Sistema delle fonti normative

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Sistema delle fonti normative

Le fonti normative dell’ordinamento giuridico repubblicano: categorie e criteri di identificazione
Se la convivenza tra individui e gruppi sociali determina la continua produzione di norme di comportamento, lo Stato moderno ha progressivamente preteso di disciplinare ogni fenomeno che ritenesse socialmente rilevante. Se a ciò si aggiunge la considerazione che le fonti prodotte dal nostro ordinamento giuridico statale sono in forma scritta, può comprendersi come l'usuale distinzione fra fonti- atto e fonti- fatto registri una decisa prevalenza ad delle prime sulle seconde. Per fonti atto si intendono quegli atti giuridici cui l'ordinamento costituzionale attribuisce l'idoneità a porre in essere norme giuridiche, molto rari sono i casi in cui il nostro ordinamento riconosce a fatti l'idoneità di porre in essere norme rilevanti per l'ordinamento giuridico. Un'altra distinzione preliminare è quella fra fonti di produzione e fonti di cognizione: con la prima espressione ci si riferisce agli atti o fatti cui l'ordinamento riconosce l'idoneità a porre in essere una norma attraverso l'individuazione dell'organo titolare del potere e del procedimento di formazione dell'atto normativo; con la seconda ci si riferisce agli atti formali nei quali consistono le diverse norme giuridiche.
Fra le fonti di produzione, una particolare ed importante categoria è costituita dalle fonti sulla produzione: queste fonti hanno come contenuto specifico la disciplina della produzione di norme giuridiche e della loro efficacia; la fonte sulla produzione per eccellenza è la Costituzione.
È pacifica l’opinione che la nostra Cost. prevede un “numero chiuso” di fonti operanti a livello costituzionale e a livello delle leggi ordinarie, ma che invece permetta al legislatore ordinario, seppure in coerenza alle disposizioni costituzionali in tema di organizzazione e di tutela delle posizioni soggettive, di configurare anche diversi tipi di fonti secondarie.
I criteri sostanziali per l'individuazione delle fonti di sono: la generalità, la astrattezza e l'innovatività. Con la generalità ci si riferisce al fatto che la norma è destinata ad una pluralità indeterminata ed a priori indeterminabile di soggetti o di rapporti; con la astrattezza ci si riferisce al fatto che la norma tende a valere nel tempo per tutti i rapporti che saranno ad essa riconducibili; il requisito della innovatività attiene ai requisiti minimi di contenuto di una norma. In un regime giuridico a Costituzione rigida, nel quale lo stesso principio di uguaglianza esige, almeno una volta, un intervento razionalmente differenziato e, al limite, anche puntuale e concreto, deve dirsi che i requisiti di generalità e di astrattezza costituiscono soltanto requisiti normali, ma derogabili, sulla base di idonee motivazioni, dalle fonti normative di livello primario. Più attuale il requisito dell’innovatività, quanto meno in riferimento al richiamo che l’efficacia delle fonti normative non può sussistere che nel caso in cui queste abbiano un contenuto, o contribuiscono alla formazione di un contenuto, di tipo prescritto e non meramente descrittivo di una possibile ipotetica attività.
In realtà, ormai, i criteri sostanziali svolgono solo una funzione limitativa nell’individuazione delle fonti normative, perché decisamente prevalente appare il criterio della loro individuazione in termini formali, attraverso la determinazione, più o meno esaustiva, nelle fonti sulla produzione, della denominazione di ciascuna fonte,dell’organo titolare del relativo potere normativo, del procedimento di formazione e di entrata in vigore, della sua orza giuridica.
La pubblicazione delle fonti normative
La pubblicazione costituisce l'ultima fase del procedimento di produzione normativa; essa svolse una funzione essenziale per la conoscibilità del testo legale e dalla data della pubblicazione dipende il momento della efficacia della fonte, dopo un periodo di "vacatio"(15 giorni).
