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Riassunto libro Perlingeri

Famiglia e rapporti parentali
Parentela e affinità. La parentela, invece, costituisce un vincolo di discendenza da uno stesso capostipite; può essere in linea retta, quando le persone discendono una dall’altra (es: padre-figlio), o in linea collaterale, quando non discendono l’una dall’altra pur avendo un capostipite comune (es: fratelli, zio-nipote).
La parentela si misura in gradi e non è rilevante oltre il 6° grado: il grado si calcola contando le persone fino allo stipite comune, senza contare il capostipite (es: fratello, padre, fratello).
fratelli sono bilaterali (o germani) se discendono dagli stessi genitori, unilaterali se hanno lo stesso padre (consanguinei) o la stessa madre (uterini); i fratelli germani hanno un trattamento differente in materia di successione e alimenti rispetto ai fratelli unilaterali.
L’affinitàeffetto legale del matrimonio, designa il rapporto tra un coniuge e i parenti dell’altro (suocero-nuora); l’affinità non si estende però al rapporto tra affini (es: le mogli di due fratelli non sono cognate fra loro, ma solo l’una del marito dell’altra).
L’affinità si estingue per annullamento del matrimonio e non per il suo scioglimento dovuto alla morte del coniuge dal quale derivi l’affinità, salvo diversa previsione.

Solidarietà familiare: mantenimento e alimenti. Il mantenimento è un obbligo di assistenza economica in favore del coniuge separato a cui non sia addebitata la separazione e che sia sprovvisto di adeguati redditi propri; al mantenimento ha diritto anche il figlio non riconoscibile.
Il mantenimento prescinde dallo stato di bisogno e comprende ciò che è necessario ad assicurare a chi ne è titolare il medesimo tenore di vita della famiglia della quale è parte.
presupposti sono che il coniuge mantenuto sia incapace di provvedere alle più elementari necessità per una vita dignitosa e la misura è proporzionale alle condizioni economiche dell’alimentante: infatti egli deve adempiere o mantenendo l’alimentando nella propria abitazione, o con un assegno periodico anticipato, salvo diversa disposizione del giudice.
L’assegno, una volta corrisposto, non può essere nuovamente richiesto e nulla è dovuto per il periodo anteriore alla richiesta formale di mantenimento, in quanto è dovuto dal giorno della domanda giudiziale; la misura del mantenimento è comunque soggetta a modifiche da parte del giudice. L’obbligo cessa con la morte dell’obbligato.
L’obbligazione degli alimenti sopra affrontata è legale, ma può essere costituita anche per contratto (rendita vitalizia), o per disposizione testamentaria (legato di alimenti).

Famiglia di fatto. La famiglia di fatto convivenza more uxorio è un’unione stabile tra uomo e donna, anche in assenza di matrimonio.
L’ordinamento ha dei problemi nel definire la famiglia di fatto, perché la Costituzione riconosce come famiglia naturale solo quella fondata sul matrimonio e che abbia un rapporto di filiazione naturale.
Quindi la famiglia di fatto non deve essere equiparata al rapporto coniugale che è vincolato dai valori dell’ordinamento, perché la famiglia di fatto è vincolata dall’arbitrio delle persone non escludendo, però, l’applicazione dei principi inderogabili dell’ordinamento.
Per l’ordinamento la convivenza more uxorio è idonea a svolgere le stesse funzioni di cura e allevamento della prole prestate dalla famiglia legittima.

Nozione di matrimonio e sistema matrimoniale italiano. Con il matrimonio s’indica non solo l’atto posto a fondamento della famiglia, ma anche il rapporto ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi.
Il matrimonio come atto giuridico può essere regolato dal diritto civile ovvero dal diritto canonico: infatti nel nostro ordinamento il sistema introdotto dal Concordato del 1929 tra Stato e Chiesa consente ai cittadini di scegliere tra:
-
il matrimonio civile, celebrato davanti all’Ufficiale di stato civile;  
-
il matrimonio concordatario (o canonico), celebrato davanti al Ministro del culto cattolico, secondo la disciplina del diritto canonico e regolarmente trascritto nel registro dello stato civile.
Il matrimonio come rapporto, invece, è regolato unicamente dal diritto civile: una volta scelta liberamente la forma di celebrazione, la società coniugale (il m. come rapporto) rimane disciplinata esclusivamente dalle leggi civili. La disciplina del rapporto matrimoniale è, cioè, unica.

Il matrimonio come atto di autonomia e la libertà matrimoniale. Il matrimonio è attopersonalissimo, infatti, non è consentito ai nubendi la libertà di farsi sostituire.
Il matrimonio è un atto tipico e legittimo, in quanto non si possono apporre termini o condizioni; le parti non possono modificare lo schema legale in virtù dell’inderogabilità degli effetti espressamente sancita.

Promessa di matrimonio. La libertà matrimoniale si manifesta espressamente nella non vincolatività della promessa di matrimonio, che non obbliga a contrarre matrimonio, anche in caso di non adempimento.
La rottura della promessa si può fare entro un anno dal giorno del rifiuto di celebrare il matrimonio, o dal giorno della morte di uno dei promettenti: in tutti e due i casi si ha l’obbligo di restituire i doni, escluse le donazioni obnuziali e per affetto e amicizia.
Se la rottura è ingiustificata, l’autore è tenuto a risarcire i danni per le spese fatte e le obbligazioni contratte a causa della promessa, tenendo conto delle condizioni economiche delle parti.

Matrimonio civile: requisiti e impedimenti alla celebrazione. Il matrimonio è impeditonei casi di:

minore età: la regola non è assoluta, perché il tribunale, sentiti il p.m., i genitori ed il tutore, può autorizzare il matrimonio in presenza di chiari motivi;

infermità di mente, per cui l’interdetto giudiziale non può contrarre matrimonio;

mancanza della libertà di stato: la libertà di stato può anche derivare da morte del coniuge, da nullità e scioglimento del matrimonio.
Questi impedimenti, se non osservati, producono o invalidità del matrimonio(impedimenti – dirimenti), o una sanzione pecuniaria (impedimenti – impedienti).
In presenza dei dirimenti il matrimonio è invalido. I casi sono: esistenza di vincoli di parentelaaffinitàadozione e affiliazione, salvo dispense del tribunale; altra causa d’impedimento che non prevede dispensa è l’impedimentum criminis, per cui è vietato il matrimonio tra chi è stato condannato per omicidio, tentato o consumato ed il coniuge della persona offesa dal delitto.
Nel gruppo degli impedienti rientra il divieto temporaneo di nuove nozze e la sua violazione dà luogo soltanto ad una sanzione pecuniaria.

Formalità preliminari: pubblicazioni e opposizioni. Il matrimonio celebrato senza che sia stato preceduto dalle prescritte pubblicazioni è comunque valido.
L’omissione comporta sanzioni pecuniarie, salvo nei casi di esonero concesso dal Tribunale per motivi gravissimi o di matrimonio celebrato in imminente pericolo di vita.
La pubblicazione su richiesta delle parti è curata dall’ufficiale di stato civile e contiene le generalità degli sposi, la data e il luogo della celebrazione; essa rimane affissa sulla porta della casa comunale per 8 gg. comprendenti 2 domeniche successive.
La pubblicazione è un onere non solo per il matrimonio concordatario, ma anche per quello degli acattolici: la sua funzione è di portare a conoscenza di tutti (pubblicità notizia) l’intenzione dei nubendi di contrarre matrimonio, affinché chiunque vi abbia interesse possa fare opposizione ove sussistano impedimenti.
L’ufficiale giudiziario può rifiutarsi di procedere alla pubblicazione nel caso venga a conoscenza di un impedimento e tale opposizione sospende la celebrazione del matrimonio fino alla sentenza del giudice.
Celebrazione e formazione dell’atto di stato civile. La celebrazione del matrimonio è ordinata in una sequenza cronologica di atti; nel giorno fissato dalle parti, l’ufficiale di stato civile, in presenza di 2 testimoni, compie le seguenti azioni:
1.
legge agli sposi gli articoli 143-144-147 del codice civile;
2.
riceve da ciascuna delle parti personalmente il consenso;
3.
dichiara che le parti sono unite in matrimonio.
Il matrimonio è valido anche quando uno dei nubendi, nella dichiarazione del matrimonio, abbia assunto falso nome, in quanto non si considera rilevante l’eventuale inganno nei riguardi dell’ufficiale di stato civile; è valido anche se il matrimonio è celebrato davanti ad un pubblico ufficiale apparente, purché vi sia un effettivo esercizio pubblico delle funzioni e almeno uno degli sposi sia in buona fede.
Subito dopo la celebrazione deve seguire l’atto dello stato civile che costituisce laprova documentale dell’avvenuto matrimonio e su cui è annotata anche un’eventuale separazione dei beni; esso è iscritto nei registri dello stato civile ed ha valore probatorio, in quanto nessuno potrebbe reclamare di essere coniuge se non presenta tale atto.
È ammessa la celebrazione per procura se uno degli sposi risiede all’estero, in tempo di guerra, per i militari; il procurator non è rappresentante del nubendo, ma è solo un nuncius, cioè semplice portavoce di questi.

Matrimonio concordatario canonico ad efficacia civile. Il matrimonio concordatario ha gli stessi effetti del matrimonio civile; affinché al matrimonio concordatario siano riconosciuti gli effetti civili è prevista una serie di adempimenti:

le pubblicazioni sulla porta della casa comunale, dove l’ufficiale di stato civile, in mancanza di impedimenti, rilascia un certificato che garantisce alle parti la certezza sulla trascrizione del matrimonio; è prevista la lettura degli articoli del codice;

la redazione dell’atto di matrimonio in doppio originale da parte del parroco; nell’atto è compresa anche la scelta del regime patrimoniale di separazione;

richiesta scritta di trascrizione, da inoltrare entro 5 gg. dalla celebrazione del matrimonio, da parte del parroco all’ufficiale di stato civile che effettuerà la trascrizione dell’atto di matrimonio nei registri dello stato civile entro 24 ore. È prevista anche la trascrizione tardiva che è richiesta non dal parroco, ma dai coniugi o da uno solo, se l’altro ne è a conoscenza e non si oppone. È necessario però che i coniugi abbiano mantenuto la loro libertà di stato ininterrottamente fino al momento della richiesta di trascrizione.
Le cause d’impedimento della trascrizione sono:
-
quando le parti non rispondono ai requisiti di età;
-
uno dei contraenti è interdetto per infermità di mente;
-
tra gli sposi sussiste un altro matrimonio valido agli effetti civili;
-
impedimenti derivanti ad delitto o da affinità in linea retta.
La trascrizione è ammessa quando, secondo la legge civile, l’azione di nullità o di annullabilità non potrebbe essere più proposta.

 

Matrimonio degli acattolici. Anche ai cittadini non cattolici è ammesso celebrare, dinanzi ai ministri dei culti ammessi nello Stato, il matrimonio che rispetti le tradizioni e produca gli effetti civili. Affinché il matrimonio sia valido occorre che il ministro del culto sia nominato e approvato dall’autorità governativa: ciò non basta, perché anche questo ministro del culto è tenuto a leggere gli articoli del codice, redigere l’atto di matrimonio, trasmetterlo entro 5 gg. all’ufficiale di stato civile che lo trascriverà entro 24 ore; nel caso non ci sia l’approvazione dell’autorità governativa, il matrimonio celebrato è nullo.
Ci sono anche rappresentanti di alcune professioni religiose che hanno stipulatointese con lo Stato italiano, tradotte in leggi speciali.

Invalidità del matrimonio. La nullità non impedisce la validità del matrimonio, salvo la possibilità di una pronunzia giudiziale; inoltre non c’è la rilevabilità d’ufficio. La dottrina classifica nullo:

il matrimonio contratto senza lo stato libero ed il matrimonio contratto dal coniuge del presunto morto, qualora si accerti che esso sia vivo;

il matrimonio contratto in presenza d’impedimenti per i quali non è concessa dispensa (parentela, affinità, adozione e affiliazione);

il matrimonio contratto in violazione dell’impedimento da omicidio tentato o consumato.
La dottrina differenzia l’invalidità dall’inesistenza. Le cause dell’inesistenza sono:

quando vi è l’identità di sesso, la mancanza di celebrazione, la mancanza assoluta del consenso.
Ipotesi di annullabilità sono:
-
violazione dei limiti di età minima prevista dalla legge;
-
interdizione;
-
incapacità di intendere e di volere.

Disciplina dell’impugnazione. La legittimazione attiva all’impugnazione del matrimonio è dei coniugi, degli ascendenti prossimi, del p.m. e di ogni altro soggetto che abbia un interesse legittimo per impugnarlo. L’impugnazione è:

imprescrittibile nei casi di violazione dei principi fondamentali,che rende inidoneo il matrimonio a realizzare la sua funzione;

prescrittibile dopo 10 anni per vizi del consenso.
L’azione di impugnazione è sottoposta a decadenza con termine di 1 anno dalla celebrazione del matrimonio contratto senza autorizzazione o dal raggiungimento della maggiore età.
La decadenza dipende dal concorso di due circostanze:
1.
il venir meno della causa di invalidità (es: recupero delle facoltà mentali per l’incapace);
2.
la coabitazione per almeno 1 anno quale forma di convalida tacita.

Effetti della sentenza d’invalidità: il matrimonio putativo. Il matrimonio putativo è il matrimonio che i coniugi reputano valido anche se non è tale.
Quando si verificano o sussistono alcune circostanze come la buona fede di entrambi i coniugi, la presenza di figli, o la buona fede unilaterale, il legislatore può qualificare giuridicamente valido il matrimonio, che però sarebbe invalido, perché l’atto su cui si basa è invalido.
Tale matrimonio è il c.d. matrimonio putativo.
Gli effetti della sentenza di nullità sono irretroattivi. Il matrimonio putativo, fino alla sentenza che produce nullità, produce gli stessi effetti del matrimonio valido.

Principio di eguaglianza dei coniugi e diritti e doveri reciproci. L’uguaglianza dei coniugi si identifica anche nell’attuazione di una serie di obblighi inderogabili reciproci:

fedeltà: impone ai coniugi di astenersi da relazioni sentimentali e rapporti sessuali con persone diverse dal coniuge; l’infrazione di questo obbligo non produce più rilevanza penale, ma può rilevare solo come elemento di imputazione della responsabilità per la separazione ad uno dei coniugi;

assistenza reciproca: è l’aiuto morale e materiale che ciascun coniuge deve prestare per il soddisfacimento dei bisogni affettivi ed economici dell’altro. L’assistenza comunque è sospesa nei confronti del coniuge che si allontana senza giusta causa dalla residenza familiare rifiutando di ritornarvi;

coabitazione: non è solo il dovere di vivere sotto lo stesso tetto, ma è anche il dovere di attuare la convivenza tra moglie e marito. Quest’obbligo viene meno per giusta causa, cioè per separazione, annullamento o divorzio;

collaborazione: entrambi i coniugi devono soddisfare le esigenze reciproche e quelle dei figli ed hanno il dovere-potere di mantenere, educare e istruire i figli. La collaborazione è anche economica dove i coniugi in relazione alle proprie sostanze e capacità di lavoro professionale o casalingo devono collaborare. Alla collaborazione partecipano tutti i membri della famiglia.
Cognome e cittadinanza dei coniugi. Con il matrimonio la moglie aggiunge al proprio, il cognome del marito: quest’ultimo conserva il suo cognome e lo trasmette ai figli.
Il cittadino italiano, uomo o donna, che sposa uno straniero mantiene la sua cittadinanza italiana; il matrimonio per il coniuge straniero costituisce il presupposto per l’acquisto della cittadinanza italiana. È necessario però che abbia la residenza per almeno 6 mesi o che siano trascorsi 3 anni dalla celebrazione del matrimonio; l’acquisto non è automatico, avvenendo su istanza con decreto al Ministero dell’Interno.

Regola dell’accordo nelle decisioni familiari e intervento del giudice. La scelta sull’indirizzo della vita familiare è rimessa all’autonomia dei coniugi ed è fatta con la fissazione della residenza.
Per l’attuazione degli accordi c’è bisogno della cooperazione di entrambi i coniugi.
Il disaccordo paralizza la famiglia e la rende vulnerabile; qualora il disaccordo non si supera, si può chiedere anche disgiuntamente l’intervento del giudice il quale, ascoltate le parti e, a volte, anche i figli sedicenni, cerca di conciliare per raggiungere ad una soluzione (intervento conciliativo).
L’intervento del giudice è autoritativo, cioè vincolante e non è  impugnabile, nel caso in cui non sia stata fissata la residenza della famiglia: egli può proporre la soluzione che ritiene più adeguata alle esigenze dell’unità e della vita familiare.

Tipologie dei regimi patrimoniali. Il regime patrimoniale legale è quello della comunione dei beni: in opposizione alla comunione vi sono la separazione dei beni e la comunione convenzionale.
La separazione dei beni esclude l’operatività della comunione dei beni e può essere adottata sia prima del matrimonio, sia al momento della sua celebrazione e sia dopo tale celebrazione.

Convenzioni matrimoniali. Le convenzioni matrimoniali sono regimi atipici di patrimonialità e sono regolate dalle norme in materia di contratto.
Esse modificano il regime di comunione dei beni, cioè possono restringere il regime a determinati beni o allargarlo ad altri.
Le convenzioni sono stipulate sotto forma di atto pubblico sotto pena di nullità e, in caso di interdizione del coniuge, mediante il rappresentante legale; sono sempre modificabili in qualsiasi momento, perché vi sia il consenso di tutte le parti o dei loro eredi.
È prevista una forma di pubblicità dichiarativa per la stipula e la modifica delle convenzioni, attraverso la loro annotazione a margine dell’atto di matrimonio a cura del notaio rogante, pena la inopponibilità ai terzi.
Qualora le convenzioni abbiano ad oggetto beni immobili o mobili registrati è richiesta anche la trascrizione nei rispettivi registri.

Regime legale della comunione dei beni. La comunione legale è diversa da quella ordinaria o ereditaria. Il singolo coniuge non può scioglierla unilateralmente, né può disporre della propria quota di beni; questa comunione si estende a tutti i beni acquisiti anche separatamente dai coniugi dopo il matrimonio, ad esclusione dei beni personali: vi sono anche beni che non entrano in comunione immediatamente, ma si considerano oggetto della comunione se sussistono al momento del suo scioglimento.
Dunque, la comunione legale è distinta in comunione attuale o immediata e comunione differita o de residuo.
Entrano a far parte della comunione le aziende gestite da entrambi i coniugi e i frutti dei beni propri e i proventi dell’attività separata di ciascun coniuge, dove per attività separatasi intende qualunque attività lavorativa, subordinata o autonoma, anche se svolta saltuariamente o per mero diletto.
Beni esclusi dalla comunione legale (art. 179). I beni esclusi dalla comunione legale sono:
a)
i beni del quale il coniuge era titolare prima del matrimonio o prima della comunione legale;
b)
i beni acquistati per effetto di donazione o successione;
c)
i beni di uso strettamente personale e i relativi accessori;
d)
i beni strumentali all’esercizio della professione, tranne quelli destinati all’azienda facente parte della comunione;
I beni immobili o mobili registrati sono esclusi dalla comunione legale, se tale esclusione è espressamente dichiarata nell’atto di acquisto e l’altro coniuge abbia partecipato alla redazione dell’atto; questi beni devono essere trascritti nei rispettivi registri.
Essi sono considerati come beni personali: per i mobili non registrati, tale dichiarazione non è sufficiente.

