Corso di logistica industriale

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Corso di logistica industriale

La logistica industriale

Definire univocamente cosa si intende con il termine logistica non è una cosa semplice, poiché il più delle volte questo viene impiegato per indicare approcci alla gestione tra loro molto differenti per ampiezza delle attività coinvolte e per finalità sottese. In generale si può affermare che la logistica abbraccia quell’insieme di tecniche, metodologie, strumenti ed infrastrutture impiegate nella gestione del flusso fisico e del correlato flusso informativo, dall’acquisizione delle materie prime sui mercati di acquisto fino alla distribuzione dei prodotti finiti collocati presso il consumatore [1]. A tale definizione può essere affiancata la seguente: la Logistica è il processo con cui si gestiscono in maniera strategica il trasferimento, la trasformazione e lo stoccaggio di materiali, componenti e prodotti finiti a cominciare dai fornitori, passando attraverso le aziende produttrici e distributrici, sino ad arrivare ai consumatori; si evidenzia l’aspetto di trasversalità rispetto ai differenti attori che intervengono nel flusso (definizione di Martin Christopher).
Per evitare qualsiasi ambiguità, però, è bene ricostruire sinteticamente le tappe fondamentali che hanno segnato l’evoluzione della logistica aziendale, in modo da poterne illustrare l’estensione che ha portato ai nostri giorni al concetto di Supply Chain Management.

Evoluzione della logistica

Per molti anni, il ruolo della logistica è rimasto confinato al presidio di specifiche attività — generalmente legate all’organizzazione dei magazzini e dei trasporti — di supporto ai processi di approvvigionamento, produzione e distribuzione. Le prime timide forme di evoluzione verso la gestione di un insieme strutturato di attività si registrano nel corso degli anni Settanta, allorché le aziende incominciano a ricercare miglioramenti nell’ambito della distribuzione fisica (dal magazzino di stabilimento al cliente) attraverso opportuni interventi di razionalizzazione volti all’ottimizzazione dei diversi segmenti del ciclo distributivo.
A partire dagli anni Ottanta, in seguito all’introduzione nelle aziende in modo sufficientemente pervasivo di nuove logiche gestionali (material requirements planning, just in time, ecc.), l’attenzione si sposta repentinamente sulla gestione dei materiali:  viene coniata l’espressione «logistica dei materiali» (o altri sinonimi quali «logistica industriale»


o «materials management») per indicare le attività volte ad assicurare la corretta acquisizione, movimentazione e gestione dei materiali al fine di garantire il costante e tempestivo rifornimento alla produzione e agli altri enti utilizzatori.
La fase successiva del percorso evolutivo segna in realtà un radicale cambiamento perché comporta la trasformazione della logistica da insieme di attività operative a sistema interfunzionale che si pone come mezzo per il raggiungimento di più elevati livelli di performance.
Emerge il concetto di logistica integrata, sintetizzato in modo preciso nella definizione proposta dal Council of Logistics Management nel 1986 secondo cui essa rappresenta il processo per mezzo del quale pianificare, attuare e controllare il flusso delle materie prime, dei semilavorati e dei prodotti finiti, e dei relativi flussi di informazioni, dal luogo di origine al luogo di consumo, in modo da renderlo il più possibile efficiente e conforme alle esigenze dei clienti. Anche altri Autori riflettono questa nuova concezione definendo la logistica  come il processo con il quale gestire in maniera strategica il trasferimento e lo stoccaggio, attraverso e in varie infrastrutture aziendali, di materie prime, componenti e prodotti finiti affinché possano giungere dai produttori ai consumatori.
L’ultimo stadio del processo evolutivo conduce alla nascita del concetto di Supply Chain Management (SCM).
È bene a questo punto definire prima cosa si intende per Supply Chain. (SC) M. S. Jayashankar, ricercatore dell'Istituto di Robotica della Carnegie Mellon University,  definisce la SC come: “una rete di entità di business, autonome o semiautonome, collettivamente responsabili delle attività di acquisto, produzione e distribuzione associate con una o più famiglie di prodotti collegati” [2].
Gli studiosi Lee e Billington [3] danno una definizione simile: “La Supply Chain è una rete di opportunità che procura le materie prime, le trasforma in semilavorati e in prodotti finiti e li consegna ai clienti attraverso un sistema di distribuzione”.
Una definizione analoga, nel 1998, è utilizzata alla Penn State University [4]: “La Supply Chain è una rete di facilities e di opzioni di distribuzione che ha lo scopo di eseguire le funzioni di acquisto dei materiali, la trasformazione di questi materiali in prodotti finiti e la distribuzione al cliente di questi ultimi”.
La definizione di SCM utilizzata, nel 1997, al Massachusetts Institute of Technology (MIT)


è: “Il SCM è un approccio integrato, orientato al processo1, per l’acquisto, la produzione e la consegna di prodotti e servizi al cliente. La sfera d'azione del SCM include subfornitori, fornitori, operazioni interne, clienti commerciali, clienti della distribuzione ed utilizzatori finali. Il SCM copre la gestione del flusso dei materiali, delle informazioni e del capitale”.
Il SCM è la gestione delle relazioni e dei flussi tra le catene di operations e di processi che producono valore sotto forma di prodotti e servizi per il cliente finale. La funzione operations è la parte dell’organizzazione che realizza i prodotti o i servizi. Tutte le organizzazioni hanno la funzione operations perché tutte le organizzazioni producono un mix di beni e servizi. Anche i processi producono beni e servizi ma su una scala più  limitata. Infatti i processi possono essere considerati i componenti delle operations.
Il SCM è un approccio olistico alla gestione che attraversa i confini delle imprese e dei processi. Un network di fornitura è costituito da tutte operations che sono legate insieme per fornire beni e servizi al cliente finale. Nei grandi network di forniture ci possono essere varie centinaie di supply chain di operations interconnesse. La stessa distinzione vale all’interno delle operations. La gestione della rete di fornitura interna concerne il flusso tra processi e raparti.


E’ opportuno inoltre notare che i “flussi” interni alle supply chain non si limitano al flusso verso valle dei prodotti e dei servizi dai fornitori ai clienti.Anche se il problema più evidente


del supply chain management si verifica quando il flusso verso valle non è in grado di soddisfare le richieste dei clienti, la causa profonda potrebbe essere una carenza del flusso di informazioni verso monte. Il supply chain management moderno si preoccupa nella stessa misura di gestire i flussi informativi ed il flusso dei prodotti e servizi

 


Quest’ultimo stadio dell’evoluzione del concetto di logistica è caratterizzato dalla  presa di coscienza da parte delle aziende che il miglioramento nella gestione dei flussi all’interno della catena logistica non può prescindere dal fattivo coinvolgimento degli attori esterni, soprattutto di quelli che possono contribuire a elevare il valore percepito dal cliente. In questa ottica, il concetto di SCM non deve essere inteso come sinonimo di logistica inte- grata, ma come un nuovo approccio di management in cui la singola azienda diventa parte  di una rete di entità organizzative che integrano i propri processi di business per fornire prodotti, servizi e informazioni che creano valore per il consumatore.
Si allarga ulteriormente lo spettro delle fasi interessate perché in questa prospettiva legata ai processi di business diviene particolarmente importante anche il processo di sviluppo del organizzazioni esterne, in specie i fornitori di primo livello, assume una rilevanza davvero strategica al fine di generare valore per il cliente finale.


Lo stadio uno è tipico delle aziende in cui la responsabilità circa le attività logistiche è frammentata tra più enti fra loro indipendenti. Una tale gestione comporta:

  • esigenze di scorta tra le diverse attività per sopperire alla mancanza di integrazione;
  • sistemi di controllo e modalità di gestione delle attività tra loro indipendenti;
  • barriere organizzative tra i singoli enti aziendali.

Lo stadio due coinvolge l’integrazione tra alcune attività, con particolare enfasi sui principali elementi connessi al flusso dei materiali e dei prodotti.
Lo stadio tre richiede l’integrazione di tutte le attività della catena logistica e la pone sotto una unica unità di controllo; l’integrazione interna è realizzata mediante sistemi di pianificazione e controllo delle attività che sono totalmente integrati.
Lo stadio quattro è il passo verso l’integrazione con gli elementi esterni all’azienda, i clienti


e i fornitori. L’integrazione con i fornitori comporta un cambiamento negli atteggiamenti e negli approcci: da antagonismo a cooperazione reciproca.
La cooperazione si esplica attraverso il coinvolgimento dei fornitori nella progettazione e sviluppo di un nuovo prodotto, la spedizione di componenti di alta qualità direttamente alle linee di assemblaggio dell’azienda cliente, lo scambio di informazioni tecniche e tecnologiche, lo sviluppo di contratti di fornitura di lungo
periodo. L’integrazione con il mercato richiede, in maniera analoga, un diverso atteggiamento verso il cliente e la messa in atto di tutte quelle azioni necessarie per  garantire all’azienda le informazioni circa le reali esigenze e bisogni del cliente in termini di caratteristiche attese del prodotto e dei servizi.
Infine, lo stadio cinque rappresenta l’ultima frontiera dei sistemi logistici: la logistica inversa. Con tale temine si intende raggruppare l’insieme di attività volte alla raccolta, al trasporto e all’immagazzinamento e al riciclaggio/rifabbricazione di prodotti fuori uso, invenduti, da riparare, componenti disassemblate, merce da smaltire. Tali operazioni, dunque, sono volte al recupero del valore di beni ormai non più utilizzati, affinché quanto c’è ancora di riutilizzabile in essi non venga inutilmente perduto. A quest’ultimo stadio, di grandissima attualità, sarà dedicato il prossimo capitolo.

