagonista molto più profondamente di quanto non fac¬cia Antonioni. Harry Caul, esperto di intercettazioni telefoniche, registra frammenti di una conversazione che lo portano a sospettare un piano omicida. Mentre riascolta il dialogo e ne effettua il missaggio, la sua crescente ansia è descritta da sogni e spezzoni di flashback. L'omicidio' è presentato attraverso indizi che disorientano lo spettatore, mentre Harry li intravede e li sente per caso. Alla fine il pubblico scopre che parte della conversazione originale è stata filtrata attraverso la mente di Harry. Quando questi si rende conto della vera situa¬zione, Coppola alterna inquadrature sue con quelle dell'assassinio, forse come lui adesso immagina sia effettivamente accaduto. Nel complesso, tuttavia, i registi evitarono la sperimentazione incoraggiata dalla moda del cinema d'arte. Dopo il successo di Il padrino, American Graffiti, e Lo squalo, la maggior parte dei giovani registi puntò su film accessibili al pubblico che non sfidavano le convenzioni narrative; in questo processo, pur realizzando ancora qualche film personale e provocatorio, essi rivitalizzarono Hollywood.

LA "NUOVA HOLLYWOOD": DALL'INIZIO DEGLI ANNI SETTANTA A OGGI
La recessione dell'industria cinematografica alla fine degli anni Sessanta coincise con il declino della carriera di registi come John Huston, Billy Wilder, Alfred Hitchcock e William Wyler, che, sebbene continuassero a lavorare, per molti critici avevano già realizzato i loro film più importanti. Altri si ritirarono gradualmente (John Ford, Raoul Walsh, Howard Hawks) o lavorarono sporadicamente con scarso successo. Mentre i produttori andavano alla ricerca di film "giovanili", film dall'impronta artistica e blockbuster, apparvero sulla scena molti nomi nuovi. Alcuni di loro erano emigranti conosciuti per le loro opere nell'ambito del cinema d'arte europeo (Roman Polanski e John Schlesinger). Altri erano registi americani più anziani che spesso provenivano dalla televisione e la cui carriera era stata dirottata verso la nuova Hollywood come Robert Altman. I registi che attiravano maggiormente l'attenzione erano, tuttavia, più giovani: quasi tutti erano nati intorno agli anni Quaranta, alcuni avevano stu¬diato in scuole di cinema ed erano fedeli sostenitori della tradizione hol¬lywoodiana. La generazione dei "movie brats" era molto eclettica e compren¬deva l'ex critico Peter Bogdanovich, il regista indipendente George Romero e nuovi talenti come Brian De Palma, John Carpenter. I più potenti e rispettati "movie brats", Francis Ford Coppola, George Lucas, Steven Spielberg e Martin Scorsese - si imposero all'inizio degli anni Settanta. Altri registi della stessa età apparvero più tardi: Michael Cimino con Il caccia¬tore (1978), David Lynch con Eraserhead..All'inizio degli anni Ottanta emerse una seconda generazione: nati intor¬no agli anni Cinquanta, questi registi presupponevano la nuova Hollywood. Robert Zemeckis (Ritorno al futuro, Back to the Future, 1985) era un pupillo di Steven Spielberg, mentre Lawrence Kasdan aveva scritto delle sceneggiature per Spielberg e Lucas prima di diventare regista (Brivido caldo, Body Heat, 1981; Il grande fred¬do, The Big Chili, 1983). Dopo essere stato tra i protagonisti di American Graffiti e del suo derivato televisivo Happy Days, Ron Howard cominciò la sua carriera di regista con film d'azione a basso costo per poi dirigere megaprodu-zioni come Splash ( 1984) e Parenti, amici e tanti guai (1989). Quando le major iniziarono a produrre un maggiore numero di film, registi ancora più giovani cominciarono a lavorare e alcuni di loro ebbero subito successo, diventando i Coppola e gli Spielberg degli anni Ottanta. Prima della fine del decennio, Tim Burton ( Beetlejuice , Id., 1988) e James Cameron (Terminator, The Terminator, 1984) avrebbero diretto due dei blockbuster di maggior successo della storia: Batman (Burton) e Terminator 2: Il giorno del giudizio (Cameron). L'espansione della produzione aiutò i registi marginali a inserirsi nel cinema mainstream e, per la prima volta dall' epoca del cinema muto, registe donne riuscirono ad affermarsi e si imposero nella "nuova nuova Hollywood". Il successo del film indipendente Chan is Missing (Chan non si trova, 1982) del cinoamericano Wayne Wang e di Lola Darling (She's Gotta Have It, 1986) dell' afroamericano Spike Lee diedero anche a questi registi la possibilità di ottenere budget