Ricette siciliane

Ricette siciliane

 

 

 

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Ricette siciliane

GASTRONOMIA SICILIANA E DI MISTRETTA
a cura di Mistrettanews2010

25/01/10 - 5:47:05 pm
ALLA RICERCA DI RICETTE PERDUTE
Sono una mistrettese trapiantata in Calabria e mi piacerebbe conoscere le antiche ricette dei dolci tipici di mistretta (taralle, biscotti, buccellati ecc). Grazie.
Lidia Cristina - Montepaone (Catanzaro)

26/01/10 - 7:53:40 am
Grazie del messaggio. Le tradizioni gastronomiche e dolciarie di Mistretta sono veramente particolari. Può rintracciare su Google numerosi indirizzi di aziende mistrettesi scrivendo, appunto, "pasticcerie di Mistretta". Poi, ci sono numerose botteghe artigianali che continuano la tradizione della pasta reale. Mi risulta che le pasticcerie di Nino Testa e Nino Insinga (mi pare presenti anche su Internet) producano e spediscano i loro prodotti, in tempo reale, con corrieri speciali, anche al Nord. Confesso un limite: nel sito non ci sono riferimenti in tal senso. E' una lacuna che bisogna colmare, perché anche questi aspetti sono fenomeni culturali. Forse, nel sito della Pro Loco di Mistretta, il cui indirizzo è altresì facile da reperire sul web, ci sono alcuni particolari su certi dolci locali. Per il resto, la rinvio a quando pubblicherò una pagina web sulle ricette di Mistretta oppure la invito a ritornare onde rintracciare i sapori perduti.
Un caldo saluto da Sebastiano Lo Iacono

LE RICETTE DELLA NONNA
27/01/10 4:40:11 pm
Grazie per avermi risposto. Quello che cerco non sono le ricette di pasticceria, ma le vecchie ricette dolciarie della nonna (vecchi ricordi di bambina). Solo qualche persona anziana potrebbe sapere le ricette originali di quando si facevano i dolci in casa. Spero che farete una ricerca in questo senso. Grazie e saluti.
Lidia Cristina - Montepaone (Catanzaro)

LA NOSTRA CUCINA
Scritto da PRO LOCO, a cura di Riccardo Zingone
cfr.: http://www.prolocomistretta.it/index.php?view=article&catid=48%3Aattivita-gastronomiche&id=128%3Ala-nostra-cucina&option=com_content&Itemid=61

La gastronomia mistrettese racchiude la genuinità, la semplicità e la ricchezza dei prodotti tipici locali e,
dai primi piatti ai dolci, riesce a soddisfare anche i palati più esigenti, grazie anche agli aromi che la natura
elargisce spontaneamente in questa zona, quali il finocchietto selvatico, l'origano, l'alloro che riescono a dare un sapore particolare a molti cibi. Alcuni piatti vanno di pari passo con le stagioni. Dall'autunno in primavera le verdure selvatiche, i funghi e i legumi primeggiano nelle mense; in estate gli ortaggi, il tutto condito con olio extravergine di oliva di produzione locale. Assieme ai prodotti agricoli vi sono quelli caseari, la provola, la ricotta fresca e salata, i formaggi di primo sale o stagionati e la carne nostrana.
Particolarmente apprezzata da quanti la gustano è, tra i prodotti caseari, la cosiddetta ricotta salata, per le quali si sfrutta una particolare tecnica di lavorazione. Il prodotto, opportunamente grattugiato, da' un sapore caratteristico ai piatti anche più comuni, come per La gastronomia mistrettese racchiude la genuinità, la semplicità e la ricchezza dei prodotti tipici locali e, dai primi piatti ai dolci, riesce a soddisfare anche i palati più esigenti, grazie anche agli aromi che la natura elargisce spontaneamente in questa zona, quali il finocchietto selvatico, l'origano, l'alloro, che riescono a dare un sapore particolare a molti cibi.
Alcuni piatti vanno di pari passo con le stagioni. Dall'autunno in primavera le verdure selvatiche, i funghi
e i legumi primeggiano nelle mense; in estate gli ortaggi, il tutto condito con olio extravergine di oliva di
produzione locale. Assieme ai prodotti agricoli vi sono quelli caseari, la provola, la ricotta fresca e salata, i
formaggi di primo sale o stagionati e la carne nostrana. Particolarmente apprezzata da quanti la gustano è, tra i prodotti caseari, la cosiddetta ricotta salata, per le quali si sfrutta una particolare tecnica di lavorazione. Il prodotto, opportunamente grattugiato, da' un sapore caratteristico ai piatti anche più comuni, come per esempio la pasta con il pomodoro fresco ed alcuni piatti tipici mistrettesi, come la pasta con la zucchina o la caratteristica " parmigiana " locale. Né meno apprezzate sono alcune verdure selvatiche che vengono utilizzate, opportunamente cotte, come contorni, frittate, polpette, insalate o come condimento ai primi piatti. I finocchi selvatici, che oltre ad essere usati per la notissima " pasta con le sarde ", nel nostro territorio vengono impiegati per fare delle prelibate polpettine fritte, da consumare calde o fredde, oppure ottime insalate, che si sposano con i sapori più disparati. Altro piatto prelibato, ma poco conosciuto fuori dai confini del nostro territorio, sono i caratteristici " purrietti " ( porri selvatici ), che ben reggono, a detta di molti, il confronto con la ben più nota " bagna cauda " piemontese? Il procedimento che rende, commestibile questa verdura è un po' lungo ma i risultati fanno dimenticare la fatica che la preparazione richiede. Gustosi piatti si ottengono anche utilizzando gli asparagi di vario tipo che il nostro
territorio produce in abbondanza. Lo stesso dicasi per i funghi che richiamano nella nostra zona tanti "
ricercatori " provenienti anche da paesi distanti. Tra questi, pur se poco conosciuti, si annoverano i " bissini
" ( vescie ) dalla forma, sapore e odore molto particolari. Bovini, suini e caprini, allevati nel nostro territorio,
forniscono la carne delle nostre mense. Gustose le grigliate, aromatizzate dal " salmurigghiu ", speciale
salsa a base di olio, limone ed aromi vari; buonissimo il capretto o l'agnello al forno. Fra tutti, comunque,
eccelle la tipica salsiccia mistrettese di puro suino, aromatizzata con finocchietto selvatico. La stessa,
essiccata, è un ottimo salame.
E, dulcis in fundo, i dolci tipici amastratini: la "pasta reale", anticamente regina dei banchetti nuziali ed oggi
invece gustabile ogni giorno, da non confondere con la " frutta martorana " è un particolare tipo di dolce a base di mandorle e zucchero modellato a mano a forma di fiori e frutti; i "torroncini" di forma conica; i "napoli" a forma di rametti e i "scattati", dal gradevole odore di vaniglia e cannella. E non mancano dolci tipici di alcune festività religiose come " i varate " del periodo pasquale e " i vucciddati " del periodo natalizio.
LA CUCINA NEI NEBRODI

dal sito del Comune di Tusa
cfr.: http://www.comuneditusa.sicilia.it/home.htm
"Pasta 'ntaganata"
Si tratta di un primo piatto, preparato con carne di pecora, estratto di pomodoro, melanzane fritte, pecorino e caciocavallo. La pasta cotta al dente viene condita con il sugo precedentemente preparato con gli ingredienti sopracitati e riposta in un largo tegame ben chiuso, dove si fa proseguire la cottura per alcuni minuti.
"Cunighiu"
Pietanza particolare, prevalentemente invernale, a base di zucchine essiccate al sole, salsa di pomodoro, uva passa e olive bianche salate.
"Maccarruna"
Pasta fresca all'uovo, si prepara con farina uova ed acqua. Una volta lavorata, la pasta si stende su uno spianatoio, utilizzando fragili fili di giunco, per ricavare all'interno del maccherone il foro che consente una migliore adesione del ragù di carne col quale i ' maccharruna " vengono conditi dopo essere stati lessati.
"Cudduri"
Tipici dolci pasquali, si preparano con mandorle, zucchero, farina e acqua aromatizzata con la buccia di limone fresco. Sopra ogni dolce, che può avere forma di colomba o di cestino, viene posto un uovo sodo. La cottura avviene nel forno a legna.
"Cassati"
Rappresentano il tradizionale dolce natalizio. Si tratta di dolci di forma varia formati da pastafrolla all'esterno e da un ripieno preparato a base di mandorle, zucchero fichi secchi, noci, canditi, confettura, cioccolato e cannella in polvere. Anche in questo caso la cottura viene eseguita rigorosamente nel forno a legna.
"Mustardi"
Dolce di complessa preparazione che può essere consumato sia fresco che essiccato. Gli ingredienti sono: mosto d'uva o polpa di fichi d'India, farina, mandorle tostate, buccia di limone grattugiata e vaniglia.

dal sito Azienda Fioriglio
cfr.: http://www.provolafioriglio.it/base/ricette.html
ANTIPASTO RUSTICO
Tagliare la provola ed il salame a fette, disporle nel piatto da portata ed aggiungere olive in salamoia e sottaceti di ortaggi nostrali

 

 

PROVOLA DEI NEBRODI ALL'ARGENTIERA
Tagliare la provola a fette grosse e in una padella aromatizzare l’olio soffriggendovi l’aglio; adagiare nella padella le fette di provola avendo cura di togliere l’aglio.
Cospargerle con un po’ di origano e spruzzarle con gocce di aceto.
Porre il coperchio sulla padella cuocere ancora per qualche minuto a fuoco basso per insaporirle. Servire le fette ancora calde.

PROVOLA DEI NEBRODI CON CARCIOFI E CARAMELLO AL PEPERONCINO
Ingredienti per 4 persone:
4 fette di Provola da 80 gr
8 carciofi
250 gr di zucchero semolato
200 gr di acqua calda
peperoncino in polvere
sale
Cuocere allegramente in una padella con poco olio i carciofi tagliati a fette, aggiungere sale e mettere da parte. Salsa caramello: Cuocere lo zucchero fino a farlo caramellizzare, aggiungere il peperoncino in polvere e subito l’acqua calda lentamente. Filtrare e far raffreddare. Riscaldare una padella antiaderente con un velo di olio, mettere la provola e cuocere velocemente da ambo i lati.
Servire la Provola dei Nebrodi con i carciofi e il caramello di peperoncino.
N.B. In mancanza di carciofi la ricetta si può realizzare con melanzane

Ancora sulla Pasta 'ncaçiata
cfr.: http://it.wikipedia.org/wiki/Mistretta#Pasta_.27nca.C3.A7iata
Questo piatto è presente in quasi tutto il territorio del messinese, ma a Mistretta è un piatto tipico. Gli ingredienti sono semplici, come in tutti i prodotti popolari, ma il combinare insieme certi ingredienti e in certi modi crea dei piatti molto gustosi. Gli ingredienti del condimento sono: pomodori, caciocavallo fresco, carne tritata, salame, uova sode, melanzane, pecorino grattugiato, aglio, vino bianco, basilico, olio, sale, pepe. Per la pasta si usano magliette di maccheroncino. La pasta si cuoce al dente e si mischia in una casseruola al condimento. La casseruola viene adagiata su uno strato di brace ardente e, una volta messo il coperchio, viene anche coperta di brace, in questo modo la pasta verrà cotta. Il nome della pasta deriva proprio da questo particolare modo di cottura, infatti "u ncaçio" nel dialetto mistrettese è proprio il rivestire la casseruola con la brace.

PASTA REALE
Descrizione sintetica del prodotto: tipico dolce di Mistretta, la cui produzione richiede maestria nella preparazione delle varie forme, riservato un tempo alla tavola delle famiglie benestanti. Descrizione delle metodiche di lavorazione e stagionatura: Le mandorle, sbollentate e spellate, vengono tritate assieme allo zucchero
Materiali ed attrezzature specifiche utilizzate per la preparazione e condizionamento: Componenti: mandorle, uova, farina, zucchero, acqua e aromi naturali. Processo di trasformazione: le mandorle, sbollentate e spellate, vengono tritate assieme allo zucchero, si prepara la sfoglia con gli altri ingredienti, si modellano a mano le tipiche forme (uva, frutta in genere etc.) e quindi s'infornano.

"PEPERONI RIPIENI"
SIMILMENTE ad altre varietà provenienti dal nuovo mondo, ma diffuse solo nell'ottocento, i peperoni hanno una storia breve ma ricca nella cucina meridionale. Lo provano diverse qualità, tutte variamente impiegate nelle mense ricche e povere del nostro mondo occidentale. L'uso di riempire le "caverne" del peperone con i prodotti più vari (carne macinata, pan grattato, fette di cipolla, formaggio pecorino etc.) è semplicemente il portato di tutta la bontà di sapori, dal dolciastro al piccante, che dalla "parete" del peperone si trasmettono al ripieno man mano che il calore del fuoco ne scioglie la compattezza originaria.
INGREDIENTI
Per 4 persone:
150 grammi
di pan grattato
40 gr di uvetta
sultanina e
pinoli
120 grammi di
caciocavallo
fresco
2 acciughe
30 gr di capperi
olio extra
vergine d'oliva
sale e pepe q.b.

 

"ZUCCA ALL'AGRODOLCE"
QUESTO PIATTO tipico del capoluogo dell'isola va comunemente anche sotto il nome di "ficatu ri sette cannoli". Pare, infatti, che anticamente i venditori ambulanti di Palermo sistemassero le loro bancarelle nel popolare quartiere della Vuccirla proprio vicino alla fontana del Garraffello. Reclamizzavano, poi, a gran voce la vivanda che offrivano agli operai con la metafora: "fegato dei sette cannoli" perchè‚ la fontana del Garraffello aveva appunto sette cannelli. La zucca gialla viene, in questo antipasto, abbinata all'agrodolce che è uno del caratteri principali della cucina siciliana. Ottenuto combinando lo zucchero con aceto o limone.
Ingredienti
Per 4 persone:
750 gr. di zucca gialla
2 spicchi d'aglio
alcune foglie di menta
olio extra
vergine d'oliva
1 cucchiaino
di zucchero
sale e pepe
quanto basta
1 bicchiere d'aceto
Tagliate la zucca gialla a fette abbastanza regolari e friggetele in olio bollente, aggiungendo sale e pepe. Riponetele in un piatto ed eliminate parte dell'olio dalla padella. Rimettete la padella sul fuoco ed aggiungete l'aceto e lo zucchero. mescolate con un cucchiaio di legno e tenete sul fuoco molto basso fino a quando lo zucchero non sarà completamente sciolto. Spegnete e versate il tutto sulle fettine di zucca. A questo punto aggiungete l'aglio schiacciato e la menta. Fate raffreddare e servite in tavola.

"OLIVE NERE FRITTE"
CONTRARIAMENTE a quanto si pensa le olive nere non sono una qualità, ma una varietà a parte. Vasto è l'uso che se ne fa nella tradizione gastronomica siciliana. Eppure versare olio o sognarlo porta male e per scongiurare disgrazie si buttano tre pizzichi di sale dietro le spalle. Le "aulivi niri fritti" sono un antipasto tra i più usati in Sicilia. Si accoppiano con la cipolla, che fu portata dal romani nell'isola direttamente dall'oriente. Considerata sacra dagli egizi ed energetica prima di una battaglia dai soldati romani, la cipolla veniva mangiata cruda dal contadini siciliani perchè ritenevano che facesse bene ai denti.
INGREDIENTI
Per 4 persone:
500 gr. di olive nere
1 cipolla bianca
olio d'oliva
extravergine
2 spicchi d'aglio
1/2 bicchiere
d'aceto
un mazzetto
di origano.
Tritate finemente la cipolla e rosolatela in una padella con olio. Dopo qualche minuto aggiungete le olive nere. Tenetele a fuoco vivo per 5 minuti e servitele in tavola, calde. Le olive possono essere preparate con una variante. Anzichè usare la cipolla si può utilizzare aglio, aceto ed origano. Basterà allora soffriggere 2 spicchi d'aglio interi, aggiungere le olive e spruzzare con l'aceto. Quando questo sarà evaporato, potrete spolverare le olive con un poco d'origano. Servitele in tavola sempre calde.

"COZZE AL GRATIN"
E' UNO DEI PIATTI considerati ideali dalla cucina siciliana per aprire un pranzo. E un antipasto tipico del messinese, anche perchè proprio in questa zona ci sono i migliori mitili della Sicilia. Famose sono, infatti, le cozze di Ganzirri, in provincia di Messina, allevate in una insenatura che penetra nella piccola cittadina. Le cozze in dialetto prendono una serie infinita di nomi: sono dette "cozzi" e "cuozzi" ma anche "còzza niura", "arcèlla", "catacòzzula" e "anapìnnula". Nella tradizione gastronomica dell'isola, le cozze trovano posto soprattutto come cucinate a parte. Note sono "i còzzi a bruòru", le cozze alla marinara e "I còzzi cu l'agghiu".
INGREDIENTI
Per 4 persone:
1 chilo di cozze
80 grammi
di pan grattato
50 grammi
di parmigiano
grattugiato
I spicchio
d'aglio
I mazzetto di
prezzemolo
1/2 bicchiere
di vino bianco
Olio d'oliva
extravergine
Sale e pepe
Pulite le cozze e sistematele in una padella con olio e uno spicchio d'aglio. Coprite e fate friggere. Dopo un minuto spruzzate col vino bianco e lasciate sul fuoco a padella coperta finchè tutte le cozze non saranno aperte. Preparate un impasto con il pan grattato, il parmigiano, il. prezzemolo tritato, sale e pepe aggiungendo un filo d'olio. Sistemate le cozze in una pirofila e riempite con l'impasto una delle due valve. Irrorate con poco olio e mettete la pirofila nel forno. Lasciate gratinare per 20 minuti.

"INSALATA DI MARE"
IN FUNZIONE di antipasto, l'insalata di mare non ha lunga storia. In Sicilia, infatti, l'introduzione di prodotti intesi a stuzzicare l'appettito è abbastanza tarda. In funzione invece di un piatto di mezzo, spesso più proprio della cucina povera, l'insalata di mare può richiamare una tradizione. Al di là dei diversi modi di prepararla e condirla, essa rappresentava una delle maniere di non sprecare nulla della varietà del pescato: sotto questo aspetto, dunque, i contributi delle varie civiltà succedutesi in Sicilia son ben visibili. Ancora oggi è uno del piatti più caratteristici della nostra isola e di tutti i pesci del mediterraneo.
INGREDIENTI
Per 6 persone:
400 gr. di polpo
500 gr. di calamari
1Kg di gamberetti
500 gr. di cozze
500 gr. di vongole
2 limoni
olio extra vergine
sale e pepe
quanto basta
un mazzetto
di prezzemolo
aceto.
Bollite i polpi e i calamari separatamente in abbondante acqua salata. Per la cottura del polpo regolatevi seguendo i tempi di cottura della ricetta dell'insalata di polpo. A parte lessate i gamberi con l'aggiunta di un po' di aceto affinchè, una volta sgocciolati, non diventino neri. Mettete un tegame sul fuoco vivo e ponetevi le cozze e le vongole e attendete finchè le valve non si siano tutte aperte. Scendetele dal fuoco conservando il liquido che avranno emesso e mettetele da parte dopo aver eliminato le valve. Appena il polpo e i calamari saranno cotti, scolateli e tagliate il polpo a tocchetti e i calamari ad anelli. Prendete un piatto di portata, mescolate polpi, calamari, cozze, vongole, gamberi e condite con olio, succo di limone, sale quanto basta, pepe macinato e aggiungete un paio di cucchiai di liquido di cottura delle cozze e delle vongole passato in un colino. Spruzzate con abbondante prezzemolo tritato finemente. Aggiungete a vostro piacimento uno spicchio di aglio tritato e servite in tavola dopo aver fatto freddare.

"PASTA ALLA NORMA"
QUESTO PIATTO fu creato a Catania in onore alla Norma di Vincenzo Bellini. L'aneddoto vuole che un giorno, durante un pranzo tra artisti, sia arrivato a tavola un piatto di spaghetti condito con ricotta salata infornata, salsa di pomodoro, melanzane fritte e basilico. Alla fine qualcuno dei partecipanti, ispirato dai sapori e dagli odori della pietanza, esclamò: "ma questa è Norma!". Si sa che a Catania, Bellini e la Norma sono sinonimi di tutto ciò che è eccelso. Il piatto, pur essendo comune a tutta l'isola, va attribuito alla tradizione catanese non solo per l'origine, ma anche per l'uso specifico della ricotta salata e infornata.
INGREDIENTI
Per 4 persone:
500 gr di spaghetti
300 gr di salsa
di pomodoro
1 chilo di
melanzane
nere
150 gr di ricotta
salata
100 gr di ricotta
fresca
olio d'oliva
extravergine
8 foglie intere
di basilico
sale e pepe q.b.
Sbucciate le melanzane, tagliatele a tocchetti e lasciate in uno scolapasta per circa un'ora dopo averle spolverate con un poco di sale. Preparate dell'olio caldo in una padella, scolate le melanzane e soffriggetele. Quindi mettetele ad asciugare su un foglio di carta assorbente per eliminare l'olio superfluo. Nel frattempo fate bollire dell'acqua in una pentola, calate gli spaghetti e salate. Non appena pronti, scolateli bene, sistemateli in zuppiera ed aggiungete la ricotta fresca, il basilico tritato e la salsa di pomodoro. Mescolate tutto e dividete nei piatti gli spaghetti, ai quali saranno aggiunte le fette di melanzane fritte. Grattuggiate un pò di ricotta salata e guarnite i piatti con le foglie di basilico. Servite in tavola.

"MINESTRONE SICILIANO"
NELLE VERDURE sono presenti: le sostanze di cui l'organismo ha bisogno maggiormente: vitamine, sali minerali, proteine vegetali e zuccheri. Eppure molte verdurine e radici di un tempo, sono state dimenticate. Nessuno le coltiva e nessuno le vende, quasi un voler dire addio a una fetta del proprio passato. Parliamo dei "cabbasìsi", per esempio, piccole radici dolciastre del trapanese e del palermitano; dei ragusani "matùfi", erba molto gustosa; del piccante rafano, ricordato maggiormente come "ramuràzza; dei "carnabusci" o "curnicèddi di manciàri". In ogni caso, il minestrone‚ viene fatto in Sicilia durante tutto l'anno, utilizzando le verdure di stagione.
INGREDIENTI
Per 4 persone:
300 grammi
di patate
300 grammi
di fagioli
freschi
400 grammi
di verdure
di stagione
mezzo cavolo
2 carote
1 cipolla
1 sedano
2 pomodori
pelati
1 litro
di brodo
di carne
sale e pepe
quanto basta
Pulite le verdure, tagliatele in piccoli pezzi (mettendo da parte la cipolla) e pelate Ie patate. Dorate la cipolla in olio, aggiungete i pomodori e soffriggeteli per qualche minuto. Quindi unite le verdure. Le patate, i fagioli, il sedano, il cavolo e le carote tagliati a pezzetti e rimescolate a fuoco vivo ancora per qualche istante, salate e pepate. Versate il brodo sul minestrone e fate cuocere a fiamma bassa per un'ora circa. Il minestrone si può arricchire con pasta di tipo "ditali" piccoli o riso. D'estate è ottimo freddo.

"MACCU"
LA PREPARAZIONE del Maccu è originaria del ragusano ed è molto diffusa nelle Madonie ed in tutte le località montane della Sicilia, con caratteristiche e connotazioni diverse. A Paternò e in tutto il siracusano, il Maccu viene preparato in onore di San Giuseppe ed è offerto in voto alle ragazze sfortunate, povere od orfane. A Catania viene chiamato maccu virdi, mentre a Palermo maccu faviani ed entrambi vengono fatti con le fave già sgusciate. Il nome Maccu deriva dal tardo latino maccare, che vuol dire schiacciare, ridurre in poltiglia. Il suo nome si ricollega a Maccus, personaggio delle favole romane, progenitore di Pulcinella.
INGREDIENTI
Per 6 persone:
1 chilogrammo
di fave secche
oppure
l'equivalente
di fave fresche
grosse
sbucciate
3 mazzi
di giri (biete)
2 pomodori
maturi grossi
oppure
500 grammi
di pelati
2 cipolle
Olio d'oliva
extravergine
Sale e pepe
quanto basta
Fate ammorbidire le fave secche ponendole dentro un tegame con l'acqua e lasciatele riposare per circa 12 ore. Oppure sbucciate delle fave fresche e grosse e copritele con I'acqua. Mettete il tegame sul fuoco e fate cuocere per circa un'ora. Scolate le fave eschiacciatele con una forchetta fino a farle diventare una purea. Nel frattempo pulite i giri e lessateli a parte. Mentre si cuociono, rimettete nel tegame la purea, aggiungete olio, sale e pepe ed amalgamate tutto. Sistemate la purea di fave dentro una zuppiera ed unite i giri lessati e tagliati a pezzetti. Condite poi con olio crudo oppure con un soffritto, chc avrete fatto a parte, con la cipolla e il pomodoro. Servite il tutto in un piatto grande. Il maccu è ottimo anche con la pasta fresca.