 

Il sistema logistico

Come si è visto nel precedente paragrafo, il processo logistico viene interpretato come un sistema che ha la funzione di garantire il collegamento tra clienti e fornitori, sia all’esterno, sia all’interno dell’azienda stessa. Tale sistema è costituito da un insieme di attività inerenti  a due flussi principali: il flusso fisico del valore aggiunto ed il flusso informativo sui fabbisogni.
Uno degli attributi chiave dalla definizione appena data è proprio quello di gestione integrata: cioè la logistica è, o dovrebbe essere, una funzione trasversale che attraversa i tradizionali settori dell’azienda raggruppando le mansioni concernenti il flusso dei materiali precedentemente distribuite in questi diversi settori.
L’errore frequentemente compiuto nei primi anni dell’implementazione della funzione logistica è stato, come visto, quello di attribuirle puramente il ruolo di coordinamento   della


distribuzione fisica che è invece solo una delle mansioni di questa funzione. Poi col passare del tempo, e l’accumularsi di esperienza, si è compreso che la gestione dei materiali deve essere condotta con una visione assolutamente unitaria del problema: solo in questo modo può portare notevoli miglioramenti di efficienza ed efficacia della gestione aziendale.
Il sistema logistico, nella sua globalità, può essere scomposto in sottosistemi tra loro continuamente interattivi:

  • sistema logistico acquisitivo: si occupa della movimentazione dei materiali in entrata. L’approvvigionamento riguarda gli acquisti e la movimentazione dei materiali, componenti e prodotti finiti dal fornitore ai magazzini dello stabilimento di produzione o di assemblaggio. Con il termine “materiali” si indicano le merci in entrata, indipendentemente dalla condizione che esse siano pronte o meno per una rivendita immediata. Con il termine “prodotto”, invece, si intende qualcosa di finito, pronto per la consegna al cliente; quindi un prodotto è il risultato dell’aggiunta di un certo valore al materiale originale, che ha origine dalle attività di produzione, smistamento o assemblaggio realizzate dall’azienda. Obiettivo fondamentale dell’approvvigionamento è di garantire la disponibilità di un assortimento di materiali necessari all’attività produttiva nel momento e nella quantità giusta, con la qualità e col prezzo giusto. Per raggiungere tale obiettivo, è fondamentale controllare e coordinare i flussi dei materiali; il controllo può essere di due tipi:

 Controllo centralizzato consiste nella gestione dei materiali, relativi ad una entità della catena, considerando il livello di scorte del sistema totale. Un tipico esempio è il controllo basato sull’ echelon inventory, in cui si considerano le scorte di tutti i livelli superiori della catena. Un elemento estremamente importante, per l’implementazione di tale politica, è la conoscenza dei dati riguardanti le scorte degli altri elementi della catena;
Controllo decentralizzato questo tipo di elemento di controllo si riferisce al livello delle scorte di una particolare unità di business della catena. Alcuni esempi tipici di questo tipo di politica sono: La politica based-stock, ordini basati sull’MRP (senza informazioni sullo stato delle scorte degli altri agenti),  con livello di riordino costante o a quantità di riordino costante.


  • sistema logistico produttivo (logistica industriale) costituisce un supporto alla produzione in quanto presiede al controllo delle scorte dei materiali in lavorazione, o scorte di processo, nelle varie fasi del processo produttivo; gestisce il flusso dei materiali coinvolti nel processo di lavorazione e di montaggio, comprendendo sia l’area del magazzino sia quella propriamente produttiva;
  • sistema logistico distributivo: attraverso la gestione della distribuzione fisica governa il flusso dei prodotti finiti dall’impresa verso il cliente esterno, punto di arrivo del canale  di distribuzione. È costituito da un insieme di attività, ricezione ed evasione degli ordini, gestione, immagazzinaggio e movimentazione delle scorte, trasporto delle merci  in uscita all’interno di un canale di distribuzione, finalizzate ad assicurare il servizio al cliente. Attraverso lo svolgimento di queste attività nella maniera ritenuta più opportuna, è possibile conseguire l’obiettivo fondamentale di cui la distribuzione fisica deve farsi garante, ovvero la generazione di redditi conseguibile assicurando al cliente il servizio strategicamente ottimale, al costo più basso possibile. Una delle più recenti tecniche di supporto logistico distributivo è il Distribution Requirements Planning (DRP), che ha lo scopo di monitorare le scorte lungo l’intera rete distributiva provvedendo all’automatica gestione delle stesse in funzione delle politiche logistiche specificate. Anche in questo caso il sistema di controllo assume un ruolo chiave, infatti da esso dipende la coordinazione dei flussi di prodotti che si muovono da un agente ad un altro della catena e le modalità di gestione dei carichi e il controllo del percorso che, a seconda della disponibilità delle informazioni sul percorso globale, può essere fatto sia in modo centralizzato che decentralizzato.
  • sistema logistico inverso si occupa del percorso a ritroso che dovrà fare un prodotto ormai non più utilizzato, per poter raggiungere nuovamente il luogo di produzione affinché possa essere, più o meno parzialmente, recuperato.

Il flusso fisico dei prodotti non può sussistere senza il parallelo flusso di informazioni sui fabbisogni (Figura 1.2.1) che consiste nella raccolta e nel coordinamento delle informazioni che fluiscono ai diversi livelli aziendali . Le informazioni, intese come ordini e previsioni, provengono direttamente dai clienti e dalle indagini di mercato e consentono di individuare e quantizzare i materiali ed i prodotti finiti necessari in ciascun punto  del sistema logistico.


Il flusso delle informazioni è costituito da quattro fasi:

    • previsione di vendita;
    • gestione degli ordini consuntivati;
    • preparazione del programma generale di produzione;
    • pianificazione dei fabbisogni

 

La previsione degli acquisti da parte di clienti o mercati specifici è una stima di tipo statistico, avente un orizzonte temporale che va da tre mesi ad un anno; costituisce il primo tentativo dell’azienda di quantificare e programmare il processo logistico.
Le vendite previste nella prima fase si concretizzano successivamente nella fase di gestione degli ordini realmente pervenuti all’azienda da parte dei clienti. Tramite questa attività è possibile adattare alle effettive richieste del mercato, espresse tramite dati consuntivi, i piani di produzione e di approvvigionamento dei materiali, formulati in precedenza in base alle previsioni, che si rivelano quasi sempre essere in eccesso o in difetto.
Dall’analisi dei dati relativi di vendita, alla gestione degli ordini, alla situazione delle scorte viene compilato il prospetto dei fabbisogni per la distribuzione per un determinato orizzonte di pianificazione. Integrando tale prospetto con i dati relativi alla possibilità ed alle capacità produttive disponibili è possibile stilare il programma di produzione o Master Production Schedule  (MPS),  che  specifica  come  l’azienda  intende  utilizzare  la  propria     capacità


produttiva in un intervallo di tempo determinato.
Ultimo aspetto del flusso delle informazioni è la pianificazione dei fabbisogni di materiali, nota come Materials Requirements Planning (MRP). Attraverso l’uso della distinta base, l’MRP esplode i programmi di produzione nei componenti da produrre o da acquistare. L’elemento di controllo delle informazioni è una degli elementi essenziali in quanto rivolto al coordinamento degli elementi operanti nel sistema logistico. I flussi informativi si possono distinguere in:
Informazioni a cui si può accedere direttamente: si riferiscono alle informazioni che si propagano istantaneamente quali ad esempio il livello delle scorte, la capacità allocata, stati straordinari di un sistema produttivo di un nodo della catena, etc. o anche la posizione di un carico che è stato spedito.
Informazioni periodiche: sono le informazioni scambiate tra gli elementi di produzione e di trasporto per comunicare dei cambiamenti nella strategia di business, (le variazioni possono essere temporanee, come ad esempio le vendite promozionali, o permanenti nel caso si tratti di variazioni dovute a reingegnerizzazione dei processi o dei prodotti). Le informazioni periodiche dovrebbero essere inviate a tutti gli elementi della catena al fine di migliorare l’efficienza dell’intera SC

Supply Chain Management: figure di riferimento

Una SC, come visto nel paragrafo precedente, è costituita essenzialmente dalle entità coinvolte nel processo di produzione e distribuzione, quindi, da un punto di vista delle organizzazioni, può essere vista come un’entità astratta costituita da multiple layers sostenuti dalle connessioni organizzative e dai processi di business si sviluppano attraverso le interazioni delle entità che costituiscono ciascun livello. I ruoli più significativi di una SC possono essere distinti in due categorie:

Ruoli legati alla produzione

 Dettaglianti e grossisti: Sono i punti di vendita in cui il consumatore finale acquista il prodotto;
 Centri di distribuzione: Sono le entità coinvolte nella ricezione dei prodotti dal punto di produzione ed eseguono un’attività di stoccaggio e distribuzione ai dettaglianti o ai grossisti;


 Impianti di produzione: Sono quelle entità in cui i componenti sono assemblati per arrivare al prodotto finito, rientrano in questa categoria tutti i fornitori e subfornitori presenti nella catena logistica;

Ruoli legati al” servizio”

 Aziende di trasporto: sono quelle entità che si occupano delle operazione di trasferimento fisico dei beni.
Aziende di servizi: sono quelle entità che forniscono i servizi necessari alla coordinazione e allo svolgimento delle attività della SC.
Le entità di business sono legate da flussi di materiali e informazioni generati dalle relazioni tra le entità stesse. I flussi sono l’oggetto delle attività che caratterizzano le aziende, sono lo strumento fondamentale per la comprensione dell’ambiente in cui esse operano e per il coordinamento.
Da un punto di vista organizzativo tutti gli elementi visti sopra sono composti essenzialmente da tre componenti:
Funzioni interne: che includono tutte le attività e i processi impiegati per la trasformazione delle materie prime fornite dalla rete dei fornitori o per la creazione del servizio. Tali attività comprendono quelle primarie di gestione della produzione, dell’esecuzione degli ordini e di coordinamento dei flussi interni.
Fattori esterni a monte: rappresentano tutte le entità a monte con cui l’impresa ha delle relazioni per il reperimento degli input che rientrano direttamente o indirettamente nel processo produttivo. Le funzioni chiave di questo elemento sono l’acquisto e la gestione dei materiali, la gestione delle relazioni con i fornitori, lo scambio di informazioni per il coordinamento delle attività interne con le operazioni delle varie entità a monte.
Fattori esterni a valle: riguardano le attività che coinvolgono le entità a valle nella SC, ovvero, i centri di distribuzione e le entità che consentono il trasferimento dei prodotti al consumatore finale. Le attività coinvolte sono quelle di esecuzione degli ordini, della gestione del magazzino dei prodotti finiti e delle spedizioni, nonché, della logistica inversa e delle informazioni che arrivano dalle entità a valle.


Supply Chain Management: le tipologie di reti

La struttura di una SC è varia e dipende dalle aziende che ne entrano a far parte e dalle relazioni che tra loro si stabiliscono. Le reti sono generalmente costituite per volontà di una entità più forte, detta leader, che generalmente assume anche il ruolo di coordinatore dell’attività economica. Un tipico esempio di questo è rappresentato dalla General Motors che ha costituito una vera e propria città in cui sono collocati tutti i fornitori.
Le reti si possono suddividere in:
Reti verticali - Rappresentano la catena logistica che include le entità ai diversi livelli: fornitori, produttori distributori e le entità operanti nel canale di distribuzione come grossisti e dettaglianti. Questo tipo di rete ha ricevuto notevole attenzione negli ultimi anni, anche soprattutto per la sua minore complessità rispetto alle altre tipologie di catena logistica: le aziende che decidono di sviluppare un tipo di coordinamento verticale non devono far fronte a resistenze dovute alla concorrenza interna tra elementi che operano allo stesso livello; la rete è facilmente schematizzabile e le relazioni tra i nodi che la compongono sono analizzabili anche analiticamente. Nella figura sotto riportiamo lo schema di questo tipo di rete che è simile a quello relativo alla SC (figura 1.4.1).