più elevati e conquistare un pubblico più vasto. All'inizio degli anni Novanta erano apparsi una ventina di registi afroameri¬cani: alcuni realizzavano drammi intimistici e complessi altri lavoravano nell' ambito di generi più popola¬ri. Per entrambe le generazioni il punto di riferimento era la tradizione cinematografica hollywoodiana. Poiché molti registi lavorava¬no all' ombra di generi ormai consolidati, classici consacrati e registi venera¬ti, la nuova Hollywood sotto molti aspetti si definiva facendo riferimento al passato. La nuova Hollywood si impegnò anche nel rifacimento di classici film di genere come Il bacio della pantera (Cat People, di Paul Schrader, 1982) e La cosa (The Thing, di John Carpenter, 1982). I registi cominciarono anche a riutilizzare espedienti stilisti ci del perio¬do d'oro di Hollywood. In Lo squalo, Spielberg prende da Hitchcock l'espe¬diente dello zoom più carrello di La donna che visse due volte, tecnica che sareb¬be diventata comune nei film degli anni Ottanta per mostrare uno sfondo che misteriosamente si stringe intorno a una figura immobile. Verso la fine degli anni Sessanta e l'inizio degli anni Settanta i registi avevano cominciato ad affi¬darsi alle focali lunghe: scene intere potevano essere girate con il teleobiettivo che produceva l'effetto di appiattire la profondità. Al contrario, molti registi della nuova Hollywood, in particolare Spielberg e De Palma, introdussero composizioni realizzate con il grandangolo che ricordavano Welles, Wyler e il noir. Ne risultò spesso un'impressionante profondità di campo con distor¬sione delle figure , ma l'uso del teleobiettivo continuò a essere diffuso negli anni Settanta e Ottanta, dominando lo stìle che accosta¬va un'occasionale profondità di campo a immagini più piatte realizzate appunto con le focali lunghe. Così come le sceneggiatu¬re spesso trattavano i generi degli anni Quaranta e Cinquanta attualizzando¬li, anche lo stile dei film che ne derivavano divenne una sintesi di tecniche mutuate da epoche diverse. Il cinema degli anni Settanta e Ottanta, tuttavia, cercò anche di diffe¬renziarsi con dimostrazioni di virtuosismo tecnico: potenti lampade da stu¬dio permettevano ai direttori della fotografia di immergere il set in una penombra diffusa, creando, un nuovo "stile soft"; la luce nitida, priva di contrasto, tipica della tecnica dei video musicali, poteva coe¬sistere con una combinazione di colori vivaci e saturi che ricordavano la pop art; la messa in scena a volte includeva fonti luminose dalla tonalità non rea¬listica. Spielberg, Lucas e Coppola trasformarono i loro film in dimostrazioni di grande abilità tecnica. La ricer¬ca di uno sguardo "postmoderno" nel cinema americano influenzò fortemen¬te il giovane cinema francese. Il rinnovato orgoglio per il virtuosismo fu reso evidente dal ritorno del-l'animazione agli splendori di un tempo. Persino la Disney abbandonò il suo tipico stile realistico e dettagliato (Robin Hood 1973 e Le avventure di Bianca e Bernie 1977). Alcuni vecchi disegna¬tori capeggiati da Don Bluth ruppero ogni rapporto con lo studio per rea¬lizzare Pievel sbarca in America (1986), il primo film a disegni animati prodotto da Steven Spielberg. Il successo di Bluth portò a una proliferazione di film estremamente raffinati sia negli sfondi sia nei movimenti. La Disney andò oltre con La Bella e la bestia (Beauty and the Beast, 1991), in cui le tecniche rotoscopiche sono applicate al set dando molto volume e solidità allo spazio. I nuovi film d'animazione, inoltre, si spostarono. dal pubblico degli adolescenti per puntare su quello dei bambini. E tuttavia La Bella e la bestia, grazie anche alle sue canzoni nello stile di Broadway, si rivol¬geva "anche agli adulti: la sua nomination all'Oscar come miglior film ha con¬fermato che il cinema d'animazione stava conquistando ogni fascia di pub¬blico, proprio come i cortometraggi animati degli anni Trenta. Tra gli anni Settanta e Ottanta si svilupparono altre due tendenze: alcu¬ni registi preferivano continuare la tradizione hollywoodiana attraverso gene¬ri attualizzati e omaggi a registi venerati; altri cercarono di dar vita a un cine¬ma più personale e di portare le convenzioni del cinema d'arte nella produzio¬ne di massa e nei generi popolari. Entrambe le tendenze sono caratterizzate da una profonda consapevolezza della storia del cinema e della sua continua influenza sulla cultura contemporanea.