"PASTA CON ZUCCHINE FRITTE E RICOTTA"
FALLA COMu VUI, sempri cucuzza è. Un detto tipicamente siciliano che dimostra come nell'isola la zucchina non sia un cibo molto appetitoso ed apprezzato. Eppure nella cultura gastronomica tradizionale della Sicilia ci sono molti piatti, come questo primo tipico della zona delle Madonie, che prevedono la presenza determinante della zucchina. Le varietà di zucchine si distinguevano un tempo con nomi diversi: "caravazza", "trumma" o "lonca" era la zucchina lunga; "cucuzza baffa" era la specie più grossa; la zucca gialla è detta, invece, "cucuzza di Spagna". I venditori ambulanti siciliani la chiamavano "ancidda di jardinu".
INGREDIENTI
Per 4 persone:
400 grammi
di maccheroni
1 o 2 zucchine
napoletane
1 spicchio
d'aglio schiacciato
50 gr di ricotta
salata grattuggiata
Olio d'oliva
extravergine
Sale e pepe q.b.
Alcune foglie di
basilico intere
Raschiate la zucchina, lavatela, tagliatela a fettine e asciugatele. Friggetele in una padella con olio caldo fino a farle dorare. Tolte dal fuoco, lasciatele asciugare su un foglio di carta assorbente. Friggete nello stesso olio l'aglio schiacciato (che toglierete a fine cottura). Lessate i maccheroni in acqua salata, scolateli al dente e conditeli con l'olio nel quale sono state fritte le fettine di zucchina. Aggiunte le zucchine e spolverate, con la ricotta salata e il pepe. Guarnite con le foglie di basilico e servite in tavola.

"RISOTTO ALLA MARINARA"
ORMAI DA TEMPO, siamo abituati a pensare al riso come a un cereale proprio della Valle Padana. La storia però, mostra che gli itinerari del riso furono ben altri da quelli immaginabili. Originario delle Indie, fu comune nelle tavole dei cinesi, dei fenici, degli ebrei di alcuni secoli o millenni avanti Cristo. In Europa, giunse attraverso la Sicilia dove fu naturalmente importato dagli Arabi nel diciannovesimo secolo. Nell'Isola, fu coltivato negli acquitrini dei versanti meridionali pianeggianti, e solo nel Cinquecento conquistò le basseterre della Valle Padana. Il risotto alla marinara ce lo fa ritrovare in Sicilia.
INGREDIENTI
Per 6 persone:
500 gr di riso
1/2 litro di brodo
vegetale
50 g. di burro
1/2 cipolla
300 gr di vongole
500 gr di cozze
300 gr di gamberetti
senza guscio
1 calamaro
nettato
500 grammi
di pomodori
pelati
4 spicchi d'aglio.
Preparate due casseruole, ponendo in ciascuna 3 cucchiai di olio e due spicchi d'aglio schiacciato. Lavate le cozze in acqua salata insieme alle vongole. Ponete intanto una delle due casseruole sul fuoco e fate cuocere l'aglio senza farlo scurire. Buttatevi le vongole e !e cozze e rigirate finche non s'aprano. Bagnate con una parte del vino e fate evaporare. Togliete i molluchi dal guscio e metteteli da parte, quindi filtrate il loro brodo di cottura. Intanto tagliate il calamaro a piccoli pezzi e buttateli assieme ai gamberi nell'altra casseruola. A questo punto unite i pomodori pelati, scolati e fate cuocere per 15 minuti a fuoco moderato. Unite le vongole, le cozze e il loro brodo. Mescolate pepate, salate e cuocete per altri 15 minuti a fuoco bassissimo. Mettete sul fuoco una casseruola con burro e cipolla tritata finissima e fate soffriggere, irrorando con l'altra quantità di vino. Unite il riso che farete cuocere diluendo poco alla volta con il brodo. A tre quarti di cottura unite la salsa e continuate la cottura. Spolverate infine col prezzemolo tritato.

"PASTA CON ARAGOSTA"
NOTA SIN DALLA più remota antichità: Plinio e gli scrittori la chiamarono locusta, voce pure usata nel Medioevo, l'aragosta si può ritenere a ragione, la regina dei crostacei e dei frutti di mare! Non solo per i deliziosi sapori che trasudano da essa, ma soprattutto per la particolarità della sua conformazione! Pregiata, rara, dunque costosa, rientra nella tradizione gastronomica siciliana, soprattutto dell'area trapanese, dove la carne di aragosta entra in molte ricette, tra cui quella, meritatamente famosa, di condimento alla pasta! L'epoca della pesca va per lo più da luglio ad ottobre e si adoperano prevalentemente le nasse.
INGREDIENTI
Per 4 persone:
400 gr di spaghetti
una aragosta da 1 kg.
una cipolla
un pomodoro maturo
1/2 bicchiere
di vino bianco
sale e pepe q.b.
olio d'oliva
extravergine
30 grammi di
burro
un mazzetto
di prezzemolo.
Lavate bene l'aragosta, legate la coda a una tavoletta di legno quindi immergetela per un minuto in acqua bollente. Scendetela, slegatela e tagliatela a pezzi con un coltello. A parte in una padella con olio e il burro, fate soffriggere la cipolla tagliata sottilissima. Aggiungete il pomodoro tagliuzzato dopo aver eliminato la buccia e i semini, salate e lasciate cuocere per 5 minuti circa. A questo punto unite l'aragosta tagliata a pezzi e sbagnate con il vino. Fate evaporare e lasciate cuocere ancora per 20 minuti, aggiungendo l'acqua di tanto in tanto. Scendete la padella dal fuoco, prendete i pezzi dell'aragosta e togliete la polpa dal guscio aiutandovi con l'apposita pinza, avendo cura di eliminare il budello addominale. Rimettetela nella padella dove risiede il sughetto. Nel frattempo fate bollire l'acqua in una pentola, salate e mettete giù gli spaghetti. Scolateli al dente e tuffateli nella padella dove è contenuta la salsa delI'aragosta. Mescolate ben bene e spolverate con il prezzemolo tritato e pepe. Servite gli spaghetti caldissimi e ben conditi.
cfr.: http://www.fondazionemarianostrano.net/

