Rapporto giuridico

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Rapporto giuridico

RIASSUNTI DEL
“MANUALE DI DIRITTO PRIVATO”
Di: A.Torrente P.Schlesinger

SEZIONE PRIMA: L’ATTIVITA’ GIURIDICA

Capitolo 6: IL RAPPORTO GIURIDICO

 

  1. Il rapporto giuridico

 Il rapporto giuridico è la relazione tra due soggetti, regolata dal diritto oggettivo. Soggetto attivo è colui a cui l’ordinamento giuridico attribuisce il potere (o diritto soggettivo) (per es. di pretendere il pagamento). Soggetto passivo è colui a carico del quale sta il dovere (per es. di pagare).
Quando si vuole alludere alle persone tra le quali intercorre un rapporto giuridico si usa l’espressione “parti”. Contrapposto al concetto di parte è quello di terzo. Terzo è chi non è parte o non è soggetto di un rapporto giuridico. Regola generale è che il rapporto giuridico non produce effetti né a favore, né a danno del terzo.

  1. Situazioni soggettive attive (diritto soggettivo, potestà, facoltà, aspettativa, status)

 

Con l’attribuzione del diritto soggettivo si realizza la più ampia protezione dell’interesse del singolo al quale, al tempo stesso si riconosce una situazione di libertà (di chiedere o non chiedere il risarcimento del danno secondo una mia personale valutazione di opportunità).
In alcuni casi il potere non è attribuito al singolo nell’interesse proprio, ma per realizzare un interesse altrui. Le figure di poteri che al tempo stesso sono doveri (poteri-doveri) si chiamano potestà. Mentre l’esercizio del diritto soggettivo è libero, in quanto il titolare può perseguire i fini che ritiene più opportuni, l’esercizio della potestà deve sempre ispirarsi al fine della cura  dell’interesse altrui.
Le facoltà (o diritti facoltativi) sono, invece, manifestazioni del diritto soggettivo che non hanno carattere autonomo, ma sono in esso comprese. Le facoltà non si estinguono se non si estingue il diritto di cui fanno parte.
Può avvenire che l’acquisto di un diritto derivi dal concorso di più elementi successivi. Se di questi alcuni si siano verificati ed altri no, si ha la figura dell’aspettativa (si pensi per es. all’ipotesi di un’eredità lasciata a taluno a condizione che prenda la laurea. Egli non acquisterà il diritto all’eredità se non quando avrà preso la laurea: intanto si trova in una posizione di attesa che viene tutelata dall’ordinamento).
Quest’ipotesi del diritto soggettivo che si realizza attraverso stadi successivi viene anche considerata, oltre che dal lato del soggetto (aspettativa), sotto il punto di vista oggettivo della fattispecie. Si parla, infatti, di fattispecie a formazione progressiva, per dire che il risultato si realizza per gradi e l’aspettativa attribuita al singolo costituisce un effetto anticipato della fattispecie.
A volte alcuni diritti e doveri si ricollegano alla qualità di una persona, la quale deriva falla sua posizione in un gruppo sociale. Status è, pertanto, una qualità giuridica che si ricollega alla posizione dell’individuo in una collettività. Lo status può essere di diritto pubblico (es. stato di cittadino) o do diritto privato (es. stato di figlio).

  1. L’esercizio del diritto soggettivo

 

Colui al quale l’ordinamento giuridico attribuisce il diritto soggettivo si chiama titolare del diritto medesimo.
L’esercizio del diritto soggettivo deve essere distinto dalla sua realizzazione, che consiste nella soddisfazione dell’interesse protetto, sebbene spesso i due fenomeni possono coincidere.
La realizzazione dell’interesse può essere spontanea o coattiva: quest’ultima si verifica quando occorre far ricorso ai mezzi che l’ordinamento  predispone per la tutela del diritto soggettivo (il debitore non adempie; il creditore, per conseguire quanto gli è dovuto, fa espropriare i beni del debitore).

  1. Categorie di diritti soggettivi

La prima distinzione dei diritti soggettivi è in diritti assoluti, che garantiscono al titolare un potere che egli può far valere verso tutti e diritti relativi, che gli assicurano un potere che egli può far valere solo nei confronti di una o più persone determinate.
Tipici diritti assoluti sono i diritti reali e cioè diritti su una cosa.
La categoria dei diritti relativi si riferisce in primo luogo ai diritti di credito (che vengono anche chiamati personali); quella dei diritti assoluti non comprende solo i diritti reali ma anche i c.d. diritti della personalità (diritto al nome, all’immagine,…).
Il rovescio, sia del diritto di credito che del diritto reale, è costituito dal dovere.

  1. Gli interessi legittimi

In taluni casi, l’osservanza di una disposizione interessa determinati individui non più genericamente quali cittadini, bensì specificamente come portatori di interessi coinvolti dall’azione pubblica: ad es. il candidato di un concorso. In questi casi al privato viene riconosciuto uno specifico potere di controllo della regolarità dell’azione pubblica ed un potere di impugnativa degli atti eventualmente viziati.
La situazione giuridica dei portatori di tali interessi qualificati viene definita come “interesse legittimo” (il candidato ad un concorso non ha diritto di vincerlo, ma ha un interesse legittimo al regolare svolgimento della gara e può quindi chiedere l’annullamento di tutti gli atti che siano illegittimi).

  1. Situazioni di fatto

 

L’ordinamento stesso protegge provvisoriamente contro la violenza e il dolo altrui anche la situazione di fatto in cui il soggetto può trovarsi rispetto ad un bene ed attribuisce anche ad essa alcuni effetti.
Le situazioni di fatto possono essere altresì rilevanti in tema di società, di pre-uso di un marchio, di famiglia, di rapporti di lavoro, di mezzadria.

  1. Situazioni soggettive passive (dovere, obbligo, soggezione, onere)

 

La figura del dovere generico di astensione incombe su tutti come rovescio della figura del diritto assoluto; alll’obbligo è tenuto il soggetto passivo di un rapporto obbligatorio, a cui fa riscontro nel soggetto attivo la pretesa,  ossia il potere di esigere il comportamento; la soggezione invece, corrisponde al diritto potestativo. Da queste situazioni passive si deve distinguere la figura dell’onere. Quest’ultimo ricorre quando ad un soggetto è attribuito un potere, ma l’esercizio di tale potere è condizionato ad un adempimento (che però, essendo previsto nell’interesse dello stesso soggetto, non è obbligatorio e quindi non prevede sanzioni per l’ipotesi che resti inattuato).