La storia di Hollywood continua
Parecchi film di questo periodo puntavano semplicemente a continuare la tradizione dei generi hollywoodiani. I musical furono attualizzati per poter incorporare la musi¬ca da discoteca (La febbre del sabato sera, di John Badham, 1977), il video musicale (Flashdance), il rap e l'hip-hop (House Party, Id., di Reginald Hudlin, 1990). Il film poliziesco hard-boiled riemerse con Clint Eastwood nel ruolo di Harry, il protagonista di Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo! di Don Siegel, 1971) e, successivamente, nella vena comica di Eddy Murphy (Beverly Hills Cop), mentre il genere della coppia di poliziotti di razze diverse divenne un filone duraturo con 48 ore (48 Hours, di Walter Hill, 1982) e Arma Letale (Lethal Weapon, di Richard Donner, 1987). Riapparve anche il film di guerra, con il Vietnam come principale teatro di combattimento. Molti film della nuova Hollywood rivisitarono i generi tradizionali: Il padrino si ispirò al film di gangster, aggiornandone la formula. La prima parte (1971) enfatizza le divisioni etniche convenzionali (italiani-irlandesi¬) e i valori del machismo, ma evidenzia in modo nuovo i temi dell'unità della famiglia e della successione tra le generazioni. Michael Corleone, inizialmente lontano dagli "affari di famiglia", arriva per assumere il suo ruolo di diritto, quello di erede del padre, a costo di allontanarsi dalla moglie Kay. Il padrino - Parte II mostra la conquista del successo del padre di Michael, rifacendosi a un'altra regola del genere, la salita al potere del gangster emigrante. Il passato è interrotto con scene del presente in cui l'au¬torità e la spietatezza di Michael sono aumentate. Mentre alla fine del primo Il padrino Michael si è integrato completamente alla linea maschile della famiglia, al termine della seconda parte il protagonista è circondato da un'ombra autunnale, solo, mentre medita tristemente, incapace di aver fidu¬cia in qualcuno. Se Il Padrino non portò a una rinascita del genere gangster, altri due generi della nuova Hollywood trovarono un maggiore seguito. Innanzitutto il film dell'orrore, a lungo associato con produzioni a basso costo, con L'esorcista ottenne una nuova rispettabilità e divenne uno dei cardini dell'in¬dustria per vent'anni. Titolo tra i più importanti del genere, Halloween di Carpenter ispirò un filone di film a base di serial killer e vittime teen-ager. Da best-seller di Stephen King furono tratti Carrie, di Brian De Palma, 1976), Shining (di Stanley Kubrick, 1980). Infine, anche film drammatici come Attrazione fatale di Adrian Lyne, 1987) e Cape Fear di Martin Scorsese, 1991) cominciarono a pren¬dere spunto dal genere horror. L'altro genere significativo a cui fu ridata vitalità è la fantascienza. 2001: Odissea nello spazio di Kubrick (1968) fu il principale precursore, ma furono Lucas e Spielberg a impressionare Hollywood. Guerre stella¬ri (1977) dimostrò che l'avventura spaziale, arricchita con effetti speciali all' avanguardia, poteva attirare una nuova generazione di spettatori, e il suo successo senza precedenti diede non solo l'avvio a numerosi sequel, ma spin¬se a portare sul grande schermo la serie televisiva Star Trek. Incontri ravvici¬nati del terzo tipo (1977) trasformò i "film sulle invasioni" degli anni Cinquanta in un' esperienza di comunione quasi mistica con la saggezza extraterrestre. E. T. (1982) spinse ulteriormente sul tema diventando il più grande successo d'incassi dell'epoca. Più o meno nello stesso periodo emerse un genere di fantascienza critica e distopica con Blade Runner (1982). In que¬sto tipo di film, il genere serviva in parte per mettere in mostra le novità del progetto produttivo e gli effetti speciali. Come negli anni Cinquanta, alcu¬ni film accostavano la fantascienza con elementi presi dall'horror: Alien e Terminator sono esempi di questa tendenza.
