Dispensa storia contemporanea

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Dispensa storia contemporanea

Capitolo primo 1975-1976

 

1. La fine del centro sinistra

L’ascesa di Bettino Craxi alla segreteria del Psi nel 1976 inaugura nella storia del socialismo italiano una nuova fase, destinata a durare fino al crollo della prima Repubblica. L'accordo tra Dc e il Pci chiude ogni spazio di azione alle altre forze del sistema, questo equilibrio consociativo anomalo matura già nella sesta legislatura, 72-76, quando emerge tutta la debolezza dei governi di centro sinistra di fronte alla crisi economica e alla sfida del terrorismo.

La percezione di un declino del sistema e del partito agita le acque del Psi che si comincia a interrogare con ansia crescente sulla necessità di rivedere l'intera strategia, disegnata da Pietro Nenni fin dagli anni 50 e fallita già gli esordi dei 70. La prospettiva di rompere l'alleanza con la Dc appare un salto nel buio. Quale sia l'identità dei socialisti è una questione preliminare da risolvere per ritrovare l'orientamento politico; ma, nel frattempo, bisogna continuare a vivere nella gabbia obbligata dell'alleanza Dc, Pri, Psdi e appunto Psi dove la tensione tra i partner aumenta inevitabilmente di giorno in giorno. Il neo presidente sembra convinto di aver finalmente trovato un ruolo chiave per il Psi che dal governo farebbe da ponte all'opposizione comunista; anzi, i socialisti potrebbero diventare i registi di un'operazione storica che ponga alla piena legittimazione del PC nel sistema. I socialisti si trovano di fatto in una sorta di limbo, con un piede nel governo in cui restano subalterni alla Dc e con l'altro all'opposizione dove è egemone il Pci (soprattutto de Martino non sembra cogliere il riposizionamento del Pci che, con Berlinguer, ha attivato un dialogo diretto con i democristiani).

Le elezioni del 1972, che portano alla segreteria di de Martino, vedano accentuarsi la linea di dialogo con il Pci e di conflittualità con la Dc, culminata nel 1974 quando il Psi si ritira dall'esecutivo di centro sinistra. Nel 74, però, un fatto nuovo e inizia a smuovere le acque del partito, galvanizzato dalla vittoria del referendum sul divorzio che ha premiato una battaglia socialista, in cui prende corpo l'ipotesi di una possibile alternativa, cavallo di battaglia della corrente di Riccardo Lombardi, minoritaria nel Psi. Per la prima volta dopo quasi trent'anni il voto popolare ha relegato i democristiani all'opposizione quindi non è un'auto via ipotizzare un ricambio di coalizione governativa che porterebbe il Psi a sostituire il partito cattolico nel ruolo di guida del nuovo governo comprendente tutte le forze della sinistra. Ad aumentare l'entusiasmo contribuisce quello che contemporaneamente viene Francia, dove socialisti hanno intrapreso proprio questo percorso strategico. L'Italia non è però la Francia, anche se l'esempio d'oltralpe rafforza nel dire se l'asse tra lombardiani e demartiniani, perché la strategia del secondo di un ponte verso il Pci non è in contraddizione con quella del primo che punta a concertare con i comunisti un programma comune sul quale aggregare le forze per l'alternativa di sinistra. L'ostacolo insormontabile era proprio Berlinguer che non vuole sentire parlare di un ricambio maggioranza-opposizione. Dal 1972 infatti il Pci si muove su un diverso orizzonte strategico: un elenco di fatti conferma il segretario comunista nella sua convinzione di quanto fragile sia paese e necessario un accordo con la Dc per condividere la responsabilità del governo, considerazioni analoghe spingono moro nella stessa direzione che però deve muoversi con più prudenza nel suo partito dove un aperto accordo con i comunisti contraddice la natura e ruolo politico dei democristiani, per non parlare delle possibili resistenze da parte degli alleati americani. I segnali che ci si sta avvicinando verso una fase consociativa, sono sotto gli occhi di tutti a cominciare dalla caduta nel 74 del governo di centro sinistra guidato da Rumor; e il disimpegno dei socialisti porta alla formazione di un esecutivo Dc e Pri che non nasconde la volontà di coinvolgere le opposizioni, moro lo dichiara esplicitamente mentre Ugo la Malfa si dice pronto ad accogliere la proposta comunista del compromesso storico. Il parlamento si muove in sintonia, come le organizzazioni sindacali che nel 1972 si uniscono in federazione, con l'approvazione delle leggi sul diritto di famiglia e della riforma della Rai, un'unanimità che spinge i radicali a denunciare l'aperta consociazione tra tutti partiti dell'arco costituzionale.

Nel paese è palpabile il desiderio di rinnovare il sistema sottraendolo al monopolio democristiano. I socialisti non possono sperare di bloccare l'intesa tra i due grandi partiti, Dc e Pci anche perché la chiusura della Dc, che nel 75 vede avanzare il PC, non significa un rifiuto netto del compromesso. A parte la corrente di Lombardi e una pattuglia di intellettuali che perseguono con convinzione il progetto di una nuova coalizione, della maggioranza dei socialisti è la strategia dell'alternativa appare una sorta di grande contenitore in cui sfogare le frustrazioni accumulate e ammirare le differenti opzioni politiche, in attesa del risultato e delle urne. La necessità di ottenere un successo accende i toni polemici anche verso il Pci nonostante de Martino non escluda un ritorno al governo, sempre che si raggiunga un maggior equilibrio nei rapporti tra Psi e Dc, ma insiste anche sulla necessità del dialogo con il Pci. Neppure a de Martino possono sfuggire i danni di un'intesa Dc-Pci; danni per il Psi ridotto a forza marginale sullo scacchiere politico.