 

 Reti orizzontali - sono le reti in cui le entità lavorano ad uno stesso livello, svolgendo quindi la stessa attività. Questo tipo di rete è caratterizzata da relazioni di collaborazioni tra entità quando la capacità produttiva di una sola non è sufficiente a soddisfare l’intera richiesta. Esempi di relazioni in questo tipo di catena, che hanno ricevuto notevole attenzione negli ultimi anni allo scopo di aumentare il livello di servizio e lo sfruttamento della capacità produttiva, sono: il transhipment, attività che consente il trasferimento dei prodotti tra entità ad uno stesso livello della catena di distribuzione e che consente di gestire le scorte riducendone il livello pur  mantenendo il livello di servizio stabilito; la subfornitura, con tale attività una azienda può aumentare la propria capacità di soddisfare la domanda cedendone una parte ad aziende che svolgono la stessa attività. Questo tipo di reti avranno un ampio sviluppo nel futuro in quanto consentono di migliorare la prestazione della SC e


riducono il livello di risorse impiegate. E’ dunque un sistema basato sulla cooperazione in un ambiente comunque competitivo. Un esempio totalmente particolare, che rientra in questa categoria, sarà rappresentato dal futuro accordo delle società automobilistiche giapponesi che intendono scambiare tra di loro i dati della domanda per migliorare il sistema di previsione.
Reti temporanee Sono quelle reti costituite temporaneamente per sfruttare determinate opportunità o per sviluppare un progetto di durata limitata. Anche se non hanno la caratteristica di permanenza, rientrano nel campo di studio della SC in quanto possiedono la maggior parte delle caratteristiche di quest’ultima.

Gli obiettivi del Supply Chain Management

Tutte le forme di SCM hanno in comune un obiettivo fondamentale: soddisfare il cliente finale. Tutti gli attori di una catena devono comunque tener conto del cliente finale, indipendentemente dalla distanza che li separa da quest’ultimo. Quando il cliente decide di effettuare un acquisto, innesca l’azione a ritroso lungo l’intera catena. Tutte le imprese che fanno parte della supply chain si passano una parte del denaro del cliente finale, e ognuna trattiene un margine a fronte del valore aggiunto fornito. Ogni azienda della catena  dovrebbe operare per soddisfare il proprio cliente diretto, ma anche accertarsi della soddisfazione del cliente finale.
Per rendersi conto di come la percezione del cliente finale possa essere diversa da quella dell’azienda, si consideri l’”albero delle decisioni” del cliente visualizzato nella fig. 1.5.1 Qui si riporta l’analisi di cento clienti che richiedono un servizio (o dei prodotti) a un’azienda (per esempio un tipografo che richiede carta ad un grossista di carata  industriale). La prestazione del processo di fornitura, vista dal grossista, è rappresentata  dalla parte ombreggiata del diagramma. Ha ricevuto venti ordini, diciotto dei quali sono  stati evasi (la merce è stata spedita ai clienti) nel rispetto degli impegni  assunti(puntualmente e secondo le specifiche dell’ordine). Tuttavia in origine cento clienti avevano richiesto il servizio;venti di loro avevano scoperto che l’azienda non aveva prodotti adeguati(non aveva a magazzino la carta giusta), dieci sono stati persi perché i prodotti non erano disponibili (mancanza merce) e cinquanta non erano soddisfatti del prezzo e/o dei tempi di consegna (ma dieci di loro ha comunque fatto l’ordine). Dei venti ordini ricevuti,

diciotto sono andati a buon fine (spedizione effettuata), ma due non sono stati evasi correttamente (consegna ritardata o danneggiamento durante il trasporto). Dunque quella che sembra essere una prestazione di fornitura al 90% è in realtà una prestazione dell’8%  dal punto di vista del cliente.
L’obiettivo del SCM è pertanto soddisfare le esigenze del cliente finale mettendogli a disposizione prodotti e servizi adeguati quando servono, a un costo competitivo. La supply chain deve raggiungere livelli appropriati su cinque obiettivi prestazionali: qualità, disponibilità, risposta, agilità e costo.

La qualità del servizio si riferisce al modo in cui viene effettuata l’attività logistica globale per quanto concerne la conformità della consegna rispetto all’ordine ricevuto, l’integrità della merce spedita, l’assistenza post vendita, la soluzione di problemi imprevisti. Pertanto  la qualità di un prodotto o di un servizio, nel momento in cui arriva al cliente, è funzione della prestazione di qualità di tutte le operations della catena che l’ha prodotto e distribuito. Di conseguenza un errore in una fase della catena può generare una serie di errori a cascata con effetti disastrosi sul servizio al cliente finale. I parametri di valutazione della qualità sono orientati inoltre alla misurazione dei seguenti elementi: informazioni e supporto al prodotto. Questi parametri misurano la capacità dell’azienda di offrire un supporto pre e


post vendita in termini di informazioni e servizi. Oggi, la capacità di una azienda di dare informazioni al cliente sulla situazione delle scorte e degli ordini, emessi e pianificati, è ritenuta di vitale importanza, seconda solo alla disponibilità del prodotto. Un  numero sempre maggiore di clienti preferisce conoscere esattamente il contenuto e i tempi di evasione dell’ordine, per poter affrontare, in tempo utile, eventuali problemi provocati da situazioni di fuoriscorta. L’altro criterio di valutazione collegato alla qualità riguarda il supporto al prodotto in ogni momento della transizione commerciale. Un’azienda dimostra la sua capacità di dare un supporto al prodotto offrendo consigli tecnici oltre a servizi di riparazione e manutenzione.
La disponibilità riguarda la capacità che ha l’intero sistema di soddisfare costantemente le richieste da parte dei clienti finali. Il parametro classico di riferimento è la percentuale degli ordini evasi rispetto al totale degli ordini ricevuti. Riguarda essenzialmente la definizione delle scorte e dei punti di stoccaggio all’interno del canale di fornitura, tale da limitare, con il livello minimo di risorse impiegate, il numero di rotture di stock entro definiti limiti temporali.
La risposta del sistema si riferisce alla durata del ciclo dell’ordine, cioè al tempo intercorso tra la ricezione di un ordine da parte del cliente e la consegna della spedizione. È legata anche all’affidabilità, ovvero al rispetto della data di consegna pattuita. Corrisponde, in pratica, alla velocità e alla regolarità nelle consegne in tutto il network. I parametri di misurazione riguardano il tempo medio della durata del ciclo ed i ritardi di consegna, come la percentuale di ordini evasi entro la data di consegna prestabilita.
L’agilità è intesa come la capacità del sistema di adattare rapidamente le attività logistiche alle mutevoli richieste del mercato. Questo elemento è correlato alla bontà del sistema informativo, che lega il cliente finale a tutti gli elementi della catena del valore aggiunto, e alle doti di flessibilità di ogni azienda interessata.
Quando le aziende all’interno di una catena di fornitura si focalizzano sull’utente finale è possibile considerare molti indicatori, tuttavia, come evidenziato nella Tabella 2, questi possono essere aggregati in termini di Qualità, Servizio, Costo e Tempo.
Il costo aggiuntivo della supply chain, che derivano dal fatto che le operations della catena interagiscono commercialmente tra loro, ai costi sostenuti all’interno di ciascuna azienda  per trasformare gli imput in output


QUALITÀ

SERVIZIO

COSTO

TEMPO

Soddisfacimento delle esigenze del cliente

Supporto al cliente

Progettazione

Dalla ricezione dell’ordine alla consegna

Idoneità all’uso

Assistenza al prodotto

Produzione

Dalla progettazione alla produzione

Integrità del processo

Supporto al prodotto

Distribuzione

Ritardo         della consegna

Scostamenti minimi

Flessibilità         verso         i mutamenti del mercato

Garanzia           della qualità

 

Eliminazione       degli sprechi

Flessibilità        verso        le richieste dei clienti

Amministrazione

 

Miglioramento continuo

 

Materiali e scorte

 

Tabella 1.5.2: indicatori di performance della SC in termini di Qualità, Servizio, Costo e Tempo.

 

L’integrazione di queste componenti rappresenta il valore totale di un prodotto per l’utente finale.


    • I sette principi del Supply Chain Management

Per bilanciare la domanda dei clienti e le esigenze di crescita dei profitti, molte compagnie  si stanno muovendo nella direzione di un miglioramento del SCM. Questi sforzi riflettono i sette principi del SCM, sviluppati dagli statunitensi Anderson, Favre e Britt del MTT di Boston. Tali principi, se perseguiti tutti insieme, permettono alle compagnie di migliorare il controllo dei costi, l’utilizzazione dei beni esistenti, il ritorno del capitale investito e la soddisfazione del cliente finale. Rifiutando la visione tradizionale di una compagnia e delle sue parti come entità funzionali distinte, i tre studiosi pensano che la vera misura del successo è data da un buon coordinamento delle attività della SC rivolte alla creazione del valore per i clienti insieme ad un aumento della profittabilità di ogni anello della catena.

Principio 1: Segmentare i clienti in base ai bisogni e adattare al SC a servire questi segmenti profittevolmente.

La segmentazione ha tradizionalmente raggruppato i clienti per industria, prodotto, o canale di distribuzione, adottando un approccio del tipo “one-sizefits-all” per soddisfare le loro esigenze, bilanciando i costi e i profitti tra i segmenti e all’interno di questi. Il risultato  tipico è nelle parole di un manager: “Noi non riusciamo a comprendere pienamente il valore del cliente relativamente ai servizi offertigli.” Ma la segmentazione dei clienti in base ai bisogni permette alla compagnia di sviluppare un portafoglio di servizi adatti ai vari segmenti. Le indagini di mercato, le interviste e la ricerca industriale sono stati gli strumenti tradizionali per definire i criteri chiave di segmentazione. Oggi, i produttori più sviluppati rivolgono la propria attenzione a tecniche analitiche avanzate come la Cluster Analysis per misurare il profitto marginale di ogni segmento, altri si rivolgono ad altri criteri quali il supporto tecnico e le attività di pianificazione.
La ricerca può anche stabilire i servizi valutati da tutti i clienti rispetto a quelli valutati solo da certi segmenti. Poi la compagnia dovrebbe applicare un processo interfunzionale per sviluppare un menù di programmi di SC e creare pacchetti di servizi specifici che  combinino i servizi base utili a tutti, con servizi che sono maggiormente richiesti da particolari segmenti, tutto allo scopo di trovare il grado di segmentazione necessario alla massimizzazione del profitto.