Per Lucas e Spielberg, la rivisitazione della tradizione hollywoodiana era un atto di nostalgia: essi cercavano di ricreare il divertimento semplice della fantascienza (Guerre stellari), dei film d'avventura (I predatori dell'arca perduta) o le fantasie disneyane (Incontri ravvicinati, E. T.). Nel realizzare Guerre stella¬ri, George Lucas montò le parti più eccitanti delle battaglie aeree dei vecchi film di guerra, fece lo story-board e girò i suoi combattimenti su questo modello. Spielberg divise il suo impegno fra quello che lui definiva "film da fast¬food" (Lo squalo, la serie di Indiana Jones) e sforzi registi ci più raffinati (Il colore viol, L'impero del sole), adattamenti di best-seller legati al genere del grande film degli anni Trenta e Quaranta. Guardando alla tradizione, sia Lucas che Spielberg riempirono i loro film di riverenti allusioni al film hollywoodiano. Altri registi avevano un rapporto più complesso con la tradizione dello studio system: fortemente influen¬zati dalla teoria dell' autore elaborata dai critici, questi registi considerarono il cinema come un mezzo per esprimere la propria poetica. Distretto 13 di John Carpenter, per esempio, attualizza Un dollaro d'onore (Rio Bravo, 1959) di Hawks opponendo al suo codice di condotta maschile la violenza urbana contemporanea. Allo stesso modo il remake di Carpenter di La «Cosa» da un altro mondo (The Thing from Another World, di Christian Nyby, 1951) dà una svolta pessimistica all'originale. Brian De Palma divenne famoso per i suoi pastiche di Hitchcock: Complesso di colpa (Obsession, 1976) è La donna che visse due volte con uno sfondo incestuoso; Vestito per uccidere (Dressed to Kill, 1980) mette Psyco a confrontO con i costumi sessuali contemporanei. Il tentati¬vo di John Milius di dare nuova vita al film di cappa e spada con Il vento e il leone (1975) rende omaggio a Raoul Walsh. I film di Joel e Ethan Coen rappre¬sentano rielaborazioni grottesche del noir (Blood Simple, ld., 1984), della com¬media di PrestOn Sturges (Arizona Junior, Raising Arizona, 1987) e del genere gangster della Warner Bros. (Crocevia della morte, Miller's Crossing, 1989). A differenza di Lucas e Spileberg, questi registi spesso coltivavano uno stile che prendeva spunto in maniera evidente dai loro maestri. Le esagerazio¬ni grandangolari delle immagini dei Coen ricordano L'infernale Quinlan di Welles (Fig. 25.19), mentre il montaggio ritmico di Carpenter in Distretto 13 è tratto da Scarface.di Hawks. Le riprese aeree, la sorprendente profondità delle immagini, l'uso dello split-screen per le scene d'azione di De Palma richia¬mano il virtuosismo hitchcockiano, così come i plongées in Il falò delle vanità(The Bonfire of the Vanities, 1990) citano chiaramente la. scena dell'omicidio di Il prigioniero di Amsterdam (Foreign Correspondent, di Hitchcock, 1940). Il passatO di HoUywood venne trattatO in maniera molto meno rispet¬tosa nelle satire e nelle parodie che fiorirono negli anni Settanta e Ottanta. Mel Brooks trasformò il western (Mezzogiorno e mezzo di fuoco, Blazing Saddles, 1973), il film dell'orrore della Uni versaI (Frankenstein Junior, Young Frankenstein, 1974), il thriller hitchcockiano (Alta tensione, High Anxiety, 1977) e il genere epico (La pazza storia del mondo, History 01 the World, Part I, 1981) in farse chiassose. Woody Allen realizzò parodie del film di rapina (Prendi i soldi e scappa, Take the Money and Run, 1969), del film fantascientifi¬co (Il dormiglione, Sleeper, 1973) e del documentario (Zelig, ld., 1983). David e Jerry Zucker, insieme a Jim Abrahams, saccheggiarono il film catastrofico in L'aereo Più pazzo del mondo (Airplane!, 1980), il genere spionistico in Top Secret! (Id., 1984) e i film sui "tOp gun" in Hot Shots! (Id., 1991). Questo uso comico delle regole del g~nere era stato a sua volta tipico dello slapstick del cin~ma muto e delle commedie di Bob Hope e Bing Crosby o di quelle di bean Martin e Jerry Lewis. Prendere in giro Hollywoodera, insomma, una tradizione hollywoodiana.

