Diritto amministrativo dispensa

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Diritto amministrativo dispensa

 

APPUNTI DI DIRITTO AMMINISTRATIVO –

            LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
Il termine “amministrazione”, nel linguaggio giuridico corrente, è usato in due accezioni: 1) come apparato (sistema organizzato) di organi, uffici e strumenti rivolti alla cura degli interessi generali; 2) come attività svolta dalla pubblica amministrazione.
Sotto il profilo organizzativo l’esercizio della funzione amministrativa è storicamente demandata ad un apparato complesso e multiforme, dotato di una struttura sostanzialmente piramidale, articolata in forma gerarchica. Al vertice della piramide sono collocati i Ministri, ciascuno dei quali è a capo di un Dicastero, ossia di un comparto organizzato della Pubblica Amministrazione (tranne che per i cd. Ministri senza portafoglio). Le unità di governo centrali esercitano attività di impulso, coordinamento e controllo nei confronti degli organi periferici dello Stato, ossia degli enti variamente dislocati sul territorio nazionale. Gli Enti territoriali, in particolare, presiedono alla cura degli interessi pubblici in riferimento alle comunità che risiedono in ambiti territoriali circoscritti e definiti (Regioni, Province, Comuni, Aree metropolitane, Comunità montane) e sono dotati di una rilevante autonomia, pur entro limiti predeterminati dal legislatore e nel rispetto delle direttive provenienti dalle strutture amministrative di vertice.
Tuttavia, se nello Stato liberale il nucleo della Pubblica Amministrazione risiedeva nei Ministeri, più recentemente – data la frammentazione del potere in un pluralismo di entità giuridiche diverse dallo Stato – si può parlare, al plurale, di Pubbliche Amministrazioni. Ciò vuol dire che, se da un lato si è attestato il rafforzamento dei poteri e delle funzioni delle amministrazioni periferiche, nel contempo la funzione amministrativa viene conferita ad organismi che – per caratteristiche e strumenti utilizzati – si avvicinano sempre più alle organizzazioni di diritto privato e/o, in ogni caso, manifestano un’autonomia talmente spiccata da collocarsi al di fuori dell’apparato amministrativo tradizionalmente inteso.
Nella costituzione formale si intravede il punto d’origine del cd. “decentramento amministrativo”, che si coniuga perfettamente con l’ulteriore principio del riconoscimento delle autonomie locali (entrambi richiamati dall'art. 5). Questa impostazione viene bilanciata dall’esigenza di garantire l’unità di indirizzo politico e amministrativo ovvero l’indirizzo dell’attività dei pubblici uffici organizzati in ministeri ed enti (art.95). Solo con le legislazioni di riforma degli anni novanta (L. 59/1997, D.Lgs. 112/1998, D.Lgs. 300/1999), è stato avviato il riordino dell’amministrazione periferica statale. Nel disegno riformista il trasferimento di poteri e funzioni (ossia di “frazioni di sovranità”) verso la “periferia” dello Stato è considerato il presupposto fondamentale dell’efficacia e del buon andamento della funzione amministrativa che – in virtù della maggiore dislocazione sul territorio – può godere di una posizione di vantaggio nella individuazione e gestione delle istanze espresse dalle collettività.
Si è così attribuita ai Comuni una competenza amministrativa generale nell’esercizio delle funzioni pubbliche (confermata dalla legge cost. 3/2001 intitolata «Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione»). In base al riformulato articolo 118 Cost. – che ha incorporato altresì il principio di sussidiarietà – «Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza» (cd. sussidiarietà verticale); la stessa norma stabilisce che «Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà» (cd. sussidiarietà orizzontale).
Contestualmente le Prefetture sono state riorganizzate come Uffici territoriali del Governo, con competenza generale di coordinamento delle amministrazioni statali periferiche ancora in funzione. Il Prefetto è un organo periferico dell'Amministrazione statale con competenza generale ed esercita tutte le funzioni dell'amministrazione periferica dello Stato non espressamente conferite ad altri Uffici. Esso inoltre rappresenta il Governo a livello provinciale.

