Corso di marketing industriale

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Corso di marketing industriale

INTRODUZIONE AL MARKETING DEI BENI INDUSTRIALI

Roberto Panizzolo

Questa dispensa nasce per scopi didattici come supporto all'approfondimento delle tematiche sviluppate nel corso di Marketing Industriale presso il corso di Laurea in Ingegneria Gestionale della Facoltà di Ingegneria dell'Università di Udine. Le pagine che seguono costituiscono una sintesi di parti di libri che risultano ormai fuori commercio e quindi consultabili con difficoltà dagli studenti.
Il marketing industriale: sintesi dei temi trattati

1) Lo sviluppo degli studi sul marketing business-to-business

Il marketing business-to-business ha per oggetto gli scambi di beni e ser¬vizi che intervengono tra organizzazioni. Ciò che lo contraddistingue è il fatto che gli acquirenti, che possono essere costituiti da imprese, enti pubblici, società senza fini di lucro, utilizzano i beni e servizi acquistati per produrre altri beni e servizi da trasferire a terzi. Un beneficio percepito dallo scambio, quindi, non deriva direttamente dal consumo del prodotto acquistato, come avviene per le famiglie, ma dipende dai risultati che l'organizzazione acqui¬rente potrà conseguire, grazie a quel prodotto, negli scambi che svilupperà a valle, con i suoi clienti/utenti.
Il marketing business-to-business si è sviluppato prima del marketing dei servizi. Già negli anni sessanta furono pubblicati vari testi sull'argomento (Alexander, Cross e Cunningham, 1956; Levitt, 1965; Wilson, 1966; Dening, 1968; Fisher, 1969; Lagioni, 1971); tuttavia, fino agli anni ottanta, solo un numero ristretto di autori, specialmente di estra¬zione accademica, si è occupato di questa materia. Le ragioni possono essere ricercate nel prevalente rilievo che in molti casi assumono gli aspetti tecnici, rispetto alle politiche commerciali, nel determinare la capacità competitiva delle imprese di questo settore e nella grande varietà di situazioni che si riscontrano nell'ambito dell'oggetto di indagine (si pensi, ad esempio, alle differenze che sussistono tra i problemi di marketing di un'impresa produttrice di impianti persona¬lizzati, un'impresa produttrice di componenti standardizzati e un'impresa for¬nitrice di energia), che ha portato a privilegiare analisi di settore ed a met¬tere in dubbio la stessa possibilità di sviluppare in base a schemi unitari que¬sta materia.
La letteratura sull'argomento segue due impostazioni:
a) una parte adotta i principi e gli schemi di base (marketing-mix) del para¬digma dominante e studia gli adattamenti che è necessario apportare ad essi in conseguenza della specificità degli acquirenti (organizzazioni invece che famiglie) e dei prodotti commercializzati. Segue questa impostazione la mag¬gioranza degli autori degli USA;
b) un'altra parte rivolge una radicale critica al paradigma dominante e sostiene la necessità di adottare, in questo campo, un paradigma alternativo, che ponga al centro dell'attenzione le relazioni. La scuola che ha dato maggior impulso a questo nuovo indirizzo è stata la Scuola Svedese di Marketing Industriale, i cui principali esponenti sono Hakansson, Johansson, Snehota dell'univer¬sità di Uppsala e Mattsson dell'università di Stoccolma. Collegato a questa scuola è il gruppo IMP (Industrial Marketing Purchasing), che comprende studiosi di molti Paesi. Tra i più noti possiamo ricordare Cunningham e Turn¬bull (università di Manchester), Ford (università di Bath), Easton (università di Reading), Valla, Spencer e Cova (università di Lione).
Nei rapporti business-to-business le relazioni cooperative hanno sempre avuto un notevole rilievo a causa della concentrazione dei mercati e delle esi¬genze di personalizzazione delle prestazioni, ma recentemente vari elementi hanno contribuito ad una loro più ampia diffusione:
- la ricerca di una maggiore flessibilità da parte delle imprese, per far fronte ad un ambiente sempre più dinamico e per ridurre i costi e le disfun-zioni derivanti dalle mega-strutture burocratiche adottate in passato dalle grandi corporation diversificate ed integrate verticalmente. Ciò ha portato a decentrare le attività non strategiche, ma ha anche richiesto lo sviluppo di stretti rapporti di coordinamento con i fornitori;
- i rilevanti investimenti necessari in R&S, difficili da sostenere da parte di una singola impresa. Si sono, quindi, moltiplicati gli accordi orizzontali e verticali tra imprese per mettere in comune risorse e competenze al fine di raggiungere la massa critica necessaria per raggiungere i risultati voluti;
- l'affermarsi di nuove forme di divisione del lavoro fra imprese, deter-minate dalla dinamica tecnologica e dalla ricerca di nuovi sistemi di proget-tazione e produzione basati sull'integrazione di capacità specialistiche svi-luppate da molteplici imprese;
- lo sviluppo di modelli operativi rivolti a ridurre al minimo le scorte (modelli just-in-time) e ad evitare dall'origine possibili difetti dei prodotti. Queste scelte richiedono una forte integrazione tra acquirenti e fornitori, con processi di reciproco adattamento e scambio di dettagliate informazioni sui programmi di produzione, sul sistema logistico, sulle aspettative della clientela;
- la continua ricerca di nuove modalità di creazione del valore per i clienti, che favorisce l'instaurarsi di rapporti interattivi fra produttori ed utilizzatori, sia nella fase di sviluppo dei nuovi prodotti, sia nella fase di produzione e consegna, sia nella fase post-vendita, con l'offerta di servizi che garantiscano continuità alla prestazione, un controllo sui suoi effetti e la possibilità di un suo adeguamento nel tempo.

Anche a seguito di queste tendenze, negli ultimi dieci anni l'attenzione verso lo studio delle relazioni tra imprese è notevolmente cresciuta anche negli Stati Uniti, dove, però, solo in pochi casi l'approccio relazionale è stato considerato alternativo al paradigma dominante. Piuttosto sono state cercate forme di integrazione tra le due impostazioni o è stato adottato un approc¬cio contingente, volto ad evidenziare in quali casi ognuno dei due orientamenti deve prevalere. Tra gli autori più noti che adottano questa imposta¬zione possiamo ricordare Webster, Anderson, Jackson, Spekman. Da alcuni anni è stato, inoltre, creato il Center for Relationship Marketing dell'univer¬sità di Emory, ad Atlanta, i cui principali esponenti sono Sheth e Parvatiyar, che sta dando un significativo contributo in questo campo.
In Italia il marketing business-to-business ha finora riscosso un interesse marginale. All'inizio degli anni ottanta ci sono state alcune pubblicazioni di Fiocca (1981), Marino (1981), Penati, (1981), Brondoni (1983) e Burresi (1983), a cui sono seguiti per il resto del decennio solo articoli e testi focalizzati su specifici aspetti della materia (ad esempio Fiocca, 1988, 1991; Valdani, 1984). Solo negli ultimi anni si è risvegliato un interesse per queste tematiche, testimo¬niato dalla pubblicazione dei testi di Ferrero (1992), Grandinetti (1993), Mar¬cati (1992).

2) La specificità dei mercati business-to-business

Alcuni autori, come si è detto, sostengono che tra il marketing dei beni di consumo ed il marketing business-to-business esista una base comune di cono¬scenze, principi e teorie (Hutt e Speh, 1995) ma, affermano, i mercati indu¬striali presentano delle specificità che implicano una diversa impostazione delle politiche di marketing ed un adeguamento di alcuni modelli interpre¬tativi (ad esempio, del comportamento d'acquisto).
Le peculiari connotazioni di questi mercati che, generalmente, vengono messe in risalto, riguardano:
1. Le caratteristiche della domanda aggregata. La domanda ha natura deri¬vata, ovvero dipende dalla domanda dei prodotti dell'impresa acquirente che si manifesta a valle. Occorre, pertanto, analizzare anche la dinamica dei mer¬cati dei prodotti finali e, talvolta, può essere opportuno indirizzare le politi¬che di comunicazione e promozione anche ad essi. Presenta, almeno nel breve termine, una bassa elasticità al prezzo medio praticato nel mercato, in quanto, se il costo di quel prodotto incide sui costi totali in misura modesta, l'incremento di prezzo può essere facilmente trasferito sui clienti a valle. Al contrario, può presentare una elevata elasticità al prezzo di altri beni sostitutivi del prodotto destinato ai consumatori finali. E soggetta a forti fluttuazioni, determinate dalle aspettative sull'evoluzione della congiuntura, da politiche speculative, dal costo del denaro. Ha un elevato grado di concentrazione. Gli ordini sono spesso di importo elevato e, in molti casi, la maggior parte del fatturato di un'impresa viene rea¬lizzato con pochi acquirenti.
2. Comportamenti d'acquisto dei clienti. Gli acquirenti presentano carat-teristiche di maggiore razionalità rispetto al consumatore-famiglie, anche se le decisioni sono influenzate da una pluralità di fattori, sono maggiormente in grado di autospecificare le proprie aspettative e, quindi, sono meno con-dizionabili, esprimono più elevate capacità di comparazione tra offerte diverse e di controllo sulla rispondenza della prestazione ricevuta alle specifiche con¬cordate. Il processo d'acquisto è generalmente complesso, coinvolge molteplici fun¬zioni e livelli gerarchici (viene definito “centro d'acquisto” il gruppo infor¬male dei membri che interagiscono nelle decisioni d'acquisto), segue proce¬dure formalizzate, è condizionato da fattori ambientali (politici, economici, tecnologici), organizzativi (struttura dell'impresa, composizione del centro d'acquisto), sociali ed individuali (obiettivi delle persone coinvolte nella deci¬sione, loro capacità di influenza, valutazioni di convenienza individuale e di gruppo) (Webster e Wind, 1972). Il potere contrattuale detenuto dall'acquirente di prodotti industriali è superiore a quello degli acquirenti di beni di consumo.
3. La natura dei rapporti tra fornitore ed acquirente. Il prezzo, le forme di pagamento e le modalità di consegna sono generalmente oggetto di negozia¬zione tra il fornitore e l'acquirente. La complessità delle esigenze dell'acquirente o dei prodotti forniti spesso implica lo sviluppo di forme di collaborazione con il fornitore, che richiedono adattamenti reciproci e rapporti di fiducia, per cui tendono ad instaurarsi tra i soggetti coinvolti nello scambio relazioni che perdurano nel tempo (quest'a¬spetto, che assume importanza fondamentale nell'ambito del marketing rela¬zionale, è considerato dagli autori che appartengono alla corrente di pensiero di cui stiamo trattando solo come una delle tante variabili da valutare).
Dall'evidenziazione di queste specificità, gli autori considerati fanno discendere varie conseguenze per il marketing, che investono le ricerche, le politiche operative, le strategie ed il ruolo della funzione di marketing.
Naturalmente, in ognuno di questi campi, le scelte da compiere dipen-dono molto dal settore considerato. Senza aver la pretesa di sviluppare un'analisi approfondita a proposito, si riportano alcune delle indicazioni generali maggiormente ricorrenti nella letteratura (Gross e altri, 1993).
Innanzi tutto le ricerche di marketing devono avere finalità strategiche più che tattiche e vanno estese anche ai mercati dei prodotti finali. L'analisi degli acquirenti si presenta più complessa, in quanto occorre analizzare i fattori critici di successo nei mercati in cui operano, la loro strategia, la struttura organizzativa, la catena del valore, la composizione del centro d'acquisto.
Le politiche del marketing-mix vanno impostate tenendo conto che:
- politica del prodotto: esistono maggiori necessità di personalizzazione del prodotto. Grande importanza assumono i servizi pre e post vendita. Occorre instaurare rapporti di collaborazione per rispondere in modo più adeguato alle attese del cliente;
- politica di distribuzione: più diffusa è la vendita diretta per poter offrire al cliente l'assistenza necessaria. Molto importante è l'organizzazione logistica per trasferire il prodotto dove, quando e come lo vuole l'acquirente;
- politica di comunicazione: maggiore rilievo assumono le comunicazioni mediante il personale di vendita e meno efficace risulta invece la pubblicità mediante i media. I contenuti della comunicazione sono più tecnici e rivolti al problem-solving;
- politiche di prezzo: il prezzo e le modalità di pagamento vengono contrattate con l'acquirente.
Anche la segmentazione del mercato deve tenere conto che gli acquirenti sono organizzazioni e non singoli individui. Come basi di segmentazione pos¬sono essere utilizzate (Webster, 1984; Valdani, 1995) variabili demografiche (settore di appartenenza, dimensioni, localizzazione geografica, tecnologia uti¬lizzata, prodotti venduti ecc.) o comportamentali, inerenti le caratteristiche del centro d'acquisto (composizione, localizzazione delle responsabilità di acquisto, norme decisionali ecc.) e le caratteristiche individuali dei decisori (età, cultura, ruoli, atteggiamenti ecc.).
Per quanto, infine, riguarda il ruolo della funzione di marketing, va osser¬vato (Webster, 1984) che i mutamenti nelle strategie di marketing spesso impli¬cano, nelle imprese di questo settore, l'effettuazione di rilevanti investimenti per modificare gli impianti e le tecnologie utilizzate e la loro attuazione com¬porta l'intervento anche di altre funzioni aziendali (produzione, R&S, finanza ecc.). Esiste, quindi, una più stretta interdipendenza fra strategie d'impresa e strategie di marketing, il che implica un diretto coinvolgimento della dire¬zione generale nelle decisioni di marketing ed una intensa collaborazione interfunzionale.

3) L'approccio della scuola svedese

La scuola svedese rivolge una radicale critica al paradigma dominante e sostiene che non è sufficiente adattarne le metodologie applicative per poterlo utilizzare nella gestione dei processi di scambio business-to-business. La tesi sostenuta (Hakansson, 1982) è che esso rappresenta un paradigma ideato in funzione del tipo di rapporti che si instaurano fra venditori ed acquirenti nei mercati dei beni di consumo di massa e si basa su presupposti che non si verificano nel settore dei beni industriali.
A sostegno di questa posizione vengono portate varie argomentazioni.
Un primo elemento posto in evidenza è che il paradigma dominante assume a riferimento una struttura atomistica del mercato di sbocco, con molti acqui¬renti anonimi che possono facilmente essere sostituiti uno all'altro, in quanto presentano aspettative simili o almeno aggregabili per segmenti omogenei. Ciò presuppone che i costi di transazione siano bassi o nulli e non influenzino la continuità del rapporto, che le relazioni stabili rappresentino un'eccezione, che la mobilità tra diversi partner nelle relazioni di scambio costituisca la norma.
Un secondo elemento considerato è che le transazioni sono trattate come eventi isolati, ignorando gli aspetti di relazione del comportamento acqui¬rente-venditore. Le transazioni isolate sono caratterizzate da comunicazioni molto limitate e da contenuti ristretti, in esse le relazioni personali sono minime e l'identità delle parti può essere sconosciuta, non ci sono contrattazioni pro¬lungate, non vengono sostenuti sforzi congiunti per definire la prestazione e pianificarla nel tempo, il pagamento in contanti conclude la transazione e la situazione di mutua dipendenza finisce quindi velocemente. Incentrare l'at¬tenzione sulle transazioni isolate porta, quindi, a trascurare molti fattori che invece assumono rilevante importanza nelle relazioni di scambio, quali la pro¬spettiva temporale del rapporto, i processi di negoziazione, i rapporti di fedeltà e fiducia fra le parti, le possibili forme di solidarietà e coinvolgimento reci¬proco, i rapporti di potere.
Un terzo elemento messo in risalto è la natura unidirezionale del modello di scambio assunto a riferimento. Nel paradigma del marketing concept, secondo questi critici, è adottato un meccanismo “stimolo-risposta” per spie¬gare le reazioni degli acquirenti e dei mercati alle azioni manageriali. Si pre¬suppone che solo il venditore assuma un ruolo attivo nel processo di scam¬bio, ovvero ponga in atto politiche intenzionalmente dirette a condizionare i comportamenti del partner. Il venditore è, infatti, giudicato in grado di stu¬diare il compratore ed i suoi bisogni e di esercitare varie forme di influenza per convincerlo all'acquisto. Il consumatore, invece, non essendo in grado di specificare autonomamente le sue aspettative né di partecipare attivamente alla progettazione dei prodotti, deve necessariamente operare le sue scelte tra le alternative che gli vengono prospettate dall'offerta.
Infine, si sostiene che il paradigma in questione assume a riferimento un sistema di potere unilaterale, ovvero una struttura del potere asimmetrica tra le parti che realizzano lo scambio. L'acquirente, singolarmente considerato, non dispone di forza contrattuale per la bassa incidenza dei suoi acquisti sul fatturato del venditore, quindi, non è in grado di negoziare né le caratteri-stiche del prodotto o della prestazione che intende ottenere, né le condizioni della transazione. Al contrario il venditore può intervenire in modo non neu-trale sul processo di specificazione delle aspettative degli acquirenti, in modo da renderle compatibili con i propri vincoli e obiettivi.
Queste condizioni strutturali, tipiche dei mercati dei beni di consumo di massa, non si riscontrano nei mercati business-to-business.
I rapporti fra fornitori ed acquirenti di beni industriali sono spesso carat¬terizzati, come è stato messo in luce da numerose ricerche, da una elevata sta¬bilità, spiegabile in base a tre gruppi di fattori:
a) in funzione dei costi e dei rischi connessi alla ricerca ed alla valutazione dei fornitori. L'acquirente deve disporre di adeguate informazioni sulle capa¬cità tecnologiche, amministrative e commerciali dei fornitori e sulla loro one¬stà ed affidabilità, poiché i danni derivanti da una fornitura con caratteristi¬che tecniche o di consegna non corrispondenti alle esigenze possono essere molto rilevanti. Per ridurre questi rischi, quindi, gli acquirenti tendono a rivol¬gersi a fornitori già sperimentati, evitando così anche l'attivazione di com¬plesse e costose procedure per la selezione di nuovi fornitori;
b) in considerazione dei problemi organizzativi che possono sorgere da un mutamento nei fornitori. Lo sviluppo di un rapporto continuativo con un determinato fornitore consente il consolidamento di procedure standardiz-zate per la gestione della relazione. Rivolgersi a fornitori con caratteristiche organizzative e tecnologiche differenti può comportare la necessità di modi-ficare le routine interne e le stesse competenze di cui l'azienda dispone, con costi che possono raggiungere livelli anche molto elevati;
c) in conseguenza dei problemi di adattamento dei macchinari, di altre componenti del prodotto o delle competenze da utilizzare che possono deri-vare da modifiche nei prodotti acquistati. Molte forniture presentano, infatti, caratteristiche tecnologiche strettamente collegate al tipo di processo pro-duttivo adottato dall'acquirente ed alle peculiari qualità dei prodotti finali da esso realizzati. Inoltre, un rapporto di fornitura consolidato permette lo svi-luppo di forme di collaborazione e lo scambio di informazioni tecniche spesso molto importanti per la gestione dei processi di innovazione. Queste relazioni possono richiedere molti anni di contatti per diventare operanti e si basano su rapporti personali nei quali le componenti soggettive assumono notevole rilievo: un cambiamento nei fornitori vanifica le risorse destinate a promuo¬vere queste relazioni.
A questa stabilità corrisponde una personalizzazione nei rapporti: ogni acquirente e ogni fornitore è identificato individualmente dal partner e non viene considerato solo come singola componente di un mercato. Ciascun rap¬porto è gestito in modo specifico e si sviluppa attraverso processi di adatta¬mento che prevedono azioni e reazioni, fasi di conflitto e di collaborazione. Esiste, quindi, una grande varietà di situazioni: al limite ogni relazione pre¬senta caratteristiche diverse e mutevoli nel tempo.
Anche la distribuzione del potere assume configurazioni differenziate, caratterizzate spesso da un maggiore equilibrio: frequenti sono i casi in cui esiste una reciproca dipendenza fra gli attori dello scambio, sia per il rilievo che assume l'importo delle transazioni realizzate sull'attività di ognuno di essi, sia per i legami derivanti dai processi di adattamento posti in atto per sod¬disfare le esigenze del partner.
Un altro importante aspetto messo in risalto è che, nei mercati dei beni industriali, gli acquirenti assumono in genere un ruolo attivo nei processi di scambio, ponendo in atto azioni rivolte a individuare e selezionare i possibili fornitori, a influenzare i loro comportamenti, ad ottenere un adeguamento delle prestazioni alle proprie specifiche esigenze. Gli acquirenti ed i vendi¬tori possono dunque essere considerati come parti di uno stesso processo, come due facce della stessa medaglia, ed è dalla loro interazione che dipen¬dono le condizioni degli scambi posti in atto. Entrambi sviluppano attività di ricerca sul mercato, concorrono a definire le specifiche del prodotto ed ope¬rano per influenzare e controllare il processo di scambio. Ciò significa che un'adeguata conoscenza dei mercati industriali può essere raggiunta solo con un esame parallelo dei comportamenti relazionali sia dal lato del fornitore, che da quello dell'acquirente. Particolare importanza assumono in questo con¬testo la negoziazione, i rapporti di potere, le forme di cooperazione, la gestione dei conflitti, ovvero aspetti solitamente trascurati dagli approcci tradizionali di marketing.
La constatazione dell'impossibilità di applicare il paradigma dominante nel marketing a settori diversi da quello dei beni di largo consumo ha indotto i ricercatori della Scuola Svedese di Marketing Industriale a formulare un programma di ricerca fondato su differenti presupposti (Hakansson, 1982; Turnbull e Valla, 1986; Johanson e Mattsson, 1985; Axelsson e Easton, 1992; Hakansson e Snehota, 1995).
Il marketing, secondo questa impostazione, deve, innanzi tutto, essere inteso come management delle relazioni deve cioè essere rivolto a creare, svi-luppare e mantenere un network di relazioni che assicurino la sopravvivenza e la crescita dell'impresa. In secondo luogo deve essere interattivo, ovvero basato su rapporti bilaterali e multilaterali fra le attività dell'acquirente e del fornitore finalizzati alla produzione ed al trasferimento dei beni e dei servizi, privilegiando i rapporti personali alle comunicazioni di massa. In terzo luogo deve essere gestito in un'ottica di lungo termine, poiché le relazioni richie¬dono tempi lunghi per essere costruite e mantenute.
Le strategie di marketing devono essere in primo luogo rivolte a gover-nare la posizione dell'impresa (macroposizione) nel network, intervenendo sulla natura, l'importanza e la solidità delle relazioni che essa intrattiene, sulle funzioni che essa ricopre nella divisione del lavoro fra le imprese del network, sulla percezione che i diversi attori hanno del ruolo che essa svolge nel network.
Il ruolo da attribuire alla funzione di marketing nelle imprese diviene quello di selezionare i potenziali clienti e di sviluppare con loro relazioni di lungo termine, creando le condizioni tecnologiche, organizzative e sociali affinché tra i partner si determinino rapporti interattivi di collaborazione, che con¬sentano di valorizzare ed accrescere le reciproche competenze e risorse in funzione degli obiettivi da essi perseguiti. In altri termini, il marketing deve operare affinché tra i soggetti si sviluppi un gioco non “a somma zero”, per cui ad un aumento delle risorse ottenute da un partner nello scambio corri¬sponde una riduzione delle risorse disponibili per l'altro, bensì finalizzato a sfruttare le sinergie ottenibili dall'uso congiunto delle risorse controllate.
Mutano, di conseguenza, i flussi di informazioni che il marketing deve gestire, che non sono più rivolti esclusivamente a conoscere le aspettative dell'ac¬quirente o ad orientarne le percezioni, ma concernono anche scambi di infor¬mazioni tecniche per la progettazione del prodotto e per la gestione dei pro¬cessi di adattamento organizzativo. Cambia la natura delle azioni poste in atto per la crescita ed il consolidamento degli sbocchi di mercato, tra le quali assu¬mono importanza centrale le iniziative rivolte a creare le relazioni sociali, i linguaggi e le condizioni organizzative perché la collaborazione tra i partner possa efficacemente svilupparsi.
Diventano più ampie le competenze neces¬sarie per coordinare le attività di marketing, in quanto nei rapporti interat¬tivi con i clienti risultano coinvolti non solo gli operatori del settore com¬merciale ma anche delle funzioni di produzione, ricerca, finanza ecc. Aumenta la complessità dei compiti da svolgere, poiché ogni relazione presenta sue specificità ed esistono molteplici interconnessioni che collegano le varie rela¬zioni. Perde in larga parte di significato la distinzione tra marketing di ven¬dita e marketing d'acquisto, poiché entrambe devono essere gestiti con ana¬loghi obiettivi.

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Il marketing dei beni industriali: caratteristiche e concetti di base

Nella teoria economico-aziendale il concetto di marketing ha registrato nel tempo una notevole evoluzione. Il marketing fu infatti dapprima inteso come il risultato dell'attività aziendale che orienta il flusso dei beni e dei servizi dal produttore ai consumatori od agli altri utilizzatori finali. Tale concezione, mirante precipuamente ad esplicitare i problemi di commercializzazione in senso fisico, in seguito si è modificata, ponendo maggiore enfasi sull'analisi del mercato ed inquadrando perciò l'attività di marketing in un processo attraverso il quale la struttura della domanda di dati beni è anticipata, ampliata e soddisfatta mediante la concezione, la promozione, lo scambio e la distribuzione fisica di prodotti e servizi.
In questa prospettiva, da qualche tempo il dibattito relativo al marketing sta conoscendo un momento particolarmente fecondo: paradigmi ormai consolidati vengono rimessi in discussione, e concetti e schemi di lettura tradizionali vengono parzialmente rivisti ed arricchiti. All'origine di questo ripensamento vi è la rinnovata attenzione prestata ai beni industriali, che possono costituire un laboratorio particolarmente interessante per individuare e mettere a fuoco alcune tematiche di grande rilevanza, ed in particolare quelle relative al rapporto che si instaura tra fornitore e cliente. Infatti, gli schemi concettuali esistenti non permettono di cogliere con sufficiente precisione le specificità di questi contesti, perché frutto di ricerche il cui termine di riferimento erano i beni di consumo. Solo abbastanza recentemente, si è applicato ai beni industriali un adeguato approccio scientifico, da cui è emerso un corpo teorico articolato, che ne coglie e sottolinea gli elementi idiosincratici, mediante lo sviluppo di nuovi strumenti e concetti.
Nel caso dei beni industriali, la riflessione si è incentrata principalmente sul rapporto che si stabilisce tra fornitore e cliente, come elemento distintivo degli scambi tra imprese. Questa relazione si caratterizza per l'importanza del legame che si crea tra gli interlocutori, per l'esistenza di un rapporto di lungo periodo, per un relativo equilibrio tra le parti, per una dipendenza reciproca: in una parola, per l'instaurarsi di una sorta di "bipolarità". In altre parole, il coinvolgimento del cliente determina il superamento dell'ottica riduttiva, tipica dei beni di consumo, in cui tutta l'attenzione è rivolta al fornitore, e comporta anche l'instaurazione di un certo equilibrio tra le parti. La dipendenza, molto rigida e monodirezionale, che la relazione tra fornitore e cliente finale presenta nei mercati di consumo (in particolare, di largo consumo), lascia il posto ad una dipendenza reciproca; il puro rapporto di mercato, dai molti aspetti conflittuali, scompare e viene sostituito da un rapporto ad elevato contenuto di collaborazione e dai toni molto più ricchi e variegati, che tende ad assumere caratteristiche di continuità e stabilità, e quindi un orizzonte di lungo periodo. Fornitore e cliente sono entrambi attivi nel processo di acquisto e il secondo gioca a volte un ruolo di rilevanza strategica per il primo. Le attività dei clienti sono funzionali alle strategie e alle attività del fornitore, infatti, non soltanto in termini di vendite, ma anche nel fornire risorse di vario genere - reputazione, know-how, informazioni competitive e di mercato, accesso ad un mercato strategico o ad uno specifico network di imprese.
Ai clienti non si chiede soltanto di comprare ma anche di fungere da "finestra tecnologica", di assicurare l'intelligente su mercato, di aiutare nella messa a punto di nuovi prodotti, e, in definitiva, di essere parte attiva nel rapporto e di competere con successo nel loro settore per sviluppare la capacità competitiva congiunta. I clienti giocano pertanto un ruolo di grande rilievo nelle strategie e politiche di marketing del loro fornitore, come "mercato di sbocco" e al tempo stesso come "serbatoio di risorse".
Anche da questo punto di vista il modello di marketing tradizionale - in cui vi è totale dipendenza degli acquirenti dal fornitore e i primi si limitano a comprare i prodotti del secondo - mal si adatta ai beni industriali, perché non permette di mettere in luce questo ruolo attivo dei clienti.
In questa situazione, particolare importanza riveste "l'atmosfera" della relazione, definita da variabili quali i rapporti di forza tra imprese (potere e dipendenza), la collaborazione o il conflitto, le aspettative che si creano tra le parti, la fiducia che ciascuna di esse ripone nell'altra, la percezione della vicinanza (o lontananza) rispettiva.

Le considerazioni sin qui svolte consentono ora di approfondire, anche se in via preliminare, i caratteristici elementi distintivi del marketing nelle aziende produttrici di beni industriali.
In primo luogo, pare possibile affermare che nell'ambito dei beni industriali, l'attività di marketing tende spesso a superare la dimensione funzionale e ad identificare piuttosto una più vasta responsabilità di gestione direzionale, a motivo delle rilevanti implicazioni che specifiche decisioni possono comportare sulla gestione aziendale nel suo complesso. Questa logica di stretta interazione tra differenti funzioni aziendali differisce sensibilmente da quanto accade di norma in altri settori di attività (e segnatamente nei beni di consumo), dove le principali decisioni inerenti alla clientela, al prodotto ed alla politica commerciale possono essere demandate, con ampia discrezionalità, ai responsabili di marketing. Nelle imprese produttrici di beni industriali, invece, i responsabili di diverse funzioni devono spesso conoscere in modo diretto ed approfondito le caratteristiche e le esigenze degli acquirenti e degli utilizzatori, ed altresì collaborare al processo di selezione della clientela potenziale ed alla progettazione di appropriata offerte di beni o servizi. In questa prospettiva, l'efficacia della attività di marketing aderisce a varie funzioni e può manifestare considerevoli problemi di integrazione e di coordinamento, a motivo della partecipazione attiva richiesta a specialisti di aree difformi.
Un secondo carattere distintivo del marketing industriale è legato alla complessità del concetto di prodotto.
Nella generalità dei casi, il bene industriale non costituisce infatti di per sé un'entità fisica con una destinazione d'uso sostanzialmente univoca ed oggettivamente preidentificata, bensì pare più opportunamente definibile come un complesso di relazioni tecniche, economiche e talora perfino personali che vengono ad instaurarsi tra l'azienda offerente e le organizzazioni acquirenti. Ai beni industriali sono in effetti connaturati molteplici elementi che si integrano con l'utilità strettamente funzionale richiesta ai singoli prodotti, e che in prima approssimazione sono identificabili con l'assistenza tecnica, la garanzia di forniture continuative, i rapporti interaziendali e interpersonali a livello tecnico e commerciale, la notorietà e/o l'immagine del fornitore. L'immagine e la notorietà dell'azienda fornitrice talvolta assumono un ruolo rilevante nelle decisioni di acquisto dei beni industriali. Ciò si verifica, in particolare, quando dati beni presentino e mantengano idonei elementi di identificazione, e la loro presenza costituisca per la clientela un importante fattore di differenziazione dell'offerta.
In questo più ampio significato di sistema prodotto/servizio, un dato prodotto industriale può quindi presentare connotazioni e valenze anche assai difformi per differenti utilizzatori con considerevoli implicazioni per la selezione dei segmenti di domanda e per le strategie di marketing da adottare; problematiche per la cui soluzione risultano pertanto necessari: una approfondita conoscenza delle tipologie di clientela e dei relativi fabbisogni, nonché della struttura competitiva e delle prevalenti condizioni di offerta; un'informazione continua sull'evoluzione della domanda cui si rivolge il prodotto trasformato dagli acquirenti; ed infine un'accurata valutazione degli elementi critici dell'offerta aziendale, soprattutto con riferimento alla struttura dei costi ed al rapporto costo/prezzo/livello qualitativo.
Un ulteriore carattere distintivo del marketing industriale è individuabile nell'elevato grado di interdipendenza che tende ad instaurarsi tra venditore ed acquirente per i numerosi servizi integrativi attivabili precedentemente e successivamente alla negoziazione di singoli acquisti. In tal senso, i rapporti di interdipendenza tra domanda e offerta possono manifestarsi per varie cause, tra cui: la disponibilità di forniture continuative, puntuali e di qualità costante; l'esistenza di servizi di manutenzione e di riparazione affidabili e in grado di assicurare nei tempi dovuti parti e pezzi di ricambio; la concessione di credito in varie forme; ecc.
Tra gli aspetti distintivi dei marketing industriale giova inoltre rilevare i fattori di tipicità e di complessità che caratterizzano il processo d'acquisto. Tali fattori, come sarà approfondito in seguito, sono in concreto riconducibili a molteplici motivi, tra cui pare però già opportuno segnalare: l'elevato numero di persone che, all'interno di una certa organizzazione, possono partecipare attivamente e con definite responsabilità al processo decisionale di acquisto; i vantaggi ed i condizionamenti derivanti dal grado di formalizzazione organizzativa delle aziende acquirenti; il numero di norma limitato dei clienti effettivi, con i quali le trattative di acquisto avvengono ovviamente senza che vi sia un preventivo trasferimento dei beni nello spazio; i numerosi elementi influenti sulla valutazione economica e tecnica dei prodotti e dei servizi; la netta prevalenza di motivazioni d'acquisto razionali; ed infine, il considerevole valore monetario che spesso contraddistingue le singole transazioni, riflettendosi anche sulla durata delle contrattazioni.
Un ulteriore aspetto da ricordare è relativo al fatto che per le imprese che operano sul mercato industriale è necessario superare il tradizionale prevalente orientamento verso la produzione, derivante da una certa predominanza dei fatti tecnici, per tendere all'adozione di un più avanzato “marketing concept”. È sul cliente industriale che occorre preliminarmente incentrare l'attenzione, allo scopo di metterne in evidenza i caratteri originali ed i corrispettivi comportamenti e, pertanto, recepire e classificare gli elementi analitici indispensabili per la progettazione e l'attuazione di quella politica aziendale orientata sul mercato, piuttosto che sul prodotto, di cui si rilevava poc'anzi l'ancor relativo ritardo e tuttora scarso convincimento. Con altre parole occorre collocarsi nella prospettiva della risposta che va data ad una domanda del tipo: chi è l'acquirente industriale? E contestualmente indagare sui diversi aspetti della realtà che lo contraddistingue, ovvero su che cosa acquista e perché; quali sono, quindi, gli obiettivi che intende perseguire; nonché su come acquista, vale a dire in base a quali criteri decisionali e attraverso quali procedure e modalità.
L'acquirente dei beni di utilizzo industriale si differenzia dal consumatore, anzitutto nel senso che esso corrisponde ad una organizzazione formalizzata che si pone obiettivi non di consumo, bensì di ulteriore produzione e cioè a loro volta orientati al mercato, una organizzazione le cui manifestazioni decisionali sono il frutto del concorso di una molteplicità di soggetti professionalmente specializzati. I beni di produzione, pertanto, non solo si presentano con caratteristiche merceologiche peculiari rispetto a quelle dei beni finali, ma debbono altresì conformarsi a prestazioni funzionali precise e vincolanti nell'aspetto economico-tecnico, per cui anche sotto il profilo della complessità e della differenziazione del concetto medesimo di bene industriale, nonché della sua relazione con il bisogno sottostante, si ha una situazione del tutto speciale e comunque tale da suffragare la “distintività” di cui si parla.
I clienti industriali, inoltre, sono relativamente poco numerosi a confronto dei consumatori finali e quelli cui corrisponde l'aliquota prevalente della domanda, presentano una consistenza ancor più ridotta. Da questa circostanza discende che l'acquirente viene a disporre di un cospicuo potere contrattuale che lo pone nei confronti del fornitore in una posizione ancora una volta peculiare rispetto al consumatore e che comporta l'instaurarsi di una interrelazione particolarmente accentuata tra le parti, per il tramite di un rapporto biunivoco a carattere immediato e diretto, e cioè su base tipicamente personale, che non trova analogo riscontro sul mercato finale.
I comportamenti di acquisto industriale, pertanto, non soltanto sono basati su motivazioni di carattere organizzativo e, quindi, tendenzialmente razionali in quanto implicite nella destinazione funzionale dei beni, ma vengono altresì messi in atto da soggetti dotati di una specializzazione professionale, ovvero di una capacità di iniziativa commerciale non inferiore a quella dei fornitori. L'acquirente, perciò, non più essere considerato alla stregua di un interlocutore in un certo modo passivo quale il consumatore finale, bensì deve essere visto come un soggetto "attivo" del mercato e cioè portatore di un “buying concept” che lo pone sullo stesso piano del venditore. Per cui le interrelazioni tipiche del mercato industriale assumono una connotazione di “marketing” assai più pronunciata e trasparente rispetto a quelle proprie del mercato dei beni destinati alle famiglie.

Il mercato dei beni industriali

Il mercato, pur nella unitarietà del suo significato economico, si presenta strutturato sulla base di due grandi comparti riguardanti l'uno i beni industriali e l'altro i beni di consumo, comparti, come detto, che si caratterizzano per la particolare natura economico-tecnica del loro oggetto, per la speciale fisionomia dei rispettivi soggetti, come altresì per le diverse modalità di organizzazione e di funzionamento.
Come è noto, in una rappresentazione semplificata del circuito economico, si osserva come tra i grandi aggregati delle unità di produzione da un lato e delle unità di consumo dall'altro si stabiliscano due flussi contrapposti: reale il primo e monetario il secondo. Quando le merci fluiscono dalle imprese verso le famiglie (in cambio di mezzi di pagamento) il tramite di questi flussi è rappresentato dal mercato dei beni di consumo, mercato i cui fenomeni costituiscono l'oggetto del marketing dei beni di consumo o marketing del consumatore.
I beni di consumo che vengono immessi sul mercato finale e posti a disposizione delle famiglie rappresentano il risultato di una vicenda produttiva, più o meno articolata e complessa, che si sviluppa a monte, nell'ambito dell'aggregato delle unità di produzione, ed alla quale partecipano imprese di vario tipo, situate in corrispondenza dei differenti stadi del processo economico-tecnico. Ad opera di tali imprese i beni subiscono una serie di trasformazioni consistenti in una successione di modificazioni materiali, spaziali e temporali, realizzando correlativi accrescimenti di utilità, sino a pervenire alla fase dell'ultima trasformazione cui corrisponde l'acquisizione dell'attitudine al consumo diretto da parte delle famiglie. Su questo mercato, più esattamente, operano le imprese che provvedono a tutta la serie di trasformazioni economico-tecniche necessarie a rendere i beni suscettibili di consumo e, inoltre, le imprese che predispongono i mezzi tecnici, gli strumenti produttivi utilizzati dalle predette unità trasformatrici.
I beni di consumo, così come si configurano al termine del rispettivo processo di produzione, risultano pertanto derivare dai beni intermedi (materiali e componenti vari) e da quelli strumentali (impianti e attrezzature); tale processo si sostanzia, infatti, in una sequenza di trasformazioni economico-tecniche cui hanno partecipato sia gli uni che gli altri.
Si può quindi parlare di queste due categorie di beni come dei beni industriali in generale e cioè destinati, più o meno direttamente, a dar origine ai prodotti di consumo finale e perciò situati in una posizione a monte rispetto a questi ultimi. Sono anche denominati, come già visto, beni o mezzi di produzione, proprio per mettere in evidenza la loro specifica collocazione e funzione, e costituiscono oggetto di scambio sul mercato industriale, dando origine a flussi reali e monetari, oltre ché informativi, tra le aziende: vengono cioè acquistati ed utilizzati non dai consumatori finali, bensì da altre unità produttive.
Nel mercato dei beni di produzione, pertanto, il compratore non è più rappresentato dalla tipica unità personale, o famigliare, di consumo, ma invece da un'impresa, ovvero un ente della stessa natura economica dell'azienda fornitrice. Il suo punto di riferimento, insomma, viene ad essere costituito dalla specifica figura del cliente industriale, di cui si sono già stati prospettati i principali caratteri distintivi che, comunque, saranno oggetto di ulteriore approfondimento.
Dopo queste osservazioni, lo schema del circuito economico può essere integrato con l'evidenziazione delle sequenze delle trasformazioni cui i beni intermedi vengono sottoposti, onde pervenire all'ottenimento dei prodotti di consumo veri e propri. Ne emerge la configurazione di un modello di mercato che consente di mettere in evidenza il rapporto di reciproca integrazione tra i suoi due fondamentali comparti. Il processo di produzione del bene finale viene ad essere così considerato nella sua globalità e cioè come una successione di passaggi di beni intermedi tra le imprese poste ai vari stadi del ciclo, successione in corrispondenza della quale si manifesta, appunto, la nozione di mercato industriale e, subito dopo, quella di mercato finale che del precedente, tuttavia, rappresenta non solo l'effetto, ma anche la causa. Da notare la posizione delle imprese preposte all'ultima trasformazione, con la quale si ottengono i beni di consumo, trasformazione spesso consistente in una serie di operazioni di assemblaggio di parti e componenti a loro volta provenienti da altrettanti, concomitanti processi manifatturieri. Tali imprese, infatti, si collocano a cavallo dei due mercati - come acquirenti ed utilizzatrici di beni intermedi e strumentali si rivolgono al mercato industriale, mentre come produttrici di beni di consumo trovano sbocco, invece, sul mercato finale. Entrano in rapporto con fornitori industriali da una parte e con clienti consumatori dall'altra.
Per tutte le restanti unità di produzione, al contrario, siano esse trasformatrici in senso proprio, oppure dedite alla fabbricazione di beni strumentali, i rapporti di scambio, e cioè gli acquisti e le vendite, si sviluppano esclusivamente nell'ambito del rispettivo aggregato, ovvero soltanto sul mercato industriale: i relativi fornitori e clienti, perciò, sono sempre rappresentati da altre imprese. Il che non esclude che alcune di queste aziende operino contemporaneamente su entrambi i mercati. Può essere il caso, ad esempio, delle imprese che fabbricano sia autovetture per uso privato che veicoli industriali o di quelle che oltre alle normali confezioni producono indumenti da lavoro o uniformi militari, e così via.