Sicilia, storia della cucina
Premessa
La Sicilia è la più grande isola del Mediterraneo: con i gruppi insulari che da essa dipendono (Eolie, Egadi, Pantelleria) si estende infatti su una superficie di 25.707 km2; ha inoltre una posizione centrale nel Mediterraneo (Messina è quasi equidistante da Gibilterra, Suez e Odessa) che ha dato e dà all'isola un'importanza notevole e notevolmente ha influito sulle sue vicende storiche. Per la sua forma di triangolo fu definita dai Greci TRINACRIA, mentre i Romani la chiamavano poeticamente TRIQUETRA. La Sicilia è in gran parte montagnosa e collinare e, lungo la costa tirrenica presenta un rilievo di vere e proprie catene montuose.
Per citare soltanto i monti più importanti ricordiamo che da Oriente ad Occidente si susseguono i Monti Peloritani (Montagna Grande, 1374 m.s.m.) che vanno dallo Stretto di Messina alla Portella Mandrazzi, costituiti da terreni arcaici, graniti e scisti cristallini, ai quali si affiancano rocce in prevalenza calcaree. A essi seguono i Nebrodi (Monte Soro, 1847 m.s.m.) che giungono sino alla Portella dei Bifolchi. Sono formati in gran parte da arenarie e calcari e mostrano creste e groppe arrotondate, in parte ancora rivestite da boschi. Ad Occidente si ergono i rilievi delle Madonie (Pizzo della Principessa, 1975 m.s.m.) costituiti in prevalenza da calcari mesozoici, ricchi di fenomeni carsici. A Occidente della Valle del Torto, le catene montagnose si risolvono in gruppi isolati, per lo più ellissoidali, di calcari mesozoici, spesso fratturati, che emergono con le loro forme accidentate, sui terreni terziari, in gran parte arenacei o argillosi. Così da Est a Ovest si susseguono i Monti di Termini Imprese, i Monti di Palermo, i rilievi di Corleone, i Monti di Cammarata o Sicami e i Monti del Trapanese. Alla stessa zona strutturale appartengono pure le isole Egadi. A Sud e a Est della zona di corrugamento si estende, sino al corso dell'Imera meridionale e con lento declino verso il Mar d'Africa, un territorio collinare a groppe, sulle quali emergono spesso rupi calcaree o gessose. Tra l'Imera meridionale (o Salso), la Piana di Catania, il Fiume di Caltagirone e il Dirillo, si estendono i Monti Erei, su cui scorre lo spartiacque tra Ionio e Mar d'Africa. La loro morfologia è ravvivata dalla presenza di rocce più resistenti che emergono sul mantello dei terreni terziarî, per lo più arenaci e argillosi. Tra la Piana di Catania, il Fiume di Caltagirone, il Dirillo e il mare, sorgono i Monti Iblei (Monte Lauro, 986 m.s.m.), in parte resti di un antico edificio vulcanico, fasciato da un tavolato calcareo profondamente inciso da valli strette e incassate dette, localmente, cave. Tra l'Alcantara e il Simeto s'innalza l'Etna (3242 m.s.m.), uno dei maggiori vulcani d'Europa, che ha costruito il suo cono complesso sopra un rilievo terziario preesistente. La regione etnea, con le sue caratteristiche morfologiche, forma un territorio a fisionomia particolare. Scarse le pianure, tra le quali la più ampia è quella di Catania, seguìta dalla Piana di Gela. Quest'isola è bagnata da tre mari: il mar Tirreno con coste frastagliate e un'ampia fascia litorale; il mare d'Africa con coste rocciose spesso alte e articolate nel Canale di Sicilia fino a Trapani mentre poi inizia un lungo tratto basso; il mare Ionio le cui coste iniziano unite e rettilinee, divengono poi alte e rocciose tra Capo Sant'Alessio e Taormina e sono basse e sabbiose fino oltre Riposto per ridiventare alte e rocciose fino a Sud di Catania.
La conformazione geologica di quest'isola determina un clima molto diverso tra le coste dove è mediterraneo e l'interno dove l'altitudine e la lontananza dal mare influiscono in modo particolare sull'andamento della temperatura che presenta inverni rigidi ed estati calde; una temperatura che ha consentito di caratterizzare il paesaggio vegetale con le colture agrarie.
Un po'di storia
Per comprendere a fondo le tradizioni anche culinarie di questa terra, è necessario - come per nessun'altra regione italiana - conoscerne la storia complessa che la rese teatro di varie e svariate dominazioni. Nell'antichità greca la Sicilia non ebbe una storia unitaria, nonostante il predominio che vi esercitò fino al III secolo a.C. Siracusa. Fu teatro di incursioni e dominazioni nel III secolo d.C., fu corsa da un'orda di Franchi e nel V secolo si verificò un insediamento di Vandali sulla costa occidentale. Finalmente nel 535 i Bizantini riconquistarono l'isola con una spedizione inviata da Giustiniano e guidata da Belisario; divenne provincia bizantina con capitale Siracusa governata da uno stratega. L'influsso di Bisanzio fu forte ma non benefico per l'economia siciliana, nonostante che nel 663 d.C. la capitale dell'impero bizantino fosse trasferita a Siracusa per il sogno dell'imperatore Costante II di riportare la capitale dell'impero: un sogno che rimase tale, mentre dopo varie vicende la Sicilia alla fine del IX secolo fu interamente sottomessa agli Arabi e fu governata dalla dinastia degli emiri Kalbiti.
Fu quello il periodo di maggiore splendore della Sicilia araba. La caduta dei Kalbiti spezzò l'unità dell'isola, che andò divisa tra varî signorotti locali. L'emiro di Catania venuto in guerra con il rivale emiro di Girgenti, chiamò nel 1061 in aiuto i Normanni, appena allora stabilitisi a Messina; e questi compirono in un trentennio la riconquista cristiana dell'isola, domando la resistenza dei musulmani talora assai tenace, come a Siracusa. Nei due secoli e mezzo del diretto dominio arabo, la Sicilia godé di grande prosperità economica, per le intensificate e rinnovate colture e la redistribuzione della proprietà terriera; e civilmente e culturalmente, fece parte della società arabo-musulmana medioevale, cui essa dette coi suoi poeti, filologi e giuristi, un notevole contributo. La conquista dell'isola da parte normanna può considerarsi completata nel 1091; Ruggero assume il titolo di «Gran Conte di Sicilia e di Calabria» e vi svolge una intelligente politica di tolleranza verso i vinti, di rilatinizzazione dell'elemento etnico e di rafforzamento della propria autorità sul feudalesimo per la prima volta introdotto nell'isola. Tale politica prosegue sotto il figlio Ruggero II (1113-1154), che riuniti alla Sicilia i possessi normanni di terraferma e assunto il titolo di re di Sicilia e di Puglia (1130), porta il regno a grande splendore. La potenza siciliana, offuscata durante il critico periodo di Guglielmo I (1154-66) dalle congiure baronali e le spietate repressioni, viene restaurata da Guglielmo II (1172-89) e persiste anche col trasferimento della corona di Sicilia a Enrico (poi VI) di Svevia per il suo matrimonio con Costanza, ultima erede normanna. Grande importanza per la civiltà siciliana (e non solo) avrà il di lei figlio Federico II di Svevia che svolse una politica a raggio europeo e imperiale, proteggendo le arti e le scienze (basti pensare alla «Scuola siciliana») e pur senza dimenticare il programma mediterraneo dei Normanni.
Ma alla morte di Federico II (1250) si aprì una grave crisi per la Sicilia che ebbe come conseguenza lo spostamento dell'asse politico sul continente (trasferimento della capitale a Napoli). Varie le vicende che portarono la Sicilia a perdere ogni autonomia e a essere nel 1412 strettamente congiunta con la corona d'Aragona, poi di Spagna. Se anche conserva l'avito splendore con Alfonso I il Magnanimo, che nel 1434 fonda l'Università di Catania e nel 1442 entra a Napoli dando vita al regno di Sicilia citra et ultra Pharum (smembrato però alla morte), sotto il dominio spagnolo conosce l'introduzione del tribunale dell'Inquisizione, lo sfratto degli ebrei, l'avvilimento dei privilegi del parlamento siciliano, un forte inasprimento tributario, una grave corruzione della fibra isolana (spagnolismo); va tuttavia segnalato che sotto Filippo II venne represso il brigantaggio e la riottosità baronale. Meno positivo è il giudizio da dare per il XVII secolo, insanguinato da frequenti rivolte per fame (notevole quella capitanata da Alessi a Palermo nel 1647), da incessanti congiure antispagnole e talvolta repubblicane e dalla ribellione di Messina (1674), avvenuta sotto la protezione del re di Francia Luigi XIV. Sommersa nel turbine delle guerre di Successione della prima metà del XVIII secolo, la Sicilia divenne possesso sabaudo sotto Vittorio Amedeo II (1712-18), poi austriaco (1718-34), finché - conquistata nel 1734 da Carlo di Borbone - non costituì fino al 1860 insieme a Napoli un regno sotto i Borboni, che tennero a Palermo un viceré. Notevolissimo il viceregno di Caracciolo (1781-86), per l'abolizione dell'Inquisizione e per le riforme anti-baronali, non proseguite però dal successore. Sede della corte borbonica durante la tormenta francese e napoleonica (1799-1802; 1806-15), la Sicilia, ostile al predominio napoletano ma non alla dinastia, si fece con l'appoggio di lord Bentick concedere la costituzione (1812), elaborata sul modello inglese e di fatto espressione dell'aristocrazia feudale; ma l'abolizione di essa, alla Restaurazione, e l'integrale incorporazione della Sicilia nel regno delle Due Sicilie (decreto dell'8 dicembre 1816) trasformarono il desiderio di privilegi in un ostinato separatismo, che costituisce la nota dominante della storia siciliana dal moto del 1820 alla rivolta del 1837, a quella del 1848. Nel gennaio 1848 l'insurrezione, movendo da Palermo, divampava in tutta la Sicilia, costringendo in breve le truppe borboniche a abbandonare l'isola. Il 25 marzo il Parlamento dichiarava decaduta la dinastia borbonica conferendo la reggenza a Ruggero Settimo; in seguito deliberò di unire il regno alla Federazione Italiana, offrendo la corona al duca di Genova, figlio di Carlo Alberto. Solo col fallimento del 1849 e la diaspora dell'élite politica isolana per gli stati italiani cade tale premessa autonomistica e, attraverso l'impresa dei Mille, la Sicilia entra a far parte integrante del regno d'Italia (1860), alla cui giovane vita essa dà l'apporto di notevoli uomini politici, ma anche il peso di gravi problemi politici e sociali.
In ciò hanno influito non poco le arretrate condizioni economiche e sociali dell'isola.
Le aspirazioni separatiste siciliane - sempre affinate attraverso le vicende storiche di tutti i tempi - sono state soddisfatte dopo le tristi vicende che hanno coinvolto la Sicilia alla fine dell'ultimo conflitto mondiale, con la costituzione della Regione autonoma siciliana.
In nessun'altra regione italiana la realtà, le tradizioni, la cultura sono frutto di memorie e di fierezze che hanno origine nella lunga vicenda storica di quest'isola eternamente invasa, mille volte costretta a confrontarsi con la cultura, la lingua e le abitudini dei conquistatori, sempre capace di assimilare, rielaborare, ridurre alla propria misura gli apporti giunti dall'esterno. La vita dei siciliani, il loro dialetto, i loro costumi e la loro alimentazione sono il risultato di incontri millenari.
La Cucina
La Sicilia dove la natura è generosa - qui fioriscono gli agrumi, i mandorli, i fichi d'India, qui gli ortaggi, i cereali e tutti i frutti sono di qualità eccezionale - offre un repertorio di cibi e di prodotti caratteristici così ricco di fantasia e di fasto da non essere paragonabile a quello di nessun'altra regione. Basta entrare in una pasticceria di Catania o di Palermo. I luoghi della gastronomia sono ribalte sontuose. Ne sono un esempio la ricchezza cromatica e la complessità strutturale della cassata, cibo di tanta seduzione da indurre nei secoli andati certe suore a trascurare le pratiche pie per dedicarsi alla ricotta e ai canditi. Si pensi anche alla quantità di ingredienti della ricetta del «falsumagru», o falsomagro, quel rotolone ripieno di uova sode, formaggio, lardo, salsiccia, prosciutto; o alla «caponata», che all'originaria congiunzione di polipetti, sedano e melanzane in salsa di pomodoro pretende l'aggiunta di bottarga, capperi, pesce spada in scaloppine, coda di aragosta, girelli di carciofi, punta di asparagi e, per una versione ancora più opulenta, la salsa di san Bernardo con cioccolata amara, mandorle tostate, aceto e zucchero e decorazione di uova sode a fettine, code di gamberi e olive farcite. Sarà a questo punto chiaro perché la cucina siciliana parve a Alphonse Daudet (1840-1897) "un'esaltazione del barocchismo cucinario spagnolo".
La Sicilia ha esaltato i contributi degli arabi, gli apporti degli spagnoli, perfino le attitudini delle religiose.
Riconoscere oggi le origini, ricostruire gli itinerari più lontani, non è sempre facile. Sappiamo che gli agrumi, lo zucchero e il riso furono portati dagli arabi, ma nessuno di questi doni sarebbe bastato a dar reputazione alla Sicilia se i cuochi e i pasticcieri locali non avessero trasfigurato i materiali di cucina. Ogni cultura ha lasciato in Sicilia qualche eredità di sapori: se la ricotta salata, il miele e le olive conciate risalgono alla Magna Grecia, il macco, la farinata di fave e il modo di cucinare le seppie sono contemporanei di Roma antica. Il «cuscus» fu portato dagli arabi, il «farsumagru» fu scoperto al tempo degli Angioini, il largo ricorso alla melanzana coincise con il dominio spagnolo. Sapori vari, dovizie, trionfi in cui le varie influenze si mescolano fin dai tempi più antichi se ricette siciliane sono già presenti nel Libro de arte coquinaria di Maestro Martino che visse e operò a Roma intorno alla metà del XV secolo.
Basti ricordare i «Maccaroni siciliani», di cui ci fornisce una puntuale ricetta: «Piglia de la farina bellissima, et inpastala con biancho d'ovo et con acqua rosa, ovvero con acqua communa. Et volendone fare doi piattelli non gli porre più che uno o doi bianchi d'ova, et fa' questa pasta ben dura; dappoi fanne pastoncelli longhi un palmo et sottili quanto una pagliuca (= pagliuzza). Et togli un filo di ferro longo un palmo, o più, et sottile quanto uno spagho, et ponilo sopra 'l ditto pastoncello, et dagli una volta con tutte doi le mani sopra una tavola; dapoi caccia fore il ferro, et ristira (=ritrai) il maccherone pertusato (= bucato) in mezo. Et questi maccharoni se deveno seccare al sole, et dureranno doi o tre anni, specialmente facendoli de la luna de agusto; et cocili in acqua o in brodo di carne; et mettegli in piattelli con caso grattugiato in bona quantità, butiro frescho et spetie dolci. Et questi tali maccharoni vogliono bollire per spatio de doi hore».
Anche Cristoforo Messisbugo (originario delle Fiandre e attivo in qualità di scalco - una sorta di maggiordomo con responsabilità anche della cucina - nei primi decenni del XVI secolo, presso la corte degli Estensi) nella sua opera Banchetti, composizioni di vivande fornisce una ricetta che - con le dovute modificazioni - è ancora presente nella cucina siciliana; si tratta della preparazione «A fare dieci piatti di riso o farro alla siciliana». «Servirai l'ordine di quelli dei tortelli d'uova del sopradetto, fino a che serà imbandito nei piattelli; poi gli farai quattro o cinque poste per piattelli di sopravia (= sopra), della grandezza d'un uovo, e gli metterai uno uovo per buco col chiaro e torlo. Poi gli darai il zuccaro e cannella di sopravia, nella medesima quantità che si è data nell'altra. Poi gli darai una calda col testo e li manderai in tavola; e invece delle uova, gli potrai mettere i torli d'uova duri di sopravia, e farà quel medesimo effetto».
Anche il vino prodotto in Sicilia ha avuto apprezzamenti fino da epoche antiche se si pensa che ad esso riserva Sante Lancerio, vissuto nel secolo XVI, una lettera, che indirizzò al cardinale Guido Ascanio Sforza, sulla natura e qualità dei vini, lettera che può essere considerata il testo-base della letteratura enologica italiana.
Così egli scrive del vino siciliano: «Viene dall'isola così nominata. Ne vengono di più sorti e da più luoghi di detta isola, bianchi e rossi, ma generalmente più bianchi che rossi. Li bianchi hanno un colore bellissimo et odore grandissimo, ma come se li mostra l'acqua subito perde il suo profumo et odore, et ogni poca l'acqua ammazza. È buono bere il rosso nell'autunno, et il bianco alli caldi grandissimi. Ma hanno un difetto, che alli caldi sobbollono, et alli freddi imbalordiscono (= si viziano) e mutano di colore; ma non già che si facciano forti, ché alli tempi freschi ritornano nel loro pristino stato. Di tale vino S. S. non bevevo che già non fosse stato del rosso scarico di colore, ancorché nel suo Pontificato pochini venivano alla Ripa. Molto meglio sono quelli di Palermo che di altri luoghi di quest'isola, sicché sono vini da famiglia».
Dell'opulenza della cucina siciliana ci dà testimonianza nella seconda metà del XVIII secolo Francesco Leonardi nella sua famosa opera L'Apicio moderno, un'opera che appare strutturata nelle forme di una vera e propria enciclopedia gastronomica. Basterà considerare la ricetta dei «Pollastri alla siciliana» in cui la ricchezza degli ingredienti è pari alla cura della preparazione: «Fiambate (= dal francese flamber : scottare, esporre alla fiamma), spiluccate e sventrate due o tre belli pollastri, levategli l'osso del petto, riempiteli con ragù crudo d'animelle; cuciteli, trussateli (= incosciateli, dal francese trousser) colle zampe dentro il corpo infilate sotto le cosce, metteteli in una cazzarola con una fetta di limone senza scorza sopra il petto, fette di lardo sotto e sopra, una fetta di prosciutto, un mazzetto d'erbe diverse, due scalogne, poco sale, pepe sano, poco brodo, mezzo bicchiere di vino di Sciampagna o altro vino bianco consumato per metà; coprite con un foglio di carta, fate cuocere con fuoco sotto e sopra. Quando saranno cotti, scaldateli, scuciteli, poneteli sul piatto, guarniteli di pomidoro di Sicilia ripieni e serviteli con sopra una salsa al culì di pomidoro». Ma Leonardi ci parla anche di frisole di Maiorca, una sorta di fagioli pregiati, nella ricetta, certamente retaggio del dominio spagnolo, «Cappone di galera (= vivanda così denominata perché originariamente confezionata a bordo delle galee) alla siciliana». «Intingete un poco nove preselle maiorchine (= frisole di Maiorca fresche) nel vino di Malaga, indi aggiustatele sopra il piatto che dovete servire, fateci sopra una bella decorazione con filetti di alici e di tarantello (= sorta di salame fatto con la pancia del tonno) ben dissalato, capperi, cedrioletti, olive disossate, gamberelli e calamaretti fritti, ostriche imbianchite nella loro acqua e qualche filetto di linguattola fritta, che il piatto sia ben guarnito e pieno. Nel momento di servire versateci sopra una salsa come segue: pestate assai fini due once di pistacchi ben verdi e pelati, stemperateli poscia con olio fino, aceto di dragoncello o altro aceto, sale, pepe schiacciato, e passate al setaccio». La cucina siciliana può vantare, dunque, parecchi primati. È probabilmente la più antica d'Italia, è forse la più ricca di specialità, certo è la più scenografica. Persino il piatto più italiano che ci sia, la beneamata pastasciutta, ebbe nell'isola del sole la sua culla, al tempo della dominazione araba. Il nome più antico era "maccarunne", da "maccare", cioè schiacciare (il grano, evidentemente) per impastare.
Indipendentemente dall'influsso che su questa cucina ebbero le usanze delle varie corti europee, essa presenta una rilevanza che risale ai tempi più antichi, e precisamente ai tempi della raffinatissima civiltà della Magna Grecia, fiorita in Sicilia all'incirca quattro secoli prima di Cristo; già allora la cucina era tenuta in gran conto: il cuoco Trimalcione, nativo di Siracusa o di Gela, divenne così famoso per la sua abilità e la sua inventiva, da essere conteso in tutto il mondo greco. Un certo Miteco di Siracusa scrisse un trattato, "Il cuoco siciliano", che anticipa di ben duemila anni l'attuale esplosione dei libri di cucina e ci fu persino un tale Laoduco, siciliano anch'egli, che aprì una scuola alberghiera a pagamento. La cucina nasce dunque in Sicilia come una vera e propria arte e tale resta per tutta la lunghissima e tormentata storia dell'isola.
È certo che un record dell'arte culinaria di questa terra è quello delle svariatissime influenze che sulla gastronomia siciliana vennero sovrapponendosi via via: Greci, Romani, Arabi, Normanni, Angioini, Aragonesi, Spagnoli, Inglesi... popoli provenienti dalle più lontane contrade convennero nell'isola del sole e dei limoni portando, insieme a brame di possesso e a progetti di conquista, usanze e ingredienti che si innestarono, fondendovisi senza difficoltà, sulle tradizioni locali. Cucina tipicamente mediterranea, i suoi temi fondamentali sono olio, pasta, pesce, frutta, ortaggi, erbe aromatiche; ma a questa base colorata e fragrante, e che è identica a tutte le cucine meridionali italiane, si aggiungono echi, sapori, profumi nuovi, di varia provenienza, spesso inediti per il palato continentale, che derivano appunto dalla storia.
La gamma dei piatti e delle creazioni è straordinariamente ricca ed è particolarmente evidente nelle famiglie, sia in quelle modeste sia in quelle aristocratiche. Se si ripercorrono il difficile passato della Sicilia e i vari periodi delle dominazioni che l'isola subì, si ritrovano - una per una - le tessere di quel mosaico policromo e ghiottosissimo che è il suo attuale patrimonio gastronomico.
Della Magna Grecia restano intatti i sapori delle olive, della ricotta salata, del miele dei fiori, del pesce, dell'omerico agnello alla brace e soprattutto del vino. Al periodo romano risalgono invece piatti come le seppie ripiene, le cipolle al forno, il «maccu», purea di fave cotte in acqua insaporita con erbe aromatiche, che si condisce con olio crudo e si mangia con pane o pasta. È un piatto semplice, che oggi si trova quasi soltanto nell'interno dell'isola: per secoli è stato il cibo più frequente del contadino e dello zolfataro, che se lo portavano, dentro la "quartara" o anfora di terracotta, nei campi e in miniera. Alla dominazione araba riportano invece piatti di netto stampo orientale, come il «cuscusu» (la forma più elementare e primitiva di pasta alimentare che si conosca, minutissime palline di farina di semola e acqua che vengono lasciate ad asciugare al sole e conservate) con cui si realizza la famosa zuppa di pesce del Trapanese; la «cassata», che certamente è il dolce più classico della fantasmagoria dolciaria isolana; la «cubbaita», torrone al miele con semi di sesamo e mandorle, e il gelido nettare che gli Arabi chiamavano "sciarbàt" e che univa alla neve prelevata dall'Etna le essenze profumate di agrumi, frutti e fiori: da qui venne il «sorbetto» che i gelatai siciliani portarono a fama mondiale. Fu, quello arabo, il periodo in cui la Sicilia assunse ancor più l'aspetto di isola felice, profumata e lussureggiante come un giardino. Nuove colture (riso, agrumi, canna da zucchero, anice, ecc.), nuove importazioni (spezie e droghe), nuovi impianti (le tonnare, per esempio): nel generale fervore anche la tavola divenne più sofisticata ed elaborata.
Al periodo del dominio angioino e aragonese risale il popolare «farsumagru», che prima si chiamò "rollò", dal francese "roulé", e che è l'indiscusso sovrano dei piatti siciliani a base di carne: un ricco arrotolato di vitello che racchiude una farcia piena di ogni bendiddio. Echi di usanze francesi si trovano in piatti popolari che ne scimmiottano il nome con una certa ironia, come la «pasta cacata», condita con ricotta fresca e un densissimo ragù, alla quale in qualche modo si contrappone la semplicissima pasta e ricotta che dimostra come la cucina siciliana riesce, grazie alla straordinaria qualità delle materie prime, a creare nel modo più semplice una preparazione magnifica.
La ricetta arriva dalla tradizione popolare, sempre basata su accostamenti elementari, e ricorda in qualche modo quella laziale dei bucatini «cacio e pepe». In questo caso la pasta è del tipo corto, formato ditalini o conchigliette. La ricotta deve essere freschissima e va diluita in una tazza con un poco di acqua di cottura della pasta. Alla fine si condisce tutto insieme e si completa con una spolverata di pecorino grattugiato. Di origine francese è anche l'«ancidda brudacchiata», che è la traduzione di «anguilla in brouet», cucinata con pepe, zenzero, cannella, chiodi di garofano e zafferano sciolto nel vino.
Si giunge così al lungo periodo della dominazione spagnola in Sicilia; l'epoca dei Viceré. Al seguito dei Conquistadores spagnoli di ritorno dall'America, si diffuse in Europa il pomodoro che, nel Sud d'Italia e quindi anche in Sicilia, ebbe enorme fortuna trovando terreno ideale. Pochi anni dopo fu la volta di un'altra protagonista della cucina meridionale, la melanzana, anch'essa di origine sudamericana. Si crearono con questi ortaggi piatti come la «caponata» di verdure, tuttora uno dei più caratteristici e diffusi dell'isola. In questo stesso periodo nacque il Pan di Spagna, base di molti dolci, e si diffuse il cioccolato. Il capitolo più celebre della cucina siciliana è quello baronale. Nelle sontuose dimore dei gattopardi dei secoli XVIII e XIX la tavola raggiunse opulenza e fasto straordinari. Il popolo non aveva di che sfamarsi, ma i baroni e gli alti prelati si contendevano i più abili "monzù", cioè i maestri della cucina (dal francese "monsieur") che prendevano al loro servizio per avere sempre una tavola ricca di invenzioni spettacolari.
È rimasta celebre la descrizione che fece l'inglese Patrick Brydone di un pranzo offerto nel giugno del 1770 dalla nobiltà di Agrigento al proprio vescovo. «A tavola eravamo esattamente in trenta, ma sulla mia parola non credo che i piatti siano stati meno di un centinaio. Erano tutti guarniti con le salse più succulente e delicate... Non mancava nulla di ciò che può stimolare e stuzzicare il palato...».
Tra le portate, quelle che più colpirono il viaggiatore inglese furono le murene e il fegato di polli fatto ingrossare a dismisura. A un certo punto del banchetto ci fu un interessante scambio eno-gastronomico perché gli invitati britannici furono pregati di preparare un ponce, bevanda di cui in Sicilia si era sentito parlare ma che non si era ancora assaggiata. L'accoglienza fu entusiasta, ma l'incredibile pranzo aveva in serbo altre sorprese. Al momento dei dessert, continua il cronista anglosassone, «uno dei camerieri offrì al capitano il simulacro di una bella pesca e questi, impreparato a qualsiasi inganno, non dubitò affatto che si trattasse di un frutto vero. Tagliatala in due, se ne cacciò subito in bocca una grossa metà... ma tosto il freddo violento ebbe la meglio ed egli cominciò a rotolare la pesca da una parte all'altra della bocca, con gli occhi che gli lacrimavano; finché, non potendone più, la sputò nel piatto imprecando: "Una palla di neve dipinta, perdio!"».
La gustosa descrizione di Brydone offre la testimonianza storica di un'arte - quella dolciaria, in particolare quella dei gelati - che non è andata perduta. Basta entrare nelle più importanti gelaterie di Palermo, di Catania, di Messina per capire come il gelato sia una tradizione secolare. Nella rutilante esposizione di «spumoni», «spongati», granite, «geli», «pezzi duri», sorbetti, si incontrano tutti i gusti possibili e immaginabili: fra gli altri, il gelato di fico d'India, il frutto-simbolo della Sicilia, e quello di gelsomino o «scursunera», in cui si vorrebbe affondare la lingua ma anche il naso, irresistibilmente. Straordinario è anche il «gelu di meluni»: è un gelato di cocomero in cui, nella pasta spumosa e vermiglia dell'anguria occhieggiano pezzetti di cioccolato amaro che imitano perfettamente i semi del frutto. L'arte della rappresentazione, la ricerca puntuale della verosimiglianza, la perfetta abilità nell'imitazione sono caratteristiche tipicamente siciliane e hanno la massima espressione nei celebri frutti di «pasta reale» o «della Martorana», dal nome del convento palermitano che anticamente aveva il monopolio di questa preparazione. Questi dolci prelibati sono a base di pasta di mandorle la cui consistenza morbida, plasmabile come creta, permette di modellare qualsiasi forma: vengono di preferenza riprodotti frutti che, opportunamente colorati, sono una vera e propria sfida alla natura e compongono bellissime "nature morte". Altri soggetti tradizionali sono agnelli pasquali, pesci e in genere simboli religiosi. I dolci siciliani sono i più coloriti e sostanziosi del mondo. Il ricchissimo repertorio dolciario dell'isola è fonte di scoperte e di meraviglia: esperienza consigliabile da fare in un viaggio in Sicilia è quella di "andar per dolci" nei conventi. Questi antichi istituti religiosi sono da secoli luoghi di preghiera ma anche di delizie per il palato: seguendo ricette più o meno segrete, le suore fabbricano ancora squisitezze a base di marzapane, pistacchi, miele, mandorle, cedro e ricotta. Sono «mostaccioli», «cannoli», «conchiglie» e maliziose «minni (cioè seni) di vergini» che si acquistano attraverso la grata prendendoli sulla "ruota" senza vedere in faccia la religiosa che li porge al compratore.
E poiché siamo in vena di scoperte, una visita al mercato di Palermo, la famosa "Vucciria", potrà avvicinarci nel modo più diretto allo spirito della cucina siciliana e al carattere della Sicilia stessa. Tutto è esposto con eccezionale senso del colore e uno strabiliante gusto scenografico. Sul banco dell'ortolano trofei di carnosi peperoni gialli, rossi, verdi si alternano a cascate di melanzane che variano dal viola più quaresimale al bianco appena azzurrato. Incredibili varietà di broccoli, zucchine, carciofi, insalate formano composizioni trionfali. Così l'esposizione della frutta, fresca e secca, lascia senza fiato per ricchezza e varietà, mentre il pescivendolo chiama ad ammirare la sua mercanzia odorosa e stillante: i grandi tranci di pesce spada e di tonno dalle carni rosate contrastano con l'azzurro argenteo delle sarde e col bianco acquoso dei neonati di sardine e di acciughe. Con queste magnifiche materie prime si cucinano piatti altrettanto spettacolari, in cui profumi, colori, rilievi, luci sono elementi essenziali, l'esuberanza e l'abbondanza necessità istintive, il gusto della decorazione fortissimo.
Anche la più semplice delle pastasciutte diventa così qualcosa di speciale: la «pasta con le sarde» per esempio, che è forse il più famoso piatto siciliano, in cui grossi maccheroni vengono conditi con un ragù di sarde arditamente accostate a finocchio selvatico, uva passa, pinoli e zafferano. Straordinario incontro di sapori e di aromi, si serve coperto di sarde intere. Ancor più colorita è la pasta condita con sugo di pomodoro e basilico sulla quale vengono posate grandi melanzane fritte a stella, che sembrano uccelli dalle ali spiegate (e infatti a Palermo le chiamano "quaglie") pronte a spiccare il volo. Condita nei modi più svariati, la pastasciutta è d'obbligo, mezzogiorno e sera, sulle tavole dell'isola. Il riso compare soltanto in un'altra scenografica preparazione, gli arancini, che si ispirano agli agrumi nell'aspetto e nel nome, e che sono una felicissima sintesi di varie influenze: quella araba per il riso e lo zafferano, quella francese per il ragù, quella spagnola per il pomodoro e quella greca per il formaggio "canestrato fresco" che costituisce la parte più interna dell'arancino dorato e fritto.
Questo prodotto della ricchissima rosticceria isolana si trova quasi ovunque e non è troppo difficile da riprodurre, anche se richiede parecchio tempo in cucina. Nell'infinita serie di altre specialità, emergono quelle a base di pesce, superbe soprattutto per la qualità del pescato proveniente dai tre mari che bagnano l'isola. Tra le ricette esclusive eccellono le «sarde a beccafico» preparate in tre versioni diverse a Palermo. Catania e Messina, e che sono il trionfo dell'agrodolce. I messinesi sono maestri nel cucinare il pescespada, i trapanesi il tonno, che viene conservato sott'olio e anche sotto sale e allora si chiama "bottarga". I piatti di carne sono quasi sempre a base di carne tritata; la poca disponibilità di carne bovina e la qualità non eccelsa consigliava preparazioni ingegnose come polpette o marinate. Ottima invece la carne di maiale, con salsicce di ogni tipo.
Ma l'apice della tavola sono le già ricordate verdure, sempre prelibate, siano esse domestiche oppure selvatiche. Una assoluta particolarità sono i carciofini selvatici che si mangiano di solito bolliti; si trovano allo stato spontaneo soltanto in Sicilia e sono eccezionali anche nel sapore. Per finire, una notazione: caratteristica della cucina siciliana è il fatto che uno stesso piatto può essere preparato in una versione più ricca e una più modesta. Si parte cioè da una base semplice, che poi - a seconda delle disponibilità - viene arricchita di ingredienti e sapori complementari. Tipico esempio è la già citata «caponata», che presenta tre differenti stadi di preparazione. All'origine è un'insalata di polipetti, sedano, melanzane, sugo di pomodoro in agrodolce. Ma si possono aggiungere capperi, olive, bottarga, pesce spada, aragosta, carciofi, punte di asparagi. E se la si vuole ancora più opulenta, si copre il tutto con la salsa di San Bernardo (così detta dal convento di Catania dove i monaci si abbandonarono a piaceri e stravizi inusitati per troppa ricchezza e golosità) a base di cioccolata amara, mandorle tostate, zucchero: per finire, una decorazione di uova sode, code di gamberi, olive farcite. Piatto barocco, denso di sovrapposti sapori, tipico di una cucina esuberante, decisamente inadatta a qualunque tipo di dieta, ma trionfo dei buongustai e di chi giustamente sostiene che a tavola l'occhio vuole la sua parte: qui l'occhio, prima ancora del palato, ha di che esaltarsi.
La Sicilia costiera
Le principali città della Sicilia sorgono sulla costa: così Messina, Catania, Siracusa, Agrigento, Trapani e Palermo. In queste città la cucina conserva la fastosità dei "gattopardi", i nobili che nelle loro sontuose dimore nel corso dei secoli XVIII e XIX coltivavano l'uso di una tavola, che raggiunse una ricchezza straordinaria sia nella sostanza che nella presentazione delle pietanze, veramente spettacolare. Altresì i conventi furono spesso luoghi di grandi piacevolezze i cui monaci non disdegnarono certo i piaceri della tavola.
Seppure con qualche differenza da una città a un'altra, dovuta al fatto che ogni piatto siciliano ha una base che - a seconda della disponibilità - viene arricchita di ingredienti e sapori complementari, possiamo affermare che le materie prime che consentono tale ricchezza sono: i pesci, i crostacei, gli ortaggi, la frutta fresca e secca che consente di realizzare dei dolci veramente unici, fra i quali basterà ricordare la famosa «cassata» e il «marzapane» con cui si modella qualsiasi forma: dai frutti che, con i loro colori, sono una sfida alla natura, agli agnelli pasquali, ai pesci e a tutti i simboli religiosi. Marzapane, pistacchi, miele, mandorle, cedro e ricotta sono gli elementi che consentono di realizzare un panorama dolciario unico al mondo. Diamo qui di seguito un'antica ricetta del tipico «budino di limone» che è certamente il più leggero fra i dessert siciliani. Ingredienti: un litro di acqua, ottanta grammi di amido per dolci, trecento grammi di zucchero (cento grammi in zolle e duecento grammi semolato), tre limoni freschi, maturi e con buccia ruvida. Lavorazione: si strofinano sulla buccia dei limoni, finché si impregnano del succo che le stesse bucce secernono, le zollette di zucchero. Intanto si mette sul fuoco un tegame con l'acqua, lo zucchero rimasto e l'amido e si porta tutto a bollore a fuoco lento e sempre rimestando. Prima che inizi a rapprendersi, si unisce tutto lo zucchero che è stato strofinato sulle bucce dei limoni. Si completa la cottura (deve risultare una crema densa). Si versa in uno stampo precedentemente bagnato con acqua e fatto sgocciolare e si mette in frigorifero. Quando è freddo, al momento di portarlo in tavola, si copre il piatto (dove si capovolgerà il budino) con tante foglie di limone disposte a corona.
Da non dimenticare nel panorama dolciario siciliano gelati, sorbetti e granite che vantano la migliore e più ricca tradizione e che spesso sono legati alla grande produzione di agrumi che caratterizza tutta la costiera siciliana.
Ma alla dovizia dolciaria fanno riscontro tutti i piatti dei molteplici menù possibili, tranne la carne che sulla costa è pressoché assente, se si escludono le poche preparazioni con la carne tritata. Fra le antiche ricette, rappresentative di tutti gli apporti storici collegati alle varie dominazioni subite da questa terra, possiamo ricordare come esempio eccezionale la ricetta dello «stracotto alla catanese». «Si soffriggono delle cipolle con un gambo di sedano bianco. Appena imbiondite si aggiunge la carne a tocchetti con del peperoncino rosso e si fa risolare per alcuni minuti. Si abbassa la fiamma e si aggiunge gradatamente una soluzione di: vino cotto, acqua, buccia d'arancia finemente tritata, alcune foglie di alloro, un'asta di cannella e alcune cucchiaiate di estratto di pomodoro. Dopo qualche minuto si tolgono la cannella e le foglie di alloro. Si fa cucinare il tutto a fuoco lentissimo per parecchie ore, se lo stracotto asciuga troppo si aggiunge un po' d'acqua».
Dominano invece anche nella preparazione dei primi piatti il pesce e i crostacei. Classica la «pasta con le sarde» di cui forniamo un'antica ricetta di origine palermitana; ma questo piatto si può gustare in tutta la zona costiera siciliana, seppure con innumerevoli varianti. «Si pulisce e si lessa un grosso mazzo di finocchietti selvatici, in acqua giustamente salata, per quindici minuti a partire dal bollore; si sgocciolano (si tiene l'acqua da parte), si strizzano e si tagliano a piccoli pezzi. Si trita una cipolla e la si fa imbiondire in mezzo bicchiere d'olio; si uniscono quattro acciughe salate (pulite e spinate) facendole disfare con la forchetta; quindi trecento grammi di sarde fresche spinate e pulite, sale, pepe, venticinque grammi di uva passa, venticinque grammi di pinoli, venti grammi di graniglia di mandorle tostate. Si mescola delicatamente e si fa insaporire per dieci minuti. Si aggiungono ora i finocchietti e un pizzico di zafferano e si mescola delicatamente. Si abbassa la fiamma e si fa cuocere per altri dieci minuti. A parte si friggono otto sarde fresche, aperte a libro, senza farina. In un padellino si fanno imbiondire sei cucchiai di pangrattato. Infine si fanno lessare seicento grammi di pasta, tipo "perciatini" o "canolicchi" o "bucatelli" nell'acqua di cottura dei finocchietti e si ritira al dente. Ora si condisce la pasta con la salsa alle sarde e finocchietti, la si sistema in una pirofila unta, si spolvera la superficie il pan grattato e si copre con le otto sarde fritte. Si passa in forno caldissimo per otto-dieci minuti».
Non mancano gli spaghetti alle vongole, i risotti ai frutti di mare (ma il riso è usato soprattutto per i famosi «arancini» che si ispirano agli agrumi nell'aspetto e nel nome e che sono una sintesi delle varie influenze storiche: quella araba per il riso e lo zafferano, quella francese per il sugo, quella spagnola per il pomodoro e quella greca per il formaggio "canestrato fresco" che costituisce l'interno dell'arancino dorato e fritto), gli «spaghetti alla lampara», gli «spaghetti ai ricci di mare», la «pasta al mucco» (neonato di pesce) e molti altri primi piatti legati ai prodotti del mare. Antica e ormai rara è la «stracciatella di mucco» per la quale è necessario impastare un chilo di neonato di pesce con quattro uova, duecento grammi di parmigiano, prezzemolo tritato, sale e pepe. «Si mette al fuoco del brodo di carne già decantato, quando raggiunge l'ebollizione si butta l'impasto e si agita velocemente con la frusta (come se fosse una comune stracciatella) per cinque minuti al massimo. Si serve la stracciatella con crostini di pane casereccio». Sempre fra i primi piatti ricordiamo il «cuscusu», la zuppa di pesce famosa soprattutto nel Trapanese che ci riporta alle influenze della dominazione araba perché ricca di spezie piccanti. Sempre spettacolare è la pasta condita con il sugo di pomodoro e basilico sulla quale vengono posate a stella grandi fette di melanzane fritte.
Nella cucina della costa siciliana i pesci - provenienti dai tre mari che bagnano quest'isola - ci sono proprio tutti.
Il più grande è senz'altro il tonno: vivido di sangue, mastodontico pesce dall'afrore prepotente, squartato e tagliato a grossi pezzi sul banco del pescivendolo, il tonno risveglia lontani ricordi: la tonnara, le drammatiche immagini delle mattanze, il rais autoritario, le dure condizioni di vita della ciurma. Ma ecco il nostro bel tocco magro e odoroso di iodio. Per cucinarlo occorre una casseruola alta. Bisogna steccarlo con aglio e garofano e un po' di «cammommu». Bisogna coprirlo con molta cipolla tagliuzzata, pomodori a pezzetti e sale. A fuoco lentissimo si fa rosolare piano piano, rigirandolo ogni tanto. Si aggiunge poi mezzo litro di aceto, origano e pepe e si completa la cottura. A cucinare il tonno sono maestri i trapanesi che lo preparano in vari modi, il più famoso dei quali è quello alla marinara; così come i messinesi sono maestri nel cucinare il pescespada che però è presente in tutta questa cucina. Le alici sono dette «masculini» e vengono preparate in forno con prezzemolo, aglio, capperi tritati, olive nere snocciolate e tagliate a pezzetti, peperoncino e basilico e cotte in forno.
Altro piatto tipico è la «minuta», i pesciolini appena nati di sardine e acciughe che si mangiano crudi o fritti. Vi è poi il trionfo dei frutti di mare che si mangiano o cotti alla brace o crudi con il succo di limone.
Addirittura fantasmagorica è la proposta di ortaggi, veri trofei di carnosi peperoni gialli, rossi e verdi, melanzane che variano dal viola intenso al bianco appena azzurrato, grande varietà di broccoli, zucchine, carciofi (che solo in questa terra si trovano anche selvatici), insalate, cipolle, finocchi, asparagi: una proposta che costituisce una variegata scena presente tutto l'anno e che consente varie preparazioni. Fra tutte ricordiamo la «caponata» che non può mancare sia sulle tavole dei ristoranti che su quella delle case private e che può avere vari arricchimenti che si aggiungono alla ricetta classica che diamo qui di seguito. Ingredienti: cinque o sei melanzane non troppo grosse, piuttosto sode e senza semi, cinque o sei peperoni rossi o verdi con polpa spessa, un bel sedano, due cucchiai colmi di capperi, una grossa cipolla, cinque o sei pomodori pelati tagliati a dadini piccoli, aceto, sale e olio, due cucchiai colmi di zucchero. Preparazione: si mettono in un tegame le verdure tagliate a cubetti non troppo piccoli, i capperi, la cipolla tagliata sottile, il sale, l'olio, le olive e lo zucchero. Si copre il tegame e si lascia cuocere a fuoco molto vivo. A cottura ultimata si aggiunge l'aceto e si fa evaporare, sempre a fuoco vivo. Si può consumare subito. È ottima come contorno. Volendola conservare, si mette in vasi di vetro unendo però, quando ancora è calda, un grammo di acido salicilico per ogni chilo di caponata. I vasi devono essere pulitissimi e sterilizzati in forno.
Anche in queste città alla cucina ricca fa riscontro la cucina delle classi meno abbienti che si nutrono soprattutto di pane, pasta, delle parti meno pregiate del manzo come la trippa e la milza che si mangia cotta a farcire panini arricchiti da semi di cumino, di pomodori, di fave che vengono preparate in puré dopo che sono state lessate in acqua insaporita di erbe aromatiche. Una cucina povera ma pure ricca di sapori e che ha le sue radici nelle più antiche tradizioni popolari che affondano le proprie radici nella povertà in cui viveva il popolo che per vari secoli ha faticato a sfamarsi, soprattutto nei secoli in cui le tavole baronali erano imbandite con una scenografia di grande opulenza, di variegati colori, di un'abbondanza unica.
La Sicilia interna
Le zone abitate dell'interno della Sicilia dove pure ci sono città come Enna e Ragusa hanno una cucina assai diversa da quella della Sicilia costiera, una cucina dove manca il pesce e gli ortaggi non sono più dei trionfi. L'alimentazione si basa soprattutto sulla carne di maiale e di pecora, sulla ricchezza zootecnica che offre una ricchissima scelta di formaggi e di ricotte. Prevalgono i prodotti di origine bovina, ottenuti dal latte di animali di una particolare razza esistente nell'isola, la modicana, seguiti da caprini e pecorini, che rappresentano circa un quarto dell'intera produzione casearia. Notevole è il caciocavallo, soprattutto quello di Ragusa, e singolari altri prodotti come il "piacintinu" tipico di Enna e Piazza Armerina, arricchito da pepe e zafferano.
Il caciocavallo ragusano è antichissimo come testimonia la citazione di questo formaggio in un'opera del Cinquecento. Si tratta di prodotto a pasta filata. Il disciplinare (che gli attribuisce la denominazione d'origine protetta con il nome di "ragusano" tout court) limita solo alla provincia di Ragusa e a tre comuni del Siracusano (Noto, Palazzolo Acreide e Rosolini) l'ambito di produzione. Si ottiene con il latte di mucca, intero, il caglio di agnello o di capretto, la lavorazione simile a quella del caciocavallo silano; la forma è di un parallelepipedo a sezione quadrata con gli angoli arrotondati. Il ragusano fresco ha crosta sottile e liscia, il colore va dal giallo paglierino al giallo intenso. Sapore dolce, ma netto, pasta morbida, con la stagionatura il formaggio diventa piccante e la crosta più scura: è consuetudine capparla con morchia d'olio. È un formaggio da tavola che però può essere, se stagionato, un eccellente formaggio da grattugia, ma ha una sua particolare preparazione come pietanza detta «cascavaddu frittu cu l'ova», una fetta passata nell'uovo sbattuto e fritta con olio, sale e pepe. Un'altra ricetta tipica è il «cascavaddu all'argintera», così detta perché sarebbe stata creata da un argentiere palermitano: la fetta di formaggio viene fritta in olio con uno spicchio d'aglio e condita con aceto bianco e origano.
Nel versante nord dei Monti Peloritani si produce il maiorchino, un formaggio stagionato di latte di pecora che coagula con l'aggiunta di caglio d'agnello o capretto, a 39°C. Dopo la rottura la cagliata è ancora riscaldata fino a raggiungere i 60°C, quindi il tutto è raccolto in una sola massa sferica che si pone in una fascera, la garbua, e quindi su un piano di lavoro denominato mastrello. Del tutto particolare la consuetudine dei casari di bucherellare la pasta con una sottile asta metallica o di legno per favorire l'uscita del siero. L'attrezzo si chiama minacino. Dopo quarantotto ore, il maiorchino viene salato a secco, con sale marino, per un periodo di venti-trenta giorni. La stagionatura avviene in locali di pietra interrati, a volte in grotte o cantine che garantiscono temperatura costante. Durante questo periodo, che dura otto mesi almeno, il prodotto viene pulito, deterso, girato più volte, poi trattato con olio d'oliva. Altro formaggio tipico è il piacintinu (o piacentino), la cui denominazione deriva dal fatto che è un formaggio "che piace", senza alcun riferimento alla città di Piacenza. A definirne le caratteristiche concorrono l'aggiunta di zafferano che dà colore alla pasta e soprattutto l'inserimento di granelli di pepe nella cagliata nel momento in cui è deposta nei canestrini di cui il formaggio porta il segno. La procedura è per il resto analoga a quella dei pecorini tradizionali: la cagliata viene spurgata con l'aiuto delle mani, quindi scottata, messa ad asciugare sull'apposito tagliere di legno e, all'indomani, salata a secco. L'operazione è ripetuta un paio di volte almeno, a intervalli di dieci giorni, con l'avvertenza di rispalmare sulle forme i liquidi nel frattempo perduti. Fino a quattro mesi si considera semistagionato, dopo i sei mesi la stagionatura si ritiene completa.
Vi è poi la provola dei Nebrodi e delle Madonie che si caratterizza per essere abitualmente stagionata. Questa provola dei Nebrodi ha crosta sottile giallo-paglierina, tendente col tempo al giallo ambrato. L'odore è gradevole oltre che caratteristico, la pasta è bianca con tendenza al paglierino, la consistenza morbida ma compatta. Il sapore, leggermente acidulo, volge al piccante con la stagionatura. Nella Valle del Belice si produce la «vastedda», un formaggio da tavola a pasta filata fatto con il latte di pecora.
Un discorso a parte merita la ricotta di cui le versioni sono molte e varie, a cominciare da quella che ha relazione con la scelta del latte, che può essere di mucca, di pecora o di capra, con diversi esiti per quel che riguarda il sapore. La lavorazione segue regole consolidate. Il siero di latte è unito ad altro latte della stessa specie e a quantità adeguate di sale, poi riscaldato fino a 90°C circa. Il prodotto che arriva in commercio ha ottimo sapore e aspetto cremoso e morbido; il colore è bianco con tendenza al giallo paglierino per la ricotta di pecora e di capra. Ma particolarmente caratteristica e presente nella cucina dell'entroterra siciliano è la ricotta infornata. La ricotta prodotta con il sistema tradizionale è posta dopo un giorno o due in contenitori di ceramica imburrati e arricchiti di pepe nero per essere quindi cotta in forno a pietra per trenta minuti almeno; a quel punto, la formazione di una sottile pellicola bruno-rossastra attesta che la ricotta è pronta. La ricotta infornata possiede un aroma particolare ed è piuttosto salata. La forma, legata al recipiente che la contiene, è di solito tronco-conica. Questa ricotta è consumata a tavola come companatico o grattugiata per condire le varie paste, mentre quella fresca ha anche molte altre utilizzazioni, prima fra tutte quella per confezionare dolci che anche nella cucina siciliana più povera sono presenti nelle feste seppure in edizioni più semplici e meno ricche rispetto a quelle tipiche della pasticceria delle grandi città. Basta pensare ai famosi «cannoli» che si trovano ovunque, anche nei più sperduti paesini, o al così detto «torrone di campagna», un cilindro piuttosto grosso di zucchero fondente aromatizzato alla vaniglia nel quale sono inseriti frutti di pasta reale, canditi e pistacchi.
Così come il gelo (soprattutto il «gelo di melone») e la granita che occupano un posto di primo piano. Il primo è fatto con polpa d'anguria passata al setaccio, messa a bollire con zucchero e amido per pochi minuti. Quand'è quasi fredda si aggiungono pezzetti di cioccolato e zucca candita. Si raccoglie poi in formine da far rassodare in freezer. La granita è il classico bicchiere colmo di ghiaccio tritato e insaporito con caffè e panna montata o succo di limone. È tradizione gustarla la mattina come prima colazione nei bar, in compagnia di una brioche freschissima.
Alla cucina povera appartengono le «sfinci», frittelle di antichissima tradizione tipiche della Sicilia occidentale, di devozione nelle feste di fine d'anno. Si fanno con farina, patate lesse schiacciate, lievito, sale e, indispensabili, semi di finocchio. Ridotta in ciambelle, la pasta viene fritta con olio o, meglio, strutto: le frittelle vanno mangiate calde, spolverizzate opportunamente di zucchero.
Questa cucina prevede l'apporto - seppure modesto - della carne di maiale che spesso viene lavorata per confezionare salsicce che servono anche per preparare un ragù con cui condire i maccheroni tradizionali per il carnevale detti «maccaruna ca sasizza».
La carne più in uso è però quella di agnello o di pecora che nelle campagne per le grandi occasioni viene cotta allo spiedo organizzato all'aperto con grandi fuochi dove si bruciano oltre alla normale legna anche rami di rosmarino e varie erbe aromatiche che profumano l'aria e le carni.
Il pane è alimento base, realizzato con lavorazioni antiche, ricoperto con semi di cumino e finocchio; particolarissimo è il «pane allo zafferano» morbido e saporito, di origine araba.
«Pane e panelle» sono un cibo poverissimo quanto radicato nelle tradizioni di questa cucina: un panino o due fette di pane vengono farcite con la panella, una frittella salata realizzata con pasta di pane morbida.
Il condimento base di tutta la Sicilia è l'olio di cui esistono molte varietà: l'olio dei Monti Iblei ha sapore fruttato di media intensità, con una punta di dolce e una leggerissima sensazione di piccante; l'area Valdemone (provincia di Messina tranne i rilievi montuosi) produce un olio limpido o leggermente velato, colore giallo oliva, sapore dolce e mediamente fruttato; nella zona dell'Etna prevale la varietà "nocellara etnea" (già nell'Ottocento ingenti quantità di olio dell'Etna raggiungevano i principali mercati europei); l'olio della Valle del Belice è richiesto per la bassa acidità (non oltre lo 0,25 per cento), il sapore fruttato e l'aroma intenso; quello della Val di Mazara ha sapore fruttato delicato, leggera sensazione fra il piccante e l'amaro, buona persistenza aromatica.
(fonte utilizzata http://www.emmeti.i)