            GLI ENTI PUBBLICI
Si è visto come gli enti territoriali si definiscano tali perché il fascio di competenze di cui sono investiti si riferisce ad un territorio ben delimitato. Il territorio è elemento essenziale che qualifica l’attività degli enti in questione e ne circoscrive l’ambito di estensione in senso spaziale. Diversi dagli enti territoriali sono quegli enti istituiti in ossequio alla volontà politica di conferire un preciso assetto all’organizzazione del potere pubblico, cioè di istituire un sistema di potere per enti. Questo sistema “ha costituito un importante fulcro della frammentazione della sovranità economica nello Stato interventista italiano, realizzando modelli di amministrazioni policentriche e multipolari” ed è stato inoltre “uno dei più efficaci canali di espansione della spesa pubblica, così che alla moltiplicazione degli enti ha corrisposto una crescita senza precedenti della dimensione dell’interventismo pubblico” (G. Di Plinio). Tra questi si annoverano l’IRI e l’ENI, costituiti negli anni ‘50 per la gestione delle partecipazioni statali; la Cassa per il Mezzogiorno, istituita al fine di coordinare e gestire gli interventi straordinari infrastrutturali e finanziari dello Stato nelle Regioni meridionali; l’Ente Nazionale per l’Energia Elettrica (ENEL), al quale fu affidata l’amministrazione della produzione e distribuzione nel settore dell’energia elettrica, nazionalizzato nel 1962. Possiamo comprendere tra gli enti pubblici anche l’agip, per l’intervento nel settore petrolifero, e l’Anas, l’Azienda Nazionale Autonoma Strade.
Definizione - In generale l’Ente pubblico può essere definito come persona giuridica creata secondo norme di diritto pubblico, attraverso cui la pubblica amministrazione svolge la funzione amministrativa. Ciascun Ente viene istituito con Legge o Decreto, viene creato per perseguire un interesse pubblico ed è investito di specifiche attribuzioni (che vengono distribuite all'interno dell'Ente fra i suoi vari Organi ed Uffici secondo il criterio della competenza).
Caratteristiche - Rispetto agli altri soggetti di diritto l’Ente pubblico gode di una certa supremazia, che si esprime attraverso l’esercizio di potestà di varia natura. D’altro canto l’Ente pubblico è sottoposto a controlli da parte di organi statali, che partecipano alla nomina delle cariche interne all’Ente o sviluppano attività ispettive ex post, volte a verificare il corretto esercizio dei poteri conferiti all’ente (considerando il grado di realizzazione degli obiettivi prestabiliti e l’entità delle risorse impiegate). Il controllo sull'attività degli Enti pubblici si può tradurre nel taglio di finanziamenti, nella sostituzione dei vertici dell’ente, nell’applicazione di sanzioni corrispondenti all’accertamento di responsabilità in capo agli amministratori.      L’Ente pubblico è inoltre munito di particolari prerogative, tra cui l'autarchia, che consiste nella capacità di autogoverno, e l’autotutela, che consiste nel potere di riconsiderare i propri atti, sul profilo della legittimità formale e/o sostanziale. Sono espressioni di autotutela l’esercizio del potere: di revoca ex nunc dell’atto inopportuno (per una diversa valutazione degli interessi coinvolti); di sospensione dei suoi effetti; di annullamento ex tunc dell'atto illegittimo; o ancora di riforma, sanatoria, convalida, ratifica e rinnovazione dell'atto e dei suoi effetti ex nunc. Pertanto in alcuni casi è una diversa ponderazione degli interessi in gioco – spesso stimolata da apposite istanze di parte – ad indurre l’amministrazione a “rivedere” in contenuto di uno o più provvedimenti già emanati. In altri casi l’autotutela si origina dall’accertamento (spontaneo o indotto) del mancato rispetto di regole procedurali o formali che incidono sulla validità ed efficacia dei provvedimenti emanati.