Si parla di pubblicità legale, una volta intervenuta questa pubblicazione, si ha la presunzione di conoscenza del testo da parte di diversi soggetti che ne possono essere i destinatari. Fra le diverse pubblicazioni ufficiali che svolgono così importante funzione di pubblicità legale un ruolo del tutto particolare è svolto dalla Gazzetta Ufficiale della Repubblica, che non solo deve pubblicare tutti gli atti normativi statali e molti degli altri atti pubblici ma finge da strumento di pubblicità legale anche per le sentenze della Corte costituzionale. Devono essere pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana tutti gli atti normativi statali "che siano strettamente necessari per l'applicazione di atti aventi forza di legge e che abbiano contenuto normativo", tutti gli accordi internazionali, i dispositivi delle sentenze che dichiarano l'illegittimità costituzionale di leggi o fatti con forza di legge.
La pubblicazione legale di questi atti è quella che avviene sulla gazzetta ufficiale, mentre il necessario inserimento degli atti normativi nella raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica costituisce una semplice ripubblicazione.
La legge prevede anche alcune opportune pubblicazioni, aventi peraltro solo efficacia notiziole, in quanto frutto di un’attività tecnica delle strutture ministeriali interessate, volta ad agevolare la comprensione dei testi pubblicati.
Il sistema delle fonti e la rilevanza della funzione interpretativa
L'individuazione delle norme non deriva da una lettura del testo, ma è il frutto di complessi procedimenti interpretativi. In relazione alle fonti atto va tenuta presente la distinzione fra disposizioni (ossia gli elementi testuali) e norme (ossia le regole giuridiche che si traggono da questi testi tramite l'interpretazione). Le disposizioni sull'interpretazione non appaiono compatibili con il nuovo sistema costituzionale. La stessa elencazione dei possibili criteri interpretativi (l'interpretazione letterale e logica, l'intenzione del legislatore; solo nel caso che non sia individuabile una norma applicabile, si consente l'utilizzazione della analogia legis e poi di quella iuris) appare riferirsi ad una sorta di percorso obbligato per l'interprete. Il valore interpretativo dell'intenzione del legislatore è stato ridotto ad essere un criterio importante ma non risolutivo; e più utilizzato il criterio dell'interpretazione logico- sistematica, che mira ad individuare il contenuto di una singola disposizione dal significato che essa assume nel settore normativo cui esso si riferisce (la ratio legis) o in relazione ai principi costituzionali o ai principi generali dell'ordinamento giuridico (ratio iuris). La stessa indicazione, dell'adozione dell'analogia per colmare le lacune interne all'ordinamento, quelle cioè relative a rapporti giuridicamente rilevanti ma non disciplinati, le quali si prestano all'individuazione di "disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe" (analogia legis). A conferma della crescente difficoltà dei processi interpretativi relativi a leggi che essendo frutto di mediazioni complesse, stanno moltiplicandosi i casi di leggi di interpretazione autentica e cioè di leggi che definiscono l'esatto contenuto di disposizioni contenute in leggi precedenti con efficacia fino dal momento della loro originaria approvazione (ex tunc), dal momento che si tratterebbe, appunto, solo di leggi tese a chiarire il significato originario delle disposizioni cui si riferiscono.
La successione delle fonti nel tempo
Il caso di conflitto fra più fronti viene risolto tramite lo strumento dell'abrogazione della norma precedente da parte di quella successiva; l'abrogazione, consistente nella capacità del nuovo atto- fonte di sostituirsi, in tutto o in parte, alla disciplina precedente. L'abrogazione comporta la non applicabilità della norma rispetto a nuovi fatti, mentre continua la sua eventuale efficacia rispetto a fatti che si siano verificati prima dell'abrogazione (solo una legge retroattiva potrebbe far venir meno questa efficacia). L'art. 15 prevede tre tipi di abrogazione: l'abrogazione espressa, allorché la fonte successiva indichi puntualmente le disposizioni precedenti abrogate; l'abrogazione tacita si verifica quando la fonte successiva contiene disposizioni incompatibili con quelle precedenti; l'abrogazione implicita, consegue ad una complessiva modifica della disciplina dell'intero settore rendendola radicalmente superata.
La gerarchia delle fonti
Se lo Stato liberale si è caratterizzato, sul piano delle fonti, per la netta supremazia di quelle primarie su quelle secondarie, lo Stato costituzionale contemporaneo appare sempre più caratterizzato dalla presenza di costituzioni di tipo rigido, che mirano a garantire comunque il rispetto di una serie di norme e di principi da parte delle stesse fonti primarie.