Caratteristiche distintive del mercato industriale

La concentrazione
A differenza di quello finale, il mercato dei beni industriali si presenta dal lato della domanda e cioè nell'aspetto della consistenza numerica degli acquirenti, della loro importanza relativa, della rispettiva distribuzione territoriale, ecc. con un notevole grado di concentrazione.
Il primo aspetto della concentrazione riguarda il numero degli acquirenti in senso assoluto: nel senso che mentre sul mercato dei beni di consumo i clienti, sia effettivi che potenziali, sono molto numerosi - normalmente si contano a centinaia di migliaia, anzi a milioni - su quello industriale si è invece in presenza di un insieme assai più limitato di compratori, anche se niente affatto trascurabile. A tal proposito è illuminate la lettura delle tabelle ISTAT relative alla consistenza delle unità locali e dei relativi addetti in Italia redatte in occasione dei periodici censimenti.
I clienti industriali, inoltre, non soltanto sono pochi, almeno a paragone dei consumatori finali, ma di essi quelli di maggiore importanza ovvero che partecipano con le aliquote più consistenti alla produzione totale rispettiva e, quindi, ai corrispondenti fabbisogni di fattori produttivi, risultano in numero ancora inferiore. Il concetto di concentrazione numerica in assoluto deve essere integrato, cioè, con quello di concentrazione in senso relativo. Con altre parole, la clientela va considerata non soltanto come un determinato universo quantitativo, ma altresì in termini di maggiore o minore importanza economica unitaria, ovvero di capacità di acquisto.
Si constata, allora, che anche sotto questo profilo il mercato industriale presenta notevoli differenze rispetto a quello finale o, comunque, talune sue caratteristiche denotano una maggiore accentuazione: in particolare la quota proporzionalmente più elevata della domanda proviene da un numero relativamente limitato di unità maggiori. Questo per non parlare dei casi, nella pratica non irrilevanti, che si verificano allorquando certi tipi di beni industriali vengono acquistati da un numero limitatissimo di clienti o, al limite, da uno soltanto che, evidentemente, verrà a trovarsi in una posizione di monopsonio.
Il mercato dei beni di produzione si presenta, inoltre, concentrato anche sotto l'aspetto geografico; i clienti industriali, infatti, non risultano uniformemente distribuiti sul territorio considerato, nella fattispecie quello nazionale, ma tendono invece a raggrupparsi in aree, regioni, province e città specifiche. Le caratteristiche dell'apparato industriale italiano, sotto questo profilo sono ben note e non è certamente il caso di soffermarsi a descriverle, né tanto meno ad esaminarne le origini storiche.
Si vuole soltanto affermare che è molto frequente per le imprese la tendenza alla specializzazione produttiva, ossia alla scelta di una “nicchia” nella quale crearsi uno specifico vantaggio competitivo e che permetta di sviluppare rapporti stabili con un limitato gruppo di clienti per i quali creare prodotti strategici “su misura”. Tale fenomeno di specializzazione produttiva può portare alla formazione di concentrazioni territoriali di imprese specializzate in un certo prodotto o in un certo processo o fase di lavorazione; concentrazioni territoriali che, oltre a fornire una notevole capacità produttiva per quel determinato prodotto o lavorazione, si caratterizzano per il massiccio consumo delle medesime forniture.
La stessa situazione si delinea ormai anche a livello internazionale, facilitata dalla riduzione delle barriere doganali e protezionistiche, per cui si trovano vaste aree geografiche, anche molto lontane dai principali mercati di sbocco, in cui particolari condizioni (mano d'opera a basso costo, diffusione di certe tecnologie) favoriscono vasti insediamenti produttivi caratterizzati dalla monocultura aziendale.

La nozione di domanda derivata del mercato industriale
Si è accennato in precedenza che i beni industriali vengono utilizzati per ottenere prodotti e servizi che, in definitiva, altro non sono, tenendo conto dei vari passaggi diretti ed indiretti di trasformazione, che quelli destinati ai consumatori finali. In altre parole, il mercato dei beni industriali risulta strettamente interrelato a quello dei beni di consumo, sulla base di un rapporto di reciproca dipendenza, attraverso il meccanismo della domanda derivata.
E' evidente che questo rapporto di derivazione risulterà immediato e diretto, e perciò trasparente, quando si considerino due stadi contigui del processo, mentre non altrettanto lineare e consequenziale esso apparirà allorquando si osservino, invece, le fasi poste all'estremità della catena. In verità, il nesso che lega la domanda dei beni di produzione a quella dei beni di consumo è molto articolato e complesso e costituisce uno dei principali temi di ricerca del marketing industriale, in quanto rappresenta lo sfondo sul quale prendono corpo i presupposti economico-tecnici di acquisto da parte della clientela. I beni industriali, come si è detto, trovano impiego in molteplici attività produttive e sono pertanto correlati ad una quantità e varietà di settori e tipologie di destinazione. I flussi relativi, cioè, danno luogo ad una ramificazione fittissima, per cui ciascuno dei rispettivi settori di produzione risulta caratterizzato, in misura maggiore o minore, più o meno direttamente, da un diffuso rapporto di derivazione rispetto ai diversi altri comparti del sistema delle imprese.
Il concetto di domanda derivata, spiega altresì le ragioni per cui i produttori di determinate materie prime o materiali semilavorati possono trovare opportuna un'azione promozionale diretta ai consumatori finali, pur non rappresentando questi i loro effettivi clienti. Evidentemente, lo scopo di tali iniziative è di promuovere i consumi dei prodotti finali che incorporano i materiali in questione e, quindi, di provocare attraverso i meccanismi della derivazione, una maggiore domanda da parte delle aziende clienti.
La natura derivata della domanda dei beni industriali spiega altresì le altre caratteristiche di tale domanda. In primo luogo, i fenomeni di derivazione hanno sui beni industriali un effetto ritardato nel tempo, nel senso che le ripercussioni degli aumenti o delle diminuzioni di domanda finale si manifestano successivamente, a causa delle scorte esistenti nelle varie fasi del processo di produzione. Secondariamente, proprio la presenza di queste scorte comporta le accentuate e note oscillazioni che la domanda subisce nel ritrasmettersi, in senso sia positivo che negativo, da un livello all'altro del processo di produzione. Le dipendenze strutturali dei vari comparti economici sono alla base di un “effetto moltiplicatore” o quanto meno “amplificatore” che enfatizza la sua portata mano a mano che risale verso l'origine del processo produttivo; tale effetto inoltre è tanto più elevato quanto più numerosi sono i passaggi di materiali, semilavorati e prodotti nelle varie fasi del processo produttivo e distributivo e quanto maggiori sono le scorte che si detengono in ogni passaggio. Questo fenomeno, noto come effetto Forrester, presenta una dinamica reale che dipende da un insieme di variabili di non facile quantificazione. Inoltre, una diminuzione o un aumento generalizzati, anche se modesti, della media dei consumi causa una diminuzione o un aumento simultanei in tutta la componentistica, nei semilavorati e nelle materie prime tali da avere notevoli conseguenze, sia positive che negative, sulle aziende coinvolte. Come conseguenza di aumenti anche modesti nei consumi finali si assiste ad una situazione estremamente soddisfacente nei settori industriali a monte, ma una stagnazione o una contrazione nei consumi finali hanno come conseguenza contrazioni ben maggiori nei prodotti industriali e negli investimenti che vanno incontro rapidamente a vere e proprie situazioni di crisi.
Sempre dalla natura derivata della domanda industriale, discende la circostanza che il numero ed il valore delle transazioni che caratterizzano il relativo mercato risultano superiori a quelle inerenti al consumo finale. Nel senso che l'acquisto di un bene di consumo dà luogo ad un'unica transazione, la quale, però, presuppone a sua volta tutta una serie di trasferimenti tra le varie imprese che hanno partecipato al processo di produzione del bene in oggetto.
Accanto alla caratteristica delle ampie fluttuazioni, la domanda di beni industriali presenta anche aspetti di relativa inelasticità nei confronti del prezzo.
Si verifica cioè il fenomeno per cui, a fronte di variazioni di prezzo di un materiale o di un componente, la domanda di tale bene non reagisce con la medesima intensità e in direzione contraria. Se il prezzo di un certo materiale è in ribasso, gli utilizzatori non tendono ad acquistarne quantità maggiori ma anzi, possono tendere a ridurre gli acquisti in attesa di ulteriori ribassi. Al contrario, una tendenza dei prezzi al rialzo può provocare effetti contrari a quelli previsti nel senso dell'effettuazione di acquisti per quantità superiori al normale, nell'attesa di ulteriori rialzi che, in realtà, potranno verificarsi, magari solo come effetto di questa rincorsa.
E' evidente che l'elasticità della domanda dei beni industriali deve essere posta in correlazione a vari fattori, primo fra questi il relativo grado di contenuto tecnologico. Nel senso che un bene ad elevata intensità e specializzazione tecnologica, ovvero con prestazioni critiche ai fini della funzionalità del processo produttivo, può risultare relativamente meno sensibile alle variazioni di prezzo rispetto ad un fattore non altrettanto caratterizzato sotto questo profilo.
Va poi considerato il grado di sostituibilità o di surrogabilità del bene stesso; per cui il rialzo nel prezzo di un certo semilavorato o componente è suscettibile di provocare non tanto una riduzione della relativa domanda, bensì la surrogazione con semilavorati o componenti i cui materiali costitutivi risultino più economici: un metallo con un altro metallo o con il legno o la plastica, e viceversa.
Un cenno meritano anche i fattori speculativi che possono appunto innestarsi sulla domanda dei beni industriali soprattutto nel caso delle materie prime che rivestano una importanza “strategica”, ad esempio certi metalli speciali, o che possano fungere, anche parzialmente, da “beni rifugio”, fattori che contribuiscono perciò alla spiegazione delle dinamiche di mercato, soprattutto nel corso di particolari fasi congiunturali.
E' opportuno ad ogni modo rilevare che le attuali condizioni di organizzazione del sistema produttivo ispirate ai principi del just in time della produzione snella che pongono grande attenzione alla minimizzazione delle scorte portano in secondo piano questi elementi speculativi legati all'andamento dei prezzi. Le imprese acquistano le forniture nella misura adatta a garantirsi un flusso produttivo continuo e ininterrotto; la detenzione delle scorte è strettamente legata all'esigenza di non interrompere la produzione e non è influenzabile da fenomeni legati all'andamento dei prezzi che rischierebbero di creare problemi nei flussi finanziari e logistici o, peggio, di interrompere il ciclo produttivo. I clienti si garantiscono la stabilità dei prezzi con la stipula di contratti a lungo termine con i propri fornitori o con relazioni di comakership che possono prevedere il diritto, da parte del cliente, al controllo e alla verifica dei costi di produzione del fornitore, piuttosto che affidarsi a speculazioni improvvise: questo comportamento contribuisce a rendere la domanda meno sensibile alle variazioni speculative ed ingiustificato di prezzo.

La segmentazione della domanda

La pianificazione della strategia di marketing individua un fondamentale elemento decisionale nella scelta del mercato o dei mercati in cui l'azienda intende operare, concretizzandosi tale decisione nella definizione della tipologia di clientela e delle dimensioni concorrenziali cui una data impresa intende riferire una certa offerta. In base a siffatte decisioni un'azienda può infatti procedere a sviluppare le proprie capacità e risorse, nonché a costruire un sistema di relazioni con la clientela e con la concorrenza che rappresentano, a un tempo, il principale punto di forza e di impegno, riguardando la natura e il livello dell'offerta, le potenzialità di sviluppo del prodotto ed il costante adeguamento dell'offerta alle attese della domanda.
Nell'ottica suesposta i prodotti risultano progettati e realizzati per indirizzarsi a definiti mercati, e correlatamente le strategie di marketing devono essere impostate e sviluppate in rapporto alle condizioni attuali e prospettiche della domanda, anziché focalizzarsi su elementi di qualificazione dell'offerta che possono condurre a considerare il prodotto come un elemento dato della strategia.
Nella ricerca di opportune metodologie di selezione dei mercati-obiettivo occorre anzitutto osservare che i mercati possono presentare diversi gradi di eterogeneità, configurandosi da un lato come omogenei quelli che risultano composti da acquirenti con accentuate similitudini per quanto riguarda esigenze, requisiti del prodotto e risposta ai parametri d'azione di marketing; e definendosi all'opposto eterogenei i mercati formati da gruppi, ovvero da segmenti, di acquirenti che presentano differenti bisogni e comportamenti d'acquisto e che quindi ricercano prodotti in varia misura difformi per certi caratteri intrinseci o qualitativi.
La presenza di mercati eterogenei e la possibilità che fasce di clienti mostrino diverse sensibilità ai vari strumenti di marketing consente di individuare i possibili mercati-obiettivo avvalendosi della segmentazione della domanda, che può definirsi come il processo mediante il quale si identificano gruppi di acquirenti con differenti esigenze di acquisto e in grado di esprimere le massime somiglianze di risposta agli strumenti di marketing all'interno dei singoli gruppi, nonché le massime difformità tra i gruppi.
Dall'analisi continuativa delle esigenze dei diversi segmenti di mercato un'impresa può trarre considerevoli vantaggi ma deve contemporaneamente sostenere specifici oneri e limitazioni (si rimanda per approfondimenti ai testi base di marketing).
L'esame dei vantaggi e dei limiti derivanti dall'adozione di definite procedure di segmentazione richiede in ogni caso un'analisi delle reali possibilità di suddivisione della domanda in sottoinsiemi omogenei. In proposito, le condizioni che devono manifestarsi riguardano:
a) l'identificazione e la classificazione degli acquirenti attuali e/o potenziali in gruppi, ovvero in segmenti, reciprocamente escludentisi e in grado di reagire con rispondenze sufficientemente simili alle variabili del marketing-mix;
b) l'individuazione di certi caratteri dei segmenti, utilizzabili come basi delle azioni di marketing da intraprendere nei confronti dei singoli gruppi.

Come risulta agevole constatare, la prima delle citate condizioni concerne la ricerca delle opportunità di mercato e la possibilità di stabilire delle priorità, mentre la seconda si riferisce specificatamente all'ottimizzazione delle risorse disponibili.
Per entrambe le condizioni, inoltre, devono sussistere i seguenti requisiti onde poter concretamente effettuare una segmentazione:
- la misurabilità, cioè il grado di quantificazione delle informazioni circa particolari caratteri degli acquirenti. Un processo di segmentazione fondato su parametri non tradizionali richiede pertanto l'allestimento di peculiari metodologie di ricerca e la possibilità di effettuare le necessarie verifiche quantitative dei fenomeni osservati, con aggravi di costo che talora suggeriscono l'impiego di approcci e basi con connotazioni più generiche o meno innovativi;
- la consistenza. La dimensione dei vari segmenti può infatti risultare notevolmente dissimile e determinante per le scelte aziendali. Nei mercati industriali talvolta accade che singoli acquirenti presentino una rilevanza ed esigenze tali da giustificare la costituzione di specifici segmenti, ma in generale la definizione di una fascia di domanda assume reale significato allorché clienti con caratteri affini possano essere raggruppati in un numero sufficientemente consistente;
- l'accessibilità, ovvero la possibilità per una data azienda di concentrare effettivamente certe azioni su determinati gruppi di clientela. Nei processi di segmentazione dei mercati industriali l'accessibilità non rappresenta usualmente un fattore critico (a differenza dei beni di consumo), a motivo della relativamente modesta numerosità dei potenziali acquirenti, delle più agevoli condizioni di identificazione e di contatto e del limitato impiego di strumenti di comunicazione non personale.
Diverse sono le tecniche di segmentazione che possono applicarsi al mercato industriale allo scopo di individuare gruppi omogenei di clienti che rispondano in modo uniforme a determinati programmi di marketing. Alcuni criteri di segmentazione, di più tradizionale uso, si possono definire “oggettivi” in quanto basati su elementi di univoca individuazione; altri criteri tengono in maggiore considerazione i benefici attesi dall'acquisto o il ruolo ed il comportamento del cliente e presentano quindi maggiori elementi di innovazione rispetto ai primi, consentendo al marketing di individuare ed esplicitare nuove opportunità. Questi ultimi criteri si possono definire “comportamentali”.

Fra i primi, si trovano le classiche tecniche di segmentazione dei mercati su base merceologica, dimensionale e geografica.
Uno dei criteri basilari per la classificazione del mercato dei beni di produzione è evidentemente quello di carattere merceologico e cioè basato sulla ripartizione delle attività produttive in rami, classi e sottoclassi. La relativa disaggregazione cui si attengono gli enti statistici ufficiali, nel nostro paese l'Istituto Centrale di Statistica, offre uno schema molto articolato che costituisce il punto di riferimento indispensabile per qualsiasi approfondimento a riguardo. Va altresì ricordata la possibilità di ricorrere a tipi di repertori come il “Kompass Italia” che abbraccia l'intera casistica della produzione industriale attraverso classificazioni a carattere sistematico e analitico. Ciò che maggiormente interessa, soprattutto a livello aziendale, ai fini dell'analisi quali-quantitativa del mercato industriale è la determinazione di come i vari tipi di beni industriali si distribuiscono tra le diverse classi e sottoclassi di impiego, ovvero tra le differenti tipologie di utilizzazione merceologica, appunto individuate in base agli schemi di classificazione in precedenza accennati.
La classificazione della clientela industriale sulla base del criterio merceologico prima accennato, trova una opportuna integrazione con quello costituito dalla dimensione dell'acquirente. Questa tecnica consiste nella classificazione delle imprese sulla base di determinati scaglioni di fatturato che possono variare in funzione del settore in quanto, come è ovvio, la nozione di “impresa grande, media o piccola” è diversa a seconda dell'attività produttiva svolta.
La classificazione dimensionale può fornire utili indicazioni sulla concentrazione aziendale del settore, sul potere contrattuale e sulla capacità di acquisto delle aziende clienti, elemento che può far variare significativamente il comportamento dell'acquirente e le politiche di marketing del fornitore. Alla classificazione dimensionale del settore è necessario inoltre affiancare una classificazione di importanza relativa degli acquisti della propria clientela, sulla base della cifra d'affari realizzata, al fine di stabilire se i clienti acquistano in misura adeguata al loro potenziale ed individuare situazioni in cui l'intensità dei contatti potrebbe essere incrementata.
Attraverso tale semplice indagine, è possibile individuare la posizione relativa di ogni singolo cliente nel settore, suddividendo ad esempio i clienti in tre gruppi decrescenti di importanza: i clienti del gruppo A rappresentano le imprese di maggiore importanza dimensionale in assoluto nel settore, a cui seguono i clienti del gruppo B, di fascia media e quelli del gruppo C, cioè le imprese con dimensioni inferiori.
Successivamente, si confrontano le dimensioni dei clienti con il fatturato che essi realizzano presso l'impresa fornitrice, cercando la risposta ad alcuni quesiti, semplici ma di fondamentale importanza: i clienti che appartengono al gruppo A (grandi imprese del settore) ed hanno quindi una elevata potenzialitá di acquisto, quanta parte dei loro acquisti realizzano presso la nostra azienda? La cifra d'affari che essi realizzano presso di noi è adeguata al loro potenziale o è inferiore e quindi potrebbe essere incrementata? Quali sono le ragioni di un eventuale acquisto sottodimensionato rispetto alle effettive potenzialità? Come si potrebbe incrementare il volume degli acquisti? Esistono nel settore imprese importanti che non sono nostre clienti e quali ne sono i motivi?
Si verifica la situazione di piccoli clienti marginali che non è conveniente mantenere?
Come si vede, sono considerazioni molto semplici e la ricerca dei dati non richiede sofisticati strumenti di indagine, tuttavia rivestono una fondamentale importanza per la gestione strategica della clientela.
La classificazione dimensionale consente inoltre di prendere decisioni sul tipo di canale distributivo più adatto e sulla intensità di uso dei diversi canali (diretto per le grandi imprese, indiretto per i piccoli clienti), sulla frequenza dei contatti e sull'attività di comunicazione più adeguata.
Un ulteriore, fondamentale criterio di classificazione del mercato industriale, di evidente interesse, anche sul piano operativo, è quello geografico. Consiste nell'analisi della collocazione territoriale delle imprese clienti al fine di coglierne la concentrazione o la dispersione, nell'ambito del territorio di interesse che varia in relazione agli obiettivi aziendali (area locale, nazionale o internazionale).
L'analisi va condotta a due livelli: innanzi tutto occorre una classificazione geografica di tutte le imprese di un certo tipo presenti nell'area presa in considerazione (clientela potenziale). In una seconda fase, a questa classificazione si affiancherà la collocazione geografica dei clienti effettivi dell'impresa: il confronto fra i due gruppi di imprese renderà possibile l'individuazione di aree di potenziale interesse non ancora coperte dall'impresa mettendo in evidenza eventuali carenze nell'organizzazione territoriale di vendita esistente al momento.
La suddivisione della clientela in raggruppamenti omogenei può essere effettuata anche con riferimento alla natura dell'azienda. I macro-segmenti enucleati in questo caso riguardano essenzialmente la natura della proprietà: si tratta cioè di suddividere le aziende in private o pubbliche. I comportamenti, le esigenze, i tempi di trattativa, il tipo di relazioni possono variare sostanzialmente se ci si trova di fronte ad una azienda privata o pubblica. Inoltre, può essere utile individuare le imprese che appartengono a grandi gruppi, nazionali o internazionali, da quelle singole e la loro natura giuridica (società di persone, di capitali, cooperative).
Un ruolo importante nella segmentazione della propria clientela gioca anche la tecnologia richiesta, ovvero il livello tecnologico al quale un'impresa intende opere: da questa decisione dipende ovviamente il tipo di struttura degli impianti di cui dotarsi ed il tipo di forniture che sarà in grado di attuare. Non è sempre detto che sia conveniente operare al massimo livello di tecnologia disponibile: questo tipo di scelta impone ovviamente onerosi impegni nelle dotazioni tecnologiche e nella struttura organizzativa, oltre a richiedere il costante aggiornamento delle attrezzature ed un coinvolgimento nella ricerca e sviluppo. Spesso, una impresa non ha le risorse finanziarie per operare a questi livelli ma nel settore della sua attività non tutti i clienti saranno tali da richiederli. Può essere quindi conveniente una analisi della clientela (anche in questo caso, confrontando sempre quella potenziale e quella effettiva) per individuare quel segmento di clienti che richiedono un livello tecnologico compatibile con le possibilità delle imprese fornitrici. In molti comparti di uno stesso settore può essere richiesto un livello medio di tecnologia e se il segmento di clienti che operano con tecnologia media è consistente, la concorrenza meno agguerrita e l'obsolescenza tecnologica non è molto rapida, non è detto che il posizionamento a livelli medi di tecnologia non debba rivelarsi una strategia vincente. Occorre però che una scelta di questo genere non venga operata sulla base dell'intuito o di sensazioni ma dopo una precisa segmentazione del mercato.
Sempre con riguardo alle scelte tecnologiche, l'impresa deve decidere se proporsi come innovatore nei confronti dei propri clienti o semplicemente dichiararsi disponibile a realizzare determinate innovazioni che i clienti le richiedono. Nel primo caso il fornitore deve avere le risorse e le capacità tecniche per scegliere il livello tecnologico più elevato ma, affinché questa scelta porti alla realizzazione di tutta la sua potenzialità, dovrà avere anche le capacità di marketing per anticipare le esigenze del mercato e suscitare nei clienti il bisogno di prodotti innovativi. Nel secondo caso, è invece il cliente che propone l'innovazione ed il fornitore si limita a decidere se la propria tecnologia di base e le sue conoscenze applicative gli consentono di realizzarla a costi competitivi.
Come si può desumere dalle considerazioni appena esposte, i criteri oggettivi di segmentazione, pur nella loro semplicità e nella relativa facilità di attuazione che presentano, possono fornire all'impresa un buon numero di importanti informazioni sul mercato effettivo e su quello potenziale, permettendole di operare le scelte di posizionamento, quali una maggiore penetrazione su segmenti di clienti non sufficientemente coperti, abbandono di segmenti sui quali non possiede sufficienti vantaggi competitivi, e così via.

Accanto a questi criteri di tipo oggettivo, è possibile prendere in considerazione altri parametri, genericamente definibili a carattere organizzativo, suscettibili di spiegare il comportamento di acquisto della clientela, individuando, in tale modo, gruppi di acquirenti tra loro omogenei sotto il profilo della risposta alle diverse forme di sollecitazione di marketing cui vengono sottoposti dal fornitore.
Una chiave di segmentazione che consente alle imprese la messa a punto di politiche di marketing particolarmente efficaci è quella che si basa sull'individuazione della funzione d'uso di un prodotto e, di conseguenza, del beneficio atteso che il cliente ricerca dall'uso di quel prodotto in termini di soluzione di uno o più problemi.
La segmentazione del mercato sulla base di questo elemento consente di individuare sia l'utilizzo tecnico di quel prodotto o di quella lavorazione nel processo produttivo del cliente che il bisogno che il cliente può maggiormente apprezzare, del problema ad esso collegato e della soluzione che l'uso di un certo prodotto piuttosto di un altro può comportare. Per la particolare efficacia che determina sulle azioni di marketing da porre in essere, l'end-user-analysis è fondamentale come tecnica di approccio al mercato industriale: consente di creare gruppi di aziende anche trasversali ai diversi settori merceologici, aziende comunque accomunate dal medesimo utilizzo finale del prodotto e quindi dalla ricerca degli stessi benefici: queste aziende potranno essere approcciate con le stesse tecniche di marketing ed i vantaggi competitivi da sottolineare e far percepire saranno dunque i medesimi. Questo tipo di analisi consente inoltre di individuare nuovi segmenti o applicazioni dei prodotti trattati, dalle indicazioni e dalle necessità che gli stessi clienti potranno manifestare al fornitore.
Un esempio di applicazione della funzione d'uso e del beneficio atteso può essere fornito dalla vendita di un cuscinetto a sfere: il medesimo prodotto può essere utilizzato da industrie diverse, ma il beneficio atteso di volta in volta è diverso. Le imprese che lavorano il legno hanno l'esigenza di un cuscinetto che non si surriscaldi, una impresa di elettrodomestici privilegia la silenziosità, nella meccanica di precisione è necessaria la velocità, nell'industria pesante la resistenza: quindi, di volta in volta, il prodotto va presentato evidenziando la caratteristica che il cliente maggiormente apprezza. Ovviamente, il prodotto deve effettivamente possedere la caratteristica dichiarata (velocità, silenziosità, resistenza), in caso contrario, il cliente che non la riscontra non riacquisterà il prodotto e sarà un cliente irrimediabilmente perduto.
Nell'ambito del comportamento dell'acquirente, sono individuabili altre chiavi di segmentazione legate a diverse situazioni di tipo organizzativo e psicologico che si possono riscontrare nelle imprese clienti.
E' bene premettere che tali situazioni sono molto più difficili da individuare e classificare e possono comunque essere ricercate solo nell'ambito delle imprese con le quali già si hanno dei contatti, essendo pressoché impossibile trarre sufficienti elementi di analisi di questo genere da organizzazioni che non si conoscono direttamente, in quanto è necessario poter condurre una analisi interna dell'impresa cliente; inoltre, la segmentazione comportamentale non esclude quella basata sugli elementi oggettivi ma ne costituisce un completamente ed una ulteriore sofisticazione.
Ciò restringe notevolmente l'ambito di applicazione della segmentazione basata sul comportamento d'acquisto e la realtà pratica dei mercati industriali evidenzia che di tali criteri si fa un uso limitato. Costituirebbe comunque un miglioramento nell'utilizzo delle tecniche di segmentazione se le imprese osservassero sistematicamente (attraverso le relazioni dei venditori, opportunamente indirizzati in tal senso) il comportamento dei propri clienti al fine di meglio adattare le proprie azioni di marketing e di vendita.
La segmentazione basata sul comportamento, anziché fare riferimento ai classici criteri di settore, localizzazione e dimensione, recepisce che:
- i clienti sono organizzazioni e le organizzazioni, oltre a possedere una struttura formale, sono caratterizzate da una cultura aziendale, che deriva dalla tradizione e dalla storia, dallo stile di direzione, dalla missione aziendale;
- l'unità decisionale è costituita da un gruppo di individui interagenti con la struttura formale e con la cultura dell'organizzazione;
- questi individui occupano dei ruoli formali che costituiscono la maggiore forma di influenza sul loro comportamento;
- ogni individuo possiede proprie e personali attitudini, cultura, convincimenti che ne influenzano il comportamento e che possono non coincidere (essere in conflitto) con quelli degli altri componenti dell'unità decisionale d'acquisto o con quelli condivisi ed accettati dall'organizzazione nel suo complesso.
Quindi questo tipo di segmentazione tiene conto delle caratteristiche dell'organizzazione, delle caratteristiche dell'unità di acquisto e delle attitudini individuali delle persone.

Caratteristiche dell'organizzazione.
In questo ambito vengono prese in considerazione, oltre ai già citati elementi oggettivi di valutazione (impresa privata o pubblica, dimensione, localizzazione geografica) e all'uso finale, anche il tipo di situazione d'acquisto (che, come vedremo, può caratterizzarsi in acquisto strategico, con qualche elemento innovativo o acquisto di routine), il grado di lealtà del cliente, l'esistenza di contratti a lungo termine, la reciprocità nelle forniture. Anche la cultura aziendale può essere oggetto di valutazione, intendendosi a questo proposito l'analisi degli atteggiamenti che l'impresa cliente tiene con i propri fornitori, il suo grado di conservatorismo o innovazione negli acquisti e nella tecnologia in genere, la lentezza o la rapidità nelle decisioni. Tali atteggiamenti possono spesso derivare anche dal tipo di impresa: la circostanza che l'azienda sia privata o pubblica, ad esempio, può essere importante in quanto la natura pubblica o privata della proprietà o del controllo possono determinare la cultura imprenditoriale della direzione, la sua maggiore o minore propensione al rischio, l'importanza che viene attribuita al conseguimento dei profitti e in genere al raggiungimento degli obiettivi aziendali.
Analoghe differenze nella cultura aziendale possono derivare dall'appartenere ad un gruppo di imprese, in cui la holding tende ad uniformare ed omogeneizzare i valori di riferimento; le grandi imprese decidono e agiscono in maniera differente dalle piccole, e così via. E difficile generalizzare sui tipi di comportamento che le varie categorie di imprese possono adottare: esistono grandi imprese che fanno propri valori e stili di relazione del tutto diversi da quelli di altre grandi imprese strutturalmente molto simili (senza contare che spesso anche la nazionalità dell'alta direzione può determinare differenze).

Caratteristiche del centro acquisti.
Si individua la composizione del centro acquisti o, meglio, la composizione del gruppo di persone che intervengono nell'acquisto di un certo prodotto (in quanto tale composizione può variare a seconda del tipo d'acquisto) ed il ruolo di ciascun componente; il grado di decentralizzazione ed i compiti assegnati all'unità decisionale; eventuali conflitti esistenti nel gruppo o fra il gruppo ed il resto dell'organizzazione; le regole adottate nelle decisioni e le procedure d'acquisto generalmente adottate dal cliente.
Anche in questo caso, la situazione può variare da azienda ad azienda ed è molto probabile che non si presentino due casi identici. Il gruppo di venditori deve includere la discussione delle caratteristiche dell'unità decisionale d'acquisto fra gli elementi da considerare nella trattativa e stabilire una strategia di comportamento al riguardo, esattamente come si opera per gli altri elementi formali della negoziazione.
Basti pensare a quanta importanza possono assumere, specie nelle trattative internazionali con aziende di paesi di cultura e religione diversi da quelli occidentali, il sesso delle persone (in molti paesi le donne non sono accettate come controparte), la religione e l'adempimento delle pratiche religiose, l'adozione di comportamenti personali di tipo formale o informale (l'esuberanza di un californiano verso la formalità e la fredda cortesia di un giapponese); perfino le pause ed i tempi di lavoro possono alla lunga provocare disagi ed attriti fra i due gruppi (un arabo ha certamente un ritmo di lavoro diverso da un tedesco) e se si considera che spesso le trattative internazionali si protraggono per mesi durante i quali i due gruppi rimangono a stretto contatto, si può ben comprendere come gli aspetti psicologici degli individui finiscano per condizionare anche gli aspetti formali della negoziazione.

Caratteristiche degli individui.
Come ultima analisi, è infine opportuno dedicare un ulteriore approfondimento alle caratteristiche degli individui partecipanti alla decisione. Si tratta innanzi tutto di classificare le caratteristiche demografiche di ciascuno: età, educazione, esperienze professionali. Inoltre, per ciascuna persona occorre conoscere la posizione formale nell'organizzazione (il comportamento di un individuo è molto legato al suo ruolo formale - un direttore tende a fare il direttore e a far prevalere la sua opinione su chi è gerarchicamente meno importante); è più importante convincere le persone di livello gerarchico più elevato in quanto sono questi ad avere il potere di concludere la trattativa.
Spesso è importante conoscere le affiliazioni non professionali di una persona al di fuori dell'azienda (gli sport che pratica, i circoli a cui è iscritto, quali ristoranti frequenta) al fine di poter “provocare” incontri al di fuori dell'ambito di lavoro: i rapporti personali si rinsaldano di più con una partita a golf o una buona cena che con estenuanti riunioni di lavoro.
Anche le attitudini psicografiche o preferenze verso il fornitore possono essere importanti, come pure la percezione che questa persona ha verso incentivi o conseguenze negative legate all'assunzione di rischi (individuo prudente o avventuroso, all'inizio o alla fine della carriera).
Infine, si possono cercare di cogliere le relazioni esistenti fra i componenti dell'unità decisionale d'acquisto per individuarne le affinità o i conflitti e infine il fattore determinante di acquisto: affidabilità, prezzo, qualità del prodotto, relazioni con il fornitore.
La valutazione di questi elementi costituisce attualmente una fase importante nella formazione del personale di vendita, tuttavia spesso la trattativa viene svolta anche da personale tecnico che può non avere la medesima preparazione e sensibilità; inoltre, un tipico atteggiamento del personale di vendita è quello di considerare la conoscenza psicologica del cliente come un suo patrimonio personale, un bagaglio di conoscenze che può garantirgli un maggiore successo nella vendita rispetto ad altri colleghi. Tutte le conoscenze che si possono acquisire su un cliente sono invece un patrimonio comune del fornitore e devono essere portate a conoscenza di tutti coloro che partecipano alla trattativa.

Come si vede, quella esposta in precedenza è un tipo di analisi complessa, basata non su parametri oggettivi ma per molti elementi dipendente dalle percezioni di chi la effettua e conducibile esclusivamente nei confronti delle imprese con cui si può stabilire un contatto diretto e per quanto possibile prolungato (imprese già clienti o che si stanno contattando per instaurare nuovi rapporti d'affari).
Le informazioni ottenibili sono inoltre di difficile classificazione. Non si può certo affermare che tale tipo di analisi rientri nella prassi istituzionale delle aziende mentre, come si è detto, sono elementi che ogni buon venditore conosce a proposito delle aziende che visita, anche se spesso detiene queste conoscenze a livello intuitivo, non ne sfrutta tutta la potenzialità e soprattutto non li comunica al resto del personale.
Un passo avanti nelle tecniche di segmentazione potrebbe consistere nel dare a queste ricerche una maggiore sistematicità ed esplicitazione, al fine di portare le informazioni raccolte alla conoscenza di tutto il personale impegnato nel settore commerciale, nella comunicazione e nelle relazioni esterne.
Parametri quali le caratteristiche dell'organizzazione, dell'unità di acquisto, dei ruoli organizzativi e delle attitudini individuali delle persone sono stati presi in considerazione in diversi modelli sviluppati nella letteratura. Ad esempio, Wind e Cardozo (1974), nel sottolineare l'importanza della segmentazione del mercato industriale, quale presupposto della politica commerciale, hanno fornito un significativo contributo alla impostazione del problema, suggerendo un approccio articolato su due fasi successive. Con la prima si intende pervenire alla formazione di raggruppamenti molto ampi di clienti, denominati “macrosegmenti”, in funzione delle caratteristiche più significative delle relative organizzazioni di acquisto quali quelle, già viste, del settore merceologico di appartenenza, della localizzazione geografica e della dimensione, come pure del tasso di utilizzo del prodotto, delle sue applicazioni, anche in rapporto al mercato finale di destinazione, nonché di altri elementi come il tipo di acquisto, il grado di fedeltà, il sussistere di rapporti di reciprocità, ecc. La seconda fase prevede la suddivisione di queste classi in “microsegmenti”, sulla base degli elementi di similarità tra le corrispettive unita decisionali, come la loro composizione e posizione in seno all'azienda, le caratteristiche soggettive dei componenti, l'importanza attribuita all'acquisto ed ai differenti criteri decisionali, le procedure adottate per la ricerca e la valutazione delle offerte, ecc.
A loro volta, Choffray e Lilien (1980), ricollegandosi ai due autori prima citati, hanno ripreso il problema della segmentazione elaborando una specifica metodologia per l'analisi della composizione delle unità decisionali. Gli autori, a proposito delle caratteristiche delle unità decisionali da prendere come base per la segmentazione del mercato, puntano sulla individuazione delle varie categorie di soggetti (che, come vedremo sono dirigenti generali, ingegneri, incaricati degli acquisti, ecc.) che risultano coinvolte nelle diverse fasi del relativo processo. In particolare, allo scopo di determinare il relativo grado di coinvolgimento, viene fatto ricorso alla “matrice decisionale” dove le righe corrispondono alle categorie dei soggetti e le colonne alle fasi del processo. Negli incroci viene appunto espresso, in percentuale, il “peso” decisionale di ciascuna categoria, tenendo presente che la matrice, sia dal punto di vista delle persone che della strutturazione del processo, è applicabile alle singole situazioni prodotto/mercato.
Va altresì ricordato il contributo di Johnson e Flodhammer (1980), i quali si sono in particolare soffermati sulla “eterogeneità” del prodotto o della clientela, quale criterio basilare della politica di segmentazione da parte delle aziende fornitrici di beni industriali, individuando cinque variabili fondamentali - tecnologiche, economiche, di mercato, concorrenziali ed organizzative - su cui deve essere basata la delimitazione di gruppi omogenei e significativi di acquirenti.
Indipendentemente dal modello impiegato, è evidente che, con la sempre maggiore applicazione delle tecniche basate sul comportamento, si tende a formare gruppi di clienti sempre più slegati dal settore o dalla dimensione, ma accomunati dall'uso finale, dai benefici attesi, dalla situazione d'acquisto (importanza del prodotto e quindi complessità della decisione), dalle reciproche relazioni fra cliente e fornitore e si superano le difficoltà legate all'impiego di criteri “oggettivi” di segmentazione del mercato che si caratterizzano per una certa rigidità deterministica che porta a considerare simili le esigenze di tutte le imprese che appartengono ad un certo segmento, quasi in una relazione univoca di “causa-effetto”. L'esigenza di flessibilità che sta rapidamente diffondendosi in tutti i comparti produttivi è uno stimolo al superamento delle classificazioni troppo rigide e alla ricerca di soluzioni personalizzate alle esigenze del singolo cliente, al di là dell'appartenenza ad un settore, ad una dimensione o ad un tipo di organizzazione.