  1. Vicende del rapporto giuridico

 

Il rapporto giuridico si costituisce quando un soggetto attivo acquista il diritto soggettivo. L’acquisto può essere di due specie: a titolo derivativo quando il diritto si trasmette da una persona ad un’altra (fenomeno di successione); e a titolo originario quando il diritto soggettivo sorge a favore di una persona senza essere trasmesso da nessuno. Per es. il pescatore che fa propri i pesci caduti nella rete fa un acquisto a titolo originario; se invece compro un immobile da chi è proprietario compio un acquisto a titolo derivativo.
Titolo d’acquisto è l’atto che giustifica l’acquisto.
Con la successione, colui che per effetto di essa perde il diritto si chiama autore o dante causa; chi lo acquista si chiama successore o avente causa. E’ chiaro che la successione non si verifica nel caso di acquisto originario.
L’acquisto a titolo derivativo può essere di due specie: si può trasmettere proprio lo stesso diritto che aveva il precedente titolare (acquisto derivativo-traslativo) o può attribuirsi al nuovo titolare un diritto differente che, peraltro, scaturisce dal diritto del precedente titolare (acquisto derivativo-costitutivo o successione a titolo derivativo-costitutivo), in quanto lo suppone e ne assorbe il contenuto, o, in parte, lo limiti.
Nelle due forme dell’acquisto a titolo derivativo, il nuovo soggetto ha lo stesso diritto che aveva il precedente titolare. La successione è di due specie: a titolo universale, quando una persona subentra in tutti i rapporti di un’altra persona, e, cioè, sia nella posizione attiva, sia in quella passiva (es. nella fusione tra società); a titolo particolare, quando una persona subentra solo in un determinato diritto o rapporto (es. nel caso di morte di una persona).
La vicenda finale di un rapporto è la sua estinzione. Il rapporto si estingue quando il titolare perde il diritto senza che questo sia trasmesso ad altri. Non di tutti i diritti soggettivi è consentito al titolare disfarsi o trasferendoli ad altri o rinunziandovi. Oltre ai diritti disponibili ci sono i diritti indisponibili che sono in genere i rapporti che servono a soddisfare un interesse superiore: tali le potestà e i diritti familiari.
Capitolo 7: IL SOGGETTO DEL RAPPORTO GIURIDICO

  1. LA PERSONA FISICA

 

  1. La capacità giuridica

La capacità giuridica è l’idoneità a diventare titolare di diritti e doveri. Per le persone fisiche si acquista al momento della nascita (art.1.1 c.c.), del distacco, cioè, del bimbo dal seno materno, purchè vivo, anche se segue immediatamente la morte, o se il bimbo nasca “non vitale” , destinato cioè a morte sicura a breve, o ancora il nato presenti gravi anomalie. Non è invece considerato “soggetto” il concepito.
Per l’art.462.2 c.c. si presume concepito al tempo dell’apertura della successione che è nato entro 300 gg. dalla morte della persona della cui successione di tratta. Il comma 3 afferma che possono inoltre ricevere per testamento i figli di una determinata persona vivente al tempo della morta del testatore, benchè non ancora concepiti. Accanto alla capacità di succedere, ai nascituri non concepiti, il legislatore accorda pure una capacità di ricevere per donazione (art.784 c.c.) sempre che sia fatta sempre in favore di figli di una determinata vivente al tempo della donazione e in favore di tutti i figli di questa.
A norma dell’art.22 Cost., nessuno può essere privato della capacità giuridica.

  1. Inammissibilità di limitazioni della capacità giuridica individuale

 

L’art.3 Cost. afferma che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge e senza distinzioni di sesso, di razza, lingua, religione, opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
Sono tuttora individuabili figure di limitazione della capacità giuridica, come nel caso dello straniero che è ammesso a godere dei diritti civili a condizione di reciprocità, cioè nei limiti in cui lo Stato di appartenenza dello straniero riconoscerebbe gli stessi diritti ad un cittadino italiano.

  1. La capacità di agire

 

La capacità di agire è l’idoneità a compiere validamente atti giuridici che consentano al soggetto di acquisire ed esercitare diritti o assumere ed adempiere obblighi. Se la persona fisica è incapace d’agire occorre che altri provvedano per lui alla cura dei suoi interessi (tutore). Ricorre in tal caso il fenomeno della rappresentanza legale.
Anche la persona giuridica è sempre, in un certo senso incapace di agire, e può compiere atti giuridici esclusivamente tramite i propri amministratori o rappresentanti (la c.d. rappresentanza organica).
Peraltro gli atti personalissimi, non possono essere compiuti tramite rappresentanti (es. testamento, matrimonio).

  1. La minore età

 

Con la legge 8 marzo 1975 la maggiore età è fissata al compimento del 18° anno. Con essa si acquista la capacità di compiere tutti gli atti per i quali non si è richiesta un’età diversa (sup. inf.).
Gli atti posti in essere da un minorenne sono, di regola, annullabili, a meno che il minore abbia, non soltanto dichiarato, falsamente, di essere maggiorenne, ma addirittura abbia con raggiri occultato la sua minore età (art.1426 c.c.). L’atto annullabile può essere impugnato dal rappresentante legale del minore o dallo stesso minorenne quando sia divenuto maggiorenne. Non può mai, viceversa, essere impugnato dalla controparte maggiorenne (si parla perciò di negozi claudicanti).

  1. Interdizione giudiziale

 

Manca nell’ordinamento un’organica disciplina che conceda tutela alle persone handicappate, disabili, psicolabilli.
Le ipotesi di trattamento sanitario obbligatorio sono limitate e possono effettuarsi solo in casi di urgenza e con carattere di eccezionalità: la degenza deve essere disposta dal sindaco e convalidata dal giudice tutelare il quale adotta i provvedimenti per la conservazione e l’amministrazione del patrimonio dell’infermo.
Se un maggiorenne si trova “in condizioni di abituale infermità di mente” tale da renderlo incapace di provvedere ai propri interessi possono richiederne la interdizione (art.414 c.c.) qualora lo ritengano necessario, il coniuge o i parenti entro il 4° grado, o gli affini entro il 2° grado, o il tutore o il curatore, ovvero il Pubblico Ministero (art.417 c.c.). Gli atti compiuti dall’interdetto, dopo la sentenza di interdizione possono essere annullati. L’incapacità decorre dalla pubblicazione della sentenza che il giudice pronuncia solo previo interrogatorio della persona sottoposta a procedimento d’interdizione e dopo aver atteso all’istruttoria (consulenza medica, interrogatorio dei parenti).
L’interdizione giudiziale è l’effetto di un provvedimento del giudice che accerta lo stato di inidoneità della persona a curare i propri interessi.