Classificazioni - Si distingue tradizionalmente tra Enti associativi (associazioni di tipo privatistico alle quali la legge, in virtù della loro rilevanza collettiva o del finanziamento pubblico, attribuisce natura pubblica) ed Enti strumentali. La categoria degli Enti strumentali può ulteriormente suddividersi in due tronconi: a) gli Enti parastatali, disciplinati dalla l. 70/1975 (enti di previdenza e assistenza, enti di amministrazione settoriale,  enti di promozione di attività sportive e turistiche o culturali); b) gli Enti pubblici economici, che svolgono attività economiche o d’impresa (articolo 2082 cod. civ.) e, in quanto tali, sono assoggettati ai principi del diritto comune e alle regole comunitarie della libera concorrenza e del mercato. Essi sono parificati alle imprese private per ciò che attiene alla necessità di rispettare i criteri di economicità di gestione e di produttività, anche in considerazione della sopravvenuta impossibilità di accedere agli aiuti di Stato, ampiamente utilizzati (nell’apogeo dello Stato Sociale interventista) per ripianare i bilanci e riportarli in pareggio. L’articolo 86 del Trattato CE vieta infatti agli Stati di favorire le imprese pubbliche rispetto alle imprese private e ciò impone agli enti in esame – per resistere in un mercato altamente concorrenziale – di agire osservando la regola del pareggio di bilancio e di  mantenere una costante competitività, non potendo più usufruire (in via riparatoria) di sovvenzioni pubbliche (la qual cosa determinerebbe una inaccettabile disparità di trattamento rispetto alle imprese private). In sostanza “gli imperativi di equilibrio finanziario pubblico dettati dalla Costituzione economica europea” condizionano la stessa sopravvivenza dell’impresa pubblica (G. Di Plinio).
Gli organi di gestione dell’Ente strumentale sono nominati dal Governo o da un singolo Ministro sulla base del rapporto di fiducia che intercorre con le persone che vengono investite dei ruoli di direzione, amministrazione e rappresentanza dell’ente.  Non sempre il reclutamento di tali figure avviene in ossequio di criteri oggettivi e trasparenti, privilegiandosi per sempre logiche clientelari e politiche. L’art. 3 della Legge 400/1988 prevede in ogni caso che le nomine alla presidenza di Enti, Istituti o Aziende di competenza statale, fatta eccezione per le nomine relative agli enti pubblici creditizi, sono effettuate con decreto del Presidente della Repubblica, emanato su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri adottata su proposta del Ministro competente. Il controllo dell’Ente strumentale, da parte dell’ente ausiliato, avviene in via preventiva attraverso l’esercizio di poteri di direzione (atti di indirizzo) con i quali vengono individuati i fini e gli obiettivi che l’ente strumentale deve realizzare nel settore di propria competenza. Invece, in via successiva, intervengono i controlli interni del Collegio dei Revisori e quelli esterni, sulla gestione finanziaria, svolti dalla Corte dei Conti.