2. L'illusione della crescita

trascinare i repubblicani e i socialdemocratici in un progetto di alternativa al vecchio blocco quadripartito, guidato dalla Dc, non sembra un'impresa disperata, se si riuscisse ad ottenere il 51% il Psi verrebbe investito del compito di fare da levatrice alla nascita di uno schieramento delle sinistra, democratiche, socialista e comunista che costringa la Dc all'opposizione permettendo anche in Italia il meccanismo dell'alternanza. L'obiettivo dell'alternativa obbliga però il Psi a sviluppare un'azione autonoma e non subordinata cercando di trovarsi in posizione più equilibrata nei confronti del Pci. Nel 1975, de Martino, impaziente di arrivare al nuovo confronto elettorale e sicuro di vincerlo dopo successo delle regionali, firma l'atto di morte del centrosinistra con un inedito protagonismo che rischia di danneggiare tutto il complicato gioco del compromesso storico e quindi suscita l'irritazione dei comunisti. È discutibile che il Psi abbia la credibilità e soprattutto la forza necessaria per imporsi come asse portante del sistema e ritenere che la Dc abbia perduto ruolo di centro è un'illusione. Nel duello democristiani contro comunisti, l'azione di disturbo del Psi indispettisce entrambi i contendenti; l'alternativa può essere rinviata, per il momento è più prudente rafforzarsi come terzo polo del sistema.

Il compromesso storico consente al Pci di trasformarsi da partito anti sistema a partito di governo. I socialisti sono dunque disposti ad accompagnare i comunisti in questa tappa finale che chiude per sempre la pagina di storia iniziata allo scoppio della guerra fredda, paradossalmente però, come nel 1948, si ritrovano a fianco del Pci anche se questa volta sperano che sia la stessa Dc a spalancare loro le porte dell'esecutivo, nel quale il Psi esclude categoricamente di rientrare da solo senza i compagni comunisti al seguito. Rispetto gli anni 50 però il Psi è adesso "l'ago della bilancia" in quanto non è possibile una soluzione di governo senza i socialisti dotati di un potere qualitativo e importante visto che sono ancora incerti da quale parte giocare (dichiarano infatti la disponibilità ad appoggiare un governo di "emergenza" che raccolga tutte le "forze democratiche").

3. La congiura del Midas

il 21 giugno 1976, durante lo spoglio elettorale, spaventa i socialisti la crescita comunista che genera tra i due partiti 25 punti di vantaggio per i comunisti e questo palesa la capacità del Pci di attrarre nelle sue file anche i consensi di quel ceto medio progressista sul quale i socialisti avevano investito le loro speranze di riscatto. Per la seconda volta nel giro di otto anni il Psi si trova a fronteggiare una sconfitta elettorale che vanifica il progetto strategico a cui si erano affidati per vincere. L'uscita di scena del segretario de Martino, avvenuta in quei giorni convulsi al Midas hotel, è così rapida da far parlare di congiura nella quale si affermano Bettino Craxi, Claudio Signorile, Antonio Landolfi e Enrico Manca, luogotenenti dei capi storici delle correnti che compongono il Psi, rispettivamente "figli" di Nenni, lombardi, mancini e de Martino. I quattro hanno compiuto le loro prime esperienze politiche nelle associazioni universitarie e nella federazione giovanile; il vincitore è Bettino Craxi, orientato alla destra. È stato però ha eletto da una maggioranza troppo eterogenea che difficilmente può trasformarsi in una forza compatta il suo sostegno: autonomisti manciniani e demartiniani "traditori" sembrano esercitare tutti un potere di ricatto permanente sul segretario per non parlare di quanto infidi appaiano i lombardiani. Il segretario è indebolito dalla presenza di una forte opposizione alla sua persona piuttosto che alla sua linea.

Per Bobbio, in Italia esiste un partito socialista che non è il partito socialista. L'azione di Craxi rivolta a recuperare questo ruolo rivendicando anche se in uno spazio di crescita autonomo e indipendente a destra, ma soprattutto a sinistra dove la concorrenza del Pci in trent'anni ha più che dimezzato i consensi dei socialisti. Il partito e riceve una scossa rivitalizzante che viene sottovalutata evidentemente da Berlinguer. I giovani del Psi hanno ricevuto in eredità a quella sorta di complesso di inferiorità paralizzante dal quale vogliono però liberare il partito e nel quale non si riconoscono, perché diverso è anche loro approccio alla politica. Saliti alla ribalta in un'epoca di declino delle grandi ideologie e formatisi in gran parte nell'arena delle organizzazioni studentesche, hanno una visione laica; l'indiscussa egemonia dei comunisti sulla sinistra consente a Berlinguer di dettare le regole di un gioco che schiaccia il Psi nella morsa del compromesso storico tra i due grandi partiti e lo rende subalterno contemporaneamente ai comunisti e ai democristiani. Rifiutata dal Pci l'alternativa di sinistra, i socialisti non sembrano avere molte strade davanti: si potrebbe comporre l'accordo con i cattolici e la collocazione del neo segretario nella destra del partito sembra confermare questa previsione. Non appare però così chiaro su quali basi ritorno alla collaborazione governativa possa portare a un rilancio effettivo dell'iniziativa socialista. Nelle condizioni date, sembrerebbe un passo indietro poco brillante, impercorribile per i giovani dirigenti che si sono imposti alla guida del partito con la promessa di rinnovare e rilanciare le fortune del Psi.