Separazione: nozione e funzione. La separazione non scioglie il vincolo, ma pone i diritti e i doveri del matrimonio in uno stato di quiescenza (di riposo).
La separazione personale è comunque un metodo per recuperare il rapporto entrato in crisi, infatti per avere il divorzio ci vogliono 3 anni di separazione; cessa qualora i coniugi si riappacifichino.
Oltre alla separazione giudiziale e consensuale, abbiamo:

la separazione temporanea ordinata dal giudice nel caso di giudizio di invalidità dal matrimonio, di separazione, o di divorzio;

la separazione di fatto che produce effetti molto limitati.

 

Separazione giudiziale. Si ha quando si verificano fatti che rendono intollerabile la continuazione della convivenza, in modo da recare grave pregiudizio all’educazione della prole.
Importante è la rilevanza dell’addebito della separazione deciso dal giudice per il coniuge che ha avuto un comportamento contrario ai doveri del matrimonio; l’addebito influisce unicamente sulle conseguenze patrimoniali della separazione e può anche essere pronunciato a carico di entrambi i coniugi.
La separazione giudiziale può essere richiesta da entrambi o da uno dei coniugi al giudice del tribunale del luogo di residenza o domicilio del coniuge convenuto: il giudice come prima fase cerca di conciliarli e nel caso sia fallito tale tentativo, il presidente del tribunale dispone i provvedimenti temporanei ed urgenti nell’interesse dei figli e dei coniugi.

 

Separazione consensuale. Quando entrambi i coniugi di comune accordo pervengono alla separazione si ha la separazione consensuale. Il consenso non è sufficiente alla produzione degli effetti, ma occorre il decreto di omologazione emesso dal tribunale su richiesta di uno o entrambi i coniugi; il presidente del tribunale prima cerca di conciliare le parti, poi, in caso di fallimento, concede l’omologazione non valutando le motivazioni della separazione.
L’omologazione può essere anche rifiutata qualora negli accordi presi preventivamente tra i coniugi ci siano contenuti pregiudizievoli all’interesse della prole.
Carattere importante della separazione consensuale è l’accordo preso preventivamente dai coniugi sul mantenimento (e non solo sugli alimenti) del coniuge e della prole.

 

Separazione temporanea. Nei casi di giudizio di invalidità del matrimonio o di divorzio, il tribunale può disporre la separazione temporanea. Effetto della separazione temporanea è la sospensione dell’obbligo di coabitazione e l’emanazione di conseguenti provvedimenti necessari a regolare i rapporti tra i coniugi con i figli.
La separazione temporanea, comunque, ha effetti molto ridotti: essa, difatti, non determina lo scioglimento della comunione legale né la sospensione dei doveri coniugali.
Separazione di fatto. La separazione di fatto, invece, è una stabile interruzione della convivenza attuata al di fuori delle ipotesi previste dalla legge. A differenza dell’allontanamento, con la separazione di fatto il coniuge manifesta all’altro la volontà di interrompere la convivenza e l’altro coniuge tollera tale decisione: questa separazione non sospende i doveri coniugali che possono essere sospesi solo con la separazione legale.
Comunque, al coniuge “tollerante” spetta di diritto la richiesta di separazione giudiziale con addebito.

Effetti della separazione per i coniugi. Mutamento del titolo della separazione. La separazione legale sancisce l’interruzione della convivenza coniugale senza, però, comportare lo scioglimento del matrimonio.
Effetti personali: la separazione non esonera i coniugi dal dovere di fedeltà, dal dovere di assistenza morale e non priva la moglie del diritto di continuare ad usare il cognome del marito salvo diversa disposizione del giudice, cioè quando comporti un grave pregiudizio per il marito o per la stessa moglie.
La separazione produce però, la sospensione del dovere di convivenza e di coabitazione dei coniugi.
Effetti patrimoniali: la separazione modifica il dovere reciproco di assistenza materiale; il coniuge al quale non sia stata addebitata la separazione ha diritto di ricevere dall’altro un assegno di mantenimento non solo per se stesso, ma anche per la prole.
L’assegno di mantenimento è calcolato in base non solo al reddito, ma anche alle sostanze patrimoniali non produttive di reddito. Se il coniuge a cui spetta il mantenimento teme che vi sia un inadempimento da parte dell’altro coniuge, il giudice può imporre la garanzia: difatti, la sentenza di condanna di pagamento dell’assegno di mantenimento è titolo per l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale.
In caso di inadempimento, il coniuge beneficiario dell’assegno può procedere al sequestro dei beni oppure ottenere l’attribuzione diretta di una parte delle somme che il coniuge obbligato riceve da terzi (datori di lavoro, pensione).
La determinazione dell’assegno di mantenimento è suscettibile a revoca o modificazione.
Per quanto riguarda l’abitazione, essa si preferisce lasciarla al coniuge a cui vengono affidati i figli, affinché questi non subiscano ulteriori traumi; questo provvedimento di assegnazione della casa deve essere trascritto ai fini dell’opponibilità ai terzi.
Con la separazione legale, comunque, permane l’obbligo da parte dei coniugi di agire e provvedere all’interesse della famiglia, anche se viene sciolta la comunione legale.
La separazione giudiziale o consensuale senza addebito può essere mutata in separazione giudiziale o consensuale con addebito per comportamenti contrari ai doveri coniugali.

Affidamento dei figli. La separazione lascia inalterati i diritti e i doveri dei coniugi nei confronti dei figli, ma rende necessario decidere a chi dei genitori essi devono essere affidati.
Nella separazione consensuale la decisione spetta ai coniugi ma il giudice, in sede di omologazione, valuta se l’accordo preso rispetti l’interesse dei figli.
Nella separazione giudiziale è il giudice che decide a chi affidare la prole, logicamente nell’interesse dei minori.
L’affidamento può essere congiunto, cioè ad entrambi in coniugi, o alternativo, cioè un periodo a un coniuge e un altro periodo all’altro coniuge.
Il giudice nello stabilire l’affidamento può anche sentire l’opinione dei minori, nel caso essi siano in grado di esprimere un giudizio; il giudice, comunque, può decidere per gravi motivi l’affidamento ad altre persone o ad un istituto di educazione.
Dopo aver deciso l’affidamento, il giudice stabilisce i modi di svolgimento dei rapporti patrimoniali (mantenimento) e personali del genitore non affidatario con i figli: dispone un versamento periodico di una somma di denaro per l’educazione, per il mantenimento e l’istruzione; tale versamento gode delle stesse garanzie di cui gode l’assegno di mantenimento del coniuge.
Per i rapporti personali, il giudice regola il diritto di visita ai figli e i periodi nei quali costoro possono essere tenuti presso l’altro genitore, salvo che il contatto con quel genitore sia considerato dannoso per costoro.
La potestà dei genitori non cessa con la separazione, ma spetta in via esclusiva al coniuge affidatario; l’altro coniuge ha il compito di controllare che le decisioni prese dal coniuge affidatario non siano pregiudizievoli per la prole.
Le decisioni più importanti spettano ad entrambi i coniugi e, in caso di disaccordo, la decisione è presa dal giudice.
Tutti i provvedimenti riguardanti la prole sono soggetti a revoca o modifica da parte del tribunale ordinario. Nel caso di separazione o di divorzio dei coniugi di diversa nazionalità, vengono applicate le convenzioni internazionali, tenendo conto sempre di scegliere la soluzione migliore per la prole e per i loro interessi.

Riconciliazione. La riconciliazione si può avere mediante dichiarazione espressa oppuretacita.
La riconciliazione espressa ha natura negoziale ed è revocabile nel caso in cui il proponente non abbia avuto notizie dell’accettazione del destinatario.
Con la riconciliazione, vengono meno gli effetti della separazione: una nuova separazione può essere proponibile, ma deve basarsi su situazioni successive alla precedente separazione.
La riconciliazione può avvenire anche mediante l’abbandono della domanda di separazione.
La riconciliazione non determina automaticamente il ripristino della comunione legale, in quanto è richiesta la stipula di un’apposita convenzione.

Annullamento e scioglimento del matrimonio. Il divorzio è stato introdotto, dopo tanti contrasti, il 1° dicembre 1970 e produce lo scioglimento del rapporto.
Il matrimonio si definisce nullo quando si accerta l’originaria inidoneità alla produzione degli effetti giuridici.
L’invalidità, come il divorzio, non estingue gli effetti già prodotti, né cancella l’esigenza di tutelare il coniuge in difficoltà economica.
La differenza è che il divorzio offre una tutela più ampia al coniuge economicamente svantaggiato.

Divorzio: presupposti e procedimento. Lo scioglimento del matrimonio può avvenire o con la morte di uno dei coniugi, o con il divorzio.
Il divorzio può avvenire solo giudizialmente: è un rimedio all’irreparabile rottura di matrimonio (c.d. divorzio-rimedio) e non una sanzione alla violazione di gravi doveri coniugali (c.d. divorzio-sanzione).
Ciò è confermato dal fatto che il divorzio può derivare anche da fatti incolpevoli, ma soprattutto che l’azione di divorzio può essere presentata anche dal coniuge responsabile del fallimento del matrimonio. Cause di divorzio sono:

la condanna subita da un coniuge dopo il matrimonio anche per reati commessi prima;

la condanna per alcuni delitti contro la libertà sessuale, la moralità e il buon costume;

la condanna per omicidio volontario di un figlio o del coniuge, tentato o consumato;

la condanna per lesioni personali aggravate, violazione degli obblighi di assistenza, circonvenzione d’incapace (trarre in inganno) in danno del coniuge o di un figlio;

la sentenza di assoluzione o proscioglimento del reato d’incesto per mancanza di pubblico scandalo.
La causa più importante di divorzio è la separazione legale dei coniugi; per laseparazione giudiziale, la sentenza deve passare in giudicato. Mentre per la separazione consensuale essa deve essere stata omologata.
La separazione deve necessariamente protrarsi ininterrottamente per 3 anni e per la separazione legale il tempo comincia a decorrere con la presentazione dei coniugi dinanzi al presidente del tribunale.
Legittimati a fare la domanda di divorzio sono entrambi i coniugi.
Il divorzio può anche avvenire quando l’altro coniuge straniero abbia ottenuto all’estero l’annullamento o lo scioglimento, oppure abbia contratto nuovo matrimonio all’estero; in quest’ultimo caso legittimato è il coniuge cittadino italiano.
Altra causa può essere la mancata consumazione del matrimonio causata dall’impotenza; altra causa può essere la rettifica di attribuzione del sesso, dove il divorzio appare necessario.
La domanda di divorzio si propone con ricorso al tribunale del luogo di residenza o domicilio del coniuge convenuto o, in mancanza, al tribunale di residenza o domicilio, o di residenza all’estero del coniuge ricorrente.
L’azione di divorzio è limitata ai coniugi, cioè non possono farsi sostituire da rappresentanti essendo azione personale.
Il procedimento si apre con la fase preliminare, dove il presidente del tribunale tenta la riconciliazione; fallito il tentativo, oppure il coniuge convenuto non compare, e sentiti i figli minori, il presidente del tribunale emette anche d’ufficio con ordinanza:

i provvedimenti temporanei e urgenti nell’interesse dei figli e dei coniugi;

nomina il giudice istruttore;

fissa l’udienza di comparizione delle parti (fase istruttoria).
La sentenza è emessa dal collegio (fase collegiale).
La sentenza per divenire definitiva e opponibile ai terzi deve essere annotata, cioè trasmessa all’ufficio di stato civile del luogo dove fu trascritto il matrimonio.
L’annotazione è importante per l’opponibilità del divorzio a terzi, ma gli effetti per le parti si producono con il passaggio in giudicato della sentenza.

Effetti del divorzio. Con il divorzio, il matrimonio si scioglie e i coniugi riacquistano lo stato libero e possono risposarsi.
Per il coniuge economicamente svantaggiato vi è l’assegno di divorzio che ha funzione assistenziale ed è dovuto solo quando il beneficiario non è in grado di provvedere a se stesso.
La quantificazione è fatta in base a:

le condizioni dei coniugi;

il reddito dei coniugi;

il criterio risarcitorio, ossia le ragioni della decisione;

il criterio compensativo, ossia il contributo personale ed economico dato da ciascun coniuge o alla condizione familiare, o al fondo comune, o all’altro coniuge.
La corresponsione dell’assegno può avvenire in un’unica soluzione su accordo delle parti.
Il diritto di assegno si estingue con il passaggio del beneficiario a nuove nozze o con la morte dell’obbligato; al coniuge divorziato, come per quello separato, può spettare l’abitazione.
Il divorzio lascia inalterati i doveri dei genitori nei confronti dei figli e quindi gli obblighi di mantenimento, istruzione e educazione permangono anche nelle ipotesi di passaggio a nuove nozze.

Diritti e doveri da rapporto di procreazione e stato di figlio. I figli legittimi sono i figli nati da genitori uniti in matrimonio, i figli naturali sono i figli nati da genitori non uniti in matrimonio, i figli adottivi sono i figli adottati con provvedimento giudiziario, i figli incestuosi sono coloro nati da persone che tra loro sono parenti o affini.
Tuttavia l’interprete cerca di uniformare la condizione giuridica della filiazione, infatti anche al figlio naturale devono essere assicurati il mantenimento, l’istruzione e l’educazione: si ha quindi il principio d’eguaglianza.
Il riconoscimento fino al 1975 non era possibile per i figli adulterini; dopo il 1975, con una riforma, sono dichiarati irriconoscibili i figli incestuosi, salvo che il genitore era in buona fede o che il matrimonio sia stato annullato.
Atto di nascita: caratteri e funzioni. L’atto di nascita, redatto dall’ufficiale di stato civile negli appositi registri, è l’atto che accerta la filiazione ed ha funzione probatoria.
La dichiarazione può essere effettuata entro i 10 gg. successivi alla nascita, altrimenti il tribunale dovrà pronunciare l’efficacia dell’atto dopo la rettificazione; in sua mancanza, la formazione del relativo atto dovrà essere decisa dal Tribunale.
La dichiarazione è resa indistintamente da uno dei genitori, o da un loro procuratore speciale; in loro mancanza può essere fatta dal medico, dall’ostetrica o da chi abbia assistito al parto.
Il nome è scelto di comune accordo e i figli legittimi prendono solo il cognome del padre, mentre quelli naturali assumono il cognome del genitore che per primo li ha riconosciuti.
In caso di genitori sconosciuti il nome e il cognome sono imposti dall’ufficiale di stato civile.
Se l’atto di nascita dichiara cosa diversa dalla realtà, esso può essere modificato mediante azioni giuridiche di stato, oppure, in caso di discrasìa (alterazione) dipendente da errore materiale dell’ufficiale di stato civile, esso può essere modificato mediante l’azione di rettificazione.
Il rapporto di filiazione ha fonte nel fatto della procreazione e l’atto di nascita ha una funzione di pubblicità dichiarativa e non soltanto di mera pubblicità notizia.

Accertamento della filiazione legittima: presunzioni, atto di nascita e possesso di stato.L’accertamento della filiazione legittima avviene mediante 2 presunzioni:
1.
il marito è padre del figlio concepito in costanza di matrimonio (p. di paternità);
2.
si presume concepito durante il matrimonio il figlio nato dopo 180 gg. dalla celebrazione del matrimonio, o quando non siano trascorsi 300 gg. dalla data di annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio (p. di legittimità).
Se il figlio è nato dopo 300 gg. dalla data di annullamento, scioglimento o cessazione del matrimonio, non si presume legittimo, ma la sua legittimità può essere dimostrata con ogni mezzo.
Diritto della madre è quello di non essere nominata all’atto di nascita; pertanto l’accertamento è automatico solo per il padre, mentre la madre deve sempre acconsentire ad essere indicata nell’atto di nascita.
Il figlio nato dopo 300 gg. dallo scioglimento, annullamento o cessazione degli effetti civili del matrimonio è riconosciuto come figlio naturale e non come figlio legittimo, poiché non opera la presunzione di paternità.
La filiazione legittima può essere provata anche con il possesso di stato che deve risultare da una serie di fatti utili a dimostrare la relazione di filiazione; ad esempio:

l’interessato ha sempre portato il cognome del padre;

è stato sempre trattato e ritenuto da costui come figlio;

è stato sempre considerato come parte della famiglia dai suoi componenti.

Azioni di stato di figlio legittimo e rettificazione degli atti di stato civile. L’ordinamento prevede per la filiazione legittima delle azioni di stato: l’azione di disconoscimento della paternità, l’azione di contestazione della legittimità, l’azione di reclamo della legittimità.
Per la filiazione naturale l’ordinamento prevede l’azione di dichiarazione giudiziale di paternità o maternità e l’impugnativa di riconoscimento.

Disconoscimento della paternità. Con l’azione di disconoscimento della paternità si mira a far cadere la presunzione di paternità.
La presunzione di paternità per il figlio nato prima dei 180 giorni dal matrimonio è meno forte di quella del figlio concepito in costanza di matrimonio; in questo caso il disconoscimento è consentito quando:

i coniugi non abbiano coabitato nel periodo compreso tra il 300° e il 180° giorno prima della nascita;

sia dimostrato che nello stesso periodo il marito fosse affetto di impotenza, anche solo di fecondare;

quando la moglie ammette che nello stesso periodo abbia commesso adulterio o abbia nascosto la gravidanza e la nascita del figlio.
Dopo la riforma del 1975, l’azione spetta anche alla madre, al figlio maggiorenne e al figlio sedicenne tramite il curatore speciale nominato dal giudice. Legittimati ad agire sono:
-
il padre, entro 1 anno dalla nascita;
-
la madre, entro 6 mesi dalla nascita;
-
il figlio, entro 1 anno dal compimento della maggiore età o dal momento della conoscenza dei fatti che rendono ammissibile il disconoscimento, se è avvenuta dopo la maggiore età.
In caso di accoglimento dell’azione, il figlio risulta figlio naturale riconosciuto dalla madre.
La legittimazione passiva spetta al padre, alla madre e al figlio: se uno dei legittimati è minore o interdetto, si procede alla nomina di un curatore speciale.

Contestazione della legittimità. L’azione di contestazione della legittimità è diretta a rimuovere lo stato di legittimità risultante dall’atto di nascita mediante impugnazione di un elemento diverso dalla presunzione di paternità.
Nel caso manchi la prova del matrimonio, l’azione non è consentita se i genitori sono entrambi morti e hanno pubblicamente convissuto come coniugi e il figlio abbia goduto di un possesso di stato conforme all’atto di nascita.
La legittimazione attiva spetta ai genitori e a chiunque vi abbia interesselegittimati passivi sono entrambi i genitori e, nel caso non sia promossa da lui stesso, il figlio.
Se l’azione di contestazione è promossa nei confronti di persone premorte, minori o incapaci si procede alla nomina di un curatore speciale, come per il disconoscimento.
L’azione di contestazione della legittimità è imprescrittibile.