Le antinomie che si producono fra norme di grado diverso vengono risolte non più in termini di successione nel tempo, ma in termini di illegittimità della fonte di grado inferiore contrastate con quella superiore, a prescindere dalle diverse possibili successione (temporali) delle morali. Il principio di costituzionalità si esprime nel senso di una necessaria preesistenza di una disposizione costituzionale nella materia disciplinata da una fonte primaria, mentre il principio di legalità impone che le fonti secondarie presuppongano l'esistenza di specifiche disposizioni di norme primarie o diano loro esecuzione.
Le disposizioni costituzionali costituiscono un lime per le norme primarie e, solo più raramente, indirizzato la discrezionalità del legislatore, mentre sta al legislatore ordinario, anche al di là dei casi di riserva di legge relativa, indirizzare il potere normativo secondario; l’accertamento dell’illegittimità costituzionale della legge, e delle fonti ad essa equiparate, è di competenza esclusiva della corte costituzionale, mentre l’accertamento dell’illegittimità delle fonti secondarie per contrasto con le fonti primarie rientra nella competenza degli organi cui spetta giudicare della legittimità degli atti amministrativi.
Tutte le fonti di un livello gerarchico superiore abrogano le fonti inferiori. Ma la possibilità che ciò avvenga non in modo esplicito, ma solo in modo tacito o implicito, permette agli operatori giuridici di disapplicare le disposizioni ritenute abrogate e legittima la magistratura ordinaria ad accettarne l’avvenuta abrogazione. In apparente contrasto con la netta separazione fra i diversi livelli di “durezza” delle varie fonti, sono i procedimenti di decostituzionalizzazione, mediante i quali una fonte di tipo primario può sostituirsi a disposizioni di livello costituzionale, e di delegificazione, mediante i quali una fonte di tipo secondario può sostituirsi a disposizioni di livello primario. Si tratta di casi rari, ma che possono essere ammissibili se tale processo è previsto e disciplinato dalla fonte di livello superiore con disposizioni che delimitano con sufficiente precisione l’area dell’effetto abrogativo che si produce sulla fonte di grado superiore.
L'applicazione del criterio di competenza
Il principio del riparto di competenza mira ad affidare il potere normativo, in determinati settori, ad organi od enti diversi da quelli che ne sarebbero titolari o ad instaurare procedimenti nei quali devono necessariamente intervenire. L'eventuale illegittimità delle fonti di tipo costituzionale e primario potrà essere dichiarata solo dalla Corte costituzionale. Apparentemente affini alle fonti sono le applicazioni in senso "debole" del principio di competenza: numerose fonti speciali, che sono o fonti specializzate per disciplinare determinati oggetti, o fonti comuni caratterizzate da un contenuto normativo tipico.
Le fonti di livello costituzionale
Al primo gradino si colloca ovviamente la Costituzione norma fondamentale dell'intero ordinamento nonché della massima forza di resistenza al cambiamento. Fra le fonti operanti a livello costituzionale, oltre alla Costituzione, si collocano le leggi di revisione e di integrazione della Costituzione e le altre leggi costituzionali, quelle cioè cui per dettato costituzionale è "riservata" alla disciplina di certe materie, esse si differenziano soprattutto per i diversi limiti che incontrano. Le I essendo soggette ai limiti espliciti e impliciti che circoscrivono la capacità innovativa della funzione di revisione costituzionale, le II essendo soggette ai limiti aggiuntivi dovuto dal fatto di essere fonti a competenza determinata e speciale, chiamate cioè a disciplinare specifici istituti previsti dalla Costituzione. Tra queste ultime, vi è poi da segnalare l’esistenza di leggi costituzionali c.d. “rinforzate”, quelle per la cui approvazione la Costituzione prevede fasi procedimentali ulteriori rispetto a quelle indicate nell’art. 138: è il caso delle leggi costituzionali che dispongono la fusione di regioni esistenti o la creazione di nuove regioni, la cui approvazione parlamentare, nelle forme dell’art. 138, è preceduta da un’apposita richiesta di un certo numero di consigli regionali, nonché da referendum da tenersi tra le popolazioni interessate. Altre fonti di livello costituzionale sono rappresentate dalle norme internazionali generalmente riconosciute. Sul contenuto delle disposizioni costituzionali possono incidere anche le sentenze della Corte costituzionale, sia quelle in tema di conflitti fra i poteri dello Stato, sia quelle in tema di salvaguardia dei supremi principi costituzionali.