4. Il laboratorio di "mondoperaio"

Dal secondo dopoguerra in poi, il piè si era diventato l'approdo naturale di frange importanti di intellettuali, la stagione di gestazione del centrosinistra era stata un momento felice che aveva visto raggrupparsi intorno al Psi un nucleo importanti di intellettuali legati dall'obiettivo della pianificazione economica. Anche al tormentato processo di riunificazione tra Psi e Psdi (1966) avevano partecipato gli intellettuali socialisti; il partito invece viveva la fusione delle due anime del socialismo italiano come una contesa interna tra socialisti e socialdemocratici per spartirsi quote di potere e di sottopotere. La sconfitta elettorale del Psu aveva chiuso la stagione pianificatoria e forse anche quella del centrosinistra, per di più le voci dei programmatori a erano finite soffocate dalla rivoluzione culturale del 68. Emarginati i "pianificatori", perdute le simpatie dei di "ideologi", al Psi restava solo la sponda della cultura radicale che aveva un'antica eco nella tradizione socialista. L'intellettuale più prestigioso di cui il Psi disponeva era Bobbio, egli rivendicava a se è il compito di ridefinire le basi culturali della politica attraverso una riflessione generale sul socialismo nel quale andavano in estate molti dei concetti base del liberalismo; solo a partire dagli anni settanta il suo contributo comincia a rivelarsi prezioso.

Nel clima di grande ottimismo che precede il voto delle amministrative e poi quello delle politiche del 76, si registra un'inversione della tendenza al disinteresse verso la cultura che viene denunciata e colpisce soprattutto per l'attenzione che invece i comunisti dedicano alla storia del Pci e alla ricostruzione dell'intera vicenda del movimento operaio e socialista interpretate in una chiave di lettura funzionale per legittimare il Pci nel sistema politico italiano. Nel 1976 viene fondato l'istituto socialista di studi storici e si punta a recuperare la tradizione riformista mangi analizzata dalla storiografia comunista. In questo nuovo clima, "mondo operaio", diretto da Federico Coen, si trasforma in un laboratorio animato aprendo le sue porte anche a coloro che identificano nel revisionismo socialista un percorso di riflessione sulla propria storia politica personale, su scelte e valori che l'ondata della contestazione sessantottina obbliga a ridiscutere.

L'abbraccio tra i due partiti-Chiesa (Dc e Pci) rischiava di marginalizzare il Psi. Nel 75, Bobbio invita socialisti e comunisti a riprendere i classici del pensiero politico indispensabile per riempire il voto teorico che si è aperto con l'abbandono della prospettiva rivoluzionario, mette in guardia dai rischi di ricercare vie alternative alla democrazia parlamentare; quest'avvertimento vale per i comunisti, ma anche per quei socialisti, in particolare lombardiani, troppo entusiasti dei contropoteri e della democrazia delle assemblee e dei consigli per rendersi conto di quanto queste autorizzazioni autogestionali non solo siano scarsamente praticabili, ma non garantiscano neppure dal pericolo di una dittatura della maggioranza. Tra il 1976 e il 1979 si opera una profonda trasformazione culturale nell'area vicina al Psi proprio sulla base dell'acquisizione dei principi liberali e democratici seppur con la convinzione di prendere nelle proprie mani il destino del socialismo italiano, al contrario di quello che aveva detto Bobbio mostrando scetticismo sul futuro del partito. La sconfitta dei socialisti alle elezioni risvegliano il gruppo di mondo operaio una gran voglia di far politica, li spinge a dimostrare l'impossibile cioè che il piè si può invece trasformarsi in una forza più vitale del sistema politico italiano.

 

Capitolo 2 1976 -1978

 

1. La "congiura dei professori"

Quando Berlinguer prende le distanze dal pcus, gli intellettuali socialisti non vedono una rottura effettiva nelle parole del segretario comunista, perché non basta prendere le distanze dallo stalinismo per spezzare il nesso causa-effetto che lega l'ideologia marxista-leninista all'instaurazione di sistemi autoritari e totalitari. La biennale del dissenso (voluta da Carlo ripa di meana per dare voce ai dissenzienti perseguitati dei regimi comunisti), organizzata a Venezia tra la fine del 77 e l'inizio del 78, viene accolta dai vertici del Pci come una vera e propria provocazione e da essa si dimette un folto gruppo di intellettuali e di artisti vicini al partito comunista. Inoltre le critiche di autorevoli esponenti politici creano un caso imbarazzante per il Psi. Ora mondo operaio vestaglia e il patrimonio ideologico dei comunisti perché la subalternità del Psi al Pci è il principale ostacolo da rimuovere per gli intellettuali e per i nuovi dirigenti socialisti. La prospettiva di una causa comune con il Pci non appare particolarmente rosea se non intervengono elementi di novità tali da allontanare il pericolo di venire assorbiti da Berlinguer. Un elemento di novità sarebbe il rinnovamento della cultura politica comunista, rimasta ancorata al marxismo-leninismo in chiave italiana ovvero, costruita sul pensiero di Gramsci rivendicata come il tratto distintivo del Pci rispetto agli altri partiti comunisti. L'attacco al totalitarismo sovietico e a Gramsci obbliga i comunisti a una risposta anche se nasce il sospetto di un uso strumentale del dibattito. Sospetto legittimo perché giustificato dal bisogno dei socialisti di marcare un confine tra le socialismo democratico e il comunismo in un preciso momento della vita politica italiana coincidente con la massima espansione elettorale del Pci, impegnato addirittura nell'avvicinamento al governo. C'è una sorta di congiura dei professori in atto contro l'ideologia del Pci. Essa infatti, risponde modo sproporzionato all'attacco ed è troppo sospettoso per misurarsi sul piano del dibattito teorico. L'obiettivo del Psi, tra gli anni 1976 e 1978, non è quello di staccarsi dalla famiglia della sinistra, ma prendere un'identità forte compatibile con le trasformazioni in atto nella società italiana.