Reclamo della legittimità. Qualora manchi l’atto di nascita o il possesso di stato si può esperire l’azione di reclamo della legittimità: spetta al figlio che mira ad ottenere l’accertamento dello stato di figlio legittimo.
Lo stato di figlio legittimo può risultare alterato nell’atto di nascita in diversi modi: 1)quando il figlio è dichiarato figlio di genitori ignoti, 2) oppure figlio naturale riconosciuto da uno o entrambi i genitori, 3) oppure figlio legittimo di genitori diversi da quelli reali.
Legittimato attivo è il figlio; legittimati passivi sono i genitori o i rispettivi eredi; l’azione è imprescrittibile.

Accertamento della filiazione naturale mediante riconoscimento. Il riconoscimento del figlio naturale fatto nell’atto di nascita è integrato o dalla dichiarazione di nascita resa dal genitore personalmente, o dall’atto pubblico dal quale risulta il consenso dei genitori ad essere nominati.
Se il figlio non è riconosciuto da nessun genitore, è indicato come figlio di genitori ignoti ed è segnalato entro 10 giorni dall’ufficiale di stato civile al giudice tutelare che provvederà all’apertura della tutela del minore. Il riconoscimento è un atto giuridico:
-
formale, in quanto può essere fatto solo nelle forme previste dalla legge, pena la nullità;
-
irrevocabile, anche se contenuto in un testamento poi revocato;
-
puro, in quanto non ammette né condizione né termine;
-
impugnabile solo per difetto di veridicità, violenza o interdizione giudiziale;
-
personale, in quanto può essere fatto solo dal genitore e non dai suoi eredi, né dal suo rappresentante.
Il riconoscimento può essere realizzato da uno o da entrambi i genitori: il riconoscimento congiunto ha conseguenze sull’assunzione del cognome da parte del figlio.
Il riconoscimento è vietato per il genitore che non ha compiuto 16 anni: qualora l’atto fosse posto in essere, non è nullo ma annullabile.
Il riconoscimento tardivo (di figlio ultrasedicenne) è sottoposto a controlli rigidi perché potrebbe avere ripercussioni sociali sul figlio: difatti, l’assenso del figlio sedicenne è indispensabile per l’efficacia del riconoscimento.
Se il figlio è < di 16 anni, il riconoscimento non può avvenire senza il consenso del genitore che lo ha riconosciuto per primo; un rifiuto ingiustificato del genitore può essere superato da una sentenza del tribunale per i minori.
È consentito il riconoscimento del figlio premorto: tuttavia, per tutelare la sua eredità da un presunto interesse egoistico dei genitori, questi sono esclusi dall’eredità che va interamente a favore dei discendenti legittimi del figlio premorto.
La funzione del riconoscimento è quella di rendere certa nei confronti del suo autore un rapporto di filiazione con una determinata persona.
Il riconoscimento retroagisce fino alla nascita del figlio, salvo nei casi di conseguenze irretroattive (acquisto del cognome).
Con il riconoscimento, i diritti e i doveri inerenti alla filiazione naturale sono gli stessi previsti per la filiazione legittima.
Comunque, il figlio ha il diritto di ottenere l’accertamento giudiziale del rapporto di filiazione anche contro il volere del genitore.

Impugnazioni del riconoscimento. La violazione dei requisiti formali del riconoscimento lo rende nullo. Il riconoscimento può essere impugnato per:

difetto di veridicità; esso è proponibile quando il riconoscimento non risponde alla verità o anche quando l’autore del riconoscimento fosse consapevole della falsità della sua dichiarazione.
Esso è imprescrittibile e può essere promosso dall’autore del riconoscimento, da colui che è riconosciuto e da chiunque vi abbia interesse. La non veridicità è provata con ogni mezzo.

violenza; essa è proposta dall’autore del riconoscimento entro 1 anno dalla cessazione della violenza e, se il riconoscimento è fatto da un minore, entro 1 anno dal compimento della maggiore età;

interdizione giudiziale; il riconoscimento può essere impugnato dal rappresentante dell’interdetto e, dopo la revoca dell’interdizione, dall’autore del riconoscimento entro 1 anno dalla revoca. Tale disciplina si applica in via estensiva anche all’impugnazione per difetto di età dell’autore. I termini sopra elencati sono considerati di decadenza.

Accertamento giudiziale della paternità e della maternità del figlio naturale riconoscibile. Il figlio può ottenere il riconoscimento di figlio naturale anche contro la volontà dei genitori, mediante l’azione giudiziale di paternità o di maternità che, se accolta, produce gli stessi effetti del riconoscimento.
L’accertamento giudiziale è escluso quando è vietato il riconoscimento dei figli incestuosi.
L’atto di nascita impedisce che si possa fare accertare giudizialmente un rapporto di filiazione diverso, legittimo o naturale, formalmente attribuito; occorre prima rimuovere le risultanze dell’atto di nascita che sono incompatibili con l’accertamento giudiziale richiesto.
Legittimato ad agire è il figlio e nei suoi riguardi l’azione è imprescrittibile; se egli morisse prima di averla esercitata, i legittimati all’azione sono i suoi discendenti, che però possono promuoverla entro 2 anni dalla morte.
Se il figlio è minore d’età, l’azione può essere promossa dal genitore che esercita la potestà o dal tutore; essa, comunque, non può essere espletata senza il consenso del figlio 16enne.
Nell’ipotesi di interdizione del figlio, può agire il tutore previa autorizzazione del giudice.
Legittimato passivo è il presunto genitore o, se deceduto, i suoi eredi.
Quando il figlio è maggiorenne, la competenza è del tribunale ordinario del luogo di residenza del genitore convenuto in giudizio; qualora il figlio fosse minorenne, è competente il tribunale per i minorenni.
Una volta che l’azione è giudicata ammissibile, si apre la fase di merito dinanzi al tribunale: con essa la paternità e la maternità possono essere provate con ogni mezzo.
La maternità è dimostrata provando l’identità di chi si pretende essere figlio; qualora la funzione procreativa si sia avvalsa di donne diverse, la madre in senso giuridico è la donna che ha partorito e non quella che ha donato l’ovulo.
Più problematico è provare la paternità, perché nella maggior parte dei casi è in via presuntiva; tuttavia maggiore sicurezza è offerta dalla prova ematologica e da quellagenetica: il genitore convenuto può rifiutarsi, ma il giudice può trarre argomenti di prova dall’ingiustificato rifiuto.

Accertamento incidentale della filiazione irriconoscibile. Il figlio irriconoscibile non può agire per far accertare giudizialmente la maternità o la paternità.
Tuttavia, in questa ipotesi, al rapporto di procreazione sono collegati una serie di diritti e doveri:

il figlio naturale minorenne può agire per ottenere il mantenimento, l’educazione e l’istruzione: l’azione è proposta nell’interesse del figlio da un curatore speciale nominato dal giudice, su richiesta del p.m. o del genitore che esercita la potestà;

se il figlio è maggiorenne e in stato di bisogno, può chiedere gli alimenti.
In entrambe le ipotesi occorre il previo giudizio di ammissibilità dell’azione; tale azione è di riconoscimento e non di stato (e quindi non di accertamento), perché vengono riconosciuti dei diritti limitati al figlio non riconoscibile.
L’accoglimento del giudizio di ammissibilità dell’azione implica che sia fornita incidentalmente la prova del vincolo di derivazione biologica.
I figli non riconoscibili, tuttavia, hanno diritto, in sede successoria, ad un assegno vitalizio.

La legittimazione della filiazione naturale. La legittimazione consente al figlio naturale riconosciuto la possibilità di conseguire la qualità di figlio legittimo; essa può conseguirsiautomaticamente al matrimonio dei genitori che lo hanno entrambi riconosciuto.
Gli effetti decorrono dal giorno del matrimonio se il rapporto di filiazione è accertato anteriormente o al momento del matrimonio, altrimenti dal giorno in cui è avvenuto l’accertamento formale della filiazione, ad es. per riconoscimento (legittimazione di diritto).
In presenza di cause che ostacolano la legittimazione del figlio per susseguente matrimonio (perché ad esempio i genitori naturali rifiutano di sposarsi), la legittimazione può avvenire giudizialmente per provvedimento del giudice, purché corrisponda all’interesse del figlio (legittimazione giudiziale).
Per effettuare la legittimazione i genitori devono avere almeno 16 anni e la domanda di legittimazione può essere fatta sia da uno che da entrambi i genitori; può essere fatta anche dal figlio naturale dopo la morte del genitore, qualora questi abbia espresso tale volontà nel testamento o in un atto pubblico.
La legittimazione produce effetti solo per il genitore al quale è stata concessa e tali effetti decorrono dalla data del provvedimento; se la legittimazione è successiva alla morte del genitore, gli effetti retroagiscono alla data della morte, solo se la domanda è stata presentata entro un anno da tale data.
Gli effetti del provvedimento di legittimazione possono essere caducati (eliminati) dall’azione ordinaria di contestazione dello stato di figlio legittimo.
Inoltre, sia la legittimazione di diritto che quella giudiziale, possono essere impugnate per difetto di veridicità.

Potestà dei genitori. La potestà, quando i genitori sono conviventi, spetta di regola ad entrambi. Essi possono decidere disgiuntamente per gli atti di ordinaria amministrazione; per gli atti di straordinaria amministrazione è richiesta non solo unadecisione comune, ma anche la preventiva autorizzazione del giudice tutelare.
Su determinati disaccordi il genitore può rivolgersi al giudice il quale, sentiti i genitori e il figlio 14enne, indica le soluzioni più utili nell’interesse del figlio, oppure può scegliere tra i coniugi quello che è più idoneo a curare l’interesse del figlio.
L’esercizio della potestà è attribuito a uno dei genitori quando:

l’altro genitore è impedito;

nei casi di affidamento a seguito di separazione, scioglimento o annullamento del matrimonio;

nei casi di convivenza con il genitore naturale che lo ha riconosciuto.
L’altro genitore ha il diritto e il dovere di vigilare sull’istruzione e l’educazione del figlio e deve concorrere nelle decisioni di maggiore interesse: nei casi che egli reputa pregiudizievoli per il figlio, può rivolgersi al giudice.
Il genitore ha anche un potere di rappresentanza conferito dalla legge per gli atti patrimoniali, salvo quelli personalissimi o quelli a cui il minore è autorizzato a compiere direttamente.
I genitori non si possono rendere acquirenti dei beni o dei diritti del figlio minore; gli atti compiuti in violazione di tali disposizioni sono annullabili.
I genitori hanno l’usufrutto legale sui beni del figlio, ma questi beni sono caratterizzati da un  vincolo di destinazione, cioè sono destinati al mantenimento della famiglia e all’istruzione dei figli. L’usufrutto legale non cessa con il passaggio a nuove nozze del genitore; inoltre non può formare oggetto di alienazione, pegno o ipoteca.
In caso di cattiva amministrazione, il giudice può privare i genitori del tutto o in parte dell’usufrutto legale.
La potestà si estingue:

per compimento della maggiore età del figlio o per sua emancipazione;

morte del figlio o del genitore;

per effetto della pronunzia giudiziale di decadenza;

condanna penale del genitore.
La potestà decade quando il genitore trascuri o abusi dei diritti e dei doveri, causando grave pregiudizio al figlio; il giudice può allontanare il figlio dalla residenza familiare.
Cessate le cause di decadenza, il genitore può essere reintegrato nella potestà.
Nel caso la condotta dei genitori non sia dannosa al punto da determinare la decadenza, il giudice adotta la sospensione, al fine di realizzare interventi a favore del minore: tali provvedimenti sono sempre revocabili.

Doveri dei figli. Il dovere dei figli è quello di rispettare i genitori, affinché possano esercitare al meglio la loro potestà; il figlio minore deve convivere con il genitore che esercita la potestà.
Altro dovere del figlio è quello di contribuire al mantenimento della famiglia in relazione alle proprie possibilità e al proprio reddito, finché convive con essa.

Affidamento familiare. Può aversi affidamento quando il minore, nonostante gli interventi di sostegno e di aiuto alla famiglie previsti dalla legge, sia temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo ad assicurargli un’esistenza serena.
L’affidamento familiare costituisce, quindi, un intervento temporaneo di assistenza, che ha fondamento nel principio di solidarietà e tende al reinserimento del minore nel nucleo originario.
L’affidamento è disposto dai servizi sociali locali, previo consenso dei genitori o del genitore che esercita la potestà o del tutore; deve essere sentito anche il minore di dodici anni ed anche il minore di età inferiore, in considerazione della sua capacità di discernimento. Il provvedimento è reso esecutivo dal giudice tutelare con decreto.
In mancanza del consenso dei genitori o del tutore, l’affidamento è disposto dal Tribunale per i minorenni: tale provvedimento è disposto in situazioni di abuso e trascuratezza pregiudizievoli per il figlio.
Nel provvedimento devono essere indicati i motivi per cui è stato disposto, la durata, nonché i tempi e i modi di esercizio dei poteri riconosciuti agli affidatari; inoltre deve essere indicato il servizio sociale locale al quale è affidata la responsabilità del programma di assistenza e il dovere di vigilanza.
Gli affidatari devono provvedere al mantenimento, all’educazione e all’istruzione del minore nel rispetto delle prescrizioni sia dei genitori che dell’autorità affidante; durante l’affidamento devono essere agevolati, anche grazie al servizio sociale, i rapporti con la famiglia di provenienza del minore e il suo rientro nella stessa.
L’affidamento termina con un provvedimento della autorità che lo ha disposto, previo accertamento che la situazione di difficoltà del minore e che i problemi familiari siano stati del tutto superati.
​Tuttavia la potestà affidataria è servente rispetto a quella genitoria perché riguarda solo le decisioni inerenti la convivenza i problemi della vita quotidiana.

Adozione legittimante. Quando il minore è privato in via definitiva ed irreversibile di un’adeguata assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi, si procede alla sua adozione: egli diventa figlio legittimo degli adottanti, dei quali assume e trasmette il cognome e cessano tutti i suoi rapporti con la famiglia di origine, salvo i divieti matrimoniali.
La funzione dell’adozione è quella di essere un rimedio a situazioni di abbandono particolarmente gravi che possono avere ricadute significative sull’esistenza e sul futuro del minore.
Lo stato di abbandono del minore costituisce il presupposto, il fondamento e la ragione della dichiarazione di adottabilità; esso è valutato non in riferimento alla posizione soggettiva dei genitori, ma in relazione alla situazione oggettiva del fanciullo e al pregiudizio che egli riceve nello sviluppo della sua personalità.
La situazione di abbandono non si configura solo con un comportamento omissivo, ma anche con un comportamento commissivo consistente nell’inadempimento o nel non esatto adempimento degli obblighi ricollegabili alla potestà genitoriale.
Il procedimento che decide sull’adottabilità è instaurato di ufficio dal giudice sulla base di una denunzia della situazione di abbandono.
Il tribunale, sentiti i coniugi, i parenti entro il 4° grado e, in loro mancanza, il minore, decide se sussistono i presupposti per l’adottabilità.
Qualora non sussistono tali presupposti, dichiara che non vi è luogo a provvedere; se sussistono, dichiara lo stato di adottabilità, con sentenza impugnabile e revocabile.
Tale sentenza deve essere trascritta nell’apposito registro del tribunale competente.
I genitori del minore possono anche sospendere il procedimento di dichiarazione dello stato di adottabilità, provvedendo al riconoscimento; se non si avvalgono di tale facoltà o se decorre il termine di decadenza, il tribunale dichiara lo stato di adottabilità.
Lo stato di adottabilità è disposto mediante decreto motivato e può essere impugnato dai soggetti destinatari della notificazione che sono i genitori, i parenti entro il 4° grado e il tutore.
Lo stato di adottabilità è una posizione giuridica provvisoria e cessa con l’adozione, con il raggiungimento della maggiore età dell’adottato e con la revoca per gravi motivi e inadempimenti dei genitori adottanti.
Possono essere adottanti i coniugi uniti in matrimonio o che abbiano vissuto in modo stabile e continuativo per 3 anni dal matrimonio. Presupposti richiesti sono:
1.
capacità di fornire assistenza materiale, spirituale e morale al minore assicurandogli educazione, istruzione e mantenimento;
2.
gli adottanti devono avere nei confronti dell’adottato un’età superiore di 18 fino ai 45 anni, salvo diverse disposizioni.
Ai medesimi coniugi sono consentite più adozioni e sono facilitate le adozioni di fratelli e di portatori di handicap.
La domanda di adozione è presentata al Tribunale per i minorenni, che dopo una ricerca oculata in base ai presupposti sopra elencati, sceglie la coppia più idonea e dispone, con ordinanza, l’affidamento preadottivo; se in seguito sorgono difficoltà di convivenza non superabili, il tribunale dispone la revoca dell’affidamento.
L’affidamento preadottivo è la seconda fase del procedimento di adozione: è disposto mediante un decreto motivato e trascritto nell’apposito registro del tribunale competente.
Durante questa fase viene eseguito un rigido e attento controllo sull’operato dei genitori adottanti.
Dopo 1 anno, se l’affidamento preadottivo ha dato buon esito, il tribunale dispone l’adozione con sentenza impugnabile. Il tribunale, per emanare il decreto di adozione, sente preventivamente i coniugi, l’adottato che ha compiuto 14 anni (il quale deve manifestare espresso consenso), il tutore e i servizi sociali locali incaricati della vigilanza.
Tale decreto può essere impugnato entro 30 giorni dalla comunicazione dagli adottanti e dal tutore. Il provvedimento definitivo di adozione deve essere trascritto entro 10 giorni dalla comunicazione nell’apposito registro del tribunale competente e deve essere trasmesso all’ufficiale di stato civile che provvederà alla sua annotazione a margine dell’atto di nascita dell’adottato.
L’adottato acquista il cognome degli adottanti e diviene il figlio legittimo.
All’età di 25 anni egli può chiedere informazioni circa le proprie origini per conoscere il vecchio cognome e i genitori biologici; il termine di 25 anni è spostato a 18 nei casi previsti dalla legge.

Adozione in fattispecie particolari. In circostanze particolari, l’adozione legittimante non è esplicabile anche in presenza dello stato di adottabilità: esempio è il minore, orfano di padre e madre, che può essere adottato da un parente entro il 6° grado.
L’adozione particolare è preferita a quella legittimante in quanto consente al fanciullo di rimanere nella famiglia parentale; è consentita sia ad una coppia di coniugi uniti in matrimonio, sia alla persona singola coniugata o separata.
L’adottato acquista il cognome dell’adottante e i suoi (del minore) diritti e doveri sussistono solo nei confronti dei genitori adottanti.
La potestà adottiva, tuttavia, è differente dalla potestà genitoria, in quanto gli adottanti hanno il potere di rappresentanza legale e di amministrazione del patrimonio del minore, ma non l’usufrutto legale.
Obbligo degli adottanti in sede di amministrazione del patrimonio del minore è quello diredigere l’inventario dei beni dell’adottato e trasmetterlo entro 1 mese dall’adozione al giudice tutelare, pena la perdita del potere di amministrazione.
Ai fini dell’adozione è richiesto il consenso degli adottanti, dell’adottato quattordicenne o, in caso di età inferiore ai 14 anni, del tutore e dei genitori dell’adottato.
Gli obblighi degli adottanti sono quelli di mantenimentoeducazione ed istruzione del fanciullo.