Il cinema d’ autore a Hollywood
Il desiderio di creare un cinema d'arte americano incoraggiò alcuni dei registi mainstream a realizzare film più personali che spesso accostavano le convenzioni narrative classiche con le tecniche del cinema d'arte europeo. In questi film, le convenzioni del genere sono rispettate ma anche rielaborate; lo stile classico è mantenuto, sebbene modulato con le innovazioni del momen¬to. Il risultato complessivo esprime la visione del mondo del regista. Un esempio fondamentale è l'opera di Robert Altman. Dopo aver girato alcuni film tradizionali, trovò nuovi impulsi nella crisi della fine degli anni Sessanta, nell' orientamento del mercato verso un pubblico giovanile e nel cinema d'arte hollywoodiano. I suoi film sono spesso una parodia dei generi: ¬il film di guerra (M.A.S.H.), il musical Popeye 1980) , comunicano una sfiducia nei confronti dell'autorità, criticano il bigottismo americano e cele¬brano un idealismo vitale anche se confuso. Altman sviluppò anche uno stile eclettico che si avvaleva di una recitazione incerta e semi-improvvisata, di un uso continuo di panoramiche e zoom, di un montaggio brusco, di riprese effettuate con diverse macchine da presa in modo da tenere il punto di vista fermamente fuori dall'azione del personaggio e di una colonna sonora di una densità senza precedenti. Il teleobiettivo rag¬gruppa i personaggi comprimendoli e li chiude dietro superfici riflettenti. Nashville (1975), considerato da molti critici la sua opera più importante, segue ventiquattro personaggi lungo un weekend, spesso sparpa¬gliandoli all'interno dello spazio inquadrato. Nei film di Altman, i personaggi borbottano qualche parola, si interrompono fra di loro, parlano contemporaneamente oppure sono sopraffatti dagli altoparlanti che rappresen¬tano la saggezza ufficiale. Attraverso il suo modo peculiare di trattare i temi, i generi, l'immagine e il suono, Altman diede vita, nella Hollywood degli anni Settanta, a un cinema estremamente personale. Altrettanto fece Woody Allen, contemporaneo di Altman. Prima di ini¬ziare la sua carriera come regista con Prendi i soldi e scappa (1969), Allen lavorò per la televisione scrivendo testi comici, fece l'attore di cabaret, scrisse com¬medie per il teatro e fu il protagonista di alcuni film. All'inizio degli anni Settanta divenne uno dei registi comici più famosi continuando la tradizione della comicità assurda dei fratelli Marx e di Bob Hope. I suoi primi film si rivolgevano anche al pubblico giovanile attraverso l'uso di citazioni cinemato-grafiche, come l'omaggio alla scalinata di Odessa di La corazzata Potemkin in Bananas, 1971. Con lo e Annie (1977) Allen iniziò una serie di film in cui univa l'interesse per i problemi psicologici dei borghesi intellettuali con il suo amore per la tradizione cinematografica americana e per registi come Fellini e Bergman. I più importanti film di Allen hanno gettato la sua maschera comica ¬ l'ipersensibile intellettuale ebreo - in un groviglio di conflitti psicologici. Woody Allen ha esplorato una vasta gamma di stili, dal realismo pseudo-docunientaristico di Zelig (1983) alla parodia dell'e¬spressionismo tedesco di Ombre e nebbia (Shadows and Fog, 1992) e ha reso omaggio a un certo numero di film e autori prediletti. Un altro regista i cui