2. Alla ricerca di una rotta

L’idea di definire l'identità del nuovo partito è unita a quella di assumere il ruolo di timoniere della nave socialista, ma Craxi non è in grado di imprimere una svolta così radicale alla politica del Psi. Entrambe le strade, alternativa e centrosinistra, gli appaiono impercorribili: l'alternativa è una parola vuota, se i comunisti la rifiutano; l'accordo con la Dc è impossibile da rinnovare per Craxi, che sia presentato come l'uomo del rinnovamento. La scelta della continuità, poco entusiasmante, appare obbligata ed è Manca a ribadire l'alleanza tra Psi e Pci nella cornice della solidarietà nazionale. Craxi non riesce a uscire dalla passività tranne per qualche spunto di polemica verso il Pci. La sensazione che le critiche del Psi stiano mettendo in difficoltà il Pci aumenta l'impegno degli intellettuali socialisti che fissano per il luglio 1977, a Trevi, un seminario dal titolo alternativa socialista, sistema politico e politica istituzionale. Essi sembrano avere le idee chiare sull'identikit di un futuro governo di alternativa, un esecutivo democratico ed efficiente capace di realizzare le riforme economiche e sociali nel rispetto del pluralismo. Per questo tipo di governo bisogna rinnovare l'intero edificio istituzionale, a cominciare da un rafforzamento del potere di regioni e comuni che sono in grado di introdurre nuove forme di governo più belle e più giuste rispetto a quelle della burocrazia ministeriale. Non è il solo cambiamento necessario al successo di governo di alternativa che deve rinnovare le modalità di funzionamento, allentando i lacci dei partiti per ridimensionare il ruolo delle organizzazioni politiche. È dunque in atto un processo di "disgregazione" delle strutture di consenso tradizionali come dimostra proprio la crisi dei partiti.

L'avvento di una pluralità di ceti sociali e di gruppi di interesse compone un tessuto sociale eterogeneo che si muove in uno spazio politico definito sempre meno da ideologia ma da problemi ai quali le politiche tradizionali non sanno dare risposte. Si inizia prendere atto di quanto impotenti siano state le grandi organizzazioni politiche nel rompere la continuità all'interno dell'apparato dello Stato, rimasto imprigionato nelle sue vecchie strutture, critiche arrivano da tutte le parti e arricchiscono il dibattito sull'alternativa.

La centralità della questione comunista emerge in termini sempre più chiari, i comunisti sono legittimati a sedere in parlamento, ma non nel governo; l'esclusione permanente del Pci dalle coalizioni governative, poi, ha ingigantito e il ruolo delle camere dove tutti partiti hanno pari dignità, col risultato di far assumere alle istituzioni parlamentari l'aspetto di una rete di sottogoverno a detrimento dell'esecutivo. Poi con l'imponente crescita della rappresentanza parlamentare comunista si sono accentuate queste distorsioni insieme alla convinzione che esse si può trovare rimedio solo riproponendo una grande coalizione a "vocazione totalitaria". Quest'ultima è esattamente ciò che i socialisti non vogliono anche se la situazione di emergenza incombente sul paese ripropone con forza proprio l'accordo tra tutte le forze politiche. Il solo lato positivo nel governo di solidarietà nazionale che anche il Psi è impegnato a realizzare, sta nell'offrire un'occasione preziosa per riformare tutti insieme alle istituzioni, una riforma indispensabile per attuare l'alternativa di sinistra e che va portata avanti proprio dai socialisti.

Dietro la maschera dello scontro accademico, lo scontro è politico perché i colpi sferrati degli intellettuali socialisti non sono in dolori per il Pci e il risentimento che emerge dai comunisti rivela il loro astio crescente di fronte alla "congiura dei professori".

3. Contro la solidarietà nazionale

Mai prima di allora gli intellettuali socialisti hanno assunto un ruolo di primo piano nel dettare l'agenda politica del partito; fino a quando Craxi non riuscirà a consolidare la sua posizione del partito e a trovare una via d'uscita dal tunnel della solidarietà nazionale, il primato della cultura è assicurato. Sono gli intellettuali a legittimare giorno dopo giorno alla distruzione del compromesso storico che l'obiettivo al quale ha puntato Craxi. I socialisti sanno che l'alternativa è un processo lungo e l'opera di modernizzazione è fondamentale per rinnovare il piè sì, ma anche per calzare alla radice l'egemonia comunista sull'intera sinistra e su una parte sempre più importante della società. Piano piano, gli attacchi dei socialisti nei confronti dei comunisti si trasformano da autonoma affermazione delle posizioni socialista in una linea di strategica rottura. Altri sintomi di una rottura del Psi dal Pci si riscontrano nel dialogo con i radicali impegnati in una battaglia referendaria che si conclude nel giugno 1978. Nonostante non ci siano aperture, i temi del referendum hanno forte eco anche tra gli intellettuali socialisti.

Altri elementi di distacco del Psi dal Pci, si riscontrano nel dialogo con i radicali impegnati in una campagna referendaria che si conclude nel giugno 1978. Anche se non ci sono aperture a Pannella, di argomenti del referendum hanno una forte eco anche tra gli intellettuali socialisti e in una parte rilevante del partito (Loris Fortuna è uno dei promotori della legge sul divorzio). Se si considera l'avversione profonda dei comunisti per i radicali, si comprende perché questa amicizia Psi-Pr venga guardata con sospetto. I comunisti hanno intuito immediatamente l'intenzione di Craxi di allargare lo spazio politico del Psi non solo verso un'area laica e radicale ma anche sul terreno scivoloso della nuova sinistra rimasta fuori dal controllo del Pci. In questo caso richiamasse progetto dell'alternativa, ogni comprensiva di tutte le forze progressiste e anche democristiane, è poco convincente tanto da avvalorare il sospetto di assistere a una manovra tutta politica. Anche all'indomani del rapimento di Aldo moro, il Psi si pone alla testa di uno schieramento antagonista alla linea di fermezza del Pci; Craxi respinge con fermezza l'estremismo delle BR, ma sembra indulgente verso l'area dei fiancheggiatori e indica tra le forze politiche maggiormente responsabili del sequestro i comunisti. Individua anche un nesso tra il terrorismo e il compromesso storico: l'accordo moro-Berlinguer è infatti interpretato come un tradimento da parte del Pci. Il Psi denuncia l'immobilismo del governo e inizia a muoversi autonomamente, allo stesso Craxi e Signorile portano avanti le trattative. Il fallimento di questa iniziativa, destinata a venire immediatamente alla luce, non è però privo di conseguenze politiche specie se si considera che l'uccisione del presidente della Dc marca un netto spartiacque nella tormentata settima legislatura repubblicana. Tramonta la solidarietà nazionale, costruita proprio la moro in accordo con Berlinguer. Davanti a Craxi allora, si sta per spalancare un orizzonte politico che gli consente finalmente la libertà di manovra cui aspira da tempo.