Le fonti primarie
Al di sotto della Costituzione e delle leggi costituzionali si pongono le fonti primarie. La legge rappresenta tuttora la principale fonte a competenza generale: la tradizionale qualificazione di legge formale significa la capacità della legge di abrogare e modificare atti normativi precedenti, nonché quella di resistere all'abrogazione e alla modifica da parte di atti normativi successivi, subordinati dalla legge stessa. Questa caratteristica propria della legge si chiama forza di legge, subisce, nel nostro attuale ordinamento, una serie di correzioni in relazione, da un lato, all’adozione di una Cost. di tipo rigido e, dall’altro, all’introduzione, accanto al principio di gerarchia, del principio di competenza quale principio regolatore dei rapporti fra fonti normative. Sotto il primo profilo, la "competenza generale" della legge risulta ridimensionata innanzitutto dalla impossibilità di nascere in violazione delle regole costituzionali che disciplinano il provvedimento legislativo ordinario (per violazione dunque di limiti formali), ma anche nel senso che non possono essere violate le ulteriori regole procedimentali che caratterizzano le leggi ordinarie rinforzate. In secondo luogo, dalla impossibilità di violare principi sostanziali posti dalla Costituzione (per violazione dunque di limiti sostanziali), sia nel caso in cui tali principi si presentino come meri limiti negativi imposti al legislatore, sia nel caso in cui tali principi si presentino come meri limiti positivi, destinati a condizionare in positivo il contenuto della legge. Rientrano in questo ambito anche quelle definite leggi meramente formali, ossia quelle che rivestono di forma legislativa un contenuto normativo che non è nella piena disponibilità del Parlamento. Sotto il secondo profilo, il ridimensionamento della "competenza generale" della legge deriva dalla rottura che la Costituzione opera del monopolio parlamentare del potere legislativo e dalla nascita della legge regionale anch'essa fonte primaria, in suscettibile di essere abrogata e modificata da una successiva legge del parlamento e incapace, a sua volt, di abrogare o modificare precedenti leggi statali. In secondo luogo, essa deriva dal diffuso ricorso da parte del costituente all’istituto della “riserva” della disciplina di alcune materie ad altre fonti normative. È il caso della riserva di regolamento disposta dall’art. 64.1 Cost. in relazione al potere di ciascuna camera di adottare a maggioranza assoluta la disciplina della propria attività, appunto con regolamento, sempre nel rispetto della Cost., ma è anche il caso delle numerose  riserve di legge che si ritrovano nel testo costituzionale. In quest’ultimo caso, la riserva è disposta a favore della legge e tuttavia, in un regime di costituzione rigida come il nostro, essa comporta in ogni caso un limite per il legislatore.
La riserva di legge non esclude l'intervento autonomo di fonti normative diverse dalla legge ma impone alla legge di disciplinare quella certa materia in modo compiuto (nel caso di riserva assoluta) o in modo da definire gli elementi principali della normativa in questione (nel caso di riserva relativa). Un limite alla competenza generale della legge deriva anche dal principio di irretroattività della legge stessa. Va detto che esso non opera in termini generali, quale principio costituzionale implicito; e tuttavia là dove esso è espressamente previsto, con riferimento alla legge penale (vietando l’introduzione di norme incriminatici di comportamenti non ritenuti punibili al momento in cui sono stati posti in essere), ovvero là dove esso può essere ragionevolmente desunto dal dettato costituzionale, con riferimento alle leggi tributarie (vietando la qualificazione di elementi idonei a determinare la capacità contributiva dei soggetti a elementi che in precedenza non erano considerati tali), tale principio ha un indubbio effetto limitativo delle libere scelte del legislatore.