  1. Interdizione legale

 

Il codice penale, oltre all’incapacità d’agire del minore e quella dell’interdetto giudiziale, prevede un altro caso di incapacità d’agire, come pena accessoria di una condanna alla reclusione per un tempo non inferiore a 5 anni: per indicare questa ipotesi si parla di interdizione legale. Il condannato è in stato di interdizione legale fino a quando dura la pena. All’interdetto legale si applicano, per la disponibilità e l’amministrazione dei suoi beni, le norme dettate per l’interdetto giudiziale.

  1. L’incapacità naturale

 

E’ incapace naturale la persona che sebbene legalmente capace, sia tuttavia incapace di intendere o di volere (art.428 c.c.). In tale situazione può trovarsi l’infermo di mente, il malato grave, l’anziano, il drogato, l’ubriaco.
Come si vede l’incapacità naturale può consistere sia in una condizione permanente di incapacità, sia in una situazione transitoria: ciò che conta, affinchè l’incapacità naturale assuma rilevanza, è il momento in cui un atto giuridico sia stato posto in essere.
L’impugnabilità consegue automaticamente alla sola incapacità naturale per alcuni atti più gravi (matrimonio, testamento, donazione). L’art.428 distingue due ipotesi:

  1. per gli atti unilaterali (es. accettazione di una eredità dannosa), per l’invalidità dell’atto occorre altre all’incapacità di intendere o di volere, un grave pregiudizio a danno dell’incapace.
  2. per i contratti, per l’invalidità dell’atto occorre oltre all’incapacità di intendere e di volere la mala fede dell’altro contraente.
  1. Incapacità relativa (emancipazione, inabilitazione)

 

La minore età e l’interdizione sono incapacità legali assolute: in quanto non consentono al soggetto di compiere validamente alcun atto giuridico. Ma il minore può essere talvolta emancipato o l’infermità  non essere così grave da farsi luogo all’interdizione. In queste ipotesi si ha la c.d. incapacità relativa o parziale: il soggetto non può compiere da solo gli atti che possano incidere sul suo patrimonio, ma può compiere validamente atti di ordinaria amministrazione (art.394,424 c.c.).
Atti di ordinaria amministrazione sono quelli che riguardano la conservazione del bene e il consumo del reddito che il bene dà.
Incapaci relativi o parziali sono il minore emancipato e l’inabilitato. L’emancipazione può essere quindi conseguita soltanto dal minore che venga ammesso dal tribunale a contrarre matrimonio prima del compimento del 18° anno (art.84 c.c.). In tal caso con il matrimonio il minore risulta emancipato di diritto, ossia senza bisogno di altri provvedimenti (art.390 c.c.).
L’inabilitazione può essere pronunciata dal giudice nei confronti dell’infermo di mente lo stato del quale non sia talmente grave da far luogo all’interdizione (art.415 c.c.).
Sono anche causa di inabilitazione: l’abuso abituale di bevande alcoliche o di stupefacenti, il sordomutismo o la cecità dalla nascita o dalla prima infanzia.
La revoca dell’inabilitazione è disposta quando cessa la causa che via ha dato luogo. Legittimati a chiedere la revoca sono gli stessi soggetti che possono promuovere il procedimento di inabilitazione.

  1. Rappresentanza legale

 

Ogni soggetto legalmente incapace di agire deve avere un rappresentante legale che sia in condizione di curare i suoi interessi e compiere ogni atto giuridico opportuno in sostituzione dell’incapace.
Per i minorenni, la rappresentanza legale spetta ai genitori (art.320 c.c.). Se entrambi i genitori sono morti o per altra causa non possono esercitare la patria potestà deve essere nominato un tutore (art.343 c.c.): la nomina spetta al giudice tutelare che deve scegliere “persona idonea all’ufficio, di ineccepibile condotta, la quale di affidamento di educare e istituire il minore conformemente a quanto è prescritto nell’art.320 c.c. .
Sia i genitore che il tutore non possono compiere atti di straordinaria amministrazione dei beni del minore senza autorizzazione del giudice tutelare (artt.320, 372, 374, 375 c.c.).
All’interdetto può essere nominato pure un tutore provvisorio se, dopo l’esame dell’interdicendo, il giudice si convinca che ciò sia opportuno (art.419.3 c.c.).

  1. Assistenza

 

All’incapacità relativa o parziale si ovvia, per gli atti di straordinaria amministrazione, facendo ricorso all’assistenza che è affidata al curatore. Questi non si sostituisce, come accade nella rappresentanza legale, all’emancipato o all’inabilitato, che esprimono anch’essi la loro volontà, ma integra la dichiarazione di volontà dell’uno o dell’altro. Purchè l’atto sia valido il curatore deve dare il suo assenso. Il curatore è nominato dal giudice tutelare (artt.392, 424 c.c.).

  1. L’autorizzazione

 

Per taluni atti più gravi, che possono depauperare il patrimonio dell’incapace occorre l’autorizzazione da parte di un organo pubblico, il quale deve controllare se l’atto corrisponda agli interessi del minore. L’autorizzazione si chiede con ricorso al giudice competente che provvede in camera di consiglio con decreto motivato.

  1. La legittimazione.  L’apparenza

 

La legittimazione è l’idoneità giuridica dell’agente ad essere soggetto del rapporto che si costituisce con il compimento dell’atto. Legittimato è chi ha il potere di disposizione rispetto ad un determinato diritto, o, chi è qualificato o ha veste per esercitarlo.

  1. La sede della persona

 

In relazione alle persone fisiche abbiamo: il domicilio (luogo in cui una persona ha stabilito la sede principale dei suoi affari, anche morali e familiari), la residenza (luogo in cui la persona ha la dimora abituale) e la dimora (luogo in cui la persona attualmente si trova). Art.43 c.c. .
L’interdetto ha domicilio del tutore e il minore quello del luogo di residenza della famiglia o del tutore. Se i genitori non hanno la stessa residenza, il minore ha il domicilio del genitore con il quale convive (art.45 c.c.).
Inoltre, per determinati affari si può stabilire un luogo diverso (domicilio speciale) da quello in cui è la sede principale dei propri affari (domicilio generale). Mentre unico è il domicilio generale, si possono avere più domicili speciali.