            L’ATTIVITA’ AMMINISTRATIVA
E’ quella svolta da Organi od Uffici della pubblica amministrazione. Gli Organi sono le persone fisiche o il raggruppamento di persone fisiche che agiscono per conto dell’Ente, ciascuno per le proprie competenze, compiendo atti giuridici che impegnano l’Ente verso i terzi. La loro attività è direttamente imputabile all’Ente a cui appartengono (immedesimazione organica). Anche gli Uffici sono articolazioni interne alla struttura organizzativa dell’Ente, definiti come complessi organizzati di persone fisiche, beni materiali e mezzi rivolti all’espletamento di un’attività strumentale. La loro attività non si traduce in atti giuridici a rilevanza esterna, ma può definirsi funzionale e preordinata all’attività provvedimentale demandata agli Organi (che sono muniti del potere di prendere decisioni imputabili all’Ente e di esternarne la volontà verso i terzi). In fin dei conti gli Organi deliberano all’esito di attività svolte da Uffici (ciascuno per le proprie competenze), attività che si inseriscono in un iter procedimentale scandito da regole generali (L. 241-90) e da regolamenti interni. Ogni Organo o Ufficio possiede una determinata competenza. Per competenza si allude alla sfera di poteri e facoltà attribuita alla singola unità amministrativa (monocratica o collegiale che sia). La competenza definisce le linee di confine dell’attività degli organi e degli uffici, in considerazione della materia loro assegnata, del territorio di riferimento, della posizione gerarchica occupata nei confronti degli altri organi (o uffici) appartenenti al medesimo settore. Gli atti compiuti dall’organo o dall’ufficio, al di fuori della propria competenza, sono affetti dal vizio di incompetenza (che è causa di invalidità degli atti).
L’attività amministrativa viene esercitata attraverso l’emanazione di atti amministrativi che rivestono la forma di provvedimenti. Si tratta di atti di provenienza pubblica che non possiedono le caratteristiche delle norme giuridiche perché non sono rivolti ad una pluralità di persone (generalità) né sono strutturati per fattispecie (astrattezza). Gli effetti prodotti dai provvedimenti incidono infatti su interessi particolari e concreti, riferibili a soggetti determinati. Viceversa, nei particolari casi in cui gli atti amministrativi sono applicabili ad una pluralità indeterminata di casi, siamo di fronte a veri e propri atti normativi (i regolamenti) che esprimono l'esercizio di funzioni materialmente normative da parte di organi  amministrativi, in deroga al principio di separazione dei poteri.
L’attività amministrativa non è libera ma vincolata al rispetto dei fini e degli obbiettivi fissati dal legislatore. E’ pur vero, in ogni caso, che la scelta dei mezzi e delle forme con i quali conseguirli compete alla pubblica amministrazione che, in tal senso, gode di una particolare discrezionalità. Nell’esercizio delle funzioni di propria competenza, ogni amministrazione deve fare i conti con interessi che – pur essendo meritevoli di apprezzamento e protezione giuridica – contrastano (in misura più o meno rilevante) con l’interesse pubblico prevalente. In questi casi la P.A. è chiamata a comparare gli interessi in gioco e a trovare la soluzione migliore per – da un lato – realizzare l’interesse pubblico e – dall’altro – limitare il più possibile la “compressione” degli interessi secondari. La tutela di questi ultimi non è necessariamente preclusa, ma è certamente condizionata dalla necessità di garantire il conseguimento dell’interesse prevalente. Si pensi, ad esempio, al conflitto che si verifica tra l’interesse della collettività alla costruzione di un importante tratto autostradale ed il diritto soggettivo di proprietà sul fondo interessato dal progetto di costruzione viaria. Il primo è necessariamente destinato a prevalere sul secondo, ma quest’ultimo troverà ugualmente una forma di protezione, attraverso il riconoscimento di un congruo indennizzo (volto a compensare la limitazione del diritto individuale). Se l'attività amministrativa è tipicamente discrezionale, “non mancano tuttavia casi di attività amministrativa vincolata, laddove il legislatore ha ritenuto di dover effettuare una volta per tutte la ponderazione degli interessi in gioco, stabilendo in modo puntuale ed esaustivo i contenuti dell'attività che deve essere posta in essere dall'organo amministrativo” (D. Bertuzzi).