Oltre alla legge sono da annoverare i atti aventi forza di legge, ossia i decreti legislativi e i decreti legge. I decreti legislativi sono fonti che si collocano allo stesso livello della legge ma che tuttavia incontrano dei limiti; limiti con riferimento ai "principi e criteri direttivi", al "tempo", agli "oggetti definiti". Entro questi limiti, si può affermare che i decreti legislativi, per così dire ordinari, hanno al pari della legge una competenza di carattere generale, mentre hanno una competenza specifica quegli atti aventi forza di legge riconducibili alla categoria delle deleghe atipiche: le norme di attuazione degli statuti speciali, gli atti di esercizio dei “poteri necessari” conferiti al governo in caso di guerra (art. 78 Cost.). Le I sono soggette a un procedimento di approvazione, disciplinato dagli statuti speciali, che non configura una vera e propria delegazione legislativa, ma l’attribuzione permanente al governo di un potere normativo primario. I II, generalmente ricondotti, pur nel silenzio della Cost., ad un rapporto di delegazione (si tratterebbe cioè di atti che avrebbero il loro fondamento in un’espressa legge di delegazione del parlamento), presentano un carattere fortemente atipico per l’inapplicabilità ad essi, in ragione delle finalità cui sono preordinati, dei limiti previsti dall’art. 76 Cost., risultando pressoché inimmaginabile lavoro sottoposizione a limiti di tempo di principi e criteri direttivi o di oggetti definiti. Fra le deleghe ordinarie, merita soffermarsi su quelle finalizzate alla formazione di testi unici fra leggi preesistenti, cioè di fonti normative che riescano a coordinare, in testi organici e completi, la normativa precedentemente contenuta disorganicamente in più fonti primarie: a tal fine, si procede ad una delega legislativa al governo, individuando le fonti da unificare e delegando il governo ad operare le modificazioni e integrazioni necessarie al conseguimento dei fini fissati dalla legge; in questo caso, non vi è dubbio che il decreto legislativo, cioè l’atto di esercizio della delega, ponga in essere una nuova fonte primaria e che le fonti precedenti risultino abrogate. Il governo, sulla base di un programma di priorità di interventi deliberato dal consiglio dei ministri, presenti al parlamento un decreto di legge per la semplificazione, il riassetto normativo e la codificazione, volto a definire, per l’anno successivo, gli indirizzi, i criteri, le modalità e le materie i intervento, anche ai fini della ridefinizione dell’area di incidenza delle pubbliche funzioni, con particolare riguardo all’assetto delle competenze statali, regionali e degli enti locali. Anche i decreti legge possono considerarsi fonti primarie a competenza generale: per tali atti non valgono i limiti che incontrano i decreti legislativi, ma valgono i limiti sostanziali che incontra la legge. La peculiarità di questi atti è rappresentata dalla precarietà del loro contenuto normativo: si tratta delle uniche fonti che producono effetti per un breve periodo di tempo (al massimo sono 60 giorni per la loro conversione in legge); effetti destinati comunque a scomparire in quanto effetti di un atto di questo tipo e a trasformarsi negli effetti della legge di conversione (che opera una novazione del contenuto del decreto-legge) o a decadere fin dall’inizio, nell’ipotesi di mancata conversione. Fonti primarie a competenza determinata e riservata sono invece i regolamenti degli organi costituzionali, intendendo per tali non solo i regolamenti interni delle 2 camere del parlamento, espressamente disciplinati dall’art.64 Cost. ma anche quelli della corte costituzionale, della presidenza della Repubblica e del consiglio dei ministri. Si ritiene che anche il referendum abrogativo di legge (statale o regionale) sia da includere tra le fonti normative primarie, o meglio che il decreto del capo dello Stato che dichiara l’avvenuta abrogazione, totale o parziale, di una legge vada riconosciuta la natura di atto avente forza di legge. Alle fonti normative andrebbe poi aggiunti i contratti collettivi di lavoro con efficacia erga omnes, così come andrebbero aggiunte le sentenze di accoglimento della corte costituzionale. Eguale natura di fonte primaria a competenza riservata è da riconoscersi alle leggi regionali e delle province autonome di Trento e Bolzano. Contrariamente a quanto sostenuto da parte della dottrina, si ritiene oggi che anche il referendum abrogativo di legge sia da includere tra le fonti normative primarie.
Sono equiparate alle fonti normative primarie nazionali anche i regolamenti e le altre norme comunitarie direttamente applicabili, le quali impongono al giudice nazionale di disapplicare la legge nazionale che interferisce nella stessa materia disciplinata dalla fonte comunitaria.