Principio 2: Adattare la rete logistica alle richieste di servizio e alla profittabilità dei segmenti di clienti.

Molte compagnie hanno implementato la loro rete logistica per andare incontro alle richieste del loro cliente medio, altre, invece, per soddisfare solo un segmento di clienti. Ma tutto ciò con il risultato di non riuscire né ad utilizzare pienamente gli assets, né di migliorare il livello di servizio ai propri clienti. Per molte industrie andare incontro alle esigenze logistiche del singolo cliente è stata una fonte di differenziazione più importante del prodotto, largamente non differenziato.
Un’industria della carta trova radicali differenze tra la domanda dei grandi editori,  che hanno grossi lead time, e le piccole tipografie, che richiedono consegne entro le 24 ore. Per servire in modo efficiente e con profitto entrambi i segmenti, l’industria dovrà pensare di sostituire all’unico magazzino centrale una rete logistica a più livelli, con tre centri di distribuzione e più magazzini per risposte veloci, situati nei pressi delle piccole tipografie. La rete logistica dovrà essere più complessa e più flessibile di quella tradizionale e coinvolgere partner logistici, il numero di magazzini e la loro locazione, nonché la struttura dovranno cambiare, ed infme bisognerà utilizzare strumenti di supporto alle decisioni “real- time”.

Principio 3: Ascoltare i segnali del mercato e allineare la pianjficazione della domanda lungo tutta la SC, assicurando previsioni consistenti e allocazione ottimali delle risorse.

La previsione della domanda storicamente è avvenuta a compartimenti stagni: molti dipartimenti facevano delle previsioni proprie, utilizzando misurazioni proprie, ma sugli stessi prodotti. Molti consultavano il mercato solo informalmente, mentre erano in pochi che coinvolgevano i propri fornitori. Questo orientamento ha peggiorato via via le cose, permettendo alle previsioni di vendita di stimare la domanda, senza tener conto della stima della produzione sulle quantità di prodotto richieste dal mercato. Una buona gestione della SC richiede un Sales and Operations Planning (S&OP), che superi i confini della SC per coinvolgerne ogni anello, dai fornitori dei fornitori ai clienti dei clienti, così da sviluppare insieme le previsioni. Tutto ciò aiuta poi ad accorgersi in tempo dei segnali di allarme della domanda, celati nelle promozioni ai clienti o nei tipi di ordini e di tener conto delle capacità e dei limiti dei propri distributori e trasportatori.


 

 

Principio 4: Differenziare i prodotti e velocizzare la conversione alla Supply Chain.

I produttori, nella maggior parte dei casi, basano gli obiettivi della produzione sulle proiezioni della domanda di prodotti finiti, accumulando scorte per far fronte agli errori delle previsioni. Quindi, fissati i lead times, l’unico modo per ridurre i costi è ridurre i tempi di set-up, ottimizzare la produzione e utilizzare tecniche di just-in-time. L’approccio del SCM punta invece a sfruttare le grandi possibilità offerte dalle strategie meno tradizionali, quali la mass-customization, mai utilizzate.
Molti produttori ritardano la differenziazione del prodotto all’ultimo momento possibile, così da rispondere alle sempre più pressanti esigenze di differenziazione del mercato e nello stesso tempo evitando di incrementare le scorte a magazzino.
Un esempio interessante è quello di alcuni produttori di portalampada, che hanno risolto i loro problemi di differenziazione del prodotto, determinando il punto di leva nel quale un portalampada standard diventa un’unità di confezionamento diversificato. Ciò avviene allorquando viene imballato in 16 modi differenti per soddisfare le richieste di ogni cliente.  I produttori hanno inoltre concluso che la domanda complessiva di portalampada è relativamente stabile e facile da prevedere, mentre la domanda relativa al prodotto diversificato è molto più variabile.
La soluzione da essi elaborata è la seguente: produrre portalampada in fabbrica e imballarli nel centro di distribuzione, rispettando il tempo di consegna. Questa strategia ha praticamente avuto l’effetto di dimezzare le quantità inventariali.
Tradizionalmente i produttori hanno basato i propri obiettivi su proiezioni della domanda di prodotti finiti e hanno accumulato scorte per far fronte agli errori di previsione. Questi produttori tendono a considerare fissi i lead times, come un’unica finestra temporale di tempo durante la quale convertire i materiali in prodotti che vanno incontro alle esigenze dei clienti. Sapendo che il tempo è denaro, molti produttori, con prudenza, stanno invece diventando sempre più capaci di reagire ai segnali provenienti dal mercato mediante una riduzione dei lead times lungo tutta la catena, velocizzando la trasformazione dei materiali nel prodotto finito secondo le richieste del cliente. Questo approccio accresce la loro flessibilità nel prendere decisioni sul tipo di prodotto non appena arriva la domanda.


Principio 5: Gestire strategicamente i fornitori e ridurre il costo totale dei materiali e servizi che si hanno a disposizione.

Determinati a pagare il prezzo più basso possibile per i materiali, i produttori non hanno generalmente stretto rapporti con i fornitori.
Per gestire in modo efficiente la Supply Chain bisogna che lo schema sia più flessibile. I produttori dovrebbero spingere i partners a condividere l’obiettivo di ridurre i costi lungo tutta la catena così da abbassare i prezzi sul mercato ed incrementare i margini di guadagno. Ma alcune compagnie non sono ancora pronte ad una politica di questo tipo, per la mancanza di requisiti fondamentali come la conoscenza di tutti i loro costi di fornitura (materiale diretto e indiretto), di riparazione e produzione, dei costi di utilies, dei trasporti, e di qualsiasi altra voce riguardante i costi, che servono ad una conoscenza essenziale alla determinazione del miglior modo di acquisire ogni tipo di materiale o servizio utile all’azienda.
Data la loro posizione sul mercato, i produttori devono considerare come sollecitare ordini di breve periodo competitivi, siglare contratti a lungo termine e intrecciare relazioni strategiche con i fornitori. Quindi un’eccellente gestione dell’intera catena richiede  creatività e flessibilità. Creatività significa variabilità dei prezzi, indicizzandoli e non negoziando prezzi fissi, in modo che fornitori e produttori condividano benefici e difficoltà delle fluttuazioni dei prezzi.

 

Principio 6: Sviluppare una strategia che, oltre a coinvolgere tutta la Supply Chain, supporti anche livelli multipli di decisione e dia una chiara visione del flusso dei prodotti dei servizi e delle informazioni.

Per sostenere la reingegnerizzazione dei processi molte compagnie stanno sostituendo sistemi inflessibili e poco integrati con sistemi “enterprise-wide” (letteralmente “impresa allargata”). Tali sistemi, purtroppo, pur elaborando una gran quantità di dati, non riescono a tradurli in azioni da intraprendere nel mondo reale.
Un sistema ideale dovrebbe essenzialmente integrare capacità di tre tipi:
Nel breve termine dovrebbe essere capace di gestire le transazioni con frequenza


quotidiana, e gestire il commercio elettronico che si svolge lungo tutta la catena, in modo da allineare costantemente la domanda e l’offerta.
Nel medio termine dovrebbe facilitare la pianificazione supportando I’MPS (Master Plan Schedule) e la pianificazione della domanda e delle spedizioni e allocare le risorse efficientemente.
Nel lungo termine dovrebbe fornire l’analisi strategica di strumenti quali i modelli di rete integrata, che aiutano i manager a   valutare le alternative di impianto, dei centri di distribuzione, dei fornitori e dei terzisti.
Nonostante i grandi investimenti in tecnologia, poche aziende stanno acquisendo tutte e tre le capacità: i sistemi enterprise-wide di oggi rimangono legati all'interno dell'azienda, non condividendo con ì propri partners la informazioni utili al mutuo successo.
Paradossalmente le informazioni che molte compagnie richiedono più urgentemente per migliorare la gestione della supply chain risiedono al di fuori dei propri sistemi e poche compagnie sono adeguatamente connesse per ottenere le informazioni necessarie.

Principio 7: Adottare misure di performance che valutino la Supply Chain nella sua interezza per raggiungere un successo collettivo nell’arrivare al cliente finale efficacemente ed efficientemente.

Per misurare le proprie prestazioni molte compagnie guardano al proprio interno ed applicano una serie di misure adatte ad organizzazioni di tipo funzionale. In una gestione ottimale della supply chain occorre adottare misure applicabili ad ogni anello della catena e che includano sia unità di misura finanziarie che di servizio. In primo luogo, si misura il servizio in termini “ordine perfetto” (l’ordine che arriva al posto giusto, nel momento  giusto, nelle quantità e nelle condizioni qualitative giuste). Tale tipo di misura non solo  tiene conto dell’intera catena, ma inquadra le performance dal punto di vista corretto, quello del cliente. Per ciò che concerne le misure finanziarie, occorre misurare la reale vantaggiosità del servizio, identificando i costi e le entrate reali delle attività richieste per servire i vari centri di costo.
Le misure tradizionali dei costi si basano su sistemi di costo che allocano i costi generali ai vari centri di costo indifferentemente; queste ultime tendono a mascherare i costi reali della supply  chain,  focalizzandosi  sul  tipo  di  costo  piuttosto  che  sul  costo  delle  attività,   e ignorando il grado di controllo che ognuno ha o non ha sui driver dei costi.
Per ottenere il massimo beneficio dall’Activity Based Costing (ABC) occorre possedere una Information Technology (IT) sofisticata, che contenga specificamente un data warehouse. Per facilitare la misurazione delle performance, molte compagnie stanno sviluppando report comuni. Questi report aiutano i partners commerciali a lavorare con gli stessi obiettivi, dando loro profonda comprensione di come ogni compagnia contribuisce alla partnership e mostrando come livellare i propri assets complementari e le proprie skills per il bene dell’alleanza.