interessi personali fondevano Hollywood con il cinema d'arte è Martin Scorsese. Cresciuto con i film hollywoodiani e con il programma televisivo "Million Dollar Movie", Scorsese studiò cinema alla New York University dove subì l'influenza decisiva di Andrew Sarris e della politica dell'autore. Si guadagnò una reputazione nel¬l'underground con diversi cortometraggi e due film a basso costo prima di farsi conoscere con Mean Streets (1973). Alice non abita Più qui (1974) e Taxi Driver (1975) lo consacrarono al successo, ma Toro scatenato (Raging Bull, 1980), la biografia del campione di pugilato Jake LaMotta, fu un trionfo ed è considerato da molti critici il miglior film ameri-cano degli anni Ottanta. I suoi ultimi film in particolare Re per una notte (1982), L'ultima tentazione di Cristo (1988), Quei bravi ragazzi (1989), lo hanno confermato il regista più acclamato dalla critica della sua generazione. Essendo uno dei "movie brats", i suoi film devono molto alla tradizione hollywoodiana: l'autore della colonna sonora di Taxi Driver è Bernard Herrmann, il compositore di Hitchcock, mentre per prepararsi a girare New York, New York (1976) Scorsese studiò i musical hollywoodiani degli anni Quaranta. Come Altman e Allen, tuttavia, fu molto influenzato anche dalla tradizione europea: un cambio di inquadratura in Toro scatenato può aver trat¬to spunto tanto da Godard quanto da Il cavaliere della valle solitaria. La coscienza metacinematografica di Scorsese emerge anche nelle sue vir¬tuosistiche esibizioni tecniche: ad esempio, scene di dialogo aggressivo pro¬gettate per mettere in luce la bravura di attori come Robert De Niro si alter¬nano a scene di azione fisica con splendidi movimenti della macchina da presa. Le sequenze d'azione sono spesso astratte e senza dialogo, costruite su imma¬gini ipnotiche: un taxi giallo che scivola per le strade inondate di fumo infer¬nale, palle che rimbalzano su un tavolo da biliardo (Il colore dei soldi, The Color 01 Money, 1986). Tutte le scene di combattimento di Toro scatenato sono coreo¬grafate e riprese in maniera diversa. Mentre altri "movie brats" creano spettacolari effetti speciali di alta tecnologia, Scorsese attira lo spettatore con il suo stile dinamico e florido. Come per Woody Allen, anche i film di Scorsese si basano su elementi autobiografici: Mean Streets e Quei bravi ragazzi prendono spunto dalla sua ado-lescenza italo-americana; Toro scatenato è il risultato di anni di comportamen¬to autodistruttivo dopo i quali il regista si sentì pronto per metterlo in scena. La conseguenza di questo suo forte coinvol-gimento emotivo, forse, è che al centro delle storie ci sono sempre personaggi deviati, addirittura ossessionati, e che il suo stile spesso ci porta con sicurezza dentro la loro mente. Brevi soggettive, sguardi che guizzano, immagini al ralenti e una personale colonna sonora "in soggettiva" intensificano l'identifi¬cazione del pubblico con Jake LaMotta, con il tassista Travis Bickle o con l'a¬spirante comico Robert Pupkin. Il protagonista di Quei bravi ragazzi, invece, giustifica con una narrazione in voce over le sue azioni e nella sequenza finale si rivolge direttamente al pubblico. Se Allen e Scorsese diedero vita a un cinema personale attraverso i dram¬mi psicologici dei loro protagonisti, altri registi espressero la loro visione cri¬tica della società attraverso film di impegno civile. Una serie di film intensi e schierati politicamente - Platoon, Nato il quattro di luglio 1989), JFK ( 1991) - rivelano il punto di vista di Oliver Stone sul fatto che l'idealismo liberale degli anni Sessanta è andato perduto dopo la morte di Kennedy. Più autoriflessivi