  1. La cittadinanza

 

La cittadinanza è la situazione di appartenenza di un individuo ad un determinato Stato.
La cittadinanza italiana si acquista:

  1. iure sanguinis: è cittadino per nascita il figlio di madre o padre con cittadinanza italiana (acquisto originario). Anche i figli adottivi, se stranieri, acquistano la cittadinanza italiana ove l’adottante o uno degli adottanti sia cittadino italiano, ma naturalmente l’acquisto avviene non per nascita per effetto di adozione;
  2. iure soli: è cittadino chi è nato nel territorio della repubblica se entrambi i genitori sono ignoti o apolidi;
  3. per iuris communicatio: acquista la cittadinanza il coniuge straniero o apolide, di cittadino italiano purchè ne faccia richiesta e in quanto o risieda da almeno 6 mesi in Italia o sia unita in matrimonio da almeno 3 anni;
  4. per concessione: la cittadinanza può essere concessa allo straniero del quale un genitore o un nonno fosse cittadino italiano purchè risieda in Italia da almeno 3 anni o presti il servizio militare per l’Italia o assuma pubblico impiego alle dipendenze dello Stato; allo straniero che presti servizio, anche all’estero, alle dipendenze dello Stato per almeno 5 anni; al cittadino di uno dei Paesi della CEE che risieda per almeno 4 anni in Italia; all’apolide che risieda in Italia per almeno 5 anni; a qualsiasi straniero che risieda in Italia da almeno 10 anni.

Con la nuova disciplina si è ammessa la possibilità che un cittadino abbia anche contemporaneamente un’altra cittadinanza e si è ammessa la possibilità di riacquistare la cittadinanza anche avendola in precedenza perduta.

47  La posizione della persona della famiglia   

Il rapporto che lega le varie persone appartenenti alla stessa famiglia dà luogo ad una serie di diritti e doveri ( status familiae). La parentela è il vincolo che unisce le persone che discendono dalla stessa persona e quindi dallo stesso stipite (art.74 c.c.). Ai fini della determinazione dell’intensità del vincolo occorre considerare le linee e i gradi: la linea retta unisce le persone di cui l’una discende dall’altra (nonno-nipote, padre-figlio); la linea collaterale quella che, pur avendo uno stipite comune non discendono l’una dall’altra (art.75 c.c. es. fratelli, zio-nipote). I gradi si contano calcolando le persone e togliendo lo stipite. Così tra padre e figlio vi è parentela di primo grado; tra fratelli, di secondo grado (figlio, padre, figlio=3; 3-1=2;); tra nonno e nipote vi è parentela di secondo grado (nonno, padre, figlio=3, 3-1=2); tra cugini vi è parentela di 4°grado …..
Di regola, la legge riconosce effetti alla parentela solo fino al 6° grado (art.77 c.c.).
L’affinità è il vincolo che unisce un coniuge e i parenti dell’altro coniuge (art.78 c.c.). Per stabilire il grado di affinità si tiene conto del grado di parentela con cui l’affine è legato al coniuge; così suocera e nuora sono affini in primo grado; i cognati sono affini di secondo grado. Di regola la morte di uno dei coniugi, anche se non vi sia prole, non estingue l’affinità. Questa cessa, invece, se il matrimonio è stato dichiarato nullo.
Tra coniugi non v’è né rapporto di parentela né di affinità ma di coniugio.

  1.  Cessazione della persona fisica

 

La personalità giuridica dell’individuo si estingue con la morte. Si tende a considerare decisiva la morte cerebrale, consistente nell’irreversibile cessazione di ogni attività del sistema nervoso centrale. L’accertamento del momento della morte è importante ai fini della disciplina dei trapianti.
Nel nostro ordinamento, il tentativo di suicidio non è sanzionabile mentre è punita la istigazione al suicidio.
Se due persone muoiono nello stesso sinistro, può avere talora rilevanza stabilire quale delle sue sia morta prima.

  1.  La scomparsa e l’assenza

 

Persona scomparsa è quella rispetto alla quale concorrono questi due elementi: l’allontanamento dal luogo del suo ultimo domicilio o residenza; la mancanza di notizie. Accertati questi requisiti, il tribunale dell’ultimo domicilio o residenza può nominare un curatore il quale rappresenterà lo scomparsi negli atti che siano necessari per la conservazione del suo patrimonio (curatore dello scomparso art.48 c.c.).
L’assenza è la situazione che si verifica quando la scomparsa della persona si protrae per più tempo. Essa è dichiarata con sentenza, trascorsi due anni dal giorno a cui risale l’ultima notizia della persona (art.49 c.c.). Il tribunale ordina l’apertura dei testamenti, se vi sono, e i presunti eredi, legittimi o testamentari, sono immessi nel possesso temporaneo dei beni (art.50 c.c.).
La dichiarazione di assenza non scioglie però il matrimonio dell’assente.

  1. La dichiarazione di morte presunta  

 

La dichiarazione di morte presunta viene pronunciata con sentenza del tribunale quando la scomparsa si protrae per un periodo di tempo maggiore o si riconnette ad avvenimenti (guerra, infortuni) che fanno apparire probabile la morte, produce effetti analoghi a quelli prodotti dalla morte: gli aventi diritto possono disporre liberamente dei beni (art.63 c.c.); il coniuge può contrarre nuovo matrimonio (art.65 c.c.). Essa tuttavia da luogo solo ad una presunzione di morte, quindi, se la persona ritorna e se ne prova l’esistenza, recupera i beni nello stato in cui si trovano ed ha diritto di conseguire il prezzo di quelli alienati (art.66 c.c.), il nuovo matrimonio contratto dal suo coniuge è invalido (art.68 e 117.5 c.c.). Tuttavia, l’annullamento non pregiudica i figli, i quali restano legittimi. Si applicano i principi che l’art.128 c.c. stabilisce per il matrimonio putativo. Per la dichiarazione di morte presunta occorre che siano trascorsi 10 anni dal giorno a cui risale l’ultima notizia dell’assente (art.58 c.c.); termini minori sono richiesti dall’art.60 c.c. nell’ipotesi di scomparsa in operazioni belliche, prigionia di guerra, infortuni.

 

  1.  Gli atti dello stato civile

 

Le vicende più importanti della persona fisica sono documentate in appositi registri (registri dello stato civile), tenuti nell’ufficio di ogni comune.
I registri sono 4:

  1. di cittadinanza
  2. di nascita
  3. di matrimonio
  4. di morte.

Essi sono pubblici (art.450 c.c.): chiunque può chiedere estratti e certificati.
I registri dello stato civile adempiono, pertanto, anche alla funzione di pubblicità-notizia delle vicende principali della persona fisica.

 

Capitolo 8: IL SOGGETTO DEL RAPPORTO GIURIDICO

LA PERSONA GIURIDICA

 

Gli enti

Persone giuridiche dovrebbero essere soltanto gli enti specificamente individuati e registrati (art.33 e 2200 c.c.).
Si costituiscono inoltre, enti “di fatto”, ciascuno privo di riconoscimento come persona giuridica, ma comunque attivi come centri ai quali è delegata la cura di interessi settoriali di gruppi più o meno numerosi di individui (campo sociale, culturale, sportivo…).