Adozione di persone maggiori di età. L’adozione di persone maggiori di età ha la funzione di dare discendenti legittimi all’adottante qualora questi non ne abbia.
L’adottato prende il cognome dell’adottante, ma non estingue il rapporto con la sua famiglia d’origine; tale adozione è permessa anche a persone che abbiano discendenti legittimi o legittimati, previo loro consenso. Presupposti importanti sono:

il consenso dell’adottante e dell’adottando;

l’assenso dei genitori dell’adottando e del coniugi dell’adottante e dell’adottando;

l’assenso dei discendenti legittimi e legittimati dell’adottante;

età dell’adottante maggiore di 35 anni e superiore a quella dell’adottato di 18.
La domanda di adozione dell’adottante è presentata al tribunale competente che, assunte le opportune informazioni e sentito il p.m., emana un decreto motivato.
Il decreto di adozione deve essere poi trascritto dal cancelliere del tribunale competente su un apposito registro; successivamente viene comunicato all’ufficiale di stato civile che provvederà alla annotazione di tale provvedimento al margine dell’atto di nascita dell’adottato.
Gli effetti dell’adozione si producono dalla data del decreto che può essere impugnatoentro 30 gg. dalla comunicazione; l’adottante e l’adottato possono revocare il loro consenso prima dell’emanazione del decreto.
L’adozione è disposta con sentenza impugnabile del tribunale competente; l’adottato aggiunge il cognome dell’adottante al suo anteponendolo; se gli adottanti sono dei coniugi, l’adottato prende il cognome del marito. L’adottato conserva i diritti e i doveri verso la suafamiglia d’origine.
L’adottato succede mortis causa all’adottante nei suoi diritti, al pari dei figli legittimi e dei legittimati dell’adottante; viceversa l’adozione non attribuisce all’adottante la possibilità di succedere all’adottato. L’adozione di persona maggiori d’età può essere revocata per indegnità sia dell’adottato che dell’adottante. È vietato ai genitori adottare i loro figli nati fuori dal matrimonio.

 

SUCCESSIONI
1. Nozione, fondamento e oggetto del diritto ereditario. La successione determina il subingresso di un soggetto (successore o avente causa) ad un altro soggetto (autore o dante causa) nella titolarità di una o più situazioni giuridiche attive o passive, o di fatto.
La successione mortis causa è necessariamente a titolo universale, dove sono trasferite la totalità delle situazioni attive o passive.
La successione inter vivos, è a titolo particolare, dove sono trasmesse singole situazioni (es: cessione del contratto).
Il fondamento della successione è quello di impedire che un patrimonio resti privo di titolare: infatti, il subingresso del successore retroagisce fino alla morte de cuius, perché se così non fosse, i beni diventerebbero una res nullius e quindi proprietà dello Stato.
La legge tutela la famiglia in materia di successione:

se l'autore non ha stilato il testamento, l'eredità si presume destinata alla famiglia in senso lato (parenti entro il 6° grado);

se ha fatto il testamento, la famiglia in senso stretto (coniuge, discendenti e ascendenti) ha, comunque, diritto ad una parte del patrimonio, anche contro la volontà dell'autore.
Se mancano i soggetti legittimati alla successione, lo Stato può succedere all'autore; comunque, di regola, lo Stato effettua prelievi fiscali sull'eredità.
Oggetto delle successioni mortis causa sono le situazioni a contenuto patrimoniale:
-
sono trasmissibili gli atti precontrattuali irrevocabili (es: proposta irrevocabile) e gli atti posti in essere dall'imprenditore nell'esercizio dell'impresa.
-
Sono non trasmissibili i diritti legati all'identità della persona del titolare, tra cui: i diritti della personalità; il diritto morale d'autore; i diritti reali di godimento connessi alla vita del titolare (usufruttouso e abitazione); l'assegno di mantenimento; la rendita vitalizia; i rapporti intuitu personae (appalto, mandato, procura).

 

2. Successione per testamento e per legge, a titolo universale e a titolo particolare. Lafonte della successione mortis causa è necessariamente la legge o il testamento.
Le situazioni trasmissibili non disciplinate da nessun testamento sono regolate da norme aventi funzione suppletiva, che determinano la successione a titolo universale del coniuge e dei parenti, o dello Stato.
Il testamento è l'unico atto con cui si dispone dei propri beni dopo la morte: può comprendere disposizioni di successione universale o particolare o a contenuto non patrimoniale.
Le disposizioni a titolo particolare determinano la successione di una o più determinate situazioni patrimoniali e colui che succede è qualificato legatario: questi diviene titolare mortis causa di una situazione già facente capo al de cuius, o a lui riconducibile, ma senza succedergli nell'asse ereditario.
Le disposizioni a titolo universale determinano la successione della totalità delle situazioni che hanno ad oggetto l'asse ereditario o una quota di esso (erede ex certis rebus) e colui che succede è qualificato erede.
Tale disposizione si estende a rapporti facenti capo al defunto ancor prima che questi non ne fosse a conoscenza; l'erede inoltre risponde illimitatamente per i debiti e i pesi ereditari.

4. Divieto dei patti successori. Il legislatore ha disciplinato il divieto dei patti successori; infatti, è vietato il patto successorio istitutivo, ossia l'accordo tra l'ereditando (colui che è titolare dei beni) e il futuro chiamato all'eredità con cui il primo si obbliga a chiamare l'altro, perché tale patto contrasta con l'assoluta libertà testamentaria. Sono NULLI:
1.
il patto dispositivo, con cui il disponente (de cuius) trasferisce ad un terzo l'eredità che non ha ancora conseguito, essendo ancora in vita il de cuius;
2.
il negozio rinunziativo, che ha ad oggetto la rinunzia dei diritti derivanti da successione non ancora aperta;
3.
la donatio mortis causa, perché rappresenta un patto successorio istitutivo; sonovalide, invece, le donazioni dove la morte del donante è termine iniziale (donatio cum moriar) o condizione sospensiva (donatio si premoriar);
4.
il mandato mortis causa, con cui il mandante, a mezzo del mandatario, effettua un'attribuzione d'eredità allo stesso mandatario o a terzi;
5.
il mandato post mortem, con cui il mandante conferisce al mandatario l'incarico di trasmettere ad altri, dopo la morte del mandante, i beni di quest'ultimo.
È valido solo il mandato post mortem exequendum, con cui il mandatario si obbliga nei confronti del de cuius a ritrasferire, dopo la morte del mandante, il bene che gli è stato trasferito prima della morte dell'autore-mandante.
Valida è la vendita dei beni dell'ereditando effettuata dal designato all'eredità, considerata una vendita di cosa altrui, anche se l’efficacia traslativa è sospesa fino alla morte del de cuius.

5. Apertura della successione ed eredità giacente. La morte è la cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell'encefalo; è l'evento giuridico che determina l'apertura della successione nel momento stesso in cui si verifica e nel luogo dell'ultimo domicilio del defunto.
​Il procedimento successorio inizia con la morte del de cuius e determina l'acquisto o dell'eredità o del legato: è composto da 3 fasi: vocazionedelazione e acquisto.
Nella s. a titolo particolare le 3 fasi coincidono; in quella a titolo universale non coincidono temporalmente e quindi sono più facilmente identificabili: all’apertura della successione si ha necessariamente la vacanza o la giacenza dell'eredità.
La vacanza dell’eredità si caratterizza per l'incertezza sull'acquisto a favore del chiamato, o perché questi non ha ancora accettato, o perché la vocazione è condizionata, indiretta o differita.
​Nella prima ipotesi l’incertezza può cessare con l'actio interrogatoria, con la quale chiunque abbia interesse può chiedere al giudice la fissazione di un termine entro il quale il chiamato deve dichiarare se accetta l'eredità.
Se il chiamato ha il possesso anche di un solo bene ereditario è considerato erede puro esemplice, ma dovrà redigere l'inventario entro tre mesi dall'apertura della successione e nei 40 giorni successivi al suo compimento dovrà dichiarare di accettare con beneficio d'inventario.
Se non possiede nessun bene ereditario, viene nominato un curatore dell'eredità giacente, il quale prima provvede alla redazione dell'inventario e poi cura il patrimonio con scopo conservativo:
-
se l'eredità viene accettata, il curatore interrompe l'attività e rende il conto dell'amministrazione;
-
se i soggetti successibili mancano o non accettano l'eredità, subentra lo Stato qualeerede residuale e necessario e l'acquisto si opera di diritto senza bisogno di accettazione.

6. Vocazione, delazione e acquisto. La vocazione (il titolo in base a cui si succede) è la chiamata all'eredità del/i successore/i effettuata con il testamento o, in mancanza, con lalegge: se l'autore ha redatto il testamento, il successore è già designato anche prima dell'apertura della successione; se non è stato stilato il testamento, la designazione dei successori avviene per legge.
1)
La vocazione si verifica nel momento dell'apertura della successione: con essa nasce in capo al designato il diritto alla successione.
Controversa è l'ammissibilità della clausola di diseredazione, con cui il testatore esclude dalla successione un erede legittimo: è ammissibile però la clausola di diseredazioneimplicita (es: istituisco mio nipote Tizio come mio erede solo se conseguirà la laurea – c. sospensiva potestativa).
I vocati si distinguono in chiamato di grado poziore, ossia chiamato di 1° grado che ha diritto concreto ed immediato all'acquisto del diritto successorio e chiamato di grado ulteriore.
2)
La delazione è l'attribuzione al primo vocato del diritto alla successione e ha ad oggetto l'eredità (titolo universale) o il legato (titolo particolare).
Nella maggior parte dei casi delazione e vocazione coincidono nel momento dell'apertura della successione nella persona del primo chiamato; in alcuni casi però non coincidono e si può avere:
-
delazione condizionale, quando l’istituzione del chiamato all'eredità è sottoposta a condizione sospensiva (es: istituzione del nascituro);
-
delazione successiva, quando è consequenziale ad una delazione immediata (è il fenomeno che si ha nella sostituzione fedecommissaria);
-
delazione indiretta, quando si succede ex lege per rappresentazione del delato che non vuole o non può accettare.
3)
L’ultima fase è l'acquisto dell'eredità da parte del successore: l'efficaciaretroattiva o istantanea dell'acquisto fa subentrare il successore al defunto senza che la morte di questi determini la mancanza del titolare dei beni.

7. Capacità di succedere e indegnità. La capacità di succedere (che prescinde dalla capacità d’agire) può essere attribuita a chi all'apertura della successione sia già nato vivo, a chi sia soltanto concepito o ritenuto tale e anche al nascituro non concepito purché figlio di persona viva al momento dell'apertura della successione.
La commorienza e la scomparsa del chiamato all'eredità determina incapacità a succederein quanto è impossibile fornire la prova della sopravvivenza del successore al de cuius.
Le persone fisiche possono succedere sia per testamento che per legge; le persone giuridiche invece possono essere chiamate soltanto per testamento e la loro accettazione deve avvenire necessariamente con beneficio di inventario.
Per gli enti non riconosciuti, l'accettazione è subordinata al riconoscimento della personalità giuridica, che deve avvenire entro 1 anno dall'apertura della successione, pena la decadenza del diritto.
L'indegnità determina l'esclusione dalla successione e può essere decisa con sentenza costitutiva contro chi abbia tenuto volontariamente comportamenti contro la persona del de cuius, contro il suo patrimonio, contro i suoi congiunti, contro il testamento o contro lalibertà testamentaria. L'indegnità è:
-
personale, perché il rapporto non si estende ai discendenti dell'indegno;
-
relativa, perché opera solo tra il de cuius e quel determinato successore;
-
retroattiva, perché l'esclusione dell'indegno determina la delazione del chiamato ulteriore, ossia del successivo vocato.
​Se l'indegno ha in possesso un bene oggetto della successione ha l'obbligo di restituirlo insieme con i frutti maturati dopo l'apertura della successione.

8. Rappresentazione. Qualora il primo chiamato-delato non possa o non voglia conseguire l'eredità o il legato, gli subentrano i c.d. rappresentanti, cioè i suoi discendenti legittimi o legittimati, naturali riconosciuti o dichiarati e gli adottivi.
I rappresentanti succedono al de cuius non in qualità di eredi del rappresentato, ma iure proprio.
presupposti sono:
1.
che il chiamato-delato non possa o non voglia conseguire l'eredità o il legato, ad esempio per indegnità o rinunzia alla successione.
Si può avere rappresentazione anche quando il chiamato-delato perde il diritto di accettare l'eredità per scadenza del termine di decadenza fissato dal giudice;
2.
che tra il de cuius e il rappresentato vi sia uno stretto rapporto di parentela; ad esempio il rappresentato deve essere figlio legittimo o legittimato del de cuius.
3.
che il rappresentante abbia la capacità di succedere e pertanto deve essere, al momento dell'apertura della successione, nato o almeno concepito: egli succede al de cuius nella stessa posizione in cui sarebbe successo il rappresentato.
Nella rappresentazione hanno rilievo solo i rapporti tra rappresentante e il de cuius.

9. Diritto di accettare l'eredità. Il diritto di accettare l'eredità spetta al solo chiamato-delato per testamento o per legge: egli può rinunciare o accettare l'eredità.
​Se il delato muore dopo l'esercizio del diritto, la sua scelta non preclude il diritto esercitabile dal suo successore: se il delato aveva accettato, al suo successore spetta non solo l'eredità trasmessa dal de cuius, ma anche l'eredità del delato; se il delato aveva rinunziato all'eredità del de cuius, il suo erede può anche accettarla, salvo che non sia stata già accettata da chiamati di grado ulteriore.
​Se invece il delato non vuole accettare l'eredità o non può perché morto prima del de cuius, potrebbe verificarsi la rappresentazione a favore dei suoi discendenti in linea retta, salvo che il de cuius non abbia previsto le sostituzioni.
Se il delato muore prima dell'esercizio e dopo l’apertura della successione, il diritto di accettare l'eredità del de cuius è trasmesso insieme con l'eredità del delato ai soggetti chiamati per testamento (redatto dal delato) o per legge.
Se l'erede del trasmittente accetta l'eredità di questi, può accettare o rifiutare l'eredità dell'originario de cuius; se non accetta l’eredità, non può nemmeno accettare l'eredità dell'originario de cuius.

10. Accettazione dell'eredità. L'acquisto dell'eredità può avvenire con accettazione espressatacita o presunta; quella espressa e quella tacita sono negozi irrevocabili, unilaterali e non recettizi. 1) ESPRESSA quando il delato assume il titolo di erede o dichiari di accettare l'eredità; può essere:
pura e semplice, se è fatta con dichiarazione in atto pubblico o in scrittura privata;
con il beneficio d'inventario, quando il delato fa la dichiarazione davanti al notaio o alcancelliere del tribunale competente.
2) TACITA quando il delato compie un atto che presuppone la volontà di accettare l'eredità e tale atto poteva essere effettuato solo se si era in possesso della qualità di erede (es: atti di disposizione dei beni ereditari); può essere soltanto pura e semplice.
3) PRESUNTA quando il delato diventa erede per aver posseduto beni ereditari per un determinato periodo di tempo senza aver compiuto il procedimento di accettazione con beneficio d’inventario.
All'accettazione non si possono apporre termini o condizioni e non può essere parziale.
​L'accettazione non è un atto personalissimo in quanto può essere fatta anche dal rappresentante legale o dal rappresentante volontario muniti di autorizzazione.
Gli effetti dell'accettazione pura e semplice sono:
* la confusione tra il patrimonio del defunto e quello dell'erede;
* la responsabilità illimitata dell'erede per i debiti e per i pesi ereditari, cioè risponde anche se superano il patrimonio ereditato.
Tuttavia l'erede può accettare l'eredità col beneficio d'inventario escludendo così la confusione dei patrimoni e limitando la sua responsabilità.
Gli effetti dell'accettazione retroagiscono fino al momento dell'apertura della successionee, quindi, non vi è mancanza della titolarità dei beni ereditari: es. è il possesso che dal de cuius continua nell'erede (art. 1146).
​La trascrizione è necessaria se l'accettazione ha la forma dell'atto pubblico o dellascrittura privata; è facoltativa se l'accettazione è tacita.
Per esercitare il diritto di accettazione occorre la capacità di agire, intesa sia come generale capacità d’agire, sia come capacità naturale; i soggetti non pienamente capaci di agire sono rappresentati dai curatori o dai rappresentanti legali e l'accettazione deve essere necessariamente con il beneficio d'inventario.
L'accettazione espressa e quella tacita possono essere annullate se risultano viziate; possono anche essere dichiarate invalide se vi è errore ostativo.
Se viene scoperto un nuovo testamento dopo che è avvenuta l'accettazione, l'erede obbligato a soddisfare i legati scritti nel nuovo testamento nei limiti dell'eredità ricevuta.
​Il diritto di accettare l'eredità si prescrive in 10 anni salvo i casi di delazione sottoposta a condizione sospensiva e nel caso di avvenuta accettazione del chiamato.
Se il delato-chiamato accetta con il beneficio d'inventario e non compie l'inventario nei successivi 3 mesi, è considerato erede semplice e puro; se, invece, effettua l'inventario senza accettare l'eredità entro i 40 giorni successivi, il diritto di accettare decade.
La funzione dell'accettazione con beneficio d'inventario è di evitare la confusione del patrimonio ereditario con quello dell'erede, limitando la responsabilità dell'erede.
Il beneficio d'inventario è redatto con dichiarazione ricevuta dal notaio o dal cancelliere del tribunale competente; può cessare per rinunzia o per decadenza e, in questi casi, si produce l'accettazione pura e semplice con la responsabilità illimitata per l'erede dei debiti del defunto.
Affinché il beneficio d'inventario perduri nel tempo devono essere rispettati le forme, i termini e le modalità di liquidazione dell'eredità.
Liquidazione: se l'erede non ha ricevuto opposizione dai creditori e dai legatari, può assolvere i debiti e i legati man mano che sia richiesto l'adempimento; tuttavia, l'erede deve rispettare le eventuali cause di prelazione.
Se vi è opposizione entro 1 mese dei creditori e dei legatari, opera la liquidazione concorsuale: saranno pagati prima i creditori privilegiati, poi quelli chirografi e infine ilegatari; tutti questi, che sono i creditori del de cuius, prevalgono sui creditori dell'erede, che si soddisferanno sul patrimonio dell'erede solo alla fine.
beni residui della liquidazione non sono più considerati ereditari ma beni personali dell'erede e si confondono nel suo patrimonio.
Rilascio: l'erede può liberarsi dall'onere della liquidazione rilasciando i beni ai creditori e ai legatari: opererà, comunque, una liquidazione controllata da un curatore nominato dal tribunale.
Anche i creditori e i legatari possono richiedere la separazione dei beni del defunto, andando però a specificare i beni che soddisferanno determinati crediti; se ci sono conflittifra i creditori-legatari separatisti e quelli non separatisti, prevalgono i separatisti solo se il patrimonio è insufficiente alla soddisfazione di tutti.
Anche la separazione evita la confusione dei patrimoni dell’erede e del cuius: una volta esercitata può venir meno solo con la rinunzia di chi se ne è avvalso.