 

            PRINCIPI DELL’ATTIVITA’ AMMINISTRATIVA
Sono contemplati dalla nostra Costituzione e prevalentemente nell’art. 97, comma 1, che recita: « I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione. »
Il comma fissa tre principi, che rappresentano l’asse portante dell’attività della pubblica amministrazione, ovvero: il Principio di Legalità; il Principio del Buon Andamento; il Principio dell'Imparzialità. Ciascuno di essi merita particolare approfondimento. Ulteriori disposizioni riguardano l’attività amministrativa che, per esempio, viene indirettamente “chiamata in causa” ai fini dell’erogazione dei servizi necessari per assicurare i diritti sociali, quali il diritto alla salute (art.32), all’istruzione (art.33 e 34) e all’assistenza e previdenza (art.38). Se l’affermazione dei diritti sociali è condizionata dall’efficienza dei pubblici servizi, il riconoscimento dei diritti di libertà può, al contrario, limitare o condizionare l’esercizio dell’attività amministrativa. L’esempio deriva dal settore della pubblica sicurezza: la misura amministrativa che restringe il diritto inviolabile alla libertà personale (arresto) è ammessa solo in casi eccezionali (riserva di legge) e deve essere comunicata entro 48 ore all’autorità giudiziaria per la convalida (riserva di giurisdizione). Ulteriori norme regolano i rapporti tra pubblici uffici e Governo (art.95) o “responsabilizzano” la pubblica amministrazione. Per l’art. 28 lo Stato e gli enti pubblici sono responsabili per i fatti compiuti dai propri dipendenti, norma che acquista pienezza di significato in relazione all’art.113 per il quale contro gli atti della pubblica amministrazione è ammessa sempre la tutela dei propri diritti e dei propri interessi legittimi. A ben vedere le due ultime norme circoscrivono il potere d’imperio assegnato alla PA, che può considerarsi legittimo e vincolante solo quando viene esercitato nel rispetto dei principi di matrice costituzionale che qualificano l’attività amministrativa (desumibili dall’art.97) e nei limiti della legalità. Viceversa è consentito ai privati di ricorrere per l’annullamento degli atti della PA avanti al Giudice Amministrativo (lamentando l’esistenza di vizi di legittimità dei provvedimenti impugnati), o è richiesto al PM di esercitare l’azione penale nei confronti dei funzionari per i reati commessi in danno della Pubblica amministrazione.
Ulteriori principi si ricavano dall’art. 1 della legge sul procedimento amministrativo (L. 241/90). Si tratta dei principi di economicità, di efficacia, di pubblicità e di trasparenza, il cui rispetto viene richiesto a ciascuna P.a. nell’esercizio delle attività di propria competenza.