Classificazione degli enti

 

Gli enti si distinguono in base ai diversi criteri di classificazione:

  1. persone giuridiche pubbliche e persone giuridiche private, o persone giuridiche “di diritto pubblico” (art.11 c.c.) e persone giuridiche “di diritto privato” (art.12 c.c.). Tra le prime vi è innanzitutto lo Stato e poi gli altri enti pubblici territoriali (regioni, province, comuni), nonché altri numerosi enti pubblici (Inps…);
  2. enti registrati (art.34 e 2200 c.c.) ed enti “di fatto” (quali le associazioni non riconosciute, le società semplici);
  3. enti a struttura associativa (a base contrattuale e con la partecipazione di una pluralità di persone) ed enti a struttura istituzionale, costituiti da volontà unilaterale di un fondatore (Stato o privato);
  4. enti con finalità di lucro ed enti con finalità ideali ( politiche, sindacali, culturali, sportive….);
  5. tra gli enti con finalità di lucro distinguiamo enti con finalità egoistiche, in cui cioè gli operatori intendono appropriarsi degli eventuali lucri ricavati, ed enti c.d. non profit, in cui gli operatori, invece, si impegnano a non distribuirsi gli utili, ma o a reinvestirli nell’impresa o a destinarli ad altri scopi non lucrativi.

Le figure più importanti di enti sono: le società, le associazioni, le fondazioni, le organizzazioni di volontariato.

Autonomia patrimoniale della persona giuridica

 

Elemento caratteristico fondamentale della persona giuridica è la c.d. autonomia patrimoniale: vale a dire che il patrimonio dell’ente si distingue nettamente da quello degli associati, degli amministratori, di qualunque altro soggetto.

Elementi della personalità giuridica

 

Gli elementi costitutivi della persona giuridica sono, per le associazioni, una pluralità di persone e lo scopo comune; per le fondazioni, il patrimonio e lo scopo. Ma non basta che questi elementi sussistano perché la personalità giuridica sia attribuita. Perché nasca, occorre il riconoscimento dello Stato, concesso con decreto del Presidente della  Repubblica (art.12 c.c.). La facoltà di riconoscimento può anche essere delegata dal Governo ai prefetti per determinati categorie di enti che esercitano la loro attività nell’ambito della provincia. Il riconoscimento può, peraltro, anche essere conferito genericamente dalla legge (riconoscimento generico).
Il riconoscimento è, di regola, preceduto da atti mediante i quali uno o più persone manifestano la volontà di dar vita ad una persona giuridica. Questo atto si chiama atto costitutivo.
La vita e l’attività della persona giuridica sono regolate da un atto che si chiama statuto. Esso può essere anche incorporato nell’atto costitutivo o nel negozio di fondazione.

Capacità e formazione della volontà della persona giuridica

 

La persona giuridica non può unirsi in matrimonio, avere figli, essere titolari di rapporti di natura familiare, …, peraltro, essa può essere titolare di alcuni diritti personalissimi (diritto al nome, all0integrità morale ….). Le persone giuridiche non sono, per loro natura, in condizione di formare una loro volontà e di esprimerla. Esse si servono di persone fisiche, le quali si chiamano organi. La persona giuridica, dunque, agisce attraverso i suoi amministratori, i quali ne hanno in primo luogo la gestione e inoltre hanno il potere di rappresentare l’ente di fronte ai terzi.

La nazionalità e la sede

 

La cittadinanza è un concetto riferibile alle persone fisiche, rispetto alle persone giuridiche, per designare l’appartenenza a questo o a quello Stato, si usa il termine nazionalità. La nazionalità è determinata dallo Stato che ha proceduto al riconoscimento. Alle persone giuridiche non si applicano i concetti di dimora e di residenza; essi sono sostituiti da quello di sede, che è il luogo in cui la persona giuridica svolge la sua principale attività. La sede deve risultare dall’atto costitutivo (art.16 c.c.); deve essere indicato nel registro delle persone giuridiche (art.33 c.c. sede legale). Se, questa sede è diversa da quella effettiva, i terzi hanno facoltà di attribuire prevalenza a quest’ultima.

L’estinzione

 

Le persone giuridiche non sono soggette alla morte, ma la loro estinzione ha luogo per cause previste nell’atto costitutivo o nello statuto. Inoltre, l’estinzione si produce per il venire meno dell’elemento fondamentale per l’esistenza della persona giuridica: lo scopo. Ciò ha luogo quando lo scopo è stato raggiunto e ne è diventata impossibile la realizzazione.
Nelle associazioni l’estinzione di verifica anche per lo scioglimento disposto dall’assemblea o dal governo, oppure quando tutti gli associati sono venuti a mancare. Non è sufficiente, invece, la perdita dei beni, perché il patrimonio si può ricostituire con lasciti, donazioni …
L’estinzione non ha luogo automaticamente, ma è necessario un provvedimento di carattere pubblico: la dichiarazione dell’autorità governativa su istanza di qualunque interessato o di ufficio. Ma neppure questo provvedimento vale a segnare la fine della persona giuridica: esso serve solo a determinare il passaggio alla fase della liquidazione. Durante questa fase la personalità dell’ente continua a sussistere, ma con la limitazione che possono essere compiuti solo gli atti necessari per la finalità della liquidazione. Ricevuta infatti la comunicazione del provvedimento di estinzione, gli amministratori non possono compiere nuove operazioni. I beni residuati dalla liquidazione sono devoluti secondo le disposizioni dell’atto costitutivo o dello statuto, in mancanza di queste provvede l’autorità governativa.

La pubblicità delle vicende delle persone giuridiche

 

Le vicende fondamentali relative alle persone giuridiche sono indicate in un registro istituito in ogni provincia (art.33 c.c.). Per spingere gli amministratori o i liquidatori ad effettuare le richieste di iscrizione nei casi e nei termini previsti dalla legge sono stabilite sanzioni penali (art.35 c.c.): per di più se omettono di chiedere la registrazione di una persona giuridica riconosciuta, rispondono in proprio, personalmente e solidalmente, insieme con la persona giuridica, delle obbligazioni da questa assunta (art.33.4 c.c.).
Scopo di queste registrazioni è di porre i terzi, che concludono atti con le persone giuridiche, in grado di conoscere se esse abbiano ricevuto il riconoscimento, quale sia il patrimonio su cui possano contare (pubblicità dichiarativa).
L’omissione della pubblicità non importa la nullità o l’inefficacia dell’atto, ma in plica solo che l’atto stesso non può essere opposto al terzo, a meno che non si provi che egli ne era ugualmente a conoscenza (art.34 c.c.).