Le norme internazionali generalmente riconosciute possono collocarsi, a seconda del loro contenuto, o al livello delle norme costituzionali o a quelle delle fonti primarie. A quest’ultimo livello i collocano le norme internazionali patrizie,quelle cioè che entrano a far parte del nostro ordinamento in virtù di un atto del legislatore nazionale (legge di esecuzione), tuttavia con una particolarità già segnalata, che tale atto si ritiene dotato di una particolare forza di resistenza all’abrogazione da parte di una legge successiva e, in questo senso, si sottrae alla regola ordinaria che disciplina la successione nel tempo di fonti normative di pari grado gerarchico.
Le fonti secondarie
Se le fonti di livello costituzionale e primario sono da ritenersi " a numero chiuso" altrettanto non può dirsi per le fonti secondarie. Le fonti secondarie tendono ad ordinarsi in relazione ai diversi livelli amministrativi con un rapporto che è regolato dalle disposizioni costituzionali e legislative che garantiscono l'autonomia dei livelli di governo locale rispetto all'assetto amministrativo centrale. Fonte secondaria per eccellenza è il regolamento governativo. La Costituzione è laconica, limitandosi a stabilire che essi assumono la veste formale di decreti del Presidente della Repubblica e a tracciare una linea di confine con le fonti primarie laddove essa prevede delle riserve di legge, essa si colloca al di sotto delle fonti primarie e, che obbliga i giudici ordinari di disapplicare non solo gli atti amministrativi, ma anche i regolamenti non conformi alla legge, nonché secondo quanto stabilito dall’art. 4 delle “preleggi”, là dove si afferma che “i regolamenti non possono contenere norme contrarie alle disposizioni delle leggi”. Ci si è chiesti se la fonte regolamentare debba rispettare oltre che il principio di legalità formale (ossia trovare il suo fondamento in un espresso atto legislativo), anche il principio di legalità sostanziale (ossia rispettare anche i criteri dettati dal legislatore nell'attribuzione del potere regolamentare). A livello regionale, le fonti secondarie sono rappresentate dai regolamenti regionali e da alcune forme di potestà statutarie e regolamentare previste da leggi regionali a favore di enti pubblici regionali. A livello di enti locali esistono due tipi di fonti normative secondarie (gli statuti e i regolamenti), con un esplicito vincolo per i regolamenti di rispetto dalle disposizioni statutarie.
Le fonti e le situazioni di necessità
Il sistema delle fonti risente in varia misura di situazioni di necessità sia perché alcune fonti si trovano la loro legittimazione, sia perché situazioni di necessità legittimano l’eventualità che alcuni atti deroghino alle prescrizioni contenute in vati tipi di fonti normative. L’ordinamento giuridico si fa carico di possibili situazioni di assoluta necessità che possono alterare il normale funzionamento degli strumenti di disciplina dei rapporti interpersonali e collettivi: sul terreno delle fonti, ciò trova riscontro palese nella disciplina della decretazione di urgenza e dei poteri normativi in caso di guerra. Nella legislazione ordinaria, esistono, tuttavia, anche altre manifestazioni della rilevanza delle situazioni di assoluta necessità, come è testimoniato dai bandi militari e dai poteri di ordinanza. I bandi militari come fonti normative di grado primario a ciò delegati dal Comandante supremo; presupposto per l’adozione di tali bandi è la presenza di situazioni di necessità. Le ordinanze di necessità conseguono al conferimento ad alcuni organi amministrativi del potere di adottare “ordinanze con tingibili ed urgenti” in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica o di grave pericolo per l’incolumità ai cittadini: caratteristica tipica di questi atti ad efficacia temporanea è quella di poter derogare anche alle prescrizioni legislative vigenti, con l’unico limite rappresentato dai principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato. La necessità può essere anche un fatto normativo, che produce i suoi effetti al di fuori delle stesse regole costituzionali o legislative.
Le fonti di natura consuetudinaria
Le fonti di natura consuetudinaria rientrano fra le fonti- fatto. Per consuetudine si intende una norma di comportamento non scritta, di rilevanza collettiva, regolarmente seguita nel gruppo sociale o nell’ambito territoriale interessato dalla norma (“longa repetitio”), in quanto ritenuta giusta o necessitata.