La segmentazione verticale

Le strategie di marketing industriale possono svilupparsi secondo dimensioni di mercato orizzontali o verticali, e in entrambi i casi l'impresa può procedere ad individuare dei sottoinsiemi omogenei di clienti a cui indirizzare specifici beni. In particolare, le segmentazioni di tipo orizzontale sono dirette ad ottenere classificazioni di varia natura della clientela relativamente alle applicazioni finali del bene come precedentemente visto, mentre la segmentazione verticale concerne la scelta del livello di mercato in cui l'impresa intende collocarsi con una definita offerta: “Horizontally, industrial markets can be segmented in terms of end-use application. A manufacturer of air conditioning systems, for example, will distinguish among such market segments as residential contract builders, small “stick” builders, and commercial contractors. On the other hand, vertical product/market choices have to do with the market level at which the supplier sells. For instance, the aluminium producer serving the residential housing market may have a choice whether to sell raw materials, semifabricated materials, componente, or end products”.
La struttura verticale di un mercato, cioè i diversi stadi di trasformazione che caratterizzano un bene industriale da certe configurazioni originarie alla forma prevista per dati impieghi in non pochi casi risulta assai complessa e contraddistinta da un elevato numero di relazioni offerente-acquirente e pertanto la scelta del livello di inserimento nella successione delle transazioni costituisce una decisione di notevole rilievo per il marketing industriale in quanto delinea le connotazioni fondamentali del binomio prodotto/mercato e quindi gli schemi competitivi di cui una determinata offerta risulta essere parte.
Le principali considerazioni che possono indurre un produttore a valutare le differenti opportunità connesse ai vari segmenti verticali di cui si compone un mercato riguardano da un lato la volontà di rendere massima la concettualizzazione di un prodotto rispetto agli utilizzi dei trasformatori e dall'altro la ricerca della maggior aderenza possibile del prodotto stesso alle esigenze di specifiche quote parti di domanda; e ciò al fine di conseguire il più elevato valore di offerta compatibilmente alle potenzialità del prodotto ed alle relazioni acquirente-offerente esistenti ai differenti livelli. Tali considerazioni risultano ovviamente enfatizzate nel caso in cui un produttore, in virtù di un'analisi dei vari segmenti, giudichi conveniente realizzare un'integrazione verticale dell'attività, poiché “il fatto che l'impresa operi in diverse fasi può in effetti creare maggiore forza nel confronti dei rivali non integrati che sono concorrenti in un certo stadio della produzione e sono invece fornitori o acquirenti in altri stadi.
La segmentazione verticale del mercato individua appunto uno strumento atto a determinare il valore aggiunto e le opportunità di redditività di ogni stadio, e a questi fini esamina i processi di modificazione che intervengono nella “forma” di un prodotto nel passaggio da dati livelli a quelli precedenti e successivi, la natura e l'intensità della competizione nelle diverse fasi, le capacità produttive e commerciali richieste al vari stadi del processo ed infine le dimensioni della domanda potenziale riferita alle possibili forme alternative di prodotto.
La scelta del livello di mercato, oltre che dalla tipologia di prodotto, può essere influenzata da numerosi altri fattori, tra cui giova ricordare:
- l'importanza attribuita al controllo delle applicazioni ed alla verifica dei livelli qualitativi d'impiego dei prodotti. Questi aspetti assumono una particolare rilevanza nelle fasi di introduzione e di sviluppo di nuovi prodotti industriali, ma più in generale si collegano ad una valutazione non soddisfacente delle capacità tecniche e/o delle abilità promozionali sviluppabili dagli usuali acquirenti-trasformatori, cioè al riconoscimento dell'esistenza di definiti punti critici nella catena delle transazioni in grado di influire negativamente sulle caratteristiche di prodotto e quindi sull'espansione delle vendite del produttore;
- l'entità degli investimenti produttivi, commerciali e di marketing richiesti per proporre un'offerta competitiva, poiché le specifiche condizioni tecnologiche, concorrenziali e di domanda che qualificano i diversi livelli del mercato determinano configurazioni del binomio prodotto/mercato con difformi esigenze di risorse finanziarie ed umane;
- il tipo e l'intensità della competizione da affrontare nei diversi segmenti verticali, con particolare riferimento alle interrelazioni tra acquirenti ed offerenti che possono manifestarsi ai vari livelli del mercato (anche per effetto di specifici accordi o di rapporti di reciprocità stipulati con dati produttori), e la cui incidenza sulla competitività della singola fase del processo di trasformazione spesso comporta la necessità di un'analisi estesa a livello internazionale;
- il grado di difesa esercitabile nelle differenti posizioni di mercato. La scelta dello stadio “ ottimale ” di inserimento non può infatti prescindere dall'esame della natura e dell'altezza delle barriere all'entrata nei vari segmenti; dalle connesse valutazioni dei costi e delle opportunità di introduzione, anche per i potenziali concorrenti; ed infine da una stima degli oneri e dei vantaggi derivanti da un'integrazione di certe fasi di processo nei casi in cui per definiti produttori si configuri la possibilità di intervenire direttamente in segmenti contigui a quello originario;
- l'immagine e/o la notorietà eventualmente già acquisite da un'impresa in virtù di definite tipologie di offerta, che nelle diverse circostanze possono costituire un vantaggio oppure un condizionamento per l'efficacia di certe decisioni volte a modificare la posizione di mercato di una determinata unità operativa.
Le finalità applicative della segmentazione verticale, al pari di quelle riferite all'utilizzo finale, sono dirette alla ricerca di una nicchia di mercato in cui le potenzialità di offerta dell'impresa risultino aderenti alle richieste di determinati segmenti di domanda; la scelta del livello di mercato - definibile in rapporto alle capacità tecnologiche, finanziarie e di marketing a disposizione dell'azienda - si prefigge peraltro di assicurare a dati beni un valore più consistente, oppure a costi più contenuti, di quello ottenibile dal produttore mediante il ricorso ad altri intermediari presenti sul mercato, e da ciò possono discendere tipici problemi di concorrenzialità diretta e indiretta.
La valutazione delle opportunità e degli oneri ai diversi livelli di mercato può infatti condurre un'impresa ad estendere le valenze della propria offerta per soddisfare le esigenze di segmenti verticali contigui a quello in cui è già operante, e così facendo non di rado si alterano le relazioni esistenti tra acquirenti ed offerenti, con la trasformazione del produttore stesso in concorrente della clientela precedentemente gestita e con la sua conseguente assunzione di una completa responsabilità dello sviluppo del mercato a quel particolare stadio del processo di trasformazione. Tali effetti derivanti dalla modificazione dei rapporti tra domanda e offerta possono tuttavia essere in larga misura evitati quando il produttore, proprio al fine di garantirsi un controllo sulle applicazioni e sui livelli qualitativi di utilizzo del prodotto, rinuncia ad inserirsi in nuovi segmenti; ed invece intraprende, a favore di unità presenti in stadi successivi, particolari azioni di sviluppo, quali l'autorizzazione all'uso di marchi di prodotto o d'impresa, la partecipazione ai costi di sviluppo e di promozione del prodotto, il parziale sostenimento dei costi di specifiche campagne pubblicitarie e di informazione attuate dalla clientela, e cosi via.

Una tipologia dei beni ad utilizzo industriale

Il concetto di bene industriale definitivamente acquisito dalla dottrina e dalla prassi aziendale è quello che si basa non sulla natura fisica dei prodotti, ma sulle caratteristiche dell'utilizzatore del bene stesso.
Si definiscono “beni o prodotti industriali” infatti, tutti quei prodotti acquistati non dal consumatore finale ma da un “consumatore istituzionale” quale può essere una impresa industriale privata o pubblica ma anche una organizzazione senza scopo di lucro o un ente pubblico (imprese, quindi, ma anche ospedali, scuole, associazioni sportive, culturali e religiose, ministeri, comuni, regioni e così via).
Considerando questo aspetto, sarebbe quindi più corretto definire tali prodotti come “beni ad utilizzo industriale”, poiché essi sono accomunati non da una particolare natura fisica ma, appunto, dalle caratteristiche dell'utilizzatore.
Si comprende quindi come il concetto di bene industriale assuma una portata molto ampia e come il peso dei beni industriali e dei relativi scambi sia molto importante nell'economia. Non solo quindi i tradizionali macchinari, impianti e materie prime rientrano nella categoria dei beni industriali ma, ad esempio, tutti i prodotti alimentari di largo consumo possono considerarsi tali se sono acquisiti nell'ambito della ristorazione collettiva (ristoranti o società di catering); possono divenire prodotti industriali i capi d'abbigliamento, i prodotti di igiene della persona, orologi e giocattoli (sempre più usati dalle imprese nelle loro attività promozionali), ma anche servizi quali turismo (convegni, convention, viaggi incentivi), spettacoli, servizi ricreativi e culturali, salute, istruzione. Un paio di calzature al termine della loro produzione possono divenire un bene di consumo se acquistati da un consumatore individuale ma, nel caso fossero utilizzate da una impresa come calzature di lavoro per i propri dipendenti, non perderebbero la loro natura di bene industriale nemmeno nell'ultimo passaggio.
Tuttavia, pur se la natura fisica dei prodotti può essere la stessa (ma spesso anche le caratteristiche tecniche di un bene variano, in funzione del suo diverso utilizzo), da un punto di vista di marketing non è corretto affermare di trovarsi di fronte allo “stesso prodotto”, in quanto tutti gli altri elementi del marketing-mix variano significativamente: è molto probabilmente diversa la confezione, è diverso il prezzo, sono diversi i canali di vendita e la comunicazione aziendale e di prodotto, sono diversi i “benefici attesi” dall'utilizzatore, in quanto variano sia i vantaggi competitivi del prodotto che le caratteristiche del segmento a cui è destinato. In sostanza, si può trattare di uno stesso oggetto, ma non dello stesso prodotto.
Le imprese che, pur trattando lo stesso prodotto fisico, lo commercializzano in questo duplice sbocco (consumatore finale e consumatore istituzionale) devono pertanto essere consapevoli di trovarsi di fronte a due situazioni di vendita profondamente diverse, che richiedono diversi approcci strategici e una diversa combinazione di azioni di marketing.
A valle di questa premessa sulla natura dei beni industriali tentiamo ora di definirne una classificazione.
I beni di utilizzo industriale presentano tipologie accentuatamente difformi che in prima approssimazione possono essere raffigurare ipotizzando un “continuum”, in cui ad un estremo si posizionano i beni con le seguenti fondamentali caratteristiche: un elevato valore unitario; specifiche tecniche definite dall'acquirente; una frequenza d'acquisto assai contenuta; un lungo ciclo produttivo; ed un ristretto numero di clienti potenziali. Per contro, all'estremo opposto dovrebbero collocarsi i beni a limitato valore unitario, con specifiche tecniche determinate dall'azienda offerente, ad elevata frequenza di acquisto e con ciclo produttivo relativamente breve; mentre all'interno di tale spazio troverebbero collocazione tutti quei beni che, per una sostanziale omogeneità delle caratteristiche fondamentali, possono essere acquistati indifferentemente dalle industrie e dai consumatori/utilizzatori finali (ad esempio, apparecchiatura elettriche; vernici; pneumatici; ecc.).
I brevi cenni sopra esposti sembrano già sufficienti ad evidenziare come la notevole eterogeneità dei beni industriali renda arduo identificarli in uno schema rigoroso ed esaustivo.
Una prima classificazione di carattere generale suddivide i beni industriali in due grandi categorie:

Beni industriali che vengono utilizzati come strumenti o mezzi tecnici per compiere operazioni di produzione manifatturiera (fusioni, laminazioni, estrusioni, trafilature, tranciature, stampaggi, torniture, assemblaggi filature, tessiture, miscelazioni, distillazioni, ecc.), ovvero per sottoporre a trasformazioni economico-tecniche di tipo metallurgico, meccanico chimico, tessile, o di qualsiasi altra natura, ad esempio nel caso delle operazioni di trasporto, i beni di cui alla categoria successiva. Si tratta di beni di produzione a fecondità ripetuta, definiti “strumentali” o “capitali” e consistenti in impianti, installazioni, attrezzature, macchinari, utensilerie, ecc.;

Beni industriali che costituiscono l'oggetto dei processi di trasformazione economico-tecnici da attuarsi per mezzo degli strumenti di cui alla categoria precedente. Si tratta di beni di produzione a fecondità semplice destinati, appunto, a trasformarsi, ad incorporarsi o comunque a dar origine ai beni di consumo finale, o agli stessi beni strumentali, attraverso le lavorazioni, i trattamenti, i montaggi e gli altri tipi di processi produttivi prima richiamati. Vengono anche denominati “beni intermedi” e consistono in materie prime, prodotti di fase, semilavorati, componenti, ecc.
In sostanza, mentre la prima delle due classi considerate è costituita dai beni strumentali in senso stretto, ovvero dalle attrezzature produttive in genere, la seconda comprende i beni definiti come intermedi, con ciò volendo intendere che essi sono destinati ad ulteriore lavorazione, vale a dire che risultano attinenti alle fasi del processo precedenti l'approntamento dei beni di consumo veri e propri. In proposito si può quindi parlare di materiali in genere, intendendo fare riferimento a tutto ciò che costituisce oggetto di impiego nei processi manifatturieri, ovvero alle risorse da utilizzare o agli “inputs” produttivi in una più ampia accezione.

Nella realtà, numerosi autori, negli anni passati, hanno elaborato classificazioni dei beni industriali alternative basate sulla natura fisica dei beni, sulla loro funzione nel processo produttivo, sull'impegno decisionale e finanziario legato alla loro acquisizione.
Ad esempio, Brand e Buckner, ricorrono alle seguenti fondamentali categorie:
impianti e macchinari;
materiali;
componenti.
Robinson e Faris distinguono differenti gruppi di beni individuando:
beni di investimento;
parti e componenti;
materiali ausiliari.
Fisher individua le seguenti classi:
beni di investimento;
materie prime, semilavorati e componenti;
prodotti di consumo;
servizi.
Ancora, Hill e Hillier considerano le seguenti tipologie:
prodotti direttamente pertinenti al processo produttivo (materie prime; semilavorati incorporati nel prodotto; parti e componenti; servizi accessori al processo produttivo);
materiali ausiliari e servizi (prodotti per la manutenzione e le riparazioni; materiali accessori. servizi acquistati all'esterno);
beni che richiedono decisioni di investimento (installazioni costituenti la struttura produttiva; attrezzature e macchinari ausiliari).
Nella classificazione di Kotler i beni industriali vengono invece distinti in funzione della loro partecipazione al prodotto relativo:
beni che entrano nel prodotto in modo completo (materie prime, materiali e parti);
beni che entrano nel prodotto solo parzialmente: beni capitali (impianti e attrezzature accessorie);
beni che non entrano nel prodotto (materiali ausiliari e servizi).
In questo contesto si inserisce anche la nota classificazione di Marrian, che evidenzia i seguenti raggruppamenti:
- attrezzature: fabbricati, impianti e macchinari, strumenti ed attrezzi, arredamento e macchine per ufficio;
- materiali: materie prime, prodotti derivati, semilavorati, materiali ausiliari di processo;
- materiali ausiliari: materiali di imballaggio, prodotti ausiliari vari, parti di ricambio, materiali per manutenzione;
- servizi: servizi per le attrezzature, servizi consulenziali.
Come è agevole constatare, le varie classificazioni sopra esposte, al di là delle difformi concettualizzazioni che le informano, evidenziano l'elemento comune di un orientamento all'offerta tendente a privilegiare gli aspetti definitori delle diverse classi di prodotto.
L'approccio probabilmente più consolidato nella pratica aziendale e quello che individua le seguenti categorie di beni industriali:
LE ATTREZZATURE INDUSTRIALI
Le attrezzature principali
Le attrezzature accessorie
I MATERIALI INDUSTRIALI
materie prime;
materiali semilavorati;
materiali lavorati
materiali complementari
LE FORNITURE INDUSTRIALI
materiali per imballo e confezionamento;
forniture energetiche ed operative;
parti e pezzi di ricambio.
I SERVIZI INDUSTRIALI
equipment services;
facilitating services;
advisory and consultative services

LE ATTREZZATURE INDUSTRIALI
Le attrezzature industriali vengono solitamente suddivise in:
— attrezzature principali;
— attrezzature accessorie.
Il primo caso comprende beni cosiddetti a fecondità ripetuta ed a valore unitario usualmente assai elevato. Si tratta in generale di impianti che si possono classificare in impianti diretti o gestionali e impianti indiretti o generali. I primi sono destinati alle tipiche operazioni di lavorazione previste dal processo produttivo. I secondi, invece, hanno lo scopo di assicurare il funzionamento di quelli precedenti e possono essere articolati in due sottoclassi: ausiliari e comuni. Un impianto annesso ad uno specifico impianto diretto è appunto di natura ausiliare: ad esempio un dispositivo per l'abbattimento dei fumi applicato ad un forno fusorio. Invece, un impianto destinato al servizio di un gruppo di impianti, uffici, ecc. si definisce comune: ad esempio quello per la produzione di aria condizionata.
I beni in oggetto sono altresì classificabili in standardizzati, o polifunzionali, ed in specializzati, o monofunzionali. Secondo tale distinzione, ai beni industriali del primo tipo si attribuisce un'ampia gamma di possibili utilizzi nei diversi settori di attività economica ed in numerose aziende di uno stesso settore; apportando leggere modifiche o sostituendo particolari componenti, i macchinari e gli impianti standardizzati possono infatti essere adattati a differenti lavorazioni nell'ambito del più vasto tipo di operazioni per cui erano stati originariamente progettati. La versatilità di applicazione dei macchinari e degli impianti polifunzionali, che usualmente palesano una durata economica maggiore rispetto alle macchine specializzate, rende spesso superflua una approfondita analisi preliminare delle problematiche produttive dei potenziali clienti, con i quali le trattative commerciali possono essere definite con tempi di negoziazione relativamente limitati. Gli impianti ed i macchinari specializzati, invece, sono costruiti per eseguire specifiche operazioni e la loro domanda deriva in genere da un singolo settore o addirittura da una particolare azienda di un dato settore. Per soddisfare compiutamente le peculiari esigenze della domanda, di sovente la definizione delle caratteristiche tecniche di operatività degli impianti è esplicitamente demandata all'acquirente e nella fase di negoziazione dell'acquisto si determina una stretta collaborazione tra i responsabili tecnici e commerciali dell'azienda offerente e dell'organizzazione acquirente.
Nella terminologia nord-americana queste attrezzature vengono designate in termini di “maior equipment” proprio per mettere in evidenza che si tratta delle dotazioni ed installazioni essenziali, dei mezzi tecnici fondamentali, quelli che caratterizzano l'azienda sotto il profilo della tecnologia di processo e della dimensione operativa: è il caso di un altoforno, di un treno di laminazione, ecc.
Le attrezzature principali si completano, come si accennava prima, con quelle accessorie, le quali, secondo lo stesso termine, si pongono nei loro confronti in un rapporto di ausiliarità e complementarietà; il che non significa, tuttavia, che esse adempiano ad una funzione trascurabile e, quindi, rivestano una scarsa importanza sul piano degli acquisti. Siffatti beni industriali presentano, nella maggior parte dei casi, caratteristiche standardizzate che li rendono idonei ad essere variamente utilizzati in differenti rami di attività. Tipici esempi al riguardo possono individuarsi in: motori a scoppio ed elettrici di limitata potenza; piccoli torni; stampatrici; attrezzature portatili ad aria compressa; ecc.
La distinzione tra le due classi di attrezzature, comunque, trova riscontro non soltanto nell'aspetto economico-tecnico, ma altresì, circostanza che occorre sottolineare in modo particolare, sotto il profilo delle differenti motivazioni e modalità decisionali e negoziali.
In effetti, come precedentemente detto, i grandi impianti vengono di solito progettati e costruiti in relazione alle specifiche esigenze delle imprese committenti. Ne derivano alcune importanti implicazioni per quanto concerne la complessità del relativo processo decisionale e cioè, oltre all'elevato valore coinvolto, la lunghezza del periodo di negoziazione e l'intensità dell'interrelazione tra fornitore e committente, ad esempio a proposito della definizione delle specifiche tecniche dell'impianto e più in generale per tutti gli aspetti inerenti alle fasi pre e post vendita, implicazioni di cui l'impresa offerente dovrà essere consapevole ai fini della pianificazione delle proprie politiche e strumentazioni di marketing. Diverso è il caso delle attrezzature accessorie, normalmente prodotte non su ordine, ma per il magazzino, in quanto destinate ad una molteplicità di settori d'impiego. Può trattarsi dei vari tipi di veicoli industriali, dei carrelli elevatori, di gran parte delle macchine utensili, delle apparecchiature elettriche minori, delle utensilerie, degli indumenti da lavoro, dei mobili e delle macchine per ufficio, ecc. Questi beni, infatti, per il loro minor valore e per il fatto di essere correntemente reperibili sul mercato, sono acquistati secondo processi e modalità più simili a quelle di numerosi tipi di prodotti intermedi.
Dal punto di vista del marketing, quindi, le attrezzature principali rappresentano una vera sfida per i managers di una azienda, in quanto ogni singolo acquisto o vendita sono importanti. I rapporti con i fornitori possono essere costanti, ma sono frammentari nel tempo, in quanto i singoli beni sono in genere sostituiti dopo un lungo periodo dal loro acquisto. I contatti sono diretti, i prodotti sono molto spesso personalizzati o rispondenti a dettagliate richieste specifiche, la produzione è quindi su commessa (ad ordine acquisito) e trascorre in genere un certo periodo di tempo fra l'ordine e la consegna. La forza vendita deve avere una preparazione di tipo tecnico e saper trattare con livelli gerarchici molto elevati, in quanto tali acquisti coinvolgono spesso l'alta direzione o comunque livelli direttivi elevati; inoltre la forza vendita deve essere affiancata da un gruppo di lavoro composto da esperti di tutte le aree funzionali (finanza, controllo dei costi, manutenzione) in modo da poter rispondere a tutte le problematiche che via via si manifestano nel rapporto con il cliente.

I MATERIALI INDUSTRIALI
Come già osservato i beni intermedi sono quelli destinati a trasformarsi, ad incorporarsi nel prodotto successivo e cioè a rappresentarne l'elemento costitutivo fondamentale. Si tratta, quindi, dei fattori produttivi per eccellenza, degli “inputs” caratteristici del tipico sistema di trasformazione delle risorse rappresentato dall'impresa manifatturiera. Si può parlare, sotto questo profilo di materiali industriali in genere, da distinguere poi, a seconda dello stadio di lavorazione in cui si trovano, in materie prime, materiali di base o semilavorati e, infine, in pezzi, componenti, ecc.
La classificazione adottata a questo proposito dagli studiosi britannici è molto significativa ed è senz'altro opportuno richiamarne gli estremi (Marrian):
— raw materials: materiali grezzi e cioè ancora allo stato originario, appunto quello delle materie prime (minerali, petrolio, fibre tessili, ecc.);
— processed materials: materiali grezzi che hanno subito uno o più processi di trasformazione e che sono a questo punto destinati a rappresentare il materiale di base per un ulteriore processo produttivo e, quindi, a ritrovarsi in qualche modo incorporati nel relativo prodotto: materiali plastici, laminati, vetri, ecc.;
— fabricated materials: prodotti, incluso i componenti, che hanno ormai raggiunto la loro conformazione definitiva e che saranno utilizzati come parti di altri prodotti: in questa categoria rientrano i prodotti acquistati per scopi di rivendita e per i quali non sono previste ulteriori operazioni di trasformazione (ad es.: viti, dadi, ecc., compresi i beni di consumo durevoli e non durevoli da rivendere);
— fabricating materials: materiali ed articoli lavorati in forma definitiva che verranno utilizzati per la produzione di altri beni e che in rapporto a tale utilizzazione perderanno la loro forma, pur ritrovandosi incorporati nel prodotto risultante (ad es.: vernici, adesivi, materiali per saldature, ecc.).

La classificazione di cui sopra costituisce un punto di riferimento obbligato anche se in questa sede non verrà integralmente seguita per preferire, invece, quella di cui appresso, a carattere maggiormente operativo, che differisce, tra l'altro, per una diversa collocazione di taluni tipi di beni nell'ambito delle ultime due categorie:
— materie prime;
— materiali semilavorati;
— materiali lavorati: pezzi, componenti, parti e accessori;
— materiali complementari.

Le materie prime
Sono beni industriali destinati a divenire parte di un altro prodotto fisico e che non hanno subito alcuna lavorazione, eccetto l'indispensabile per la loro conservazione e protezione fisica durante la movimentazione.
Le materie prime vengono raggruppate, prescindendo dalle relative modalità di produzione, in grandi classi merceologiche omogenee: cereali (frumento, mais, ecc.), coloniali (zucchero, caffè, cacao, ecc.), fibre tessili (cotone, lana, seta, ecc.), metalli ferrosi (ghisa, ferro, acciaio), metalli non ferrosi (rame, alluminio, nichel, stagno, piombo, zinco, ecc.) ed ancora, legnami, materiali da costruzione, petrolio, gomma, cuoio e pelli, ecc.
Alle materie prime vengono di solito assimilati i rottami provenienti da demolizioni, recuperi, ecc.
I rottami possono essere considerati alla stregua della relativa materia prima, per così dire “vergine” o “primaria”, in quanto essi verranno utilizzati per recuperarla o meglio rigenerarla attraverso operazioni di fusione e raffinazione (a proposito dei metalli, si parla normalmente di materia prima “secondaria”), consentendo, quindi, una consistente integrazione della relativa produzione mineraria. Analogo a quello dei rottami è il caso dei ritagli, degli sfridi, delle torniture e simili, provenienti dalle lavorazioni interne sia delle aziende produttrici di. semilavorati, sia delle imprese utilizzatrici degli stessi. La differenza tra i due tipi di materiali è evidente: la carrozzeria di un auto od un frigorifero da demolire danno luogo a dei rottami, mentre i ritagli e gli sfridi si formeranno al momento dello stampaggio e della lavorazione iniziale della carrozzeria o del frigorifero stessi e prima ancora all'atto della produzione dei relativi semilavorati di partenza.
I mercati dei fornitori di materie prime assumono caratteristiche spesso diametralmente opposte a seconda che si tratti di minerali o materie prime agricole, sebbene la loro caratteristica comune sia costituita dal fatto che l'offerta è piuttosto rigida e non possa essere sostanzialmente aumentata nel breve periodo.
Il mercato dei produttori di minerali è formato da pochi grandi produttori, spesso controllati direttamente da enti pubblici, in quanto tali produzioni sono spesso una delle maggiori risorse di una nazione. Anche in caso di sfruttamento dei giacimenti dato in concessione ad imprese private, i governi tendono comunque a mantenere un controllo indiretto sulla conduzione delle operazioni e si riservano una parte degli introiti dell'attività.
I prodotti sono graduabili, ossia il loro livello qualitativo e di conseguenza il loro prezzo dipendono dalle loro caratteristiche fisiche o, indirettamente, dalla loro origine; in questo senso sono altamente standardizzati e spesso non sostituibili a causa, appunto, delle caratteristiche specifiche che li rendono indispensabili a determinate lavorazioni o utilizzi.
Le grandi quantità oggetto di negoziazione ed il relativamente basso valore unitario, oltre alle distanze fra produttori ed utilizzatori, fanno del trasporto una variabile di fondamentale importanza: trasporto inteso sia come sicurezza negli approvvigionamenti, e quindi affidabilità, sia come efficienza del medesimo in termini di costo, che può costituire una componente importante del prezzo di acquisto.
I canali distributivi sono diretti o corti e gli intermediari costituiscono un'altra caratteristica strategicamente importante dei mercati: sono pochi, potenti ed in grado di condizionare le trattative. Per questo motivo, i contratti di acquisto tendono ad avere lunga durata e a stabilizzare i rapporti fra clienti e fornitori; spesso si giunge a forme di integrazione o controllo di fornitori particolarmente strategici.
Nel campo delle materie prime minerali, la pubblicità o altre forme indirette di stimolo della domanda sono naturalmente poco efficaci e quindi non utilizzabili. Anche la marca del prodotto o del produttore ha scarso significato, come pure ogni forma di differenziazione del prodotto, in quanto il prodotto si differenzia sulla base delle sue specifiche caratteristiche.
I vantaggi competitivi vanno quindi ricercati nell'efficienza economica che si traduce in prezzi inferiori a quelli della concorrenza, nella affidabilità ed efficienza delle consegne, nella garanzia di costanza delle caratteristiche fisiche del prodotto.
Nel caso di materie prime agricole, il mercato è caratterizzato da due situazioni opposte: possono esistere pochi grandi produttori (soia, gomma, frutta tropicale) oppure l'offerta può trovarsi polverizzata in una miriade di piccoli produttori. In questi casi, tuttavia, è molto diffuso il fenomeno della cooperazione agricola che consente ai piccoli produttori di unirsi al fine di omogeneizzare l'offerta ed aumentare il loro potere contrattuale.
Come per le materie prime minerarie, anche in questo caso la produzione non può aumentare o diminuire rapidamente ed è inoltre soggetta all'andamento delle condizioni climatiche (siccità, gelate) che possono comprometterne qualità e quantità. Inoltre i prodotti sono facilmente deperibili ed è difficile garantire l'uniformità delle caratteristiche nel tempo. Trasporti e magazzinaggio assumono quindi grande importanza, come pure la standardizzazione e la possibilità di graduare il prodotto in base alle caratteristiche organolettiche.
Se i produttori sono pochi, il loro potere contrattuale è notevole, viceversa, in caso di offerta frammentata il mercato è dominato dagli intermediari ed i canali di distribuzione sono lunghi e poco efficienti.

I materiali semilavorati
Con il generico termine di prodotti di fase o di processo, o meglio di materiali semilavorati, si indicano i beni provenienti dalla lavorazione delle materie prime di cui alla categoria precedente, beni a loro volta destinati a subire ulteriori trasformazioni manifatturiere allo scopo di dar origine ai prodotti di consumo finale, oppure ai beni di tipo strumentale. Si tratta, insomma, di tipici beni intermedi in fase di transizione tra le materie prime di partenza ed i prodotti finiti di arrivo. Nella terminologia inglese, come già visto, questi beni vengono definiti “processed materials”, appunto per mettere in evidenza che si tratta di materiali non più allo stato grezzo (“raw”), come quelli della categoria precedente, ma che sono stati invece sottoposti ad un processo di lavorazione che, a sua volta, prelude alla trasformazione nei cosiddetti “fabricated materials” e cioè nei pezzi, componenti ecc. o, comunque, all'ottenimento del bene ultimo. In pratica, tutti i tipi di materie prime danno origine ad altrettanti materiali di processo o semilavorati e questi, susseguentemente, alle parti ed ai componenti, che a loro volta rappresentano gli elementi costitutivi del prodotto di arrivo. In altre parole i materiali semilavorati sono dei beni intermedi che hanno raggiunto lo stadio di trasformazione posteriore a quello delle materie prime, ma non sono ancora pervenuti a livello di beni finali, nel senso di non essere ancora suscettibili di consumo da parte delle famiglie, oppure, nel caso trattisi di beni capitali, di utilizzo nell'ambito delle imprese.

I materiali lavorati: pezzi, componenti, ecc.
I pezzi, i componenti, le parti, ecc. rientrano nella più generale categoria dei materiali industriali, ovvero dei beni intermedi oggetto di trasformazione, e come tali sono destinati a ritrovarsi nel prodotto finale ottenuto, in sostanza, mediante il loro assemblaggio.
Come già accennato, questi beni corrispondono ad una fase di lavorazione successiva a quella dei semilavorati, dai quali vengono infatti ricavati, di solito mediante operazioni meccaniche in serie. Tale categoria corrisponde all'incirca a quella dei “fabbricated materials” di cui alla classificazione della Marrian, e cioè dei materiali che sono stati “lavorati”, insomma fatti oggetto di un processo di “fabbricazione”, ovvero di una ulteriore e conclusiva trasformazione che li renderà suscettibili, opportunamente aggregati e combinati, di dar origine al prodotto di arrivo.
C'è anche da rilevare, in connessione con quanto appena detto, che mentre i semilavorati debbono essere necessariamente sottoposti ad ulteriori lavorazioni e trasformazioni che ne modificheranno la natura intrinseca, o se non altro la forma, altrettanto non si verificherà per i pezzi, componenti, ecc. che, in effetti, si possono considerare dei prodotti tecnicamente finiti, ovvero già pervenuti alla conclusione del rispettivo ciclo di fabbricazione.
Con questo tipo di materiali, insomma, si è giunti alla fase più avanzata cui possono pervenire i beni intermedi, ovvero alla soglia del prodotto, per così dire, definitivo, dal quale sono infatti separati da un'ultima, anche se essenziale, fase produttiva la quale consisterà però, come già visto, non tanto in una ulteriore trasformazione intrinseca, bensì in una operazione di finale di assemblaggio, più o meno complesso, eventualmente a livelli successivi, allorquando i componenti vadano a costituire parti o sistemi che richiedono ulteriori aggregazioni.
Nell'ambito di questa classe gli accessori, a loro volta, rappresentano uno specifico sottogruppo solitamente non determinante agli effetti della funzionalità tecnica del prodotto, ma non per questo superflui, anzi necessari soprattutto sul piano estetico ed ornamentale, oltre ché delle specifiche prestazioni. Le guarnizioni per borse e calzature, i fermagli, i ganci, i bottoni, le fibbie, le cerniere, gli spilli, ecc. sono altrettanti esempi di accessori utilizzati nell'industria dell'abbigliamento, ovvero di prodotti nei quali le prestazioni ornamentali si combinano con quelle funzionali, appunto in un rapporto di accessorietà rispetto al bene principale.
Sia i semilavorati della classe precedente che pezzi, componenti, ecc. sono in genere acquistati in grandi quantità e nell'ambito di rapporti stabili fra cliente e fornitore. Salvo i casi di semilavorati standardizzati, sono prodotti cosiddetti a specifica, ossia non possono essere sostituiti con altri aventi caratteristiche diverse. I componenti sono appositamente progettati per essere immediatamente assemblabili nel prodotto finito e vengono progettati in collaborazione fra cliente e fornitore.
I fornitori sono pochi e selezionati: si tratta infatti di acquisti strategici le cui carenze possono fortemente condizionare la produzione finale.
Più il componente è complesso, maggiore è il tempo necessario per la sua progettazione e messa a punto e quindi occorre che le imprese clienti sappiano prevedere con esattezza le tempistiche necessarie per ottenere simultaneamente tutti i componenti di cui necessitano.
Da parte del fornitore, è ugualmente essenziale il controllo del fattore tempo, inteso sia come rapidità nella fase progettuale, sia come rapidità nella fase di realizzazione, sia come flessibilità strutturale che consente di effettuare consegne di piccole quantità ad intervalli di tempo estremamente ravvicinati.
Altro punto di forza per il fornitore è il rapporto prezzo/qualità/servizio, ossia l'efficienza gestionale che consente di ottenere il prezzo più basso a fronte degli standard qualitativi richiesti dal cliente, mantenendo tali standard inalterati per tutta la fornitura e fornendo parallelamente la maggior quantità possibile di servizio, inteso come puntualità nelle consegne, tempestività negli interventi qualora si manifestino degli inconvenienti, e così via.
Il prodotto è identificato non tanto a livello di marca quanto di immagine aziendale ed in questo senso si può parlare di una azione di comunicazione a sostegno dell'immagine, anche se l'immagine si mantiene elevata innanzi tutto con una ineccepibile politica di prodotto.
La vendita è diretta nel caso di fornitura di primo impianto (O.E.M. - Original Equipment Manufacturing); in questo caso, come si è visto, oltre al contatto commerciale diretto intervengono anche rapporti tecnici a livello di progettazione. Anche per i clienti più importanti, qualora non vi siano le condizioni per i rapporti di collaborazione sopra delineati, è opportuno usare il contatto diretto; gli intermediari intervengono nel cosiddetto after market, ossia il mercato della manutenzione o per ordini piccoli di prodotti standardizzati non realizzati su commessa ma a flusso continuo.
In quest'ultimo caso, i margini di profitto sono maggiormente elevati e si può verificare la concorrenza di produttori che si specializzano sui componenti di uso più comune e di tecnologia più obsoleta, offrendo prodotti simili agli originali ma di qualità inferiore. Per contrastare l'azione di tali concorrenti diventa quindi indispensabile il controllo sugli intermediari e la creazione di una rete di punti di manutenzione autorizzati dal produttore originale (la problematica legata a questo aspetto sarà meglio analizzata nel paragrafo dedicato appunto al settore dei ricambi).

I materiali complementari
La classe dei materiali industriali in senso proprio viene integrata da un insieme di beni di tipo eterogeneo, che possono essere definiti di carattere complementare.
Si tratta, ad esempio, di prodotti quali chiodi, viti, dadi, dispositivi di fissaggio in genere, materiali per saldature ed isolanti, ed ancora, vernici, lacche, ecc. È facile constatare che anche questi materiali sono di solito destinati a far parte del prodotto definitivo, assieme alle parti ed ai componenti di cui si è parlato prima, dai quali differiscono però concettualmente in quanto, più che trattarsi di un vero e proprio elemento costitutivo, rappresentano dei dispositivi o delle sostanze che permettono di tenere uniti, di assiemare tra loro i suddetti componenti o in qualche modo di completarli, assicurarne la protezione esterna, ecc.
Indubbiamente sono dei prodotti tecnicamente “finiti” e cioè “fabricated”, nel senso che una vite, ad esempio, non ha bisogno di subire ulteriori trasformazioni, e che si potrebbero anche assimilare e, quindi, far rientrare, almeno in taluni casi, nella categoria degli stessi componenti, come fanno gli autori inglesi, ma che sembra preferibile, invece, tenere distinti, anche se la questione non ha poi una eccessiva rilevanza pratica o teorica. Resta comunque inteso che questi materiali rispondono ad una funzione tecnica rilevante, anche se complementare, e che essi danno luogo ad una aliquota non trascurabile degli acquisti aziendali, soprattutto in determinati comparti merceologici.
Tali prodotti trovano impiego in diversi settori di attività, in quanto assolvono funzioni comuni ad una molteplicità di imprese, ed altresì, presentano una spiccata fungibilità, cioè esistono diverse fonti di approvvigionamento che consentono di sostituire facilmente una data offerta con un'altra. Il loro prezzo unitario tende inoltre ad essere relativamente contenuto e gli acquisti sono effettuati in genere frequentemente e per piccole quantità; anche se le consegne avvengono per lotti di dimensioni contenute, non di rado l'acquisto di questi prodotti è definito sulla base di accordi annuali mediante l'assegnazione della fornitura complessiva ad una determinata azienda, con la quale si possono quindi concordare sconti di quantità particolarmente vantaggiosi oppure altre specifiche condizioni di acquisto (termini e modalità di consegna, condizioni di pagamento, ecc.). In presenza di siffatti accordi, la definizione del contratto di fornitura è talvolta oggetto di impegnative negoziazioni, mentre gli ordini che sono periodicamente evasi nell'ambito di tali accordi configurano tipiche operazioni ripetitive. Quando l'approvvigionamento dei materiali avviene al di fuori dei suddetti contratti complessivi annuali, gli acquisti si perfezionano di volta in volta, applicando in prevalenza schemi abitudinari di comportamento, che rimangono invariati per considerevoli periodi di tempo.

LE FORNITURE INDUSTRIALI
Mentre i materiali di cui alle categorie precedenti sono destinati ad incorporarsi direttamente nei prodotti di destinazione, nei quali rimarranno più o meno riconoscibili, non altrettanto avverrà, o almeno non nello stesso senso, nel caso delle cosiddette forniture industriali (industrial or operating supplies), pur essendo questo genere di beni egualmente indispensabile allo scopo di consentire il regolare svolgimento del processo produttivo.
Le forniture industriali, secondo quanto prevedono le classificazioni più ricorrenti, includono i seguenti beni:
— materiali per imballo e confezionamento;
— forniture energetiche ed operative;
— parti e pezzi di ricambio.
Esse rivestono, pertanto, un carattere in parte di bene strumentale ed in parte di bene intermedio, essendo destinate, a seconda dei casi, all'uso diretto nell'ambito del processo produttivo, oppure alla incorporazione nel prodotto da rivendere. A parte la portata estetica e funzionale dell'imballaggio e della confezionatura, occorre sottolinearne il ruolo funzionale e, quindi, il carattere di complementarietà rispetto al prodotto vero e proprio e cioè la loro partecipazione non secondaria al sistema di prestazioni che il consumatore e l'utilizzatore si aspettano.
Nella seconda sottoclasse sono comprese le cosiddette “operating supplies” e cioè forniture e generi vari di esercizio che includono una vasta gamma di beni a cominciare dalle diverse forme di energia motrice utilizzata dall'azienda, con particolare riguardo a quella elettrica, per proseguire con i combustibili ed i lubrificanti, i materiali refrattari, gli abrasivi, come pure gli articoli di economato, i prodotti per l'igiene e le pulizie e via dicendo.
Rientrano in questa categoria anche beni di natura particolare che sino a qualche tempo addietro non avrebbero trovato posto in una classificazione come la presente. Si tratta, ad esempio, degli articoli da regalo, ovvero promozionali, al cui acquisto le aziende destinano risorse di una certa consistenza ed in rapporto ai quali si è recentemente sviluppato un mercato molto specializzato, quello della “regalistica” che, indubbiamente, interessa la materia e le problematiche del marketing industriale.
In una ulteriore sottoclasse rientrano poi materiali quali i pezzi e le parti di ricambio, gli attrezzamenti, ecc., destinati alle riparazioni, manutenzioni e più in generale al funzionamento ed al mantenimento in efficienza degli impianti e dei macchinari: cinghie di trasmissione, seghe, spazzole, stampi, matrici, filiere, guarnizioni, raccordi, giunti, ecc. In effetti la collocazione di questo tipo di materiali tra le “industrial supplies” e non, invece, tra gli accessori delle corrispondenti attrezzature produttive, potrebbe apparire, almeno in certi casi, non del tutto appropriata.

I SERVIZI INDUSTRIALI
L'azienda manifatturiera, nello svolgimento della propria attività di produzione, acquista ed utilizza, come si è visto, materiali di tipo diverso. Essa necessita, inoltre, di una varietà di servizi e prestazioni che pur se non si ritroveranno incorporati nel prodotto finale dell'impresa, almeno nel senso prospettato, risultano egualmente indispensabili ai fini del suo ottenimento, assumendo pertanto una natura analoga a quella dei beni strumentali. Marrian distingue questi servizi in tre sottoclassi principali alle quali si può fare senz'altro riferimento:
— equipment services;
— facilitating services;
— advisory and consultative services.
Nel primo gruppo rientrano i servizi connessi con l'installazione, l'utilizzazione, la riparazione e la manutenzione delle installazioni e delle attrezzature produttive.
Nella seconda sottoclasse risulta compresa una vasta gamma di servizi genericamente intesi a facilitare lo svolgimento delle operazioni di produzione, in un rapporto di più o meno stretta complementarietà ed accessorietà: magazzinaggi e trasporti, ovvero servizi logistici, sorveglianza, assicurazioni, di pulizia, di mensa aziendale.
Infine, nella terza sottoclasse rientrano i vari tipi di prestazioni e servizi di assistenza e consulenza, sia di carattere tecnico che amministrativo e commerciale, servizi che stanno assumendo una importanza crescente nell'economia delle moderne aziende di produzione. Si tratta delle consulenze legali, delle ricerche di mercato, delle campagne pubblicitarie e promozionali, delle diverse forme di assistenza ed intervento sul piano della ristrutturazione organizzativa e gestionale e via dicendo. Non c'è dubbio che servizi del genere sono indispensabili alle imprese, non meno che le attrezzature o i materiali. Essi sono pertanto oggetti di decisioni e di processi di acquisto, anche se con caratteristiche e modalità particolari, e come tali vanno inclusi nella nozione e classificazione dei beni industriali.
In alternativa alla classificazione appena vista, è possibile ricorre ad un'altra tradizionale classificazione dalla quale appare come tutti i servizi possano essere utilizzati in ambito aziendale, anche quelli che tradizionalmente si riconducono alla sfera privata:
Servizi immobiliari
Servizi di ricreazione, svago, aggiornamento professionale
Servizi personali
Servizi sanitari
Formazione e addestramento del personale
Servizi alle imprese e professionali
Servizi bancari, assicurativi e finanziari
Servizi di trasporto

Servizi immobiliari.
Sono acquistati dalle imprese sotto forma della disponibilità di fabbricati e locali per lo svolgimento della loro attività, alberghi, intermediazioni immobiliari, amministrazioni e manutenzione di immobili. Particolare rilievo ha assunto negli ultimi anni la nascita dei “centri servizi” per le piccole attività, con la costruzione o la ristrutturazione di immobili appositamente ideati per ospitare attività commerciali, artigianali o professionali e dotati di una serie di infrastrutture complementari, quali segretariato, interpreti, sale riunioni, comunicazioni e così via. Anche la costruzione di strutture immobiliari per i “centri commerciali” all'ingrosso e al dettaglio offre alle imprese servizi immobiliari specifici.