 

 

Supply Chain Management: funzionalità e benefici

A questo punto si può passare ad illustrare quali benefici può avere il SCM: riduzione del prezzo dei prodotti, time-to-market, differenziazione, consolidamento in mercati di nicchia. Il ruolo dell'ICT (Information and Comunication Technology) nel SCM e' quello di supportare una base informativa per i diversi soggetti coinvolti, permettere l'ottimizzazione del servizio al cliente, aumentare la velocità di comunicazione, ridurre i costi di processo, tracciare le informazioni, consentire reazioni veloci ad eventi imprevisti che si verifichino lungo la catena virtuale.
Uno dei metodi informatici più utilizzati per evitare cali di efficienza e mantenere fluido il flusso informativo lungo la catena logistica è il ricorso alle tecnologie ERP (Enterprise Resource Planning) che comprendano i moduli necessari alla gestione dell'intera catena del valore (tra cui SCM). Questa soluzione si adatta in modo particolare a quelle aziende che possiedono magazzini e impianti produttivi dislocati in località distanti tra loro e dalla sede aziendale. Attraverso questa soluzione i benefici ottenibili sono:
saturazione di risorse e utilizzo di materiali;
maggiore velocità nel prendere decisioni per rispondere adeguatamente a tutte le variazioni, sia interne che esterne, che impattano sul normale flusso di approvvigionamento- produzione- delivery;
migliore utilizzo delle risorse e riduzione delle giacenze di magazzino;
miglior servizio e migliore informazione al cliente.
L’ottimizzazione del SCM può anche essere schematizzata su tre livelli (figura 1.5):


 sul piano strategico si tratta di definire la struttura e l’utilizzo del network fisico per raggiungere gli obiettivi di business al minor costo;
sul piano tattico l’ SCM riguarda le attività di previsione della domanda, produzione, della distribuzione e del trasporto e dei relativi metodi di gestione;
sul piano operativo, riguarda la programmazione della operazioni e della trasmissione in tempo reale delle informazioni che consentono di avere la conoscenza dello stato del singolo stabilimento.

 

In sintesi, i principali benefici conseguibili con un sistema SCM sono:
diminuzione dei costi di inventario legando la produzione alla domanda: le applicazioni utilizzano complessi algoritmi di pianificazione per prevedere la domanda sulla base delle informazioni contenute nel database;
riduzione dei costi totali di produzione velocizzando il flusso di merci all'interno del processo produttivo e migliorando il flusso informativo tra l'azienda, i fornitori, i distributori. Assicurando la connettività tra le varie parti della  SC,  queste applicazioni permettono alle aziende di diminuire i tempi morti, le scorte e prevenire i colli di bottiglia nel processo produttivo;


 miglioramento della soddisfazione del cliente offrendo velocità di consegna e personalizzazioni di prodotto.
I risultati della SCM sono anche funzione della ottimizzazione delle attività identificate  dalle tre "C":
cooperazione: la comunicazione e lo scambio di informazioni relative a livello delle scorte, dati previsionali, trend di vendita, trend della domanda;
coordinamento: il coordinamento delle operazioni permette di ridurre i tempi tra l'ordine e la consegna, adottando un approccio just in time;
comunicazione: la comunicazione attraverso protocollo IP e il trasferimento di documenti tramite EDI consentono di monitorare in modo efficace le diverse fasi di gestione dell'ordine.
Adottando una soluzione SCM, le aziende possono ricavare ulteriori vantaggi in più aspetti della loro attività:
riduzione del capitale circolante, che può essere ottenuta tramite minori scorte e tramite un ciclo cash to cash più veloce;
efficienza degli investimenti, ottenibile effettuando un ridimensionamento dei magazzini e avendo una maggior disponibilità di informazioni a supporto del processo decisionale in area produzione (es. scelta make or buy di alcuni componenti del prodotto finale);

 miglioramento del servizio al cliente finale;

 riduzione dei costi, ottenibile automatizzando le operazioni ripetitive quotidiane, il comparto packaging e le spedizioni;
incremento dei ricavi, raggiunto grazie alla possibilità di personalizzazione del prodotto.
Attualmente i sistemi SCM non sono molto diffusi, benché sia prevista una forte crescita delle installazioni nei prossimi anni: tale evoluzione sarà sostenuta anche dalla rapida diffusione di Internet e dell'e-commerce, attività che porta con sé un ripensamento della catena logistica.
Ciò che, sino ad oggi, ha ostacolato una più ampia adozione di soluzioni SCM, o che comunque ha frenato la decisione di implementarle, è stato principalmente la resistenza al

 


cambiamento organizzativo, seguito dai costi di implementazione e da lunghi tempi per l'integrazione.

 

2    La logistica inversa

La logistica inversa e la rifabbricazione

 

Non si poteva concludere il capitolo dedicato alla logistica senza trattare la più recente estensione che tale funzione sta subendo negli ultimi anni.
Il maggiore valore aggiunto dei materiali unito ad una più consapevole coscienza ambientale dei consumatori, ha spinto le aziende nella direzione di quello che potremmo genericamente definire un “recupero” dei materiali e delle energie produttive. In un sistema di recupero esistono numerosi flussi di materiali e di dati che attraversano la SC Inversa (Figura 2.1).
Gestire in maniera ottimale la movimentazione e l’immagazzinamento della merce nonché lo scambio di informazioni fra i numerosi attori appartenenti alla catena del valore è un compito complesso che non può essere affrontato utilizzando tecniche e strumenti propri della logistica tradizionale. Per affrontare e risolvere i problemi che sorgono quando un’azienda decide di implementare un sistema di recupero è sorta una nuova disciplina conosciuta come logistica inversa.

 

Flussi di materiali e di informazioni gestiti dalla logistica inversa
Esistono in letteratura diverse, autorevoli definizioni della logistica inversa, ognuna delle quali contribuisce a comprenderne meglio il ruolo in seno ad un’azienda, le caratteristiche distintive rispetto alla logistica diretta, le finalità.
Il Council of Logistics Management (Stati Uniti) evidenzia le differenze tra la gestione diretta dei flussi e quella inversa: mentre per logistica tradizionale si intende
«[…] l’insieme dei processi di pianificazione, realizzazione e controllo dei flussi di materie prime, work-in-process, prodotti finiti e delle informazioni ad essi associate che partono da un punto d’origine e sono dirette al mercato. Tali processi hanno come obiettivo quello di conformare la risposta dell’azienda alle richieste del mercato» .
la logistica inversa, incentrata sulla raccolta, il trasporto e l’immagazzinamento di prodotti fuori uso, invenduti o da riparare, componenti disassemblate, merce da smaltire, secondo il C.L.M., è invece:
«[…] l’insieme dei processi di pianificazione, realizzazione e controllo dei flussi di materie prime, work-in-process, prodotti finiti e delle informazioni ad essi associate che partono dal mercato per tornare al punto da cui hanno avuto d’origine. Tali processi hanno come obiettivo quello di recuperare parte del valore inglobato in tali beni o di gestire in maniera ottimale l’eliminazione di quegli stessi beni»
Con una definizione più immediata, Toby Gooley, Senior Editor della rivista “Logistics Management and Distribution Report” afferma che:
“…..la logistica inversa (è) la gestione delle attività di riduzione ed eliminazione dei materiali. Nella logistica inversa è inclusa la ‘distribuzione inversa’, cioè la raccolta di prodotti danneggiati o indesiderati presso l’utenza finale ed il riciclaggio dei prodotti usati e degli imballaggi” ,
mentre per la WERC, acronimo di Warehousing Education and Research Council, prestigiosa associazione internazionale per lo studio delle attività legate alla logistica e all’immagazzinamento dei prodotti, la logistica inversa è:
“poiché vi sono molteplici aspetti legati alla logistica inversa, darne una definizione risulta complicato. Tuttavia, (per molti) si può dire che essa comprende la gestione di quei beni


che tornano al produttore, spesso a causa di danni. Per altri, potrebbe indicare la spedizione di prodotti usati verso paesi del Terzo Mondo o la loro cessione in beneficenza, in modo da fornire ai prodotti nuova vita. Un altro aspetto della logistica inversa è l’eliminazione dei quei prodotti che non possono più essere usati o che potrebbero essere considerati pericolosi.”
Un ultimo prezioso apporto è quello di James R. Stock, membro di spicco del Council of Logistics Management (USA) ed esperto di logistica inversa:
“[…] dal punto di vista ingegneristico, con tale termine si intende ciò che più propriamente viene chiamato Reverse Logistics Management (RLM), cioè un modello aziendale sistematico per l’applicazione in tutti i settori dell’impresa delle metodologie economico- ingegneristiche ottimali che permettano di chiudere in maniera redditizia il ciclo della Supply Chain.”
Le definizioni appena riportate servono soprattutto a chiarire un punto molto importante: sebbene la logistica inversa si occupi della gestione dei flussi di prodotti, di componenti e dei dati come accade per la logistica tradizionale, nell’ambito del processo di recupero occorre superare problemi così particolari da richiedere spesso la costituzione di una struttura apposita.
Nello svolgere i propri compiti, gli esperti di logistica inversa devono superare molteplici ostacoli: si va dall’elevato grado di incertezza dei tassi di restituzione e di recupero, che rendono difficile qualunque attività di programmazione, all’aumento delle quantità di beni da movimentare e delle diverse tipologie di pezzi da immagazzinare. Ecco perché è opportuno fare distinzione tra la gestione del canale diretto e quella del canale inverso e ricercare degli strumenti nuovi da utilizzare nella logistica inversa.
La logistica inversa è una disciplina che include attività (figura 2.2) non del tutto inedite nel mondo della produzione: la raccolta della merce invenduta è una pratica che risale alla nascita della grande distribuzione; tuttavia la limitata diffusione dei risultati degli studi condotti in Europa sull’argomento fa si che anche nelle aziende impegnate nel recupero dei propri prodotti circolino alcune convinzioni inesatte. Un errore molto


frequente fra i non addetti ai lavori è quello di identificare la logistica inversa con la rifabbricazione o con il riciclaggio, queste ultime sono due delle opzioni fra le quali l’azienda deve scegliere nel momento in cui si appresta a recuperare i suoi prodotti, una  volta che, grazie alla logistica inversa, sono stati trasportati all’impianto di riprocessamento. Un altro errore piuttosto comune quando si parla di logistica inversa riguarda la tipologia  dei prodotti raccolti dalle aziende: molti credono che in un sistema di recupero i flussi in rientro siano costituiti prevalentemente dai beni che hanno esaurito la loro vita utile, tradizionalmente destinati allo smaltimento, e da quelli danneggiati che richiedono l’intervento del produttore o di una ditta di riparazione. In effetti ciò è vero nella maggioranza dei casi, tuttavia alcuni produttori, guidati da esigenze diverse, attuano politiche più liberali, raccogliendo altre tipologie di beni, fra i quali:

  • prodotti difettosi da sostituire;
  • prodotti danneggiati ma riparabili;
  • prodotti scaduti;
  • prodotti danneggiati in fase di carico o di trasporto (dunque sotto la responsabilità dell’azienda);
  • prodotti che i consumatori restituiscono perché convinti della presenza di difetti ma che in

realtà non hanno funzionato a causa dell’incapacità degli acquirenti (in inglese  “defective - non defective”);

  • prodotti stagionali che vengono restituiti all’azienda per contratto;
  • prodotti fuori commercio;
  • prodotti in eccesso rispetto ai limiti garantiti dai dettaglianti/grossisti (“overstock”);
  • prodotti che non possono essere eliminati direttamente dai consumatori a causa della tossicità o pericolosità dei materiali costituenti;
  • imballaggi;
  • contenitori per il trasporto.