            I PROVVEDIMENTI AMMINISTRATIVI
Sono gli atti emanati nell’esercizio della funzione amministrativa dagli organi appartenenti alla PA.
Tramite un provvedimento amministrativo si crea, modifica o estingue una determinata situazione giuridica soggettiva al fine di realizzare un particolare interesse pubblico. Ogni atto è composto da una intestazione (dalla quale si evince l’organo che lo ha emanato), da un preambolo (ove sono richiamate le norme applicate), dalla motivazione (con la quale vengono esternate le ragioni della decisione assunta dalla P.A.) ed dal dispositivo (che contiene la deliberazione vera e propria, produttiva di effetti verso i destinatari del provvedimento). In particolare, la motivazione è la parte del provvedimento che consente di conoscere l’iter logico-giuridico seguito dall’amministrazione ai fini della sua adozione. Il difetto di motivazione è causa di annullabilità dell’atto (che può essere richiesta attraverso specifica impugnazione). In sostanza un provvedimento amministrativo non motivato (o mal motivato) è un atto illegittimo e si espone al rischio di contestazione amministrativa e/o giurisdizionale, con inevitabili conseguenze sul piano della sua validità ed efficacia. L’annullamento di un simile provvedimento è pienamente ammesso sul presupposto che il suo destinatario – a causa della carenza o lacunosità della motivazione – non può conoscere il ragionamento tenuto dalla PA nell’esercizio del potere discrezionale e, conseguentemente, non può  comprendere le ragioni giustificative della scelta compiuta dall’amministrazione procedente (soprattutto in caso di compressione o limitazione dell’interesse individuale di cui il destinatario dell’atto è portatore). Pertanto l’obbligo di motivazione è posto a carico della PA a garanzia delle posizioni soggettive sulle quali l’attività amministrativa è destinata ad incidere in quanto – se l’atto amministrativo non dovesse contenere un adeguato corredo motivazionale – sarebbe preclusa in nuce la possibilità stessa di verificare la bontà, razionalità, congruità ed opportunità della decisione adottata.
            Caratteri dei provvedimenti: 1-UNILATERALITÀ: il provvedimento amministrativo è espressione della volontà autonomamente assunta dall’amministrazione agente; 2-IMPERATIVITÀ: il provvedimento amministrativo realizza effetti giuridici senza necessità di collaborazione da parte del destinatario; 3-INOPPUGNABILITÀ: il provvedimento amministrativo imperativo non può essere contestato dopo la scadenza dei termini perentori previsti per la sua impugnazione. Ciò non esclude che possa essere annullato o revocato dalla stessa P.A. in sede di autotutela; 4-TIPICITÀ: ogni atto amministrativo è preordinato alla cura di un particolare interesse pubblico; 5-ESECUTORIETÀ: è l’attitudine del provvedimento amministrativo ad essere eseguito attraverso un’attività materiale che adegui la realtà al contenuto del provvedimento. L’esempio è quello dell’ordine di demolizione di un immobile abusivo, che di per sé non è produttivo di effetti se non accompagnato dalla fase esecutiva, consistente nella materiale rimozione del manufatto.
            Tipi di provvedimenti:
            L’AUTORIZZAZIONE: Provvedimento ampliativo della sfera soggettiva del privato, ma non costitutivo di nuovi diritti o poteri. In realtà tali diritti e poteri sono preesistenti in capo al privato, ma il loro esercizio è condizionato dall’esistenza di un limite legale, posto a garanzia di un interesse pubblico. L’autorizzazione serve proprio alla rimozione del detto limite e viene rilasciata a favore del richiedente quando l’espansione dei diritti e dei poteri di quest’ultimo – che consegue al rilascio dell’autorizzazione – non lede l’interesse pubblico prevalente. Si possono ricondurre alla categoria delle autorizzazioni: l’abilitazione, con cui la PA esercita una discrezionalità tecnica; l’approvazione , che consiste in un atto di controllo che verifica la rispondenza dell’atto alle disposizioni di legge; il nulla-osta, che è l’atto con cui un’autorità amministrativa dichiara di non aver osservazioni da fare in ordine all’adozione di un provvedimento da parte di un’altra autorità; la licenza, mira alla rimozione di un limite legale che si frappone all’esercizio di un’attività inerente a un diritto soggettivo o ad una potestà pubblica; la dispensa, con cui la P.A. consente ad un soggetto di esercitare una data attività in deroga ad un divieto di legge, ovvero esonera il soggetto dall’adempimento di un obbligo di legge.
La CONCESSIONE. La concessione è il provvedimento amministrativo con cui la P.A. conferisce ex novo posizioni giuridiche attive al destinatario, ampliandone la sfera giuridica.
L’esempio tipico è quello della concessione edilizia con cui si consente al proprietario di costruire sopra il proprio terreno, ove il progetto di costruzione sia compatibile col piano regolatore comunale (n.b. questo tipo di provvedimento è comunque più vicino alla licenza, in quanto lo ius aedificandi non viene trasferito dalla P.A. in favore del privato, ma già fa parte del diritto di proprietà sul suolo, per cui la concessione edificatoria va solo a rimuovere un limite alla facoltà di costruire). Le concessioni possono trasferire al privato servizi su beni sottratti alla disponibilità privata (es. concessioni di acqua o concessione mineraria); possono determinare il trasferimento di poteri (es. delega del ministro al sottosegretario); conferire uno status giuridico (es. la cittadinanza); consentire l’esercizio di professioni a numero limitato (es. apertura di farmacie).
ORDINE. Si tratta di un provvedimento con cui la P.A. – facendo valere la propria supremazia – fa sorgere nuovi obblighi giuridici in capo ai destinatari, imponendo loro un determinato comportamento. Es. Ordine di demolizione, di sgombero, di evacuazione, etc…
L’ATTO ABLATIVO: L'atto ablativo è un atto amministrativo che restringe la sfera dei diritti del destinatario. La compressione o estinzione dei diritti soggettivi può giustificarsi solo allo scopo di soddisfare un interesse collettivo.  Sono atti ablativi: l'espropriazione per pubblica utilità; la requisizione; l'occupazione di urgenza; la confisca amministrativa; il sequestro cautelare amministrativo; l'avocazione di cave e torbiere alle Regioni.