Servizi di ricreazione, svago, aggiornamento professionale.
Anche l'organizzazione di manifestazioni e intrattenimenti di vario genere può rientrare nelle esigenze di una impresa, esigenze legate a determinate forme di promozione. E' molto frequente inoltre l'organizzazione di convegni scientifici, riunioni della forza vendita, eventi per lancio di prodotti. Tutte le più importanti organizzazioni che si occupano di turismo hanno da tempo sviluppato programmi specifici per le imprese, esistono società specializzate nell'organizzazione di convegni e ovunque sorgono strutture specializzate per lo svolgimento di tali attività (sale riunioni, centri congressi). Il comparto fieristico, inoltre, riveste un importantissimo ruolo per la promozione aziendale, oltre ad avere una funzione di creazione di posti di lavoro e di sviluppo dell'indotto terziario della località in cui si svolge la manifestazione espositiva (viaggi, alberghi, infrastrutture).

Servizi personali.
Anche in questo caso troviamo servizi resi alle imprese quali lavanderie industriali, noleggio di biancheria e attrezzature alberghiere, sartorie teatrali.

Servizi sanitari.
Si tratta della medicina del lavoro, nelle sue varie applicazioni.

Formazione e addestramento del personale.
In questi ultimi anni la richiesta di formazione professionale da parte delle aziende si è estremamente ampliata e sono moltissime le organizzazioni, grandi e piccole, pubbliche e private, commerciali e non che ricorrono sistematicamente alla formazione specifica del personale neo-assunto e all'aggiornamento periodico dei propri funzionari, nell'ottica di una “formazione permanente” delle risorse umane.

Servizi alle imprese e professionali.
È questo il settore tipico dei servizi industriali che comprende i tradizionali servizi di natura tecnica, gestionale, contabile, legale, di interpretariato e così via. Anche in questo comparto la domanda e la varietà dei servizi richiesti dalle imprese si è notevolmente ampliata nel corso degli ultimi anni determinando nuove opportunità per il mercato e la nascita di nuove specializzazioni. Accanto alle tradizionali forme di servizi alle imprese sono così sorte organizzazioni che si occupano di protezione ambientale, pubbliche relazioni, gestione dell'immagine aziendale, direct marketing, gestione di particolari attività promozionali legate a couponing, invio di cartoline concorso, invio di omaggi, quiz telefonici.
Queste attività promozionali legate ad omaggi sicuri, anche di un certo valore, fanno ormai parte in modo radicato delle strategie di comunicazione di moltissime imprese (soprattutto nel settore di largo consumo) ed hanno raggiunto una tale complessità di organizzazione e gestione che è necessaria la presenza di imprese altamente specializzate affinché possano essere attuate in maniera ottimale.

Servizi bancari, assicurativi e finanziari.
Sono anche questi settori tradizionalmente molto attivi nei confronti delle imprese ed anche in questi comparti si sono manifestate notevoli innovazioni ed ampliamenti della gamma di prodotti offerti: basti pensare ai nuovi servizi bancari e finanziari, alla consulenza internazionale, alla possibilità di operare con strumenti innovativi offerti anche alle imprese medio-piccole.
L'evoluzione tecnologica, anche in questo caso, favorisce la nascita di nuovi servizi, quali ad esempio la possibilità di collegarsi e compiere operazioni dal posto di lavoro a tutta la rete di banche con le quali si intrattengono rapporti (remote banking) oppure tutte le opportunità derivanti dai collegamenti telematici nel campo finanziario internazionale.

Servizi di trasporto. Sempre più le imprese tendono a dismettere le proprie flotte di automezzi, che creano notevoli problemi di gestione e ad affidare all'esterno tali attività che peraltro, con il diffondersi del just-in-time e la centralizzazione di magazzini e depositi, richiedono l'erogazione di un servizio sempre più professionale e specializzato. Notevoli i rapporti fra imprese anche nel campo dei trasporti del personale per motivi di lavoro.

Le caratteristiche dei servizi
La natura immateriale dei servizi ha da sempre ingenerato problemi, che si riflettono nella stessa definizione di “servizio”.
Innanzi tutto, tutto ciò che, nella prestazione di un servizio, comporta la cessione di un bene (parti di ricambio nei servizi di manutenzione, medicinali nelle cure mediche) non è considerato servizio; inoltre la prestazione di un servizio comporta molto spesso l'utilizzo di beni materiali (un impianto telefonico, un'auto a noleggio) senza che il bene stesso sia oggetto di separata commercializzazione né sia destinato a divenire di proprietà dell'utente; infine molti servizi sono inclusi nella cessione di beni (credito, assistenza, garanzia, trasporto, montaggio) e in genere questi servizi non vengono considerati indipendenti dal bene ceduto ma costituiscono il cosiddetto “mix prodotto/servizio” con il quale le imprese arricchiscono la loro offerta commerciale e l'attrattività dei loro prodotti.
Tuttavia, quando questa componente di servizio aggiunta al prodotto raggiunge livelli importanti e comporta per l'impresa un consistente impegno economico si può manifestare la tendenza a separare il servizio dal prodotto, con il duplice scopo di farlo meglio percepire ed apprezzare dal cliente e anche per valorizzarlo economicamente in modo adeguato.
In questi casi i servizi offerti hanno un loro prezzo e possono essere acquistati separatamente dal bene: è il caso dei contratti di assistenza tecnica, di particolari forme di assicurazione legate al prodotto, della possibilità di estendere a pagamento la durata della garanzia, e così via.
I vantaggi sono evidenti sia per il venditore che per l'acquirente. Il primo perché, come già detto, può in questo modo valorizzare meglio il servizio offerto e renderlo meglio percepibile al cliente, tenendo inoltre sotto controllo i costi relativi ai servizi accessori (spesso la lievitazione dei costi relativi ai servizi accessori offerti è tale da compromettere la redditività legata alla vendita del prodotto). Per il cliente è invece possibile in questo modo scegliere i servizi accessori che ritiene necessari, scartandone altri, ottenendo in definitiva un mix più flessibile ed adeguato alle sue specifiche esigenze.
La tendenza ad offrire con i prodotti una componente di servizio sempre più consistente, ma nello stesso tempo a scorporare il prezzo della componente “servizio” dalla componente “bene materiale” contribuisce dunque ad aumentare il peso dei servizi nelle economie contemporanee e consente alle imprese di posizionare meglio i loro prodotti differenziandoli dalla concorrenza; permette di valorizzare agli occhi del cliente l'importanza del servizio (tutto ciò che non ha prezzo viene in genere considerato anche senza valore) ma comporta per le imprese che hanno consuetudine solo con i problemi legati alla produzione la conseguenza di dover mutare la loro cultura aziendale ed affrontare problematiche nuove: tipiche, appunto, dei servizi.
Oltre alla difficoltà di identificazione che si riflette nella definizione stessa di servizio, la loro speciale natura si riflette in altre caratteristiche che possono costituire minacce ma anche opportunità per le imprese che se ne occupano sia in via esclusiva o principale, sia subordinatamente alla cessione di prodotti.

Le principali caratteristiche dei servizi sono:
Immaterialità e intangibilità
Importanza del fattore umano
Difficoltà di standardizzazione
Valorizzazione soggettiva
Impossibilità di immagazzinamento
Domanda ampiamente fluttuante
Impossibilità di brevetto

Intangibilità.
Costituisce naturalmente la prima peculiarità dei servizi ed è anche quella che maggiormente ne condiziona le politiche di marketing. Il servizio non ricade direttamente sotto i sensi del cliente (vista, udito, tatto, gusto), non può essere provato ma solo descritto e spesso le difficoltà legate alla comunicazione fanno sì che la descrizione venga percepita in modi diversi dai diversi utenti. Spesso il servizio è addirittura solo una promessa che può anche non realizzarsi (si pensi ai servizi di assicurazione o di assistenza) e il cliente può avere la sensazione di pagare per nulla.
Le imprese fanno largo uso di supporti per tentare di dare una maggiore “materialità” al servizio, come dépliant, manuali, audiovisivi, comunicazione verbale, tuttavia, come già detto, in tutti i casi in cui un prodotto non può essere visto e provato ma solo descritto indirettamente, la comunicazione può essere deviata da una serie di fattori che portano il cliente (effettivo o potenziale) a percepire qualche cosa di diverso da ciò che poi si manifesterà effettivamente. L'immaterialità del servizio, il fatto cioè di non essere legato ad una struttura fisica determinata, può però costituire una grande opportunità legata alla flessibilità e alla facilità di adattamento che il servizio presenta.

Importanza del fattore umano.
Sotto questa etichetta si possono ricondurre molti aspetti particolari dei servizi, in quanto il fattore umano li condiziona in vario modo. Si osserva innazi tutto che spesso i servizi non possono essere separati dalla persona che li eroga. Questo fatto a volte condiziona i canali di vendita e di distribuzione e ostacola l'estensione territoriale dell'offerta.

Difficoltà di standardizzazione.
Il condizionamento posto dal fattore umano si ripercuote anche su di un'altra particolarità del servizio: la difficoltà di standardizzazione. Molti fattori legati all'aspetto umano fanno sì che le stesse prestazioni, effettuate da persone diverse, sebbene tecnicamente equivalenti, possano in realtà ingenerare nel cliente sensazioni dissimili. Un cliente può rivelarsi soddisfatto o insoddisfatto a fronte del medesimo servizio a seconda della professionalità di chi lo eroga, della sua formazione e preparazione tecnica, ma anche delle sue attitudini personali, del suo umore, stato d'animo, sensibilità, carattere. Perfino lo stesso servizio reso dalla stessa persona in momenti diversi può risultare diverso.

Valorizzazione soggettiva.
I servizi hanno una valorizzazione molto soggettiva legata alla scala di valori propria dell'utente e che spesso prevale sugli elementi oggettivi, sebbene questo fatto sia meno evidente nei servizi industriali, data la loro natura prevalentemente tecnica.
Anche la frequenza del contatto fisico con l'utenza fa sì che il cliente finisca per identificare l'erogatore del servizio con la persona che lo fornisce e l'erogatore identifica il cliente con la persona con cui entra in contatto. Un grande sforzo deve pertanto essere dedicato dalle imprese affinché il proprio personale sviluppi una cultura ed un comportamento tali da riuscire a separare quanto più possibile i propri stati d'animo del momento da quello che rappresenta il contenuto tecnico della prestazione. Formazione, informazione ed aggiornamento sono sicuramente fattori di grande importanza, unitamente ad una attenta valutazione delle caratteristiche dell'individuo fin dal momento del suo inserimento nell'organizzazione aziendale. Tuttavia, i fattori legati all'elemento umano non rappresentano solamente una minaccia per i servizi, ma possono giocare a favore della personalizzazione e della flessibilità.

Impossibilità di immagazzinamento.
Un ulteriore legame col fattore umano si estrinseca ancora nell'impossibilità di immagazzinamento dei servizi. L'erogazione dei servizi è legata alle persone ed il fattore umano è notoriamente rigido. Questa circostanza, legata a quella che si esaminerà successivamente e cioè l'ampia fluttuazione della domanda, crea notevoli problemi nelle decisioni relative alle dimensioni che una certa organizzazione si deve dare, per evitare da un lato il sovradimensionamento e dall'altro il rischio di lasciare segmenti di domanda insoddisfatti e preda della concorrenza.

Domanda ampiamente fluttuante.
Ad aggravare l'inconveniente legato all'impossibilità di mantenere scorte si aggiunge la variabilità della domanda che si concentra in determinati periodi dell'anno, ma anche in alcuni giorni della settimana ed in alcune ore del giorno. Le imprese reagiscono offrendo prezzi differenziati ed altri vantaggi per incentivare lo spostamento della domanda verso i periodi meno “affollati”, tuttavia i risultati non sono sempre pari alle aspettative. Spesso è proprio l'offerta rivolta alle imprese che può bilanciare gli squilibri della domanda privata. Villaggi turistici ed alberghi offrono spazio a convention e congressi nei periodi di bassa stagione, le compagnie aeree stipulano convenzioni per viaggi aziendali in orari poco richiesti dai privati, uno spettacolo teatrale in replica può divenire un omaggio aziendale, e così via.

Impossibilità di brevetto.
I servizi non sono legalmente tutelabili come i prodotti a mezzo di brevetto, ne consegue che possono essere imitati e addirittura integralmente copiati da un concorrente senza che l'ideatore possa difendere l'idea originale. Nel caso che un nuovo servizio abbia successo (un nuovo prodotto bancario, una nuova forma di assicurazione) esso viene ben presto offerto da tutti i concorrenti, grazie anche all'assenza di barriere all'entrata di natura finanziaria o tecnologica. La conseguenza è una proliferazione di nuovi servizi del tutto simili e facilmente sostituibili che creano una inevitabile confusione nel cliente, il quale non riesce più a percepire i reali vantaggi del servizio offerto da una azienda rispetto ad un altro, anche perché spesso tali vantaggi non esistono. Dal lato opposto, le imprese paiono invece molto restie ad eliminare servizi dalla loro gamma, sebbene anche in questo settore si possa parlare di obsolescenza e sia opportuno controllare la gamma offerta, eliminando quei servizi che assorbono risorse senza avere più un adeguato ritorno in termini di fatturato.

I BENI INDUSTRIALI CONSISTENTI IN KNOW-HOW
Un'altra categoria di beni oggetto di specifici rapporti di mercato, avente precipue caratteristiche e che per la sua crescente importanza merita senz'altro una speciale attenzione è quella dei beni e dei servizi che, in una prima approssimazione, si può dire consistano in un know-how e cioè in specifiche conoscenze, informazioni, esperienze e capacità sul piano impiantistico, produttivo, organizzativo e commerciale, tali da porre il loro beneficiario in condizioni, letteralmente, di “saper fare”, ovvero di apprendere “come fare”, insomma di essere messo in grado di intraprendere o comunque estendere o sviluppare determinate attività.
Rientrano in questo concetto, il cui contenuto non è facile da definire per la ricchezza di sfaccettature e sfumature, casi sempre più diffusi nella moderna realtà di mercato: ad esempio, come già accennato, una ricerca di mercato attraverso la quale l'azienda committente potrà entrare in possesso di un insieme di informazioni e di dati riguardanti la propria posizione concorrenziale, le prospettive di sviluppo della domanda, ecc. e che le consentiranno di migliorare l'efficienza della funzione commerciale. Oppure, può essere il caso dell'acquisto presso un istituto specializzato di una consulenza sul piano dell'organizzazione produttiva ed amministrativa, ed ancora l'acquisto della partecipazione dei quadri aziendali ad un corso di formazione, e via dicendo.
Si entra poi pienamente nel concetto del know-how quando ci si riferisce a quella particolare categoria di beni immateriali costituita da brevetti, patenti, licenze di fabbricazione, marchi, ecc., che da sempre hanno fatto oggetto di transazione tra le aziende e cioè di scambi che interessano il mercato industriale, anche sul piano internazionale.
I flussi di acquisto dei beni di produzione, in effetti, tendono a venire integrati, in misura sempre più accentuata, da un insieme di prestazioni collaterali - progettazioni, informazioni, consulenze, supporti organizzativi, servizi di marketing-engineering, - attraverso le quali massimizzare la produttività economico-tecnica dei beni stessi. L'acquirente industriale, cioè, si approvvigiona di un vero e proprio sistema, attenendosi pertanto, nelle sue scelte, ad una serie di parametri tra i quali, come si vedrà più avanti, oltre alla qualità intrinseca del bene, assumono una importanza crescente l'assistenza tecnica ed il know-how che l'accompagnano.
In particolare, e si tratta di un aspetto sul quale occorre soffermarsi con particolare attenzione, l'azienda acquista del know-how allorquando si rivolge ad una società di “engineering” per procurarsi quelle speciali prestazioni di cui tali imprese sono fornitrici.
Invero queste aziende, normalmente note come “società di ingegneria”, sono da considerarsi, secondo una definizione molto indovinata, quali “fabbriche di progetti” o “supermarkets di idee”, in quanto fornitrici di un particolare tipo di bene industriale, o meglio di servizio specializzato, consistente in un complesso organico di progettazione, consulenza e assistenza e cioè in un vero e proprio know-how, secondo il concetto qui prospettato. Le società di engineering, in effetti, non costruiscono direttamente, ovvero non realizzano materialmente i progetti predisposti per conto del committente, ma gli forniscono invece tutta l'assistenza ed il supporto necessari per metterlo in grado, successivamente, di affidare e far eseguire da ditte specializzate, i cosiddetti “contractors”, i lavori in questione.
Ecco quindi che le prestazioni delle società di ingegneria si sviluppano secondo un processo articolato e complesso che inizia con l'individuazione del problema e della soluzione prospettata, prosegue con la messa a punto del progetto in tutti i suoi vari aspetti e contenuti tecnico-economici, prevede l'assistenza al committente in sede di emissione dei bandi di gara, di stipulazione dei contratti di fornitura e di esecuzione degli approvvigionamenti relativi, contempla la sorveglianza dei lavori, l'effettuazione dei collaudi e così via, sino ad includere, eventualmente, la formazione e l'addestramento del personale e talvolta la collaborazione e l'aiuto per la ricerca sui mercati internazionali dei finanziamenti necessari per la realizzazione dell'opera, oppure per la commercializzazione dei prodotti che verranno resi disponibili dall'impianto o, comunque, dalle realizzazioni in progetto.
C'è da notare che le prestazioni delle imprese di engineering possono anche riguardare solo taluni aspetti specifici del processo sopra descritto, mentre in altri casi queste società uniscono all'attività di progettazione vera e propria anche quella di costruzione ed installazione, insomma dell'effettuazione dei relativi lavori.
I principali clienti delle società di engineering, ovvero gli acquirenti di questo specifico bene immateriale di produzione che è stato definito in termini di know-how, sono soprattutto rappresentati da enti statali o comunque da imprese pubbliche, oppure da organizzazioni internazionali o ancora da banche o istituzioni per la promozione dello sviluppo, ma altresì da società o enti privati, sempre però di una certa dimensione trattandosi di rapporti di notevole portata finanziaria, ricchi di implicazioni sul piano politico-sociale, destinati a protrarsi nel tempo e contraddistinti da rischi particolari. Rapporti che presentano, inoltre, aspetti e problemi particolari sotto il profilo della partecipazione alle gare e dell'aggiudicazione delle commesse, della loro definizione contrattualistica, delle relative autorizzazioni valutarie e trattamenti fiscali, dell'assicurazione del credito, del finanziamento, ecc.

Progetti complessi
Nell'ambito dei beni industriali consistenti in know-how, vi è una categoria di beni industriali, che nella realtà contemporanea ha assunto notevole importanza quale la progettazione e fornitura “chiavi in mano” di grandi e complesse opere di ingegneria civile o impianti industriali, spesso effettuato nei confronti di paesi in via di sviluppo.
Il progetto si può definire una transazione complessa concernente un insieme di prodotti, servizi e trasformazioni concepito in modo speciale per realizzare, in un certo periodo di tempo, una attività specifica.
Le tendenze in atto vedono la richiesta e la fornitura di progetti, anziché semplici prodotti, nell'ottica della soluzione globale di un problema: dal prodotto si va quindi verso il progetto, dalla standardizzazione alla specificità della soluzione di problemi che non sono mai identici per i diversi clienti.
Volendo posizionare i progetti nell'ambito dei beni e servizi, essi si collocano nell'area della massima complessità sia per quanto riguarda gli aspetti tecnico-produttivi che per quanto concerne la trattativa, che viene svolta a livelli di responsabilità molto elevati sia da parte del committente che da parte delle imprese (di solito, un gruppo di imprese) che dovranno portare a compimento il progetto definito in tutte le sue specifiche.
Come già detto, la complessità delle operazioni, materiali ed immateriali (servizi) che contraddistingue un progetto fa sì che una sola impresa non sia in grado di gestirlo nella sua interezza ma si debba creare un gruppo coordinato ed integrato di fornitori, ciascuno dei quali è chiamato a rispondere della parte tecnica di sua specifica competenza.
I contatti e le trattative fra il committente e le imprese incaricate avvengono mediante la formazione di un comitato composto da esperti (tecnici e progettisti autonomi e anche rappresentanti delle principali imprese coinvolte), il quale a sua volta trasmette le decisioni e le linee guida da adottare ad una impresa operativa che assume la veste di capofila (spesso si tratta di una impresa consortile creata specificatamente per quel progetto fra le imprese partecipanti) la quale assume come unico soggetto la responsabilità di consegnare il progetto finito al committente, nei tempi e con le caratteristiche stabilite dal contratto d'appalto.
A sua volta, l'impresa capofila può suddividere il progetto in lotti (ogni lotto ha a sua volta le caratteristiche di un progetto) ed assegnare tali lotti ad altre imprese che coordineranno il lavoro in tutti i suoi aspetti tecnici ed organizzativi, consegnando il prodotto finito nei termini stabiliti.
Il contraente che ha la responsabilità di un lotto, lo suddividerà fra la parte che può realizzare autonomamente e la parte da destinare ai sub-contraenti, ciascuno per la lavorazione di sua competenza. In questo modo, i contatti fra i vari livelli di responsabilità sono ridotti al minimo e l'azione di coordinamento può esprimere la massima efficacia: si parla di “cascata di progetti”.
I principali settori che operano essenzialmente su progetto sono:
• l'aerospaziale;
• la difesa;
• le forze armate (marina, aviazione);
• le costruzioni;
• le ferrovie;
• le telecomunicazioni;
• i lavori pubblici in genere.
Tuttavia anche nel settore dei beni di largo consumo si assiste sempre più di frequente alla committenza di veri e propri progetti, come avviene nel caso delle grandi catene di distribuzione che commissionano ai produttori delle forniture con caratteristiche particolari ed esclusive, riguardanti prodotti alimentari o di abbigliamento, che verranno commercializzate con la marca del distributore.
I committenti possono essere sia enti pubblici governativi, centrali o locali, che imprese private.
I principali progetti possono quindi configurarsi per il tipo di applicazione:
• beni di equipaggiamento industriale: macchine speciali, catene di montaggio, grandi impianti;
• immobili: costruzioni, lavori pubblici, installazioni;
• trasporti: metropolitane, ferrovie, aerei;
• componenti: motori, sistemi di direzione, allestimenti;
• servizi: automatizzazione, formazione, manutenzione.
La diffusione della richiesta di progetti complessi ha aperto un nuovo capitolo di marketing. La prima peculiarità che si riscontra in questo campo è la modalità con cui si svolgono le trattative, che generalmente partono dalla manifestazione di volontà, da parte del committente, di acquisire un certo progetto “chiavi in mano”. Se il committente è un ente pubblico, questa manifestazione di volontà avviene attraverso un bando di asta pubblico, rivolto a tutte le imprese qualificate. Non tutte le imprese possono infatti partecipare ad un'asta pubblica, ma solamente quelle che, a suo tempo, hanno provveduto ad inserirsi in particolari albi o elenchi ai quali si accede dimostrando di avere i necessari requisiti di moralità, solidità patrimoniale e competenza tecnica (attrezzature e personale).
Le regole della trattativa sono, nel caso di un ente pubblico, rigide e codificate: il bando di asta stabilisce tutti i requisiti che il progetto deve possedere (le imprese non ne possono entrare nel merito o rinegoziarli); tutte le imprese qualificate che lo ritengano opportuno possono partecipare, singolarmente o in gruppi già definiti, inviando in buste sigillate le loro offerte, che consistono nella definizione del prezzo al quale sono disposte a consegnare quanto richiesto.
Alla scadenza dei termini delle offerte, il progetto verrà poi assegnato all'impresa che ha offerto il prezzo più basso.
Questi sono schemi molto generalizzati di contratto con gli enti pubblici, occorre tenere presente che in campo internazionale tali modalità possono variare e che sono comunque allo studio modalità di assegnazione di lavori su basi meno rigide e burocratiche, indirizzando ad esempio l'offerta solamente ad alcuni produttori che l'ente pubblico ritiene particolarmente qualificati e poi discutendo con questi ultimi anche il contenuto del progetto.
Nel mercato privato la transazione avviene più di frequente secondo regole più informali, con richieste indirizzate ad un certo numero di imprese preselezionate a cui seguono trattative parallele per ridefinire sia i contenuti della richiesta sia le caratteristiche dell'offerta. Ovvio che la scelta finale ricada sul fornitore che offre il migliore rapporto in termini di qualità, prezzo e tempo di realizzazione, ma anche gli esclusi dal contratto possono rientrare in gioco grazie alla necessità che il vincitore avrà di servirsi di sub-contraenti, o grazie alla possibilità di formare comunque un consorzio fra i fornitori più qualificati .
Per i fornitori si tratta quindi da un lato di possedere la capacità tecnica e la forza contrattuale per addivenire alla definizione di un progetto complesso con l'ente committente del lavoro e dall'altro di possedere le capacità organizzative per coordinare l'attività di imprese di subfornitura che devono provvedere alle diverse componenti del prodotto “chiavi in mano”, consistenti non solo in prodotti materiali ma soprattutto servizi, quali studi e progettazioni, fattibilità, finanziamenti, collaudi e prove tecniche fino alla selezione ed addestramento del personale.
I rapporti fra il committente ed i suoi fornitori non sono sempre stabili e duraturi nel tempo: spesso ogni progetto ha vita a sé e può trascorrere un lungo periodo prima che il medesimo committente abbia nuovamente necessità di altre forniture.
Le imprese devono quindi fare in modo di mantenere sempre elevata la loro immagine attraverso opportune politiche di comunicazione e pubbliche relazioni, ma soprattutto dando risalto ai progetti ai quali hanno partecipato poiché sono la migliore carta di presentazione per l'acquisizione di nuovi incarichi .
Inoltre, è necessario mantenere le relazioni con i clienti attraverso contatti diretti non necessariamente volti al risultato immediato ma con obiettivi di lungo periodo, seguendo eventualmente le vicende del progetto ultimato e la sua manutenzione o assistenza, individuando nuove esigenze legate alla formazione del personale del committente, all'evoluzione tecnica o economica.
In conclusione, nel marketing per progetto, stante la complessità della situazione, emergono numerosi punti di riflessione, quali ad esempio, le strategie per partecipare alle aste d'offerta, le strategie di vendita di sistemi come partenza per una evoluzione da una domanda prodotto/servizio ad una domanda di progetto, le strategie di trattativa con i diversi committenti pubblici e privati e con i mercati nazionali ed esteri.
Ulteriori particolarità che si prestano ad una analisi di marketing riguardano il comportamento d'acquisto, la strategia industriale, la gestione del rischio, il sistema delle informazioni strategiche, il ruolo rivestito dal finanziamento e dalla gestione del progetto, la comunicazione e la negoziazione industriale.

L'acquirente industriale

I beni industriali, come si è visto in precedenza, sono destinati a fungere da tramite per l'ottenimento dei beni di consumo e si collocano, quindi, in una posizione indiretta, mediata, rispetto ad essi. Questi beni, infatti, vengono acquistati ed utilizzati non dai consumatori, ma da altre imprese, appunto per scopi di ulteriore produzione, ed in quanto tali costituiscono oggetto di flussi interaziendali e cioè di scambi e di comunicazioni che si verificano esclusivamente all'interno del corrispondente aggregato.
Sul mercato industriale, pertanto, non si ha più a che fare con le tipiche unità di consumo finale, bensì con una categoria di acquirenti assai diversa per natura e funzione economica, ovvero le stesse aziende di produzione le quali, quindi, oltre ché sul lato dell'offerta si ritrovano ad operare su quello della domanda.
Con altre parole, mentre il mercato dei beni di consumo ha il suo punto di riferimento nel cliente “consumatore”, quello dei beni di produzione è incentrato sul cliente “utilizzatore”: una persona fisica che si propone di soddisfare un bisogno psicofisiologico nel primo caso, una persona giuridica, o comunque una entità organizzativa, più o meno complessa, egualmente con fini economici, non di consumo bensì di produzione, nel secondo.
Il cliente, insomma, in quanto espressione e sintesi di tutto il fenomeno della domanda del mercato si presenta, nelle due fattispecie, con una fisionomia e delle modalità di comportamento ben distinte tra loro ed in ogni caso tali da rendere indispensabile, sul piano scientifico non meno che empirico, uno specifico approccio conoscitivo ed analitico.
Si può osservare che l'acquirente industriale, inteso nel senso di una organizzazione economica, qual'è l'azienda di produzione o di, servizi, ovvero di una istituzione, si estrinseca e cioè agisce per mezzo delle persone fisiche che dell'azienda stessa costituiscono l'indispensabile sostrato soggettivo. Spetta infatti a queste persone riconoscere, interpretare e perseguire gli interessi obbiettivi dell'organizzazione, farla cioè vivere e funzionare; sono esse, pertanto, che assumono una effettiva rilevanza di fronte all'azienda fornitrice come acquirenti dei beni e, quindi, come destinatari della relativa azione di marketing.
Il concetto di cliente industriale, vale a dire dell'ente che acquista ed utilizza i beni economici per scopi di successiva produzione di altri beni o di servizi finisce allora, implicitamente, con il personificarsi, ovvero con l'essere visto ed identificato attraverso i soggetti che singolarmente o, più ancora, congiuntamente tra loro, animano l'organizzazione e la rendono concretamente operante. Di tali soggetti è opportuno accertare, preliminarmente, in base a quali elementi si caratterizza e viene a specificarsi il ruolo che loro compete quali acquirenti industriali.

LE MOTIVAZIONI DI ACQUISTO

Le motivazioni organizzative
La persona che assume in seno all'azienda la qualità di acquirente industriale - e si vedrà più oltre che normalmente si tratta di più di un soggetto - non rappresenta e non opera più per sé stessa, bensì per conto dell'entità organizzativa costituita dall'impresa utilizzatrice, ovvero dall'ente per il quale questa persona agisce.
Il soggetto in questione, infatti, non acquista al fine di procedere ad un atto di consumo, e cioè in vista del soddisfacimento di un bisogno personale, ma si fa invece portatore di un interesse a lui esterno, pur concorrendo a determinarlo, quello dell'organizzazione di cui fa parte, interesse che risulta collegato, per contro, ad un atto di produzione. Pertanto la nozione di bisogno individuale, così come viene proposta dalla scienza economica, non può essere adoperata, se non limitatamente, per spiegare i presupposti che sono alla base dell'acquisto industriale, nonostante un tale atto venga pur sempre posto in essere da persone fisiche ben determinate.
Si può quindi ritenere che mentre il comportamento del consumatore trova fondamento in motivazioni di natura individuale, quello dell'acquirente industriale poggia su motivazioni di natura organizzativa o istituzionale. Le prime riguardano l'acquirente come persona in sé, le seconde unicamente in quanto membro dell'unità produttiva che utilizza i beni oggetto di acquisizione per le proprie specifiche finalità.
Il concetto di cliente industriale, allora, pur esprimendosi suo tramite, non si identifica con il soggetto formalmente incaricato dell'acquisto, bensì lo trascende per ricollegarsi e confondersi con l'organizzazione oggettivamente intesa, assumendo un significato ed un contenuto molto più articolati e complessi.
Tale soggetto, infatti, si procura il bene non in vista del soddisfacimento di un bisogno individuale, ma unicamente perché nella suddetta attività di acquisizione consiste il suo specifico ruolo professionale, il compito che egli è tenuto ad espletare nell'ambito dell'organizzazione, in quanto egli viene espressamente retribuito, o meglio ricompensato, per svolgerlo. Per “ruolo” deve intendersi il complesso delle azioni che l'organizzazione si aspetta vengano compiute dall'individuo che ne fa parte: in questo senso, pertanto, l'organizzazione non è altro che un sistema di ruoli.
Il bene industriale, più esattamente, viene acquistato per essere destinato ad un'ulteriore produzione, per cui la causa determinante dell'atto ed i comportamenti che lo contraddistinguono non sono più attinenti alla sfera personale dell'acquirente, bensì alle esigenze oggettive dell'organizzazione rappresentata.
Di ciò deve essere ben consapevole l'azienda offerente, sforzandosi di cogliere il senso di questa realtà che si colloca al di là delle persone con cui entra in contatto.

Il comportamento di ruolo
Il significato dell'atto di acquisto non cambia, nonostante a prima vista possa sembrare diversamente, anche quando il relativo soggetto non sia più rappresentato da un semplice membro dell'organizzazione, in sostanza un dipendente dell'impresa, ma dallo stesso titolare e cioè dal suo proprietario. Una circostanza del genere, soprattutto riferita al caso delle piccole e medie aziende, non deve far ritenere, infatti, che l'acquisto dei mezzi di produzione venga posto in essere, per così dire, “in proprio” e cioè per la soddisfazione di un bisogno personale.
Invero il titolare dell'impresa, al pari del funzionario subordinato, non rappresenta più sé stesso, come quando agisce in veste di un normale consumatore, ma diviene portatore di uno specifico ruolo professionale e cioè responsabile di una determinata funzione aziendale, nella fattispecie quella dell'approvvigionamento, e quindi impegnato nell'esecuzione di quegli atti che a tale funzione si ricollegano. Anche il proprietario, insomma, agisce in nome e per conto di un'entità organizzativa che pur essendo imperniata sulla sua figura, al tempo stesso ne prescinde, assumendo una sua oggettiva consistenza ed esistenza.
Si potrebbe osservare, semmai, che l'intensità della identificazione professionale del soggetto nel ruolo di acquirente industriale è diversa a seconda che egli agisca per conto dell'impresa di sua proprietà, oppure in veste di dipendente e cioè di funzionario burocratico in senso Weberiano. Vale a dire, che unicamente il proprietario dell'impresa, o comunque il suo soggetto economico, sarebbe in grado di percepire il significato degli obiettivi aziendali - soprattutto in termini di profitto - essendovi direttamente cointeressato e che solo lui, pertanto, potrebbe concretamente adoperarsi in questo senso, ponendo in essere i comportamenti più coerenti ed appropriati, nella fattispecie quelli relativi agli acquisti.
Una tale osservazione ha un indubbio fondamento anche se, in teoria, essa non dovrebbe riguardare tanto la sostanza del problema quanto il grado: in effetti nulla vieta al soggetto “dipendente” di recepire integralmente il ruolo che gli compete e, per conseguenza, di comportarsi nell'interesse oggettivo dell'impresa, come se ne fosse il “titolare” o, addirittura, in modo ancor più efficace. In pratica, poi, un problema del genere evidentemente si pone, anzi si può dire rappresenti la normalità, soprattutto nel caso delle medie e grandi organizzazioni aziendali, e dovrà essere fronteggiato per mezzo di provvedimenti di natura organizzativa quali la selezione, la formazione, l'incentivazione, i controlli, le punizioni, ecc.
Occorrerà adottare, cioè, tutte le opportune misure per far sì che le persone incaricate degli acquisti svolgano i propri compiti quanto più possibile in conformità all'interesse oggettivo dell'azienda. È noto, del resto, che il principale problema delle organizzazioni formali, e quindi delle imprese, consiste proprio nel garantirsi la coerenza dei comportamenti di ruolo dei propri partecipanti ed è in questo senso che esse non possono prescindere dall'imporre il rispetto di determinate regole di condotta e dall'attivare i controlli relativi.
Diviene evidente, a questo punto, l'opportunità di ancorare la problematica sul comportamento di ruolo dell'acquirente dei beni di produzione alla teoria delle organizzazioni formali. Infatti anche il compratore industriale, al pari di qualsiasi altro soggetto aziendale, fa parte di una struttura organizzativa e nell'assumere un determinato ruolo professionale finisce per sovrapporre alla propria personalità le esigenze e gli interessi dell'ente di appartenenza.
Il richiamo alla teoria delle organizzazioni formali, quindi, deve essere tenuto costantemente presente, onde usufruire di un indispensabile supporto concettuale ai fini della comprensione delle motivazioni e degli atteggiamenti del soggetto dell'acquisto industriale e per meglio puntualizzare, perciò, le affinità, e soprattutto le differenze, tra il ruolo in questione e quello di consumatore.
Per quanto concerne il presente approccio, comunque, sarà sufficiente assumere, anche se si tratta di una prima approssimazione, che il comportamento di acquisto, sia che l'individuo agisca in veste di semplice funzionario dell'impresa o, a maggior ragione, coincida con il suo soggetto economico, si configuri come un effettivo comportamento di ruolo, vale a dire risulti in sé e per sé conforme agli obiettivi dell'organizzazione: nella fattispecie gli obiettivi dell'azienda nel senso della massimizzazione del reddito.
Le motivazioni dell'acquirente di beni di produzione, pertanto, sia che egli agisca nel contesto di una organizzazione formale, o che si tratti, al limite, dell'unico soggetto di un'impresa propriamente individuale, si possono definire di tipo “task related” e cioè originate ed improntate dagli adempimenti che la situazione organizzativa gli richiede come incaricato della relativa funzione aziendale, ovvero quale titolare di uno specifico ruolo.
Resta, dunque, confermato che l'acquirente concepisce e sviluppa il proprio comportamento in risposta a motivazioni che non hanno attinenza alla sua sfera personale, bensì al ruolo che egli detiene nell'ambito dell'organizzazione. Si configura, così, una situazione di acquisto che finisce per prescindere dalla persona o dalle persone che pur la gestiscono, in quanto determinata da un insieme di circostanze e di fattori ad esse esterni e che debbono essere assunti come dati di fatto. Questo significa che se i soggetti in causa venissero sostituiti con altri, ferma restando la situazione, nulla dovrebbe mutare a stretto rigor di logica - almeno sino ad un certo punto - nel relativo comportamento, in quanto anche tali nuovi soggetti si troverebbero a dover agire in funzione del medesimo tipo di determinanti
Gli interessi inerenti ai ruoli si possono considerare, in questo senso, come interessi di natura oggettiva e cioè che prescindono dagli specifici individui che ne vengono investiti. In effetti, come si vedrà meglio più avanti, il comportamento di acquisto industriale del soggetto, che rimane pur sempre interprete della relativa situazione, non potrà risultare del tutto avulso ed indipendente dalla sua intrinseca personalità; per cui occorrerà tener conto di questo specifico fattore, come pure del fatto che l'individuo agisce nel contesto di una particolare struttura organizzativa che egli indubbiamente influenza, ma dalla quale è contemporaneamente influenzato.

Le motivazioni tecnico-economiche di ruolo
In una prima approssimazione si può assumere, sulla base delle precedenti osservazioni, che l'acquisto industriale non discende da motivazioni attinenti alla realtà psico-fisiologica del soggetto che lo pone in essere, bensì dalle circostanze oggettive, di natura tecnologica ed economica, che caratterizzano l'attività dell'impresa, così come essa si colloca nel contesto ambientale, circostanze delle quali il soggetto stesso dovrà rendersi interprete, portatore ed esecutore a titolo professionale e ciò sia che si tratti del titolare dell'azienda che di un semplice dipendente.
La tecnologia del processo di produzione, da intendersi in senso dinamico ed evolutivo, determina un insieme di vincoli e condizionamenti circa i beni da approvvigionare; vale a dire che tali beni dovranno essere acquisiti esclusivamente in considerazione della loro idoneità a partecipare funzionalmente allo specifico processo in oggetto. Ad esempio, una fabbrica di oggetti in acciaio inossidabile risulta tecnologicamente vincolata, o meglio obbligata, all'utilizzazione di un ben definito tipo di semilavorati metallici ed un analogo vincolo sussiste per quanto concerne le attrezzature e gli impianti per le relative lavorazioni.
La domanda posta in essere da questa impresa, con altre parole, risulta oggettivamente definita, nelle sue diverse manifestazioni quali quantitative, in ragione delle caratteristiche tecniche del rispettivo processo di produzione. Questo almeno con riferimento a quel determinato momento, poiché con il volgere del tempo potranno verificarsi dei mutamenti nell'oggetto e nelle modalità di attuazione della combinazione produttiva. Il soggetto preposto alla funzione di provvista, ovvero il titolare del ruolo di acquirente industriale, sarà tenuto a prenderne atto e ad agire per conseguenza, a prescindere dal fatto che egli abbia contemporaneamente contribuito alla determinazione degli obiettivi e delle caratteristiche dell'attività dell'ente.
Ciò significa che se l'azienda ha in programma di produrre un determinato tipo di articolo, gli acquisti corrispondenti dovranno essere effettuati in modo che quantità, termini di consegna, ecc. risultino quanto più possibile congruenti con il programma in questione. Il soggetto acquirente, pertanto, nell'adempiere ai propri compiti professionali, dovrà attenersi a criteri di decisione razionali ed oggettivi: approvvigionare “quella” qualità e non una qualità diversa, assicurarsi “quei” termini di consegna e non altri e così via.
I vincoli di coerenza ed i condizionamenti tecnici, che sono da vedere, occorre ribadirlo, in senso dinamico ed evolutivo, debbono essere posti in relazione non solo con il particolare oggetto del processo produttivo, ma altresì con le modalità secondo le quali esso viene espletato e che, a loro volta, dipenderanno da una quantità di fattori come la dimensione dell'impresa, lo stato di efficienza degli impianti, il grado di specializzazione della mano d'opera, ecc.
Due differenti imprese, pur dedicandosi al medesimo tipo di attività, potranno presentare, perciò, esigenze di approvvigionamento sotto vari aspetti non coincidenti e comunque si atterranno a criteri decisionali diversi, appunto in ragione della specifica conformazione economico-tecnica delle rispettive strutture produttive.
La destinazione dei beni industriali a successivi atti di produzione e di scambio impone tuttavia all'acquirente il rispetto di parametri altrettanto stretti sotto l'aspetto propriamente economico, in quanto tali beni dovranno rispondere a coerenti requisiti di prezzo, di termini di pagamento, ecc. Il soggetto dovrà quindi attenersi ad un razionale criterio di convenienza economica, non potendosi ammettere una decisione d'impresa che vada esente da una preventiva analisi, più o meno esplicita e rigorosa, circa la sua rispondenza in funzione degli obiettivi reddituali dell'impresa stessa. Per cui bisogna normalmente escludere che il cliente possa dar corso all'acquisto di un bene ad un prezzo tale da rendere non competitivo il prodotto che ne deriva. Anche sotto questo profilo, cioè, egli è tenuto a riferirsi ad una norma di comportamento oggettivamente definita.
Per approfondire le determinanti dei comportamenti di acquisto delle imprese occorre investigare, perciò, sugli obbiettivi che l'organizzazione, e per essa i soggetti preposti, si propone di conseguire attraverso tali beni, ovvero sulla natura e sulle modalità della loro partecipazione funzionale al processo di produzione. Si richiede, insomma, di indagare sui molteplici ed interdipendenti aspetti dell'insieme di condizioni e di vincoli economico-tecnici, ma al tempo stesso di potenzialità, che presiedono ed informano l'acquisto industriale, nella prospettiva di una interpretazione dinamica e creativa che permetta di recepire il senso e la portata degli incessanti, sempre più rapidi e complessi mutamenti indotti dal progresso tecnologico e dall'evoluzione delle situazioni di mercato.
Lo sviluppo dell'indagine secondo questa prospettiva è essenziale per l'azienda produttrice di beni industriali che intenda rendersi consapevole delle effettive motivazioni di acquisto della clientela, onde conferire alla propria politica di marketing un più avanzato orientamento e dotarla di una più coerente strumentazione.