4. Il congresso di Torino

Craxi dispone solo della propria corrente autonomista e cerca una sponda solida nel piccolo gruppo di Lombardi, è consapevole che non riuscirà mai a ottenere un pieno consenso alla sua leadership se non ridimensiona il potere dei capicorrente. L'accordo con il delfino di lombardi sembra premiare la strategia dell'alternativa nella cornice di un moderatismo riformista testimoniato anche dal programma economico connotato di richiami all'autogestione e al controllo operaio. Un programma di promozione pubblica, ammodernamento delle strutture produttive, rifiuto della logica dell'assistenzialismo, ridimensionamento dell'eccesso di previsioni garantiste che irrigidiscono il mercato del lavoro, mobilità del lavoro: sulla stessa lunghezza d'onda dei comunisti è anche il paragrafo dedicato al sindacato di cui si approva la politica di rigore. L'alternativa resta il punto di riferimento. Se il gioco complessivo è di "pesi contrappesi", l'appello all'autonomia del partito socialista è senza oscillamenti: una autonomia rafforzata sul piano ideologico dalla definitiva chiusura dei conti con il leninismo. Il segretario socialista si è reso conto che gli intellettuali di hanno fornito una ricca riserva di munizioni contro il Pci da usare per definire la nuove identità del Psi: la diserzione dei socialisti, in occasione del rapimento di moro, dal fronte della fermezza guidato dai comunisti, si spiega con desiderio di trovare spazi politici. Non è da escludere che ci sia anche il calcolo dei vantaggi ricavabili dall'assurgere al ruolo di salvatore di moro.

La posizione del Psi contribuisce ad avvelenare a tal punto il clima politico da avere ogni ripercussioni sulla maggioranza che sostiene il governo Andreotti, i veleni più tossici si riversano sui comunisti che mal sopportano gli attacchi. A nessuno sfugge il dialogo a distanza con i radicali preludio a una campagna di reclutamento, rivolta tutte le forze schierate contro il connubio comunisti-cattolici. Come Mitterrand, Craxi vuole realizzare in Italia un grande rassemblement che faccia capo al Psi.

5. Il Vangelo socialista

il segretario comunista ha commesso un gravissimo errore nel sottovalutare la capacità del nuovo gruppo dirigente del Psi, adesso in piena rotta di collisione con il Pci. A rimediare il danno basta chiudere con la strategia del compromesso storico e sostituirla con l'alternativa che ha un effetto trascinante in casa socialista. Nel giugno 1978 Craxi apre il fuoco anche durante la battaglia per il quirinale dove il Pci, in accordo con Andreotti, vorrebbe insediare La Malfa. Craxi propone Pertini, ed è un successo anche se nel discorso di insediamento Pertini richiama con forza l'unità nazionale, in parlamento e nel governo l'accordo unitario appare sempre più barcollante sotto i colpi di Craxi. Si assiste a un rovesciamento di posizioni tra i politici e gli intellettuali che cedono ai dirigenti del Psi il volante della macchina a cui continuano però ad assicurare la dentina necessaria per muovere guerra al Pci sul terreno della questione del leninismo.

Sulla Repubblica interviene Berlinguer in persona che, pur riconoscendo i tanti anacronismi della dottrina di Lenin, da storicizzare non da espungere dal patrimonio culturale del Pci, ribadisce gli obiettivi del suo partito: fuoriuscita dal capitalismo e terza via come punti di orientamento dell'agire comunista. Aggiunge anche che Craxi nasconde un pregiudizio anticomunista che affonda proprio nella cultura del Psi i cui membri sono fieri di appartenere a un partito senza identità culturale. Questo commento convince Craxi a scendere nell'agone con un lungo articolo sull'espresso intitolato il Vangelo socialista, un saggio storico politico che parte dalle origini del socialismo arrivando alla conclusione che tra comunismo leninista e socialismo esiste un'incompatibilità sostanziale. Il Vangelo socialista pecca di eclettismo riunendo tradizioni culturali e pensiero contemporaneo troppo lontani gli uni dagli altri tuttavia, la posizione di Craxi politicamente significa che l'unità delle sinistre in Italia è rotta per sempre. La sinistra potrebbe trarre vantaggio da un partito socialista che si propone come polo di attrazione di consensi moderati laici e liberali, non foss'altro per sottrarsi alla destra e alla Dc; non c'è pericolo invece che la classe operaia deserti le file del Pci. Dopo Gramsci, il Psi attacca Togliatti riproponendone il tema della doppiezza, presente anche in Berlinguer che mantiene l'azione del partito sui binari della democrazia, ma continua a legittimare la sua pratica socialdemocratica con il vecchio patrimonio ideologico rivoluzionario. La discussione su Togliatti è di particolare interesse per valutare le diverse posizioni presenti nella rivista mondo operaio che diventata un polo di attrazione per l'intellighenzia della sinistra, moltiplica le iniziative in tutti settori culturali.

 

Capitolo 3 1978 -1980

 

1. È finita la solidarietà nazionale?