Le associazioni non riconosciute

 

Le associazioni non riconosciute sono quelle che non hanno chiesto il riconoscimento o, seppure l’hanno chiesto, questo è stato negato o non è stato ancora concesso (partiti politici, sindacati, circoli di cultura, ass. sportive …).
Naturalmente si presuppone che lo scopo a cui l’attività di queste organizzazioni è rivolta sia lecito, altrimenti si costituirebbe reato. Anzitutto, viene riconosciuta efficacia agli accordi intervenuti tra gli associati per quanto attiene all’ordinamento interno, cioè, ai rapporti degli associati tra loro e all’amministrazione dei beni (art.36 c.c.).
I contributi degli associati ed i beni acquistati con essi costituiscono il fondo comune dell’associazione (art.37 c.c.). Questo fondo comune è destinato a soddisfare i creditori dell’associazione. Vi è anche qui un’autonomia patrimoniale imperfetta. L’autonomia sussiste perché i creditori non possono far valere i propri diritti sul patrimonio dei singoli associati, ma sul fondo comune (art.38 c.c.). L’autonomia è imperfetta in quanto per le obbligazioni dell’associazione rispondono anche, personalmente e solidalmente, non tutti gli associati ma le persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione (art.38 c.c.). Alle associazioni non riconosciute è attribuita la capacità processuale: esse possono stare in giudizio nella persona di coloro ai quali, secondo gli accordi degli associati, è conferita la presidenza o la direzione dell’associazione (art.36.2 c.c.).
L’associazione non riconosciuta non può, in quanto tale, ricevere donazioni (art.786 c.c.), ne lasciti testamentari (art.600 c.c.). Per conseguire la donazione o il lascito eventualmente disposto a suo favore, l’ente non riconosciuto deve richiedere entro l’anno il riconoscimento della personalità giuridica.

I comitati

 

Comitato è il gruppo delle persone che si propongono di raccogliere i fondi. Esso di può costituire senza formalità, anche verbalmente. Il comitato mira alla formazione di un patrimonio destinato ad uno scopo. I fondi si costituiscono con le offerte dei singoli che, di regola, avendo per oggetto beni mobili di modico valore, devono considerarsi donazioni manuali (art.783 c.c.).
Gli organizzatori, e coloro che assumono la gestione dei fondi raccolti, sono responsabili, sia verso gli oblatori sia verso i destinatari delle offerte, personalmente e solidalmente della conservazione dei fondi e della loro destinazione allo scopo (art.40 c.c.). Accanto a questa responsabilità civile può sussistere, ove ne ricorrano gli estremi, la responsabilità penale (appropriazione indebita).
Se sono state assunte obbligazioni verso terzi, di queste rispondono personalmente e solidalmente i componenti del comitato. I sottoscrittori sono tenuti solo ad effettuare le oblazioni promesse (art.41 c.c.).
Anche al comitato è stata riconosciuta la capacità processuale: essa può stare in giudizio nella persona del presidente (art.41 c.c.).
Se i fondi raccolti sono insufficienti o lo scopo non si può attuare o, raggiunto lo scopo, vi è un residuo di fondi, sulla devoluzione dei beni provvede l’autorità governativa.

Capitolo 9: L’OGGETTO DEL RAPPORTO GIURIDICO

 

  1. Il bene

L’art.810 c.c. precisa che sono beni solo le cose che possono formare oggetto di diritti, cioè quelle suscettibili di appropriazione e di utilizzo e che, perciò, possono avere un valore. Quindi il bene è oggetto diretto dei soli diritti reali. Può essere oggetto mediato dei diritti di credito, peraltro nelle sole obbligazioni di dare.

Categorie di beni: corporali e immateriali

 

I beni oggetto dei diritti reali si caratterizzano per la loro materialità, oltre che per la loro suscettibilità di valutazione economica. Tra i beni mobili ritroviamo pure le energie naturali (energia elettrica) purchè anch’esse abbiano valore economico (art.814 c.c.).
Tra i beni immateriali vanno considerati gli stessi diritti quando possono formare oggetto di negoziazione.
Le opere di ingegno (poesia, brani musicali, quadro, …) sono considerate beni immateriali solo quando l’opera arrivi a formare oggetto di scambio o di sfruttamento, altrimenti all’autore spetta solo un diritto morale a riconoscimento della paternità.
Sono considerati beni anche marchi e invenzioni tutelati da brevetti.

Beni mobili ed immobili

 

Immobile è il suolo e tutto ciò che naturalmente a artificialmente è incorporato ad esso (art.812.1 c.c.). L’art.812.2 c.c. considera immobili anche alcuni beni che non sono incorporati al suolo: i mulini, i bagni e gli edifici galleggianti, uniti saldamente per destinazione permanente alla riva.
Tutti gli altri beni sono mobili (art.812.3 c.c.).
Gli atti di trasferimento dei beni immobili e le loro vicende giuridiche devono essere annotate in pubblici registri, in guisa da porre i terzi in condizione di conoscerli (art.2643 c.c. pubblicità immobiliare). Questo regime di pubblicità si è potuto istituire anche per alcuni beni mobili, detti mobili registrati (nave, aereo, auto).

Valori mobiliari

 

Sono valori mobiliari le azioni ed obbligazioni emesse da società di capitali, titoli di stato, quote di fondi comuni di investimento e altri titoli negoziati sul mercato dei capitali e sul mercato monetario, contratti futures, swaps …
Qualsiasi sollecitazione all’investimento rivolta al pubblico per l’acquisto di strumenti finanziari, deve essere preventivamente comunicata alla Consob, allegando un apposito prospetto destinato alla pubblicazione e contenente ogni informazione utile per consentire ad ogni interessato una adeguata valutazione dell’investimento oggetto della sollecitazione.

Beni fungibili ed infungibili

 

Fungibile è il bene che può essere sostituito indifferentemente con un altro, in quanto non interessa avere proprio quel bene, ma una data quantità di beni di quel genere. Per adempiere l’obbligazione di dare una quantità di beni fungibile e renderne proprietaria un’altra persona è necessaria la separazione, la quale consiste nella numerazione, nella pesatura o nella misura della parte dovuta (art.1378 c.c.).

Beni consumabili e inconsumabili

 

Consumabili sono quei beni che non possono prestare utilità all’uomo senza perdere la loro individualità o senza che il soggetto se ne privi (es. danaro). Gli altri beni (es. i vestiti) sono inconsumabili , ancorchè si deteriorano con l’uso. I beni consumabili, siccome capaci di una sola utilizzazione, sono anche detti beni di utilità semplice;i beni inconsumabili, in quanto suscettibili di una serie di utilizzazioni, sono invece detti beni di utilità permanente

 

Beni divisibili e indivisibili

 

Divisibili sono le cose suscettibili di essere ridotte in parti omogenee senza che se ne alteri la destinazione economica (es. un fondo, un edificio, un animale morto); è indivisibile, invece, un animale vivo, un appartamento.
L’indivisibilità può dipendere pure dalla volontà delle parti, che possono considerare non suscettibile di divisione anche un bene che, secondo il comune modo di vedere, è ritenuto divisibile.