I CRITERI DI ACQUISTO

Il comportamento dell'acquirente industriale è di tipo “task oriented”, ovvero finalizzato al conseguimento degli specifici obiettivi dell'impresa: il soggetto, infatti, agisce al fine di perseguire gli scopi di questa e non quelli suoi personali. E poiché gli scopi dell'organizzazione, in questo caso l'azienda industriale, riguardano in definitiva il conseguimento del profitto, egli dovrà comportarsi coerentemente con tale obiettivo e cioè improntato da un calcolo economico tendenzialmente razionale.
I criteri di acquisto degli acquirenti industriali si ricollegano in massima parte a considerazioni di natura economica, quali gli obiettivi di redditività, i vincoli di spesa e le analisi costi-benefici. Gli acquisti di beni industriali di norma sono quindi soggetti a valutazione in base ad elementi oggettivi ed a rendimenti quantificabili, e in tal senso le fondamentali variabili di decisione possono individuarsi, in prima approssimazione:
nel prezzo
nel livello qualitativo e
nei servizi caratterizzanti un determinato prodotto.

Con riferimento alle specifiche motivazioni concernenti la variabile prezzo occorre peraltro rilevare che le scelte delle aziende acquirenti assai di rado risultano condizionate in modo prioritario dai prezzi richiesti dalle unità offerenti, tendendosi in genere ad attribuire un maggiore significato al cosiddetto valore di acquisto, mediante il quale una data impresa considera con un indicatore sintetico il prezzo d'acquisto e il valore di altri elementi economici funzionali al bene, quali ad esempio il livello di affidabilità e di rendimento, il grado di adattabilità al sistema produttivo dell'acquirente, le modalità e i termini di pagamento, ecc. L'adozione del concetto di valore d'acquisto può quindi comportare che un certo prodotto presenti un prezzo di listino minore rispetto a similari soluzioni alternative, ma altresì configurare un insieme di costi addizionali, palesi o latenti, tali da indirizzare la decisione finale su altri fornitori.
Le precedenti osservazioni sembrano già ben evidenziare la rilevanza ricoperta negli acquisti industriali dalla variabile “qualità”, cioè dalla combinazione delle proprietà e degli attributi che consentono ad un definito bene di essere efficacemente destinato ad un predeterminato impiego.
Gli acquirenti industriali tendono infatti ad accertare che le proprietà e gli attributi dei prodotti da acquisire siano quanto più possibile conformi ai fabbisogni da soddisfare e per converso sono riluttanti ad adottare soluzioni con caratteristiche largamente superiori od inferiori a limiti di tolleranza giudicati normali, dovendo gli acquisti ottemperare a dati rapporti tra qualità e prezzo nell'ambito di vincoli di coerenza imposti dal sistema produttivo nel suo complesso. Da ciò consegue che anche un livello qualitativo eccedente gli standards prefissati può essere giustificato solo in determinate circostanze, cioè ad esempio quando si accerti che date proprietà si riflettono positivamente sui rendimenti o sulla durata di altri beni utilizzati nello stesso processo, oppure possano conseguirsi sensibili incrementi di valore del prodotto trasformato e così via.
La qualità più idonea del bene, insomma, non è detto corrisponda alla qualità migliore in senso assoluto: essa deve essere quella “giusta”. È stato fatto giustamente osservare, a riguardo, che molti beni industriali, sia di tipo intermedio che strumentale, non hanno incontrato il previsto successo presso gli utilizzatori in quanto “over-engineered” e cioè caratterizzati da qualità e prestazioni eccessive e perciò più costose, ovvero antieconomiche, in rapporto ai requisiti funzionali effettivamente richiesti.
Un particolare aspetto afferente alla qualità di prodotto è rappresentato dalla disponibilità di un'offerta con caratteristiche qualitative costanti, la cui importanza assume peculiare evidenza laddove i beni siano soggetti a riacquisto secondo prefissati obiettivi di mantenimento del livello delle scorte, come nel caso di forniture di parti, componenti, materiali, ecc.
La costanza dei caratteri qualitativi dell'offerta assicura in effetti notevoli vantaggi all'azienda acquirente, in quanto permette di ridurre i costi dei controlli; contribuisce a mantenere l'uniformità del prodotto trasformato; ed infine permette la formazione di scorte relativamente poco consistenti, sussistendo limitate possibilità di forniture non rispondenti ai requisiti previsti e pertanto atte a provocare interruzioni o rallentamenti dei processi di lavorazione. Queste affermazioni appaiono tanto più rilevanti se pensiamo all'avanzato grado di meccanizzazione e automazione che caratterizza i moderni processi produttivi i quali esigono non solo qualità elevate, ma anche e soprattutto qualità omogenee e costanti.
Congiuntamente al prezzo ed alla qualità, un ulteriore fattore influente sulle decisioni di acquisto è individuabile nel tipo e nel livello dei servizi funzionalmente connessi all'impiego di un prodotto, tra cui, in modo particolare: l'assistenza tecnica, la consulenza e l'aggiornamento tecnici; la manutenzione; le riparazioni e la sostituzione di parti. A parità di altre circostanze gli acquirenti tendono a privilegiare i fornitori in grado di garantire un'esecuzione affidabile e tempestiva di siffatti servizi connessi alla conservazione dei beni ed alla minimizzazione dei tempi di inattività forzata. In altre parole, la garanzia di una qualità idonea e costante risulta essenziale ai fini delle decisioni di acquisto, ma per dimostrarsi pienamente significativa occorre sia accompagnata da un servizio di assistenza tecnica che copra gli aspetti attinenti alle modalità di utilizzo del bene, alla sua sostituzione in caso di eventuali difetti, alle riparazioni in occasioni di guasti, ecc. Insomma, come già osservato, oggetto dell'acquisto non è tanto il bene in sé quanto piuttosto un “package” o meglio un sistema di prestazioni tecnico-economiche, compreso un supporto di engineering applicativo.
E evidente l'importanza che l'assistenza tecnica assume nel caso di beni come gli impianti ed i macchinari per i quali si rende appunto indispensabile un efficiente e tempestivo servizio di installazione e collaudo, di addestramento del personale, di manutenzione e riparazione, ecc. Non meno importante, tuttavia, risulta l'assistenza tecnica nel caso delle materie prime, dei semilavorati, dei componenti, ecc. in quanto il loro impiego nel processo di produzione comporta inevitabilmente problemi di messa a punto della qualità e di ottimizzazione dei cicli e dei rendimenti.
Occorre comunque sottolineare che l'assistenza da parte del fornitore deve intendersi non soltanto in termini di una serie di prestazioni episodiche, più o meno obbligatorie, e cioè strettamente connesse all'esecuzione del contratto relativo, ma piuttosto come una vera e propria consulenza sistematica e continuativa, ai fini del più economico e razionale impiego del bene sia nelle fasi della produzione che in quelle della commercializzazione e dell'impiego successivi.
Si potrebbe anche parlare, in proposito, di un parametro “informazione”, nel senso che l'acquirente industriale attribuisce una particolare importanza al tipo di assistenza che è possibile ricevere dal fornitore sotto questo profilo: informazioni specifiche sul prodotto, sulle sue modalità di utilizzazione ottimale, sui connessi sviluppi ed aggiornamenti tecnologici, ecc.
Più ancora, la collaborazione che l'utilizzatore si aspetta da parte dell'azienda fornitrice dovrà consistere nell'accertamento della natura dei problemi sottostanti al fabbisogno di acquisto e, quindi, nella prestazione dell'assistenza necessaria per risolverli nel modo più economico e razionale, ad esempio mettendo a punto idonee modifiche nei beni da fornire, sia che si tratti di attrezzature che di materiali, e cioè suggerendo all'acquirente stesso gli adattamenti da apportare alle rispettive strumentazioni e lavorazioni, onde ottimizzarne i rendimenti o comunque migliorare le prestazioni qualitative dei prodotti da collocare sul mercato.
Indubbiamente la somministrazione di un siffatto “concept” di servizio pone a carico del fornitore notevoli problemi di preparazione e qualificazione del personale di vendita, e più ancora di riorganizzazione dell'intera funzione di marketing, ma risulta certamente premiante in termini di preferenza e di fedeltà da parte del cliente.
L'importanza del fattore “assistenza” tende ad aumentare non solo con il sempre più elevato grado di contenuto tecnologico del bene oggetto di acquisizione il quale, a sua volta, si evolve e si innalza di pari passo con il progresso scientifico ed industriale, ma soprattutto perché le più avanzate politiche di acquisto, nella prospettiva di un vero e proprio “buying concept”, tendono a privilegiare, come già osservato, l'aspetto sistemico ed integrato della fornitura e cioè del bene visto in un contesto di servizi materiali ed immateriali.
Accanto al prezzo, alla qualità e ai servizi, vi sono altri elementi che vengono presi in considerazione dall'acquirente industriale.
Il cliente industriale attribuisce una particolare importanza alle modalità di consegna e ciò nell'aspetto sia della continuità e regolarità che della tempestività e rapidità. I processi di produzione si svolgono oggigiorno in base a programmi predisposti con un elevato grado di precisione e di rigidità per cui il rispetto dei tempi e delle modalità di fornitura dei vari tipi di materiali, o delle attrezzature, diviene non meno essenziale della loro rispondenza qualitativa. L'acquirente, soprattutto, tenderà a ricercare nel fornitore una garanzia di affidabilità, nel senso di poter contare sulla fonte in qualsiasi circostanza, ed in particolare in quelle eccezionali, in modo da evitare il rischio di interruzioni improvvise nei rifornimenti, quale possa esserne la ragione, insomma di trovarsi repentinamente in carenza dei materiali indispensabili per l'alimentazione del processo produttivo, di un pezzo di ricambio per una macchina essenziale, e così via. Sotto questo profilo l'acquirente che sa di poter fare affidamento sul fornitore di fiducia, anche in situazioni particolarmente difficili, finisce col trovarsi legato in un rapporto molto stretto, nell'ambito del quale le considerazioni di prezzo possono assumere una logica diversa, in quanto la garanzia di rifornimenti certi e regolari, potrà essere ripagata con un prezzo anche superiore a quello ottenibile presso fonti alternative.
Il fattore consegne, oltre ché nel caso dei materiali e delle forniture, risulta altrettanto importante anche a proposito degli impianti e delle attrezzature: si può facilmente comprendere, infatti, quali riflessi negativi possa avere sull'economia della produzione il ritardo nell'arrivo di una nuova macchina, il prolungarsi della messa a punto di un impianto, una riparazione non tempestiva, ecc.
Ne consegue che nella pratica di acquisto sono normali i casi in cui questo fattore può far premio sugli altri parametri, come ad esempio quello del prezzo; comunque esso costituirà un elemento critico di valutazione ai fini delle preferenze da riservare ai fornitori.
La reputazione del fornitore, ovvero il prestigio e la considerazione di cui egli gode agli occhi dell'acquirente, costituisce un fattore preferenziale di notevole rilevanza.
Non c'è dubbio che il compratore venga favorevolmente influenzato dalla buona reputazione del fornitore, mentre è altrettanto presumibile che una cattiva reputazione abbia su di lui un effetto esattamente contrario, addirittura al punto da indurlo a rinunciare, prima ancora di aver preso in considerazione i vari parametri oggettivi di acquisto, alla possibilità di usufruire della fonte di rifornimento in questione.
Il punto da considerare, peraltro, non riguarda tanto il differente significato di una buona o cattiva reputazione, essendo comprensibile l'effetto deterrente di quest'ultima, ma interessa piuttosto l'eventualità che il fattore connesso con il prestigio e la credibilità del fornitore possa sovrapporsi, ed in questo caso in quale misura, ai criteri oggettivi di acquisto prima citati. È ovvio che a parità di condizioni l'acquirente preferirà il fornitore di maggior reputazione in quanto tale reputazione, in definitiva, non potrà che trovare riscontro in elementi concreti e tangibili quali l'importanza, la dimensione, la serietà, la tradizione, la correttezza commerciale dell'impresa fornitrice, insomma la sua affidabilità, oltre ché nella relativa immagine: in questo senso l'acquirente le attribuirà un significato obiettivo e razionale.
La reputazione del fornitore, tra l'altro, può assumere una importanza specifica per il cliente, allorquando tale immagine si trasferisca, più o meno direttamente, nel prodotto da questi fabbricato, qualificandolo e valorizzandolo agli occhi dei successivi destinatari; in un caso del genere, nella pratica assai frequente, la reputazione del fornitore assume un suo concreto valore economico, al pari della qualità, del servizio, ecc.
Ma nelle situazioni in cui questa parità di condizioni viene a mancare, che sono poi quelle normalmente ricorrenti, l'acquirente può trovarsi di fronte ad alternative di approvvigionamento suscettibili di una diversa produttività economico-tecnica. Ad esempio un primo fornitore dotato di grande reputazione, però con quotazioni più elevate ed una seconda fonte, invece, non altrettanto prestigiosa, ma, a parità di qualità e di servizio, maggiormente economica in fatto di prezzi e di condizioni di pagamento. Si tratterà, allora, di vedere fino a che punto, o meglio sino a quale differenza di prezzo, il compratore sarà disposto ad arrivare pur di non venir meno alla sua propensione nei confronti del fornitore più rinomato.
In altre parole, occorrerà verificare la reale portata della reputazione e la misura in cui la sua considerazione da parte dell'acquirente può portare ad una modificazione delle scelte che sulla base di rigide valutazioni di prezzo, qualità, servizio, ecc., verrebbero invece fatte diversamente.
Indubbiamente si tratta di un aspetto del comportamento di acquisto industriale che merita attenzione e sul quale diversi autori hanno accentrato la loro attenzione. Ci si limita in questa sede a ricordare lo studio di Levitt (1965). Questa indagine, nel fornire un prezioso contributo alla conoscenza dei problemi della comunicazione nei processi di acquisto industriale, ha confermato l'importanza che il compratore attribuisce alla reputazione ed al prestigio del fornitore e cioè al cosiddetto effetto della fonte (source effect). Si è cioè constatato che, in linea generale, la buona reputazione del fornitore favorisce l'accoglimento di un nuovo prodotto da parte dell'acquirente, insomma che il prestigio dell'azienda produttrice influenza positivamente le decisioni di acquisto. L'indagine ha altresì messo in evidenza come tale influenza vari in funzione del tipo di soggetto coinvolto e, quindi, del relativo grado di competenza tecnica: in particolare è risultato che gli incaricati delle funzioni tecnico-produttive, ingegneri, chimici, ecc., si dimostrano più sensibili al fattore reputazione che non gli addetti agli uffici acquisti.
Un ulteriore, importante criterio di acquisto, quello della reciprocità, consiste nel riservare una certa preferenza a quei fornitori che sono al tempo stesso clienti dell'impresa. Si tratta di una prassi abbastanza diffusa che si integra e si sovrappone, ma fino ad un certo punto, ai normali criteri di approvvigionamento.
In effetti la reciprocità trova giustificazione in un calcolo di convenienza economica che si colloca al di là di quello inerente la specifica situazione. Ciò nel senso che anche l'acquisto effettuato presso un fornitore-cliente a condizioni oggettivamente meno favorevoli di quelle altrimenti reperibili sul mercato, può dimostrarsi del tutto razionale, sotto un profilo più generale, in quanto consenta di dar luogo ad una vendita ritenuta particolarmente significativa e conveniente nei confronti dello stesso nominativo da cui si è comperato. Ma proprio perché la reciprocità, come criterio di acquisto, trova la sua ragion d'essere in valutazioni di più ampio contenuto, le scelte e le responsabilità relative, più che ai soggetti direttamente preposti all'approvvigionamento, competeranno all'alta direzione.
Il corretto impiego del criterio della reciprocità presuppone una chiara consapevolezza, oltre ché dei reali vantaggi che essa può apportare all'economia dell'acquisto e della gestione dell'impresa più in generale, vantaggi spesso non facili a determinarsi, anche dei possibili aspetti negativi. In particolare occorrerà porsi al riparo dell'eventualità che il fornitore-cliente, ritenendosi relativamente protetto dalla preferenza riservatagli dall'acquirente, proprio per tale sua qualità, possa lasciar deteriorare il rispettivo grado di competitività e ciò sia con riguardo al prezzo che alla puntualità nelle consegne, alla qualità, ecc.
C'è anche da osservare che se da una parte il compratore considera con favore la possibilità di approvvigionarsi presso un fornitore che sia anche suo cliente, dall'altra guarderà invece negativamente ad un fornitore che operi altresì come concorrente. Potrebbe essere il caso di una ditta che produce un certo tipo di semilavorati e che in parte li lavora in proprio, fabbricando il medesimo tipo di articoli dei clienti che utilizzano tali suoi semilavorati.
L'acquisto dei beni industriali in regime di reciprocità può risultare, almeno in determinati settori, relativamente diffuso; la circostanza, sotto un profilo generale, è importante da verificare allo scopo di quantificare la dimensione del mercato effettivamente “libera” e cioè non sottoposta a questa particolare condizione.
Va altresì messo in evidenza che una certa aliquota di acquisti può essere effettuata in relazione al vincolo posto dall'appartenenza del cliente e del fornitore allo stesso gruppo industriale. Una situazione del genere potrà dar luogo ad un rapporto privilegiato in quanto il criterio di acquisto prevalente verrà ad essere rappresentato dalla preferenza accordata al fornitore che fa parte del medesimo gruppo. I rimanenti parametri, pertanto, verranno a trovarsi in una posizione di relativa subordinazione e ne risulteranno sacrificati, almeno in una certa misura. Nel senso che l'acquirente potrà essere obbligato a corrispondere un prezzo superiore a quello spuntabile presso altri fornitori; non oltre però un determinato margine, onde non pregiudicare irrimediabilmente la competitività della propria produzione.
Le motivazioni degli acquirenti industriali — oltre che da una ricerca delle combinazione “ottimale relativa” tra i parametri precedenti — discendono talora da particolari cause, tra cui pare opportuno, in conclusione, citare:
— il manifestarsi di specifiche condizioni di mercato e/o di situazioni congiunturali atte a favorire od a rallentare l'acquisto di determinati beni. In periodi caratterizzati da forti oscillazioni dei prezzi le imprese possono infatti essere indotte ad anticipare o ritardare definiti acquisti e ad adottare contingenti comportamenti di acquisizione relativamente ai prezzi, alle quantità ed agli standards qualitativi;
— l'esistenza di accordi o di normative vincolanti le scelte di acquisto. Tipici esempi in proposito sono individuabili, rispettivamente, nei cosiddetti accordi di reciprocità, e nelle norme che regolano le forniture ad imprese ed enti pubblici, i quali effettuano in genere i propri acquisti mediante appalti con offerte in busta chiusa, in cui si prevedono: precisi capitolati per le caratteristiche del bene, il prezzo ed i servizi accessori; un prefissato termine di partecipazione, che comunque esclude qualsiasi attività di negoziazione; il conferimento di adeguati depositi cauzionali, onde escludere partecipanti sprovvisti di appropriate garanzie finanziarie; ecc. Accordi, norme e disposizioni che nel loro complesso ottemperano quindi a definiti obblighi, ma di rado consentono di assegnare un ruolo prioritario alla combinazione ottimale di qualità, prezzo e servizi;
— l'influenza esercitata da fattori psicologici individuali, quali il prestigio, l'avvaloramento dello status personale e funzionale, le convinzioni soggettive, ecc. Secondo talune opinioni, in effetti, lo studio delle motivazioni d'acquisto industriale non può prescindere dai fattori psicologici, riconoscendo a tali fattori la possibilità di condizionare le scelte dei centri di acquisto; a nostro avviso, tuttavia, le componenti soggettive e di tipo emotivo sembrano disporre di un ambito assai ridotto relativamente agli acquisti dei beni industriali e comunque tale da non influire sensibilmente sulle valutazioni economiche e tecniche esprimibili da strutture organizzative formalizzate.

L'OTTIMIZZAZIONE DEI CRITERI DI ACQUISTO

L'acquirente industriale, come si è visto, risulta responsabile di una funzione aziendale di carattere essenziale, una funzione i cui obiettivi possono essere sintetizzati nel senso di “approvvigionare i beni necessari all'impresa nella giusta qualità e quantità, nel momento ed ai prezzi giusti, presso Il fornitore giusto e con termini di consegna appropriati.
Si tratta, cioè, di combinare ed integrare le differenti variabili di acquisto, attraverso un vero e proprio dosaggio quali-quantitativo che corrisponda tendenzialmente a livelli ottimali di funzionalità economico-tecnica.
In ordine alla ottimizzazione del mix risulta molto efficace il ricorso alle tecniche cosiddette della “vendor analysis”, della “value analysis” e di valutazione di offerte alternative, di cui compete soprattutto al responsabile degli acquisti promuovere la concreta applicazione, nel contesto di un approccio interfunzionale. È molto importante che l'azienda offerente realizzi il ruolo che queste procedure possono assumere nell'ambito dei processi di acquisto e si adoperi pertanto, coerentemente con un avanzato concetto di proiezione sul mercato, per collaborare in modo fattivo con la clientela ai fini della loro implementazione, collaborazione di cui verrà certamente ripagata attraverso una considerazione preferenziale da parte dello stesso acquirente.

Vendor analysis
Con riferimento alla analisi del fornitore o “vendor analysis”, questa consiste sostanzialmente in una procedura formale di valutazione e comparazione dei vari fornitori dell'impresa in termini di qualità, servizio, ecc. In pratica si tratta di attribuire una vera e propria votazione, secondo una scala prestabilita, a ciascuna fonte di rifornimento al fine di costruire una graduatoria utilizzabile in sede di successive scelte.
Le analisi e le valutazioni previste da questa procedura riguardano, anzitutto, le più generali capacità e possibilità tecniche e produttive del fornitore, ma altresì quelle economiche, finanziarie e manageriali. Attraverso specifici parametri si misureranno, invece, le prestazioni dell'impresa fornitrice negli aspetti riguardanti qualità, consegne, servizio, prezzo, ecc. L'applicazione di una tecnica siffatta richiede, pertanto, la costituzione di un archivio o schedario dei fornitori, ovvero l'accensione di tante posizioni informative quante sono le fonti di approvvigionamento attuali o potenziali, con opportune classificazioni riferite a criteri di natura merceologica, geografica, ecc.
Tali posizioni, oltre alle notizie di carattere generale sull'impresa fornitrice (ragione sociale, gruppo di appartenenza, capitale, stabilimenti, numero dei dipendenti, ecc.) accoglieranno informazioni dettagliate sulle attrezzature produttive e di ricerca (stabilimenti, reparti, laboratori di ricerca, ecc., con indicazioni circa i tipi di impianti e macchinari installati), sulle classi di produzioni, sulle relative capacità, ecc. L'acquirente, inoltre, cercherà di rendersi conto direttamente di questi aspetti, attraverso visite e sopralluoghi presso il fornitore, eventualmente per mezzo di apposite commissioni costituite da personale tecnico e amministrativo.
Particolarmente attenti si dimostrano, a questo proposito, gli enti ed organizzazioni, nazionali o internazionali, preposti a funzioni ispettive, di verifica e controllo. Un cliente che affidi una certa commessa ad un determinato fabbricante potrà prescrivere, a seconda dei casi, un intervento ispettivo e di collaudo da parte di un ente internazionale, il quale richiederà normalmente di effettuare una visita ai reparti di produzione, di prendere visione del ciclo di lavoro, della qualità dei materiali impiegati, dei metodi di collaudo, ecc. Lo stesso nel caso venga richiesta da parte del fabbricante l'autorizzazione all'uso di uno specifico marchio di qualità. Il punto acquista poi un particolare significato a proposito dell'instaurazione di un rapporto di sub-fornitura, dato che l'impresa committente vorrà di solito rendersi conto delle capacità e delle attrezzature produttive della controparte.
Alle posizioni informative accese ai vari fornitori affluiranno una serie di rapporti, comunicazioni e dati provenienti dai diversi reparti e servizi interessati all'utilizzazione del bene (magazzini, laboratori, reparti di produzione e di collaudo, servizi logistici e commerciali, ecc.) e riguardanti, appunto, la rispondenza delle varie partite o lotti in termini di qualità, consegne, ecc.
L'idoneità qualitativa, ad esempio, verrà misurata considerando le percentuali di scarto riscontrate sia in sede di ricezione dei materiali, sia in occasione della loro successiva lavorazione o utilizzazione. Le consegne, ovviamente, in funzione della puntualità e cioè dell'eventuale ritardo rispetto ai termini concordati. Si terrà anche conto della rispondenza delle forniture alle quantità pattuite; sono infatti frequenti i casi in cui il fornitore, anziché procedere alla consegna in un'unica soluzione, come stabilito al momento dell'ordinazione, effettua delle spedizioni parziali, controproducenti ai fini della regolare alimentazione dei cicli produttivi.
Per quanto concerne i diversi aspetti del servizio amministrativo e di assistenza tecnica, la misurazione del grado di efficienza del fornitore verrà fatta con riferimento ad una gamma di fattori quali: tempestività nel riscontro delle richieste di quotazione, assistenza diretta ed indiretta da parte del personale di vendita, assistenza e collaborazione tecnica e di engineering applicativo, definizione degli eventuali reclami di qualità, rapidità e precisione nell'emissione della documentazione tecnica, commerciale e contabile (bollettini e certificati di collaudo, istruzioni di impiego, conferme d'ordine, documenti di spedizione, fatture, estratti conto, ecc.).
La valutazione e, quindi, la comparazione delle varie fonti di fornitura in funzione dei parametri prima considerati può essere impostata sulla base di metodi più o meno articolati. Quello più semplice prevede la formulazione di giudizi e l'attribuzione di valutazioni comparative circa le prestazioni di volta in volta effettuate dai diversi fornitori, in termini qualitativi e descrittivi, comunque non quantitativi. Trattandosi di valutazioni soggettive è evidente che esse risulteranno tanto più pertinenti quanto maggiore sarà l'esperienza, la capacità ed il senso critico della persona che ne è incaricata.
Per quanto approssimativa, una procedura del genere potrà fornire un risultato pratico soddisfacente e, comunque, rispondere ad una esigenza minima di sistematicità costituendo, al tempo stesso, la base per ulteriori approfondimenti. Questa impostazione ha soprattutto il pregio della semplicità e del ridotto impegno amministrativo, ma dovrà pur sempre rispettare un certo grado di formalizzazione trattandosi, in definitiva, di dare avvio ad un vero e proprio sistema informativo, anche se semplificato.
È inoltre possibile far uso di metodi quantitativi più precisi e sistematici, variamente strutturati, ma sostanzialmente basati su di una procedura di attribuzione di un punteggio, singolo e composito, alle varie classi di prestazioni dell'impresa fornitrice.

L'analisi del valore
Si è già accennato che la qualità del bene industriale, ovvero la sua “performance” in termini fisico-chimici, meccanici, estetici, ecc., deve essere considerata in funzione dell'uso cui il bene stesso risulta destinato e che nel medesimo senso deve esserne valutata l'economicità.
Con altre parole è necessario che il bene industriale presenti la qualità “giusta” e cioè non inferiore, ma neppure superiore, rispetto ad uno standard oggettivamente determinato. Una qualità inferiore non può essere giustificata da un eventuale risparmio sul prezzo di acquisto, come pure una qualità superiore non giustifica, a sua volta, la corresponsione di un prezzo più elevato. L'impresa sostiene un costo per procurarsi una determinata prestazione funzionale ed è pertanto logico attendersi che essa intenda beneficiarne pienamente, usufruendo in maniera integrale del relativo valore economico: se così non fosse il costo medesimo non troverebbe, se non parzialmente, la sua giustificazione.
Occorrerà definire, pertanto, quali sono le precise prestazioni cui il bene oggetto di acquisto deve adempiere, ovvero la qualità che esso deve presentare nei suoi diversi aspetti, per porre poi tali requisiti in correlazione con il prezzo. Ad esempio un accessorio di un'automobile suscettibile di una durata pari a 20 anni presenta, evidentemente, uno standard qualitativo eccessivamente elevato, e cioè praticamente superfluo ed al tempo stesso economicamente ingiustificato, qualora risulti destinato ad un tipo di autovettura la cui vita media si aggiri, invece, sui 10 anni.
Attraverso l'analisi del valore si tratterà, appunto, di definire con criteri oggettivi e razionali quale sia la giusta qualità che il bene deve possedere in relazione alle prestazioni richiestegli, di modo che il costo sostenuto per la sua acquisizione trovi la piena remunerazione, ovvero una completa reintegrazione attraverso l'utilizzazione del bene medesimo. Occorrerà pertanto procedere ad un completo ed approfondito riesame delle sue caratteristiche e dei suoi requisiti e ad una loro ridefinizione e riprogettazione, in funzione delle prestazioni richieste che, evidentemente, dovranno essere oggetto di un altrettanto preciso esame.
L'analisi del valore passa attraverso due fasi principali:
— revisione sistematica delle specifiche tecniche del bene;
— identificazione ed eliminazione, o riduzione, di tutte le cause di costi superflui.
Con la prima fase si tratterà di stabilire, come già accennato, quale sia la esatta funzione economico-tecnica del bene da acquistare e quali, perciò, le caratteristiche qualitative, o specifiche tecniche, cui deve rispondere, individuando, in particolare, il contributo che esso deve arrecare al prodotto dell'impresa e giudicando, per conseguenza, se il prezzo di acquisto risulti in questo senso giustificato.
Con la seconda fase si cercherà, invece, di identificare quali possono essere le eventuali modifiche tecniche da apportare al bene stesso, in modo che possa egualmente rispondere alle prestazioni stabilite, sia sotto il profilo funzionale che estetico, ma in termini di maggiore economicità e cioè con un costo di acquisto, o di lavorazione, oppure di utilizzazione, inferiori. In tal senso si potrà arrivare non alla semplice modifica del bene, ma alla sua sostituzione con un nuovo tipo di prodotto.
Il procedimento dell'analisi del valore porterà, pertanto, alla sostituzione di prodotti non standardizzati con prodotti standard, alla riduzione di spessori e dimensioni, alla revisione delle tolleranze e delle finiture, alla modificazione delle materie prime e dei materiali costitutivi, ecc.; con altre parole alla rielaborazione dei progetti tecnici e delle specifiche di acquisto, come pure dei relativi cicli di lavorazione.
Non si tratterà, peraltro, di acquistare un prodotto di qualità e di prezzo inferiori, come in qualche caso potrebbe superficialmente apparire, bensì di correlare razionalmente standard qualitativi e prestazioni in funzione del costo. Per cui potrà anche risultare conveniente l'acquisto di un prodotto di prezzo più elevato, se le economie connesse alle sue prestazioni lo giustificano.
Un aspetto particolare di questa tecnica può riguardare l'analisi del prezzo. Si cercherà, cioè, di identificare quanto viene a costare al fornitore la produzione del bene oggetto di acquisto e, conseguentemente, procedere a delle valutazioni sul prezzo “giusto” che si ritiene di poter riconoscere in suo favore con indubbi vantaggi a livello di negoziazione. Qualora la quotazione praticata dal fornitore venisse giudicata troppo elevata e, quindi, obiettivamente ingiustificata, si potrà dar corso all'esame della eventualità non solo di rivolgersi a fonti alternative di rifornimento, ma addirittura di produrre direttamente.
L'applicazione dell'analisi del valore ai numerosissimi articoli normalmente approvvigionati da una impresa industriale offre motivi di grande interesse sia nell'aspetto tecnico che economico. L'acquirente che si avvalga delle tecniche dell'analisi del valore potrà impostare ed intrattenere con il proprio fornitore un rapporto che presuppone una cooperazione che va molto oltre quella di tipo tradizionale. Il concetto dell'assistenza tecnica assume, proprio in questa prospettiva dell'analisi del valore che le due parti possono portare avanti in collaborazione, un significato più ampio e sostanziale.

La valutazione di offerte alternative
Una fondamentale attività dei responsabili degli acquisti industriali consiste nell'identificare i criteri di valutazione utilizzabili nelle varie circostanze per scegliere, tra offerte alternative, la soluzione ritenuta più idonea a soddisfare definiti fabbisogni.
In proposito occorre innanzi tutto osservare che le aziende offerenti non di rado tendono a relegare siffatti processi di valutazione nell'ambito ristretto delle difformi combinazioni del prezzo, della qualità e delle modalità di esecuzione, imputando alle singole variabili una rilevanza variamente critica nelle diverse situazioni di vendita. Da questa impostazione discende che le sensibili differenze di efficacia dell'approccio di marketing adottato, talora riscontrabili in concreto con riguardo a distinte tipologie di organizzazioni acquirenti, di norma siano attribuite a carenze operative connesse alla limitata capacità delle imprese offerenti di assegnare corrette priorità agli elementi commerciali e di pro dotto, in coerenza con le esigenze delle aziende acquirenti. Tale comportamento, localizzando l'attenzione sui fattori esplicitamente economici dell'offerta, in realtà trascura che nella valutazione di soluzioni alternative possono sussistere criteri diversi da prezzo, qualità ed affidabilità di esecuzione, ma altrettanto influenti sulle decisioni di scelta e pertanto utili ad orientare proficuamente le strategie di marketing.
In effetti, le organizzazioni acquirenti tendono ad effettuare strette comparazioni economiche, incentrate sui principali elementi oggettivi che qualificano le varie soluzioni, quando certi fabbisogni possono essere soddisfatti da beni caratterizzati da consistenti negoziazioni di mercato, condotte sulla base di standards ufficiali o di specifiche generalmente note ed accettate. Al contrario, quando le esigenze aziendali evidenziano spiccati caratteri di unicità per cui si richiedono peculiari elaborazioni progettuali, congrui periodi di tempo di approvvigionamento e approfondite verifiche di validità, l'analisi di offerte alternative mira ad individuare il valore differenziale di beni atti ad assolvere definite funzioni, considerando gli elementi economici espliciti delle singole offerte congiuntamente alle varie capacità ed opportunità caratterizzanti le singole aziende offerenti.
Una corretta valutazione dei vantaggi ottenibili nelle diverse circostanze non può prescindere da un'analisi del rischio attribuito alle possibili alternative. Ogni decisione di acquisto presenta infatti un rischio percepito di varia intensità, fondamentalmente costituito dalle incertezze connesse da un lato ai risultati ottenibili e dall'altro alle possibili conseguenze. Con riferimento alle diverse componenti di rischio percepito si può in particolare osservare che la capacità di stimare gli eventuali aspetti negativi associati a determinate decisioni di acquisto tende ad evidenziare differenti livelli di incertezza in relazione all'approfondimento della conoscenza delle esigenze aziendali da soddisfare, all'entità dell'investimento richiesto dalle varie alternative, nonché ai rapporti ed agli elementi d'influenza eventualmente esistenti tra potenziali aziende offerenti e clienti attuali e/o potenziali; per converso, i fattori di incertezza circa le conseguenze delle decisioni da assumere si connettono alla valutazione degli effetti sul sistema produttivo e sulla domanda aziendale del prodotto trasformato.
Quanto sopra esposto consente di rilevare che il rischio percepito dalle organizzazioni acquirenti, in relazione all'adozione di un dato bene o servizio, tende ad essere tanto più elevato quanto minore risulta l'affidabilità di previsione dei risultati sperati e delle conseguenze attese. Il concetto di rischio percepito trova quindi uno specifico ambito applicativo allorché un acquirente industriale consideri l'opportunità di sperimentare soluzioni alternative relativamente ad un definito problema ed assume un significato pregnante quando il processo decisionale perviene allo studio di analisi del rischio, in cui si identificano e si qualificano in termini di probabilità di accadimento gli elementi positivi e negativi attinenti alle singole alternative.
La limitazione dell'incertezza nelle decisioni di acquisto può essere concretamente conseguita mediante l'acquisizione e la successiva interpretazione di idonei elementi conoscitivi, atti a consentire un'analisi comparata di differenti opportunità, in base a criteri di natura economica o tecnica, finalizzati al conseguimento degli obiettivi aziendali. Una esemplificazione degli elementi conoscitivi utilizzabili per il confronto di offerte alternative è costituita dallo schema generale indicato nella tabella seguente in cui si individuano i seguenti criteri di valutazione: caratteristiche generali dell'azienda offerente; opportunità di rapporti di collaborazione con particolari unità; aspetti economici dell'offerta; capacità progettuali, tecniche e produttive dei potenziali fornitori; caratteristiche operative dell'azienda offerente. Come si evince dalla stessa tabella, i vari criteri si articolano a loro volta in molteplici attributi, che rappresentano i fattori di valutazione operativamente adottabili in esami comparativi.

CARATTERISTICHE GENERALI AZIENDA OFFERENTE
- Capacità responsabili funzionale
- Organizzazione aziendale
- Aggiornamento tecnologico e produttivo
- Notorietà/immagine aziendale
- Solidarietà finanziaria
- Atteggiamento verso aziende acquirenti di dimensioni diverse
- Comportamento nella soluzione di controversie
- Dimensioni aziendali
OPPORTUNITÀ DI RAPPORTO
- Risultati ed esperienza acquisiti in precedenti rapporti
- Immagine del prodotto
- Disponibilità di know-how, brevetti, licenze
- Localizzazione geografica
- Prestigio azienda offerente
- Miglioramento status azienda acquirente
- Rapporti di amicizia
ASPETTI ECONOMICI DELL'OFFERTA
- Prezzo
- Qualità
- Modalità e affidabilità consegna
- Sconti di quantità, cumulativi, ecc.
- Condizioni di pagamento
- Analisi del prezzo per funzione progettuale
- Analisi del prezzo per fasi avanzamento lavoro
CAPACITA PROGETTUALI
- Concettualizzazione obiettivi e vincoli progettuali
- Determinazione elementi di ricerca
- Organizzazione progettuale
- Definizione fasi operative
- Determinazione tempi esecuzione
- Possibilità di intervento su risultati intermedi
- Project Managers
CAPACITA' TECNICHE E PRODUTTIVE
- Approccio e sviluppo progettuale
- Originalità soluzioni tecniche
- Tipologia impianti produttivi
- Sistemi di controllo
- Programmi di verifica
- Capacità ed esperienza tecnica del personale
- Affidabilità realizzativa anche per eventuali contratti di subappalto
CARATTERISTICHE OPERATIVE AZIENDALI
- Assistenza e consulenza tecnica
- Programmi di formazione del personale
- Disponibilità a sottoporre quotazioni
- Servizi di manutenzione
- Flussi informativi
- Concessione finanziamento, crediti per scarti, ecc.
- Flessibilità operativa

In determinate situazioni aziendali e di mercato, i responsabili degli acquisti possono concentrare l'analisi su un ristretto numero di attributi, in genere di natura strettamente economica, ed acquisire peraltro elementi sufficienti ad orientare proficuamente il processo decisionale. La possibilità di effettuare valutazioni approfondite è in effetti assai limitata quando sussistono accordi di reciprocità, oppure allorché si debbano acquistare beni con peculiari elementi progettuali protetti da brevetti ovvero in quantità talmente ridotte da non giustificare l'impegno necessario per effettuare indagini e comparazioni anche moderatamente dettagliate.
Altre sostanziali limitazioni al processo di selezione possono manifestarsi quando l'offerta di un dato bene è regolata da contrattazioni rigide e da sistemi di vendita sostanzialmente uniformi; condizioni che non di rado inducono ad enfatizzare — quali fattori determinanti della scelta finale — attributi cui normalmente si assegnerebbe un'importanza di livello intermedio, o addirittura assai modesto. In effetti, nei casi in cui le aziende offerenti operino in condizioni oligopolistiche e con politiche di marketing sufficientemente standardizzate, la sostanziale equivalenza degli elementi economici di base talvolta induce le organizzazioni acquirenti ad assegnare un ruolo discriminante ad attributi “secondari”, quali la notorietà, la solidità finanziaria, la disponibilità a fornire quotazioni, il flusso di informazioni ecc.