11. Rinunzia all'eredità. La rinunzia è un negozio unilaterale non recettizio espresso eformale con dichiarazione ricevuta dal notaio o dal cancelliere: comporta la dismissione abdicativa del diritto di accettare l'eredità, senza corrispettivo.
La rinunzia effettuata dietro corrispettivo o a favore di uno dei chiamati genera l'effetto contrario a quello voluto, ossia comporta l'accettazione dell'eredità del rinunziante.
La rinunzia è nulla se sottoposta a termine, condizione o se è parziale; può essere effettuata validamente solo dal titolare del diritto di accettare l'eredità.
È necessario che il chiamato sia capace di agire: l’incapace deve essere rappresentato o dal tutore o dai genitori che esercitano la potestà; se parzialmente capace (inabilitato), deve essere rappresentato dal curatore.
La rinunzia all'eredità non si estende al legato e alle donazioni, in quanto il rinunziante può richiedere il legato e le donazioni a lui fatte dal de cuius.
La pubblicità della rinunzia va effettuata con l'iscrizione nel registro delle successioni presso il tribunale del luogo dell'apertura della successione: il diritto alla rinunzia si prescrive in 10 anni.
La rinunzia ha efficacia retroattiva perché il rinunziante si considera come mai chiamato all'eredità; se la chiamata di 1° grado è testamentaria, al rinunziante subentra il sostituto ordinario previsto dal testatore o il discendente del rinunziante per rappresentazione; nel caso non ci sia né rappresentazione né accrescimento, i successori sono nominati dalla legge.
La rinunzia non è un atto definitivo, in quanto il rinunziante può sempre accettare l'eredità purché l'accettazione non sia stata già effettuata dal chiamato ulteriore o sia già avvenuto accrescimento.
La rinunzia è annullabile se viziata da dolo o da violenza; l'errore-vizio è irrilevante, mentre l'errore ostativo è causa di nullità.
La rinunzia è nulla anche quando è effettuata prima dell'apertura della successione (divieto dei patti successori) e non può impedire l'acquisto dell'eredità nel caso di accettazione presunta.
I creditori del rinunziante possono esercitare l'azione surrogatoria con cui sostituiscono la rinunzia con l'accettazione, per poi soddisfarsi sui beni ereditari del debitore-rinunziante, fino al soddisfacimento del credito.
12. Petizione di eredità ed eredità apparente. L'erede può esperire l'azione di petizione di eredità, con cui ottiene il riconoscimento della qualità di erede erga omnes e larestituzione dei beni ereditari posseduti da altri soggetti. L'azione di petizione d'eredità è:
•​universale e non particolare, in quanto  mira alla restituzione di tutti i beni ereditati;
•​assoluta, perché l'attore può rivolgersi contro chiunque possieda i beni ereditari.
Legittimazione attiva: l'azione spetta all'erede, al chiamato-delato, all'acquirente dell'eredità e, in via surrogatoria, ai creditori e al curatore fallimentare; legittimazione passiva: l'azione è rivolta verso i possessori o i detentori di beni ereditari, con o senza titolo di erede.
L'azione è imprescrittibile, salvo nei casi di usucapione; comporta il riconoscimento delconvenuto come possessore dei beni ereditari, al fine di applicare le norme sul possesso che sono la restituzione dei frutti, delle spese e dei miglioramenti apportati sulla cosa dal possessore.
Rilevante è la buona fede del possessore, infatti solo in questo caso dovrà restituire i frutti dei beni posseduti, con decorrenza dal momento della domanda giudiziale; se è inmalafede la restituzione decorrerà dal giorno in cui ha cominciato a goderne.
L'erede apparente è colui che, non essendo erede, si comporta in un modo tale da risultare obiettivamente verso i terzi come il vero erede; affinché il terzo venga tutelato, è necessario:
* che abbia acquistato il bene ereditario con un contratto a titolo oneroso;
* che fosse in buona fede, cioè ignorava che il dante causa non fosse il legittimo erede;
* l'anteriorità della trascrizione dell'acquisto a titolo di erede e dell'acquisto dall'erede apparente nei confronti dell'acquisto da parte dell'erede effettivo, oppure della domanda giudiziale proposta contro l'erede apparente nell'ipotesi in cui l'acquisto del terzo riguardibeni immobili o mobili registrati.

13. Successione cosiddetta necessaria e categorie di legittimari. La successione necessaria rappresenta un limite non solo per la successione legittima ma anche per quella testamentaria.
La presenza dei legittimari (o riservatari) impone al de cuius di riservare una quota (c.d.indisponibile) da attribuire a costoro mediante donazione o testamento: se alla morte del de cuius, si accerta che egli abbia pretermesso (volontariamente non nominato), o leso i legittimari, questi potranno esperire l'azione di riduzione delle disposizioni lesive, determinando l'inefficacia degli atti a titolo di liberalità posti in essere dal de cuius.
Il legittimario può impugnare tali atti solo dopo l'apertura della successionenon sono impugnabili gli atti che il de cuius ha fatto quando era ancora in vita.
La quota riservata varia da un minimo di ¼ ad un massimo di 2/3: i legittimari sono:
•​il coniuge (che è la categoria più tutelata) a cui spetta la metà del patrimonio1/3 se c'è un figlio, o 1/4 se ci sono 2 o più figli;
•​il coniuge separato, a cui spetta un assegno vitalizio calcolato sugli alimenti dovuti;
•​i figli legittimi e naturali, a cui spetta da un minimo di ½ ad un massimo di 2/3 del patrimonio se non concorrono con altre categorie di legittimari. Unica differenza fra figli legittimi e naturali è il diritto di commutazione per i primi: consiste nella possibilità di soddisfare in danaro o in beni immobili ereditari la porzione spettante ai figli naturali che non vi si oppongano.
•​gli ascendenti legittimi, a cui spetta 1/3 se manca il coniuge, ¼ se c'è il coniuge; la loro partecipazione è esclusa se ci sono i figli.

14. Principio di intangibilità della legittima. La legittima è quella parte del patrimonio di cui non si può disporre per testamento perché riservata agli eredi legittimari.
L'erede legittimario, all'apertura della successione, può procedere da solo, o con gli altri legittimari, alla riunione fittizia, al fine di valutare e accertare il valore dell'asse ereditario netto.
La legittima è tutelata in senso quantitativo, cioè sulla quantità indisponibile; è caratterizzata dall'intangibilità, intesa nel senso che:
-
il testatore non può gravare la quota con pesi o condizioni;
-
il de cuius o altri soggetti non possono liberamente disporre della legittima, salvo nelle ipotesi della cautela sociniana e del legato in sostituzione di legittima.
Cautela sociniana – quando il testatore dispone di un usufrutto o di unarendita vitalizia a favore di altri (legatario) il cui reddito eccede quello della quotadisponibile, i legittimari a cui è stata assegnata la nuda proprietà della disponibile, in quanto lesi, possono scegliere o di eseguire tale disposizione o di abbandonare la nuda proprietà (in quest’ultimo caso il legatario non acquista la qualità di erede).
La cautela sociniana (art. 550) è quindi una deroga al principio d'intangibilità della legittima perché quest'ultimo subisce una compressione sotto il profilo qualitativo.

15. Segue. Legato in “sostituzione” di legittima. Il legato in sostituzione di legittima ha la funzione di evitare il frazionamento di cespiti ereditari (fonti di guadagno), attribuendoli a determinati legittimari ed escludendo la comunione ereditaria.
Il de cuius quindi dispone che a un determinato legittimario sia attribuito un legato in sostituzione della legittima: il testatore può attribuire per intero l’azienda a quel legittimario che, a suo giudizio, è in grado di gestirla.
Il legittimario in questione può scegliere tra l'acquisto o la rinunzia del legato:
-
se sceglie l’acquisto del legato, perde la sua qualifica di erede, perde il diritto di chiedere la riduzione per avere l'intera legittima; può chiedere il supplemento se il legato ha un valore inferiore alla legittima solo, ma solo se tale diritto sia stato previsto dal testatore;
-
se rinuncia al legato, risulta legittimario pretermesso e può esperire l'azione di riduzione.
Questo tipo di legato non va confuso con il legato in conto di legittima, perché questo è considerato come una donazione o una disposizione testamentaria.
Il legittimario può anche rinunziare all'eredità richiedendo, comunque, i legati e le donazioni che gli spettano in base a disposizioni testamentarie.

16. Tutela: azioni di riduzione e di restituzione. Dopo la riunione fittizia, il legittimario leso o pretermesso può esercitare l'azione di riduzione, che si divide in:
-
azione di riduzione vera e propria, con cui i legittimari rendono inefficaci le disposizioni del de cuius che ledono i loro diritti;
-
azione di restituzione, con cui l'attore recupera i beni ereditari posseduti da eredi apparenti o altri soggetti.
La riunione fittizia determina il valore netto dell'asse ereditario, mediante:
1.​la formazione dell'attivo relitto, comprendendo tutti i beni e i diritti appartenenti al de cuius al momento dell'apertura della successione;
2.​la determinazione del passivo e sua sottrazione dal relitto: per passivo si intende l'insieme dei debiti trasmissibili del de cuius e liquidati alla sua morte.
Se il passivo supera il relitto, il legittimario pretermesso o leso può soddisfarsi sulle donazioni, mentre il creditore del de cuius può soddisfarsi sui resti del relitto e sul patrimonio dell'erede puro e semplice o sul patrimonio dell'erede che ha accettato l'eredità senza il beneficio d'inventario;
3.​la determinazione dell'attivo donato; valutazione di tutti i beni e diritti attribuiti dal de cuius ad altri.
Una volta determinata la quota riservata a ciascun legittimario, si procede alla riduzione delle disposizioni lesive della legittima nell'ordine fissato dalla legge: 1 – sono ridotte le quote dei successori nominati dalla legge; 2 – sono ridotte le disposizioni testamentarie; 3– infine, se i legittimari non sono stati ancora soddisfatti, vengono ridotte le donazioni lesive della quota indisponibile cominciando dall'ultima che ha provocato la lesione e risalendo a quelle precedenti.
Se la separazione riguarda beni immobili non separabili e il legittimario ha nell’immobile un’eccedenza maggiore del quarto della quota disponibile, l’immobile si deve lasciare per intero nell’eredità, salvo il diritto di conseguire il valore della quota disponibile.
Se l’eccedenza non supera il quarto, il legittimario può ritenere tutto l’immobile compensando in danaro i legittimari.
I soggetti legittimati ad esercitare l'azione di riduzione sono:
* il legittimario leso;
* l'erede del legittimario, qualora gli subentri;
* l'avente causa del legittimario, ad esempio il compratore dell'eredità;
* il legittimario pretermesso dal testatore.
L'azione è soggetta alla prescrizione ordinaria di 10 anni, decorrente dall'apertura della successione.
Legittimazione passiva: l'azione di riduzione può essere promossa soltanto contro i soggetti che beneficiano della quota indisponibile e contro i loro eredi; l'azione di restituzione è promossa contro la totalità dei soggetti che detengono o posseggono i beni ereditari.
presupposti per l'azione di restituzione sono:
1.​l'accettazione dell'eredità con beneficio d'inventario, al fine di assicurare la tutela dei legatari e donatari estranei;
2.​che il legittimario deduca dalla legittima il valore di quanto abbia ricevuto a titolo di liberalità dal de cuius, salvo che questi lo abbia dispensato.
In conclusione:
-
con l'azione di riduzione, il legittimario-attore riconosce e accerta un suo dirittosui beni attribuiti dal de cuius ai beneficiari delle disposizioni lesive;
-
nel caso i beneficiari abbiano donato o alienato i beni ereditati a terzi, il legittimario-attore dovrà esperire l'azione di restituzione, che mira alla reintegrazione dei beni ereditari.
Il legittimario – attore ha l'onere di promuovere l'escussione preventiva dei beni del donatario o del beneficiario; i terzi subacquirenti possono, comunque, liberarsi dall'onere di restituzione corrispondendo al legittimario leso l'equivalente in denaro.

17. Nozione e fondamento. La successione legittima è la successione per volontà di legge; i presupposti sono:
* morte del de cuius senza testamento;
* l'esistenza di un testamento privo di disposizioni patrimoniali, o nullo, o annullato, orevocato;
* esistenza di un testamento che dispone solo per alcuni beni del de cuius: in questo caso, si la coesistenza di successione testamentaria e legittima.
​La successione necessaria è diversa perché si applica sia in presenza che in mancanza di testamento e stabilisce le persone a cui dovrà essere necessariamente attribuita una quota del patrimonio anche contro il testamento.
La successione legittima è regolata dal principio generale “il parente prossimo esclude il remoto”: comunque non ha luogo tra i parenti oltre il 6° grado.
Le categorie di successibili ex lege (secondo legge) sono:

coniuge – categoria particolare perché è l’unica formata da un solo soggetto che non è neanche parente del de cuius.

coniuge separato o divorziato;

i figli legittimi e naturali – concorrono in parti uguali;

i figli da adozione legittimante (adozione di < di età) – concorrono alla successione in parti uguali ai figli legittimi e naturali. Se il minore ha acquistato lo stato di figlio legittimo, succede non solo ai genitori adottivi, ma anche ai legittimi;

i figli da adozione ordinaria (adozione di > di età) – questi succede solo al genitore o ai genitori adottanti e non anche ai loro parenti;

i figli non riconoscibili e non riconosciuti (ma riconoscibili) – ai figli non riconoscibili e non riconosciuti la legge attribuisce un assegno vitalizio calcolato sulla quota che avrebbero percepito se fossero stati riconosciuti;

gli ascendenti legittimi – la successione degli ascendenti legittimi avviene per capi, ossia secondo il numero dei partecipanti, se si tratta dei genitori del de cuius e per stirpi, ossia secondo le singole discendenze, se si tratta di ulteriori ascendenti.

genitore naturale – al figlio naturale che non lasci prole né coniuge, succede il genitore naturale; se il de cuius risulta figlio naturale di entrambi i genitori essi concorrono tra loro per metà ciascuno.

fratelli e sorelle germani (nati dagli stessi genitori) – non succedono al de cuius qualora vi sia uno o più figli del defunto;
fratelli e sorelle unilaterali;

fratelli naturali – entrano in concorso nella successione se mancano parenti entro il 6° grado;

altri parenti – in mancanza di prole, coniuge, ascendenti, fratelli e loro rappresentanti, al de cuius succedono i parenti in linea collaterale più remoti (parenti in linea laterale);

lo Stato – è l'ultimo soggetto che può succedere e non risponde dei debiti e dei legati oltre il valore dell'eredità.
La successione legittima avviene, di regola, per classi o categorie; tuttavia deroga a tale principio sono i concorsi:
-
il coniuge concorre con i figli legittimi e naturali;
-
figli concorrono in parti uguali sia che siano naturali, legittimi o adottivi;
-
per i fratelli e le sorelle, germani e unilaterali, il codice ha previsto una divisione delle quote in base a criteri di fatto e non di diritto, cioè ai germani spetta il doppio della quota che è attribuita ai fratelli unilaterali;
-
per i parenti collaterali, il concorso è regolato in base al principio secondo cui il parente prossimo esclude quello remoto.

18. Il testamento. Il testamento è un negozio:
-
unilaterale e non recettizio: è valido indipendentemente dall'accettazione dei successori;
-
mortis causa, in quanto disciplina situazioni che sorgono per effetto della morte della persona;
-
solenne, in quanto è richiesta la forma scritta sotto pena la nullità;
-
necessariamente unipersonale, cioè solo una persona può essere l'autore e non può essere redatto tramite rappresentante;
-
sempre revocabile ad opera del suo autore fino al momento della morte.
Il testamento è la massima espressione dell'autonomia negoziale: infatti può avere come oggetto sia disposizione tipiche, come l'istituzione di una fondazione, sia atipiche come le disposizioni per le esequie, o il riconoscimento di un figlio naturale.
Requisito necessario per redigere e revocare il testamento è la capacità di testare, che comprende sia la semplice capacità d'agire che la capacità d'intendere e di volere.
Sono incapaci di testare: il minore, l'interdetto per infermità di mente e l’incapace naturale al momento della redazione del testamento; possono, invece, testare l'interdetto per sordomutismo o cecità dalla nascita e l'interdetto legale (condannato all'ergastolo).
Nei casi di incapacità, l'atto è annullabile su richiesta di chiunque vi abbia interesse e l'onere di fornire la prova dell'incapacità grava su colui che impugni il testamento.
È nullo il testamento a favore di determinati soggetti che hanno stretto particolari rapporti con il de cuius (tutore e protutore).