 

RICETTE SICILIANE
Antipasti
Primi piatti
Carni e uova
Pesce
Verdure
Dolci di Sicilia
cfr.: http://www.fondazionemarianostrano.net/storiadellacucinasiciliana.htm

http://www.sicilyland.it/ricette.htm
PANE DELLA SICILIA
PANE CASARECCIO SICILIANO
Farina di grano duro, acqua, lievito, sale. Viene comunemente chiamato vastedda. E' un pane a lunga conservazione con la crosta croccante e dorata, più buono dopo qualche giorno che è stato fatto. E' il pane tipico delle aree rurali e dei piccoli centri, che viene ancora cotto nel forno a legna. Il nome indica un pane rotondo di semola; ricorre in tutta l'isola e si accompagna bene con sughi, intingoli, carni al sugo, formaggi, salumi. Guastedda invece è il panino palermitano per antonomasia, usato per riempirlo di milza, ricotta e panelle (focaccia di ceci fritta e tagliata a strisce).
PANE FORTE
Farina tipo 0 o 00, acqua, sesamo, lievito, sale.
L'uso di grano tenero per la produzione del pane, destinato alle città ed alle classi meno abbienti, ebbe inizio in Sicilia intorno al '500. La varietà utilizzata era il Maiorca, perché si coltivava un po' dappertutto, ma era di difficile esportazione perché soggetto al riscaldamento. Per la panificazione popolare si usava invece il "forte" o grano duro, mentre la pasta fino al XVIII secolo veniva fatta con la tumminia, grano duro di primavera. Si suppone che il nome "pane forte" derivi dall'uso del grano duro già adottato nel '500. Ieri fatto solo con grano duro perché ritenuto di meno valore, oggi il pane duro si avvale invece della farina di grano tenero considerata sul piano nutrizionale meno pregiata della prima. Coi grani teneri nell'hinterland catanese veniva fatto un pane detto "cucchia" a forma ovoidale con spacco centrale, quasi a simboleggiare la fertilità femmminile. Nel giarrese si dice ancora "nasciu na cucchia" per annunciare la nascita di una bambina.
PAPALINA
Farina, uova, burro, semi di cumino, acqua, lievito naturale, lievito di birra, sale.
Il nome ha precisi riferimenti ecclesiali per la ricchezza degli ingredienti. Nella Valle del Belice un pane simile, ma senza uova, prende il nome di "vastedda" o "cucciddatu di S. Giuseppe".
PUPI CU L'OVA
Farina di grano tenero o duro, acqua, uova, lievito naturale, sale.
E' tradizione vivissima quella di confezionare pani speciali contenenti delle uova intere per le festività pasquali: dai popoli primitivi ai giorni nostri l'uovo ha sempre avuto una valenza trascendentale. L'impasto di questo pane viene rotto in tanti pezzi cui si dà le più svariate forme: antropomorfe (pupi e pupe), zoomorfe (cavallucci, galline), fitomorfe (alberi e fiori) o oggetti di uso quotidiano come canestri, ceste e corone. Queste forme incorporano al loro interno una o due uova e vengono finemente intagliate, decorate e incise fino a diventare dei veri capolavori.
VASTEDDA
Farina, acqua, lievito, sale, fiori di sambuco.
E' un pane rituale del ragusano, ad uso propiziatorio. La parola "guastedda" che ricorre in quasi tutta l'isola, deriva dall'antico francese gastel, con il significato di focaccia o schiacciata. Assume però diversi significati nelle varie province siciliane: si tratterà di pizza nell'ennese, di grossi pani nell'agrigentino o nisseno, di pane nel palermitano e nella Sicilia occidentale. Di solito è una pagnotta di 20/30 cm, dalla mollica gialla, spugnosa, morbida e fragrante e dalla crosta dal caldo colore brunito. Nella Valle del Belice il nome "vastedda" indica anche un particolare formaggio.

CAVAGNEDDO
Farina di grano tenero, acqua, zucchero, lievito naturale, sale.
E' un pane dolce, del periodo pasquale, a forma di cesti, canestrelli, animali domestici, bambini, piante e fiori.
CUCCIDATI DI CARROZZA
Semola di grano duro rimacinata, acqua, lievito naturale, sale.
Questo tipo di ciambella salata viene utilizzata per le decorazioni dei carri in occasione della festa della Madonna di Tagliasia. Sono più di 50 le donne mobilitate, per più di tre giorni di seguito. Gli intagli ai bordi esterni fanno assomigliare le ciambelle a tanti soli splendenti che, collocati nei carri, sono di grande effetto scenografico.
FILUNI
Semola di grano rimacinata, lievito di birra, sale, acqua, sesamo.
Nei secoli passati in Sicilia il grano, oltre ad essere utilizzato per fare il pane, veniva consumato anche fresco (cuccia) in quanto consentiva di sfuggire alle gravose imposizioni fiscali cui venne soggetta la macinazione durante la dominazione spagnola.
I UOI (Buoi)
Farina di grano tenero, noccioline, acqua, lievito naturale, sale.
E' un pane tradizionale che si prepara a Modica (terra di altopiano dove pascolano le vacche modiciane) per Capodanno. "I Uoi" viene regalato ai ragazzini come dono iniziatico, di passaggio dall'infanzia all'età del lavoro, che con buone probabilità sarà quello di allevatore (stando al significato del pane).
MAFALDA
Farina di semola rimacinata, malto, semi di sesamo, semolina, lievito di birra, sale.
E' un pane dalla crosta dorata, dal delicato e caratteristico sapore di semi di sesamo. Tra i più diffusi dell'isola, viene foggiato in diverse forme, tra le quali "occhi di S. Lucia" e "Corona", ottenuta quest'ultima tagliando in due punti il lato superiore di un panetto a forma di mezzaluna - non superiore ai 3 etti - che con la lievitazione e la cottura si apre a ventaglio nella parte incisa, facendola assomigliare ad una corona.

PANE A BIRRA
Farina di grano 00, acqua, lievito naturale, lievito di birra.
Due sono le pezzature di questo pane: il torciglione o intrecciato, e il parigino, di forma lineare con tagli nella parte superiore. Nell'isola i pani di uso quotidiano sono tutte pezzature di 250 gr. Il sesamo, come elemento decorativo, viene impiegato solo su pani bianchi: esso conferisce gusto ed aroma particolari ed era conosciuto fin dall'antichità. Un dolce a base di sesamo, detto "milloy", veniva preparato in Sicilia durante le tesmoforie in onore di Cerere

ANCORA SULLA STORIA DELLA CUCINA SICILIANA
La storia della gastronomia siciliana e' come una favola che ha inizio con il classico "c'era una volta".
Iniziamo a raccontare: C'era una volta una civilta' classica: i Greci. I Greci provenienti dalle Cicladi nel 735 a.C. sbarcarono sul litorale ionico, in prossimita' dell'odierna Naxos, ed i Corinzi di Archia nel 734 a.C. furono a Siracusa. Diverse, come sappiamo, furono le novita' che apportarono questi colonizzatori e, per restare in tema, da un punto di vista alimentare, L'arte del fare il vino nasce proprio da loro, I'ulivo, il farro ed altri prodotti, gia' esistenti nell'isola, vennero utilizzati in modo diverso, ebbero, per cosi' dire, una nuova impronta greca che porto' ad ottimi risultati. Prendiamo per esempio il farro. Il Farro, prima dei Greci, veniva utilizzato in Sicilia, per fare il pane, poi, venne utilizzato in tutt'altro modo. Con la farina di Farro, oltre a un ottimo pane, si ottennero delle tagliatelle molto saporite e, niente poco di meno che, la pasta frolla. Con il farro macinato grosso essi si fecero delle ottime zuppe ed, infine, con il seme intero, unito a fave, lenticchie, ceci, ed interiora, la famosa Fabata Puls. Questo non ci deve fare credere che quando i Greci sbarcarono la Sicilia era abitata da selvaggi. Sulle coste ioniche abitavano i Siculi ed in quelle tirreniche prosperavano i Sicani e gli Elimi.
Queste antiche popolazioni avevano eretto potenti e progredite città, dove, almeno da tre millenni si era sviluppata una cucina autoctona. L'incontro di queste due civiltà mediterranee ha arricchito tutte le arti, compresa quella culinaria ed ha fatto nascere il gusto per la buona cucina che trovo', piu' tardi, grande accoglienza nella Grecia dove, a poco a poco, gli elaborati manicaretti si sostituirono ai voluminosi arrosti dei tempi omerici ed alla Maza, la schiacciata con farina d'orzo.
Accanto alla nuova cucina sorse la letteratura gastronomica. Primo in assoluto fu Epicuro Siracusano, segui' Miteco ed Archestrato di Gela, siamo tra gli inizi del V e del IV secolo a.C. Archestrato di Gela, nel IV secolo a.C., nei suoi "frammenti della gastronomia", asserisce di avere visitato ogni terra ed ogni mare ma che in Sicilia ha trovato il buon gusto. L'opera parla soprattutto del pesce: la stagione piu' propizia per pescare le varie specie e il modo di cucinarle. Il "leitmotiv" e' quello di una cucina naturale, schietta e genuina senza sofisticherie e che si avvale unicamente di olio, sale ed, all'occorrenza, di aceto e di erbe aromatiche.
Accanto a questi antichi ricettari, troviamo gli antenati dei moderni libri "curatevi con le erbe".
Nacque cosi' la dietetica di cui Acrome e Eutidemo furono i precursori.
Ma, per ora, bando alle diete e torniamo ai buoni cibi del periodo classico. In Sicilia le mense dei ricchi buongustai erano sontuose e le vivande, variate e saporite, erano accompagnate da squisiti vini siciliani, ma anche da birra e da idromele.
Il fatto che il banchetto fosse sentito come occasione principe per discussioni sui piu' vari argomenti, sta alla base della ricchissima letteratura detta "Del Convito e del Simposio".
A tale filone si lascia ricondurre anche la bizzarra opera di Ateneo, erudito greco di Egitto (200 d.C.), i Deipnosofisti, (banchetto dei sofisti), che di dettagli gastronomici e' una miniera incomparabile.
In questo libro, infatti, vi e' un vero e proprio vademecum sulla cucina: dalla lepre, al tonno, dai piselli alle anguille, dall'aragosta al pesce spada, insomma c'e' di tutto. Ma torniamo ai nostri amici greci ed alle loro abitudini alimentari. I pasti dei Greci, in eta' storica, erano tre al giorno: uno leggero al mattino, I'Ariston, ed altri due piu' consistenti, il Defeion a meta' del giorno, ed il Dorpon, a fine giornata.
Ogni banchetto iniziava con il rito dell'offerta di ringraziamento agli dei: il padrone di casa, dopo essersi purificato le mani con acqua, gettava sul braciere pugni d'orzo, sangue e ciuffi di pelo di un vitello sacrificato e vi versava del vino. Terminata questa funzione propiziatoria, i servi ponevano, vicino ad ogni commensale, un recipiente con il pane ed una coppa per bere il vino liquoroso allungato con acqua e poi iniziavano a servire le vivande. Nelle riunioni conviviali non sempre vi era un padrone di casa, perche' spesso queste erano organizzate da alcuni amici che si riunivano per mangiare portando ciascuno, in un canestro, cibi gia' cotti ed il vino. Questi simpatici simposi erano, appunto, denominati "I Pranzi del Panierino", ed e' questo piccolo recipiente di vimini, la "Spyris", che a volte, vediamo appeso ad un chiodo in alcune raffigurazioni di cene. I menus dei greci erano variati, composti da minestre, da pesce, da carne, da uova; da legumi, da formaggio fresco e stagionato ed, dulcis in fundo, dai dolci a base di miele, di noci, di latte e di farina e dalle Focacce Attiche a forma piramidale. I dolci venivano serviti assieme a ricchi vassoi di frutta al termine di ogni pasto o durante il simposio che era la parte piu' importante e gaia del banchetto, quando il vino scorreva a fiumi ed i convitati, allegri per le libagioni, cantavano gli Skolia, brevi e briosi versi affini ai ditirambi. Socrate criticava gli opsofagi (ingordi) e diede delle regole di galateo sul modo di comportarsi a tavola, definendo la cucina un'arte.
Le citta' della Magna Grecia piu' reputate per sontuosita', a volte anche eccessiva, delle mense furono: Siracusa, Crotone e Sibari ed e' proprio dai cittadini di questa ultima citta' che e' nato il vocabolo Sibarita, usato ancora oggi per indicare una persona amante della vita piacevole e del buon cibo.
Ed adesso parliamo di un'altra importante civilta': gli Arabi. Nell'827 i Musulmani d'Africa sbarcano a Marsala, chiamati da un ricco comandante siciliano, Eutimo o Eufemio, ribellatosi alla corte di Costantino imperatore. Anche loro, come i Greci, apportano molte novita' nell'arte, in generale, e nella cucina, in particolare. Ci fanno conoscere la canna da zucchero, il riso, il gelsomino, il cotone, I'anice, il sesamo e le droghe: cannella e zafferano. Sono abilissimi pasticceri e, tra i dolci, segnaliamo: la Cubbaita (Qubbayt), ossia, un dolcissimo torrone di miele con semi di sesamo e maridorle; i Nucatuli, dalla parola araba "Nagal" (frutta secca, confettura, dolce secco); la Cupita o meglio Copata: torrone molto duro confezionato in grossi pani, a base di nocciole, albume d'uovo, zucchero miele ed amido.
Sempre agli arabi dobbiamo la Cassata ed il sorbetto. Amanti delle essenze, crearono dolci profumati alla frutta, alla cannella e, perfino agli odori dei fiori. Con il gelsomino, per esempio, crearono un niveo gelato, che si confeziona ancora oggi a Trapani con lo stesso nome arabo: "Scursunera".
Inventarono i geli di melone, di mosto, di cannella, di gelsomino; crearono storte ed alambicchi per la distillazione della grappa che, in ossequio al Corano, la usavano solo per disinfettare le ferite, e, quindi, anche l'alcool. Ma a questi "invasori" si devono altri gustosi piatti come le panelle, i ceci essiccati ed i fiori di zucca seccati e salati nonché il pane con la milza di cui, ancora oggi, i palermitani sono ghiotti.
Questa e' anche l'era degli Harem. Ci sono molte leggende al riguardo, tra cui quella dell'invenzione del cannolo. Si narra che furono proprio le donne di Caltanissetta, ospiti dell'Harem Kalt El Nissa, ossia, Castello delle donne, ad inventare il famoso dolce siciliano.
Gli arabi vengono sconfitti dai Normanni di Ruggero II di Altavilla nella battaglia di Cerami nel 1063.
Popolazione scandinava di indole marinara e guerriera, oltre alla costruzione di enormi cattedrali, portano: spiedi rotanti, aringhe affumicate, merluzzi secchi (Piscistaccu e Baccala') .
Nel 1130 Ruggero II diviene re fino alla morte (1154).La sua fama sara' superata da Federico II di Svevia.
Questo grande sovrano, oltre all'Universita', alle tasse, ed a varie innovazioni, compose un trattato sulla caccia con il falco, cacciatore egli stesso e conoscitore della buona tavola, ebbe al suo servizio, numerosi cuochi e sembra databile in questo periodo la nascita delle specialita' di rosticceria.
Ed ecco il turno dei Francesi con Carlo d'Angio' (Angioini 1268).
I Siciliani si ribellano al loro sistema feudale con il Vespro del 30 marzo 1282.
Palermo per non soccombere ai francesi chiama Pietro III d'Aragona ed ecco gli Spagnoli.
Con la pace di Caltabellotta, 1302, i francesi se ne vanno.
In questo periodo si consolida la cucina dei nobili: si afferma il Falsumagru, che, prima, si chiamava Rollo', dal francese Roulle', che si imbottisce, nel popolo, con frittate e verdure, mentre, tra i nobili con carni pregiate. Nel 1440 Ferdinando di Castiglia diviene re di Aragona e di Castiglia. L'eta' spagnola arriva fino al 1713. Grazie a questo popolo conosciamo l'evoluzione della cassata araba dal momento che i nuovi dominatori ne importano un ingrediente base: il Pan di Spagna; ed ancora, sempre grazie ai nostri amici iberici conosciamo la zucca all'agro dolce e le varie "mpanate".
Sempre durante questo periodo si ha l'apporto del pomodoro, cacao e mais dall'America, insieme al peperoncino, alla patata, ai fagioli, al tacchino, ai peperoni, mentre la melanzana arrivera' dalle Indie.
Adesso possiamo renderci conto come una pietanza si completa nel corso dei secoli, attraverso l'apporto di nuovi elementi. La Caponata, per esempio, e' l'espressione piu' tipica della legge gastronomica in base alla quale i piatti partono da una base semplice, a seconda della disponibilita' degli ingredienti, e si arricchiscono di sapori supplementari anche grazie alla fantasia di chi cucina.
La Caponata allora, sebbene composta da verdure, e' un piatto marinaresco, nato nella Caupona, il termine con il quale la bassa latinità designava la taverna, dalla quale la pietanza ha derivato il suo nome.
La caupona dei porti preparava le vivande per i marinai che facevano vela dalle coste dell' isola.
Il dizionario del Palazzi alla voce caponata dice:"cibo marinaresco, galletta inzuppata nell'acqua salata, condita con olio e aceto". Quindi non somigliava affatto a quella che conosciamo oggi, e cio' si spiega benissimo con il fatto che la gamma degli elementi di cui disponevano gli antichi era piu' povera di quella di oggi, perche' non ancora conosciuti. La melanzana, per esempio, arriva dall'India nel 1600, il sedano, sebbene conosciutissimo fin dall'antichita', (con esso si intrecciavano serti per i cittadini piu' meritevoli) non veniva utilizzato per la cucina, e cosi' altri ingredienti. Ma adesso e' necessario fare un passo indietro ed andare agli Arabi che ci fecero conoscere il riso. Il risotto alla milanese, infatti, potrebbe avere avuto i suoi natali in Sicilia. C'e' una leggenda in base alla quale il risotto allo zafferano sia stato creato per caso nel 1574 da uno dei garzoni di maestro Valerio da Profondavalle, artefice delle vetrate del Duomo di Milano, in occasione delle nozze della figlia. Ma Cristoforo di Messisburgo, maestro di casa del Cardinale Ippolito D'Este, nel descrivere un banchetto, servito il 16 gennaio 1543 alla corte Estense, precisa che il secondo servizio di cucina comprendeva, con i timballi di piccione, di conigli e lepri, in salsa pevorada, anche sei piatti di riso alla siciliana con tuorli d'uovo crudi, formaggio grattuggiato, pepe, zafferano e l' immancabile zucchero di tutte le ricette medievali.
Nel 1500, quindi i ferraresi mangiavano quello che oggi e' il risotto alla milanese in edizione corroborante.
E, per finire in dolcezza, completiamo il discorso sui cannoli e sulla cassata siciliana.
Per quanto riguarda i primi c'e' da riferire una citazione di Cicerone: "Tubus farinarius, dulcissimo, edulio ex lacte factus", ossia, "cannolo farinaceo fatto di latte per un dolcissimo cibo".
Sembra che l'odierno cannolo siciliano abbia avuto, come dicevamo, origini arabe, anche se ha subito, nei secoli, diversi rifacimenti, il suo antenato, infatti, sembra essere stato un dolce a forma di banana ripieno di mandorle e zucchero. Per quanto riguarda la cassata, la sua elaborazione definitiva si ebbe nel periodo barocco con l'utilizzazione del Pan di Spagna, epoca in cui gli antichi fasti della gastronomia ed anche della pasticceria siciliana, furono rinverditi dalle consuetudini di vita spagnola e dai nuovi ingredienti importati alla America. Per concludere possiamo dire che oggi non si mangia e non si beve piu' per sopravvivere, ma si cerca di farlo nel modo migliore, perche' una necessita' fisiologica si trasformi in piacere.
Brillant Savarin, nel suo libro:"La fisiologia del gusto" scrive: "Il Creatore, obbligando l'uomo a mangiare per vivere, lo invita con l'appetito e lo ricompensa con il piacere".
ALTRE RICETTE SICILIANE IN RETE
PARRA COMU MANCI
http://www.parracomumanci.it/main_ricette.asp
I dolci tipici
Pur confezionati con pochi semplici ingredienti, i dolci tipici dei Nebrodi presentano una sorprendente varietà, essendo la comune tradizione differentemente interpretata nei vari paesi. Nonostante la loro bontà, nessuno di essi viene oggi prodotto su scala industriale. Fare la conoscenza di questi dolci perciò, oltre che una lusinga della gola, può costituire un approccio con una tradizione sul punto di essere cancellata dall'irreversibile processo di omologazione della cultura e del gusto in atto nella nostra società.
A Mistretta si possono gustare i buccellati, fatti di pasta di mandorla con ripieno di fichi secchi, mandorle, nocciole e pinoli, e la pastareale bianca, dolce mistrettese per eccellenza, a base di mandorle e zucchero. Il dolce di Tortorici è la pastareale, impasto molto consistente, cotto al forno, di zucchero e nocciole, che si raccomanda vivamente di assaggiare. A S. Angelo di Brolo da non perdere sono i bocconetti, zucca zucchero e cannella avvolti in una sottilissima sfoglia di pasta di mandorla e ricoperti da un altrettanto sottile velo di zucchero e bianco d'uovo. A S. Fratello si preparano ancora pronobis, simili ai buccellati, i gnuccattuli e i passavolanti; a Raccuia le nuvolette, simili a savoiarde; a Caronia la pasta tennira, dall'incon-fondibile odore di cannella, vaniglia e miele; a Ucria i torroncini.
Abbastanza diffusi nei bar e nelle pasticcerie sono i pasticciotti di pasta di mandorla, i croccanti di nocciole, gli amaretti di mandorle dolci e amare, le nocciole e le mandorle giulebbate. Mentre si trovano più facilmente nei forni i 'nzuddi, i piparelli, i biscotti all'anice, il pan di Spagna, i cottissimi biscotti lievitati. Molto buone sono anche le giammellotte (S. Marco, Militello, Tortorici ...), ciambelle all'uovo senza buco. Vi sarà, invece, difficile trovare in giro alcuni dolci che ormai vengono fatti quasi esclusivamente in casa: il biancomangiare (budino di latte e amido con scorza di limone e cannella); il torrone (mandorle o nocciole legate col miele); la pignolata (fritto a palline di farina, zucchero, uova, buccia di limone e sugna, cosparso infine di miele e cannella).
Legati a ricorrenze particolari sono le sfincie di S. Giuseppe (pasta soffice ottenuta con farina, lievito di birra, latte, uova e vanillina, fritta in olio a palline e passata nello zucchero e nella cannella) e gli ossi dei morti (farina, zucchero e chiodi di garofano).
Una menzione a parte meritano le coddhure pasquali (le greche "kouloùrai"), espressione di una tradizione antichissima dalle valenze non solamente culinarie. Si tratta di ciambelle di pane o biscotto, incastonato di uova infornate, vero e proprio fast food ante litteram, da portarsi dietro nelle scampagnate dionisiache di primavera, come pure in quelle cristiane del Lunedì di Pasqua. Anche se non si tratta di un vero e proprio dolce, non si può trascurare di fare menzione della calia, stuzzicheria nasitana consistente in ceci tostati nella sabbia, immancabile nelle feste popolari di carattere religioso e non, ma introvabile al di fuori di quel contesto.
Saggio di Franco Ingrillì tratto dalla guida "Paesi e paesaggi dei Nebrodi", editore Ermes dei Parchi.
http://www.parchi.info/prodottitipici.asp