LE VARIABILI SOGGETTIVE

Il comportamento dell'acquirente industriale è stato finora spiegato in termini di motivazioni organizzative, ovvero come esplicantesi in rapporto a criteri di giudizio e di scelta oggettivi e razionali.
Il cliente industriale, tuttavia, non può essere considerato soltanto alla stregua di un perfetto homo oeconomicus, e cioè di un funzionario burocratico che si comporta esattamente secondo quanto richiesto dall'organizzazione. In realtà anche se agisce non per conto proprio, ma come portatore degli interessi dell'azienda rappresentata, egli si identifica pur sempre con una persona specifica, una persona dotata di un certo bagaglio psicofisiologico del quale è inevitabile venga utilizzato un qualche elemento. Ne deriva che le esigenze impersonali dell'organizzazione possono entrare in conflitto con quelle individuali del soggetto e ciò soprattutto nel senso di un contrasto tra l'oggettività e la razionalità di comportamento richieste dalla prima e la soddisfazione psico-fisiologica ricercata dal secondo.
Invero, il modo di percepire ed interpretare il ruolo di acquirente industriale varia a seconda della persona coinvolta, per cui il processo di presa di cognizione degli elementi che caratterizzano la situazione e, quindi, l'assunzione delle relative decisioni va posto in correlazione con delle variabili di natura soggettiva: competerà al singolo individuo, infatti, interpretare i termini effettivi della situazione di acquisto e dare poi una coerente esecuzione ai suoi contenuti.
Il comportamento di acquisto delle specifiche persone, anche se al limite si espletasse in relazione ad identiche condizioni oggettive ed in funzione delle stesse norme decisionali, risulterebbe pertanto difforme da caso a caso. Con altre parole, soggetti diversi chiamati ad agire in risposta ad un medesimo insieme di circostanze tenderanno a comportarsi in maniera non coincidente, proprio perché varierà a seconda dei singoli individui il modo di intendere e, quindi, di espletare il relativo ruolo organizzativo. Tutto ciò non toglie, tuttavia, che tale comportamento si mantenga improntato dai criteri di razionalità in precedenza considerati, salvo gli scostamenti appunto dovuti alla diversa interpretazione soggettiva della specifica situazione.
Ne consegue che le variabili psicologiche assumeranno un'importanza tanto maggiore quanto più quelle di carattere oggettivo tenderanno a presentarsi su di un piano di relativo allineamento. Questo significa che nel caso le alternative di fornitura risultino praticamente equivalenti in termini di qualità, di prezzo, di servizio, ecc., la scelta relativa, non potendo più essere riferita, o meglio non completamente, a criteri esclusivamente oggettivi e professionali, risulterà influenzata soprattutto da elementi a sfondo psicologico soggettivo e cioè da variabili del tipo “non-task oriented”.
L'individuo, in sostanza, introduce nel comportamento professionale elementi attinenti alla propria sfera psicologica, ovvero atteggiamenti ed aspettative personali di significato ed intensità diversi. In effetti egli si caratterizza per una precisa estrazione sociale, un determinato livello culturale, una scala di valori, un particolare stile di vita, ecc., elementi che non potranno non riflettersi sul suo comportamento in seno all'organizzazione.
Il concetto di acquirente industriale, quindi, non può essere totalmente disancorato, come si potrebbe in un primo momento supporre, da quello della singola persona che materialmente lo esprime e ciò per la impossibilità del soggetto di estraniarsi dalla sua matrice psico-fisiologica.
L'acquirente dei beni di produzione, insomma, non è soltanto un professionista dell'acquisto, uno specialista imparziale ed impersonale che agisce unicamente in funzione di criteri oggettivi e razionali, ma rappresenta altresì un individuo con un suo particolare bagaglio psicologico, un individuo che, per di più, opera nel contesto di una organizzazione dalle cui strutture non può non essere condizionato. Un soggetto che risulta pertanto sottoposto a motivazioni di ruolo, e cioè organizzative, ma al tempo stesso a motivazioni di natura personale.

I principali tipi di variabili soggettive
L'immagine dell'impresa fornitrice o del prodotto possono avere una precisa influenza sull'acquirente che, infatti, sarà portato ad indirizzare le sue scelte in una certa direzione piuttosto che in un'altra in funzione di atteggiamenti e predisposizioni di natura personale e perciò anche a carattere emotivo. È inoltre probabile che egli cerchi poi di attribuire a questo suo comportamento a sfondo psicologico una giustificazione tendenzialmente oggettiva e razionale.
Questo può valere, ad esempio, per il luogo di provenienza del prodotto o del fornitore, in quanto il nome di una particolare località, o di un certo stato estero, è suscettibile di determinare nell'acquirente, a prescindere dalla realtà dei fatti, una reazione più o meno favorevole. Così è presumibile che il soggetto propenda psicologicamente verso un'offerta proveniente da un paese di antica tradizione industriale, piuttosto che nei confronti di una proposta che abbia origine da una nazione da poco sul mercato internazionale, nonostante che quest'ultima possa risultare oggettivamente più conveniente della prima. Nello stesso senso il soggetto può essere portato a dare una certa preferenza ad un determinato fornitore unicamente perché esso ha sede nella sua stessa città natale e così via.
Anche la dimensione dell'impresa fornitrice può egualmente assumere un peso rilevante, in quanto l'acquirente sembra essere favorevolmente influenzato dalla grande azienda che, infatti, trova nella mole uno dei principali elementi a sostegno della propria immagine e, quindi, della sua reputazione.
Entra poi in gioco il fattore relativo all'imitazione dell'impresa leader nel settore; in effetti l'acquirente tende, più o meno consapevolmente, a conformarsi al comportamento della o delle principali aziende del ramo per tutto quanto concerne la scelta del bene da utilizzare, la fonte di rifornimento cui rivolgersi, ecc. Si tratta, evidentemente, di un atteggiamento di carattere soggettivo alla base del quale, tuttavia, non si debbono ricercare soltanto componenti di natura psicologica, come una certa insicurezza individuale e cioè il timore di andare incontro ad una eventuale critica per una scelta che denoti la mancanza di un incontrovertibile punto di riferimento e, quindi, di giustificazione.
Infatti, quando l'acquirente in una piccola o media impresa si attiene al medesimo tipo di scelta correntemente effettuata dall'azienda leader, ovvero la imita, egli si pone indubbiamente al riparo dalle possibili critiche od osservazioni di cui potrebbe essere oggetto qualora facesse ricorso ad una fonte alternativa, magari più conveniente; al tempo stesso, però, egli ricorre ad una valutazione razionale, nel presupposto che le decisioni dell'azienda maggiore vengano prese in base ad analisi e giudizi oggettivi e ponderati.
In quest'ordine di considerazioni rientrano anche quei casi in cui l'acquirente rivolge le sue preferenze verso un certo fornitore piuttosto che un altro, unicamente perché da parte di questo riceve, a fine anno, una strenna, un omaggio che, a parte un eventuale valore economico, può rappresentare un segno di attenzione particolarmente apprezzato sul piano psicologico.
C'è poi da tener presente che l'impresa fornitrice, al pari di quella acquirente, agisce per il tramite di persone fisiche ben individuate, e cioè venditori, tecnici, collaudatori, dirigenti commerciali, ecc. Le due organizzazioni, in ultima analisi, confluiscono in un rapporto di compra-vendita per mezzo di due o più soggetti tra i quali vengono a stabilirsi determinate relazioni interpersonali. Realtà psicologiche assai diverse tra loro entrano in questo modo in contatto, provocando le reazioni più disparate. Ad esempio il venditore può riuscire più o meno simpatico all'acquirente e viceversa e ciò, indubbiamente, non potrà non influire sulla struttura e sulla dinamica della situazione di acquisto.
Tra i diversi fattori soggettivi del comportamento di acquisto industriale, sui quali si ritornerà comunque più avanti, occorre anche tener conto dell'atteggiamento più o meno conservatore dell'acquirente, atteggiamento che lo porterà a dare la preferenza sempre allo stesso tipo di prodotto o di fornitore e ciò non soltanto sulla base di razionali considerazioni circa l'affidabilità dimostrata in passato dal bene o dalla fonte in questione, ma altresì a causa della sua inerzia ovvero della riluttanza ad affrontare situazioni di nuovo, e perciò anche relativamente ignoto, significato per preferire, invece, lo “status quo”.
Inoltre, va tenuto presente che il soggetto agisce normalmente, come si è già accennato, in uno specifico contesto aziendale, per cui entrano in gioco anche fattori di natura organizzativa. Andranno cioè considerate le caratteristiche dell'organizzazione aziendale, la struttura dell'autorità, il sistema delle comunicazioni, ecc., insomma le realtà sociologiche dell'organizzazione stessa e, soprattutto, dello specifico nucleo decisionale ed operativo di cui il soggetto fa parte, le relazioni personali che ne derivano, le tensioni ed i conflitti che si producono tra gli stessi gruppi, sottogruppi, individui, ecc.
Proprio in funzione di questa realtà il soggetto potrà essere portato a svolgere il proprio ruolo non tanto nel modo da lui ritenuto più coerente sotto il profilo professionale, ma piuttosto secondo la falsariga considerata più rispondente alle regole dell'organizzazione, sia formale che informale, cui egli appartiene. Potrà così verificarsi che il soggetto ritenga opportuno non andare contro ad una determinata prassi organizzativa e si astenga, ad esempio, dal prendere certe iniziative innovatrici in fatto di approvvigionamenti, in quanto giudicate troppo rischiose. Invero il ricorso ad una nuova fonte di fornitura, anche se tecnicamente ed economicamente più che giustificato, può essere scartato poiché suscettibile di un rischio che la persona ritiene non poter affrontare, date le particolari contingenze della situazione organizzativa.
Il soggetto, quindi, sia in funzione della sua particolare personalità, sia in rapporto alla specifica situazione aziendale, tende a mettere in atto quei comportamenti che gli consentano di ridurre al minimo i rischi individuali. Egli si preoccuperà, infatti, delle eventuali reazioni che il suo modo di agire può provocare in seno all'organizzazione, cercando di mettersi al riparo dalle possibili critiche da parte degli altri membri dell'organizzazione stessa, per mezzo di scelte operative magari oggettivamente meno convenienti per l'impresa, ma più coerenti, sotto questo particolare punto di vista.
Potrebbe verificarsi, ad esempio, il caso di un acquisto che richieda una ricerca ed una selezione del fornitore e del prodotto particolarmente laboriose; il soggetto potrebbe ritenere opportuno, nell'interesse obiettivo dell'azienda, procedere ad una tale ricerca mentre, a causa degli altri compiti da espletare, in questa circostanza non altrettanto importanti e prioritari, si troverà nella necessità di rinunciarvi per addivenire, invece, ad una scelta non sufficientemente ponderata.
Il soggetto, insomma, tenderà a comportarsi non soltanto in funzione delle circostanze oggettive attinenti alla specifica situazione di acquisto, ma altresì tenendo conto di come tale suo comportamento potrà essere giudicato dall'organizzazione di cui fa parte e nel cui ambito desidera ovviamente ottenere un maggior riconoscimento in termini di prestigio, di un più elevato status gerarchico, ecc.
Sotto questo aspetto, come già accennato, l'acquirente industriale risulta sensibile ad un duplice ordine di motivazioni: quelle dell'affermazione personale e quelle della riduzione del rischio. Nel primo caso, più precisamente, si tratterà di soddisfare un naturale desiderio di successo attraverso il progredire nella carriera e cioè di obiettivi personali che vengono inseriti nello specifico ruolo professionale. Nel secondo, invece, alla base del comportamento di acquisto si ritroverà il precipuo scopo di ridurre il rischio soggettivo, il che è poi anche un mezzo per rendere possibile il perseguimento di quegli obiettivi di prestigio e di affermazione di cui al punto precedente.
In effetti, quanto maggiore è il rischio comportato dalla situazione, tanto più l'acquirente potrà andare incontro ad insuccessi che possono lederne la posizione e la considerazione in seno all'azienda. Per cui il desiderio di evitare possibili errori od omissioni e, quindi, di minimizzare i rischi insiti nei comportamenti di acquisto, potrà spingere il soggetto a preferire lo “status quo” e cioè a non prendere iniziative innovatrici in fatto di prodotti o di fornitori. Anche in questa direzione, pertanto, può essere ricercata la spiegazione del fenomeno della fedeltà alla fonte di rifornimento che l'acquirente industriale tende a dimostrare, al pari del consumatore.

Le unita' ed i ruoli tipici del processo di acquisto

Il concetto di cliente industriale delineato nelle pagine precedenti necessita di un ulteriore sviluppo e approfondimento. In effetti, sino a questo punto sono stati rilevati ed analizzati i connotati e gli attributi del ruolo che fa capo all'acquirente industriale, soprattutto nella prospettiva della sua differenziazione rispetto a quello attinente al consumatore finale. Sono state messe in evidenza, in tal senso, la connotazione organizzativa e, quindi, la professionalità e la specializzazione di tale ruolo; più in generale, pur non trascurando l'importanza delle variabili socio-psicologiche, il suo sostanziale aggancio ad un comportamento di tipo razionale ed oggettivo.
Si tratta, adesso, di precisare ed articolare meglio questo concetto cominciando col mettere in chiaro che esso non si identifica, se non parzialmente, con il soggetto che funge da interlocutore immediato e diretto del venditore e cioè con l'incaricato agli acquisti in senso stretto, ovvero con la persona o le persone preposte all'apposito ufficio o dipartimento aziendale.
In una prima approssimazione, infatti, si potrebbe essere portati ad identificare l'acquirente industriale in funzione dell'atto e del momento in cui viene a stabilirsi un preciso rapporto giuridico ed amministrativo con il fornitore e, pertanto, a farlo coincidere con la persona fisica addetta alla gestione di questo rapporto, quella cioè che definisce e regolarizza lo specifico ordine o contratto, insomma con il soggetto che si presenta di fronte all'impresa offerente in qualità di effettivo compratore, ovvero di acquisitore, o meglio di agente di acquisto.
La nozione di cliente industriale è in realtà assai più complessa di quanto potrebbe apparire a prima vista e solo in parte può essere riferita al soggetto che procede all'acquisto “formale” di cui sopra. Ciò in quanto l'atto relativo, inteso come una serie di adempimenti riguardanti la compra-vendita vera e propria e direttamente riconducibili all'agente di acquisto, è la conseguenza di una assai più importante e significativa fase di accertamenti e decisioni, di carattere strategico oltre ché tattico, alla quale partecipano e contribuiscono, invece, anche altri soggetti.
Gli acquisti di beni industriali, in effetti, vengono posti in essere dalle imprese attraverso un processo articolato che coinvolge molteplici persone e nel cui contesto è possibile riconoscere, oltre ad un evidente ed immediato aspetto relativo al perfezionamento commerciale e negoziale dell'ordinazione, un ben più essenziale, anche se non altrettanto appariscente, momento decisionale che, come già visto, trova riferimento nelle necessità operative dell'azienda, a loro volta finalizzate ad obiettivi reddituali e comunque di sviluppo.
In un certo senso, perciò, la parte del processo che si proietta all'esterno dell'impresa, attraverso la specifica attività dei soggetti dell'ufficio acquisti, è un po' come la sommità di un “iceberg”. La massa più cospicua risulta quella, per così dire, sommersa, che rimane all'interno dell'azienda e che riguarda, appunto, la formulazione della effettiva e determinante decisione di approvvigionamento, nonché la connessa utilizzazione del bene, che di tale decisione costituisce il presupposto.
La funzione che compete all'agente di acquisto concerne in particolare, come già accennato, la fase di attuazione commerciale nonché di regolamentazione contrattuale della fornitura, ovvero i contatti con le imprese fornitrici, la gestione della trattativa, la definizione e la stipulazione dell'ordine, ecc. Si tratta di una fase senz'altro molto importante del processo, che a prima vista, anzi, potrebbe apparire proprio come l'unica meritevole di attenzione, o comunque quella prevalente, in quanto relativa alla materiale effettuazione dell'acquisto stesso, ma che in realtà non ne esaurisce affatto il contenuto ed il significato.
L'instaurazione del rapporto formale tra l'azienda acquirente e quella fornitrice, infatti, costituisce il compimento, la conseguenza del momento decisionale, ma non il momento decisionale stesso. Sussiste una netta differenziazione, cioè, tra la formulazione della decisione di acquisto e la sua regolarizzazione ed estrinsecazione successiva e questo non soltanto sotto il profilo della sequenza temporale, ma anche con riguardo a quello della molteplicità e diversità dei soggetti e, quindi, dei ruoli implicati. Con altre parole, mentre l'aspetto della compra-vendita rientra nella esclusiva competenza dell'agente di acquisto, quello decisionale coinvolge anche altri soggetti, anzi, soprattutto altri soggetti.
In effetti, le scelte in questione, come già rilevato, non sono fini a sé stesse, ma trovano la loro ragion d'essere nella necessità di assicurare la funzionalità del sistema aziendale nel suo complesso, cointeressandone, pertanto, tutti i relativi partecipanti. Non deve trarre in inganno, insomma, la circostanza che sia soltanto l'acquisitore in senso stretto a comparire all'esterno dell'impresa e gli altri soggetti, invece, a rimanere celati al suo interno, più o meno dissimulati agli occhi del fornitore.

Le unità tipiche del processo di acquisto
Il processo di acquisto può essere articolato sulla base di due fasi distinte, quella decisionale e quella dell'acquisizione effettiva, alle quali segue, ed al tempo stesso precede, una terza fase, di utilizzo o di impiego, che delle prime due rappresenta, in definitiva, la causa e l'effetto. A ciascuna di queste fasi del processo corrispondono dei ruoli specifici, ovvero fanno capo altrettanti soggetti aziendali che, agendo singolarmente o meglio ancora in qualità di componenti di appositi nuclei organizzativi, assumono la denominazione, rispettivamente, di “unità di impiego”, “unità di acquisto” e “unità di decisione”.
L'unità di impiego o di utilizzo, avanza una richiesta che può avere per oggetto sia beni di tipo intermedio che strumentale, ad esempio un lotto di semilavorati, una macchina utensile, un pezzo di ricambio, ecc. Sul merito di tale richiesta si pronuncia, attraverso una procedura di valutazione ed approvazione più o meno formalizzata, un'apposita unità decisionale, composta solitamente da diversi soggetti, come vedremo. Successivamente l'unità di acquisto, costituita appunto dagli addetti all'ufficio o dipartimento approvvigionamenti, insomma dai “purchasing agents”, provvede a stipulare un contratto di compra-vendita con il fornitore prescelto. Da quest'ultimo, infine, i beni acquistati pervengono all'unità d'impiego ponendo termine al processo con questa stessa unità iniziato.
Ovviamente i tre centri in questione risultano strettamente integrati ed interdipendenti, per cui vengono a stabilirsi tra di essi flussi informativi nelle varie, reciproche direzioni. Ad esempio, l'unità di acquisto trasmetterà a quella decisionale ed a quella di impiego le informazioni necessarie per la definizione e l'approvazione del fabbisogno da soddisfare, mentre quest'ultima farà conoscere alle altre il grado di soddisfazione ricavata dal bene precedentemente acquistato, ovvero dal fornitore relativo e via dicendo.
Il soggetto, o i soggetti, insomma il nucleo di persone destinato a far uso concreto del bene industriale, ovvero ad adoperarlo come strumento o come oggetto del processo di produzione, corrisponde all'unità di utilizzo o di impiego. Quanto all'unità di acquisto essa è rappresentata, come si notava prima, dalla persona o dalle persone, normalmente facenti capo ad un apposito ufficio, che risultano incaricate della materiale effettuazione dell'acquisto in oggetto, ovvero della presa di contatto con i fornitori, della stipulazione del contratto, del pagamento del prezzo relativo, ecc. In una parola di tutti gli adempimenti commerciali, legali ed amministrativi connessi con l'approvvigionamento del bene, ovvero inerenti a quello che può essere definito il ruolo di “compratore” o “acquisitore” in senso stretto.
Le unità di acquisto e di impiego partecipano al processo con un ruolo che solo indirettamente riguarda l'aspetto decisionale. Questa decisione, invece, spetta ad una terza unità, distinta dalle prime due, della quale fanno parte una pluralità e varietà di soggetti, compresi naturalmente gli stessi utilizzatori e compratori, soggetti tutti legittimati a tal fine, in quanto in vario modo interessati all'utilizzazione del bene - e quindi alla sua acquisizione - e denominata, appunto, unità o centro di decisione.
I comparti aziendali in un qualche modo interessati all'impiego dei beni di produzione sono molto numerosi, in pratica tutti, per cui è facile comprendere come i relativi centri decisionali risultino costituiti da una varietà di partecipanti, portatori di interessi e contributi molto diversi gli uni dagli altri. Non è fuor di luogo affermare, cioè, che l'intera impresa è coinvolta nell'acquisto dei beni di produzione, ovvero nelle relative decisioni, per cui l'unità in questione viene ad essere caratterizzata da una composizione quanto mai ampia e diversificata.
Infatti, tra i membri dei centri decisionali si ritrovano, oltre a coloro che fanno capo alle unità di acquisto e di impiego, e che certamente detengono una posizione molto importante anche se non esclusiva, molteplici altri soggetti, come quelli dei comparti commerciale e finanziario, della direzione generale ed altre persone ancora, magari operanti all'esterno dell'azienda e ad essa collegate da rapporti di varia natura e significato.
Si deve anche osservare che mentre alle unità di acquisto o di impiego corrispondono ben determinate funzioni operative e, quindi, altrettanti nuclei organizzativi, a quella decisionale, invece, non fa di solito riscontro alcuna specifica posizione funzionale con un suo particolare collocamento nel contesto dell'organigramma aziendale. Le decisioni di acquisto, come rilevato, competono infatti ad una particolare “unità” che viene a costituirsi con il concorso di più soggetti, ciascuno con interessi, responsabilità e poteri diversi e che normalmente non presenta una tendenza all'assunzione di una conformazione formalizzata, né tantomeno fissa, risultando per contro piuttosto instabile e variabile nella sua composizione, durata e funzionamento, a seconda delle circostanze e dei momenti.
Soltanto in casi particolari l'unità decisionale trova un riscontro organizzativo formale attraverso la costituzione di appositi “comitati”, ma anche nella fattispecie la sua natura intrinseca rimane profondamente diversa a quella degli altri centri aziendali. In effetti, si potrebbe affermare che i soggetti che vanno a costituire le unità di decisione risultano singolarmente preposti a tutta una gamma di funzioni (produzione, vendita, ecc.), rispetto alle quali l'acquisto si pone in un certo senso in termini pregiudiziali, ma di cui non costituisce direttamente l'oggetto principale.
Come si vede, l'identificazione e l'accertamento delle caratteristiche costitutive e di funzionamento delle unità decisionali risultano il perno di tutta la problematica riguardante il cliente industriale, rappresentando un campo di indagine quanto mai vasto e complesso ed al quale è necessario che l'azienda offerente riservi una particolare attenzione.

I ruoli tipici del processo di acquisto
La molteplicità di persone che possono prendere parte, con responsabilità differenti, all'elaborazione della decisione finale costituisce un elemento chiave di numerosi acquisti industriali. La complessità delle interrelazioni decisionali influenti sull'acquisto varia notevolmente, soprattutto in rapporto alle difformità riscontrabili nella struttura organizzativa formale delle aziende acquirenti. Queste ultime possono infatti estendersi dalle piccole imprese con uno o pochi addetti alla funzione di acquisto, alle gigantesche società con grossi uffici acquisto centralizzati. Inoltre, in alcuni casi, coloro che effettuano l'acquisto prendono la decisione in assoluta autonomia sia per quanto riguarda le specifiche dei prodotti che il fornitore; in altri casi, sono responsabili solo per la scelta del fornitore; in altri ancora, non prendono nessuna decisione, ma si limitano a trasmettere gli ordini. L'autorità del compratore varia a seconda delle imprese e a seconda delle diverse categorie di prodotti.
Ogni situazione di acquisto industriale tende pertanto ad evidenziare differenti e specifici ruoli. In questo senso, non diversamente dal caso dei beni di consumo, è possibile fare riferimento alla seguente tipologia (Maggini, 1984):
— utilizzatore (user);
— influenzatore (influencer);
— decisore (decider);
— informatore (gate-keeper);
— compratore (buyer).
Questi ruoli sono tutti egualmente importanti ed essenziali ai fini della strutturazione del processo, ma è evidente che il più significativo, sul quale occorre pertanto soffermarsi, riguarda senz'altro il “decisore”.
Anzitutto va osservato che mentre risulta chiaramente riconoscibile il collegamento tra il ruolo e la relativa funzione operativa sia nel caso dell'utilizzatore che del compratore, non altrettanto può dirsi, come già fatto presente, in quello del decisore.
Quest'ultimo, in effetti, non costituisce tanto un ruolo a sé stante, vale a dire che trovi riscontro in una funzione espressamente prevista dalla trama organizzativa, quanto piuttosto, almeno sotto un certo profilo, uno derivato, assunto di volta in volta, quasi a titolo accessorio, dai portatori dei vari altri ruoli di acquisto e, soprattutto, dagli utilizzatori.
Ciò significa che nel contesto dei processi di acquisto industriali non è normalmente possibile individuare uno o più soggetti che abbiano soltanto il ruolo di gestire (anche nell'aspetto strategico), le scelte relative. Le persone che partecipano alle decisioni di approvvigionamento, infatti, lo fanno in quanto sono anche, anzi proprio perché sono, titolari di ruoli specifici il cui espletamento risulta connesso o comunque implica la concomitante soluzione dei problemi di acquisto.
In particolare assume un rilievo speciale il ruolo di utilizzatore, al quale va però attribuita una interpretazione più ampia di quella letterale. Utilizzatore, infatti, può essere considerato non solo il soggetto, o i soggetti, o meglio il nucleo funzionale, che fa uso del bene nel senso di trasformarlo o adoperarlo come strumento di produzione, ma altresì colui o coloro che, ad esempio, dovranno collocare sul mercato i prodotti che se ne ricavano (soggetti del marketing) e ancora chi attraverso i flussi connessi alle vendite ed agli acquisti ha il compito di garantire l'equilibrio finanziario dell'azienda (soggetti della direzione finanziaria) o chi ne persegue gli obiettivi di carattere strategico (soggetti della direzione generale). L'intera azienda, con altre parole, “fa uso” del bene, e non potrebbe essere diversamente per cui tutti i suoi soggetti, in quanto “utilizzatori”, risultano legittimati a prendere parte alle relative decisioni di acquisto.
La tipologia dei ruoli di acquisto contempla anche quello dell'influenzatore, attribuibile a colui o a coloro che in qualche modo esercitano pressioni ed influenze sulle decisioni di approvvigionamento, un ruolo che proprio nei processi di acquisto dei beni industriali assume un rilievo non indifferente. Come pure è opportuno evidenziare un altro caratteristico ruolo, quello di informatore e cioè, secondo la terminologia americana, di “gate-keeper”, ovvero di controllore del flusso informativo rilevante ai fini delle decisioni di approvvigionamento. Anche in questo caso si tratta di un ruolo di primaria importanza, sostanzialmente inerente a quello principale di decisore, che tuttavia sembra senz'altro opportuno enucleare e distinguere in ordine ad una più completa articolazione del processo e, soprattutto, allo scopo di mettere in risalto l'importanza critica dell'informazione nelle decisioni di acquisto dei beni industriali.
Proprio perché connesso a quello di decisore, il ruolo di “gatekeeper” può essere ricoperto contemporaneamente da più di un soggetto, anche se lo si deve ritenere pertinente in modo particolare all'agente di acquisto, cui infatti compete, specie per taluni tipi di beni, raccogliere, filtrare e far circolare le informazioni che si pongono alla base delle scelte di approvvigionamento.
Può risultare opportuno, infine, distinguere un ulteriore ruolo, quello dell'iniziatore, evidentemente riferito al soggetto cui far eventualmente risalire l'avvio dell'iniziativa dell'acquisto, ovvero l'innesco del relativo processo, cosa che non deve far ritenere, tuttavia, che ne venga meno, o comunque si attenui, il carattere plurisoggettivo ed interfunzionale.
Sempre con riferimento ai ruoli di acquisto pare opportuno qui menzionare anche la classificazione proposta da Brondoni (1983) che distingue otto distinti ruoli, e precisamente:
- l'iniziatore, cioè colui che ha anticipato, oppure individuato una particolare necessità, suggerendone una soluzione in termini generali;
- il consigliere, che influisce sulla decisione delineando le caratteristiche fondamentali del bene o del servizio da acquisire;
- l'approvatore, le cui influenze si esercitano nella definizione delle caratteristiche specifiche del bene o del servizio, nonché nella determinazione delle quantità necessarie;
- l'orientatore, il cui ruolo prevede la ricerca e la qualificazione delle potenziali fonti di approvvigionamento;
- il valutatore, a cui sono demandate l'acquisizione delle varie proposte ed una loro prima analisi tecnica ed economica;
- il decisore, che procede alla valutazione finale delle proposte ed effettua la scelta dell'azienda fornitrice;
- il compratore, cioè la persona che compie materialmente l'acquisto ed eventualmente definisce un programma di ordini;
- l'utilizzatore, ovvero colui che utilizza il bene o il servizio fornendo informazioni di ritorno (feed-back), utili soprattutto per la verifica della validità di nuovi prodotti o fornitori.

LA COMPOSIZIONE DELLE UNITÀ DECISIONALI
Da un punto di vista formale, le funzioni che possono intervenire in una decisione d'acquisto sono numerose e ciascuna di esse privilegerà ovviamente l'aspetto dell'acquisto che la coinvolge direttamente.

Direzione generale.
Si occupa degli acquisti strategici (fabbricati industriali, impianti, macchinari, sistemi informativi) e ne determina la configurazione e la struttura. Nelle imprese di piccole dimensioni, coincide con la proprietà e può occuparsi anche di problemi minori.

Produzione o direzione tecnica.
Spesso è quella che pone per prima l'esigenza di un nuovo acquisto, specie se si tratta di impianti e macchinari o di sistemi informativi per la produzione. Difficilmente in azienda qualcuno può avere argomenti tecnici più forti da opporle, quindi la sua autorità in materia tecnica è fuori discussione e la sua opinione viene accettata. Si ritiene quindi giustamente competente nel suo campo, nel quale cerca sempre il meglio tendendo a sottovalutare gli altri aspetti dell'acquisto: finanziario e commerciale. Si possono quindi verificare dei conflitti, anche a livello personale, con altri componenti del gruppo, per quanto riguarda, ad esempio, il costo dell'acquisto o la sua flessibilità produttiva.
Direzione finanziaria.
E' responsabile del reperimento e della gestione delle risorse finanziarie e cerca ovviamente di ottenere l'investimento che consenta di minimizzare lo sforzo finanziario complessivo. E' ovviamente molto interessata agli aspetti che riguardano i prezzi, le condizioni di pagamento, gli sconti. Sebbene non sia competente a decidere il tipo di acquisto né il fornitore, può imporre dei limiti a quanto richiesto o addirittura dei veri e propri veti a nuovi investimenti, giustificati con la mancanza della necessaria copertura finanziaria: è difficile che di fronte ad una situazione di questo genere la direzione generale autorizzi l'investimento.

Direzione commerciale.
Propone nuovi investimenti sotto la spinta di esigenze che sente provenire dal mercato, anche se non è concretamente in grado di indicare le specifiche tecniche che l'investimento deve possedere.
Per molto tempo, in passato, la sistematica conflittualità aziendale fra i responsabili commerciali e quelli tecnici ha creato vere e proprie leggende, causando però nella realtà disorganizzazione e ritardi nell'adeguamento alle esigenze del mercato. Per decenni i tecnici hanno rivestito in azienda la posizione di maggiore potere (essi detenevano la capacità di saper fare ed in una azienda orientata alla produzione questo costituiva una risorsa insostituibile) ed hanno in qualche misura considerato tutte le altre funzioni in una posizione di subordine rispetto alle esigenze della produzione.
In seguito, le mutate condizioni dei mercati di sbocco (saturazione della domanda, aumento della concorrenza, scarsità delle risorse finanziarie) hanno portato ad una crescita di influenza di altre funzioni, come il marketing e la finanza, che hanno fatto entrare imperiosamente in azienda da un lato, la voce e la sovranità del mercato, dall'altro, la cruda realtà delle cifre di bilancio e le minori risorse finanziarie derivanti da una domanda sempre meno vivace e da margini di profitto ristretti.
La funzione produttiva ha pertanto dovuto accettare, sul ponte di comando, altri co-piloti con i quali dividere la responsabilità della rotta e con i quali trovare un accordo che consenta di coordinare le esigenze del mercato con quelle tecniche e finanziarie. Da una più o meno latente situazione di conflitto si è quindi passati alla collaborazione fra marketing e produzione che consente di individuare le soluzioni tecniche più economiche per attuare le scelte strategiche relative al portafoglio prodotti/mercati.

Direzione pianificazione e controllo.
Ha funzione consultiva ed esprime pareri circa la compatibilità dei nuovi investimenti con i piani aziendali, valutandone l'impatto nel medio-lungo termine.
Pur trattandosi di una questione su cui altri prenderanno una decisione finale, si tratta pur sempre di un parere determinante: la funzione pianificazione e controllo possiede infatti i numeri che consentono di formulare un piano di fattibilità del progetto e quindi determinarne l'interesse economico del nuovo investimento.

Logistica.
Questa funzione ha assunto di recente una notevole importanza all'interno dell'impresa. La Direzione Logistica dà il suo parere (spesso vincolante) circa i problemi legati con i trasporti e l'immagazzinamento di un materiale o di un componente, i costi legati a queste operazioni, le economie realizzabili con eventuali soluzioni alternative.

Ricerca e sviluppo.
Non tutte le imprese hanno sviluppato al loro interno un nucleo di ricerca e sviluppo e non tutte quelle che lo hanno svolgono lo stesso tipo di ricerca. Solo i gruppi tecnologicamente all'avanguardia svolgono una ricerca di base, molto costosa, lunga e di esiti incerti; la maggior parte delle imprese che fanno ricerca si limitano alla ricerca applicata, ossia all'utilizzo pratico dei processi di base nel campo specifico dell'azienda o al miglioramento di processi e prodotti già esistenti. E' intuibile che le imprese che producono ricerca possono trarre da questa funzione notevoli spunti per nuove decisioni d'acquisto e per lo più, per acquisti di tipo innovativo. Occorre tuttavia considerare che il passaggio dal progetto di ricerca alla realizzazione dei prodotto vero e proprio costituisce un cammino lungo e complesso.
Più difficile dire se l'idea di un nuovo prodotto o del miglioramento di un prodotto esistente nasca nel centro di ricerca, provenga dal marketing o sia un suggerimento della funzione produttiva che può in questo modo risolvere qualche aspetto tecnico, migliorando l'efficienza economica: più probabilmente, anche in questo caso, il lavoro di gruppo e la collaborazione fra tutte le funzioni possono creare un effetto sinergico e quindi risultati migliori.
E' curioso tuttavia osservare che non sempre l'invenzione di un nuovo prodotto crea immediatamente le premesse per un suo sfruttamento commerciale in quanto gli addetti al centro di ricerca, lontani anche mentalmente dalle reali esigenze del mercato, a volte non sono in grado di valutare l'applicazione pratica che l'innovazione può avere, in termini di marketing.
Quando nei laboratori di ricerca del Gruppo 3M fu inventato un tipo di colla che non attacca e non si asciuga, è probabile che un'invenzione del genere abbia creato qualche perplessità sulla sua reale funzione ed utilità. E' stato certamente un grosso fatto creativo pensare di spalmare questo strano collante sul retro di piccoli quadrati di carta e trasformarli nei Post-it-note, i diffusissimi ed indispensabili biglietti colorati che ormai hanno invaso case, scuole ed uffici ma dei quali, prima della loro invenzione, evidentemente nessuno aveva una così precisa esigenza.

Ufficio manutenzione.
Ha anch'esso una funzione consultiva ma la sua influenza è notevole. Il suo atteggiamento di favore o sfavore, soprattutto se legato a precedenti esperienze, viene attentamente valutato e considerato perché in caso di emergenza (interruzione della produzione) la rapidità della ripresa del processo produttivo dipende da questo servizio. Inoltre, una complessa manutenzione comporta il sostenimento di costi aggiuntivi che vanno valutati al momento dell'acquisto.

Direzione Approvvigionamenti (o Direzione Materiali).
Nelle imprese più orientate al cambiamento è stata introdotta una funzione evoluta degli acquisti, che può assumere la denominazione di Direzione Approvvigionamenti o Direzione Materiali, a seconda delle sue competenze.
Questa direzione opera allo stesso livello gerarchico delle direzioni tradizionali (produzione, marketing, finanza) ed ha il compito di gestire gli acquisti sotto l'aspetto strategico, ricercando le soluzioni che possano ottimizzare tutto il processo d'acquisto e quindi quello produttivo.
Quando esiste questa funzione, il suo ruolo è fondamentale nell'individuazione delle migliori fonti di fornitura ed in tutte le fasi della trattativa d'acquisto.

Ufficio acquisti.
Le imprese che ancora non hanno costituito una vera e propria task force degli aprovvigionamenti mantengono nella loro struttura organizzativa il tradizionale Ufficio Acquisti.
In questo caso, esso è spesso ritenuto, a torto, il centro della decisione, mentre di solito ha semplicemente il compito di normalizzare una decisione presa da altri (richiesta di preventivi, invio dell'ordine); a volte ha l'autonomia di scelta del fornitore ed avvia la procedura di acquisto. Il suo ruolo nel gruppo decisionale non è tuttavia strategico, si può quasi definire il segretario del gruppo, sebbene la sua opinione su precedenti esperienze non sia del tutto trascurata.

Come si vede, la composizione dell'unità decisionale d'acquisto è complessa ed inoltre varia in funzione del tipo di decisione che deve essere presa.
Per gli acquisti di routine e per gli acquisti invariati, la responsabilità può essere delegata al solo ufficio acquisti o ai livelli gerarchici inferiori della Direzione Approvvigionamenti, che emetteranno un ordine simile ai precedenti. Se la fornitura viene negoziata con lunghe scadenze temporali (una volta l'anno) sarà comunque oggetto di un riesame complessivo per valutare le nuove esigenze emerse nel frattempo e quindi il gruppo decisionale assumerà una maggiore consistenza e coinvolgerà tutte le funzioni interessate al prodotto o al servizio oggetto di trattativa.
Con l'aumentare della complessità della decisione, aumenta ovviamente il numero delle persone e delle funzioni coinvolte e si innalza anche il livello gerarchico dei componenti.
Un ulteriore ruolo viene, infine, giocato dalle cosiddette persone-filtro (tecnici, segretarie, operatori telefonici) che controllano, influenzano o possono modificare i flussi di informazione e comunicazione tra gli altri ruoli precedentemente individuati. Spesso queste ultime persone non hanno la visione globale della decisione che deve essere presa, a causa della loro posizione relativamente bassa nella scala gerarchica aziendale, tuttavia il loro comportamento può causare gravi distorsioni allo svolgersi della vicenda: è sufficiente che una segretaria ostacoli intenzionalmente un fornitore nell'ottenere un appuntamento con una qualche persona all'interno dell'impresa cliente, oppure che un centralinista dimentichi di riferire una chiamata telefonica o non provveda a contattare la controparte nei tempi richiesti per causare una svolta negli avvenimenti e creare a qualcuno occasioni inaspettate o, al contrario, vanificare gli sforzi compiuti fino a quel momento.
E' evidente che i ruoli appena menzionati possono variare nelle diverse fasi del processo decisionale e a seconda del tipo di acquisto: i venditori di una azienda che vuole proporsi come fornitore dovranno quindi individuare di volta in volta, e a seconda del tipo di decisione che il cliente si accinge a prendere, quali sono le posizioni-chiave su cui concentrare i propri sforzi, quale tipo di discorso condurre, quali elementi o vantaggi sottolineare per valorizzare nella massima misura il prodotto che si offre. Particolarmente delicata è, come si è visto e come è intuibile, la situazione di una impresa che si propone per la prima volta ad un nuovo potenziale cliente. Questa impresa vuole cercare di entrare nella lista dei fornitori accreditati, quelli cioè che hanno già fornito buone prestazioni e che il cliente è disposto a contattare anche per acquisti successivi o addirittura con i quali stabilirà relazioni continue di collaborazione.
L'omologazione di un fornitore fra quelli accettati costituisce quindi una barriera all'ingresso presso un nuovo cliente; d'altra parte, sono ben rari i casi di un cliente che accetti di acquistare presso fornitori sconosciuti di cui non conosce le caratteristiche e l'affidabilità, poiché troppi sono gli inconvenienti che ne potrebbero derivare. Occorre effettuare, quindi, un considerevole investimento di marketing per superare questa barriera all'entrata, analizzando la posizione dell'azienda nei confronti della concorrenza, i suoi punti di vantaggio o di debolezza e valutando obiettivamente la capacità di soddisfare il nuovo cliente.
Tanto più importante è l'acquisto e quindi più impegnativo l'investimento che il fornitore deve dedicare alla sua acquisizione, tanto più probabile sarà il riacquisto da parte del cliente, poiché le aziende non hanno la tendenza a cambiare facilmente fornitori, se questi offrono prestazioni soddisfacenti, anzi, tendono a rinforzare i rapporti di collaborazione con i fornitori migliori.
Per individuare quindi la posizione critica che ciascun partecipante all'unità decisionale assume nell'acquisto (e che si è detto, varia a seconda dei tipo di decisione e a seconda che si tratti o meno di un nuovo fornitore), si suole esaminare l'operazione sotto due aspetti:
a) grado di importanza della tecnologia nel prodotto acquistato;
b) grado di importanza del prodotto come riflesso sulle operazioni commerciali dell'acquirente.
Nel caso di un alto grado di importanza sia sotto l'aspetto tecnologico che sotto il riflesso sulle operazioni commerciali la posizione della persona che prenderà effettivamente la decisione deve essere individuata ai vertici dell'azienda cliente, in relazione ovviamente alla sua dimensione, mentre sia gli addetti alla produzione che quelli al servizio commerciale assumeranno la veste di influenzatori.
Per prodotti che possono avere un forte riflesso sull'aspetto tecnico ed invece una influenza minore su quello commerciale, come potrebbe essere il caso di certi materiali plastici o ceramici in grado di dare prestazioni analoghe ai metalli, la posizione decisionale critica va pertanto individuata nelle funzioni progettazione e produzione che devono essere contattate invia prioritaria e convinte del vantaggio tecnico ottenibile.
Se invece prevale il riflesso sulle attività commerciali come nel caso di un contenitore o di un materiale per confezionamento, il peso determinante nella decisione sarà assunto dal marketing o dalla direzione commerciale, le cui argomentazioni saranno in grado di dirigere la decisione del gruppo.
Infine, se il prodotto offerto ha un basso ruolo strategico sotto entrambi gli aspetti (materiali di consumo o ausiliari, minuteria metallica) l'interlocutore è rappresentato dal servizio acquisti che avrà un forte influenzatore nel servizio manutenzione e nella logistica interna.
Si deve inoltre tenere presente che l'interlocutore principale può cambiare nell'arco di tempo che intercorre fra il primo contatto e la scelta finale del fornitore, soprattutto nel caso di prodotti complessi o progetti chiavi in mano: in questi casi occorrono anche anni prima che l'azienda cliente sia in grado di scegliere il fornitore, l'unità decisionale d'acquisto è molto consistente in termini numerici e la prevalenza di una funzione o di un'altra varia a seconda dell'aspetto particolare della fornitura che di volta in volta viene preso in considerazione.