e lirici, i film di John Sayles presentano una visione critica della lotta di classe nella storia americana (Matewan, ld., 1987) e nel presente (The Return o[ the Secaucus Seven, Il ritorno del Secaucus Seven, 1980; City o[ Hope, ld., 1991). Il film futurista e femminista Born in Flames (Nata tra le fiamme, 1986) di Lizzie Borden inaugurò la realizzazione di film sulla prostituzione (Working Girls, Ragazze che lavorano, 1987) e sullo stupro (Sola con l'assassino, Love Crimes, 1992). Spike Lee, il più noto esponente del cinema afroamericano mainstream della fine degli anni Ottanta, realizzò film problematici e didattici pieni di vigore (School Daze, ld., 1988; Fa' la cosa giustt,J, Do the Right Thing, 1989;Jungle Fever, ld., 1991). I suoi film interrogano sia la comunità afro-america¬na sia il pubblico dei bianchi. L'uso di colori forti, la composizione dell'in¬quadratura e l'abitudine a lasciare che i personaggi si rivolgano direttamente alla macchina da presa (Fig. 25.26) danno ai suoi film l'immediatezza tipica dei manifesti. Negli anni Ottanta, il cinema d'autore emerse sotto un'altra forma, e il film originale, che in passato sarebbe fiorito solo nell'ambito della produ¬zione indipendente, scivolò nel mainstream. Dal cult-movie Eraserhead, David Lynch si spostò verso il cinema più tradizionale con The Elephant Man (1980), prima che Velluto Blu (1986) e Fuoco cammina con me (Twin Peaks: Fire Walk with Me, 1992) investissero la vita di provincia con passioni misterio¬se e perverse. Gus Van Sant accostò il realismo disadorno alla stilizzazione tipica del noir in Mala Noche (1987), nel più tradizionale Drugstore Cowboy (Id., 1989) e in Belli e dannati (My Own Private ldaho, 1991), un road movie di amore omosessuale e prostituzione maschile ispirato a Shakespeare. Le sperimentazioni nella costruzione narrativa di Jim Jarmusch - il post-punk e il gusto beat di Stranger than Paradise (ld., 1984), il melodramma maschi¬le in Daunbailò (Down By Law, 1989) e le tre storie che si sovrappongono in Mystery Train (Id., 1989) - si basano su uno stile recitativo inespressivo e su un dolente umorismo. In Trust (lcl., 1991) e Uomini semplici (Simple Men, 1992), HaI Hardey introduce a forza complicati intrecci melodrammatici in primi piani de-drammatizzanti. La diversità delle scelte registiche all'inizio degli anni Novanta corri¬spondeva alla nuova importanza del cinema americano nella vita contempora¬nea. A dispetto di chi prevedeva che il cinema sarebbe scomparso a causa del¬l'assalto della televisione via cavo e delle videocassette, i film al cinema sono rimasti elementi centrali nel sistema dei media. I canali televisivi hanno costruito le loro serie su film di successo e invitato i registi a creare "eventi" da trasmettere in televisione. In generale, l'entusiasmo generato dai film ame¬ricani è comune alla cultura popolare in tutto il mondo: i quotidiani e la tele¬visione riportano i film che hanno incassato di più durante il weekend, la ceri¬monia di consegna dei premi Oscar è diventata un rito internazionale e riviste per gli appassionati come «Premiere» hanno costruito il loro successo soddi¬sfando il desiderio del pubblico, apparentemente insaziabile, di sapere ogni pettegolezzo sul mondo del cinema.All'inizio degli anni Novanta sono stati realizzati circa 4.000 film in tutto il mondo. Le major e le compagnie indipendenti americane ne hanno prodotti circa tre-quattrocento, ma hanno costituito il 70% degli incassi tota¬li al botteghino. Festeggiando, nel 1994, il suo centenario, il cinema america¬no si è confermato come l'industria più potente del mondo dal punto di vista economico e culturale.