Beni presenti e futuri

 

Presenti sono i beni già presenti in natura; solo questi possono formare oggetto di proprietà o di diritti reali. Possono, peraltro, formare oggetto di rapporti obbligatori (art.1348 c.c.), salvo i casi in cui ciò non sia vietato dalla legge.
La ragione per cui non è concepibile un rapporto di natura reale su un bene futuro è ovvia: non si può esercitare un potere immediato su una cosa che non esiste. Comunque può darsi che chi acquista un bene futuro non voglia assumere nessun rischio: è perciò stabilito che, se esso non viene ad esistenza, il contratto non produce effetto e nessun corrispettivo è dovuto dall’altra parte. Del tutto diversa è, invece, l’ipotesi in cui le parti si affidano alla sorte (e perciò il contratto è detto aleatorio): comprano ciò che si ricaverà dal getto della rete, e quindi lo stesso prezzo sarà dovuto sia nel caso che la rete esca dal mare piena di pesci sia in quello in cui risulti vuota.

  1. I frutti

 

I frutti si distinguono in: frutti naturali e frutti civili.
I frutti naturali provengono direttamente da altro bene, con o senza l’opera dell’uomo, come i prodotti agricoli, i prodotti delle miniere (art.820.1 c.c.). perché si possa parlare di frutti, occorre che la produzione abbia carattere periodico e non incida sulla sostanza e sulla destinazione economica della cosa madre.
Finchè non avviene la separazione dal bene che li produce i frutti naturali si dicono pendenti: essi formano parte della cosa madre, non hanno ancora esistenza autonoma. Si può tuttavia disporre di essi come di cosa mobile futura (art.820.2 c.c.). chi li vende non trasferisce al compratore il diritto di proprietà su di essi, ma si obbliga a trasferirlo allorchè verranno ad esistenza. L’acquirente potrà chiedere che sia effettuata la separazione; solo quando questa si sarà verificata, acquisterà il diritto di proprietà sui frutti. Se la cosa madre forma oggetto di procedimento di espropriazione forzata da parte del creditore che vuol soddisfarsi del proprio credito, il pignoramento che cade sulla cosa madre colpisce anche i frutti pendenti, appunto perché essi non hanno ancora esistenza autonoma (art.2912 c.c.).
Frutti civili sono i redditi che si conseguono da un bene, come corrispettivo del godimento che ne venga concesso ad altri. Tali sono gli interessi di capitali, i dividendi azionari, le rendite vitalizie, il corrispettivo delle locazioni.
I frutti civili devono avere il requisito della periodicità. Essi si acquistano giorno per giorno in ragione alla durata del diritto: così ad es. se viene venduta la cosa locata, il canone in corso di maturazione va diviso tra alienante ed acquirente in proporzione della durata dei rispettivi diritti.

  1. Combinazione dei beni

 

Cosa semplice è quella i cui elementi sono talmente compenetrati tra di loro che non possono staccarsi senza distruggere o alterare la fisionomia del tutto (es. un animale, un minerale, un fiore).
Cosa composta è, invece, quella risultante dalla connessione, materiale o fisica, di più cose, ciascuna delle quali potrebbe essere staccata dal tutto ed avere autonoma rilevanza giuridica ed economica (es. la cosa è fatta di mattoni, di un’armatura di ferro…).

  1. Le pertinenze

 

Se una cosa è posta a servizio o ad ornamento di un’altra, senza costituirne parte integrante e senza rappresentare elemento indispensabile per la sua esistenza, ma in guisa da accrescerne l’utilità o il pregio, si ha la figura della pertinenza (art.817 c.c.). Per la costituzione del rapporto di pertinenza occorrono sia l’elemento oggettivo (ornamento tra cosa e cosa) sia l’elemento soggettivo (volontà di effettuare la destinazione dell’una cosa a servizio  od ornamento dell’altra).
Esempi di pertinenza d’immobile ad immobile: il box è destinato al servizio di una casa d’abitazione; un pozzo per l’irrigazione di un fondo.
Esempi di pertinenza di mobile ad immobile: la cucina a gas e lo scaldabagno.
Esempi di pertinenza di mobile a mobile: le scialuppe di una nave.
La destinazione di una cosa al servizio o all’ornamento  dell’altra fa sì che l’una cosa abbia carattere accessorio rispetto all’altra, che assume posizione principale. Se manca il vincolo di accessorietà, non vi è figura della pertinenza.
Il vincolo che sussiste tra due cose dev’essere durevole, ossia non occasionale, e dev’essere posto in essere da chi è proprietario della cosa principale ovvero ha diritto reale su di essa (art.817 c.c.).
Le pertinenze seguono, di regola, lo stesso destino della cosa principale, a meno che non sia diversamente disposto (art.818 c.c.).
La legge tutela la buona fede dei terzi in riferimento a:

  1. costituzione: i terzi, proprietari delle pertinenze, possono rivendicarle contro il proprietario della cosa principale. Se, tuttavia, costui ha alienato la cosa principale, senza esclusione della pertinenza, a terzi i quali ignoravano che la pertinenza non apparteneva al proprietario della cosa principale, l’art.819 c.c. protegge questi terzi contro facili frodi ai loro danni. Se la cosa principale è un bene immobile o un mobile registrato, ai terzi in buona fede non si può opporre l’esistenza di diritti altrui sulle pertinenze, se esse non risultano da scrittura avente data certa (art.2704 c.c.), anteriore all’atto di acquisto da parte del terzo in buona fede. Se poi la cosa principale è un mobile non registrato, il terzo acquirente in buona fede è protetto in base al principio possesso vale titolo;
  2. cessazione:  la cessazione della qualità della pertinenza non è opponibile ai terzi i quali abbiano anteriormente acquistato diritti sulla cosa principale (es. se la cosa principale è stata venduta dal proprietario a Tizio senza esclusione delle pertinenze e queste poi vengono vendute a Caio, questa seconda vendita non può essere opposta a Tizio (art.818.3 c.c.).
  1. Le universalità patrimoniali

 

L’art.816 c.c. definisce universalità di mobili la pluralità di cose che appartengono alla stessa persona e hanno una destinazione unitaria (es. i libri di una biblioteca).
L’universalità di mobili si distingue dalla cosa composta perché non vi è coesione fisica tra le varie cose; si distingue dal complesso pertinenziale in quanto le cose non si trovano l’una rispetto all’altra in rapporto di subordinazione: l’una non è posta a servizio o a ornamento dell’altra, ma tutte insieme costituiscono una entità nuova dal punto di vista economico-sociale: la biblioteca, il gregge.
I beni che formano l’universalità possono essere considerati a volte separatamente (art.816.2 c.c.) a volte come un tutt’uno. Ciò dipende dalla volontà delle parti ed assumere particolare importanza nell’usufrutto.
Il  principio “possesso vale titolo” non si applica all’universalità di mobili (art.1156 c.c.).
Inoltre, il possesso di un’universalità di mobili può essere tutelato con l’azione di manutenzione (art.1170 c.c.), che non è concessa, invece, per i beni mobili.