I CONTRIBUTI DECISIONALI E I CONFLITTI SOGGETTIVI

Una volta individuate le principali categorie di soggetti partecipanti alle decisioni di acquisto, occorre tener presente che ciascuna tenderà ad impostare il proprio comportamento non soltanto in funzione delle aspettative connesse allo specifico ruolo ricoperto, ma altresì in rapporto a numerose variabili di natura psico-sociologica ed organizzativa. Tra l'altro, come ha messo in evidenza una ricerca di McMillan, i diversi nuclei di soggetti che compongono i centri di acquisto sono portati a sopravvalutare le rispettive influenze e responsabilità decisionali e, per contro, a sottovalutare quella degli altri gruppi,
In particolare, la percezione e l'interpretazione delle situazioni di acquisto, nonché dei rischi ad esse collegati e, quindi, le modalità di estrinsecazione dei corrispettivi comportamenti, finiranno per risultare sostanzialmente difformi a seconda della categoria soggettiva considerata e, all'interno di questa, dei singoli individui. Ciascuna classe di partecipanti, infatti, è portata a recepire ed a valutare secondo una propria scala preferenziale l'importanza e l'interrelazione dei vari elementi del mix di acquisto e, conseguentemente, ad attribuire una priorità ed una ponderazione diverse ai molteplici criteri di scelta contemplati dal relativo modello.
Il bene industriale, invero, costituisce un qualche cosa di complesso e multiforme, un coacervo di caratteristiche economico-tecniche differenziate, un insieme di attributi e capacità funzionali con significati ed interessi particolari a seconda degli obiettivi propri dei soggetti chiamati in causa. Ciascun partecipante alle decisioni di acquisto, insomma, guarderà al bene in questione da un suo specifico punto di vista, attribuendo all'una e all'altra delle sue proprietà, ed al loro mix, una diversa rilevanza, di modo che il rispettivo contributo decisorio verrà ad essere improntato da una sua inconfondibile conformazione ed intensità. In effetti, le aspettative che le varie categorie di soggetti ripongono nell'acquisto del bene si differenziano tra loro, per cui differenti risulteranno, in definitiva, le graduatorie di importanza assegnate ai parametri decisionali in precedenza considerati.
Gli uomini della produzione, com'è facile capire, attribuiscono un peso preponderante alle caratteristiche merceologiche del bene, ovvero alle sue prestazioni sotto il profilo tecnico-produttivo. Essi sono responsabili di una funzione suscettibile di valutazioni e giudizi soprattutto in termini di quantità fabbricate, di regolarità e continuità del ciclo, di rispetto di certi livelli di costo, ecc. ed è quindi logico che le loro preoccupazioni principali ed aspettative prioritarie vertano sull'idoneità del bene sotto questi particolari aspetti. Più che alla competitività del prezzo di acquisto il loro interesse è rivolto alla qualità e, quindi, all'affidabilità, alla tempestività e puntualità nelle consegne, al servizio, ecc. In questo senso i soggetti della produzione sono tendenzialmente portati a richiedere standard qualitativi superiori a quelli effettivamente necessari o ad emettere richieste con carattere di urgenza o, comunque, prudentemente anticipate o, ancora, a favorire l'accumulo di scorte eccessive, tutto ciò, evidentemente, allo scopo di mettersi quanto più possibile al riparo dai rischi connessi ad eventuali interruzioni o rallentamenti della produzione e riconducibili, appunto, a difetti di qualità, ad irregolarità nelle consegne, ecc.
Se è vero che gli uomini della produzione sono soprattutto interessati alle prestazioni tecniche del bene quelli degli approvvigionamenti guardano in particolare agli aspetti economici ed amministrativi. Il prezzo e le condizioni accessorie al prezzo rivestono per essi una importanza critica ed è naturale che questi parametri ricevano la massima attenzione e considerazione, magari a detrimento di altri. L'agente di acquisto, ad esempio, potrebbe essere propenso anche ad accettare una qualità inferiore, oppure un quantitativo superiore a quello richiesto o ancora un termine di consegna meno favorevole e al limite, un fornitore di minor affidabilità, e ciò allo scopo di ottenere uno sconto speciale sul prezzo o più convenienti condizioni di pagamento.
Egli viene giudicato soprattutto in funzione dei risultati conseguiti in termini di economie sui costi di acquisto, sui pagamenti, ecc. per cui egli è portato a privilegiare questi aspetti, eventualmente anche a scapito di qualche altro parametro. In particolare, la qualità ed il tempo di acquisto possono assumere per l'addetto agli approvvigionamenti un significato diverso da quello che questi stessi parametri rivestono per i soggetti che detengono il ruolo di utilizzatori.
Occorre tener presente, comunque, che l'agente di acquisto non può venir meno al rispetto di prescrizioni definite e vincolanti, soprattutto nell'aspetto tecnico-produttivo, e pertanto il suo margine di discrezionalità non può oltrepassare certi limiti. Nel senso che l'addetto agli acquisti risulta costantemente esposto alla minaccia di possibili rimostranze e lamentele da parte dei reparti di produzione a proposito della qualità, delle consegne, ecc. e questo concreto deterrente finisce col controbilanciare efficacemente la sua eventuale tendenza a privilegiare i criteri economici, o della riduzione del rischio, rispetto a quelli tecnico-produttivi
Tutto ciò non deve far pensare, peraltro, ad una figura di agente di acquisto che subisce passivamente l'iniziativa o la predominanza degli altri partecipanti al processo, che si limita semplicemente a dare esecuzione alle disposizioni che gli pervengono. Al contrario, la sua funzione precipua potrà estrinsecarsi, come già osservato, nel senso della pianificazione, del coordinamento e della omogeneizzazione di tutto il processo, onde renderne le conclusioni quanto più possibile coerenti con gli obiettivi aziendali, soprattutto nell'aspetto economico. In effetti la funzione di acquisto normalmente si colloca a livello di direzione centrale ed in molti casi essa risponde direttamente al “top management” più che alla produzione.
Quanto ai soggetti della direzione finanziaria essi possono assumere, a loro volta, una posizione in contrasto con quella dei responsabili della produzione, allorquando le richieste di approvvigionamento prevedano volumi eccessivamente elevati, o contro lo stesso ufficio acquisti nel caso esso si orienti nella medesima direzione e ciò non tanto per ragioni prudenziali, quanto per finalità più propriamente speculative. Nello stesso senso la partecipazione al processo di acquisto da parte delle altre categorie soggettive risulta caratterizzata da interessi e obiettivi specifici.
Le aspettative dei vari soggetti nei confronti del bene da acquistare non solo non coincidono tra loro, ma spesso, come si è visto, risultano contrastanti, per cui si creano le premesse per introdurre nel processo decisionale fattori di conflitto che potranno assumere una diversa intensità e comportare differenti modalità di risoluzione a seconda delle specifiche circostanze.
La situazione di conflitto, più esattamente, è suscettibile di assumere due forme distinte. Nella prima si potrà avere un contrasto in termini di obiettivi e, quindi, di criteri decisionali, tra due soggetti che partecipano al processo (ad esempio il capo ufficio approvvigionamenti ed il direttore dell'unità di produzione); nella seconda, un conflitto tra il singolo soggetto e l'organizzazione nel suo complesso.
Viene a porsi, allora, il cosiddetto problema della “sub ottimizzazione”, nella fattispecie riferibile, ad una situazione di acquisto, problema di cui spetterà soprattutto all'alta direzione ricercare una soluzione soddisfacente, per mezzo di un'azione di mediazione ed integrazione tra le parti in contrasto. Ne consegue che la partecipazione del “top management” alle decisioni di acquisto può assumere un duplice significato:
1. di scelta di fondo circa l'opportunità o meno dell'acquisto;
2. di integrazione, mediazione ed eventualmente coercizione rispetto alle parti interessate all'acquisto, nel caso di conflitto tra le stesse.
Nella prima circostanza si tratterà di pronunciarsi circa la coerenza dell'acquisto in rapporto agli obiettivi particolari e generali dell'impresa e cioè di partecipare all'unità decisionale soprattutto con valutazioni e giudizi di merito, specie nell'aspetto strategico. Non c'è bisogno di ribadire che anche nel caso di decisioni di acquisto il ruolo della direzione generale risulterà preponderante: come si osservava in precedenza, alla base di qualsiasi scelta in materia di beni di produzione, anche quando essa si manifesti come il frutto di una iniziativa dei soggetti del settore tecnico o dell'ufficio acquisti c'è sempre una retrostante, implicita volontà della direzione generale.
Nel secondo caso, invece, una volta che l'acquisto sia stato deciso, spetterà all'alta direzione stabilire quali criteri debbano avere la preminenza, o la precedenza, su altri; insomma di rendere possibile il funzionamento dell'unità decisionale, mediando o risolvendo coercitivamente i conflitti che possono verificarsi fra i vari soggetti coinvolti o tra questi e l'organizzazione nel suo complesso.
Qualora il conflitto tra le varie categorie di partecipanti sia dovuto alla mancata integrazione delle singole aspettative nei confronti del fornitore o delle marche in predicato è probabile esso venga risolto mediante un approccio del tipo “problem solving”. Si tratterà, cioè, di procedere ad una più attiva ricerca di ulteriori elementi di giudizio, soprattutto nel senso di riconsiderare con maggiore attenzione i fornitori prima trascurati o scartati, nonché di addivenire ad una più approfondita valutazione delle vecchie e delle nuove informazioni, appunto con lo scopo di minimizzare il conflitto.
Invece, se il motivo del contrasto riguarda soprattutto l'applicazione di qualche criterio di valutazione nei confronti dei fornitori, ad esempio la qualità, la puntualità nelle consegne, ecc., fermo restando il consenso delle parti circa gli obiettivi di massima dell'acquisto, allora si cercherà di risolvere il conflitto stesso attraverso un'opera di “persuasion” e cioè di convincimento del soggetto dissenziente, mettendo in risalto il fatto che di fronte all'interesse superiore dell'azienda quello particolare del singolo deve passare in secondo piano. In un caso del genere non si rende tanto necessaria l'acquisizione di nuove informazioni, quanto una più intensa interazione e comunicazione tra i vari partecipanti.
Va rilevato che il conflitto tra le aspettative concernenti il fornitore, o i relativi criteri di valutazione, possono anche risultare positive dal punto di vista dell'organizzazione nel suo complesso, nel senso che sia l'approccio del tipo “problem solving” che quello in chiave di “persuasion” tendono a rendere la soluzione più razionale, anche se maggiormente dispendiosa in termini di tempo e di risorse.
Ci sono altri casi, tuttavia, in cui il conflitto risulta più radicale e riguarda gli obiettivi e gli scopi di fondo che ciascun soggetto, o nucleo di soggetti, ripone nell'acquisto. Può trattarsi, ad esempio, di decisioni di particolare importanza economica, come quelle aventi per oggetto degli investimenti in beni capitali. In una circostanza del genere, il conflitto tende ad essere risolto soprattutto mediante negoziazioni e contrattazioni tra le parti e cioè secondo un approccio in termini di “bargaining”.
Infine il contrasto può vertere, più che sugli obiettivi dell'acquisto, su quelli che si possono definire gli “stili” di decisione, ovvero coinvolgere fattori relativi al mancato, reciproco gradimento delle personalità interessate. La soluzione del conflitto verrà in questo caso ricercata attraverso “manovre di corridoio”, e cioè tattiche di “politicking”, come pure con il ricorso a “colpi bassi” o comportamenti del genere.

I FATTORI CHE INFLUISCONO SUL FUNZIONAMENTO DELLE UNITÀ DECISIONALI

Le unità di decisione in materia di acquisti industriali costituiscono, come si è visto, il risultato di un mix di partecipazioni, influenze e pressioni di provenienza ed intensità molto diverse tra loro, che vanno a comporsi ed integrarsi in funzione di una molteplicità di variabili, quali il tipo e l'importanza dell'acquisto, la struttura aziendale, le caratteristiche delle persone che ne fanno parte, ecc.
Pertanto, come si notava prima, è impossibile trovare due unità di acquisto identiche tra loro così come è da escludere che il medesimo centro decisionale si mantenga inalterato, quanto a composizione e funzionamento in due momenti successivi della sua esistenza.
Ma quali sono i principali fattori che influiscono sul funzionamento delle unità decisionali?

La natura del bene
In primo luogo, è evidente che è in funzione delle specifiche caratteristiche di ciascuna classe di beni - merceologiche, economiche, ecc. - che assumeranno una maggiore o minore rilevanza certi gruppi di soggetti, piuttosto che altri e verranno quindi a prevalere determinati criteri decisionali, a loro volta riferiti a particolari categorie di informazioni, criteri in relazione ai quali sarà possibile procedere ad una significativa segmentazione del mercato.
In linea generale si può osservare che le cause fondamentali dell'acquisto dei beni industriali sono di due tipi. Da un lato l'impresa dovrà preoccuparsi di mantenere integra la propria capacità produttiva e, d'altro canto, l'impresa dovrà anche garantirsi un regolare afflusso di risorse da trasformare. Entrambe queste categorie di acquisti coesistono nella gestione dell'impresa, ma possono assumere proporzioni diverse a seconda dei casi. Ad esempio nelle imprese tecnologicamente più avanzate e comunque caratterizzate da una maggiore intensità di capitale e, quindi, di valore aggiunto, gli acquisti di beni strumentali assumono una importanza relativamente maggiore di quella dei materiali. Invece nelle industrie di base gli acquisti di beni capitali risultano egualmente molto importanti, ma anche quelli concernenti le materie prime o i semilavorati possono rivelarsi critici agli effetti della economicità della gestione.
In questa prospettiva, il discorso può essere ulteriormente sviluppato prendendo in considerazione, quale fattore di differenziazione, le caratteristiche tecnologiche del bene. In effetti, quanto più pronunciate risulteranno tali caratteristiche, tanto maggiore si rivelerà l'influenza decisionale dei soggetti della produzione, a scapito di quella degli addetti all'ufficio acquisti i quali, al limite, potranno essere addirittura emarginati anche dalla scelta del fornitore e, in parte, dalla negoziazione del prezzo, per rimanere incaricati, invece, delle sole procedure di carattere amministrativo e di controllo o, comunque, di aspetti non essenziali della trattativa.
Invece, quando il bene industriale presenta caratteristiche tecniche relativamente semplici e comunque facilmente accertabili e definibili, senza bisogno di particolari capacità o conoscenze specialistiche, può essere il caso di materiali, semilavorati, componenti, di comune impiego e correntemente reperibili sul mercato, allora l'influenza decisionale dell'ufficio acquisti risulterà assai più accentuata, soprattutto in merito alla scelta del fornitore e del prezzo. Anche in questa situazione l'agente di acquisto risulta però vincolato al rispetto di determinati parametri di qualità, quantità, ecc., per cui il suo potere decisionale potrà esplicarsi, come già osservato, solo entro limiti relativamente circoscritti.

Il grado di novità del bene
Incide sulla composizione delle unità decisionali e sul loro funzionamento anche il grado d'importanza dell'acquisto, cioè il valore monetario che esso implica, e più ancora la sua portata innovativa.
È evidente, in primo luogo, che il mix di influenze che si manifesta a proposito dell'approvvigionamento di un bene dal costo molto elevato sarà diverso da quello relativo ad un prodotto di minor impegno finanziario.
Occorre tener conto, inoltre, delle caratteristiche di novità del bene ovvero, come si diceva più sopra, del suo potenziale innovativo. Può trattarsi, in effetti, di un prodotto correntemente approvvigionato ed utilizzato dall'impresa, oppure di un qualche cosa di assolutamente nuovo, sia nell'aspetto dell'acquisto che nel corrispettivo utilizzo. Torna opportuno, a questo proposito, riferirsi alla nota classificazione adottata da Robinson, Faris e Wind, tra l'altro molto significativa per la comprensione degli aspetti relativi all'“inerzia” e alla “fedeltà” dell'acquirente industriale, in base alla quale viene introdotta la distinzione tra:
1. nuovo acquisto;
2. riacquisto invariato;
3. riacquisto modificato.
La descrizione delle singole situazioni d'acquisto è relativamente agevole. Il nuovo acquisto evidenzia di norma una situazione assai complessa, in quanto l'azienda deve affrontare una nuova esperienza di acquisto per la quale risulta inoltre indispensabile l'apporto congiunto di diverse competenze funzionali. In questa classe di acquisto le precedenti esperienze dell'azienda acquirente hanno usualmente una limitata rilevanza mentre di fondamentale importanza risultano le prime fasi del processo decisionale, ed in particolare: l'identificazione delle connotazioni del problema da risolvere; l'individuazione dei potenziali fornitori; il reperimento di informazioni; la definizione dei criteri di valutazione di fonti alternative. Trattandosi di un bene assolutamente nuovo per l'azienda acquirente, è logico che la sfera dei soggetti coinvolti risulti particolarmente ampia, ovvero includa gli uomini del comparto tecnico-produttivo, del marketing, della direzione finanziaria, di quella generale oltre ché, ovviamente, degli approvvigionamenti. A questi ultimi spetterà, tra l'altro, un ruolo di importanza critica, quello del “gatekeeper”, consistente, come a suo tempo visto, nel raccogliere, selezionare e far circolare le informazioni decisionali pertinenti alle specifiche situazioni.
Le situazioni di riacquisto invariato si determinano quando i responsabili degli acquisti procedono secondo schemi ripetitivi, effettuando le proprie scelte tra aziende offerenti già note e basandosi soprattutto sulle passate esperienze di acquisto. L'inerzia della modificazione costituisce di fatto una rilevante componente del comportamento d'acquisto industriale che favorisce l'invarianza degli approvvigionamenti e per contro aumenta le difficoltà di inserimento di nuovi potenziali offerenti. Poiché esiste una esperienza consolidata nell'acquisto e nell'utilizzo del bene, non sono necessarie ulteriori informazioni, se non nel senso di semplici aggiornamenti. Spetterà di solito all'ufficio acquisti procedere direttamente alla gestione di queste forniture, appunto su basi di routine, senza che sia necessario coinvolgere gli altri centri decisionali salvo, s'intende, le unità d'impiego.
Il riacquisto modificato indica invece una situazione di acquisto di beni o servizi già utilizzati dall'azienda, ma relativamente ai quali si manifestano nuove esigenze che inducono a ricercare ed a valutare fonti alternative di approvvigionamento. Si tratta, in altre parole, di un acquisto ricorrente, ma rispetto al quale sono intervenuti elementi modificativi, ad esempio, a proposito del prezzo o dei requisiti di qualità. Questa nuova situazione può dipendere da fattori interni, come il manifestarsi di nuove influenze decisionali o la ricerca di possibili riduzioni nei costi, di eventuali miglioramenti della qualità o del servizio, oppure può essere collegata a fattori esterni, quali le azioni della concorrenza. Si rendono pertanto necessarie ulteriori informazioni, onde procedere alla riconsiderazione delle alternative di scelta a suo tempo individuate. Insomma, occorre far rientrare in funzione, anche se parzialmente, la corrispettiva unità decisionale, in quanto le alternative di acquisto, anche se ormai conosciute e sperimentate, presentano alcuni aspetti di novità che ne rendono indispensabile la revisione.

Il grado di problematicità del bene
Una significativa tipologia degli acquisti industriali, che integra sotto un diverso profilo quella precedente, è stata prospettata da Lehmann e O'Shaughnessy, in occasione di una indagine sul comportamento dei “purchasing agents” di alcune importanti industrie inglesi e statunitensi.
I due autori sono partiti dal presupposto che l'agente di acquisto, come del resto un qualsiasi altro soggetto aziendale, imposti il suo comportamento in modo da evitare, quanto più possibile, gli eventuali problemi che possono derivarne e, comunque, limitare i rischi connessi al fatto che le decisioni relative debbono essere prese in condizioni d'incertezza.
Ne deriva che per il compratore assume un particolare rilievo la circostanza che l'acquisto comporti, in misura maggiore o minore, eventuali problemi di adozione, ovvero sia suscettibile di dar luogo ad attriti o contrasti tra i soggetti interessati, in conseguenza dell'inserimento del bene nel contesto economico-produttivo aziendale.
Da qui una tipologia di acquisto sulla base della seguente classificazione dei beni che presenta un notevole valore operativo ed un elevato grado di specificità per i beni industriali:
1. beni di routine (routine-order products);
2. beni che danno luogo a problemi procedurali (procedural problem products);
3. beni che comportano problemi di prestazioni o di impiego (performance-problem products);
4. beni che implicano problemi di politica aziendale (political problem products).
Il primo caso si riferisce ai cosiddetti beni di routine, cioè a prodotti che vengono normalmente utilizzati e, quindi, regolarmente e ripetitivamente approvvigionati dall'azienda. L'acquisto di beni del genere non comporta problemi particolari, in quanto non sussistono difficoltà per apprenderne le modalità d'uso, né dubbi o incertezze sul favorevole esito delle relative prestazioni. Si può pertanto ipotizzare, ed i risultati della ricerca condotta dai due autori lo hanno confermato, che l'acquirente attribuisca una importanza prevalente a criteri di scelta quali la garanzia delle consegne ed il prezzo, preferendo i fornitori abituali.
Nel secondo caso si tratta di beni che, al pari di quelli routine, non comportano difficoltà o problemi di impiego sotto il profilo tecnologico, ma che presuppongono, invece, un'adeguata istruzione e preparazione del personale che dovrà adoperarli. In una circostanza del genere l'acquirente si preoccuperà di ridurre al minimo i problemi inerenti all'adozione di questo tipo di prodotti e, pertanto, sarà portato a dare la preferenza al fornitore suscettibile di prestare le migliori garanzie sotto questo profilo. Quindi, i parametri di scelta da privilegiare tenderanno ad essere quelli dell'assistenza tecnica, della facilità di messa in opera ed impiego del prodotto e, infine, del servizio di istruzione ed addestramento reso disponibile dal fornitore.
La terza categoria di beni implica problemi di prestazioni tecniche, nel senso che ci sono seri dubbi da parte dell'acquirente sulla possibilità che in sede di impiego si determinino inconvenienti e difficoltà di varia natura. È naturale, in una circostanza del genere, che il compratore si preoccupi anzitutto di assicurarsi un fornitore ed un prodotto che possano ridurre al minimo questo tipo di problemi e di rischi. Pertanto, i fattori cui verrà attribuita una importanza preponderante saranno in ordine i seguenti:
— rispetto dei termini di consegna;
— flessibilità del fornitore;
— assistenza tecnica;
— affidabilità del prodotto.
Infine, si passa al gruppo dei beni il cui acquisto comporta di solito problemi di politica aziendale, nel senso che possono insorgere delle difficoltà nel mettere d'accordo i vari soggetti che partecipano alle decisioni relative. Insomma, si tratta di una scelta suscettibile di creare dei conflitti tra i soggetti facenti capo ai diversi comparti aziendali. L'acquirente si preoccuperà, allora, di minimizzare tali conflitti e, comunque, cercherà di impostare il suo comportamento sulla base di elementi oggettivi, quantitativamente misurabili, e cioè tali da assicurare una incontrovertibile giustificazione all'acquisto, riducendone così i rischi, ovvero comprovandone la razionalità.

Il grado di complessità e di incertezza commerciale del bene
Le circostanze che caratterizzano le concrete situazioni di acquisto, riflettendosi sulla struttura ed il funzionamento delle corrispettive unità decisionali, dipendono anche da altri elementi.
Acquistare nell'ambito di un mercato industriale caratterizzato da una moderata dinamica tecnologica e da una congiuntura di prezzi e disponibilità relativamente stabili risulta, evidentemente, assai meno problematico e rischioso che approvvigionarsi in situazioni di rapido progresso tecnologico, di intensa concorrenza da parte di prodotti sostitutivi, nonché di irregolarità e ritardi nel flusso delle forniture.
Occorre anche tener conto del cosiddetto grado di essenzialità dell'acquisto. In effetti vi sono tipi di approvvigionamenti che risultano cruciali ai fini della funzionalità dell'impresa e, quindi, assolutamente determinanti e prioritari; altri, invece, sono egualmente importanti ed insostituibili, ma il loro grado di essenzialità è appunto minore. Il rischio connesso agli acquisti del primo tipo è ovviamente molto più pronunciato che non nel caso del secondo e ciò si rifletterà direttamente sulle situazioni decisionali, nell'aspetto della partecipazione ed influenza dei vari soggetti, nonché della importanza relativa dei diversi parametri in gioco.
Il grado di essenzialità di un bene industriale può essere spiegato tenendo conto della proporzione con cui il relativo costo partecipa a quello del prodotto finale. Ad esempio, un certo semilavorato può costituire la componente prevalente del costo di uno specifico prodotto, mentre ne rappresenta la parte minima di un altro: l'acquisto relativo, pur risultando egualmente indispensabile, assume nelle due situazioni un ben diverso significato.
Fisher ha saputo cogliere la connessione tra i fattori tecnologici e quelli più propriamente economici in termini di coinvolgimento delle varie funzioni aziendali nelle decisioni di acquisto.
Sotto il profilo del contenuto tecnologico egli distingue tra prodotti a bassa oppure ad alta complessità e ciò non solo con riguardo al prodotto in sé, ma altresì in rapporto al livello tecnologico dello stesso utilizzatore:

COMPLESSITÀ DEL PRODOTTO
bassa
— prodotti standard
— a tecnologia semplice
— prodotti tradizionali
— acquistati in precedenza
— di applicazione tradizionale
— facili da istallare
— che non richiedono assistenza post-vendita
alta
— prodotti diversificati
— a tecnologia complessa
— prodotti nuovi
— di nuovo acquisto
— di nuova applicazione
— a installazione specializzata
— che richiedono assistenza post-vendita

Nel secondo aspetto l'autore prende invece in considerazione i fattori che contribuiscono alla cosiddetta “incertezza commerciale” e cioè relativi al grado di rischio ed alla potenzialità reddituale.

INCERTEZZA COMMERCIALE
bassa
— investimenti limitati
— piccoli ordini
— di impegno a breve termine
— senza aggiustamenti consequenziali
— con scarsi effetti potenziali in termini di redditività
— dagli effetti facilmente prevedibili
alta
— investimenti elevati
— grossi ordini
— di impegno a lungo termine
— con aggiustamenti consequenziali
— con notevoli effetti potenziali in termini di redditività
— dagli effetti difficilmente prevedibili

Una volta individuati i due ordini di fattori, è facile per Fisher porli in rapporto tra loro in modo da mettere in evidenza dei caratteristici “patterns” decisionali.
Ad esempio, in una situazione caratterizzata da bassa incertezza commerciale e bassa complessità tecnologica la partecipazione in termini decisionali dell'agente di acquisto risulta preminente. Al contrario una situazione di elevata incertezza commerciale ed elevata complessità tecnologica richiederà un coinvolgimento da parte di più soggetti. Se poi ad una bassa incertezza commerciale si accompagna una elevata complessità tecnologica il soggetto preponderante sarà quello tecnico.

incertezza complessità del prodotto
commerciale bassa alta

bassa - enfasi sull'agente - enfasi sul soggetto
di acquisto tecnico

alta - enfasi sul - coinvolgimento
soggetto politico totale

Le principali fasi del processo di acquisto

La particolare complessità della situazione d'acquisto si riflette nella possibilità di individuare numerose fasi sequenziali in cui è possibile scomporre una procedura di acquisto caratteristica di una impresa industriale.
Si è già avuto modo di accennare, sia pure sommariamente, alla distinzione che passa tra la fase relativa alla formulazione della decisione di acquisto e la fase concernente la sua effettiva concretizzazione, e tra queste e quella inerente l'utilizzazione del bene in senso tecnico-produttivo, che al tempo stesso le precede e le segue.
Il processo di approvvigionamento dei beni industriali è stato visto, cioè, sotto il profilo della concomitante ed interdipendente partecipazione di tre distinti nuclei funzionali (l'unità d'impiego, l'unità decisionale e l'unità di acquisto), partecipazione in rapporto alla quale esso si articola e si distingue, appunto, in altrettante fasi e momenti temporali.
In sintesi, attraverso l'estrinsecazione delle funzioni e dei ruoli che fanno capo alle anzidette unità, il processo di acquisto dei beni industriali si sviluppa attraverso una sequenza del genere:
1. manifestazione del bisogno (unità d'impiego);
2. formulazione della decisione di acquisto (unità decisionale);
3. effettuazione dell'acquisto (unità di acquisto);
4. soddisfazione del bisogno (unità d'impiego).

Altri studiosi hanno proposto nel passato suddivisioni diverse del processo di acquisto. Ad esempio, Lagioni individua le seguenti fasi:
I) definizione del bisogno,
II) raccolta delle informazioni sul mercato di acquisto,
III) esplorazione dei fornitori potenziali,
IV) scelta del fornitore,
V) esecuzione e controllo della fornitura.

L'articolazione del processo di acquisto industriale ormai divenuta classica ed ampiamente utilizzata è quella proposta da Robinson, Faris e Wind articolata su otto distinte fasi:
Individuazione del problema
Descrizione generica del bisogno
Definizione delle specifiche tecniche della fornitura
Ricerca delle fonti di approvvigionamento
Acquisizione ed analisi delle proposte
Valutazione delle proposte e scelta del fornitore
Emissione dell'ordinativo di acquisto
Valutazione dei risultati

Va notato che le fasi in oggetto debbono essere poste in correlazione con la tipologia di acquisto prospettata dagli autori (nuovi acquisti, riacquisti invariati e riacquisti modificati) assumendo così una maggiore o minore accentuazione. La combinazione tra fasi e tipologia di acquisto da luogo alla cosiddetta “griglia” di acquisto che, indubbiamente, costituisce uno strumento di basilare importanza per l'analisi dei processi di approvvigionamento industriali.

Individuazione del problema.
E' il momento che mette in moto l'intero processo decisionale ed è costituito dal sorgere di un problema al quale corrisponde un bisogno o esigenza insoddisfatti. Qualcuno, all'interno dell'organizzazione, identifica un'area problematica, un inconveniente, una necessità che possono essere risolti soltanto con nuovi acquisti di beni o di servizi e non attraverso le risorse interne già disponibili.
Le aree attorno alle quali può manifestarsi l'esigenza di nuovi acquisti sono ovviamente tutte le aree funzionali dell'impresa ed i nuovi bisogni possono essere legati ai macchinari, ai materiali, ai componenti, al personale, all'attività amministrativa e di vendita, ai servizi accessori. Per una impresa dinamica ed innovativo, le occasioni in cui può sorgere il problema di un nuovo acquisto sono quindi relativamente frequenti.
Può anche accadere che il personale di una azienda non sia consapevole di un certo bisogno, che in questo caso rimane nella fase del bisogno implicito o latente. Ossia, in una azienda si possono manifestare dei problemi, ma poiché non se ne conosce la possibilità di soluzione, questi problemi vengono affrontati e superati in vario modo e con procedure non appropriata.
Spesso è il personale di vendita delle imprese fornitrici che (allo scopo di proporre una nuova fornitura) evidenzia un'area problematica all'interno dell'impresa cliente, ne indica con precisione le caratteristiche e fa in modo di trasformare un bisogno implicito in un bisogno esplicito, cioè un bisogno consapevole, effettivo e di portata tale da mettere in moto una attività volta alla sua soddisfazione.

Descrizione generica del bisogno.
Nel caso di un nuovo acquisto, questa è una fase molto delicata, in cui la persona o l'ente aziendale che ha manifestato il problema deve essere anche in grado di descrivere genericamente, ma con sufficiente precisione, le caratteristiche del bisogno ed indicare il genere di prodotti o servizi che potrebbero soddisfarlo.
Un aspetto cruciale di questa fase sta nel fatto che non sempre chi individua un problema ha le capacità tecniche di indicarne la soluzione adeguata; inoltre, non tutti i bisogni hanno lo stesso peso e soprattutto non sono valorizzati nello stesso modo da tutti gli individui che ne sono interessati.
Entra qui in gioco il problema della percezione, ossia dell'importanza soggettiva che ogni individuo attribuisce al medesimo stimolo esterno e che varia da soggetto a soggetto.
Di fronte alle medesime circostanze, gli individui coinvolti in un certo bisogno reagiscono in modo differente a seconda, appunto, della loro particolare percezione e lo stesso effetto della percezione individuale si manifesta anche nelle persone costituenti i centri organizzativi a cui tale bisogno deve essere manifestato in quanto coinvolti nelle decisioni che seguiranno (altre funzioni, direzioni).
Occorre quindi in questa fase uno sforzo di razionalità per giungere ad una definizione oggettiva dei bisogno che si è manifestato, in modo da poterlo convenientemente graduare in relazione a tutte le altre esigenze che l'impresa contemporaneamente manifesta: uno dei mezzi per ridurre la distorsione della percezione è costituito dalla comunicazione attraverso la quale molti individui, con ruoli diversi, entrano a conoscenza del bisogno e ne valutano la reale portata.
Gli errori commessi in questa fase possono condizionare tutto il processo decisionale ed anche le conseguenze che si avranno dall'utilizzo degli acquisti effettuati: è quindi necessario affiancare all'ente che ha individuato il problema un gruppo di esperti in grado di valutare esattamente il problema stesso e tutte le sue implicazioni, senza trascurare alcun aspetto. E' molto importante, in questa fase, il rapporto con alcuni possibili fornitori che possono, in via preliminare, intervenire per meglio definire l'area problematico esplicitandone tutti gli aspetti e delineando gli interventi risolutori.

Definizione delle specifiche tecniche della fornitura.
A questo punto, il gruppo di esperti che si è occupato della fase precedente è in grado di descrivere dettagliatamente le caratteristiche dei prodotti e dei servizi necessari. La descrizione consiste in un rapporto scritto e particolareggiato che viene sottosposto a numerosi enti aziendali, da quello che ha individuato il problema al responsabile finanziario, dai progettisti alla forza vendita, dalla manutenzione alla logistica, a seconda, ovviamente, dell'ambito e della portata del nuovo acquisto. Ogni ente coinvolto propone le sue osservazioni e pone i propri limiti, al fine di giungere ad una soluzione compatibile con le esigenze e le risorse dell'impresa.
Anche in questa fase, i fornitori, o almeno quelli che hanno rapporti continuativi con l'impresa, possono intervenire per una migliore definizione delle specifiche della fornitura.

Ricerca delle fonti di approvvigionamento.
E' una fase di solito deferita al servizio acquisti dell'impresa. Tale ufficio è infatti in possesso delle liste o dei nominativi dei fornitori che potrebbero soddisfare l'esigenza che si è in precedenza definita. Le politiche dell'impresa in tema di rapporti con i fornitori possono essere diverse, andando dalla ricerca di volta in volta del fornitore che può essere più adatto, ai contatti preferenziali con un numero limitato di fornitori già in precedenza certificati e con i quali si ha un rapporto di fiducia e di collaborazione. In ogni caso, è necessario che l'ufficio acquisti pervenga alla stesura di una lista di possibili fornitori fra i quali operare la scelta, fornitori che siano in grado di assicurare tutte le caratteristiche richieste alla fornitura (quantità, qualità, tempistica, servizio, prezzo, affidabilità in genere).

Acquisizione ed analisi delle proposte.
I potenziali fornitori sono invitati a presentare, per iscritto, delle proposte preliminari. Alcuni di essi potranno affiancare alle proposte scritte anche la visita di un venditore, sebbene l'azione del venditore dovrebbe iniziare addirittura prima di questa fase. Solo con la presenza in azienda nel momento in cui il problema sorge, o meglio ancora, con la capacità di individuare e far emergere problemi di cui l'impresa non era consapevole, o di cui non valutava la reale portata, si possono porre le premesse per ottenere la fornitura.
Nel momento in cui un fornitore è invitato a presentare la sua proposta, è molto importante il contenuto che questa assume: spesso, infatti, le proposte di fornitura si limitano ad un piatto e minuzioso elenco di schemi e caratteristiche tecniche. Una proposta formulata in chiave di marketing, invece, oltre a contenere la descrizione tecnica della fornitura evidenze i benefici ottenibili ed i problemi risolvibili dal punto di vista dell'utilizzatore; in questo modo la proposta diviene chiaramente leggibile anche da coloro che non sono in grado di valutare gli aspetti strettamente tecnici ma sono sensibili ai risultati ed ai miglioramenti che quell'acquisto può portare.

Valutazione delle proposte e scelta del fornitore.
Nell'ambito delle proposte ricevute, il gruppo decisionale d'acquisto individua quella, o quelle, più favorevoli. Uno stesso ordinativo può essere anche frazionato fra diversi fornitori, per ovviare all'inconveniente di essere legati alle vicende di un unico fornitore, tuttavia i diversi fornitori di uno stesso prodotto o servizio devono essere tali da garantire il medesimo standard qualitativo.
Se l'acquisto è di routine, la scelta del fornitore presenta minori difficoltà, tuttavia è sempre consigliabile evitare di rinnovare le forniture in maniera meccanicistica, senza chiedersi se il problema non possa essere meglio ridefinito e se il mercato non offra soluzioni più vantaggiose.
Anche in questa fase, quindi, è consigliabile l'intervento di tutti i componenti dell'unità decisionale d'acquisto, evitando di demandare la scelta al solo ufficio acquisti che tenderà a privilegiare la valutazione degli elementi formali piuttosto che di quelli sostanziali, che sfuggono alle sue competenze.

Emissione dell'ordinativo d'acquisto.
E' questa una fase procedurale, nella quale si provvede ad emettere il documento formale (contratto) che regolerà la fornitura. Il fatto che si tratti di una fase procedurale non deve sminuire la sua importanza, che varia in relazione alla complessità e alla situazione dell'acquisto (nuovi acquisti o acquisti di routine).
L'esatta formulazione dell'ordinativo d'acquisto, che è un contratto che impegna le parti, è infatti essenziale per il buon andamento della fornitura e affinché nessuna delle parti si trovi involontariamente in situazioni non volute e non previste. Tutti gli aspetti del contratto devono essere indicati in termini univoci, compresi quelli apparentemente accessori, quali termini e modalità di pagamento, servizi, garanzie, responsabilità delle parti. E' quindi intuibile come il cosiddetto “ordine telefonico” spesso usato nella prassi aziendale non offra alcuna garanzia per i contraenti oltre a non avere rilevanza giuridica.
Le imprese adottano diversi tipi di ordinativi a seconda della situazione d'acquisto. Per gli acquisti di prodotti di routine è ormai diffusa la forma dei contratti di lunga durata con consegne periodiche che possono essere attivate da ordini automatici, o anche legate a scadenze temporali già previste dal contratto stesso. Per gli acquisti complessi (appalti, progetti chiavi in mano, ecc.) e per i contratti internazionali è fondamentale l'assistenza di esperti legali particolarmente specializzati in materia.

Valutazione dei risultati.
L'ultima fase del processo consiste nella valutazione dei risultati ottenuti a seguito dell'acquisto. La sua consistenza varia a seconda del tipo di acquisto effettuato ma anche in dipendenza del tipo di cultura aziendale esistente. Può andare da una semplice verifica informale a livello delle persone coinvolte ad una sistematica raccolta di informazioni scritte, codificate ed analizzate al fine di implementare il sistema informativo aziendale e che costituisce la base di partenza per un confronto fra l'ipotesi iniziale e la situazione finale.
E' importante osservare che l'articolazione del processo di acquisto secondo lo schema citato trova spiegazione proprio anche in rapporto al genere di informazioni che si rendono necessarie durante il suo decorso. Ad esempio, in fase di manifestazione e definizione del bisogno industriale le informazioni critiche verteranno soprattutto sugli aspetti qualitativi, sulle prestazioni del bene o sulla sua disponibilità entro termini di tempo programmati, mentre quelle relative alla competitività del prezzo potranno assumere un rilievo particolare durante la trattativa ed il perfezionamento dell'acquisto. Di ciò, ovviamente, dovrà tener conto il fornitore, pianificando la sua azione di marketing per mezzo di interventi opportunamente differenziati, quanto a contenuti e strumenti informativi, a seconda della fase del processo e dei soggetti di destinazione.
Per comprendere il ruolo ricoperto dall'informazione nel processo di acquisto, risulta di notevole ausilio, a parte la sua importanza sotto un profilo più generale, il modello elaborato da Ozanne e Churchill che mette in evidenza gli stadi caratteristici nell'adozione di un nuovo prodotto industriale:
1. presa di coscienza del problema;
2. interesse;
3. valutazione;
4. prova o sperimentazione;
5. adozione.
Attraverso queste cinque fasi si perviene appunto all'eventuale adozione, cui segue l'uso continuativo o non continuativo del prodotto, a meno che esso non venga in precedenza “rifiutato” e cioè non riesca a procedere oltre un certo livello nella sequenza indicata.
In particolare, per quanto concerne la tipologia delle fonti informative utilizzate dal modello si nota che durante le prime fasi (coscienza ed interesse) assumono un ruolo prevalente quelle “impersonali”, come la pubblicità e le pubblicazioni e documentazioni di carattere tecnico. Nelle fasi successive, con l'approssimarsi della scelta conclusiva, risultano invece decisive le informazioni di fonte “personale” e cioè le proposte formali del fornitore, i contatti con i venditori o gli intermediari commerciali, i rapporti tecnici degli utilizzatori ed i contatti con altre aziende acquirenti.
Alla manifestazione del bisogno ed all'assunzione delle relative decisioni segue il processo di effettuazione dell'acquisto in senso stretto, che si presta ad una articolazione secondo uno schema del genere:
1. ricerca delle fonti di approvvigionamento;
2. analisi e valutazione delle alternative di acquisto;
3. scelta del fornitore o della marca;
4. esecuzione e controllo della fornitura.
Si potrebbe anche considerare come momento iniziale della sequenza quello della definizione del bisogno, se questo aspetto non risultasse già implicito, dato che la fase di concretizzazione dell'acquisto avrà inizio solo dopo che una certa esigenza di approvvigionamento si sia manifestata ed abbia ottenuto la relativa approvazione.