            Il silenzio della P.A.
            L’attività amministrativa non si traduce solo nell’emanazione di provvedimenti espressi, tenuto conto che anche l’inerzia della P.A. – al ricorrere di precisi presupposti – può determinare il prodursi di  determinati effetti, tali da incidere (in modo estensivo o restrittivo) sugli interessi soggettivi di coloro che, a vario titolo, entrano in contatto con i pubblici poteri. I presupposti in questione sono sanciti dalla legge che regola il procedimento amministrativo (L. 241/90).
A fronte della istanza rivolta alla PA dall’interessato, 
           


Istanza alla P.A. da parte dell'interessato volta ad ottenere l'emanazione di un provvedimento o
- inizio d'ufficio da parte della P.A. di un procedimento

se la P.A. non provvede entro 30 giorni (termine ex art. 2, comma 3, L. 241/90)

Possibilità di atto di diffida e messa in mora da parte dell'interessato alla P.A., con assegnazione alla stessa di un termine congruo, non inferiore a 30 giorni, per emanare l'atto

 
se la P.A. non provvede, entro il termine
assegnatole dall'interessato

Entro 60 giorni dalla scadenza del termine assegnato alla P.A, possibilità dell'interessato di ricorrere al G.A. avverso il silenzio-rifiuto della P.A.

Il G.A., in caso di accoglimento del ricorso, potrà adottare misure intimatorie, ordinando alla P.A. di provvedere entro un certo termine
(art. 2 L. 205/2000)

 

 
se la P.A. non provvede, entro il termine
assegnatole dal G.A.

 

Nomina da parte del G.A., su richiesta di parte, di un commissario che provveda in luogo della P.A. inadempiente (art. 2 L. 205/2000)

            I vizi del provvedimento amministrativo – In sintesi sono:
            L'incompetenza (sussiste quando una autorità abbia emanato un provvedimento al di là dei poteri ad essa assegnati sconfinando nell'ambito dei poteri conferiti ad un'altra autorità amministrativa);  
La violazione di legge (esprime il contrasto tra l'atto e la norma, sia essa primaria (le leggi) che secondaria (i regolamenti);
L'eccesso di potere (sussiste tutte le volte in cui l'atto amministrativo presenta una deviazione dalla sua finalità istituzionale, è un vizio della funzione, riguarda il non corretto esercizio del potere discrezionale). La dottrina ha enucleato alcune figure sintomatiche dell’eccesso di potere: l’illogicità del ragionamento logico-giuridico osservato dalla PA; il travisamento dei fatti; l’ingiustizia manifesta della decisione adottata; l’insufficienza della motivazione; la contraddittorietà del provvedimento rispetto ad altri provvedimenti adottati, in condizioni analoghe, dalla medesima PA; la disparità di trattamento manifestata nei confronti dei destinatari dell’attività amministrativa (che in realtà si trovano nelle medesime condizioni).
In realtà, in molti casi, è difficile distinguere tra violazione di legge ed eccesso di potere perché le regole e i principi che presiedono al corretto esercizio della discrezionalità amministrativa sono sanciti da norme giuridiche. Pertanto il mancato rispetto di quelle regole e di quei principi si traduce, inevitabilmente, nella violazione di precise norme giuridiche, dunque in una violazione di legge (figura assorbente).
           

Fonte: http://www.med.unich.it/corsi-di-laurea/fisioterapia/integrazione-crediti-tecnina-2000-2011/integrazione-crediti-tecnica-2000-2011/Dispensa%20di%20Diritto%20Amministrativo%20-%20parte%20generale.doc

Sito web da visitare: http://www.med.unich.it

Autore del testo: G.SANTILLI

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