19. Forme di testamento. La legge distingue testamenti in:
A) testamenti ordinari, che si dividono loro volta in: testamento olografo; testamento peratto di notaio, che può essere pubblico o segreto.
B) testamenti speciali: sono forme particolari di testamento pubblico riconosciute solo per  determinate situazioni o circostanze eccezionali, come malattie contagiosecalamità pubblichetestamenti dei militari o assimilati in tempo di guerra.
Hanno un’efficacia limitata nel tempo infatti la perdono dopo tre mesi dal ritorno della situazione normale; se il testatore muore nel periodo dei 3 mesi, il testamento speciale viene pubblicato.
Il testamento olografo è interamente scrittodatato e sottoscritto di pugno dal testatore.
Per scrittura s'intende qualsiasi segno intelligibile che può essere interpretato: sono validi anche i testamenti in lingua straniera e sotto forma epistolare.
Il testamento olografo è scrittura privata con efficacia probatoria e qualunque intromissione di scrittura di terzi può inficiarne la validità, salvo che la scrittura esterna sia stata apposta successivamente alla redazione del testamento e all'insaputa del testatore.
La sottoscrizione ha la funzione di individuare il testatore e deve seguire e non precedere le disposizioni: la sua mancanza è causa di nullità.
La data è apposta all'inizio o alla fine del testamento e consta del giorno, mese ed anno di redazione: la sua funzione è quella di accertare la capacità del testatore e l'anteriorità del testamento rispetto ad altri; la sua mancanza non dà luogo ad invalidità e se non è completa o è errata si considera mancante.
Se i sono due o più testamenti con data uguale, i testamenti si integrano per le disposizioni compatibili, mentre vengono rese inefficaci quelle incompatibili.
Il testamento olografo presenta, però, numerosi inconvenienti: infatti la mancanza di tecnica e la sua struttura rendono possibile l’alterazione, la sottoscrizione, la distruzione e lo smarrimento.
Tuttavia il testatore potrebbe anche depositare il testamento dal notaio che, mediante un verbale, ne accerta la validità formale provvedendo alla custodia.
Il testamento pubblico è redatto interamente dal notaio dopo che il testatore gli ha esposto le sue ultime volontà davanti a due testimoni: tale forma ricorre soprattutto quando il testatore non può o non sa né scrivere né leggere.
Il ruolo del notaio non è solo quello di adeguare la volontà del testatore alla legge, ma anche quello di consigliargli le soluzioni tecniche più adeguate alla realizzazione delle sue ultime volontà.
Il testamento diviene pubblico dopo la lettura che il notaio fa in presenza dei 2 testimoni al testatore: il testamento deve essere sottoscritto dal testatore, dai testimoni e dal notaio; quest'ultimo deve trasmettere, entro 10 gg., una copia autentica del testamento all'archivio notarile distrettuale: la pubblicità è attuata con l'iscrizione nel registro generale dei testamenti.
Il testamento pubblico è nullo quando manca la redazione delle dichiarazioni del testatoread opera del notaio e quando manca la sottoscrizione del notaio; per gli altri vizi di forma il testamento pubblico è annullabile su richiesta dell'interessato.
Il testamento segreto si realizza in 2 fasi:
-
la prima riguarda la redazione della scheda testamentaria, che è fatta dal solo testatore ed è simile alla redazione del testamento olografo;
-
la seconda è la redazione dell'atto di ricevimento del testamento ad opera del notaio in presenza di due testimoni.
Se al testamento sono annessi altri fogli, devono essere sottoscritti come per il testamento, pena la nullità.
Il testamento segreto viene poi chiusosigillato e vigilato dal notaio che deve redigere il verbale di ricevimento della scheda.
Il testamento segreto è nullo quando manca la redazione delle dichiarazioni del testatore ad opera del notaio o quando manchi la sottoscrizione del notaio; per gli altri vizi di forma il testamento segreto è annullabile su richiesta di chiunque vi abbia interesse.
Il testamento segreto anche se invalido può valere come olografo qualora contenga i requisiti di quest’ultimo (c.d. conversione formale): il testatore, mediante un nunzio, può ritirare il testamento segreto od olografo dal notaio.
Infine vi è il testamento internazionale, che ha la funzione di creare un modello unico per gli Stati aderenti alla convenzione.
Tale testamento è caratterizzato da scrittura a mano, o con altro procedimento, ad opera del testatore o di altri soggetti, in qualsiasi lingua; è presentato all'ufficiale ricevente in presenza di 2 testimoni.
Requisito necessario è la sottoscrizione del testatore, dei testimoni e del pubblico ufficiale; tuttavia la sottoscrizione del testatore può anche mancare, purché ne sia indicata la causa.
Al testatore è rilasciato un attestato che accerta la validità del testamento.
Secondo il principio dell'insanabilità della nullità delle disposizioni, i legittimati perdono il diritto all'azione di nullità se, dopo la morte del de cuius, hanno confermato le disposizioni volontariamente ne hanno dato esercizio pur conoscendone le cause di nullità.
20. Pubblicazione del testamento. Dopo la morte del testatore occorre che il testamento sia reso conoscibile a tutti i potenziali interessati mediante la pubblicazione.
Chi detiene il testamento di un defunto deve chiedere la pubblicazione a un notaio che, alla presenza di due testimoni, redige un verbale procedendo all’apertura e alla pubblicazione del testamento.
La pubblicazione ha la forma della pubblicità-notizia e rende eseguibili gli effetti del testamento.

21. Volontà testamentaria ed elementi “accidentali”. Affinché il testamento sia valido occorre che la volontà del testatore sia stata manifestata liberamente; difatti, qualsiasi vizio della volontà è causa di annullabilità assoluta. Essi sono:

il dolo, sia determinante che incidente;

la violenza morale e anche il semplice timore reverenziale;

l’errore sul motivo; qualora tale motivo fosse illecito il testamento è nullo;

la captazione, ossia i raggiri che tendono ad accattivarsi la benevolenza del testatore deviandone la volontà;

l’errore ostativo non rende annullabile il testamento se è possibile accertare a quale oggetto o soggetto il testatore intendeva riferirsi.
Sono nulle le disposizioni che attribuiscono l’individuazione dell’oggetto o del soggetto rimesse alla volontà di un terzo: in tal caso infatti viene meno la personalità dell’atto.
Sono valide le disposizioni dell’anima e quelle a favore dei poveri, purché ne sia stato determinato l’oggetto.
Elementi accidentali: le condizioni impossibili o illecite si considerano come non apposte; il termine nelle disposizioni a titolo universale si reputa come non apposto, mentre può essere apposto alle disposizioni a titolo particolare.
Altro elemento accidentale è l’onere: è un peso imposto per volontà del disponente al beneficiario e ai suoi eredi.
L’onere illecito e impossibile si considera come non apposto, a meno che non costituisca l'unico motivo determinante della disposizione perché in tale ipotesi è invalida l’intera disposizione.
Differenza tra onere e legato:
-
nell’onere il beneficiario può essere un soggetto sia determinato che indeterminato;
-
nel legato, il beneficiario deve essere un soggetto determinato o almeno determinabile.
Differenza tra onere condizione:
-
la condizione incide sugli effetti della disposizione, sospendendoli o facendoli cessare con efficacia reale retroattiva fino al verificarsi di un determinato evento;
-
l’onere fa nascere un obbligo senza influenzare l’efficacia della disposizione: difatti, l’onerato acquista il legato o l’eredità indipendentemente dall’adempimento dell’onere.
[Onorato del legato è colui che acquista il legato, ossia il legatario o sublegatario; oneratoè, l’erede o il legatario, su cui grava un onere imposto dalla volontà del testatore].
L’onere può essere un obbligo e quindi può consistere in un’attività a vantaggio di un soggetto determinato o determinabile, o un’obbligazione: se ha contenuto patrimonialmente valutabile, ai fini dell'adempimento si applica la disciplina sull'obbligazione.
Se il testatore ha disposto che l’inadempimento dell’onere è causa risolutiva della disposizione o qualora l'onere rappresenti il solo motivo determinante della disposizione, i legittimati ad agire per la risoluzione sono, oltre i portatori di un interesse patrimoniale, anche gli eredi del testatore.

22. Legati: nozione e tipologie. Il legato è una disposizione mortis causa a titolo particolare in base alla quale il legatario succede in uno o più determinati diritti reali, o in più rapporti determinati che non vengono considerati come quota dell’intero patrimonio.
Il legato può avere fonte legale (ex lege) o testamentaria (ex testamento): in questo caso deve avere natura patrimoniale.
Il legato si acquista al momento dell’apertura della successione e non è richiesta l’accettazione del beneficiario; se il legato ha ad oggetto:
1)
un diritto reale su un bene determinato appartenente al testatore, il trasferimento si realizza fin dall’apertura della successione;
2)
un immobile, il legatario ha l’onere di trascrivere l'acquisto a suo favore e a carico del defunto esibendo, quale titolo, l'estratto autentico del testamento;
3)
un bene altrui, il legato è valido se il testatore era a conoscenza dell’altruità della cosa.
Tuttavia l’acquisto del diritto sulla cosa legata è differito, infatti se il legato:
a)
ha ad oggetto una cosa generica, l’acquisto avviene nel momento dell’individuazione;
b)
è alternativo, si realizza al momento della scelta;
c)
appartiene da un terzo, si realizza al momento dell’acquisto della cosa da parte dell’onerato.
Il legatario acquista il diritto al legato automaticamente e risponde dei debiti ereditari solo nei limiti del valore del legato (responsabilità limitata).
Il legatario può sempre rinunciare al legato finché non ha accettato e chiunque abbia interesse all’attribuzione del legato può esperire l’actio interrogatoria, facendo fissare un termine di decadenza dal tribunale, entro il quale il soggetto deve dichiarare se accetta o meno il legato. Tuttavia, il silenzio del legatario rende definitivo l’acquisto del legato, che si ritiene presunto.
L’onerato del legato è l’erede o il legatario su cui grava un onere imposto dal testatore; se l’onerato viene meno (es: per rinuncia, incapacità) l’onere passa a colui che gli subentra.
Il sublegato è un legato a carico di altro legatario, che è tenuto all’adempimento entro i limiti del valore del legato principale. Il sublegato non è un legato derivato: infatti è validoanche se è invalido il legato principale ed è efficace anche se è stato revocato o rifiutato il legato principale.
L’onorato del legato è colui che acquista il legato, ossia il legatario o sublegatario.
Il diritto dell’onorato presuppone l'efficacia del legato: se la cosa oggetto del legato è perita, il legato è inefficace.
Il legato deve gravare solo sulla quota disponibile del patrimonio, perché quella indisponibile è riservata ai legittimari: tuttavia il legato disposto a favore di quest'ultimi può gravare sulla quota indisponibile (es. legati in sostituzione e in conto di legittima).
Il legato comporta il trasferimento del possesso del bene al legatario; si verifica, quindi, l’accessione nel possesso, ossia il legatario ha la facoltà di unire il nuovo periodo di possesso a quello del de cuius.
In tale ipotesi il possesso del legatario è qualificato di buona o malafede in relazione al solo stato soggettivo del legatario all'inizio del suo possesso, indipendentemente da quello del de cuius.
Il prelegato è il legato a carico di tutti gli eredi e beneficiario è uno di questi (fra gli eredi vi è anche il prelegatario).
Il prelegatario può anche rinunciare al diritto all’eredità fermo restando il diritto al prelegato: la funzione del prelegato è quella di ridurre l’asse ereditario. Abbiamo vari tipi di legato:
-
di credito, ha per oggetto la cessione di un credito che il testatore vantava nei confronti di un terzo al momento dell'apertura della successione;
-
di liberazione del debito, è la remissione di un debito contratto dal legatario con il testatore;
-
a favore del creditore, il testatore menziona la volontà di estinguere un debito con il legato;
-
di cosa altrui, è valido solo se il testatore era a conoscenza dell’altruità della cosa, oppure la cosa, anche se altrui, apparteneva al testatore al momento dell’apertura della successione;
-
di alimenti, il testatore impone all’erede di corrispondere al legatario in stato di bisogno le somme necessarie per soddisfare le esigenze elementari di vita; rientrano nella categoria il legato:

di mantenimento, quando il legatario ha diritto ad un assegno periodicovariabile a prescindere dal suo stato di bisogno;

di rendita vitalizia, quando il legatario ha diritto ad un assegno periodicocostante a prescindere dal suo stato di bisogno.
-
di contratto, il legatario acquista un diritto di credito a ottenere che l’onerato stipuli con lui un contratto, con le eventuali clausole imposte dal testatore.

23. Sostituzioni e accrescimento. La rappresentazione, la sostituzione e l’accrescimento sono rimedi all’eventualità che il chiamato o il legatario non possano o non vogliano conseguire l’eredità o il legato.
La sostituzione ordinaria (o volgare) prevale sulla rappresentazione e questa prevale sull’accrescimento.
La sostituzione realizza la piena volontà del testatore, infatti, se il primo chiamato ex testamento (c.d. istituito) non possa o non voglia succedere, gli subentrano i c.d. sostituiti, chiamati in subordine.
È plurima quando ad un istituito subentrano più sostituiti o quando a più istituiti subentra un solo sostituito.
È reciproca quando il testatore ha previsto che gli istituiti possano sostituirsi reciprocamente l’uno agli altri.
Mentre la chiamata dell’istituito è immediata e diretta, quella del sostituito è sottoposta alla condizione dell'impossibilità e/o della volontà negativa dell'istituito di conseguire l'eredità o il legato.
Quando si verifica la sostituzione, il sostituito subentra all’istituito nella delazione e inizia a decorrere un nuovo tempo di prescrizione decennale dell’accettazione.
Nel periodo che va dalla sostituzione all’accettazione (periodo di pendenza), l’eredità è amministrata dal sostituito, che al momento dell’accettazione subentra all’istituito nella stessa posizione rispetto al de cuius.
La sostituzione fedecommissaria (art. 692) è l’istituto con cui il testatore impone all’erede o al legatario (istituiti) l’obbligo di conservare i beni, affinché alla sua morte tali beni siano consegnati ad un’altra persona (sostituito) indicato dal testatore stesso.
Limitazione apportata dalla riforma del diritto di famiglia del 1975, è che:
-
istituito può essere solo un interdetto necessariamente figlio, discendente o coniuge del testatore,
-
sostituito può essere solo la persona o l'ente che, sotto la vigilanza del tutore, ha avuto cura dell'interdetto medesimo.
L’istituito non può disporre liberamente dei beni, ma può soltanto goderne: si realizza quasi un usufrutto.
Il fedecommesso de residuo è un fedecommesso parziale, dove il testatore dispone che l’istituito può disporre liberamente dei beni ma soltanto inter vivos, cioè alla sua morte gli succede il sostituito, ma solo per ciò che è rimasto nel patrimonio dell’istituito.
È inoltre imposto il divieto di costituire per testamento un usufrutto a favore di più soggetti, in modo che ne godano uno dopo l'altro.
L’accrescimento ha luogo solo quando non possono operare né la sostituzione, nè la rappresentazione e se non è stato escluso a priori dal testatore.
Si ha accrescimento quando sono chiamate alla successione più persone congiuntamente ed una di esse non voglia o non possa accettare.
In tal caso, se ricorrono determinati presupposti, la quota di ciascun chiamato si accresce automaticamente abbracciando anche quella del chiamato che non ha accettato e gli eredi o i legatari subentrano anche nei suoi obblighi, salvo quelli personali.
Nel legato di usufrutto congiuntivo, disposto verso più contitolari, l'accrescimento opera anche quando viene a mancare uno dei legatari: in questo caso l’usufrutto permane interamente a favore dei rimanenti usufruttuari, per cui solo alla morte dell'ultimo di questi si avrà la consolidazione dell'usufrutto con la nuda proprietà dell’onerato.
L’accrescimento opera anche nella successione legittima, dove al mancato acquisto di uno dei successori istituito per legge, la sua quota va ad accrescere le quote dei restanti successori.
24. Caducità e revoca delle disposizioni testamentarie. Il testamento è sempre revocabile fin quando il testatore è in vita; è esclusa qualsiasi forma di rinunzia alla revoca.
Con la revoca, il testatore ritratta la volontà precedentemente espressa.
Presupposto per esercitare la revoca è la capacità di testare, intesa anche come capacità d’agire e di intendere e di volere; la revoca può essere:

totale, se è revocato tutto il testamento;

parziale, se è revocato solo un parte del testamento;

espressa, attuabile mediante la redazione di un altro testamento, o mediante un atto pubblico ricevuto dal notaio, in presenza di due testimoni;

tacita, se attuata con la redazione di un testamento posteriore incompatibile, del tutto o in parte, col precedente; anche con la lacerazione o distruzione del testamento olografo, con il ritiro del testamento segreto oppure con l’alienazione otrasformazione della cosa legata, si ha la revoca tacita.
La revoca può avere ad oggetto anche una o più precedenti revoche e l’effetto sarà lareviviscenza delle disposizioni precedentemente revocate: infatti, può essere revocato l’atto che contiene la revoca della revoca.
Le disposizione testamentarie, fatte da colui che ignorava l’esistenza di figli o discendenti legittimi, sono revocate di diritto (revoca legale).

25. Esecutore testamentario. Il testatore può nominare uno o più esecutori testamentari.
L’esecutore testamentario è tenuto a curare le disposizioni testamentarie; egli è titolare di un ufficio di diritto civile e il suo compito di curare le volontà del testatore si configura come un potere-dovere. L’esecutore testamentario per accettare (o rinunziare) deve presentare un atto di accettazione (o di rinunzia) presso la cancelleria dove si è aperta la successione e tale atto verrà annotato nel registro delle successioni.
Requisito necessario per esercitare la funzione di esecutore è la capacità di agire e la piena capacità di obbligarsi; possono essere esecutori anche l’erede o il legatario.
Nel caso l’esecutore non rispetti le volontà del testatore, la sua funzione può anche cessare per un provvedimento del presidente del tribunale (es: gravi irregolarità, inidoneità all’ufficio).
Un atto compiuto dall’esecutore, che produce effetti nei riguardi delle situazioni giuridiche soggettive del de cuius, è la divisione, che ha effetti reali immediati ed è impugnabile solo se ci sono iniquità, oppure se è contraria alle disposizioni del de cuius.
L’esecutore ha il compito fondamentale di curare l’esatta realizzazione della volontà testamentaria; può inoltre amministrare i beni ereditari prendendone possesso per 1 anno, salvo proroga per un altro anno e alienare i beni ereditari solo previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria.
In ogni caso l’esecutore è tenuto a non arrecare danni ai beni dell’eredità ed è obbligato a fornire il rendimento del conto.
L’ufficio dell’esecutore è normalmente gratuito e le spese sono a carico dell’eredità; tuttavia il testatore può prevedere una retribuzione per l’esecutore a carico dell’eredità.