La spinta all'accordo consociativo ha già perduto gran parte della sua forza all'indomani dell'assassinio di Aldo moro e nei mesi successivi si esaurisce del tutto. Il successo democristiano ed a voce agli avversari del compromesso storico, più sicuri che il partito cattolico sia in grado di recuperare in pieno il suo ruolo egemone nel sistema, senza bisogno del puntello dei comunisti. L'arretramento del Pci riapre invece la discussione sugli alti costi dell'appoggio governo, non proporzionati ai vantaggi riscossi. Allora Berlinguer comprende che si deve alzare il prezzo dell'appoggio comunista che va trasformato in una partecipazione a pieno titolo nell'esecutivo. Questi umori rendono precaria la sopravvivenza del monocolore Andreotti, anche se la sua lunga agonia dura fino al 31 gennaio 1979.

Il segretario del Psi non ha ancora alcuna intenzione di abbattere l'esecutivo a cui, realisticamente, non c'è altra soluzione di ricambio se non una nuova coalizione di unità nazionale con la partecipazione piena di tutti partiti compreso il Pci. È dunque urgente per il Psi di rompere l'accordo tra comunisti e cattolici per impedire che Berlinguer attacca i benefici sperati dalla solidarietà nazionale ovvero accreditare il Pci come un partito democratico.

Nel Pci, la difesa dell'ideologia comunista compiace i militanti ma lascia dei dubbi nella setta di elettorato progressista che ha accettato l'equazione comunismo italiano uguale socialdemocrazia in versione italiana. Craxi intende demolire proprio l'immagine creata sin dai comunisti progressisti e ripone nella crescita elettorale del suo partito, tutte le speranze per realizzare il riequilibrio a sinistra che apre la strada dell'alternativa. Il viaggio a Mosca di Berlinguer viene presentato come un pellegrinaggio alla casa madre, ma in realtà dal Cremlino è arrivato una vera e propria convocazione perché Breznev pretende chiarimenti sull'euro comunismo. I socialisti colgono quest'occasione per denunciare il permanenti legami internazionali del Pci, ma anche per attaccare il lavoro di tessitura dell'accordo tra i partiti comunisti europei e al quale Berlinguer tiene in modo particolare vanificando un lavoro decennale: infatti ora il partito socialista cura i suoi rapporti con i fratelli d'Europa con i quali concorda una comune piattaforma elettorale per le votazioni del 1979 e rivolge loro un caldo invito perché partecipino al convegno internazionale di studi sul leninismo.

Il veleno sparso in questo convegno contro il Pci, attecchisce profondamente nella base comunista e nell'elettorato del partito con conseguenze disastrose per la sinistra dove diventano sempre più scarse le possibilità di una ricomposizione tra i due partiti: la rottura Pci-Psi ha un peso rilevante nella storia repubblicana. Quanto alla misura delle rispettive responsabilità, è sicuro che il piè si abbia innescato la polemica, finalizzata proprio a ridimensionare il comunisti della sinistra, indispensabile per dare legittimità a uno schieramento alternativo a quello guidato dalla Dc. Del resto i socialisti lo hanno sempre dichiarato apertamente. È possibile che da parte del Pci, la progressiva demonizzazione dei socialisti punti alla rottura malgrado gli appelli ufficiale all'unità. Per molti versi il Psi si è trasformato addirittura in un ostacolo da rimuovere il più presto possibile, perché la critica martellante contro il comunismo potrebbe convincere a un cambio di cavallo quegli elettori progressisti che sono stati gli artefici tra 75 e di 76 del grande balzo in avanti del Pci; per non parlare dei danni che quotidianamente il Psi infligge all'accordo tra comunisti e democristiani.

È ipotizzabile che proprio nel 78-79 si arrivi a un punto di non ritorno nella guerra a sinistra, col risultato di bloccare del tutto la dinamica del sistema. Il dialogo con il Pci non è solo indispensabile alla strategia dell'alternativa, ma anche per far sopravvivere la solidarietà nazionale che sembra rappresentare l'estrema risorsa per garantire al paese un governo stabile ed efficace. Tutti si rendono conto, tra i 76 e il 79, che per fronteggiare la crisi italiana degli anni 70 non è possibile né una riedizione del centrismo, né del centro sinistra, le sole a alleanze compatibili con il quadro politico impostato sulla conventio ad excludendum delle ali estreme. Una esclusione che adesso marginalizza un partito politico, il Pci, la cui forza è cresciuta talmente da bloccare l'azione degli esecutivi formati dai partiti legittimati a governare. La rottura della solidarietà nazionale nel 78-79 ripropone lo stesso problema di ingovernabilità che le forze politiche hanno risolto nel 1976 a. Con il compromesso storico.

A consumare giorno dopo giorno il governo Andreotti contribuisce l'ondata di rivendicazioni che annunciano un altro autunno caldo in tutti settori, dal pubblico impiego ai metalmeccanici e ai mezzadri, e alle quali il Pci non pare intenzionato a mettere un freno. La minaccia dello sciopero generale pesa e incombe anche la questione dell'adesione italiana allo Sme. Le forze politiche italiane si sono rese conto di quanto un cedimento alle richieste sindacali influirebbe sulla critica situazione economica dell'Italia ma l'illusione di un rinvio o di una rinegoziazione delle condizioni fissate da Francia e Germania porta a sottovalutare il problema che per due mesi resta in apparenza congelato. Il 12 dicembre 1978 Andreotti annuncia, a sorpresa, l'adesione dell'Italia allo Sme tra gli applausi dei democristiani, repubblicani e socialdemocratici, mentre socialisti e comunisti restano in silenzio. Di conseguenza, quando il 31 gennaio 1979 sulla questione dell'ingresso nel sistema monetario il Psi si astiene e il Pci vota contro, ad Andreotti non resta che dimettersi.