Curiosità sulla gastronomia di Mistretta
PASTA 'NCACIATA
Ingredienti:
Magliette di maccheroncino gr. 600, pomodoro maturo kg. 1,500, tuma o caciocavallo fresco gr. 200, carne tritata gr. 200, mortadella o salame gr. 50, uova sode 2, melanzane 4, pecorino grattugiato gr. 100, aglio 2 spicchi, vino bianco mezzo bicchiere, basilico, olio, sale, pepe.
Preparazione:
Con i pomodori, l'aglio e il basilico, preparate una salsa secondo la ricetta già data della salsa alla messinese. Tagliate le melanzane a fette e friggetele dopo averle tenute per un'ora in acqua e sale.
Soffriggete intanto in un tegame il tritato, con olio abbondante, sfumate col vino e completate la cottura aggiungendo qualche cucchiaio di salsa di pomodoro. Lessate la pasta, scolatela al dente e conditela in una zuppiera con la salsa di pomodoro.
Prendete una teglia ben unta e spolverata di pangrattato e versatevi le magliette alternandole a strati con la carne tritata, le melanzane fritte, il formaggio grattugiato, il basilico, le uova sode, la tuma e il salame tagliati a fette.
Chiudete l'ultimo strato di pasta con melanzane, salsa e molto pecorino. Passate al forno caldo per circa 20 minuti. Il formaggio, sciogliendosi al calore del forno formerà una leggera crosta (da cui il nome di 'ncaciata, da cacio)
DOLCI DI MISTRETTA
http://www.pasticcerialafenice.it/
Granita di gelsi neri
Nella sontuosa tradizione gelatiera siciliana hanno un posto a parte le granite, succhi gelati di frutta e zucchero simili ai sorbetti, ma di consistenza più morbida. La loro storia si ricollega all’usanza, avviata dai Greci e proseguita dai Romani, di sfruttare per la conservazione dei cibi le nevi dell’Etna, stoccate in pozzi e caverne. Le prime miscele rinfrescanti risalgono probabilmente a quell’epoca, ma furono gli Arabi a fare del sorbetto un’arte che si è conservata fino ai nostri giorni. Per le granite, un tempo si spruzzava la neve con l’aroma prescelto (succo di limone, polpa di fragole o di fichi d’India, caffè e così via) e la si metteva in una tinozza che era girata a mano dentro un pozzetto riempito di sale grosso per facilitare la formazione del ghiaccio. Oggi si usano moderne mantecatrici, ma il principio è lo stesso. Tra le preparazioni più tradizionali del Messinese merita citare la granita alle more di gelso, fatta con i piccoli frutti dei gelsi neri le cui foglie si davano un tempo ai bachi da seta adulti. Come in tutta la Sicilia, la granita non è solo un goloso dessert o un classico “fuoripasto” estivo, ma un elemento della prima colazione, che ha almeno pari dignità della brioche.
PASTE DI MANDORLE, RAMETTI, BUCCELLATI
Base comune a molti dei dolci tradizionali dei Nebrodi, che presentano una sorprendente varietà, è la pasta di mandorle: la si usa, con aggiunta di cioccolato o di frutta o di fichi secchi, anche nel ripieno della pasta reale “coperta”, una sorta di raviolone rotondo. Farciti di fichi, noci, pinoli, scorze di arancia e cannella sono i buccellati. Alla categoria dei piccoli dolci secchi appartengono i rametti o ramette, biscotti di mandorle o nocciole bianchi, ricoperti con granella colorata. Le giammelle o giammellotte sono di pasta più morbida, all’uovo, mentre con la pasta del pane si fanno le ciambelle (coddura) pasquali.
INDIRIZZI UTILI
Pasticceria “In” di Nino Insinga
Mistretta (Me)
Via Brindisi, 2
Tel. 0921 383011
Dolci di pasta reale.
Pasticceria Antonino Testa
Mistretta (Me)
Via Monte, 2
Tel. 0921 382580 - 338 8310671
Dolci di pasta reale, pasta reale coperta, rametti, buccellati.

LA GRANITA SICILIANA
La granita siciliana è uno spettacolo, uno di quei dolci che si possono mangiare senza timore di ingrassare (troppo) perché è fatta di acqua e frutta. Si, c’è anche lo zucchero, ma in quantità ridotta, quindi non incide sensibilmente in termini di calorie. Mangiarla al bar con la briosche è sempre bello, ma anche prepararla in casa non è difficile e può servire a rendere speciale un particolare momento o a soddisfare il desiderio di qualcosa di fresco, dissetante e gustoso. La granita siciliana è la capostipite del genere e con le varie imitazioni che si trovano nelle altre regioni condivide soltanto il nome, poichè la tendenza ad inserire il ghiaccio, seppura in piccoli pezzetti, allontana dalla sua essenza.
La differenza tra la granita siciliana, la granita delle altre regioni e la grattachecca è che la granita non prevede l’utilizzo di ghiaccio, bensì è il composto stesso a ghiacciare, mentre negli altri casi al ghiaccio si aggiunge il liquore. E la differenza è di facile percezione già a livello visivo, per poi acuirsi a livello gustativo, perché l’una è cremosa e quasi morbida, le altre sono composte da pezzetti di ghiaccio, per cui è tutt’altra consistenza. Pertanto, nel momento in cui decidiamo di preparare a casa la granita siciliana dobbiamo tener presente che ci aspettiamo un sorta di crema, non certo giaccio colorato, che non è da disprezzare ma indica un altro tipo di granita differente dalla siciliana.
Gli ingredienti
1 litro di acqua (naturale)
300 gr di zucchero
mezzo litro di succo o spremuta di limone
In luogo del limone si possono anche utilizzare altri tipi di frutta, a seconda dei gusti: gelsi neri, fragole, arancia, mandarino … e poi la frutta secca, come mandorle e pistacchi, o anche la cioccolata.
Le prime volte è meglio utilizzare una sola specialità di frutta, poi una volta acquisita la padronanza del processo, sarà divertante provare nuove combinazioni.
In tutti i casi, occorre macerare e frullare la frutta, per cui avremo una sorta di frullato di fragole, di latte di mandorle, di passata di gelsi neri. Per le quantità, sempre sui 300-500 gr, a seconda del tipo di frutto scelto e del suo ‘rendimento’.
La preparazione
Il contenitore che si utilizza per preparare la granita siciliana deve essere di acciaio, perché è il materiale per eccellenza che ostacola la formazione dei grumi. Dunque, versare l’acqua (non molto fredda) nel contenitore e mettere anche lo zucchero, in modo che possa sciogliersi completamente: a tal fine accendere il fuoco bassissimo, fino a quando non si ottiene un composto omogeneo. A questo punto, dopo aver lasciato raffreddare, aggiungere il succo di limone e mescolare accuratamente, per amalgamare bene.
Assaggiare per verificare se lo zucchero è al livello giusto e, in caso negativo, aggiungerne la quantità desiderata. Mettere il contenitore nel freezer e, dopo circa 20 minuti, eliminare il ghiaccio che si sarà formato sui bordi e girarla un pochino con il mestolo, ripetendo l’operazione ad intervalli regolari di 10-15 minuti. L’obiettivo è evitare che diventi un blocco compatto mentre si solidifica.
La particolare cremosità della granita siciliana è legata proprio a questa attività di ‘rimestaggio’, che le assicura di collocarsi su una via di mezzo tra li liquido iniziale e il ghiacciato finale: un cremoso lievemente granulato, insomma. Ma granulato fine, perché non rimangono pezzi di giaccio ma minuscole scagliette a stento individuabili quando si mangia.
La granita potrà dirsi pronta non prima di 4 ore e a quel punto va messa nel frigorifero prima del consumo, con almeno 30 minuti di anticipo, altrimenti rischi di rimanere troppo dura.
La granita siciliana o semplicemente granita, è un alimento rinfrescante tipico della Sicilia. Nella sua ricetta di base, si compone di acqua, zucchero e limone (granita al limone).
Nella sua "formulazione originale" è diffusa in tutta la Sicilia, tuttavia la diffusione maggiore e la sua migliore espressione si hanno nella costa Orientale dell’Isola. Qui al gusto originario di limone, si sono da tempo affiancate numerose varianti:
La granita alla mandorla, probabilmente nata nella zona di Avola, nel Siracusano (ove si hanno le più estese coltivazioni di mandorle siciliane) è ormai il gusto più diffuso della costa est dell’isola, spesso accoppiata al gusto cioccolato. Le granite di caffè e fragola sono invece una specialità della città di Messina, servite con l'aggiunta di un velo di panna rigorosamente fresca.
Molto diffusi nel Catanese sono invece il gusto "al pistacchio" (originario di Bronte), alla mandorla (la minnulata catanese, cioè mandorlata, su cui si versa un goccio di caffè caldo) ed i gusti alle frutta: gelsi neri, pesca, fragola, mandarino, ananas. Da segnalare la grande tradizione dell’"Acese" (dintorni di Acireale, fra Catania e Messina) nella produzione di granite.
Si serve in bicchieri di vetro trasparenti, originariamente accompagnata dal pane, oggi si accompagna volentieri con la tipica brioche siciliana preparata con l'uovo e dalla forma a base semisferica sormontata da una pallina (a mo' di coppoletta).
In Sicilia a granita câ briosci è spesso apprezzata come ottima colazione, specialmente in estate e nelle zone costiere, mentre non la si mangia mai dopo pranzo.
Nel Medioevo esisteva a Messina una professione detta del Nevarolu: un uomo si occupava di conservare la neve tutto l'anno, in modo che i nobili la comprassero con l'avvento delle temperature calde e ci spremessero dentro il limone. Nacque così la granita con il gusto tipico di limone, mentre la tipica messinese è al caffè o alla fragola con panna e la tipica catanese è alle mandorle, detta a minnulata. La granita è più diffusa nella Sicilia orientale. Ad Acireale si tramanda il mito di Francesco Procopio dei Coltelli, un ingegnoso trezzoto che con il nome francesizzato in Procope ebbe successo nella Parigi del XIV secolo.

ALTRE ANTICHE RICETTE SICILIANE
Se volete preparare e gustare autentiche ricette della Sicilia che fu, non potete e non dovete perdere "A tavola non si invecchia" di Maria Sorce Cocuzza, Edizioni Lussografica, pag. 238 €18.
Non è un libro. E' una miniera di informazioni utilissime e gustosissime. Antiche ricette reperite in bauli polverosi, scovate in casa di nobili famiglie o raccolte con certosina pazienza dalla viva voce di anziani per restituire intatta la malia del tempo che fu, impregnando il presente di odori e sapori che si credeva perduti. Un lavoro lungo due anni e concretizzato in questo volume, arricchito da diverse foto. Si va dagli antipasti e contorni (bavalucci a la ghiotta, milinciani a vastunedda ‘nfinucchiati, pitirri sutrisi e moltissimi altri), ai primi piatti (attuppateddi c’a ricotta e li cacocciuli, pasta ncaciata d’a nanna Maruzza, risu cu caciu, cacocciuli e sardi salati), si prosegue coi secondi piatti (lu cunigliu di l’arginteri, la mbriulata da catananna Vicinzina, maccu frittu) e quindi ancora dolci, glasse, rosoli, miscellanea di conserve, paste e salse fatte in casa, ma anche spezie ed aromi, informazioni e consigli. Centinaia e centinaia di ricette (compreso il latte fritto) per ritrovare i sapidi sapori della terra, quando “lu mangiari era grazia di Diu”. Come ben scrive il drammaturgo Mario Ricotta: “Quando saremo ombre e cenere e Mussomeli sarà popolato da altre generazioni, le ricerche di Maria Sorce Cocuzza continueranno ancora a vivere ed ad essere fonte perennemente attingibile. Oggi in questo libro ci catapultiamo nel mondo dei nostri avi che non ci sono più, ma le loro ricette ci suggestionano e respirano di vita”.
Ho la fortuna di conoscere personalmente l'autrice con la quale coltivo un sincero rapporto d'amicizia da quindici anni. Maestra in pensione, Maria Sorce Cocuzza nonostante l'età avanzata e la non fermissima salute, continua a stupire e a stupirci per la sua produzione sempre ricca di spunti originali, imperniata sulla ricerca antropologica di questo spicchio di territorio (Mussomeli, provincia di Caltanissetta) ricco di storia a tradizioni. Ho già chiesto il permesso di saccheggiare le sue ricette per fare gustare al nostro maresciallo Saverio Bonanno i sapori dei suoi nonni. Permesso accordato. Il libro si può ordinare alla stessa autrice telefonando allo 0934992016
NOTA di Roberto Mistretta
cfr.: http://www.robertomistretta.it/commenti.asp?id=36

PRELIBATEZZE SICILIANE
Prelibatezze dell'arte culinaria tradizionale ed antichi sapori: così gli abitanti di Burgio (Agrigento) hanno saputo coniugare nei secoli le ricchezze che la terra offre con le esigenze del palato.
Dolci tipici sono la grabuscia (pasta di pane fritta e ricoperta di zucchero); la tabisca, che si fa anche a Castel di Lucio (Messina), (schiacciata di pasta di pane in forno e condita con olio, sale, pepe e formaggio pecorino).
L'8 Dicembre, per l'Immacolata, è possibile gustare la muffuletta (schiacciata di pasta di pane in forno e condita con olio, sale, pepe, formaggio e sarda salata).
Per Santa Lucia (13 Dicembre), invece, è tradizione preparare la cuccia (frumento prima bollito e poi condito con vino cotto oppure con creme di ricotta o di latte e cioccolato).
Ed infine, per limitarci ai piatti tipici delle feste, per Natale si preparano le cuddureddi cu i ficu (pasta dolce con fichi secchi, mandorle e zuccata), i tetù ed i taralli (biscotti di pasta frolla ricoperti di una glassa di zucchero).
I prodotti tipici dell'agricoltura burgitana (arance, pesche, olive) sono tra i più rinomati della produzione siciliana per la preziose qualità organolettiche che possiedono.
La lavorazione del latte ha dato origine a varietà squisite di formaggi tipici (primosale, canestrato, ricotta) e la stessa maestrìa nell'elaborazione di ricercatezze culinarie è possibile ritrovarla nelle gustosissime salsiccie cotte alla brace insieme alle stigghiole (budella di agnello farcite con cipollotti, sale e pepe).

RICETTE
cfr.: http://www.taoevents.it/pagine/ricette.htm
Antipasti
1. ALIVI FRITTI
Occorrono: 10 grosse olive nere a persona, olio extra vergine di oliva, aglio, aceto e origano.

Mettete le olive in padella con una spruzzata d'olio e uno spicchio di aglio pestato, facendole soffriggere qualche minuto. Versate a questo punto, mezzo bicchiere di aceto e quando sarà evaporato cospargete le olive con una bella manciata di origano. Fate insaporire per qualche minuto e quindi servite a tavola. E' un ottimo stuzzichino!
2. BRACIOLETTINE CHI PIPI
Occorrono: 3 peperoni rossi o gialli, un composto di pan grattato, parmigiano grattugiato, aglio tritato, prezzemolo tritato, 1 cipollina, 2 pomodori maturi, una manciatina di capperi, 1/2 bicchiere di aceto, 1 cucchiaio di zucchero, olio extra vergine di oliva.

Arrostite i peperoni, pelateli e tagliateli a strisce larghe 5 cm. Mettete su ogni striscia una parte del composto e arrotolatela formando degli involtini che fermerete con uno stuzzicadenti. In una padella capiente affettate la cipolla e fatela soffriggere con olio d'oliva, aggiungete i capperi tritati, i pomodori pelati e spezzettati. Salate e fate cuocere fino a quando i pomodori saranno completamente sfatti. Aggiungete le braciolettine di peperoni, fate insaporire e sfumate poi con aceto e zucchero. E' un piatto da servire sia caldo che freddo.
3. BRACIOLETTINE 'I MULINCIANI
Occorrono: 2 belle melanzane, composto di pan grattato, parmigiano grattugiato, basilico, aglio tritato, capperi tritati, 1 pomodoro pelato e spezzettato, olio extra vergine di oliva (per amalgamare), 1 cipollina, olio, basilico, 2 pomodori maturi.

Tagliate a fette le melanzane, cospargetele di sale e lasciatele a "perdere l'acqua" per circa 1/2 ora. Lavatele, asciugatele e friggetele in abbondante olio. Mettete su ogni fetta un poco di composto e arrotolatela, formando un involtino che fermerete con uno stuzzicadenti. In una teglia affettate finemente la cipolla e fatela soffriggere, aggiungete i pomodori pelati e spezzettati, il basilico tritato e il sale. Fate insaporire qualche minuto, adagiateci gli involtini di melanzane e mettere in forno caldo per circa 1/4 d'ora. Oltre che stimolare l'appetito, saranno un antipasto robusto!
4. CACCIOFFULI 'MBURRACCIATI
Occorrono: 8 carciofi, 1 limone, 1/2 bicchiere di olio extra vergine di oliva, 1 noce di buffo, 2 spicchi d'aglio, una manciata di prezzemolo, sale, pepe, pan grattato,2 cucchiai di parmigiano grattugiato.