APPROFONDIMENTI

IL REGISTA AMERICANO SUPERSTAR
La politica dell'autore elaborata dai critici e dagli storici del cinema ha fatto del regista il primo responsabile delle qualità formali, stilisti che e tematiche del film. Questa teoria, rafforzata dalla preminenza dei registi del dopoguerra europei e asiatici venne applicata dai «Cahiers du cinéma» anche ai registi hollywoodiani. All'inizio degli anni Sessanta l'americano Andrew Sarris e i critici inglesi raccolti intorno alla rivista «Movie» introdussero la politica dell'autore ai lettori di lingua inglese. L'impressione che il regista fosse la figura centrale nella crea¬zione del film venne rafforzata da raccolte di interviste. Negli anni Ottanta questa teoria si era diffusa anche nel giornalismo di massa e nelle riviste per appassionati. Molti dei più importanti registi americani degli anni Settanta e Ottanta conobbero la politica dell'autore attraverso la sua diffusione nelle scuole di cinema e sulla stampa. I giovani registi cercarono consapevolmente di realiz¬zare film personali sul modello del cinema d'arte europeo .e dei classici hol¬lywoodiani di Hitchcock, Ford e Hawks.

LA CONSAPEVOLEZZA E LA CONSERVAZIONE DEI FILM
La nuova consapevolezza della storia del cinema da parte dei registi americani procedeva parallela con il crescente bisogno di salvaguardare l'e¬redità cinematografica del Paese. Negli anni Settanta e Ottanta le copie di nitrato cominciarono a decomporsi e le stampe Eastman Color dei film dagli anni Cinquanta agli anni Settanta cominciarono a sbiadirsi. Si fecero nuovi sforzi per preservare i film (tenere in archivio i negativi e le stampe in buono stato), per restaurarli (riportare il materiale deteriorato in condizioni simili alla qualità originale) e per ricostruirli (riunire materiale andato perduto o scartato per dare la possibilità al pubblico di vedere versioni più complete o originali dei film). L'American Film Institute, fondato nel 1967 , si prefisse, nel suo statu¬to, la conservazione e il restauro dei film e salvò centinaia di opere con l'aiu¬to della library of Congress, dell' Academy of Motion Picture Arts and Sciences, del Museum of Modern Art e di altri archivi. Gli anni Ottanta videro anche emergere un nuovo pubblico per i vec¬chi film, disponibili ora grazie a eventi speciali o su videocassetta. La serie di film muti curata da Kevin Brownlow per il canale televisivo Thames Television diede origine a proiezioni cinematografiche di gala delle copie restaurate di Il vento, Rapacità, e altri classici. Brownlow e David Robinson scoprirono materiale prezioso dagli scarti di montaggio di Charlie Chaplin e lo distribuirono su videocassetta con il titolo The Unknown Chaplin. Gli studios, riconoscendo i benefici finanziari della ridistribuzione cinematogra¬fica o in videocassetta, sono ora in un certo senso più disposti a preservare e restaurare i loro film. Anche in Italia sono stati intrapresi importanti restauri di film, ad opera delle Cineteche, di Associazioni Culturali, Enti e sponsor privati: per fare qualche esempio, tra i molti possibili, ricordiamo solo il restauro di Cabiria, di Il Gattopardo, di svariati film nell'ambito del Progetto Philips Morris.

 

 

Fonte: http://www.scicom.altervista.org/semiologia%20del%20cinema/Burdwell_Storia%20cinema%20film.doc

Sito web da visitare: http://www.scicom.altervista.org/

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