2. Le elezioni politiche ed europee del 1979

La convergenza delle posizioni socialiste e comunisti sullo Sme non basta a ricucire il rapporto tra due partiti anche perché nei giorni della crisi di governo si palesa l'obiettivo del Pci che da tempo punta alle elezioni anticipate. Un obiettivo che ha il vantaggio di costringere il Psi a misurarsi con l'elettorato con troppo anticipo rispetto quanto avrebbe desiderato. Berlinguer ha poi ritiene che passaggio per il voto sia la premessa necessaria a un salto di qualità nella composizione di una nuova maggioranza unitaria. Craxi sta compiendo sforzi sul piano europeo nella speranza che la mobilitazione sui temi europeisti faccia da motore al voto a favore dei socialisti anche per le consultazioni politiche. Il messaggio della campagna elettorale del Pci vuole mettere il Psi di fronte a una scelta ultimativa tra democristiani e comunisti.

Craxi e invece imposta tutta la campagna elettorale sulla parola d'ordine dell'autonomia socialista e respinge le offerte di pace del Pci. Terminato lo spoglio delle schede, il Psi si ritrova senza niente in mano, il Pci perde quattro punti percentuali mentre la Dc esce nettamente vittoriosa. C'è inoltre un incremento del Psdi e un successo notevole dei radicali. Il segretario socialista viene indicato come responsabile principale della disfatta, la sconfitta elettorale fatta avallare la sua poltrona; per di più, a una settimana dal voto politico, si celebrano le elezioni europee che questa volta premiano il Psi mentre fanno retrocedere il Pci e ancora di più la Dc. Nel gioco delle preferenze, poi, i rappresentanti della nuova generazione socialista hanno stravinto, Craxi è capolista a Milano con 64.000 voti, nessuno ne chiede più le dimissioni.

3. Un partito da rifondare

La volontà di condizionare Craxi emerge dall'immediata richiesta dei manciniani e dei demartiniani di rivedere l'organigramma dei vertici cui segue la ricostruzione della corrente di de Martino, sciolta nel 1978.

Debole nella competizione esterna con le altre forze politiche, il vecchio Psi non attira certo consensi nelle fasce emergenti della nuova società che sono critiche di fronte a tutti i partiti. È l'analisi delle trasformazioni intervenute nel tessuto sociale e culturale del paese ad indicare su quali parametri va impostato il rinnovamento del partito. Si sta assottigliando il voto di appartenenza, e dilatando quello di opinione. Per intercettare questo nuovo tipo di suffragi, il Psi si deve dotare di strutture flessibili e articolate, organizzare comitati e saper usare sapientemente i media. Sembra chiaro nei progetti di Craxi il riferimento al partito socialista francese e le suggestioni mutuate dal partito radicale. I giovani del nuovo gruppo dirigente socialista guardano con occhi più attenti all'universo dei media e, in particolare, ai giornalisti che pochi mesi dopo l'assassinio di moro hanno costituito la Lega per la libertà dell'informazione.

A dar voce a queste stanze contribuisce il convegno Informazione e potere organizzato nel 1978 per aprire una seria riflessione sulla televisione e sulla Rai, infatti la riforma della televisione pubblica varata nel 1975 con il voto anche del Psi, non sembra soddisfare nessuno, mentre sono molte le aperture verso le televisioni private.

Craxi a tutto l'interesse a un ricambio in Rai di dirigenti e giornalisti; quando nel 1980 avrà il pieno controllo del partito, potrà far cadere le teste che non desidera. Sulla questione dell'informazione, il Psi vide una evidente discrasia tra visione strategica e pratica quotidiana: i socialisti sono convinti che la modernizzazione dell'Italia passa attraverso la diminuzione del potere partitico e l'allargamento degli spazi della società civile e del mercato da una parte, dall'altra essi sono parte integrante del sistema nel quale cercano di accrescere il proprio peso, mantenendo le posizioni di potere e conquistandone di nuove.

I rapporti tra i protagonisti della "primavera culturale socialista" e il segretario si raffreddano a causa soprattutto di un dissenso politico che è preoccupa Craxi meno dell'attacco dei vecchi leader. Lo scontro interno e esplosa nel Psi viene eletto in termini di vendetta dell'apparato, aggrappato al proprio privato, determinato a ostacolare la larga mobilitazione di forze intellettuali che il craxismo ha saputo suscitare. L'entusiasmo causato dalla politica aggressiva di Craxi perde un po' di slancio tra gli intellettuali, mentre cresce nella base e tra i quadri e i dirigenti del partito in periferia.

4. In mezzo al guado

Nei primi due mesi dell'estate, la resa dei conti all'interno del Psi sembra allontanarsi, perché il partito si stringe intorno a Craxi incaricato da Pertini di formare il nuovo governo. All'indomani del voto, la stampa ha sottolineato in modo unanime il ruolo centrale ha acquistato dai socialisti e a far crescere questo ruolo è decisivo l'arretramento del Pci. Adesso, per Berlinguer, appare più difficile varcare la soglia del governo ma si fa anche più remota alla prospettiva alternativista di Lombardi. La sconfitta dei comunisti fa a ritirare il loro processo di revisione e questo irrigidimento non favorisce chi nel Psi sta lottando per imporre il dialogo a sinistra nel quadro della solidarietà nazionale che dovrebbe far d'anticamera all'alternativa. Craxi, presidente del consiglio incaricato, non può sperare nel sostegno del Pci, ma neppure in quello della Dc interamente schierata contro il tentativo del presidente del consiglio che infatti, dopo venti giorni, deve rimettere il mandato e nasce il primo governo Cossiga.

La breve esperienza è servita per fotografare gli spazi di manovra rimasti al Psi: Berlinguer non gli lascia nessuno spazio, qualche spiraglio si può intravedere invece nella Dc e questa volta è lui a dettare ai cattolici il catalogo di una futura alleanza. Nell'esecutivo infatti compaiono anche due tecnici dell'area socialista.