Pulite i carciofi, tagliateli a spicchi e metteteli a bagno in acqua acidulata con succo di limone. In un tegame largo fate rosolare l'olio ed il burro. Unite i carciofi ben asciutti e lasciateli rosolare. Cospargeteli con aglio e prezzemolo tritati, salateli e pepateli quindi aggiungete un bicchiere di acqua. Fate cuocere per circa 30 minuti. A cottura quasi ultimata, spolverizzate con parmigiano e pan grattato.
5. CAPUNATA I MULINCIANI
Occorrono: 3 grosse melanzane, una cipolla, una bella costa di sedano, olive verdi, capperi, pomodori maturi, sale,1/2 bicchiere di aceto, un cucchiaio di zucchero.
Tagliate a dadini le melanzane, cospargetele di sale e "fate mandare l'acqua". Dopo mezzora, sciacquatele, strizzatele e friggetele in padella con abbondante olio. Dopo averle tolte, mettete nella padella la cipolla tritata, il sedano tagliato a pezzi, le olive snocciolate, ed i capperi. Fate insaporire e aggiungete il pomodoro; salate e lasciate cuocere a fuoco basso per circa quindici minuti. Aggiungete le melanzane e fate insaporire, versate quindi, mezzo bicchiere di aceto in cui avete sciolto, un cucchiaio di zucchero, fate evaporare e servite freddo.
6. CAPUNATA I FINOCCHI
La preparazione è simile alla precedente. Invece delle melanzane, usate spicchi di finocchi precedentemente lessati.
7. CRISPEDDI 'I CAVULICIURI
Occorrono: 1 cavolfiore, una pastella fatta con farina, uova, sale, pepe, pezzettini di acciuga salata.

Dividete in cimette il cavolfiore e lessatelo in acqua salata senza scuocerlo. Mettete una padella con abbondante olio sul fuoco. Scolate bene le cimette di cavolfiore, immergetele nella pastella e friggetele fino a quando saranno ben dorate. Un antipasto che può andar bene anche come secondo!
8. CUCUZZA RUSSA ALL'AGRUDUCI
Occorrono: 1 zucca, olio, sale, aglio, menta, aceto e zucchero.

Tagliate a fette la zucca, cospargetela di sale e fatele "mandare l'acqua". Friggetela in abbondante olio e mettetela da parte. Soffriggete uno spicchio d'aglio, unite la zucca, una abbondante manciata di menta e sfumate con aceto e zucchero. Servite freddo questo originale agrodolce campestre!
9. FACIOLA 'CA MENTA
Occorrono: 500 gr. di fagioli bianchi, sale, aglio, sedano, aceto,pepe, foglie di menta e olio.

Lessate i fagioli bianchi in acqua salata con aglio e sedano. A cottura ultimata, scolate bene, lasciate raffreddare e condite poi in una insalatiera con olio, 1/2 bicchiere di aceto, sale, pepe ed una manciata di foglie di menta. Un gusto fresco e sbarazzino!
10. FUMMAGGIU "A CUNIGGHIU
Occorrono: Caciocavallo, aglio, olio, aceto, origano, sale e pepe.
In una padella fate scaldare abbondante olio insieme ad uno spicchio d'aglio che toglierete quando sarà imbiondito. Unite il caciocavallo tagliato a tocchetti, fatelo rosolare velocemente, spruzzatelo con un po' di aceto e cospargetelo con origano, sale e pepe. Quando il formaggio comincerà a sciogliersi, toglietelo dalla padella e servitelo ben caldo.
11. PUMADORU CHINI
Occorrono: 6 bei pomodori maturi e tondi, 100 gr. di pan grattato, 100 gr. di pecorino o parmigiano grattugiato, aglio, basilico, capperi, olio, sale.

Aprite a metà i pomodori nel senso della larghezza, svuotateli di parte della polpa - che metterete in una padella - salateli e girateli sottosopra a scolare. Mettete la padella sul fuoco e riducete la polpa in pezzetti piccolissimi, aggiungete l'aglio e i capperi tritati e fate insaporire il tutto con un po' di olio. Aggiungete il pan grattato, il formaggio e il basilico. Amalgamate e riempite con questo composto i pomodori; allineateli in una teglia, irrorateli di olio e metteteli in forno caldo fino a quando saranno dorati in superficie.
Primi Piatti
1. ARANCINI 'I RISU
Occorrono: 400 gr. di riso, una bustina di zafferano, 5 uova, 50 gr. di parmigiano grattugiato, 1 provoletta tagliata a dadini, sale, pan grattato. Per il ragù: 1 cipolla, 400 gr. di carne tritata, 200 gr. di piselli, passato di pomodoro, sale, pepe, olio.
Preparate con gli ingredienti un ragù piuttosto denso. Lessate in acqua salata il riso, scolatelo piuttosto al dente, mescolatelo con 2 uova, lo zafferano, il parmigiano e lasciate raffreddare. Mettete due cucchiaiate di riso nel palmo della mano, versate all'interno un po' di ragù e qualche tocchetto di provoletta e chiudete con altro riso formando una palla. Passate le arancine nell'uovo sbattuto, nel pan grattato e fatele dorare in abbondante olio caldo.
2. MACCU
Occorrono: 800 gr. di fave secche sgusciate, 400 gr. di pasta, cipolla, sedano, pomodoro, olio di oliva, sale.
Mettete a bagno, per tutta la notte le fave secche sgusciate. L'indomani cuocetele in abbondante acqua salata con cipolla, sedano e pomodoro; a cottura quasi ultimata unite la pasta (la nonna consiglia spaghetti spezzettati) e finite di cuocere sempre rimestando; aggiungete abbondante olio extra vergine di oliva e.... U maccu è prontu!
3. MACCARUNI 'I CASA
Occorrono: 1 Kg. di farina di grano, 3 uova, acqua quanto basta, ragù di carne di maiale.
Mettete sul tavolo la farina a fontana, rompeteci dentro le uova e impastate unendo acqua tiepida fino ad ottenere un composto consistente. Lavoratelo bene e stendetelo con il mattarello fino ad ottenere una sfoglia non troppo sottile che taglierete a quadrati di circa 1 cm. Premete su ogni pezzo di pasta un ferro da calza, arrotolatelo e otterrete così dei piccoli maccheroni. Sfilateli dal ferro e lasciateli asciugare. Preparate un buon ragù con la carne di maiale, lessate al dente i maccheroni, conditeli e cospargeteli con abbondante pecorino grattugiato.

4. MINESTRA DI PIPI E PATATI
Occorrono: 1/2kg.di patate, 4 peperoni verdi, 1 cipolla, 1/2 bicchiere di olio extra vergine di oliva, prezzemolo tritato, sale e pepe
In un tegame mettete le patate tagliate a tocchetti, i peperoni a listarelle sottili, la cipolla affettata, 1/2 bicchiere di olio, sale e pepe. Coprite il tutto con acqua e lasciate cuocere a fuoco lento per circa 3/4 d'ora. Prima di servire, cospargete con abbondante prezzemolo tritato e....il vostro piatto rustico è bello e pronto!

5. PANI COTTU DA NONNA
Occorrono: 2 belle fette di pane casareccio, 1 foglia d'alloro, sale, olio e parmigiano grattugiato.
Mettete in un tegame le fette di pane, copritele con acqua abbondante, salate, unite le foglie di alloro e portate all'ebollizione. Dopo qualche minuto, versate nel piatto il pane caldissimo, cospargete di abbondante parmigiano grattugiato e servite. Il piatto di antichi sapori vi farà ritornare ragazzi!

6. PASTA A' CARRITTERA
Occorrono: 500 gr. di pasta, olio, aglio, pomodori pelati, basilico, pecorino.
Fate soffriggere in abbondante olio uno spicchio d'aglio. Quando sarà dorato, aggiungete i pomodori pelati e pestateli con un cucchiaio di legno per sminuzzarli opportunamente. Aggiungete una buona manciata di basilico tagliuzzato e fate asciugare un poco a fuoco vivo. Lessate la pasta in abbondante acqua salata, scolatela e conditela coi pomodoro. Una consistente spruzzata di pecorino darà il tocco finale a questa fumante pietanza casareccia.

7. PASTA CA' RICOTTA
Occorrono: 500 gr. di pasta (ditalini), 600 gr. di ricotta fresca, pecorino grattugiato, sale.
Lessate la pasta in abbondante acqua salata. Sciogliete la ricotta in una ciotola con un poco di acqua di cottura e condite i ditalini mescolando bene il tutto e cospargendo di pecorino grattugiato.
8. PASTA 'INCACIATA ALLA MIMMO
Occorrono: 600 gr. di pasta (penne lisce o cannellina), 500 gr. di carne tritata, 4 grosse melanzane, 1 litro e 1/2 di pomodoro, 600 gr. di provola dolce, 200 gr. di parmigiano, una grossa cipolla, basilico, olio, e.v. di oliva, sale e pepe.
Soffriggete la cipolla tritata, aggiungete la carne, salate, pepate, fate insaporire per circa 10 minuti versandovi la salsa di pomodoro. Sbucciate le melanzane, tagliate a fette, cospargetele di sale, poi fategli "Perdere l'acqua". Dopo circa mezz'ora, lavatele, asciugatele e friggetele. Lessate la pasta piuttosto al dente, scolatela e conditela con un poco di sugo. Prendete una teglia, versatevi sul fondo, dei sugo, aggiungete poi uno strato di pasta, uno di melanzane fritte, uno di provoletta tagliata a fettine e abbondante parmigiano grattugiato con una cascata di basilico. Continuate, alternando gli ingredienti finendo con melanzane, provola e basilico. Mettete la teglia in forno caldo per circa 1/2 ora iri modo che sulla superficie si formi una crosta dorata. La leccornia è pronta per palati forti e di gusto!

9. PASTA CHI CUCUZZEDDI FRITTI
Occorrono: 400 gr. di pasta a scelta, 4 zucchine, olio extra vergine di oliva, aglio, formaggio grattugiato.
Tagliate a fettine quattro belle zucchine e mettetele sotto sale per far perdere loro l'acqua. Dopo circa mezz'ora, lavatele, asciugatele e friggetele in abbondante olio. Cambiate l'olio di frittura, fate soffriggere uno spicchio d'aglio e rimettete nella padella le zucchine facendole insaporire. Lessate la pasta, scolatela e conditela con le zucchine spruzzandola con abbondante formaggio grattugiato.

10. PASTA CU' CAVULICIURI
Occorrono: 500 gr. di pasta, 1 cavolfiore, aglio, 2 acciughe salate e diliscate, capperi di Lipari, salsa di pomodoro.
Lessate in abbondante acqua salata un bel cavolfiore, cercando di non farlo scuocere. In un tegame, fate soffriggere uno spicchio d'aglio, sciogliete dentro due acciughe salate e diliscate, una manciata di capperi di Lipari e qualche cucchiaiata di salsa di pomodoro. Fate cuocere per circa 10 minuti, unite, quindi, il cavolfiore e fatelo insaporire. Nell'acqua di cottura dei cavolfiore cuocete la pasta, scolatela piuttosto al dente e versatela nel tegame con il cavolfiore portando a termine la cottura. Servite e buon appetito!
11. PASTA CHI BROCCULI A LA QUARTARIDDOTA
Occorrono: 500 gr. di spaghetti, broccoletti, olio extra vergine di oliva, sale.
Lessate in abbondante acqua salata le cime e le foglie più tenere dei broccoletti. Quando saranno sufficientemente cotti, versate nel tegame gli spaghetti spezzettati. A cottura quasi ultimata, conditeli con ottimo olio extra vergine di oliva. Il piatto è servito!
12. RISOTTU CHI MULINCIANI
Occorrono: 600 gr. di riso, 2 belle melanzane, parmigiano grattugiato, 1 cipollina, brodo.
Tagliate a tocchetti le melanzane, salatele e fate loro "perdere l'acqua". Dopo circa mezz'ora, friggetele in abbondante olio e rimettetele da parte. Preparate, intanto, un brodo di dado. In un tegame fate soffriggere la cipollina tritata, aggiungete le melanzane fritte ed un mestolo di brodo. Versate, a questo punto, il riso e cuocete come un normale risotto, versando di tanto in tanto il brodo. Aggiungete, a cottura ultimata, abbondante parmigiano grattugiato e aspettate qualche minuto prima di servire. Il successo è assicurato!

13. SCIUSCEDDU
Occorrono: 1 kg. di carne da brodo, 600 gr. di tritato, 1 kg. di ricotta fresca, 14 uova, 300 gr. di parmigiano, 100 gr. di pan grattato, 2 carote, 1 costa di sedano, 1 cipolla, 1 pomodoro maturo, prezzemolo, pepe nero.
Preparate un buon brodo con la carne, le carote, il sedano, la cipolla e il pomodoro. Impastate il tritato con cinque uova, 100 gr. di parmigiano, il pan grattato, il prezzemolo e formate delle polpettine grosse quanto nocciole. Filtrate il brodo e versatevi le polpettine e la carne sfilacciata facendo cuocere per circa mezz'ora. Sbattete le rimanenti uova con il parmigiano ed una presa di pepe nero; tagliate a tocchetti la ricotta, unitela alle uova, sbattete e versate il tutto nel brodo bollente. Fate cuocere fino a quando le uova si saranno rapprese, senza mescolare, ma scuotendo il tegame di tanto in tanto. I convitati attendono con impazienza questo piatto tipico.

14. SPAGHETTI, AGGHIU, OGGHIU E PIPI BRUCENTI
Occorrono: 400 gr. di spaghetti, 2 spicchi d'aglio, peperoncino rosso, prezzemolo tritato, olio extra vergine di oliva
Fate soffriggere in olio abbondante 2 spicchi d'aglio, ed un peperoncino piccante. Lessate in molta acqua salata la pasta, scolatela, conditela quindi con l'olio aromatizzato e versateci sopra 1 una bella manciata di prezzemolo tritato. Il piatto, stimolante e piccante, è pronto!

15. SPAGHETTI C'ANCIOVI E MUDDICA 'NTURRATA
Occorrono: 600 gr. di spaghetti, 1 spicchio d'aglio, 150 gr. di pan grattato, 2 grosse acciughe salate, diliscate e lavate.
Fate soffriggere in abbondante olio di oliva uno spicchio d'aglio schiacciato e scioglieteci due belle acciughe diliscate e lavate. Lessate a parte gli spaghetti, scolateli con cura, conditeli con questo sughetto e spruzzateli con pan grattato tostato in padella (dovrà diventare di un bel colore dorato).

16. SPAGHETTI CA PUMADORU CRUDA
Occorrono: 400 gr. di spaghetti, 2 pomodori maturi, 1 cetriolo, 1 mozzarella a dadini, basilico, olio extra vergine di oliva.
Pelate due bei pomodori maturi e spezzettateli in una scodella; unite un cetriolo tagliato a fettine, una piccola mozzarella a dadini, una bella manciata di basilico fresco; irrorate il tutto con mezzo bicchiere di ottimo olio extra vergine di oliva e lasciate riposare per circa mezz'ora. Lessate gli spaghetti e scolateli, versateli quindi, nella scodella e fate insaporire ben bene. Servite il piatto caldo e tiepido e buon appetito!

17. SPAGHETTI CA PUMADORU E BASILICO
Occorrono: 400 gr. di spaghetti, 2 spicchi di aglio, salsa di pomodoro, abbondante basilico fresco, sale, pepe, pecorino grattugiato.
Cuocete gli spaghetti in abbondante acqua salata. Scolateli piuttosto al dente, versateli in una scodella e conditeli con la salsa di pomodoro, l'aglio, il basilico tritato, pepe e abbondante pecorino grattugiato. Un fresco e svelto piatto per mangiare leggero!

18. SPAGHETTI CHI COZZI
Occorrono: 2 kg. di cozze, 1 kg. di spaghetti,1litro di salsa di pomodoro, olio extra vergine di oliva, aglio, prezzemolo, sale e pepe q.b.
Pulite e lavate le cozze, mettetele in una teglia e fatele aprire a fuoco lento. Togliete i molluschi dalle valve e metteteli in una ciotola, filtrando l'acqua che hanno mandato. In un tegame fate soffriggere due spicchi di aglio, aggiungete la metà dei molluschi e coprite con parte dell'acqua filtrata. Fate insaporire per circa 1/4 d'ora e unite la salsa di pomodoro, sale e pepe. Coprite e cuocete a fuoco lento per più di 1/2 ora. Cinque minuti prima di spegnere il fuoco, unite le rimanenti cozze e abbondante prezzemolo tritato. Avrete intanto lessato, a parte, gli spaghetti che condirete con questo sugo. Vi sembrerà di essere sul Lago Grande di Ganzirri !
19. SPAGHETTI CU' TUNNU E LIMUNI
Occorrono: 400 gr. di spaghetti, 2 scatolette di tonno da 160 gr.,2 limoni e prezzemolo tritato.
Versate il contenuto di due scatolette di tonno da 160 gr. in una scodella e sminuzzatelo ben bene. Versateci il succo di due limoni e molto prezzemolo tritato. Lessate al dente 100 gr. di spaghetti e condite col sughetto preparato, portando in tavola calda o fredda indifferentemente.
Secondi Piatti
1. BACCALA' C'ALIVI
Occorrono: 800 gr. di baccalà ammollato, 500 gr. di pomodori pelati, 50 gr. di olive nere snocciolate, 50 gr. di olive verdi snocciolate,50 gr. di capperi di Lipari, 4 filetti di acciuga, 1 cipolla tritata, 1 spicchio d'aglio, olio d'oliva, farina, sale, pepe.
Mettete il baccalà in un tegame coperto d'acqua, fatelo cuocere a fuoco lento per circa venti minuti, scolatelo, deliscatelo, tagliatelo a tocchi, asciugatelo bene e infarinatelo. Fate imbiondire nell'olio la cipolla tritata e l'aglio, aggiungendo il baccalà fino a farlo dorare. Unite i pelati, le olive, i capperi lavati, le acciughe. Schiacciate, salate, pepate e fate cuocere a fuoco lento per circa 15 minuti, mescolando di tanto in tanto.

2. BRACIOLI 'I PISCI SPATA
Occorrono: 1/2 kg. di pesce spada dello Stretto tagliato a fettine sottili, 200 gr. di pan grattato, 100 gr. di parmigiano grattugiato, aglio, prezzemolo, sale, pepe, olio, un pomodoro maturo.
Preparate un composto con pan grattato, parmigiano, aglio e prezzemolo tritati, sale, pepe, pomodoro e olio per amalgamare il tutto. Mettetene un cucchiaio su ogni fettina, arrotolate e fissate con uno stecchino. Si possono arrostire e condire con il salmoriglio(vedi ricetta 32) oppure soffriggere e fare insaporire "a 'ghiotta"(vedi ricetta dei pescestocco).

3. BRACIOLI 'I SCOCCI 'I MAIALI
Occorrono: 700 gr. di cotiche di maiale, 150 gr. di pan grattato,100 gr. di pecorino, aglio e prezzemolo tritati, passata di pomodoro, 1 cipolla, sale e pepe. Fiammeggiate le cotiche di maiale, lavatele accuratamente e fatele lessare in abbondante acqua salata. Preparate un composto con il pan grattato, il formaggio, l'aglio e il prezzemolo, sale e pepe. Quando le cotiche saranno cotte, tagliatele a fette di circa 8 cm., mettete su ognuna un poco di composto, avvolgetele e fermatele con uno stuzzicadenti. In un tegame fate rosolare la cipolla affettata, unite il passato di pomodoro, salate, pepate, adagiatevi le braciolettine e lasciate cuocere a fuoco lento per circa mezz'ora. Servite caldissimo.
4. BRACIOLI 'RRUSTUTI "A MISSINISA "
Occorrono: 600 gr. di fettine di vitello tagliate sottili, 200 gr. di pan grattato, 100 gr. di pecorino grattugiato, 2 spicchi d'aglio, prezzemolo,sale, pepe, olio.
Preparate un composto con il pan grattato, il prezzemolo l'aglio tritati, sale, pepe e amalgamatelo con acqua e olio. Ungete di olio o di strutto le fettine di carne; su ognuna mettete un poco di composto (a piacere si può aggiungere provoletta a dadini), arrotolatele e infilate gli involtini in piccoli spiedi. Arrostite a fuoco lento, possibilmente su brace di legna.

5. CASTRATU 'A MISSINISA
Occorrono: 1 kg. di carne, 150 gr. di strutto, 4 pomodori maturi, 1 cipolla, sale, pepe, rosmarino.
Lavate, asciugate e mettete in teglia la carne; unite lo strutto, la cipolla a pezzi, i pomodori spezzettati, il rosmarino, salate e pepate. Mettete in forno caldo a circa 200' e cuocete per un'ora.
6. COZZI 'A GANZIRROTA
Occorrono: 1 kg. di cozze, 2 spicchi d'aglio, 1 bicchiere di olio extra vergine di oliva, 2 pomodori maturi, abbondante prezzemolo tritato, pepe nero macinato.
Pulite bene le cozze. Mettete in una teglia olio, aglio tritato e
fate rosolare appena. Aggiungete, quindi, il pomodoro e, dopo qualche minuto le cozze, prezzemolo tritato e abbondante pepe nero macinato. Fate cuocere a fuoco lento fino a quando le cozze saranno tutte aperte. Servite su un vassoio a portata. Il gusto del Lago di Ganzirri è sulla vostra tavola!

7. CUSTARDEDDI FRITTI "A MISSINISA"
Occorrono: 600 gr. Di costardelle dello Stretto, 1 grossa cipolla, aceto, sale, olio.
Pulite e affettate una cipolla e mettetela in una ciotola con aceto, acqua e sale per almeno mezz'ora. Togliete la testa e le interiora alle costardelle, lavatele e fatele asciugare. Friggetele in abbondante olio caldo, senza infarinarle per non far perdere il sapore del mare e salatele. Servitele calde con il contorno della cipolla.
8. CRISPEDDI 'I NUNNATA
Occorrono: 600 gr. di neonata, prezzemolo, formaggio grattugiato (facoltativo), 2 uova, olio, sale, 1 limone.
Lavate bene e mettete a scolare in un setaccio il pesce. In una terrina, sbattete le uova con abbondante prezzemolo tritato e aggiungetevi, a piacere, il formaggio grattugiato. Versatevi la neonata, scolate e mescolate bene per ottenere un composto non troppo liquido. Mettete in una padella abbondante olio e scaldatelo: versatevi il composto a cucchiaiate e fatelo ben dorare da una parte e dall'altra. Servite caldo con fette di limone.

9. FALSUMAGRU
Occorrono: 1 larga fetta di manzo o vitello da 700 gr., 200 gr. di carne tritata, 150 gr. di salsiccia, 200 gr. di mortadella, 6 uova, 2 cucchiaiate di pan grattato, 100 gr. di pecorino grattugiato, 250 gr. di pecorino fresco, un po' di latte, passato di pomodoro, 1 cipolla, prezzemolo, 1 cucchiaio di estratto di pomodoro, aglio, sale, pepe, olio, 1 bicchiere di vino rosso.
Mettete in una terrina la carne tritata, la salsiccia, il formaggio grattugiato, il pan grattato, 3 uova, aglio e prezzemolo tritati, sale, pepe e amalgamate il tutto ammorbidendo con un po' di latte. Rassodate le rimanenti uova. Aprite la fetta di carne, stendetevi sopra la mortadella nella quale metterete il composto già preparato, le uova sode intere e spuntate e il pecorino fresco tagliato a bastoncini. Arrotolate la carne cercando di chiudere bene le estremità e legatela con un filo bianco. Imbiondite in un tegame la cipolla tritata e fatevi rosolare il falsomagro girandolo da tutte le parti. Versate un bicchiere di vino rosso e fate evaporare. Aggiungete poi l'estratto, il passato di pomodoro, sale e pepe. Cuocete a fuoco lento per circa un'ora. Levate lo spago, affettate delicatamente e servite con il sugo di cottura.

10. GHIOTTA 'I PISCISTOCCU "i mamma Flora"
Occorrono: 1/2 kg. di pescestocco, 1/2 kg. di patate, 1 cipolla, una costa di sedano, 50 gr. di olive verdi, una manciata di capperi di Lipari, un litro di salsa di pomodoro, sale, pepe, olio extra vergine di oliva. Fate soffriggere in abbondante olio la cipolla; quando sarà appassita, unite il sedano a pezzi, le olive snocciolate ed i capperi, facendo insaporire per qualche minuto. Mettete, a questo punto, la salsa di pomodoro e fate cuocere per qualche minuto (5 minuti circa). Infine aggiungete il pescestocco a pezzi e le patate tagliate a tocchetti, salate, pepate, dando inizio alla cottura a fuoco lentissimo per circa 90 minuti.

11. 'MPANATA I PISCISPATA
Occorrono: 500 gr. di pesce spada tagliato a tocchetti, 4 zucchine, 1 cipolla, 50 gr. di olive verdi, 1/2 litro di salsa di pomodoro casalingo, 1 costa di sedano, 1 manciata di capperi, sale, pepe, olio extra vergine di oliva. Per la pasta frolla: 50 gr. di farina bianca, 200 gr. di burro, 70 gr. di zucchero, 2 uova, sale, un po' di latte, 1 tuorlo d'uovo.
Con gli ingredienti indicati, fate una pasta frolla lavorando l'impasto il meno possibile. Avvolgetela in una pellicola trasparente e mettetela in frigorifero. Tagliate a fettine le zucchine e friggetele in olio caldo; in un tegame affettate la cipolla e fatela imbiondire; unite la salsa di pomodoro, il sedano e le olive a pezzetti, i capperi, i tocchetti di pesce; salate, pepate e cuocete a fuoco basso per circa mezz'ora (il sugo dovrà risultare piuttosto denso). Spianate sul tavolo metà della pasta frolla e rivestite il fondo e le pareti di uno stampo imburrato. Versate la metà dei composto di pesce e distribuite sopra le zucchine fritte.
Coprite con il pesce e ancora con le zucchine. Con l'altra metà della pasta frolla formate un disco con cui coprirete il tutto. Saldate bene i bordi, spennellate con il tuorlo e mettete nel forno caldo circa mezz'ora.