26. Disciplina. La comunione ereditaria si ha quando più eredi succedono al medesimo de cuiuspresupposto è che ci siano più eredi titolari di una quota del patrimonio; sonoesclusi dalla comunione i legatari perché sono successori a titolo particolare nei singoli diritti.
Non tutte le situazioni giuridiche del de cuius possono far parte della comunione ereditaria:

debiti sono divisi automaticamente fra gli eredi che sono quindi obbligati per la loro pro quota ricevuta, salvo diversa disposizione del de cuius;

crediti sono ripartiti proporzionalmente fra gli eredi, salvo per i crediti indivisibili, dove gli eredi diventano contitolari.
La comunione ereditaria è disciplinata con le norme della comunione ordinaria, con alcune varianti: ogni coerede può cedere la propria quota, ma deve notificare la proposta di alienazione e il prezzo agli altri coeredi, che hanno il diritto di prelazione; tale diritto non sussiste quando il coerede aliena ad estranei i singoli beni relitti.
Se entro 2 mesi il titolare del diritto di prelazione non accetta la proposta del coerede alienante, questi può alienare la sua quota al terzo, secondo le sue condizioni.
Se il coerede aliena a terzi senza rispettare la prelazione degli altri coeredi, questi possonoriscattare il bene dal terzo, che non può opporsi.
Il diritto di riscatto può essere esercitato nei confronti del primo acquirente della quota o nei riguardi dei successivi aventi causa, finché dura lo stato di comunione ereditaria.
La divisione è lo scioglimento della comunione: con essa ogni contitolare diviene titolare esclusivo di determinate situazioni giuridiche soggettive; può essere:

amichevole, se si raggiunge contrattualmente;

giudiziale, quando manca il consenso di tutti i condividenti.
La divisione può essere chiesta da ciascuno dei coeredi in ogni momento; tuttavia ci sonoderoghe:
-
il testatore può imporre che la divisione si attui non prima che sia trascorso un anno dalla maggiore età dell’ultimo nato, qualora gli eredi o alcuni di essi siano minori di età.
-
la legge può imporre l’indivisibilità come per i fondi rustici, al fine di evitare che ne vengano diminuite le capacità produttive;
-
l’autorità giudiziaria può sospendere la divisione per un periodo non superiore ai cinque anni, qualora ne faccia richiesta uno dei coeredi o l'immediata divisione possa arrecare un notevole pregiudizio al patrimonio ereditario.
I contitolari, comunque, possono pattuire di rimanere in comunione per un tempo non maggiore ai 10 anni (patto di indivisibilità); tuttavia questo patto può essere sciolto dall’autorità giudiziaria nel caso di grave pregiudizio al patrimonio ereditario.
Nel caso uno o più coeredi siano nascituri, concepiti o non, la divisione può procedere solo previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria.
Quando i nascituri sono istituiti con determinazione delle quote, l’autorità giudiziaria si limita ad autorizzare la divisione assicurandosi che i nascituri non abbiano un diverso trattamento; quando i nascituri sono istituiti senza determinazione delle quote, l’autorità giudiziaria può escludere i nascituri dalla comunione e non solo dalla divisione.
Affinché la divisione sia valida, è necessario che essa sia attuata tra tutti i comunisti; se uno di questi ha alienato la sua quota ad un terzo, solo questi ha il diritto di partecipare alla divisione e non anche il coerede alienante.
La divisione può avere ad oggetto sia tutti i beni dell’eredità che una parte di questi: in quest’ultimo caso è chiamata divisione per stralcio.
Ciascun coerede può chiedere la propria quota in natura, cioè con una certa quantità di beni ereditari, senza procedere alla liquidazione; tuttavia questa regola è derogabile.
Se i coeredi che hanno diritto a più della metà dell’asse concordano la vendita al fine di pagare i debiti e i pesi, si procede alla vendita all'incanto dei beni mobili e quelli immobili.
Se vi sono immobili non comodamente divisibili, questi vengono compresi per intero nella quota di uno dei coeredi che ha diritto alla quota maggiore; se nessuno è disposto a ciò si procede alla vendita all’incanto degli immobili.
Una volta fatta la liquidazione, i condividenti devono procedere alla resa dei conti, accertando il ricavato dalle alienazioni e considerando le spese sopravvenute per la liquidazione.
Il valore dei beni è accertato con una stima che agisce considerando il valore dei beni: solo dopo di essa si procede alla formazione delle porzioni ai condividenti, che devono essere qualitativamente omogenee tra loro.
Ultima fase della divisione è l’assegnazione delle porzioni ai condividenti:

se le porzioni sono uguali si procede ad estrazione;

se sono diverse si procede all’attribuzione.
La divisione può essere anche prevista dal testatore che dispone non solo delle quote, ma può anche nominare un soggetto, purché non sia erede o legatario, che faccia la stima dei beni.
La divisione fatta dal testatore è vincolante per i coeredi che vogliono attuarla, salvo nei casi di iniquità.
Il testatore può dividere direttamente i suoi beni fra gli eredi e l’effetto si produce al momento dell’apertura della successione.
È nulla la divisione fatta dal testatore che non riesce a formare la quota per uno dei legittimari o degli eredi istituiti, nel caso non abbia lasciato beni a sufficienza.

 

27. Collazione. La collazione ereditaria è l’istituto per il quale i figli legittimi e naturali, i loro eredi e il coniuge superstite che hanno ricevuto donazioni dal defunto devono riammetterle nell’asse ereditario, salvo dispensa del de cuius.
La funzione della collazione è quella di realizzare un equilibrio e una parità di trattamento fra i coeredi.
La collazione si basa sul concetto secondo cui il de cuius, nel donare ad uno dei figli o al coniuge un bene, abbia voluto anticipargli la porzione che gli sarebbe spettata alla sua morte, sia nel caso di successione legittima che testamentaria.
La collazione si differenzia dall’azione di riduzione, perché questa può essere esperita da tutti i legittimari lesi o pretermessi e mira a garantire la quota di riserva.
La collazione invece può essere esperita solo dai figli legittimi e naturali, dai loro eredi e dal coniuge superstite e al solo scopo di assicurare la parità di trattamento fra i coeredi.
La collazione si differenzia dall’imputazione ex se, che serve per l’esercizio dell’azione di riduzione, in quanto con essa il legittimario leso o pretermesso imputa le donazioni ricevute dagli altri legittimari alle loro quote, quindi le riduce.
La collazione si differenzia dalla riunione fittizia, perché in essa non c’è uno spostamento di beni.
La collazione opera mediante un prelegato che è anomalo, perché è a favore e a carico di tutti i coeredi prima indicati, ed è ex lege, perché disposto dalla legge.
La collazione si costituisce con un’obbligazione e può farsi in due modi:
1.
in natura, conferendo i beni ricevuti dal de cuius all’asse ereditario;
2.
per imputazione, sottraendo dalla porzione il valore dei beni ricevuti in donazione.
-
Beni immobili: la collazione opera sia in natura che per imputazione; per i beni mobili, invece, solo per imputazione.
-
Beni deteriorabili o consumabili: la collazione opera sul valore o sul prezzo corrente del bene.
-
Denaro: la collazione è effettuata tenendo presente il valore nominale, ossia il valore riportato sul titolo.
Ai soggetti che rimettono le donazioni per collazione spetta un riconoscimento per le spese e i miglioramenti.
Oggetto sono tutte le donazioni dirette e indirette, salvo le donazioni modiche fatte al coniuge, le spese di mantenimento e di educazione dei figli, le spese di abbigliamento o per le nozze, le spese per l’istruzione artistica, ecc.
La collazione può essere anche imposta e prevista dal donante.
Le donazioni, tuttavia, possono essere anche liberate dalla collazione mediante la dispensadel donante – testatore, che può essere espressa o desumibile da circostanze inequivocabili.

Parte nona: Tutela giurisdizionale e prove
A. Tutela giurisdizionale.
1. Diritto essenziale e norme processuali. L’autotutela, ossia la difesa di un diritto fatta dal titolare, è ammessa dall’ordinamento solo in ipotesi eccezionali, perché nessuno può farsi giustizia da sé, ma può agire in giudizio per difendere i propri diritti e i propri interessi legittimi.
Le norme sostanziali regolano i comportamenti dei consociati e tutelano i loro diritti e interessi; nel caso le norme sostanziali siano violate operano le norme strutturali, che disciplinano l’attività del giudice e delle parti durante il processo.
Le situazioni non sempre sono tutelate dal processo, ma a volte sono previste dal diritto sostanziale.
La tutela giurisdizionale ha come principio la tutela dei diritti e degli interessi dei consociati, applicando imparzialmente le norme vigenti durante il processo; il suo esercizio è svolto dalla magistratura.
Il processo è una sequenza di atti rivolti all’attuazione delle norme sostanziali.
Il diritto processuale è un insieme di norme che disciplina l’attività del giudice e delle parti nel processo; il diritto processuale è:
• civile, se le controversie hanno natura civilistica;
• amministrativo, se le controversie interessano i consociati e la pubblica amministrazione.

2. Giurisdizione e codice civile. Il libro sesto del codice civile disciplina gli istituti che devono garantire la tutela dei rapporti giuridici; tale giurisdizione ha preso spunto dalla “Relazione al Re”.
3. Riforme della giustizia civile. La giurisdizione civile italiana è disciplinata da numerose fonti tra cui troviamo al vertice la costituzione, e il codice di procedura civile che è legge ordinaria.
L’originario disegno processuale prevedeva un processo tendenzialmente orale, poi, con la riforma del 1950, è stato introdotto un processo svolto totalmente mediante scambio di documenti scritti.
La riforma del 1990 ha cercato di alleggerire e quindi di velocizzare la giustizia civile introducendo ad esempio il giudice di pace, che si occupa delle controversie di minor rilievo.
I tempi processuali restano, comunque, troppo lunghi, intollerabili e dispendiosi: questi motivi hanno portato i consociati a diffidare della tutela giurisdizionale e ad autotutelarsi mediante clausole di autotutela o mediante clausole arbitrali, ossia con l’intervento di un arbitro nel caso sorgono presunte controversie.
4. Regole generali del processo civile. L’azione è il diritto di rivolgersi al giudice per ottenere il riconoscimento e/o l’attuazione della situazione giuridica soggettiva di cui si è titolari; chi esercita l’azione è detto attore, mentre colui contro il quale l’azione è rivolta è detto convenuto.
Il processo civile è un mezzo di tutela degli interessi privati e si sviluppa solo su impulso della parte, cioè il giudice può procedere solo su domanda dell’attore, attenendosi a quanto gli è chiesto; tuttavia, solo in ipotesi eccezionali, l’autorità giudiziaria può agire d’ufficio.
In ipotesi previste dalla legge, legittimato ad agire e ad intervenire è anche il pubblico ministero (p.m.), quale organo che opera nell’interesse della collettività.
Il giudice non può decidere sulla domanda dell’attore, se il soggetto passivo (convenuto) non ha avuto la possibilità di presentare le proprie ragioni (contraddittorio).

5. La competenzaLa competenza giurisdizionale è l’idoneità di un organo giudiziario di decidere una specifica controversia.
La ripartizione della competenza tra i diversi tipi di giudice può essere fatta:
• in base al valore economico dell’oggetto della controversia;
• in base alla natura del rapporto controverso;
• in base alle funzioni attribuite dalla legge all’organo giudiziario.

Per quanto riguarda le Corti, per decidere a quale corte spetta la decisione della specifica controversia, è utilizzato il criterio territoriale.
6. Tutela cognitivaIl processo di cognizione è il procedimento di individuazione della norma di diritto sostanziale da applicare al caso concreto; questo procedimento ha come carattere esenziale la funzione di accertamento e si conclude con una sentenza che può essere dichiarativa, costitutiva, o di condanna.
La sentenza dichiarativa (o di mero accertamento) ha la funzione di accertare la situazione giuridica (es.: la pronuncia di nullità del contratto); gli effetti prodotti dalla sentenza dichiarativa retroagiscono ex tunc, ossia dall’inizio.
La sentenza costitutiva ha la funzione di costituire, modificare o estinguere dei rapporti giuridici (es.: la pronuncia di annullamento del contratto); i suoi effetti si producono ex nunc, ossia dal momento della pronuncia. La sentenza costitutiva è detta:
• necessaria (giurisdizione costitutiva necessaria), quando è richiesta la decisione dell’autorità giudiziaria per la costituzione, modificazione o estinzione di determinate situazioni giuridiche sottratte alla disponibilità dei singoli, in quanto la sola dichiarazione di volontà delle parti è insufficiente per la produzione degli effetti;
• non necessaria (giurisdizione costitutiva non necessaria), quando la costituzione, modificazione o estinzione di una situazione giuridica è rimessa alla disponibilità delle parti e più precisamente al consenso o rifiuto del soggetto passivo.
La sentenza di condanna ha come effetto il comando fatto dal giudice, alla parte soccombente, di tenere un determinato comportamento per l’attuazione di un diritto dell’altra parte vincente; il comportamento comandato può avere ad oggetto un dare, un fare o un non fare. La sentenza di condanna è esecutiva e costituisce titolo per l’esecuzione forzata sia in forma generica che in forma specifica.

7. Gradi di giurisdizione. Il giudicatoL’ordinamento consente alla parte soccombente di far riesaminare la controversia al giudice di grado superiore; tuttavia, tale riesame ha dei limiti, come l’incontrovertibilità espressa dalla formula cosa giudicata che indica che la pronunzia giurisdizionale di un determinato rapporto non è più impugnabile.
Nel nostro sistema i gradi di giurisdizione sono due: giudizio di primo grado e giudizio di secondo grado o di appello: ogni grado di giudizio si conclude con una sentenza.
Con il riesame, la parte soccombente può promuovere un ulteriore grado di giudizio ed ottenere una nuova pronunzia; è previsto anche un grado ulteriore di riesame che il giudizio di Cassazione.
La sentenza si considera passata in giudicato quando ha esaurito i possibili riesami e, di conseguenza, non può più essere oggetto di altro giudizio, nemmeno tra le parti.
L’incontrovertibilità processuale della sentenza, espressa con la formula “cosa giudicata”, implica il carattere definitivo e immutabile di una sentenza, la quale non può essere oggetto di riesame.
8. Svolgimento del processo ordinario di cognizione di primo gradoIl processo ordinario di cognizione di primo grado inizia con la domanda giudiziale proposta mediante l’atto di citazione.
L’atto di citazione è l’atto con il quale l’attore esercita l’azione chiamando in giudizio il convenuto; esso contiene le richieste dell’attore e i mezzi di prova dei quali lui vuole avvalersi.
La comparsa di risposta è l’atto scritto mediante il quale il convenuto prende conoscenza dell’atto di citazione, pone le proprie ragioni, indica le prove di cui vuole avvalersi, chiede l’autorizzazione della chiamata in causa di un terzo e formula le proprie conclusioni.
Il convenuto per ottenere il rigetto della domanda contro di lui proposta può:
● negare i fatti vantati dall’attore;
● presentare fatti impeditivi, modificativi o estintivi;
● sostenere una diversa interpretazione delle norme da applicare;
● proporre una domanda riconvenzionale esercitando a sua volta azione; questa nuova azione deve essere inerente all’azione originaria proposta dall’attore e può essere sia autonoma che inserita nel processo precedente.
L’attore e il convenuto devono costituirsi depositando ognuno di loro in cancelleria un fascicolo che presenta l’atto di citazione per il fascicolo dell’attore e la comparsa di risposta per il fascicolo del convenuto, le prove di cui vogliono avvalersi, le proprie conclusioni.

Di regola, è l’attore a costituirsi per primo: se nessuno si costituisce, il processo si estingue; se una sola delle parti si costituisce, l’altra è dichiarata contumace (colui che non si presenta in giudizio).
L’attività delle parti in giudizio si esplica mediante l’attività dei rispettivi avvocati.
La fase successiva è quella istruttoria, dove il giudice istruttore raccoglie le prove presentate dalle parti e può anche emettere provvedimenti anticipativi della sentenza come l’ordinanza che è titolo esecutivo modificabile e revocabile.
Dopo la raccolta delle prove, vi è la fase decisoria, dove il giudice istruttore si costituisce come giudice unico. Egli consente alle parti di scambiarsi le comparse conclusionali, ossia atti dove sono riproposte le proprie tesi, le proprie conclusioni e le proprie richieste; questo scambio deve avvenire entro 60 giorni.
La sentenza è resa pubblica mediante il suo deposito in cancelleria da parte del giudice che l’ha pronunziata. Dal momento della notifica della sentenza fatta dall’interessato al convenuto, iniziano a decorrere i termini di impugnazione.
9. ImpugnazioneLa sentenza di I grado è immediatamente esecutiva; tuttavia, la parte soccombente, parzialmente o totalmente, può impugnare la sentenza dinanzi al giudice di II grado.
Con la riforma del ’90, l’impugnazione, che deve essere fatta entro 10 o 30 giorni a seconda della sentenza, produce un giudizio di merito che riesamina la ricostruzione del fatto, la sua valutazione e l’applicazione delle norme.
Contro la sentenza di secondo grado, la parte soccombente può impugnare tale sentenza di fronte alla Corte di Cassazione che valuta i possibili errori di interpretazione o errori nell’applicazione delle norme.
La Corte di Cassazione è unica e ha sede a Roma; la sua funzione è quella di uniformare l’interpretazione della legge.
Qualora la Corte di Cassazione accolga il ricorso può anche rinviare la causa ad un altro giudice di pari grado a quello precedente e questo giudice, anche se ha poteri autonomi, deve attenersi ai principi dettati dalla Corte. Gli istituti di impugnazione sono:
● la revocazione è un’impugnazione proposta dalla parte soccombente che denuncia il vizio di volontà del giudice che ha pronunciato la sentenza.
La r. ordinaria è proponibile entro 30 giorni dalla notificazione della sentenza, pena la non possibilità di impugnare; la r. straordinaria può essere chiesta anche dopo i 30 giorni nel caso in cui vengono scoperti dolo o falsità o recuperati documenti occultati o dispersi;
● l’opposizione di terzo è un’impugnazione straordinaria in quanto ha per oggetto sentenzepassate in giudicato. I soggetti legittimati all’opposizione della sentenza del giudice sono sia tutti coloro che sono titolari di un diritto incompatibile con quello trattato nella sentenza (opposizione ordinaria), sia i creditori o gli aventi causa del soccombente danneggiati dalla sentenza (opposizione revocatoria).
10. Procedimenti speciali di cognizioneOltre al procedimento ordinario di cognizione, la legge prevede forme abbreviate chiamate procedimenti speciali di cognizione.
Il procedimento per ingiunzione è applicabile solo per crediti che hanno ad oggetto una determinata somma di denaro o una determinata cosa fungibile o un determinato mobile.
Il decreto ingiuntivo è l’atto con il quale il giudice, una volta esperita una cognizione sommaria e senza contraddittorio (cioè senza aver sentito l’altra parte), ingiunge (ordina) al debitore di adempiere entro 40 giorni dalla notifica della sentenza.
Il debitore, una volta ricevuta la notifica, può proporre opposizione al decreto ingiuntivo e si apre un processo ordinario di cognizione.
Nel caso manca l’impugnazione, il decreto ingiuntivo passa in giudicato a titolo esecutivo, consentendo l’esecuzione forzata.
Per quanto riguarda il procedimento per convalida di sfratto, esso è chiesto dal locatore o affittante i quali, senza ricorrere al procedimento ordinario di cognizione, possono ottenere il titolo esecutivo per la consegna o il rilascio della cosa mediante intimazione al conduttore.
Nel caso l’intimato non si oppone o non compare, il titolo acquista efficacia esecutiva; se vi è opposizione, si verifica risoluzione del rapporto e il rilascio della cosa.
L’opposizione è ammessa anche dopo la convalida del titolo nel caso l’intimato dimostri di non essere venuto a conoscenza dell’intimazione o non ha potuto comparire all’udienza.
11. Processo del lavoroLa disciplina della controversia in materia di lavoro è stata profondamente innovata e tale riforma ha ripristinato i principi di oralità, concentrazione e speditezza.
L’azione non si esercita con citazione, ma con ricorso diretto al giudice competente per materia; il proponente deve presentare la domanda indicando i fatti e le prove.
Il tribunale fissa l’udienza dove vengono assunte le prove e discussa la causa; il giudice, poi, pronuncia oralmente la sentenza motivandola.
Alla fine, lo stesso giudice che ha pronunziato la sentenza deposita quest’ultima in cancelleria.
12. Tutela esecutivaNel caso in cui il comando contenuto in una sentenza non è rispettato dal convenuto, l’attore può esercitare l’azione esecutiva.
L’esecuzione forzata è l’impiego effettivo o potenziale della forza dello Stato nei confronti del convenuto che non ha rispettato l’ordine; la sua funzione è quella di soddisfare l’interesse dell’attore. Infatti, se Tizio, anche se obbligato, si rifiuta di consegnare una cosa a Caio, con l’esecuzione forzata lo Stato prende materialmente il bene da Tizio e lo consegna a Caio; si ha quindi una sostituzione dello Stato nella posizione dell’obbligato, affinché venga soddisfatto l’interesse dell’attore.
Nel caso di prestazioni infungibili, l’attore non può chiedere l’esecuzione coattiva, ma può pretendere il risarcimento del danno.
13. Titolo esecutivoPer procedere all’esecuzione forzata è necessario un titolo esecutivo accertato da sentenza; sono titoli esecutivi: le cambiali, gli assegni, le condanne e i decreti ingiuntivi passati in giudicato.
Il titolo esecutivo deve essere notificato al debitore insieme al precetto, che è un'intimazione ad adempiere entro il termine stabilito, pena l’esecuzione coattiva.
Il soggetto contro il quale è stato promosso il processo esecutivo può opporsi all’esecuzione con un processo di cognizione, indicando l’inesistenza del titolo o la non pignorabilità del bene.
Se il convenuto si oppone agli atti esecutivi, egli contesta la regolarità del precetto, della notificazione del titolo esecutivo.
Anche il terzo che vanta un diritto verso i beni oggetto del pignoramento forzato può opporsi all’esecuzione dinanzi al giudice.
14. Esecuzione forzata in forma specificaL’esecuzione coattiva diretta o in forma specifica è applicata solo per le prestazioni che non hanno ad oggetto il pagamento di una somma di denaro.
Nel caso d’inadempimento di un obbligo di consegna o di rilascio, il creditore, munito del titolo esecutivo, ricorre al pubblico ufficiale che procede alla spossessamento coattivo dell’obbligato inadempiente; se la cosa è stata alienata a terzi, l’avente diritto si deve accontentare di un risarcimento del danno.
Nel caso di inadempimento di un obbligo di fare, il creditore può ottenere che la prestazione sia eseguita da un terzo a spese dell’obbligato, previa presentazione a quest’ultimo del titolo esecutivo e del precetto.
Nel caso di inadempimento di un obbligo di fare infungibile, l’avente causa ha diritto soltanto al risarcimento del danno, in quanto la prestazione è ad intuitu personae.
Nel caso di inadempimento di un obbligo di non fare, l’avente diritto può ottenere la distruzione dell’opera illecita dell’obbligato e il ripristino della situazione preesistente, con spese a carico dell’obbligato inadempiente; nel caso l’opera illecita dell’obbligato inadempiente fa parte dell’economia nazionale, all’avente causa spetta solo un risarcimento del danno.
15. Tutela del diritto al consenso. Se colui che è obbligato a concludere un contratto non adempie l’obbligazione, l’altra parte, qualora sia possibile e non sia escluso dal titolo, può ottenere una sentenza che produca gli effetti del contratto non concluso (art. 2932 c.c.).
Il procedimento e la relativa sentenza presentano i caratteri della tutela cognitiva, cioè non occorre un titolo esecutivo, la domanda è proposta con citazione, la sentenza è impugnabile fino al passaggio i n giudicato.
La tutela cognitiva non opera per i contratti reali come il mutuo, il comodato, il deposito, perché il soddisfacimento degli interessi presuppone il materiale trasferimento della cosa oggetto del contratto.
16. Esecuzione forzata per espropriazione. L’esecuzione coattiva in forma generica o espropriazione forzata ha la funzione di convertire in denaro determinati beni del debitore per soddisfare il creditore: essa opera quando il debito inadempiuto ha per oggetto il pagamento di una somma di denaro.
I beni espropriati al debitore sono quelli che formano la garanzia patrimoniale generica; essi sono venduti mediante asta pubblica ed il ricavato va a soddisfare non solo il titolo esecutivo del creditore, ma anche gli interessi e le spese processuali.
L’espropriazione si realizza in 3 fasi:
1. pignoramento; il creditore insoddisfatto, previa notifica del titolo esecutivo e del precetto, da inizio al pignoramento dei beni del debitore inadempiente, mediante l’ufficiale giudiziario. Se i beni sono immobili, il pignoramento deve essere iscritto nei registri immobiliari.
Il pignoramento non priva il debitore del suo diritto di proprietà, ma rende inefficace tutti i possibili atti dispositivi dello stesso; il pignoramento colpisce anche beni alienati a terzi, fatti salvi i beni acquistati in buona fede.
2. vendita forzata; il pignoramento è seguito dalla vendita forzata dei beni e, sul ricavato, il creditore si soddisfa del credito vantato. Si ha quindi una trasformazione in denaro (liquidazione) dei beni del debitore inadempiente. L’acquirente dei beni sottoposti a pignoramento è scelto mediante pubblico incanto (vendita al miglior offerente).
3. attribuzione del ricavato al creditore o assegnazione del bene al creditore; con il ricavato della vendita forzata dei beni pignorati vengono soddisfatti i creditori:
• se il ricavato è superiore ai crediti da soddisfare, ciò che resta viene restituito al debitore;
• se il ricavato è insufficiente per soddisfare i creditori, questi ultimi dividono il ricavato in proporzione al credito, salvo per i creditori muniti di prelazioni, i quali vengono soddisfatti per intero.