In base a quali criteri l’azienda sceglie i prodotti da raccogliere? Innanzi tutto la composizione dei flussi può essere stabilita in sede di contratto: spesso distributori e dettaglianti, sempre più forti all’interno della SC Inversa, riescono ad imporre ai produttori la raccolta della merce invenduta, in modo da non dover sostenere alcun costo di smaltimento. Inoltre, la decisione è fortemente influenzata dalle caratteristiche del prodotto: esistono alcuni articoli che non possono essere smaltiti e che dunque l’azienda recupera indipendentemente dalle condizioni in cui versano. Una volta chiarito cosa si intende per logistica inversa e sgombrato il campo dalle inesattezze, è necessario esaminare in maniera più dettagliata quali sono le attività svolte da chi si occupa della gestione dei flussi in  rientro.

 

Il sistema di recupero dei materiali

La possibilità di poter recuperare i prodotti alla fine del loro ciclo di vita, offre tutta una  serie di importanti vantaggi tra i quali i più significativi sono la riduzione della quantità di rifiuti destinati alle discariche e la riduzione dell’utilizzo di nuova materia prima ed energia per le nuove produzioni. L’obiettivo che si intende raggiungere è quello di recuperare così   la maggior quantità possibile del valore economico ed ecologico che andrebbe altrimenti perso con la distruzione del bene.
Tali considerazioni portano immediatamente a comprendere come un sistema di produzione che si basi sul recupero di materiali offra notevoli vantaggi di carattere economico.
Accanto a queste considerazioni non va però dimenticato che i sistemi di cui abbiamo sin


qui parlato celano una grande complessità, per cui affinché possano essere perfettamente efficienti è necessario che siano disponibili gli strumenti con i quali tali processi possano essere gestiti. Recenti studi hanno dimostrato la carenza di tecniche e strumenti affidabili e consolidati per la corretta gestione di tutte le fasi dell’intero processo di recupero, partendo dall’acquisizione dei prodotti e finendo alla gestione dei processi lavorativi.
Le caratteristiche che complicano la gestione di un sistema di recupero, qualunque sia il processo al quale sottoporre i prodotti, possono essere individuate nelle seguenti sei:

  • incertezza nella determinazione della quantità di prodotti recuperati e del tempo in cui saranno disponibili;
  • necessità di bilanciare la domanda con il recupero;
  • impossibilità di determinare il tasso di recupero di materiale o componenti dalla quantità di prodotti indotti nel sistema;
  • necessità di una rete logistica che opera in senso inverso rispetto a quella tradizionale;
  • nel caso di riparazione e rifabbricazione, problemi connessi all’accoppiamento di parti provenienti da prodotti differenti;
  • tempi e cicli di lavorazione variabili in maniera probabilistica.

 

Un’azienda che decida di implementare un sistema di recupero materiali può, a seconda delle caratteristiche dei prodotti che tratta e del tipo di investimento che intende effettuare, scegliere tra le seguenti opportunità:

Riparazione;

  • Rifabbricazione;
  • Riciclaggio.

 

Come si evince dalla figura 2.3 esiste teoricamente anche una quarta possibilità, il Riutilizzo, che rimanendo però essenzialmente all’esterno dell’azienda, non rappresenta una vera e propria opportunità per l’azienda stessa.
La scelta corretta tra riparazione, rifabbricazione o riciclaggio deve essere dettata da valutazioni di carattere economico e dalla condizione ed età dei prodotti che vengono recuperati.
La tabella 2.1 mette in luce le differenze chiave tra riparazione, rifabbricazione e  riciclaggio:

 

Operazioni

Tipo di prodotto

Grado di assemblaggio

Grado di trasformazione

Valore aggiunto materiale

Valore aggiunto in lavoro

Riparazione

Unità

Diagnostico

Nullo

Parti di ricambio

Limitato

Rifabbricazione

Unità o componente

Completo

Limitato

Ricambi o parti irrecuperabili

Notevole

Riciclaggio

Non definito

Separazione materiali

Completo

Nullo

Limitato

Tabella 2.1: differenze chiave tra riparazione, rifabbricazione e riciclaggio


Secondo l’APICS «la rifabbricazione può definirsi come quel processo industriale attraverso il quale, nuovi prodotti sono ottenuti riassemblando componenti provenienti da vecchi prodotti dismessi, precedentemente disassemblati, ripuliti e rigenerati, ed utilizzando dove necessario nuovi componenti. Le unità così ottenute hanno caratteristiche completamente equivalenti, e qualche volta superiori, rispetto al prodotto di origine per quanto riguarda performance, qualità e tempo di vita atteso ».
È bene chiarire innanzitutto quali sono le differenze tra riciclaggio e rifabbricazione, premettendo però che il riciclaggio è in alcuni casi parte integrante del processo di rifabbricazione.
Il processo di riciclaggio consiste invece nel recuperare attraverso una serie di operazioni,  la materia prima con la quale tali prodotti sono realizzati, rendendola così disponibile per essere in seguito riutilizzata nella fabbricazione degli stessi o di altri tipi di prodotto realizzati con lo stesso materiale.
Il riciclaggio è generalmente praticato per trattare beni di consumo quali ad esempio giornali e libri, bottiglie di vetro e di plastica o lattine di alluminio, ma potrebbe ugualmente essere applicato anche nel caso di beni durevoli quali ad esempio un alternatore, un ingranaggio, il paraurti di un’automobile e così via.
I benefici ambientali del riciclaggio, come la riduzione della quantità di rifiuti destinati alle discariche e risparmio di materie prime naturali, sono facili da comprendere.
Se il riciclaggio di un motore elettrico offre la possibilità di recuperare il rame e l’acciaio salvate dalla discarica e di riutilizzarlo per la fabbricazione dello stesso o di un altro bene che richiede lo stesso tipo di materiali, la rifabbricazione dello stesso motore elettrico offre un’alternativa ancora migliore; a differenza del riciclaggio la rifabbricazione permette infatti oltre che il riciclo dei materiali anche il riciclo del valore originariamente aggiunto alla materia prima, laddove per valore aggiunto intendiamo il costo del lavoro dell’energia e di tutte le operazioni di fabbricazione che si è aggiunto al costo di base delle materie prime.  Per quasi tutti i beni, il valore aggiunto è alla larga la voce di costo più rilevante. Anche in un prodotto semplice come ad esempio una bottiglia di birra, il costo delle materie prime (bevanda inclusa) è minore del 5% del coste finale della bottiglia. Il resto è tutto valore aggiunto. Per un prodotto come un’automobile, il valore delle materie prime che può essere recuperato con il riciclaggio è solamente l’1,5% del valore di mercato dell’automobile.


Il   valore aggiunto è insito nel prodotto ed il riciclaggio distrugge questo valore, riducendo il prodotto al sue valore elementare costituito dal valore del materiale con il quale è realizzato; in più richiede ulteriore lavoro energia e capitali per poter riutilizzare le materie ricavate.
La rifabbricazione invece, recupera il valore che è stato aggiunto alla materia prima quando essa è stata utilizzata per la prima volta; alcuni studi hanno messo in luce che circa l’85% dell’energia spesa nella fabbricazione del prodotto originale è preservata con il processo di rifabbricazione. Da queste considerazioni deriva il crescente interesse per questa alternativa che si pone come una delle più interessanti opportunità di riutilizzo di prodotti dismessi.
I vantaggi ottenibili con la rifabbricazione sono notevoli sia per i produttori che per i consumatori. Pur tuttavia non tutti questi benefici sono oggi sfruttati a causa di una serie di ostacoli reali ed immaginari. Il primo tra i vantaggi è senza dubbio quello del risparmio di energia e risorse. La fabbricazione di nuovi prodotti richiede infatti l’utilizzo di una quantità di risorse naturali dalle quattro alle cinque volte superiore a quella che è necessaria con un processo di rifabbricazione. Altri vantaggi sono la possibilità di poter ridurre i lead-time della metà, l’aumento delle opportunità di impiego per lavoratori poco specializzati, favorendo l’economia di regioni che hanno abbondanza di questo tipo di manodopera, la possibilità di poter riconvertire parti di impianto sottoutilizzate con bassi investimenti e pochi rischi. Ultimo beneficio, certamente non per importanza, è quello del risparmio da parte dei consumatori derivante dall’opportunità di poter utilizzare prodotti rifabbricati le  cui prestazioni ricordiamo, sono uguali se non superiori a quelle di prodotti nuovi.
Tra le barriere sopra accennate, la più grande è certamente la difficoltà di ottenere adeguati volumi di prodotti da processare in modo da poter soddisfare la domanda. Un’altro  problema è rappresentato da quello che molti chiamano paradosso della qualità. Esso consiste nel fatto che molti produttori e fornitori di componenti per aziende che assemblano nuovi prodotti e praticano anche la rifabbricazione, producendo prodotti di alta qualità potrebbero perdere parte dei loro affari in quanto tali prodotti potrebbero essere riutilizzati più volte.


Come si configura la supply chain inversa in funzione delle diverse esigenze dei produttori

Nell’esaminare le caratteristiche distintive della catena inversa si è fatto riferimento ad una struttura generica; anche se è possibile identificare diverse configurazioni, ognuna delle  quali è stata sviluppata per rispondere meglio ad esigenze specifiche di una certa azienda produttrice. Infatti, la presenza di un certo soggetto nella catena dipende in primo luogo  dalle capacità del produttore di svolgere in maniera autonoma una determinata fase del processo di recupero. In generale la catena viene progettata tenendo conto delle caratteristiche dei prodotti da recuperare e delle risorse a disposizione delle società che le appartengono, per cui è comprensibile come alcune strutture siano costituite da un numero esiguo di aziende, poco collegate tra loro, mentre altre vedano la stretta collaborazione di molte società con competenze specifiche complementari tra loro.
Di seguito si vogliono analizzare i modelli più comuni di SC inversa, chiarendo per ognuno di essi le esigenze che hanno spinto i progettisti ad adottare determinate soluzioni,  i problemi che possono incontrare le aziende che ne fanno parte e le possibili soluzioni. Si inizierà con le strutture più semplici, per poi passare via via a configurazioni più complesse  e con un maggior numero di anelli.