12. MULINCIANI A COTOLETTA
Occorrono: 3 grosse melenzane senza semi, 3 uova, farina, pan grattato, sale, pepe, olio.
Lavate e affettate le melanzane, passatele nella farina e nelle uova sbattute e salate e, quindi nel pan grattato. Friggetele in abbondante olio e servitele calde e dorate.

13. PISCI SPADA '0 SAMMURIGGHIU
Occorrono: 4 belle fette di pesce spada dello Stretto, 2 spicchi d'aglio; olio extra vergine di oliva, un grosso limone, origano, sale e (a piacere) prezzemolo.
Arrostite sulla brace le fette di pesce spada e conditele con un sughetto formato da abbondante olio, aglio tritato, succo di limone, origano, prezzemolo e sale (il famoso sammurigghiu). Il risultato è assicurato!

14. PISCISTOCCU "A TUTTU D'INTRA"
Occorrono: 1/2 kg. di pescestocco, 1/2 kg. di patate, 1 cipolla, 1 spicchio d'aglio, 50 gr. di olive verdi, una manciata di capperi, 1 costa di sedano, sale, pepe, olio extra vergine di oliva.
In un tegame con abbondante olio, mettete la cipolla affettata, l'aglio tritato, il sedano tagliato a pezzi, le olive snocciolate, i capperi. Adagiatevi sopra, il pescestocco, le patate, salate, pepate, coprite il tutto con acqua e lasciate cuocere a fuoco lentissimo per circa un'ora e mezza. Una variazione al tema del pescestocco sempre gradita!

15. PISCISTOCCU BUGGHIUTU
Occorrono: 500 gr. di pescestocco, aglio, olio extra vergine di oliva, prezzemolo, succo di limone, pepe nero.
Lessate in abbondante acqua salata il pescestocco con le patate. Quando è cotto, scolatelo, mettetelo in una scodella e conditelo con molto olio, aglio tritato, succo di limone prezzemolo triturato in quantità ed una spolverata di pepe nero.

16. PURPETTI I MULINCIANI ALLA "donna Nina"
Occorrono: 3 grosse melanzane senza semi, 2 uova, 150 gr. di pan grattato, 100 gr. di parmigiano grattugiato, 2 spicchi d'aglio, abbondante basilico, sale, pepe, olio.
Sbucciate le melanzane e mettetele a bollire in acqua salata. Quando saranno cotte, scolateleli bene e mettetele a raffreddare. Impastatele poi, con il pan grattato, le uova, i formaggi grattugiati, l'aglio e il basilico tritati ed un pizzico di pepe. Formate delle polpette e friggetele in abbondante olio caldo. Servitele sia calde che fredde.
17. RUSSULIDDA "a Paulina"
Occorrono: 600 gr. di "russulidda", gli avanotti detti anche bianchetti, 1/2 bicchiere di aceto, olio, sale, origano, alloro.
Lavate bene il pesce per eliminare eventuali granelli di sabbia. Mettetelo in un tegame con olio, sale, alloro, origano e 1/2 bicchiere di aceto. Fate cuocere lentamente senza mescolare ma muovendo il tegame fino a quando i pesciolini saranno completamente bianchi. Servire caldo.

18. SADDI 0 ANCIOVI '0 FUNNU
Occorrono: 1 kg. di sarde o di acciughe, 200 gr. di pangrattato, sale, aglio, prezzemolo, capperi di Lipari, 150 gr. di formaggio grattugiato, origano, olio extra vergine di oliva, succo di limone, aceto.
Spinate e aprite il pesce; mettetelo a macerare con aceto per circa mezz'ora. Ungete una teglia: mettete uno strato di pesce, cospargete con il composto di pan grattato, formaggio, aglio tritato, capperi, prezzemolo e sale. Irrorate con olio e succo di limone e spargetevi sopra una manciata di origano. Continuate, alternando uno strato di pesce con uno di composto e mettete in forno caldo per circa mezz'ora. Un ottimo piatto per una stagione a cavallo tra la primavera e l'estate!
19. SCIABBACHEDDU FRITTU
Occorrono: 800 gr. di misto di pesci piccoli farina bianca, olio, sale.
Lavate i pesciolini senza sventrarli, asciugateli bene e passateli nella farina. Metteteli in padella con abbondante olio bollente fino a quando saranno dorati e croccanti. Salateli e serviteli caldissimi accompagnati da fette di limone.
20. SICCI 'NTO NIRU
Occorrono: 800 gr. di seppie, 1 cipolla, 1 spicchio d'aglio, 1 bicchiere di vino bianco, prezzemolo tritato, sale e pepe, olio extra vergine di oliva.
Lavate e pulite le seppie, tenendo da parte le sacche di inchiostro. Mettete a soffriggere in un tegame con due cucchiai di olio e.v. di oliva, la cipolla tagliata finemente ed uno spicchio d'aglio. Dopo 10 minuti, versate le seppie e fatele rosolare a fuoco alto per qualche minuto. Aggiungete un bicchiere di vino bianco del Faro ed abbassate il livello della fiamma. Dopo 5 minuti unite il nero di metà delle seppie (che avrete prima diluito in una tazza con un po' di acqua calda). Versate, quindi, un cucchiaio di prezzemolo tritato, condite con sale e pepe e lasciate cuocere per 45 minuti.

21. SPIDINI 'I FIGUTU 'I MAIALI 'CU GHIPPU
Occorrono: 1/2 kg. di fegato di maiale con la rete, 1 panino raffermo, alloro, sale, pepe, olio.
Tagliate a tocchetti il fegato, mettetelo in una ciotola e conditelo con olio, sale e pepe. Affettate il pane e preparate degli spiedini, alternando il pane, il fegato avvolto nella rete, una foglia di alloro. Quando gli spiedini saranno pronti, arrostiteli sulla brace.

22. SUFFRITTU
Occorrono: 1 kg. di polmone comprensivo della "strozza" 1 cipolla, 2 spicchi d'aglio, origano, 500 gr. di pomodori pelati, olio,aceto, sale, alloro.
Tagliate a piccoli pezzi il polmone e la "strozza", metteteli in un tegame con abbondante olio, aglio e cipolla tritati e fateli soffriggere. Quando saranno ben dorati, salate, unite una bella presa di origano, due foglie di alloro e mezzo bicchiere di aceto. Fate insaporire, aggiungete i pomodori pelati e fate cuocere a fuoco lento per circa un'ora, fino a completa cottura.

23. TUNNU 'CA CIPUDDATATA
Occorrono: 1 tonno di circa kg. 1,500, 2 grosse cipolle, menta, zucchero, aceto, sale e farina.
Sventrate e lavate il tonno, tagliatelo a fette, infarinatelo e friggetelo in abbondante olio caldo. Affettate le cipolle e fatele dorare nello stesso olio; aggiungete, quindi, le fette di tonno e versatevi mezzo bicchiere di aceto nel quale avrete sciolto 1 cucchiaio di zucchero. Cospargete con foglie di menta, coprite e fate evaporare. Servite freddo.
24. TORTA 'I CACCIOFFULI
Occorrono: 10 carciofi, 500 gr. di patate, olio, pecorino grattugiato, aglio, prezzemolo.
Pulite i carciofi levando le foglie esterne e tagliandone la cima con le spine. Spaccateli a metà e levate il fieno (cioè quella parte filamentosa che sta all'interno della base). Tagliateli, quindi, a spicchi e metteteli a bagno in acqua e limone. Pelate 500 gr. di patate e tagliatele a fette molto sottili. Ungete con olio una teglia da forno, formate un primo strato di carciofi e coprite con uno di patate. Salate, spolverizzate con pecorino grattugiato e con aglio e prezzemolo tritati. Ripetete gli strati fino alla fine, versate olio abbondante che penetri i vari strati e terminate con il pecorino. Cuocete in forno caldo per un'ora ed un quarto.
25. VENTRI 'I PISCISTOCCU CHINI
Occorrono: 6 ventri di pescestocco già ammollati, 150 gr. di pan grattato, 50 gr. di pecorino grattugiato, aglio e prezzemolo tritati, 1 manciata di capperi di Lipari, 50 gr. di olive verdi snocciolate e tagliate, una costa di sedano, una cipolla, 1/2 litro di passato di pomodoro, olio, sale e pepe.
Pulite bene i ventri, riempiteli con un composto di pan grattato, formaggio grattugiato, aglio e prezzemolo tritati, arrotolateli, fermateli con degli stuzzicadenti e fateli soffriggere in olio caldo. Fate appassire intanto una cipolla tritata, aggiungete il sedano tagliato a pezzi, le olive, i capperi e fate insaporire; unite il passato di pomodoro, salate, pepate, fate cuocere per circa 10 minuti, aggiungete gli involtini e continuate la cottura per altri 15 minuti.
Dolci
1. BIANCUMANCIARI
Occorrono: 1/2 litro di latte, 100 gr. di zucchero, 50 gr. di amido, 1 limone,1/2 stecca di vaniglia.
Mettete in un tegamino il latte, lo zucchero, l'amido, la cannella e la scorza di limone tagliata a spirale. Ponete su fuoco basso, sempre mescolando con un di legno sino ad ottenere una crema densa. Togliete la scorza di limone e la cannella e mettete il "biancumanciari" in coppette per farlo raffreddare. Quando sarà ben freddo, sformate il dolce capovolgendo la coppetta su foglia di limone e servite.
2. CANNOLA "a Missinisa"
Occorrono: Per la scorza: 300 gr. di farina, vino bianco q.b., 10 gr. di zucchero, un cucchiaino di cacao amaro, sale. Per il ripieno: 500 gr. di ricotta amalgamata con 250 gr. di zucchero, 25 gr. di canditi a pezzi, 50 gr. di cioccolato fondente sminuzzato.
Disponete la farina a fontana, mettete al centro lo zucchero, il sale, il cacao, unite il vino e lavorate bene fino a formare un composto consistente che avvolgerete in un panno e lascerete riposare per un paio d'ore. Tirate l'impasto a sfoglie sottili, tagliate dei quadrati e avvolgeteli sugli speciali cannelli (di latta o di canna). Portate l'olio al massimo grado di frittura in una padella dai bordi alti e immergetevi i cannelli ricoperti di pasta. Quando saranno dorati al punto giusto, sgocciolateli, lasciateli intiepidire e sfilate i cannelli. Riempite con il composto di ricotta e spolverizzate con zucchero a velo.

3. CIAURRINA
Occorrono: 1 kg. di miele, olio d'oliva, 1 chiodo piuttosto grande.
Versate il miele in un recipiente possibilmente di rame e fate bollire, sempre mescolando con un cucchiaio di legno fino a quando farà il filo. A questo punto, toglietelo dal fuoco e versatelo sul tavolo di marmo unto di olio; lavoratelo con un cucchiaio di legno facendolo raffreddare e poi impastatelo con le mani unte di olio. Appena sarà piuttosto consistente, formatene, tirandolo, una lunga striscia. Fissate un grosso chiodo, possibilmente su una parete di legno, appendetevi il preparato di miele come fosse uno spago. Tirando i due capi con le mani e allungandolo, formerete due strisce; toglietele dal chiodo, tiratele con le mani e riappendetele al chiodo, ripetendo l'operazione fino a quando la "ciaurrina" diventerà bianca (ricordatevi di ungere ogni tanto le mani di olio). 131,Quando la "ciaurrina" sarà pronta, formate dei bastoncini o delle ciambelline. Gustosissime!

4. CRISPEDDI 'I SAN JUSEPPI
Occorrono: 500 gr. di farina, 15 gr. di lievito di birra, un pugno di uvetta passita macerata nel rhum, acqua calda (circa 300 gr.), sale.
Mettete in una terrina la farina, il lievito sciolto in acqua tiepida, un pizzico di sale e sbattendo l'impasto con le mani, aggiungete, a poco a poco, l'acqua calda. Dovrà risultarne un impasto piuttosto denso e liscio che lascerete a lievitare per circa un'ora in luogo caldo (potete avvolgere il tutto in una coperta di lana). Quando la pasta avrà raddoppiato il suo volume, aggiungete l'uvetta e versate l'impasto a cucchiaiate in un tegame dai bordi alti pieno di olio bollente, formando delle palline non più grosse di una noce. Scolatele ben dorate, ponetele su un foglio di carta assorbente e spolverizzatele di zucchero. Sono ottime sia calde che tiepide.

5. MUSTAZZOLA 'I MISSINA
Occorrono: 500 gr. di farina per dolci, 200 gr. di zucchero, 70 gr. di mandorle sgusciate, cannella in polvere, 2 chiodi di garofani pestati, una bustina di lievito in polvere, acqua calda.
Mettete sul tavolo, a fontana, la farina, aggiungete il lievito, lo zucchero, le mandorle tostate e tritate, la cannella e i chiodi di garofano. Aggiungete acqua calda e mescolate fino a quando la pasta sarà liscia e di regolare consistenza. Stendetela col mattarello ad uno spessore di circa 1 cm. e ricavatene con il tagliapasta dei biscotti di varie forme che inciderete a disegni con la punta di un coltello. Poneteli sulla placca del forno imburrata e infarinata e cuoceteli a forno caldo.
6. NIPITIDDATE
Occorrono: 500 gr. di farina, 250 gr. di burro, 150 gr. di zucchero, 4 uova, 1 pizzico di sale, un po' di latte. Per la farcia: 1 uovo, 350 gr. di fichi secchi tritati, 150 gr. di gherigli di noce spezzettati, 50 gr. di cioccolato a scaglie, 200 gr. di mandorle tostate e tritate, 100 gr. di uva passa, 1 pizzico di cannella, 1 chiodo di garofano tritato, 250 gr. di marmellata, buccia di arancia secca tritata. Mescolando tutti gli ingredienti, preparate la farcia. Con la farina, il burro, lo zucchero, le uova, il sale e il latte preparate una sfoglia sottile da cui ricaverete dei dischetti di 10 cm. di diametro. Riempiteli con la farcia, chiudeteli a mezza luna e fate con la punta del coltello un'incisione tagliando la pasta. Infornate a fuoco moderato per circa 30 minuti; durante la cottura, le "nipitiddate" si apriranno facendo vedere il ripieno.
7. 'NSUDDI
Occorrono: 800 gr. di farina, 100 gr. di strutto, 150 gr. di margarina, 250 gr. di mandorle tostate, 2 uova intere e 2 tuorli, 7 gr. di ammoniaca per dolci, vaniglia, cannella in polvere, 70 gr. di acqua.
Frullate uova, zucchero, ammoniaca, strutto ed essenze fino ad ottenere un impasto omogeneo. Aggiungete l'acqua, le mandorle e, alla fine, la farina. Con l'impasto formate larghi biscotti ovali dello spessore di 1 cm. Metteteli in una teglia distanziati, spennellandoli di uovo e passateli in forno caldo, fino a quando saranno dorati.
8. PIGNULATA
Occorrono:1/2 kg. di farina bianca, 250 gr. di zucchero, 12 uova, sugna.
Mettete a fontana la farina e versate al centro versate al centro le uova (7 intere e 5 tuorli) e la sugna. Impastate e formate dei bastoncini della grossezza di un dito. Tagliateli a pezzi di circa 2 cm. e friggeteli in sugna calda. Preparate, intanto, la glassa al limone ed al cioccolato; immergete i bastoncini ad uno ad uno nella glassa e sistemateli su un piatto, a forma di "pigna", metà bianca e metà nera.
Glassa al limone: ad un albume a neve aggiungete 150 gr. di zucchero ed il succo di uno o due limoni. Sbattete fino a quando sarà diventato denso.
Glassa al cioccolato: grattugiate 50 gr. di cioccolato, unitelo a tre cucchiai di acqua e mettetelo in un tegame. Appena sarà sciolto, aggiungete 100 gr. di zucchero e portate ad ebollizione sempre mescolando. Togliete il tegame dal fuoco e mettetelo su acqua fredda non cessando di rimestare. Quando il composto diventerà opaco, sarà pronto per glassare.

9. RISU NIRU
Occorrono: 200 gr. di riso, 75 gr. di cioccolato fondente grattuggiato, 25 gr. di zucchero semolato, cannella e sale.
Fate cuocere regolarmente il riso in acqua salata; scolatelo e, ancora fumante, conditelo con il cioccolato fondente, mescolando per farlo sciogliere. Versatelo in un piatto da portata spruzzando con lo zucchero e la cannella. Servite freddo. Se si gradisce, si possono mettere canditi tritati.
10. SPINCI 'I RISU
Occorrono: 1 litro e mezzo di latte, 400 gr. di riso, 100 gr. di zucchero, vaniglia, 3 tuorli d'uovo, 8 cucchiai di farina, 4 uova intere, un po' di latte.
Fate bollire il latte, aggiungete il riso, lo zucchero e la vaniglia e fate cuocere a fuoco lento fino a quando tutto il latte sarà stato assorbito. Toglietelo dal fuoco, lasciatelo intiepidire e aggiungete 3 tuorli d'uovo. Preparate intanto una pastella con la farina, le uova e un po' di latte. Amalgamate bene, poi formate con il composto dei bastoncini che passerete nelle pastelle e friggerete. Cospargete infine di zucchero e servite sia caldi che freddi.
11. TORTA 'I NUCI
Occorrono: 150 gr. di noci sgusciate, 150 gr. di zucchero, 150 gr. di cioccolato fondente, 4 uova, odore di zucchero vanigliato.
Tritate finemente le noci e grattugiate la cioccolata, mettetele in una terrina con lo zucchero e l'odore di vaniglia e mescolate il tutto con i tuorli. Montate a neve le chiare e mescolatele al composto. Imburrate una teglia, cospargetela di pan grattato e versatevi il tutto. Cuocete in forno, a calore moderato, per circa 30 minuti.
12. TORTA 'I RISU
Occorrono: 200 gr. di riso, 150 gr. di zucchero, 50 gr. di canditi, 100 gr. di mandorle, 1 stecca di cannella, 5 uova, 1 limone, rhum, 1 litro di latte intero, uva passa(una manciata), 100 gr. di burro.
Immergete per un minuto le mandorle in acqua bollente, pelatele e tritatele. Tagliate a pezzettini la frutta candita mettetela in una tazza, unite l'uvetta e coprite di rhum. Ponete sul fuoco il latte con la cannella e la vaniglia; quando comincerà a bollire, togliete la cannella, versate il riso e lasciate cuocere a fuoco moderato, sempre mescolando. Quando il riso sarà giunto a cottura, togliete il recipiente dal fuoco, unite lo zucchero e amalgamatelo bene; versate in una terrina, fate raffreddare e incorporatevi un uovo sbattuto. Lavorate il burro fino a ridurlo in crema, unite il riso freddo, 4 tuorli, le mandorle, la frutta candita e l'uvetta scolata dal liquore e la scorza di limone grattugiata. Montate a neve gli albumi, aggiungeteli al composto di riso e amalgamate con dolcezza. Versate tutto nella tortiera e mettete in forno caldo per circa 40 minuti.