  1. L’azienda

 

Un’azienda è costituita da un insieme di beni vari, tutti organizzati, ossia collegati tra loro da un nesso di dipendenza reciproca, in guisa da servire al fine produttivo comune: danaro, crediti, bottega, merci.
Tra gli elementi che formano l’azienda ha particolare importanza l’avviamento che si può definire come la capacità di profitto dell’azienda. Secondo la cassazione, l’avviamento è una qualità dell’azienda, che può anche mancare come accade nel caso di un’azienda di nuova costituzione, o di azienda già in esercizio che abbia cessato temporaneamente di funzionare.
Per quanto riguarda l’impresa, il c.c. non dà la definizione, ma dà quella dell’imprenditore, che, secondo l’art.2082 c.c., è chi esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi (es. agricoltore, assicuratore…).
L’impresa, dunque, è l’attività economica svolta dall’imprenditore; l’azienda è, invece, il complesso dei beni di cui l'imprenditore si avvale per svolgere l’attività stessa.

 

 

  1.  Il patrimonio

Si chiama patrimonio il complesso dei rapporti attivi e passivi suscettibili di valutazione economica facenti capo ad una persona.
Diverso è il patrimonio autonomo che è quello che viene attribuito ad un nuovo soggetto mediante la creazione di una persona giuridica.

  1. Beni pubblici

 

Di beni pubblici si parla in due sensi: a) beni appartenenti ad un ente pubblico (beni pubblici in senso soggettivo;  b) beni assoggettati ad un regime speciale, diverso dalla proprietà privata, per favorire il raggiungimento dei fini pubblici cui quei cespiti sono destinati (beni pubblici in senso oggettivo).
Sotto questo secondo profilo sono pubblici i beni demaniali, che possono appartenere solo ad enti pubblici territoriali. E così vi appartengono:

  1. il demanio marittimo (spiaggia, porti);
  2. il demanio idrico (fiumi, torrenti, laghi).

Queste due categorie costituiscono il demanio naturale necessario, cioè beni che non possono non appartenere allo Stato;

  1. il demanio militare (fortificazioni militari);
  2. il demanio stradale (strade, autostrade);
  3. gli acquedotti (di qualunque ente pubblico), i beni culturali di interesse archeologico, artistico e storico (dello Stato), i mercati comunali e i cimiteri (dei comuni).

I beni demaniali sono inalienabili (art.823 c.c.); non possono formare oggetto di possesso (art.1145 c.c.) e non possono essere acquistati per usucapione da privati. Essi sono disciplinati dal diritto pubblico.
I beni non demaniali appartenenti ad un ente pubblico si chiamano beni patrimoniali. Si distinguono in due categorie: a) beni indisponibili (foreste, miniere, edifici destinati a sedi di uffici pubblici …), che non possono essere sottratti alle loro destinazioni; b) beni disponibili, che non sono destinati direttamente ed immediatamente a pubblici servizi e sono soggetti, salvo leggi speciali, alle norme del c.c. .
Le chiese possono appartenere anche a privati e sono soggette alla disciplina del diritto privato, possono essere quindi alienate, usucapite…, ma finchè non siano sconsacrate secondo le regole del diritto canonico, non possono essere sottratte alla loro destinazione e al culto (art.831.2 c.c.).

 

 

Capitolo 10: IL FATTO GIURIDICO

 

  1. I fatti giuridici

Per fatto giuridico s’intende qualsiasi avvenimento che produca effetti giuridici. Si distinguono fatti materiali o bruti(quando si verifica un mutamento della situazione preesistente nel mondo esterno, percepibile dall’uomo con i sensi) e fatti in senso ampio, comprensivi sia di omissioni che di c.d. fatti interni o psicologici.
Si parla di fatti giuridici in senso stretto o naturali quando le conseguenze giuridiche sono ricollegate ad un evento senza che assuma rilievo se a causarlo sia intervenuto o meno l’uomo( morte per cause naturali di una persona, un’inondazione che può provocare perdite di proprietà).
Si parla invece di atti giuridici, se l’evento causativo di conseguenza giuridica postula un intervento umano ( i reati, i contratti, le sentenze).
La giuridicità di un fatto, non dipende mai da caratteristiche intrinseche di quell’avvenimento, bensì soltanto dalla circostanza estrinseca che a quell’evento sia ricollegabile, in forza di una norma giuridica che lo disponga, un effetto giuridico.

  1. La fattispecie

 

Il termine fattispecie deriva dal latino species facti .
Si parla di fattispecie astratta e di fattispecie concreta. Per fattispecie “astratta” s’intende un complesso di fatti non realmente accaduti, ma descritti ipoteticamente in una norma ad indicare quanto deve verificarsi affinché si produca una data conseguenza giuridica.
La struttura della norma giuridica è articolata nella previsione di una fattispecie astratta, un’ipotesi d’evento, al verificarsi del quale la legge ricollega determinati effetti giuridici.
Per fattispecie “concreta” invece, s’intende non più un modello configurato ipoteticamente, ma un complesso di fatti realmente verificatisi, e rispetto ai quali occorre accertare se e quali effetti giuridici ne siano derivati.
Mentre l’individuazione della fattispecie astratta si risolve in una pura operazione intellettuale, l’indagine sulla fattispecie concreta consiste nell’accertamento del fatto storico, quale realmente verificatosi, da porre poi a confronto con l’ipotesi astratta prevista dalla legge.
La fattispecie può constare di un solo fatto (morte di una persona) e si chiama allora fattispecie semplice. Se invece la fattispecie è costituita da una pluralità di fatti giuridici (per alienare i beni di un incapace occorrono l’autorizzazione del tribunale e il consenso del rappresentante legale) essa si dice complessa.
In alcuni casi se la fattispecie consta d una serie di fatti che si succedono nel tempo, si posso verificare effetti prodromici o preliminari, prima che l’interra serie sia completata ( contratto sottoposto a condizione sospensiva:il soggetto è titolare di una aspettativa fino a quando la condizione non si sia verificata.

 

Fonte: http://studiando.altervista.org/UNIVERITY/1anno/PRIVATO/riassunto%20del%20torrente.doc

Sito web da visitare: http://studiando.altervista.org

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