 

Il processo produttivo segue lo schema classico: il fornitore procura le materie prime o fabbrica le componenti per conto del produttore che utilizza tali risorse per produrre


uno o più articoli destinati al mercato. Per trasferire i prodotti ai punti vendita, l’azienda produttrice si affida ad un corriere e ad una società di distribuzione (spesso proprietaria dei mezzi di trasporto); i dettaglianti vendono la merce ai consumatori che, dopo averne sfruttata tutta la vita utile o averne constatato la non rispondenza alle proprie esigenze, la restituiscono ad uno dei negozi controllati dal produttore o appartenenti alla catena coinvolta nella SC inversa, avviando la fase del recupero. I prodotti vengono conservati fino al momento della raccolta, poi trasportati all’azienda produttrice per essere selezionati, disassemblati ed, infine, riprocessati.
Si tratta di una struttura molto semplice, costituita da pochi soggetti non specializzati  in un’unica operazione. Tale configurazione nasce con l’intento di integrare il processo produttivo e quello di recupero, sfruttando per quanto possibile le risorse già esistenti  al momento dell’implementazione del sistema di logistica inversa. Quindi i progettisti che scelgono questa soluzione sono spinti dall’esigenza di non aumentare più del necessario il numero di aziende coinvolte, in modo da evitare inutili duplicazioni e garantire ai produttori un elevato grado di controllo sui flussi. Naturalmente, tutto ciò è possibile solo se la quantità di prodotti in rientro è limitata, perché in caso contrario le operazioni di recupero da svolgere all’interno dell’impianto di produzione occuperebbero troppo spazio, creando notevoli problemi sia gestionali che logistici. In alternativa, l’azienda produttrice deve possedere molte risorse non utilizzate, come magazzini e personale, per poter far fronte all’aumento del quantitativo di merce da movimentare ed immagazzinare. Inoltre il prodotto da recuperare deve mantenere le stesse caratteristiche fisiche durante tutto il ciclo di vita: se il bene in questione diventa pericoloso per l’ambiente e per la salute pubblica con l’uso, come accade per alcune batterie che col tempo rilasciano sostanze tossiche, è necessario incaricare della raccolta un corriere specializzato. In aggiunta, il bene in questione deve essere relativamente semplice, facilmente disassemblabile e costituito da poche componenti: se sussistono queste condizioni l’azienda produttrice può gestire autonomamente tutto il processo di recupero, evitando di affidare le operazioni pre-trattamento ad  una società di logistica inversa. Tuttavia esistono alcuni esempi di SC inverse molto semplici legate ad un prodotto piuttosto complesso: si tratta prevalentemente di catene del  valore  che  producono  macchine  industriali  particolari.  In  questi  casi l’azienda


fabbrica pochi esemplari all’anno e può dunque gestire senza problemi il recupero dei propri beni, mentre la raccolta è facilitata dal basso numero di pezzi in circolazione e dal rapporto diretto che si instaura con le industrie-clienti (molto spesso la macchina nuova va a sostituire quella fuori uso, per cui al momento della consegna il trasportatore può caricare sul camion l’apparecchiatura restituita, sfruttando le similitudini di forma e peso tra i due beni).
I rischi maggiori legati a questo tipo di struttura riguardano l’organizzazione e la gestione dei trasporti: il problema deriva dal fatto che, scegliendo questa configurazione, i progettisti cercano di sfruttare al massimo la flotta di mezzi di trasporto già impegnata nella fase di distribuzione; dunque occorre integrare i percorsi di consegna e quelli di raccolta, scegliendo tempi e percorsi opportuni, ma nel farlo ci si scontra con l’impossibilità di sapere in anticipo se e quanti prodotti sono presenti presso il punto di raccolta in un dato momento: può succedere che i camion arrivino al negozio senza trovare merce da trasportare o che siano impossibilitati a caricare tutti i beni da recuperare perché ancora pieni di prodotti nuovi da consegnare. Una possibile soluzione al problema dell’incertezza è quello di modificare gli algoritmi per la ricerca del minimo percorso in modo da poter utilizzare dati statistici come base di lavoro  [20]. Una seconda opzione consiste nello sfruttare le potenzialità del collegamento in rete tra i soggetti coinvolti nella raccolta: se gli addetti all’accettazione comunicano immediatamente a tutti i partner della SC inversa l’avvenuta consegna di un determinato prodotto, è possibile conoscere con precisione le quantità di beni in giacenza in ogni istante nei vari punti di raccolta sparsi sul territorio e modificare  anche all’ultimo momento i percorsi dei camion in base a tali dati.
Oltre a dover risolvere la questione dell’integrazione delle reti di consegna e raccolta, i progettisti, come già accennato in precedenza, devono prestare particolare attenzione alla gestione dei flussi all’interno degli impianti. Infatti in questo primo modello di catena inversa, i beni fuori uso o invenduti vengono riportati nello stesso impianto nel quale avviene la prima produzione e ciò può creare notevoli difficoltà dal punto di  vista organizzativo. La presenza di un ulteriore flusso di materiale aumenta la confusione ed assorbe una parte delle risorse dell’azienda, per cui, al momento dell’implementazione del sistema, occorre valutare attentamente le risorse disponibili e


quelle da acquisire; inoltre gran parte degli esperti di logistica inversa concordano sulla necessità di separare fisicamente le aree dedicate alla produzione da quelle riservate alle fasi di pre-riprocessamento fino al punto di convergenza fra i due flussi.

 

La seconda configurazione si differenzia dal modello precedente per l’ingresso nella catena del valore di un soggetto incaricato della raccolta e dell’immagazzinamento dei prodotti in attesa di essere riprocessati.
Si noti che in questa struttura il punto di raccolta può non coincidere con uno dei punti vendita. Infatti, mentre nel primo caso l’esigenza di integrare le risorse utilizzate per  il flusso diretto con quelle impiegate nel percorso inverso spinge i manager della catena del valore ad incaricare dell’accettazione gli stessi dettaglianti, qui tale vincolo viene a cadere, per cui è possibile scegliere un’opzione diversa per accumulare i prodotti da raccogliere.
Inoltre, occorre sottolineare che, anche in questo caso, se i prodotti sono destinati alle aziende, alcune fasi possono essere bypassate.


A fronte di notevoli benefici economici ed organizzativi, l’unico problema legato all’entrata nella catena inversa di un soggetto specializzato nella raccolta riguarda il coordinamento fra quest’ultimo e gli altri soggetti coinvolti. In particolare occorre definire con cura il rapporto tra la società di trasporto e due importanti anelli della SC inversa:
coordinamento con i punti di raccolta: nel caso in cui il punto di raccolta coincida con il punto vendita, per facilitare la raccolta della merce da recuperare, gli addetti all’accettazione devono fornire tempestivamente le informazioni relative ai beni restituiti, identificare i prodotti con etichette e/o codici e stoccarli con cura in appositi contenitori (o imballarli e posizionarli su pallet per il trasporto). Dal canto suo, l’impresa di trasporto deve fornire ai punti di raccolta dei recipienti adatti a conservare temporaneamente la merce e deve istruire i propri partner circa le modalità di immagazzinamento e di carico;
coordinamento con il produttore: affinché l’azienda produttrice riceva le giuste quantità di merce da riprocessare al momento opportuno è necessario che i due soggetti siano continuamente in contatto e che programmino assieme le attività di raccolta e di trasporto dei prodotti fuori uso. Il rischio maggiore, infatti, è che nei periodi di massima domanda non vi sia un sufficiente numero di pezzi da rifabbricare, costringendo l’azienda ad aumentare le ordinazioni di materiale verso i fornitori, mentre nelle fasi di contrazione del mercato vi sia una tale sovrabbondanza di beni riprocessabili da doverne destinare grosse quantità allo smaltimento, il che spesso comporta costi significativi.
Se la società di trasporto è proprietaria di un magazzino, questo può essere utilizzato come buffer di disaccoppiamento, in modo da poter svolgere le operazioni di raccolta senza dover necessariamente aspettare un ordine del produttore. Così facendo, i due soggetti possono lavorare in maniera autonoma ed affrontare con successo la variabilità del mercato.
Il terzo modello (figura 2.6) deriva dalle due strutture precedenti, ed è ottenuto aggiungendo un altro anello nella catena del valore inversa. Si tratta di una società incaricata della selezione dei prodotti riprocessabili e del rimborso dei dettaglianti per la merce restituita. Molto spesso l’adozione di questo tipo di configurazione è legata all’attuazione della strategia “zero restituzioni”, mirata a diminuire drasticamente il numero di pezzi in rientro per semplificare la gestione dei flussi.


. Tale anello si va ad inserire fra la società di trasporto ed il produttore e costituisce un filtro che separa i beni recuperabili da quelli il cui stato non permette alcun tipo di riprocessamento. E’ evidente che la sua presenza serve a ridurre la quantità di merce in rientro ed alleggerire il carico di lavoro che grava sul produttore, e costituisce un ulteriore passo verso la terziarizzazione completa del processo di recupero. Il suo inserimento nella catena può avvenire indipendentemente dal fatto che ci sia o meno una società specializzata nella raccolta; nella maggior parte dei casi tale configurazione si adatta meglio ad un processo produttivo indirizzato al mercato dei consumatori e non a quello industriale.
Una società di selezione si occupa di due compiti particolarmente delicati:

  • scelta dei prodotti recuperabili: nella maggior parte dei casi si tratta di  un’attività di tipo manuale, in cui una squadra di operai specializzati preleva i pezzi da un contenitore o da un nastro trasportatore e, grazie ad un analisi visiva, stabilisce se un prodotto può essere riprocessato. Solo in alcune aziende e per

determinate tipologie di prodotti la selezione viene fatta in maniera automatizzata mediante l’uso di sensori e di robot. Per svolgere questa operazione al meglio c’è bisogno di persone esperte e capaci, in grado di riconoscere velocemente gli eventuali guasti e/o difetti e di stabilire se questi siano facilmente riparabili o meno. Inoltre, pur trattandosi di un lavoro molto semplice, esso richiede spazio e tempo. Un’impresa di selezione concentra tutti i propri sforzi su tale attività ed   ha a disposizione le risorse richieste: personale specializzato e uno o più impianti dedicati esclusivamente alle operazioni di ispezione e separazione.
Occorre sottolineare che se fra i dettaglianti ed il resto della SC inversa esiste un rapporto di piena collaborazione, il lavoro della squadra incaricata della selezione si semplifica in quanto gli operai possono contare sulle informazioni riguardanti lo stato dei prodotti provenienti dalla fase di accettazione;

  • conferimento del rimborso ai dettaglianti: molto spesso per incentivare la restituzione dei prodotti da parte dei consumatori, le aziende prevedono una forma di rimborso da rendere ai clienti al momento della riconsegna. Si può trattare di uno sconto sull’acquisto di altra merce, o di una somma in contanti o da accreditare sul conto del cliente. In entrambi i casi è il dettagliante a farsi carico della “spesa”, salvo poi chiederne la restituzione al produttore. Nelle SC inverse in cui esiste un legame molto stretto tra i punti vendita e l’azienda produttrice questa operazione non comporta alcun problema, poiché i due  soggetti collaborano per raggiungere un obiettivo comune, cioè l’aumento dei profitti della SC attraverso il riprocessamento dei beni fuori uso: gli addetti all’accettazione eseguono controlli molto severi e prima di rimborsare i clienti attendono l’autorizzazione del produttore, che analizza in tempo reale i dati relativi alla merce. Di conseguenza la restituzione del rimborso al dettagliante è una semplice formalità.