Il nostro ordinamento giuridico caratterizzato da atti-fonte scritti, riserva uno spazio marginale alle font consuetudinarie: l’art. 8 delle “preleggi” prevede che gli “usi” abbiano efficacia “nelle materie regolate dalle leggi e dai regolamenti” soltanto “in quanto sono da essi richiamati”. Ciò legittima il riconoscimento di un valore giuridico ad alcuni usi secundum legem ed anche praeter legem; la loro esistenza viene documentata mediante raccolte ufficiali tenute dal Ministero dell’industria e dalle Camere di commercio.  Gli usi non esauriscono il quadro delle fonti consuetudinarie. La consuetudine si afferma come un fatto normativo, sulla base della mera effettività dell’adesione sociale alle sue prescrizioni. Questo fenomeno può prodursi in forma relativamente più agevole con riferimento alle fonti costituzionali, dal momento che, pur non essendovi nella Cost. un rinvio a fonti consuetudinarie e, anzi, operandosi, in un regime costituzionale rigido, la disciplina costituzionale, pur relativamente lunga e analitica, non regola ogni ambito della materia costituzionale e si presenta, per molti aspetti, suscettibile di subire adattamenti e integrazioni in relazione ai mutamenti che possono intervenire nel conteso in cui opera. Si tenga, infine, presente che, al livello delle fonti costituzionali, la consuetudine può dare adito a una produzione normativa di tipo primario: si pendi, ad es., alla introduzione della sfiducia individuale prima in via di prassi e poi in via regolamentare. Non sempre comportamenti costanti nel tempo ad integrazione delle disposizioni costituzionali costituiscono consuetudini costituzionali. Esistono le norme di correttezza costituzionale, che rappresentano mere regole di corretto espletamento delle funzioni che spettano agli organi fondamentali dello Stato. Ma non provocano conseguenze giuridiche di alcun genere, né possono provocare reazioni se non di tipo strettamente politico. Alquanto diffuse sono le convenzioni costituzionali e cioè regole di comportamento che gli organi fondamentali dell’ordinamento costituzionali si danno per l’esercizio delle loro funzioni. Non si tratta, quindi, è di fonti normative, né di accordi, poiché ciascun soggetto resta libero di decidere il proprio comportamento, salvo andare incontro a reazioni da parte degli altri soggetti protagonisti della vita istituzionale. Può avvenire che alcune di queste regole vengano progressivamente sentite come obbligatorie e tendano a trasformarsi in vere e proprie consuetudini vincolanti, ove riconosciute come tali dagli organi titolari dei poteri istituzionali e, in particolare, dalla corte costituzionale, chiamata a giudicarne la natura.
Le fonti derivanti dal rapporto con altri ordinamenti
L’antica e rigida concezione di una netta separazione fra ordinamento statale ed altri ordinamenti appare ormai superata su due versanti. Prima di tutto, l’adattamento automatico alle norme internazionali generalmente riconosciute appare di grande importanza, poiché inserisce stabilmente nel nostro ordinamento un tipo di fonte appartenente all’ordinamento internazionale (ci si trova dinanzi ad un rinvio formale). In secondo luogo, le fonti comunitarie producono in settori materiali ampi numerose fonti di tipo primario, buona parte delle quali entrano in vigore nel nostro ordinamento, mentre altre devono essere recepite mediane appositi atti normativi od anche attuate in via amministrativa. Sono espressione del sistema binario di rapporti fra l’ordinamento interno e quello internazionale le leggi di esecuzione dei trattati internazionali, sia che l’esecuzione intervenga in via ordinaria mediante l’adozione di un apposito atto normativo dotato della forza giuridica idonea a dare attuazione all’accordo, ovvero per semplice ordine di esecuzione, il quale dovrà essere contenuto in un atto normativo idoneo a dare attuazione all’accordo. Nel caso che nella fonte statale ci si riferisca alla fonte del diritto internazionale, questo rinvio sarà un rinvio recettizio e cioè semplicemente un rinvio alle disposizioni di quella fonte e non a quella fonte di produzione. Se la fonte statale i riferisce a fonti di produzione di altri ordinamenti, si parla di rinvio formale o mobile, ciò determina l’ingresso nel nostro ordinamento delle disposizioni prodotte da quelle fonti esterne.

 

Fonte: http://economiaunipa.altervista.org/wp-content/uploads/2013/05/Riassunto-Istituzioni-di-Diritto-Pubblico-Caretti-De-Siervo-11.doc

Sito web da visitare: http://economiaunipa.altervista.org

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

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