Antiche Ricette
di Cucina Siciliana
Ritrovate e trascritte da Arcangelo Franco
Ricette della S.ra Vincenza Collotti in Genchi
manoscritto al Finale al 1869 in Maggio
Le Ricette
Per voler fare una torta scorza
Prendi rotolo uno farina majorca, once quattro zuccaro, once quattro saime
e numero otto rossi d'ova. Bianco per ripieno: un quartuccio di latte, once
tre zuccaro, once una amido.
Biscotti
rotolo uno ed once tre lievito, once sei saime rotolo uno zuccaro. Tutto
s'impasta con poco cimino, essendo lievitati s'infornino nelle lande.
Pasta reale di Mistretta
rotolo uno mendola, rotolo uno zuccaro, si pesta ben fina e poi si replica a
pestare con lo zuccaio
Scorza
rotolo uno fior di majorca, duodeci rossi d'ova s'impasta (il forno che non
sia tanto caldo)
Savoiardi
rotolo uno zuccaro, dieci uova, rotolo uno majorca si battono bene e si
pongono nelle lande e s'infornino.
Tirroncini
rotolo uno zuccaro, rotolo uno antrita, once tre fior di majorca once due
sajme, mezz'oncia pistacchio, grana dieci cannella di tasto e garofani.
Taralli
rotolo uno zuccaro, 24 uova, farina majorca quanto basta quali si battono
riducendosi bianco, poi le si unisce la majorca, si prendono col cucchiaio e
si mettono nelle lande.
Amarena
rotolo uno amarena senz'ossa, rotolo uno zuccaro, numero tre bicchieri
d'acqua regolari, si fa lo gilebbe e si cuoce insieme indi poi si ritorna a
cuocere e si conserva nelle bornie. (così ancora si fanno le azzaruole e
prugni ma queste con l'ossa)
Crema di pere e poma
rotolo uno e once tre zuccaio, altre tante pere o pomi quale si spaccano e
mondano e si bollino sino che son cotti, si pestano e si passano a setaccio e
poi si gettano nel gileppo, e si accotturano sino che restringono a crema
Conserva di Cetro
rotolo uno zuccaro, ed once sette cetro quale grattato si monta a crema.
Conserva di Cocuzze fresche
Prendi delle cocuzze lunghe, si raschiano togliendovi la leggiera scorza, e
si bolliscono tagliandole per lunghe a grossi pezzi, indi le si toglie il seme,
si pestino poscia con un salvietto gli si leva il sugo smungendoli,
finalmente si prende oncie 5 di detta cocuzza ridotta nel modo sopradetto e
si mette in una casseruola con un quartuccio acqua e rotolo uno zuccaro,
indi si cuoce esaminando sempre la consistenza, poi si versa in un vasetto.
Detta di cocuzze salate
prendi la cocuzza, dovrai prima scaldarla ma non farci aprire il bollore,
dopo si dovrà cambiare l'acqua e si deve mettere di nuovo al fuoco
fintantochè cuoce, dopo deve cambiarsi nuovamente l'acqua e deve stare
ore 48 con cambiare spesso e la spremerai bene, peserai poi rotolo uno
zuccaro, oncie otto cocuzza, farai lo gileppo e lo farai cuocere, ci metterai
un cannolo cannella e lo verserai in un vasetto.
Conserva di Pomidoro
Per detta conserva deve usarsi la medesima preparazione togliendovi la
sfoglia ed il seme e smungendoli meno delle cocuzze con una differenza
che ogni rotolo di zuccaro vi si deve porre once otto pomidoro, l'istesso si
fa delle cotognate.
Pane di Spagna diverso
prendi numero 4 uova, oncia una amido oncia una zucchero
Taralli di Castelbuono
oncia una zuccaro, 3 uova e due rosso solo oncia una fior di majorca.
Taralle diverse
rotolo uno zuccaro, 12 uova once 5 amido (ma quest'ultimo dovrai metterlo
quando sono di medietà battute) quando sono vicino poi ad infornarli ci
metterai once 7 fior di majorca.
Per fare tirroncini di Mistretta
prendi delle mendole rotoli (sic) quale scalderai e monderai poi le farai un
poco abbrustolire, zuccaro.
Altra per biscotti
rotolo uno majorca (della quale ne levi onze due per farne levito) nel resto
si mette: due once sajme once due zucchero, un po' di moscato, poi si
scaldano e s'infornino nelle lande.
Per fare catrobisi da Spinola (sic)
once 5 di pasta bianca, once 4 di pieno: passoli e noci.
Cose bianche
ogni once nove di pasta once sei di pieno. Ripieno : nocille, mendorle
atturrati impastati con miele.
Biscotti simile alla messinese
rotolo uno farina majorca, once due meno una quarta sajme, once due
levito, once due zuccaro, poco cimino involgonsi nella giuggiulena ed
impastarsi prima d'impastarsi il pane.
Biscotti di pane
rotolo uno farina, olio quanto basta, cimino a gusto. Si fa a pane, tagliarsi
solamente per imbiscottarsi, poi si rompono con le mani e si infornino nelle
lande.
Pasta tenera pasticcera
farina once sette, sajme once tre, zuccaro once due per cannoli farina rotoli
uno, sajme once due, rossi d'ova 2, crema di latte cartuccio uno, zucchero
once tre, rossi d'ova 4, amido oncia una, cannella, cioccolatte e cocuzzata a
piacere.
Pasta reale diversa
rotolo uno mandorle, rotolo uno zuccaro, si scaldano e si spogliano indi si
pestano finissimi e poi si gettano nel giuleppe e si fa ridurre a pasta di pane
e poi si passa bene.
Pane di Spagna
una chiara d'ova, un'oncia alla sottile zucchero, si battono insieme, il torlo
lo batterai poco dopo, dovrai unirlo mettendovi un'oncia d'amido poi le
metterai in un cassettino di carta mettendolo nel forno a calor di pane.
Biscotti della Monaca Catalfamo
un rotolo farina majorca, due once e mezza zuccaro fino, due once meno
una quarta sajme, due once e mezza levito cimino quanto vuoi.
Per fare mostardi Monaca Catalfamo
ogni cartuccio di mezzo musto, metti oncia una ed una quarta di amido,
ogni 9 cartucci once 6 ed una quarta.
Mustazzoli di Napoli della Monica Catalfamo o "ossa di
morti"
dieci once farina, once 13 di mandorle turrefatte, once 14 zuccaro e si ha un
rotolo di mustazzoli: ve ne và once tre di giulebbe, cannella e garofani a
gusto.
Mostardi di Spinola
in ogni rotolo di amido quartucci 9 di mezzo mosto ed in ogni rotolo di fior
di majorca metterai quartucci 8 di mezzomosto e lo dovrai bollire.
Cassatine della monaca Guarnieri di Castelbuono
(lì 12 - Agosto - 1872)
pasta tenera per cassatine : fior di majorca rotolo uno, sajme once 6,
zuccaro once tre, rossi d'ova 4 Ripieno : mandorla antrita rotolo uno,sajme
once 6 zucchero rotolo uno, acqua due, tre coppini poi si compongono tutti
insieme e si cociono fino che fa la densità, fior di majorca rotoli 21, sajme
once dieci, zuccaro once sei.
Pane di Spagna da detta
zuccaro once 4, amido once 4, ova 10 si battono bene.
Per conservarsi li funghi e li carcioffoli
per otto giorni si mettono nella salamoia e poi le si cambia una seconda
volta la salamoia si fanno ancora sott'olio, si bolliscono prima con acqua e
sale e poi si fanno asciuttare all'ombra e si pongono in vaso coperto d'olio.
quest'ultimi si fanno ancora secchi al sole e poi asciutti si conservano.
Sfinci d'uova
Prendi quanto due bicchieri d'acqua bollente, del fior di majorca quale si
ramina bene, le si battono dell'ova quanto bastano, poi si prendono col
cucchiaio e si pongono a friggere in olio bollente.
Ravazzatine
dell' istessa maniera come le sopradette sfince, ma si aggiunge nell'acqua
un po' di sajme, e questa pasta fassi più dura, le si mettono poi degli
ingredienti cioè fellette caciocavallo, aromi, e si pongono col cocchiaio
nelle lande e si infornino.
Gattò di ricotta
rotolo uno ricotta, quale per due volte si crivella, zuccaro once 4, quale si
impasta bene con la detta ricotta, numero 4 uova, quale poi si situa in una
casseruola o forno di campagna e s' inforna.
Uova in cammicia
prendi l'uova e si fanno rotti all'acqua poi s'involgono con uovo battuto,
caciovallo e mollica di pane e si friggono.
Zuppa a la santè
prendi del latte, quale poi si cuoce con fior di majorca riminando sempre
per non appigliare, riducendosi dura indi le si battono tante uova che
bastano, e indurita si tagliano a pezzetti piccolissimi, si friggono e poi si
mettono nel brodo ben preparato.
Aranci e Limoni canditi
rotolo uno zuccaro, due bicchieri d'acqua, l'arancio prima si mette in acqua
fresca 24 ore, poi si scaldano e si gettano nel gileppo di mezza cottura e si
torna a cuocere di nuovo ai quattro giorni.
Riso ammantecato
latte quartuccio uno, riso oncia una cocuzzata once quattro, ova 4, si mette
latte e riso e si fà accotturare, quando poi il riso è quasi cotto si mette
medietà di zuccaro ma subito che si scende, e poi si torna a mettere poco
poco sul fuoco.
Sfoglie di Polizzi
fior di majorca rotolo uno, zuccaro once 4, sajme once 4, rossi d'ova
numero 4, ripieno: scaldato bene cotto rotoli due zuccaro rotolo uno,
cannella mezz'oncia, pistacchio e pignoli a piacere, cocuzzata once quattro,
bianchi d'ova battuti per mescolarsi con lo scaldato e zuccaro che sarà
triturato e passato al vaglio più volte.
Salsa nera detta scè
prendi cipolla, quale taglierai minutissima, che ingrancerai con olio;
metterai ancora delle capperi tagliate anche finissime con pochettino
d'acqua e un po' di 'stratto di pomidoro con zuccharo ed aceto, un pochino
di farina, si fa accotturare e si può mettere nelli carcioffoli, pesci, ova e
simili.
Salsa verde
pesti un poco petrosillo e scalora, due rossi d'ova bollite dure e un po' di
zuccaro e aceto il tutto si pesta e si passi a setaccio mettendosi ove si
richiede
Ammarinata di tonno
tagliate il tonno a pezzetti due o tre once questi si friggono in modo che
venissero più cotti dell'ordinario senza aspettare che si raffreddassero come
mano mano che si vanno friggendo s'impostino in vaso stagnato e quando
l'olio nel quale si esegue la frittura è divenuto un poco nero, caldo come si
trova, vi si versi sopra tante volta quanto sarà necessario cambiarla ;
preparato così il vaso si faccia bollire dell'aceto con delle foglie d'alloro, e
questo bollente di unità all'alloro vi si versi sopra in modo che la tonnina ne
restasse coperta; se l'olio che naturalmente monta non sarà sufficiente a
coprire bene la bocca del vaso, ve ne si verserà tanto quanto sarà
necessario. Dopo qualche giorno bisogna conoscere se lo assorbimento che
la tonnina avrà fatto dello aceto l'ha in parte messo allo scoverto, in tal caso
per non muffire si bollirà un altro poco di aceto, e vi si verserà, alcuni
usano mettere nel vaso un poco di scorza di portogalli.
Per far pasticci dolci
prendi rotolo uno farina, metterai once 4 sajme ed altro tante zuccaro, indi
si riduce a pasta, poi le porrai della conserva in ogni rotolo, di pesche,
prugni, zucche ed altre frutta, le metterai once 4 zuccaro ben fino che le
metterai sopra la pasta, coprendola con l'istessa pasta che taglierai tonde;
indi si pongono nelle lande, ed essendo il forno all'uscita del pane, ve li
porrai di sopra; poi le copri di zucchero e cannella.
Panzarotte
rotolo uno farina, oncia una sajme, mezz'oncia zucchero, due rossi d'ova, si
fa a pasta che a pezzetti si riempono di carne capoliata e si friggono
coprendoli poi di zuccaro finissimo.
Zuppa a bagno
mezzo cartuccio latte allentato con brodo, un po' preciutto, 8 ova (cinque
sane e tre bianchi montati), un po' sajme (unita col preciutto), mezz'oncia
fior di majorca (unita con la sajme).
Curchè di latte (per 6 persone)
mezzo cartuccio latte, mezz'oncia sajme, mezz'oncia fior di majorca
maneggiandola con sajme e detta majorca (se di cammaro come sopra la
zuppa al bagno, se scammaro con latte, sajme e cacio cavallo), ova dure si
fa tutto insieme e un po' cacio grattato.
Salsa san Bernardo
once 4 mendola atturrata, fette pane atturrato, un po' di olive bianche, ovi
tonno, aliccie, amenta, e si pestano bene, si passa a setaccio poi si mette
nella casseruola dello zucchero con po' aceto, mezza libbra cioccolatte e si
mette nei carcioffoli, pesce ben combinato con giro di fetti di limoni.
Salsa Mainese bianca per pesce
gialli d'ova 3, si mettono nella casseruola un po' di sale e si montano, poi
mezzo rotolo olio a poco a poco ogni istante delle gocce di limone, si
mettono 4 alicce, si squagliano, si passano a setaccio di pelo, poi si mescola
tutto, indi si mette un po' d'aceto
Salsa bianca di pignoli
pestate dei pignoli assai fini con zuccaro ed una mollica pane inzuppata
nell'aceto, passate poi a setaccio e stemprate con aceto e sugo limone a
sufficienza, vi metterete un odore o cannella o altro, vi si può mettere pure
un'alicia salata.
Salsa dolce al sugo di frutti
del sugo di ......, di cerasi, o fragoli ed unitelo ad un poco di vino buono,
zucchero, fate stringere la polpa al suo punto, dentro questa salsa potrete
mettere quell'odore che vi piace.
Salsa dolce alla napoletana
pestate delle scorzette sciroppate di limoni, di cedri o aranci ed altro,
stemperatele con un poco di aceto e mettete detta polpa nella salsiera.
Altra salsa verde
pestate del petrosemolo con uno spicchio d'aglio, zuccaro ed una mollica di
pane inzuppata nello aceto, passate per setaccio e stemperate con altro
aceto, ché sia di giusta consistenza,(alcuni imbianchiscono il petrosemolo
nell'acqua bollente e poscia lo pestano); si può ancora in questa salsa unire
un poco di cerfoglio e dragoncello o rughetta.
Gelè di mellone della signora M. A. Genchi
si prende un quartuccio succo di mellone, si metterà oncie 4 zuccaro, once
una amido, cannella a capriccio. Si potrà mettere, se si vuole essenza
gelsomino e vaniglia. Si mette a fuoco mescolando e quando dà segni di
ebollizione si scende e si mette nelle forme dopo essere state bagnate
mettendo poscia della cioccolata e zuccata.
Semolata fredda (salsa)
stemperate tre rossi d'uova duri con olio, due alicce, un buon pizzico di
erbe fine (cioè cipollette, aglio, scalogna, petrosello, cerfoglio,
dragoncella,basilico, crescione, pimpinella, e ruchetta) - stemperate con
aceto, sugo di limone e condite con sale e pepe pesto, al momento di
servirsi battetelo bene a ciò venga densa e versatela sopra dove vorrete,
servitela dentro una salsiera.
Salsa alla cittadina per insalate
pestate sei aliccie con una punta d'aglio, basilicò, petrosemolo, ed una
mollica di pane inzuppata nell'aceto, passate il tutto per setaccio e
stemperate la salsa con olio e aceto e servitela per la cicoria ed altri insalati.
Salsa di pistacchi alla Siciliana
pestate tre once pistacchi, indi stemperateli con olio e aceto conditi con
pepe e sale, e passate il tutto per setaccio, osservando che la salsa
giustamente densa, allorché pestate i pistacchi vi potete unire qualche erba
di odore ed ancora potete mettere metà pistacchi e pignoli.
Dei frutti maturi sciroppati
qualunque frutta che vogliasi sciroppare conviene scegliere non tanti
maturi,altrimenti nel cuocerli si rompe, le pere, le mele, i cotogni, le pruna,
l'azzalore,le persiche, le albicocca e simili si alessano giustamente
nell'acqua e poi si sciroppano con lo istesso metodo degli agrumi sopra
descritti, (non occorrendo più tenerli nell'acqua e sale come quelli), tanto
che prima di cuocerli, dopo cotti, darle un breve riscaldamento nell'acqua
bollente e poi versarle lo giulebbe ben stretto, ancora il moscatello zibibbo,
pruni, albicocchi, le ciriegge, fragole, amarena e altri simili frutta sugosi
avvertendosi di cuocersi ogni giorno finché i frutti sono bene inzuppati di
sciroppo e coprirsi quando sono raffreddati nelle bornie.
Salsa fredda a la ravigotta
imbianchite delle foglie di ruchetta, petrosemolo, crescione, pimpinella,
cerfoglio, indi tritate assieme con una scalogna una punta d'aglio ed una
alicce, uniteci dell'oglio, sugo di limone, sale e pepe pesto, sbattete bene il
tutto ché la salsa venga densa e quindi servitela dentro una salsiera; (alcuni
tritano ancora con l'erbe suddette dei capperi e cedrioletti in aceto).
Crema all'inglese
stemprate quattro o cinque uova con un cucchiaio di farina, zuccaro a
sufficienza, sedici once di latte, un pezzetto di butirro fresco, o sajme dura
(l'odore che volete), qualche spuma di mendola amara, ancora pistacchi
conditi in filette versati nel piatto, fate cuocere con fuoco sotto e sopra e
servitela fredda e glassata con zuccaro.
Dei composti in aceto
dei faggioli verdi i quali mondati e teneri lavate nell'acqua calda e sale,
scolateli e poneteli nei barattoli, copriteli con concia fatta con 64 once di
aceto bollito con due once sale, l'aceto dentro questi si mette allorché
raffredda. dei funghi, i piccoli si conservano sani, gli altri si tagliano a
pezzi, dopo averli mondati e lavati, si mettono nell'aceto condito con sale,
droghe ed erbe aromatici, conservandoli ben coperti; invece però di metterli
crudi è meglio passarli un istante nell'acqua bollente e dopo scolate e
raffreddate si coprono d'aceto; le carcioffoli come i faggioletti, li asparagi
anche senza passarle nell'acqua calda, capperi, moscadello ed uva diversa a
piccoli grappoli
Fare cocuzza vermicellara
prendi della cocuzza che si fa' bollire finché cotta, si annetta del seme
riducendosi a vermicelli, si prende ogni rotolo cocuzza, rotolo uno zuccaro
con un bicchiere grande d'acqua, si fa poi lo gilebbe e si cuoce, quando è
ristretta si versa in vasetti. Si fa la pasta, questa stessa per far pasticci dolci.
Degli agrumi in sciroppo
cedri, limoni, aranci, lumia ed altro in genere agrumi, tanto intieri che
tagliati a fette si pongono in zucchero nel seguente modo: mettete gli
agrumi dentro un recipiente con un poco di acqua e sale che restino ben
coperti da quattro in cinque giorni, levateli dalla salamoia e fateli stare per
altri cinque o sei giorni nella acqua fresca, cambiandola due o tre volte al
giorno, quindi fatele cuocere con acqua ed un pezzetto di allume di rocca
(il quale maggiormente schiarisce); osservate però di non farli passare di
cottura, mentre basta che uno stecco vi penetri facilmente ché allora sarà
giusta, levateli dal fuoco e mettetele nell'acqua fresca levandogli con
diligenza tutta la midolla cellulare e fateli stare nell'acqua altri due giorni,
indi fateli bene sgocciolare l'acqua ed accomodateli dentro un vasetto o
bornia stagnata. Abiate dello zuccaro ed a cottura di stretta liga osservatelo
che sia tiepido, il quale lo verserete sopra gli agrumi e farete che restino
ben coperti dello zucchero, ogni due o tre giorni poi scolerete lo zuccaro
dagli agrumi e lo farete bollire schiumandolo bene e quando sarà a stretta
liga, lo verserete di nuovo sopra, ma raffreddato; replicherete l'operazione
suddetta per otto o dieci giorni fin tanto che vedrete gli agrumi ben chiari
ed impregnati bastantemente di zuccaro; a primo filo lento e tenero
mettetelo sopra gli agrumi sciroppati, osservando che restino coperti di
zuccaro e conservateli in luogo fresco. gli albicocchi, persichi, pruna,
azzaruoli, peri ed altro, si scaldano impoterelli (sic) ma senza sale e poi
come gli agrumi si cuoprono di sciroppo.
Inchiostro Tolù
brù di Prussia oncie una, acido ossalico oncie una gomma arabica una
quarto d'oncia, tutti macerati insieme; si mette dell'acqua per sciogliersi.
Modo di fare Rosolio
( si prende dello spirito rettificato) Rosolio mandorla amara spirito bocali
tre ogni bocale e 16 once, acqua bocali uno e mezzo, mandorle amare
libbre due.
R. di Amenta
spirito bocali 4 acqua bocali uno e mezzo, menta romana manipoli 12.
R. di Rose
spirito bocali 4,acqua bocali 2 foglie di rose (levati i calici e gli stami)
libbre 6 fior d'arancio libbre 4 o cinque.
R. di Vaniglia
spirito fogliette 4 ogni foglietta e 16 oncia, vaniglia oncia una (e se
migliore, si aumenta).
R. di Cannella
spirito bocali tre, acqua bocali uno e mezzo, cannella fina once otto.
R. di Garofani
spirito bocali 4, acqua bocale due garofani once sei.
Rosolii di agrumi diversi
si fanno tutti sia per filtrazione che per infusione, si mettono in infusione
nello spirito le scorze di agrumi o foglie o altro come sta, poi si passa a
setaccio e si pone lo zuccaro a quella quantità che basta.
Crema di latte
spirito bocali tre, acqua bocale uno e mezzo caffè abbruscato e macinato
libbre due
Conservazione dell'uva
si sceglie un barile nuovo ben cerchiato che si apra da una parte, per
collocarsi alternativamente strati di crusca di solo frumento ben seccato nel
forno, ed i grappoli che si scelgono a pani serrati, si ha cura che l'uva non
tocchi in nessun luogo il barile che si chiuda in seguito ermeticamente e si
colloca in luogo in cui la temperatura sia dolce ed equabile - l'uva in tal
modo si conserva poi di sei mesi in buonissimo stato.
Conservare fresche gelsa
siano tenute sott'acqua, nella quale deve essere spenta un po' di calcina viva
- l'acqua la si dovrà sempre ricoprire almeno di un pollice - si conservano
certamente fresche anche per sei mesi.
Vino di persiche
ammaccate trenta libbre di persiche mature e poneteli dentro un vaso adatto
con tre libbre di zuccaro, una noce moscata, due foglietti di spirito ed un
bocale di acqua; allorché sarà terminata la fermentazione, dopo 10 giorni o
15 gg, tira il vino in chiaro ed aggiungeteci tre altri foglietti di spirito di
vino e sei libbre di zuccaro, lasciate così per altri 20 giorni indi filtratelo e
conservatelo in bottiglie aggiungendogli le loro mandorle ammaccate: verrà
migliore.
Vino di cotogne
prendete 20 belli cotogni maturi tagliati in fetti fini indi poneteli dentro 12
foglietti di buon vino, uniteci una foglietta di spirito di vino, due libbre di
zuccaro e mezz'oncia di cannella; l'istesso dopo un mese filtratelo e
conservatelo.
Vino di Maliga artefatto
zibibbo libbre 13, fior di persico once 4, vino bianco generoso fogliette 40,
mettete il tutto dentro un vaso, lasciatelo bene coperto per lo spazio di 5 o 6
mesi, quindi tiratelo in chiaro ed imbottigliatelo.
Vino moscato artefatto
zibibbo libbre 20, fior di sambuco una libbra, erba esclarea once 6, vino
dolce bianco foglietti 64 prendete l'istesso metodo del vino Maliga; (se non
avete l'erba esclarea potete farlo con una libbra e mezzo di fior di
sambuco).
Vino di fravole
ammaccate bene due libbre di fravole e poneteli in infusione dentro 4
bocali di buon vino, una libbra di zuccaro ed un mezzo foglietto di spirito
di vino; dopo dieci ore si filtra e si conserva.
Modo di conservare il latte
in ogni libbra di latte si pone un'oncia e mezza al più di rafano o ravanelle
tagliate in rotelle, e anche disseccate e polverizzate. il latte si mantiene
fresco senza che inacidisca per varii giorni né acquista alcun sapore,
nemmeno quello del ravanello.
Rosolii di favole
spirito bocali tre, acqua bocale uno e mezzo, seme di anipella ammaccata
once 4, cannella once due, zuccaro quanto basta.
Per far crescere i capelli
sugo di ortica due once, olio di mandorle amare once due si unisce bene il
tutto e se ne unge la parte calva ed i capelli ancora vogliono che il seme di
angelica unito nello olio o ad una pomata, faccia l'istesso effetto
Pomata per levare le rughe nel volto
unite il sugo di otto limoni con sei bianchi d'uova ed unirete ad once sei di
pappa di .... preparato e ad once sei di majele squagliato e tiepido; poneteci
l'odore che volete e poi batteteli il tutto per mezz'ora, fino che la pomata
sarà divenuta molto bianca: allora ponetela nel vasetto e conservatela
otturata con carta doppia, imbevuta nello spirito rettificato. Alcuni si
servono del solo bianco d'uovo battuto, altri uniti ai limoni e se ne ha
ottimo risultato.
Spirito di sapone per la barba
squagliate una libbra di sapone bianco a fuoco lento con mezzo bicchiere
d'acqua ed un' oncia di sale di tartaro, quando sarà raffreddata si unisca una
libbra di spirito asciutto, poi si filtra il tutto per carta e per cottone e si
conserva nelle bottigliette bene otturati. Questo spirito si può aromatizzare
con quale odore piacevole. Per adoperarlo basta mettere un poco nell'acqua
e sbatterlo chè formerà la schiuma.
Acqua d'Armida odorosa
spiriti doppi di rosa e fior d'arancio una foglietta di ciascuno, di gelsomini
una foglietta, di vaniglia mezza foglietta, di tubarosa, giunchiglio, di gigli,
viola, cadrato, portogallo e di garofani, mezza foglietta per qualità: unite
tutto insieme e si conserva. Anche il medesimo si fa tutto in infusione per
10 giorni.

Moderne equivalenze
Pesi e misure
La libbra romana è di 12 once
L'oncia è di otto dramme
La dramma è di tre scropoli
Lo scropolo o sia il denaro è di 24 grani
Un grano è il peso di un granello d'orzo
Una foglietta è 16 oncie
Un bocale è 4 fogliette e sono 64 oncie
Il manipolo è quanto si può prendere entro il pugno di una mano
Puzzillo è ciò che si può prendere con due o tre dita
La goccia acqua comune è ben nota
Moderne Equivalenze
Rotolo = Kg. 0,793.420 (circa 800 grammi alla grossa)
Libbra = gr. 317,368.000
Oncia = gr. 26
Boccale (o Caraffa) = 4,30 decilitri
Bicchiere = 2,5 decilitri
Quartuccio = 8,60 decilitri
tratte dalla pubblicazione “Tavole prontuarie della reciproca riduzione di
misure pesi e monete del Sistema Metrico Decimale e del Sistema Metrico
legale Antico di Sicilia ai termini della Legge del 29 Luglio 1861 e del
programma del Signor Ministro di Agricoltura Industria e Commercio
del 14 Agosto 1861 redatte da Angelo Agnello Antico Assistente Piazzi nel
R. Osservatorio di Palermo”
terza edizione officiale - edita in Palermo dall’Officio Tipografico di
Camillo Tamburello nel 1875
Cronache Familiari
Intorno al 1878, Eleonora Gulioso (nata nel 1858), la penultima delle
cinque figlie di Don Antonio Gulioso (1814 - 1874), presidente del
Comitato Civico di Tusa al tempo della spedizione di Garibaldi, sposa il
Cavalier Salvatore Genchi-Collotti (nato il 28/3/1855), ricco possidente di
Cefalù. La madre dello sposo, Vincenza Collotti maritata Genchi, fa dono
alla giovane nuora del quaderno di ricette di cui è autrice e che ha redatto
nella sua casa di campagna, durante la villeggiatura estiva al Finale di
Pollina nel Maggio del 1869. Vincenza Collotti muore in Cefalù il 21
Novembre 1888. Dal matrimonio tra Salvatore ed Eleonora non nascono
figli e i coniugi lasciano tutti i loro averi all'Ospizio di mendicità di Cefalù
come ricordato nella lapide posta sulla facciata della cappella gentilizia nel
cimitero di Cefalù dal Comitato dell'Ente Comunale di Assistenza il 30
Aprile 1949. Il cav. Salvatore Genchi-Collotti, "vero padre dei poveri",
muore il 30 Aprile 1934, Eleonora Gulioso gli sopravvive fino al 1°
Gennaio 1940. Il quaderno di ricette finisce tra le carte dell'archivio di
famiglia dell'avvocato Antonio Gulioso jr. (1882-1956), nipote di Eleonora
e mio nonno materno, dove fino agli ultimi anni '50 veniva ancora
consultato per verificare la corrispondenza in grammi della misura araba
del rotolo o per ricette particolari come quella del Gelo di Mellone o dello
Sciroppo di Amarene. Scrive Beniamino Joppolo di quanti tesori "calino
nelle tombe dei siciliani" e scompaiano per sempre con essi. L'intento di
riportare alla luce qualche grano di queste risorse sepolte rappresenta lo
scopo di questa pubblicazione.

LINK UTILI
http://www.sicilyweb.com/gastronomia/index.htm
http://www.agendaonline.it/gastronomia/sicilia.htm
http://www.fotoartearchitettura.it/gastronomia/
http://sicilia.indettaglio.it/ita/gastronomia/gastronomia.html
http://www.moldrek.com/sicilia.htm
http://www.prodottitipicisicilia.it/it/gastronomia.html
http://www.press.sicilia.it/lista-news-sicilia.cfm?idcat=12
http://www.labellasicilia.it/gastronomia.asp
http://www.prodotti-tipici-siciliani.it/prodotti_tipici_messina.cfm
http://www.palermoweb.com/panormus/gastronomia/
http://www.trinacria-accommodation.com/itinerari-turistici-sicilia/eno-gastronomia.html
http://www.notizieflash.com/ArteeCultura/gastronomia-tipica-sciliana-sul-web-1/
http://www.dolciesalati.eu/index.php?option=com_content&view=article&id=59&Itemid=26
http://www.siciliaclic.com/sicilianetwork.old/pgs/intro.html
http://www.catanianetwork.it/turismo/gastron.htm
http://www.prodotti-tipici-siciliani.it/gastronomia.cfm
http://www.fotoartearchitettura.it/carnevale/gastronomia-tipica-del-carnevale.html
http://www.justsicilia.it/2-gastronomia
http://www.sicilyweb.com/gastronomia/natale.htm
http://www.pippone.it/TRIN/arancine.htm
http://www.accommodationsicily.it/gola-dolci-siciliani.php
http://www.etna.tv/gastronomia/gastronomia.htm
http://www.agricamping.it/cucina_tipica_siciliana.htm
http://www.torrese.it/Gastronomia.htm

A CURA DI SEBASTIANO LO IACONO PER MISTRETTANEWS ©SLI2010

Fonte: http://www.mistretta.eu/Testi%203/Gastronomia%20a%20Mistretta.doc

Sito web da visitare: http://www.mistretta.eu/

Autore del testo: indicati nel documento di origine

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