Se, invece, i dettaglianti operano in maniera autonoma, è chiaro che il loro obiettivo diventa quello di contenere i costi della fase di accettazione, conducendo esami poco accurati sui prodotti, e di ottenere il rimborso per tutti i beni restituiti. Dal canto suo, l’azienda produttrice tende a ritenere recuperabili solo i prodotti nelle migliori condizioni, in modo da “snellire” il flusso in rientro ed evitare di dover riprocessare beni che richiedono cure


particolari. Dunque si crea una forbice tra le due valutazioni dei prodotti, e ciò porta ad uno scontro continuo che spesso va a discapito delle prestazioni. In questi casi, è fondamentale  la presenza nella catena inversa di una società di selezione che, oltre ad avere una grande esperienza in fatto di individuazione di guasti e difetti e di analisi della loro gravità, stima il valore di ogni prodotto ritenuto accettabile seguendo principi oggettivi accettati da tutte le parti in causa.
Esiste un ulteriore beneficio apportato dall’inserimento nella SC inversa di questo nuovo anello: il produttore può dare mandato alla società di selezione di occuparsi della gestione economico finanziaria dei rimborsi, evitando di impiegare tempo e risorse  nella registrazione di tutte le operazioni e nella compilazione dei relativi documenti.
Come si è visto, la presenza di una azienda di selezione all’interno della catena inversa permette al produttore di ridurre le attività direttamente controllate, lasciando ad altri lo svolgimento di alcuni compiti piuttosto complicati. Tutto ciò, naturalmente, esige un costo: dal punto di vista economico, occorre pagarne i servizi in funzione della quantità di merce processata e della performance complessiva della SC inversa; dal punto di vista organizzativo, come nel modello precedente, è necessario prestare particolare attenzione alle connessioni fra il nuovo anello e gli altri attori della catena.
La quarta configurazione (figura 2.7) è alternativa ai due precedenti  modelli: si tratta  infatti di una struttura nella quale il processo di recupero viene svolto o coordinato da un’unica entità, sia essa una divisione distaccata dell’azienda produttrice o un impresa specializzata nella gestione delle operazioni di logistica inversa.


 

Nel primo caso si tratta di uno stabilimento sotto le dirette dipendenze della “casa madre” che opera in un impianto dedicato esclusivamente alla logistica, sia diretta sia inversa. Esso gestisce tutti i trasporti, i magazzini, la distribuzione e la raccolta della merce, i rapporti con i dettaglianti, i sistemi di IT e si occupa anche del disassemblaggio e delle fasi di pre- trattamento: una volta pronti per il riprocessamento le componenti o i prodotti vengono inviati al produttore. Questa soluzione consente all’azienda di isolare l’attività produttiva vera e propria dalle altre operazioni, senza peraltro perdere il controllo sulle fasi affidate alla divisione distaccata. L’intento è quello di permettere al personale dei due impianti di concentrare i propri sforzi su compiti ben precisi, in modo da non disperdere le energie nel tentativo di coordinare la gestione dei flussi in uscita e in rientro. Tale opzione, purtroppo, richiede notevoli investimenti per lo sviluppo del dipartimento distaccato e spesso porta ad un’inutile duplicazione di alcune risorse.


La soluzione ottimale per le aziende che intendono godere dei benefici del riprocessamento senza dover acquisire nuove risorse o complicare la gestione del processo produttivo con l’aggiunta di nuove attività è la terziarizzazione completa di tutte le attività di recupero. Per farlo occorre rivolgersi ad una delle “società di logistica inversa” per ora piuttosto rare in Europa ma in rapida diffusione. Queste imprese si occupano esclusivamente del recupero dei prodotti invenduti o fuori uso e sono spesso proprietarie di numerosi impianti di trattamento, di grosse flotte di mezzi di trasporto e di tecnologie esclusive sia per quanto riguarda il processo fisco che per la raccolta e l’analisi dei dati.
Prima di affidare il recupero dei propri prodotti ad una società di logistica inversa, l’azienda produttrice deve valutare i costi associati a tale opzione. Spesso queste società, oltre ad un compenso iniziale, esigono una percentuale significativa sull’aumento dei profitti prodotto grazie al loro lavoro, per cui, prima di rivolgersi ad un’impresa di questo tipo, occorre stabilire se esiste una reale necessità e se si hanno mezzi economici sufficienti ad affrontare tutte le spese iniziali.
Una volta che si è deciso di avvalersi dei servizi di una società di logistica inversa, occorre collaborare con quest’ultima per adattare la struttura preesistente alle esigenze del processo di recupero. Come primo passo, si esaminano il tipo di organizzazione della catena, le risorse già possedute e le esigenze del produttore in fatto di recupero. Terminata l’analisi preliminare, la società di logistica inversa opera una parziale riorganizzazione della SC, concorda con il produttore eventuali nuovi acquisti ed assunzioni, perfeziona i sistemi di comunicazione fra i vari soggetti ed introduce dei software gestionali personalizzati. A questo punto sono state gettate le basi per una gestione ottimale del processo. Oltre all’apporto di tipo organizzativo, la società di logistica inversa si occupa, naturalmente,  della parte pratica, cioè delle operazioni di raccolta, selezione, disassemblaggio, pulizia,  test. Nella maggior parte dei casi, la sua parte termina con l’invio dei pezzi al produttore, tuttavia esistono alcune SC inverse in cui le imprese incaricate del recupero forniscono ai produttori squadre di operai specializzati nel riprocessamento: questi addetti si integrano  con il personale del reparto Produzione in modo da gestire al meglio l’integrazione dei  flussi.
L’adozione di questo tipo di configurazione comporta notevoli vantaggi: affidare la fase di recupero ad una società specializzata permette di sfruttarne l’esperienza, la competenza e le


risorse, sicuramente più abbondanti ed efficienti rispetto a quelle in possesso del produttore. Quest’ultimo, inoltre, si libera di tutto il carico di lavoro legato al processo di recupero con ovvi benefici per le attività che continua a gestire direttamente. D’altro canto, non tutte le aziende possono permettersi o hanno bisogno di affidare la gestione del processo di  recupero ad una società di logistica inversa . Se si vanno ad analizzare gli esempi più famosi di collaborazione tra produttori ed imprese di recupero, si nota che solo alcune grandi aziende fanno effettivamente ricorso ai servizi offerti da questi soggetti: si tratta di importanti multinazionali come Dell Computers, General Motors, 3M e Sears [6] che scelgono di terziarizzare le attività di recupero perché alle prese con tassi di rientro troppo elevati, cioè con quantità di prodotti restituiti così ingenti da creare problemi all’intero processo produttivo.
In definitiva, si può affermare che questo modello di SC inversa è il migliore per quanto riguarda il rapporto costi/benefici ma non si addice a piccole aziende che recuperano poche centinaia di prodotti, che devono affrontare piccoli problemi organizzativi e che magari non possono neanche permettersi di sostenere i costi legati all’entrata nella catena di una società di recupero.
La quinta ed ultima configurazione (figura 2.8) è caratterizzata dalla presenza di un soggetto che si occupa del recupero dei prodotti in maniera indipendente dall’azienda produttrice.


Quest’ultima, generalmente, collabora alla riparazione dei componenti e fornisce le parti nuove che vanno a sostituire quelle non riprocessabili.
Tale configurazione è tipica dei processi di recupero nei quali i prodotti, una volta riprocessati, vengono restituiti al cliente d’origine. I beni oggetto del recupero, sono in prevalenza, prodotti ad elevato contenuto tecnologico e di grande valore, come impianti industriali di refrigerazione o di riscaldamento, parti di aerei o navi, macchine operatrici, grossi impianti di elaborazione: dato l’elevato Δ fra il prezzo dell’intervento di recupero e quello da sostenere per acquistare un bene completamente nuovo, il loro riprocessamento consente ai clienti di risparmiare una somma significativa. D’altro canto il recupero di tali prodotti garantisce margini di profitto interessanti per le società che entrano in questo business.


Bibliografia

 

[1] A. Grando, Organizzazione e gestione della produzione industriale, EGEA, Milano 1993.
[2] Jayashankar, Smith, Sadeh, A Multi Agent Framework for Modeling Supply Chain Dynamics, Technical Report, The Robotics Institute, Carnegie Mellon University, 1996.
[3] Lee, Billington. The Evolution of Supply Chain Management Models and Practice at Hewlett-Packard. Interfaces 25 (pp. 42-63). September-October, 1995.
[4] Lee, Billington, The Evolution of Supply Chain Management Models and Practice at Hewlett-Packard, Interfaces 25 (pp. 42-63). September-October, 1995.
[5] M. Boario, M. De Martini, E. Di Meio, G. M. Gros Pietro, Manuale di logistica, UTET, Torino 1992
[6] N. Slack, S.Chambers, R. Johnston, A. Betts,altri. Gestione delle operations e dei processi,Pearson Education, ottobre 2007.
[7] S. Cavalieri,R. Pinto, Orientare al successo la supply chain, ISEDI , ottobre 2007

 

Fonte: http://143.225.72.121/unina/didattica/Supply_Chain.pdf

Sito web da visitare: http://143.225.72.121

Autore del testo: Appunti per il corso di Logistica Industriale – prof.ri T. Murino - R. De Carlini

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