ALTERNATIVE ALL'ACQUISTO

Un passo che precede la decisione d'acquisto e che può riguardare molti fattori necessari al processo produttivo riguarda la scelta fra l'acquisto dall'esterno o l'autoproduzione di un certo componente o di un certo servizio.
Teoricamente, tutto ciò che compone un prodotto finito può essere acquistato dall'esterno, dalle materie prime ai componenti, alla forza lavoro, ai servizi (tecnici, contabili, finanziari, assicurativi, trasporti, e così via): si può arrivare alla situazione di introdurre sul mercato un prodotto con il marchio di un certo produttore senza che questo abbia materialmente l'organizzazione produttiva per fabbricarlo.
E' una situazione estrema, tuttavia vi sono numerosi esempi del genere, il più frequente di tutti nel settore della moda, in cui i più importanti stilisti realizzano fatturati di centinaia di miliardi, sui mercati di tutto il mondo, senza avere l'organizzazione produttiva per confezionare i capi ma facendo produrre su commessa, spesso nei paesi in via di sviluppo.
Senza giungere al caso del produttore senza fabbrica, la decisione relativa all'acquisto o produzione interna (make or buy) è comunque sempre da prendere in considerazione e da valutare sotto molteplici aspetti in quanto i suoi riflessi sulla struttura organizzativa dell'impresa e sulla sua struttura dei costi sono notevoli.
E' ovvio che, in molti casi, il problema non si pone. Soprattutto per molti servizi, quali energia, telecomunicazioni, assicurazioni, servizi finanziari, consulenze di vario genere, l'impresa si rivolge all'esterno poiché l'autoproduzione non potrebbe in alcun modo essere effettuata dall'impresa stessa, spesso anche per vincoli di natura legale (es.: attività bancaria).
Molto spesso invece il make or buy diviene una scelta legata ad una numerosa serie di considerazioni e di fattori che possono favorire una o l'altra soluzione.
Di seguito vengono riportati i principali elementi da esaminare.

Costi e prezzi.
Costituiscono evidentemente il primo paragone da effettuare: si tratta cioè di stabilire se l'autoproduzione può risultare più o meno conveniente, dal punto di vista strettamente economico, rispetto ai prezzi che gli stessi prodotti, fabbricati da terzi, hanno sul mercato.
E' fondamentale, a questo proposito, che l'azienda sia in grado di stabilire correttamente i costi che deve affrontare per l'autoproduzione, in quanto spesso si tende a sottovalutare alcuni elementi di costo indiretto che, correttamente determinati, potrebbero far variare l'esito della decisione.
Non si tratta soltanto di determinare il costo di produzione, ma di considerare anche l'eventuale aumento dei costi direzionali, i maggiori fabbisogni finanziari, i costi logistici (movimentazione dei materiali, magazzinaggio), i costi di addestramento del personale.

Importanza del prodotto.
Se un prodotto è strategico per il processo produttivo, l'impresa può optare per l'autoproduzione anche se i costi da sostenere si rivelano superiori a quelli dell'acquisto. In questo caso giocano, ad esempio, i fattori legati alla difficoltà di reperimento del prodotto ed all'incertezza degli approvvigionamenti (si pensi a fornitori collocati in aree politicamente instabili), oppure alla volontà di mantenere all'interno dell'impresa determinate tecnologie di cui si teme l'imitazione e che costituiscono il vantaggio competitivo di un certo prodotto finito.

Capacità produttiva.
L'impresa può essere in condizioni di temporaneo o permanente eccesso di capacità produttiva: è una situazione che si manifesta nei casi in cui un certo processo di produzione viene dimensionato per un mercato che, con il passare del tempo, si satura e non presenta più gli stessi tassi di crescita e le stesse prospettive del passato.
In questi casi, può essere conveniente inserire al proprio interno certe lavorazioni che in precedenza venivano acquistate da fornitori esterni, in modo da saturare la capacità produttiva in eccesso e realizzare quindi, nel complesso, delle economie di costi.
Una conseguenza legata alle considerazioni sulla capacità produttiva può invece derivare dalla quantità minima che è necessario produrre affinché un certo processo produttivo possa essere attivato: se tale quantità è superiore ai fabbisogni dell'impresa, occorrerà anche provvedere a collocare sul mercato l'eccedenza. In questo caso, l'impresa dovrà valutare la sua capacità di commercializzare il prodotto eccedente su mercati per lei nuovi.

Capacità tecniche.
Nell'attuale situazione di mercato, la tecnologia diviene sempre più specializzata. A volte non è sufficiente disporre di un eccesso di capacità produttiva per essere in grado di produrre da soli un certo componente o effettuare una certa lavorazione: le conoscenze ed i macchinari necessari possono essere diversi da quelli che si possiedono.
I costi per acquisire i mezzi tecnici e per addestrare il personale alle nuove lavorazioni, oltre alla mancanza di esperienza specifica ed al rischio di non ottenere il livello qualitativo desiderato, possono essere superiori alle economie che si potrebbero realizzare con l'autoproduzione.

Gli elementi considerati finora si possono considerare fattori interni da prendere in esame ai fini della decisione, ma esiste un'altra serie di fattori, che si possono definire fattori esterni, che entrano nella valutazione relativa al make or buy.

Difficoltà di mercato.
E' collegato all'aspetto dell'importanza del prodotto. Più un prodotto, anche marginale, risulta strategico ai fini del processo produttivo e più presenta difficoltà di reperimento, maggiore sarà la propensione dell'impresa a controllarne direttamente la produzione.
Le difficoltà di reperimento possono essere legate alle condizioni economiche o politiche generali, relative ai mercati di approvvigionamento; possono dipendere da problemi di trasporto o da manovre speculative dei fornitori.
In questi casi, il cliente cercherà fornitori sostitutivi in altri mercati più stabili o, se le difficoltà di reperimento sono destinate a permanere, potrà attrezzarsi per l'autoproduzione.

Affidabilità dei fornitori.
Occorre che il livello qualitativo delle forniture sia costante, intendendo per livello qualitativo non solamente il contenuto tecnico della fornitura ma tutti gli aspetti ad essa collegati: tempi, servizi, possibilità di collaborazione col fornitore.
Se nessuno dei possibili fornitori esistenti sui mercati è in grado di assicurare tale risultato, all'impresa non resterà altra scelta che l'autoproduzione, in quanto non può compromettere tutto il suo processo produttivo a causa delle carenze in un componente. Viceversa, se i fornitori sono in grado di assicurare il livello qualitativo globale e costante, può essere conveniente affidare la produzione all'esterno, a fornitori specializzati.

Relazioni con i fornitori.
Le imprese non agiscono più in condizioni di isolamento, rispetto ai propri clienti ed ai propri fornitori: le relazioni fra le imprese non si esauriscono con la consegna o con il ritiro del materiale oggetto di compravendita. Ogni impresa è inserita in una rete di relazioni che diviene sempre più stretta e che crea le condizioni per un diverso rapporto cliente/fornitore non più basato sulla conflittualità e sulla sporadicità dei rapporti, ma sulla collaborazione e sulla continuità. Se una impresa è in grado di sviluppare con i propri fornitori un rapporto basato sulla collaborazione e crea nell'impresa fornitrice una estensione della sua fabbrica ottenendo le specifiche richieste, può affidare all'esterno molte delle forniture che tradizionalmente vengono autoprodotte.

Potere contrattuale dei fornitori.
Qualsiasi contatto esterno posto in essere da una azienda, sebbene presupponga la collaborazione e lo sviluppo degli interessi reciproci, non può prescindere dall'esistenza di un diverso potere contrattuale delle parti. Ogni soggetto economico, nel momento in cui pone in essere una trattativa o assume una decisione, deve quindi valutare quale è il potere contrattuale dei soggetti esterni che possono essere coinvolti nel comportamento che adotterà. Ciò significa che nel valutare l'alternativa make or buy una impresa deve considerare il potere contrattuale dei fornitori ai quali una certa fornitura può essere affidata oppure può essere tolta, nel caso si decida per l'autoproduzione. Evidentemente, fornitori con un forte potere contrattuale (derivante dalle loro dimensioni o dall'importanza strategica del prodotto/servizio che forniscono) rappresentano per l'impresa cliente un notevole condizionamento in termini di libertà d'azione. Se l'impresa è in fase di outsourcing (ossia decide di portare all'esterno alcune fasi di lavorazione o servizi accessori) deve attentamente valutare la forza contrattuale dei fornitori che entreranno a far parte della sua rete di contatti: affidarsi a fornitori con un elevato potere contrattuale significa limitare la propria autonomia decisionale e di comportamento. Viceversa, se si tratta di portare in autoproduzione una lavorazione affidata precedentemente all'esterno, il potere contrattuale dei fornitori va valutato in relazione agli altri prodotti/servizi che le aziende escluse forniscono. Un fornitore di prodotti-chiave, dotato di notevole forza contrattuale, può imporre l'acquisto anche di altri prodotti o servizi secondari congiuntamente al prodotto principale con la possibilità di mettere in crisi tale importante fornitura se gli viene tolta quella degli altri prodotti della sua gamma.

Vincoli legali.
L'esistenza di brevetti pone un vincolo legale all'autoproduzione che non è eliminabile fintantoché il brevetto mantiene la sua validità. Anche se sotto l'aspetto tecnologico una azienda potrebbe essere in grado di fabbricare al suo interno un certo prodotto, non lo può fare a causa della tutela legale prevista dal brevetto, a meno di poter disporre di una tecnologia significativamente diversa e tale da non costituire una imitazione di quella già brevettata. I brevetti hanno durata limitata nel tempo (15-20 anni), al termine della quale esauriscono la loro tutela legale, ma tale limitazione è da collegarsi al fatto che in genere, dopo un certo numero di anni, la tecnologia diviene obsoleta e quindi la sua imitazione non comporta più un danno per l'impresa che la ha brevettata. Altri limiti di natura legale all'autoproduzione possono derivare da disposizioni legislative che vietano a determinate categorie di imprese l'esercizio di particolari attività (quali l'attività bancaria, assicurativa, il commercio al dettaglio) oppure la necessità di ottenere autorizzazioni o licenze per effettuare certe lavorazioni o servizi (è un esempio, la licenza di trasporto per conto terzi). Infine, occorre tenere in considerazione i vincoli posti dalle leggi per la tutela ambientale che stabiliscono le condizioni e le autorizzazioni che una impresa deve osservare per la sua produzione. In questo ambito, l'inserimento di nuovi processi produttivi può comportare la necessità di osservare disposizioni di legge che determinano costi per attrezzature, depuratori, scarichi, particolarmente gravosi e che possono rendere antieconomica una produzione limitata al solo fabbisogno interno.
Non è eccessivo parlare di autoproduzione anche per i beni strumentali: spesso, soprattutto per le imprese innovative, i processi di produzione richiedono macchinari specifici che sul mercato non esistono ed inoltre la necessità di mantenere segreta la tecnologia relativa ad un certo prodotto può rendere opportuno non affidare all'esterno la produzione dei macchinari specificatamente legati a quel determinato prodotto.

I modelli di comportamento d'acquisto industriale

I molteplici aspetti connessi all'acquisto di beni e servizi industriali possono essere opportunamente esaminati mediante l'ausilio di specifici modelli di comportamento di acquisto. La messa a punto di idonei modelli, soprattutto ad opera degli studiosi statunitensi, ha rappresentato un decisivo contributo ai fini dell'analisi della configurazione e delle modalità di comportamento dell'acquirente industriale e, in genere, istituzionale. Infatti, grazie a tali modelli, intesi come rappresentazione schematica, ma al tempo stesso strutturalmente coerente e significativa, di un sistema complesso ed articolato, sono divenuti disponibili adeguati strumenti concettuali per mezzo dei quali mettere in evidenza il rapporto funzionale tra le variabili caratteristiche dei processi di acquisto dei beni di produzione ed i meccanismi decisionali che li presiedono.
Va preliminarmente osservato che i modelli in questione, mentre forniscono un sostanziale apporto alla identificazione e classificazione delle variabili cui far risalire le decisioni di acquisto delle organizzazioni, incontrano al tempo stesso degli intuibili limiti di applicabilità in rapporto alle reali situazioni operative. Ciò soprattutto in ragione del fatto che il modello fa riferimento ad un insieme di variabili di carattere generale le quali, in concreto, spesso non rivestono tutta la rilevanza loro assegnata dal modello stesso o, comunque, solo in parte trovano estrinsecazione secondo lo schema previsto.
Ne consegue che la significatività concettuale del modello dovrà essere trasferita sul piano delle specifiche situazioni di mercato, attraverso opportuni adattamenti e finalizzazioni e, soprattutto, per mezzo di idonee integrazioni con indagini sul campo variamente differenziate a seconda della tipologia dei beni e delle relative destinazioni, nel contesto di segmenti omogenei.
Nell'ambito degli schemi concettuali riguardanti gli acquisti industriali occorre innanzi tutto distinguere i modelli di tipo generale, miranti ad individuare il complesso dei fattori influenti sul comportamento di acquisto delle organizzazioni e a definirne le interrelazioni, dai modelli sviluppati per specifici fini e pertanto concernenti particolari aspetti, quali la natura dell'interazione tra aziende offerenti ed acquirenti, la composizione dell'unità decisionale di acquisto, i criteri decisionali adottabili nelle diverse circostanze dai responsabili aziendali che devono esprimere giudizi sugli acquisti, ecc.

Una delle prime elaborazioni descrittive, in termini generali, del comportamento d'acquisto industriale è costituita dallo schema di Robinson e Faris, in cui l'analisi è concentrata sulla natura incrementale del processo decisionale. L'ipotesi di una logica incrementale consente, in particolare, di esaminare i processi decisionali scomponendoli in una serie di stadi sequenziali, o fasi di organizzazione dell'acquisto (le otto fasi precedentemente descritte) a ciascuna delle quali è attribuibile una difforme importanza relativa in rapporto alle diverse tipologie, o classi di acquisto, che in concreto possono manifestarsi. Queste ultime - indicate come già visto in “nuovo acquisto”, “riacquisto modificato”, e “riacquisto invariato” - giustificano appunto come in determinate circostanze certe fasi risultino di modesta rilevanza, o addirittura siano trascurabili, essendo definite in relazione al previsto utilizzo del bene da acquisire ed alla correlata organizzazione dell'acquisto.

Ulteriori contributi all'analisi del comportamento di acquisto industriale sono individuabili nel modello di Wind. Un fondamentale elemento di qualificazione del suddetto modello è rappresentato dall'introduzione del concetto di unità decisionale di acquisto, con cui, pur riservando un ruolo primario alla figura del compratore, si prevede la partecipazione diretta di vari specialisti aziendali alla elaborazione della decisione finale; decisione che, peraltro, può essere orientata anche da particolari gruppi di influenza periferica ed altresì essere condizionata da fattori ambientali, competitivi ed organizzativi. Il modello proposto da Wind supera alcune carenze presenti nello schema citato in precedenza. Al riguardo, si può infatti osservare che il modello in oggetto da un lato evidenze le interazioni esistenti tra le diverse aree funzionali, e dall'altro delinea una situazione dinamica per le fasi di acquisto, cioè per i diversi stadi attraverso cui si concretizza il processo di acquisto industriale, inquadrando tali fasi in una logica decisionale anziché meramente procedurale. Il modello non si presenta tuttavia scevro di limiti. I fattori decisionali connessi al raggiungimento degli obiettivi aziendali non sono infatti distinti dai fattori attinenti alla dimensione soggettiva delle persone partecipanti al processo di acquisto; inoltre non vengono approfondite le problematiche concernenti l'unità decisionale, tralasciando di esaminare i rapporti talvolta complessi sussistenti tra i sub-sistemi che ne determinano l'azione - cioè, tra gli acquirenti e gli utilizzatori da una parte, e tra le unità costituenti il centro di acquisto e le aziende offerenti dall'altra ancorché si sottolinei come la composizione ed il comportamento di tali centri siano correlati alla soluzione dei problemi di acquisto delle organizzazioni.

Il modello di Sheth rappresenta un contributo essenziale ai fini della comprensione del comportamento di acquisto industriale, consentendo di cogliere l'interrelazione tra i vari elementi e le diverse fasi che lo caratterizzano.
L'autore mette anzitutto in luce l'importanza dell'atteggiamento psicologico dei soggetti coinvolti nel processo. Vengono successivamente esaminati i fattori che, in relazione alla loro diversa natura, conducono a decisioni di natura congiunta piuttosto che autonoma. Infine, l'autore si sofferma ad analizzare in modo particolare il processo relativo alle decisioni congiunte ed il conseguente conflitto che si determina tra i soggetti che vi partecipano.

L'atteggiamento psicologico
Il modello, partendo dalla premessa che, contrariamente a quello che può superficialmente apparire, le decisioni di approvvigionamento non fanno capo unicamente agli addetti all'ufficio acquisti, identifica in almeno tre le tipiche funzioni aziendali i cui soggetti risultano sistematicamente coinvolti nel processo di acquisto. Si tratta, oltre alla funzione di approvvigionamento in senso stretto (purchasing agents), della produzione (users) e del controllo di qualità (engineers). Anche altre persone nell'organizzazione, come ad esempio il direttore generale ed il “controller”, possono prendere parte al processo, pur se in maniera atipica.
Tra questi vari soggetti, che normalmente sono chiamati a decidere congiuntamente, si sviluppa un processo di accentuata interazione, per cui diviene essenziale stabilire quali siano le analogie e le differenze nel rispettivo atteggiamento.
Alla base di tali atteggiamenti il modello colloca le diverse aspettative (expectations) che ciascun tipo di soggetto ripone nei confronti del fornitore e delle marche oggetto di acquisizione. Occorre tener conto, cioè, del modo secondo cui i partecipanti al processo percepiscono e valutano le capacità dei diversi fornitori o marche in ordine al soddisfacimento di una certa gamma di obiettivi espliciti (qualità, quantità, consegne, assistenza tecnica e prezzo) o impliciti (reputazione e immagine del fornitore, personalità e stile del venditore, accordi di reciprocità, ecc.).
Le difformità rilevabili negli obbiettivi di acquisto sono appunto all'origine del conflitto che si determina tra i vari gruppi di soggetti e che costituisce uno degli aspetti salienti del processo decisionale, giustamente messo in evidenza dal modello.
Perché, si chiede Sheth, sussistono delle differenze così rilevanti nelle aspettative dei molteplici soggetti coinvolti nel processo? Vengono così individuati i vari fattori che caratterizzano il nucleo centrale del modello stesso.

Background e orientamento professionale.
Si tratta di considerare il diverso background dei soggetti decisionali, nonché la loro “task orientation”, nel senso che la differente base culturale ed educativa individuale tenderà a riflettersi, influenzandoli, sui rispettivi obiettivi e valori professionali.

Fonti e ricerca attiva delle informazioni.
Concorrono a creare differenti aspettative individuali anche l'origine ed il genere di informazioni cui i vari gruppi decisionali risultano esposti, nonché la loro più o meno attiva partecipazione alla ricerca di tali informazioni (le cui fonti sono: venditori, fiere e mostre, pubblicità postale, comunicati stampa, pubblicità su giornali e riviste, riunioni e convegni tecnico-professionali, notizie di mercato, comunicazioni verbali, ecc.).

Distorsioni in sede di percezione.
Un ulteriore fattore di cui occorre tener conto allo scopo di comprendere il modo di formarsi delle aspettative dei diversi tipi di soggetti è la distorsione e la ritenzione selettiva cui gli stessi tendono a sottoporre l'informazione. Nel senso che ogni soggetto tenderà ad adattare, o comunque a rendere congruente l'informazione con le proprie aspettative o conoscenze preesistenti, appunto attraverso un processo di distorsione sistematica.

Grado di soddisfazione ricavato dai precedenti acquisti.
Altro significativo elemento che contribuisce al formarsi di aspettative individuali difformi tra loro, è il grado di soddisfazione che i soggetti hanno ricavato dalle precedenti esperienze di acquisto e di utilizzo con un determinato fornitore ed una determinata marca. Invero, poiché ciascuna delle parti partecipa al processo di acquisto con obiettivi diversi, privilegiando determinati criteri di scelta rispetto ad altri, è evidente che la marca o la fonte specifica non possono accontentare tutte nella stessa misura.

Una volta messi in evidenza i fattori che influenzano le aspettative dei vari soggetti, il modello di Sheth distingue tra decisioni autonome, e cioè sostanzialmente delegate ad una soltanto delle parti, ad esempio l'addetto agli acquisti, e decisioni congiunte, ovvero riconducibili ad una pluralità di persone: queste ultime sono evidentemente le più importanti e ricorrenti. In proposito, il modello identifica due categorie di fattori dalla cui rilevanza e correlazione dipenderà la prevalenza delle decisioni congiunte rispetto a quelle autonome. La prima riguarda le caratteristiche del prodotto (product specific factors) e la seconda quelle dell'organizzazione acquirente (company specific factors).

Fattori relativi al prodotto
Il principale tra i fattori del primo gruppo concerne il cosiddetto “perceived risk” e cioè il grado di rischio che il soggetto ritiene essere connesso alla specifica situazione. Questo rischio viene misurato dall'interessato in funzione dell'entità delle conseguenze negative che egli prevede dover eventualmente subire nel caso di una scelta errata, nonché in rapporto alla maggiore o minore incertezza della situazione nel cui contesto occorre prendere la decisione. È ovvio che quanto più accentuato appare il grado di incertezza della situazione di acquisto, tanto più grande sarà il rischio che si pensa esservi collegato. Inoltre, sembra logico ipotizzare che quanto più alto risulterà il rischio medesimo, tanto più probabilmente si arriverà ad una decisione di natura congiunta: infatti nessuno dei soggetti interessati sarà propenso ad assumere in proprio l'intera responsabilità della decisione, preferendo, invece, spartirla con altri.
Un altro fattore riguarda il tipo di acquisto, nel senso che occorre tener conto della sua maggiore o minore importanza, nonché del suo carattere più o meno ripetitivo. Nel caso di un acquisto di tipo nuovo, che viene cioè effettuato per la prima volta, oppure di un acquisto di rilevante entità, ad esempio un investimento in macchine ed impianti, sembra senz'altro da attendersi una decisione congiunta. Quando si tratti, invece, di acquisti ricorrenti, vale a dire di routine, è probabile che essa venga delegata ad una delle parti, ad esempio l'agente di acquisto.
Un terzo fattore, infine, riguarda il carattere d'urgenza dell'acquisto, ovvero quello che il modello definisce in termini di “time pressure”. Nel senso che se la decisione deve essere presa sotto l'incalzare dell'urgenza, o addirittura con caratteri di emergenza, è presumibile essa venga assunta soltanto da una delle parti, non essendovi tempo sufficiente per dar luogo ad un processo decisionale di carattere congiunto.

Fattori relativi all'impresa
Il secondo gruppo di variabili riguarda l'impresa acquirente e cioè l'organizzazione in sé, a cominciare dalla sua “orientation” di massima. Se l'azienda presenta, ad esempio, un accentuato orientamento tecnologico saranno soprattutto gli ingegneri, o comunque i tecnici della produzione, ad influire sulle decisioni di acquisto in modo preponderante; lo stesso nel caso di un forte orientamento sul prodotto.
Un secondo fattore discende dalla dimensione: in particolare se l'impresa acquirente è costituita da una grossa organizzazione, il processo decisionale tenderà ad assumere una natura congiunta, con tutte le implicazioni del caso.
Per ultimo occorre tener conto del grado di centralizzazione della funzione di acquisto che, a sua volta, si ricollega al fattore dimensione ed in parte a quello tecnologico e va inteso nel senso che quanto più esso risulta accentuato, tanto minore è la probabilità che si abbiano decisioni congiunte. Si può pensare, ad esempio, ad una piccola azienda privata con accentuato orientamento tecnologico, dove il processo decisionale tenderà verso forme maggiormente autonome rispetto ad una grossa impresa a capitale azionario e a struttura decentrata, nel cui ambito le decisioni, e non solo quelle di acquisto, tenderanno ad essere prese da più persone congiuntamente.

Il processo decisionale congiunto

Dopo aver individuato i due gruppi di variabili in funzione dei quali si potranno avere decisioni autonome o congiunte, l'autore si sofferma su quest'ultime, indubbiamente di maggiore interesse e rilevanza.
Il processo decisionale di acquisto viene così articolato in varie fasi principali: apertura del processo, raccolta delle informazioni, valutazione delle fonti alternative di rifornimento e risoluzione del conflitto tra le parti coinvolte nella scelta.
L'inizio del processo si verifica solitamente in relazione ad un duplice ordine di circostanze: un fabbisogno continuativo e ricorrente, oppure una scelta conseguente ad una programmazione a lungo termine. Nel primo caso si avrà la preliminare emissione di un documento formale, vale a dire il buono di richiesta da parte del reparto d'impiego. Nel secondo, invece, si tratterà di una raccomandazione o di una proposta di acquisto che gli incaricati della programmazione trasmettono ad un comitato “ad hoc” composto, ad esempio, dall'addetto agli approvvigionamenti, dal direttore di stabilimento e da un ingegnere del controllo di qualità.
Un'altra fase molto importante del processo riguarda la raccolta delle informazioni che, di solito, viene lasciata alla competenza del responsabile degli acquisti. È evidente che se l'approvvigionamento si presenta con caratteri ricorrenti e ripetitivi le informazioni e le notizie da raccogliere ed elaborare risulteranno relativamente limitate. Normalmente l'agente di acquisto si limiterà a prendere contatto con il fornitore abituale ed a trasmettergli l'ordinazione sulla base del buono di richiesta dello stabilimento o del reparto di produzione. Non così, invece, se esso si presenta con caratteri di novità, nel senso che non ci sono precedenti esperienze in proposito, oppure sono in gioco importi rilevanti, come ad esempio nel caso di un nuovo investimento, per cui occorrerà procedere ad una ricerca attiva di dati ed elementi di valutazione.
A prescindere dalla fase di raccolta delle informazioni indispensabili ai fini decisionali, l'aspetto più importante e delicato dell'intero processo è tuttavia costituito dall'assimilazione di tali informazioni da parte dei vari soggetti coinvolti e dalle relative deliberazioni in rapporto alle quali, nella maggior parte dei casi, è inevitabile il sorgere di un conflitto interdipartimentale. In questo senso Sheth rileva che il conflitto è sempre presente allorquando si tratti di prendere una decisione congiunta in un gruppo di persone che hanno al tempo stesso percezioni ed obiettivi differenti. In effetti, poiché le motivazioni e le aspettative circa le marche ed i fornitori differiscono sensibilmente a seconda del soggetto interessato, il conflitto rappresenta una normale conseguenza di un qualsiasi processo decisionale che coinvolga più persone.
Piuttosto, mentre non è detto che il conflitto in sé debba risultare necessariamente negativo ai fini della funzionalità dell'organizzazione, è importante osservare le tattiche attraverso le quali esso può essere risolto che, come già visto, sono:
— problem solving;
— persuasion;
— bargaining;
— politicking.
Importanza critica dei fattori situazionali

Il modello di Sheth parte dal presupposto che la scelta finale circa il fornitore o la marca rappresenti il risultato di un processo decisionale di natura sistematica. In realtà, come rileva giustamente l'autore, è necessario tener conto anche dei fattori contingenti ovvero specificatamente inerenti alla particolare situazione di acquisto, fattori che possono portare a decisioni non necessariamente basate su criteri di assoluta razionalità.
Con altre parole, analogamente a quanto si verifica nel caso delle scelte da parte del consumatore, anche gli acquirenti industriali prendono spesso delle decisioni sulla base di altri fattori, piuttosto che solo in funzione di criteri oggettivi e razionali. Può trattarsi, ad esempio, di condizioni economiche eccezionali e transitorie, come in occasione di misure per il controllo sui prezzi o situazioni di recessione, di anormali andamenti del commercio estero oppure di scioperi o ancora di particolari mutamenti organizzativi, quali quelli connessi ad operazioni di fusione, incorporazione, ecc., come pure di specifici cambiamenti nella situazione di mercato conseguenti a variazioni di prezzi, introduzione di nuovi prodotti, ecc., da parte delle aziende offerenti.

Con il modello di Webster e Wind il comportamento di acquisto industriale ha trovato una spiegazione sistematica e coerente alla quale è indispensabile riferirsi ai fini di una qualsivoglia puntualizzazione delle ricerche in materia, come pure del loro sviluppo futuro, sia nell'aspetto teorico che empirico.
La premessa da cui muovono i due studiosi è che l'acquisizione dei beni di produzione o, comunque, dei beni destinati all'impiego da parte delle organizzazioni e delle istituzioni, dà luogo ad un processo di natura complessa nel quale risulta coinvolta una pluralità di soggetti che si prefiggono obbiettivi molteplici e fanno ricorso a criteri di scelta potenzialmente contrastanti. Questo processo si estrinseca lungo un arco di tempo prolungato, richiede informazioni da parte di numerose fonti e presuppone l'instaurarsi di relazioni interorganizzative. In sostanza ci si trova di fronte ad una forma di “problem solving”, quale si manifesta in relazione ad una specifica “buying situation” e cioè allorquando in seno all'organizzazione si constata l'esistenza di un problema, ovvero di una discrepanza tra la situazione attuale e la situazione desiderata, problema che può essere risolto, appunto, mediante un atto di acquisto.
Il processo, in effetti, riguarda le attività dei vari soggetti interessati, in quanto essi procedono alla individuazione e definizione di una determinata situazione di acquisto, identificando, valutando e scegliendo tra fornitori e marche alternative.
In particolare, in corrispondenza del concetto di “situazione di acquisto”, il modello prospetta quella di “centro di acquisto” e cioè dell'insieme dei membri dell'organizzazione che partecipano, interagendo tra di loro, alla relativa decisione. Questi soggetti sono portatori di specifici ruoli di acquisto e risultano motivati da un complesso di obiettivi individuali ed organizzativi. Tale nucleo decisionale si colloca, a sua volta, nel contesto della struttura organizzativa, mentre questa si inserisce nell'ambito socio-economico circostante.
In sostanza il modello di Webster e Wind definisce il comportamento di acquisto industriale in funzione di quattro classi di variabili:
ambientali,
organizzative,
sociali
individuali.

Le influenze ambientali
Le determinanti del comportamento di acquisto industriale si manifestano anzitutto a livello dell'ambiente in generale, nel senso che un insieme di fattori di natura tecnologica, economica, politica, ecc., fattori che si estrinsecano per il tramite di una pluralità di istituzioni - governo, partiti politici, sindacati, aziende (comprese quelle fornitrici e concorrenti), ecc. - contribuiscono a caratterizzare il quadro di riferimento del processo decisionale.
In particolare, il modello di Webster e Wind assume che i fattori ambientali manifestino la loro influenza nei seguenti quattro modi diversi:
1. determinando la disponibilità dei beni e servizi da acquistare
2. definendo le condizioni economiche generali che l'impresa acquirente deve fronteggiare (livello del reddito e dell'occupazione, tasso di sviluppo dell'economia, ecc.);
3. determinando la formazione dei valori e delle norme che regolano le relazioni interpersonali ed interorganizzative tra compratori e venditori, tra concorrenti, come pure tra le organizzazioni acquirenti e le altre istituzioni, come il governo, le associazioni di categoria, ecc.
4. influenzando il flusso delle informazioni che attraverso i mass-media o altri canali di natura personale o impersonale, si indirizzano verso l'organizzazione di acquisto, con particolare riferimento a quelle provenienti dai fornitori.

Le influenze organizzative
Dal piano delle influenze di natura ambientale il modello passa al sottostante livello dei fattori organizzativi. In particolare il comportamento di acquisto istituzionale viene visto in quanto motivato e condizionato dagli obiettivi dell'organizzazione e, quindi, vincolato dalle relative risorse di carattere finanziario, tecnologico, umano, ecc.
Per spiegare il modo con cui l'organizzazione formale influenza il processo di acquisto, il modello fa riferimento a quattro categorie di variabili.

COMPITI DI ACQUISTO (buying tasks)
Rappresentano i compiti specifici da svolgere ed i relativi obbiettivi da conseguire in rapporto alla situazione di acquisto, così come essa si determina in seno all'organizzazione.

STRUTTURA ORGANIZZATIVA (organizational structure)
Il secondo nucleo di variabili a livello organizzativo deve essere posto in relazione alla struttura stessa dell'organizzazione formale e consiste, a sua volta, in un complesso di cinque sottosistemi: comunicazioni, autorità; status; ricompense e punizioni; flusso del lavoro.

ASPETTI TECNOLOGICI DELL'ACQUISTO (buying technology)
Per comprendere le ragioni per cui l'impresa acquista i beni industriali occorre rendersi conto della sua tecnologia produttiva e, quindi, dei vincoli e condizionamenti che ne derivano, nonché tener conto degli aspetti tecnologici del processo decisionale.

CENTRO DI ACQUISTO (buying center)
Il quarto gruppo di variabili si riferisce al “centro di acquisto” e cioè alle persone che costituiscono il sostrato soggettivo del sistema di acquisto e ne ricoprono i diversi ruoli specifici: utilizzatori, compratori, decisori, influenzatori e gestori del flusso informativo. Ovviamente il comportamento dei membri del centro di acquisto è il risultato di influenze reciproche nonché del condizionamento riconducibile alle variabili in precedenza considerate.

Le influenze sociali (interpersonali)
Dopo i fattori di natura organizzativa il modello passa a considerare quelli di carattere sociale, ovvero interpersonale, insomma inerenti al funzionamento dell'unità di acquisto come gruppo. A questo riguardo occorre prendere in considerazione tre classi di variabili.
Per prima cosa si tratta di identificare gli specifici soggetti che nell'ambito dell'organizzazione risultano in vario modo coinvolti nel processo di acquisto, ovvero di prendere in esame i diversi ruoli che caratterizzano il centro decisionale.
In secondo luogo, per comprendere come si manifestano le relazioni interpersonali tra i vari membri del centro di acquisto, occorre considerare i diversi aspetti della “performance” di ruolo e cioè inerenti: 1. alle aspettative di ruolo; 2. al comportamento di ruolo; 3. alle relazioni di ruolo.
Infine è necessario tener presente che il funzionamento del gruppo di acquisto risulta influenzato dalle seguenti variabili:
1. obiettivi e caratteristiche personali dei singoli soggetti;
2. natura della leadership all'interno del gruppo;
3. struttura del gruppo;
4. compiti che debbono essere espletati dal gruppo;
5. influenze esterne.

Le influenze individuali
Attraverso una progressiva specificazione che procede dal piano ambientale per il tramite di quello organizzativo ed interpersonale, il modello perviene infine a livello dei singoli partecipanti dato che, in ultima analisi, tutto il comportamento organizzativo di acquisto si riduce in comportamenti individuali. In effetti solo la persona fisica, come singolo o come membro di un gruppo, può definire ed analizzare le effettive situazioni di acquisto, prendere le relative decisioni ed agire conseguentemente. Per cui è il singolo individuo ad essere soggetto delle azioni di marketing e non l'organizzazione in astratto.
Nel suo comportamento l'individuo risulta motivato da un complesso di obiettivi personali ed organizzativi, in un contesto di politiche e di flussi informativi filtrati dall'organizzazione e influenzati dagli altri membri del centro di acquisto. In particolare occorre tener conto della personalità dell'acquirente, del modo secondo cui egli percepisce il proprio ruolo professionale, nonché dei relativi processi psicologici di motivazione, cognizione ed apprendimento.
Va in particolare tenuto presente che il comportamento dell'acquirente sottintende una complessa combinazione di obiettivi individuali ed organizzativi, obiettivi per il conseguimento dei quali egli dipende in vario modo da altri soggetti. Nel senso che sono altre persone a definire le sue aspettative di ruolo, a determinare le ricompense che egli riceverà per le sue prestazioni, ad influenzare la fissazione degli obbiettivi da perseguire e, infine, a procurare le informazioni attraverso le quali il soggetto valuta i rischi della decisione di acquisto e procede alla sua attuazione.

“Task” e “Non task motives”
Ciascuna delle quattro classi di fattori che il modello considera alla base del comportamento di acquisto organizzativo presenta, a sua volta, un duplice aspetto, ovvero risulta caratterizzata da variabili collegate alla specifica situazione, le cosiddette “task variables”, oppure indipendenti da essa, e cioè le “non-task variables”.
Le variabili del primo tipo implicano il ricorso a criteri di acquisto razionali e cioè della “giusta” qualità e quantità, del “giusto” prezzo, ecc. Le seconde fanno invece riferimento a motivazioni di carattere personale e si possono a loro volta distinguere in due categorie:
1. inerenti al desiderio di affermazione del soggetto;
2. inerenti alla riduzione del rischio.
A tale ultimo proposito il modello prende in considerazione tre tipi di incertezza: 1. quella riguardante le alternative di scelta disponibili; 2. quella attinente ai possibili risultati economici di tali alternative; 3. l'incertezza circa le reazioni eventuali di altre persone.
La ricerca di maggiori informazioni rappresenta uno dei modi più ovvi per circoscrivere il margine d'incertezza, mentre il sottrarsi od il rinviare la decisione, oppure l'abbassamento degli obiettivi, costituiscono un mezzo per ridurre il valore dei “pagamenti”, ovvero dei risultati collegati a ciascuna alternativa di comportamento.
È comunque probabile che il mantenimento dello “status quo” rappresenti il modo più comune per la riduzione del rischio, in quanto esso tende ad eliminare l'incertezza ed a minimizzare la possibilità di risultati negativi. Questa può essere una spiegazione del considerevole grado di fedeltà alla marca ed al fornitore che si nota nel comportamento di acquisto industriale.
CONSEGUENZE SUL COMPORTAMENTO D'ACQUISTO

Come sintesi finale, è quindi possibile delineare alcune caratteristiche comuni che si riscontrano nel comportamento d'acquisto dei beni e dei servizi industriali, nonostante le diverse tipologie di decisione che di volta in volta si affrontano.
Comportamento formale
Comportamento strutturato
Comportamento razionale
Comportamento vincolante
Comportamento coordinato
Il numero elevato di persone che, con diversa posizione gerarchica, diverso ruolo, diversa responsabilità e diverse esigenze partecipa alla decisione d'acquisto determina la necessità di agire all'interno di regole formali e rispettare i livelli di potere determinati dai ruoli di ciascun partecipante. Il gruppo decisionale, inoltre, agisce nell'ambito delle politiche, dei programmi e dei vincoli stabiliti dall'organizzazione. Sotto questo aspetto si può quindi parlare di comportamento formale.
Il processo d'acquisto prevede inoltre il rispetto di fasi procedurali notevolmente rigide e l'impiego di strumenti tecnici organizzativi specifici (preventivi, proposte, ordini, riunioni). Tutto ciò implica anche una tempistica particolare che oltre certi limiti è incomprimibile e determina di conseguenza un comportamento strutturato.

Si insiste inoltre sulla razionalità del comportamento dell'acquirente industriale, in quanto il processo d'acquisto è professionale, compiuto da operatori preparati e consapevoli sotto i vari aspetti tecnici. Sebbene si possa affermare che nel comparto industriale non esistono acquisti d'impulso, cioè non previsti e compiuti sotto l'influenza immediata di uno stimolo di comunicazione esterna, tuttavia una certa componente motivazionale (se non parzialmente irrazionale) non è del tutto eliminabile da un acquisto industriale.
Tale componente è insita nella natura umana dei partecipanti all'unità decisionale ed è legata al loro ruolo gerarchico. Può avere un certo peso nella scelta del fornitore, soprattutto nel caso di prodotti o servizi poco differenziabili, in cui può giocare un ruolo decisivo l'immagine di marca, il prestigio del fornitore, la nazionalità, il tipo di rapporto umano esistente a livello personale.
Nelle situazioni in cui esiste una reciprocità di rapporti fra cliente e fornitore (nel senso che a sua volta il fornitore ne diviene cliente per altri acquisti) si può parlare di comportamento vincolato, ossia condizionato da fattori che vanno oltre le singole decisioni d'acquisto e coinvolgono considerazioni di altra natura, legate cioè alla reciprocità dei rapporti. Non è opportuno che una impresa condizioni i rapporti con i suoi clienti legandoli alla circostanza di esserne a sua volta cliente: è una illusione ritenere che tale legame possa condurre ad una maggior garanzia sulla stabilità dei rapporti e sulla reciproca soddisfazione. Clienti e fornitori si scelgono sulla base delle loro caratteristiche assolute ed in funzione dell'ottimizzazione delle forniture, senza condizionare il rapporto a possibili ritorsioni negative; il sistema della reciprocità, infatti, conduce spesso ad acquisti non idonei che compromettono l'efficienza e l'efficacia del sistema.
Qualora, invece, le aziende operino in una situazione di comakership o siano integrate in una “rete” o “filiera” si avrà un diverso tipo di atteggiamento, determinato dalla necessità di sviluppare una mentalità collaborativa. In questa situazione è cioè possibile parlare di comportamento coordinato, che condivide la medesima cultura, i medesimi valori aziendali, i medesimi obiettivi, cancellando i tradizionali rapporti di antitesi fra le parti e sostituendoli con rapporti di collaborazione. Nella maggiore fluidità che traspare da tale situazione, certamente più lineare ed evoluta rispetto alla precedente, non vanno tuttavia sottovalutati due aspetti negativi.
Il primo è legato all'ingerenza che le imprese capofila possono esercitare nei confronti dei sub-fornitori, di dimensione e/o potere contrattuale inferiore: l'impresa più grande tende a trasmettere e ad imporre i propri valori, il proprio stile manageriale, i propri modelli organizzativi (spesso ovviamente più avanzati rispetto alle imprese minori). Ciò può essere un vantaggio, in quanto consente una diffusione di efficienza, di strumenti di pianificazione e controllo, di orientamento al marketing e alla finanza più attuali, ma può causare anche profonde crisi di identità nelle piccole imprese che devono subire questa rapida “colonizzazione”, determinando nel management la difficoltà a prendere decisioni secondo i nuovi schemi e causando situazioni di frustrazione. Inoltre, quando una impresa si trova a far parte di più di una filiera, le esigenze di adattamento a culture di imprese gerarchicamente superiori aumentano e si sovrappongono, causando ulteriori conflitti con la situazione preesistente e richiedendo ai dirigenti del sub-fornitore una elevata capacità a rapidi cambiamenti di stile e di schemi operativi.

Riferimenti bibliografici

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Burresi A., Politiche di mercato dei beni industriali, Giuffré, Milano, 1983.
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Fonte: http://www.diegm.uniud.it/panizzolo/Dispense/Dispensa.doc

Sito web da visitare: http://www.diegm.uniud.it

Autore del testo: Roberto Panizzolo

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