Il creditore può anche richiedere l’assegnazione dei beni pignorati ad un determinato prezzo.
17. Tutela cautelareTra la promozione della domanda di cognizione (processo di cognizione), o dalla domanda di esecuzione e l’emanazione del provvedimento richiesto trascorre un periodo di tempo nel quale possono accadere eventi o fatti che possono ledere l’azione promossa dall’attore. Per scongiurare tale pericolo l’attore può richiedere un provvedimento provvisorio cautelare che tuteli l’azione promossa.
presupposti affinché il giudice emetta il provvedimento cautelare sono: l’esistenza di un diritto e il possibile verificarsi di un danno durante lo svolgimento del processo.
Questo provvedimento ha natura provvisoria, perché perde efficacia con l’emanazione o la negazione del provvedimento richiesto.
L’emanazione del provvedimento provvisorio cautelare si svolge in tre fasi:
• prima fase: il giudice, previo accertamento dei presupposti richiesti, autorizza o nega il provvedimento;
• seconda fase: il giudice attua il provvedimento promosso;
• terza fase: vi è l’impugnazione di tale provvedimento da parte del convenuto dinanzi ad un giudice diverso da quello che ha emanato il provvedimento provvisorio cautelare.

Tutte le fasi si svolgono in contraddittorio, cioè il giudice sente le ragioni del convenuto; la pronunzia con decreto senza contraddittorio ha natura eccezionale.
Esempi di provvedimenti provvisori cautelari sono:
- sequestro giudiziario: custodia della cosa della cui proprietà o possesso è controversa la titolarità;
- sequestro conservativo: custodia dei beni del debitore che fanno parte della garanzia generica, contro il pericolo di sottrazione o alienazione;
- procedimenti di istruzione preventiva: a questi provvedimenti si ricorre quando un mezzo istruttorio deve essere assunto prima dell’inizio del giudizio di merito (es: assunzione preventiva di testimoni, i quali si teme che non possano in futuro deporre);
- provvedimenti d’urgenza: impediscono che la durata del processo leda l’attore che ha ragione e assicurano provvisoriamente gli effetti della successiva decisione sul merito;
- provvedimenti possessori: hanno ad oggetto la reintegrazione o la manutenzione del possesso.

18. Giurisdizione volontaria. La giurisdizione volontaria è costituita da un insieme di provvedimenti che hanno ad oggetto rapporti di diritto privato e che sono affidati ad organi giurisdizionali.
La giurisdizione volontaria si differenzia dalla giurisdizione contenziosa, perché la prima non risolve controversie, ma integra, assiste e controlla l’attività dei privati nei loro interessi e nell’interesse generale.
Questi provvedimenti sul piano strutturale hanno caratteri comuni; difatti, l’atto deve avere la forma del ricorso, la decisione è fatta in camera di collegio.
Esempi sono la dichiarazione di assenza o morte presunta, l’interdizione o l’inabilitazione.
19. Tutela arbitraleLe parti possono rimettere ad arbitri privati la decisione delle loro controversie sottraendole alla cognizione dei giudici statali.
L’arbitrato presuppone un accordo negoziale che può essere di due tipi:
1. compromesso: è un atto negoziale con cui le parti decidono di far risolvere una controversia già sorta tra di loro ad arbitri;
2. clausola compromissoria: è la clausola con la quale le parti decidono di sottoporre ad arbitri tutte le future controversie che potrebbero sorgere nell’ambito di quel determinato contratto.

Per tutte e due è richiesta la forma scritta pena la nullità.
I soggetti legittimati alla stipula dell’accordo arbitrale sono le parti del contratto; essi vincolano che la decisione della controversia sia rimessa ad un arbitro e non possono, quindi, proporre domanda dinanzi a un giudice naturale (statale).
Gli arbitri possono giudicare sia secondo diritto che secondo equità; essi possono rilevare d’ufficio la nullità del contratto, ma tale nullità non colpisce la clausola compromissoria che è autonoma.
La Corte Costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’arbitrato obbligatorio ex lege, cioè non fondato sulla volontà delle parti.
L’arbitrato vero e proprio è detto arbitrato rituale e si differenzia dall’arbitrato irrituale o libero, perché l’arbitrato rituale è disciplinato minuziosamente dal codice di procedura civile e le sue sentenze hanno la stessa efficacia delle sentenze del giudice naturale (statale), mentre l’arbitrato irrituale o libero produce effetti solo sul piano negoziale e può essere attribuito dalle parti agli arbitri anche con foglio bianco (biancosegno).
Diverso dall’arbitrato è l’arbitraggio, dove l’arbitratore non risolve le controversie del rapporto, ma integra un contratto concluso ma incompleto.
Altra figura diversa sia dall’arbitrato che dall’arbitraggio è la perizia contrattuale con la quale le parti rimettono a terzi qualificati le valutazioni di carattere tecnico e non giuridico che le parti si impegnano ad accettare.
Gli arbitri possono essere uno o più di uno, ma sempre in numero dispari e possono essere sia cittadini italiani che stranieri; sono esclusi dalla facoltà di essere arbitri i minori, gli interdetti, gli inabilitati e i falliti.
L’ufficio arbitrale si perfeziona mediante l’accettazione scritta da parte dei soggetti designati; nel caso questi ultimi non adempiano oppure vi rinunziano, essi sono tenuti al risarcimento dei danni recati e possono essere anche sostituiti.
Gli arbitri hanno diritto sia al rimborso delle spese che all’onorario, salvo non vi abbiano espressamente rinunziato.
Non sono rimesse alle decisioni degli arbitri le cause di stato e quelle di separazione dei coniugi; per quanto riguarda le controversie in materia di lavoro, esse possono essere rimesse all’ufficio arbitrale solo se tale metodo è previsto dai contratti o accordi collettivi e se non è preclusa la possibilità di rivolgersi all’autorità giudiziaria competente.
Non sono rimesse all’ufficio arbitrale le controversie in materia di previdenza e di assistenza obbligatorie e le controversie assegnate al giudice amministrativo.
L’arbitrato si instaura quando una parte notifica l’atto di manifestazione di volontà di ricorrere agli arbitri e, quindi, propone la domanda.
L’arbitrato è disciplinato dalla convenzione arbitrale o dalla disciplina pattizia; in mancanza di tali norme, gli arbitri possono agire come ritengono più opportuno.
Gli arbitri possono anche assumere le prove, ma non possono disporre sequestri o altri provvedimenti cautelari; essi, comunque, possono sempre rimettere gli atti alla Corte Costituzionale.
La decisione degli arbitri è detta lodo; esso è ammesso nel termine stabilito dalle parti o, in mancanza, entro 180 giorni e la scadenza del termine rende nullo il lodo. Il lodo è deliberato a maggioranza, redatto per iscritto e consegnato a ciascuna delle parti; con l’ultima sottoscrizione, il lodo acquista efficacia vincolante per le parti.
Ciascuna delle parti può depositare il lodo presso la cancelleria del tribunale, il quale conferisce al lodo con decreto efficacia esecutiva (omologazione del lodo).
Il lodo può essere impugnato dinanzi alla Corte d’appello e può essere proposta l’impugnazione per nullità se il lodo è stato pronunciato da chi non ne aveva potere, se non è stata rispettata la convenzione arbitrale, se non è stato rispettato il contraddittorio, se manca una motivazione valida.
Il lodo può essere revocato per dolo di una delle parti o dell’arbitro oppure se le prove erano false; ci può essere opposizione al lodo anche da parte dei creditori di una delle parti quando il lodo arreca loro danno.
L’arbitrato internazionale si applica quando una delle parti ha residenza o sede all’estero o la controversia riguarda un rapporto da eseguirsi tutto o in gran parte all’estero.
Mentre il lodo nazionale è sottoposto ad omologazione del tribunale, il lodo estero è soggetto a riconoscimento o della Corte d’appello o della Corte di Roma.

B. Prove.
20. Principio dispositivo e onere della prova. Per decidere una controversia, il giudice deve risolvere sia la questione di fatto, ossia deve accertare se le affermazioni delle parti sono fondate, sia la questione di diritto, ossia ricercare e individuare le norme applicabili.
L’individuazione, l’interpretazione e l’applicazione delle norme sono compiti del giudice, mentre l’allegazione dei fatti è un compito delle parti.
Le parti devono provare i fatti allegati assolvendo all’onere della prova. Esempio, per far valere il suo diritto al risarcimento, il danneggiato deve provare che il convenuto è l’autore del fatto dannoso, che il fatto è stato compiuto con dolo o colpa, che dal fatto deriva un danno, deve provare l’entità del danno.
L’onere di allegare i fatti e l’onere della prova fanno parte del principio dispositivo.
Il giudice non può assumere di sua iniziativa prove non proposte dalle parti, salvo nei casi di interessi indispensabili.
Nel caso di interessi disponibili, le parti possono decidere anche l’inversione della prova, ossia l’onere della prova spetta non più al convenuto ma all’attore; tale inversione può essere disposta anche per legge.
21. Nozione e caratteri. Le prove sono gli strumenti mediante il quale il giudice accerta la validità dei fatti allegati dalle parti. I mezzi di prova sono solo quelli previsti dall’ordinamento e sono l’esibizione di cose e di documenti e l’interrogazione delle parti e dei terzi.
Le prove si distinguono in:
● prove documentali; sono prove formate prima del processo e, quindi, precostituite;
● prove semplici; si costituiscono durante la fase istruttoria del processo;
● prove legali; esempio è l’atto pubblico;
● prove liberamente apprezzabili; esempio è la testimonianza;
● prove dirette storiche; quando consistono nella rappresentazione o esposizione del fatto;
● prove indirette logiche; quando il fatto è desunto mediante congetture.

22. Singoli mezzi di prova: prove documentali. Il documento è qualunque mezzo materiale idoneo a rappresentare un fatto; i più importanti sono:
● atto pubblico, è l’atto redatto dal notaio o da altro pubblico ufficiale. Esso vincola il giudice nella valutazione dello stesso in quanto l’atto pubblico fa piena prova, salvoquerela di falso, cioè se viene dimostrata la falsità del documento;
● scrittura privata, è l’atto redatto per iscritto e sottoscritto dalle parti con firma autografa. Essa a differenza dell’atto pubblico non fa piena prova, perché è necessario che il sottoscrittore riconosca la sottoscrizione;
● scrittura privata autenticata, è l’atto redatto dalle parti e sottoscritto davanti ad un pubblico ufficiale, il quale attesta l’autenticità della firma. Essa è valida se l’autore non la disconosce entro la prima udienza;
● telegramma e telefax, la loro validità è provata, come per la scrittura privata, se l’originale è stato sottoscritto dal mittente;
● riproduzioni meccaniche (fotografie), la legge afferma che sono valide solo se colui che le utilizza non ne disconosce la conformità.

Particolare importanza ha la data di scrittura:
● se non è stata apposta sul documento, essa può essere provata dalle parti con presunzioni;
● se, invece, è stata apposta, la data vale fino a prova contraria.
Se la data risulta da atto pubblico, o da scrittura privata autenticata, essa è opponibile senza riserve; se, invece, essa risulta da scrittura privata non autenticata, è opponibile solo se è certa, ossia se c’è l’autorizzazione della scrittura e la sua registrazione.
Per quanto riguarda le copie degli atti pubblici e delle scritture private depositate, esse valgono ai fini probatori, se la loro conformità all’originale è attestata da un pubblico ufficiale.
23. Altri mezzi di prova: confessioneLa confessione è la dichiarazione che una parte fa circa la verità di fatti che sono ad essa sfavorevoli e favorevoli all’altra parte.
La confessione può essere:
• giudiziale (o confessione resa in giudizio); fa piena prova contro colui che l’ha fatta;
• stragiudiziale (o confessione resa fuori dal giudizio); fa piena prova solo se dimostrata o se contenuta in un testamento.

La confessione è ritenuta un atto giuridico in senso stretto. A volte può accadere che nella confessione sono menzionati altri fatti che possono inficiare l’efficacia del fatto confessato, o che possono confessarlo: questi fatti fanno piena prova se l’altra non li contesta; se, invece, l’altra parte li contesta, il giudice può decidere o meno la loro validità.
24. Segue. GiuramentoIl giuramento è una dichiarazione compiuta da una delle parti circa la verità dei fatti dedotti in causa ed ha efficacia solo se reso in giudizio.
Quando una parte non ha prove sufficienti per confermare le proprie dichiarazioni, può deferire (rimettere in giudizio) l’altra parte e dal giuramento di quest’altra parte dipende la decisione della causa.
L’altra parte se giura vince; se rigira il giuramento alla prima parte e questa giura, l’altra parte perde.
Nel caso una parte si rifiuta di giurare o non si presenta senza giustificato motivo, la sua versione del fatto non è considerata vera.
Il giuramento attesta la veridicità della versione dei fatti e non ammette prova contraria; chi fa falso giuramento è tenuto al risarcimento del danno.
Il giuramento non è deferito per la decisione di cause relative ai diritti indisponibili.
Il giuramento è suppletorio quando è il giudice ad invitare la parte a giurare.
25. Segue. TestimonianzaLa testimonianza è una prova orale, ossia è la narrazione dei fatti della causa compiuta davanti ai giudici e sotto giuramento da parte di soggetti che sono estranei agli interessi in conflitto; tale prova non è particolarmente significativa, in quanto è difficile determinare se un terzo sia o meno estraneo all’interesse in conflitto e di conseguenza la sua ammissibilità è rimessa al giudice.
La testimonianza non è ammessa:
• quando per quel dato fatto è richiesta la forma scritta non bastando una prova orale;
• quando il valore dell’oggetto del contratto è superiore a lire 5000;
• quando ha per oggetto patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento.

La testimonianza è ammessa:
• quando esiste un qualsiasi scritto che attesti quanto testimoniato;
• quando il contraente è impossibilitato moralmente o materialmente a procurarsi una prova scritta;
• quando il contraente, non per sua colpa, ha perso il documento che gli forniva la prova.
26. Segue. PresunzioniLa presunzione è un metodo logico che permette al giudice di risalire da un fatto noto ad uno ignoto, quando è sprovvisto di una prova diretta; esse sono:
• presunzioni semplici, quando il giudice reputa provato un fatto del quale mancano prove dirette;
• presunzioni legali; quando è la legge che ritiene presunto un fatto, cioè che ha valore di prova in relazione ad un altro fatto; esse si distinguono in:
o assolute, perché non ammettono prova contraria;
o relative, quando ammettono prova contraria

 

 

Fonte: http://www.gulliver.univpm.it/download/Riassunti_Perlingeri.docx

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