Nel Psi si acuisce il clima di sospetto nei confronti di Craxi, accusato di forzare il timore verso la rotta del centro sinistra, non condivisa dalla maggioranza interno. È diffuso un senso di malessere che spinge a redigere un manifesto per la moralizzazione del mondo politico ovvero la necessità che un partito si doti di cultura, di competenze, di professionalità, unica garanzia contro il dilagare della corruzione. Implicitamente quanto manca al Psi di Craxi. Per tutta risposta, lui rivendica orgogliosamente il primato della politica e insieme mette in riga gli intellettuali ai quali non riconosce un ruolo privilegiato rispetto a tutti gli altri militanti del partito. Lo scontro era molto complesso e sarebbe semplicistico ricondurlo nello schema di due schieramenti, l'uno a favore, l'altro contro il segretario.

5. La resa dei conti

In seguito all'installazione in Europa da parte dell'unione sovietica dei missili sovietici, Craxi intreccia un rapporto sempre più stretto con la socialdemocrazia tedesca, orientandosi nell'idea di potenziare le difese della Nato con dei nuovi missili pershing 2 Backfire. La questione non si può circoscrivere nella discussione si sia opportuno pretendere da Mosca lo smantellamento dei missili, e in caso di sua risposta negativa schierare nei territori dell'Europa questi; oppure se sia meglio installare nuovi missili e, una volta raggiunta nuovamente la parità di fuoco, procedere al negoziato per un contemporaneo disarmo.

Fino al 1979 la posizione del segretario non si è staccata dalla linea "terza forzista" della tradizione, posizione alimentata col passare degli anni dall'illusione di una distensione che sembra svanire di fronte ai segnali di una ripresa della guerra fredda. L'Italia ha la necessità di riaffermare la sua fedeltà al vincolo Atlantico e l'avvicinarsi alla Spd si scrive in questo quadro; d'altra parte è stato lo stesso Schmidt a chiedere l'appoggio di Craxi che, rifiutando, smentirebbe tutto il percorso di autonomia. Anche Signorile condivide questa tesi è nel 1979 ricompone l'accordo con Craxi. La questione dei missili viene votata la camera e tutta la rappresentanza socialista vota a favore.

La concordia tra i socialisti è solo apparente però infatti Lombardi critica il segretario che, preoccupato, è costretto a minimizzare il significato del voto che riflette solo il senso di responsabilità dei socialisti desiderose di non far cadere il governo Cossiga e di non lasciare soli i compagni della Spd.

La strategia di Signorile rimane il rilancio della solidarietà nazionale anche se sul Pci continua a pesare il condizionamento del suo referente internazionale che è in Italia, come in Francia, punta a ostacolare l'unità tra socialisti e comunisti finalizzata in entrambi i casi all'obiettivo di un'alternativa di governo. Infatti l'ascesa al potere delle sinistre nei paesi dell'Occidente europeo, in alleanza con i socialisti democratici e filo atlantici, significa perdere le ultime pedine storiche in campo avversario. Il Pci è indisponibile, e Craxi deciderà di forzare questo stretto passaggio, quasi una cruna dell'ago, per costruire un nuovo assetto politico e rilanciare la democrazia italiana bloccata. Signorile, invece, vuole fermarsi alla solidarietà nazionale, anche lui spera che l'accordo consociativo possa fare da incubatrice all'alternativa ma sembra sfuggirgli quanto ormai sia diventato impossibile rilanciare l'alleanza costruita da Moro e Berlinguer. Signorile si batte fine fondo, nonostante lo scandalo Eni-Petronim esploda (versamento di una tangente da parte dell'Eni, guidata da un uomo considerato vicino a Signorile; beneficiaria sembrò mediatore che si era adoperato per ottenere una fornitura di petrolio dall'Arabia Saudita a basso costo, a far scoppiare il caso ci sono sospetti che una parte della somma sia finita anche nelle tasche di politici italiani), circola la voce che l'operazione abbia l'obiettivo di chiudere i finanziamenti alla sinistra socialista in cui potere va ridimensionato per consentire al segretario di vincere la partita. Tuttavia il vicesegretario socialista ne esce azzoppato, ma ancora in grado di combattere.

Allora diventa dominante il problema della leadership; Signorile chiede una gestione collegiale, Manca anche; tutti si appellano alle riflessioni degli intellettuali del partito per combattersi gli uni contro gli altri: gli avversari del segretario chiedono un partito aperto, i suoi sostenitori invece accusano gli altri di voler ricostituire le odiate correnti. Alla vigilia della Direzione del Psi, del 20 dicembre 1979, sembra che Signorile stia per prevalere. Craxi si batte con un appello all'unità del partito ma gli altri non si fanno convincere; messo in minoranza sembra aver perduto la scommessa. La decisione finale spetta al comitato centrale, previsto per il 5 gennaio 1980 in cui deve avvenire la definitiva conta dei voti ma il "tradimento" di Gianni De Michelis, uno dei capi della corrente lombardiana, fa scendere la bilancia in favore di Craxi. Concorre anche la morte, il primo gennaio 1980, di Nenni che sembra voler rilanciare gli appelli all'unità. Anche Signorile si ritira con facilità, e di questo viene accusato, anziché distruggere l'avversario nel suo momento di debolezza, sceglie di contrattare la gestione unitaria del partito, in cambio della presidenza del Psi a Riccardo Lombardi.

Gran parte della stampa non ritiene del tutto chiusa la partita, ma il gioco è arrivato alle ultime battute. La pausa concessa a Craxi da Signorile è finalizzata ai risultati del congresso democristiano; il vicesegretario spera che l'asse Andreotti-Zaccagnini possa reggere alle spinte che vengono dalla destra del partito, che vuole mettere fine alla solidarietà nazionale. La vittoria di Forlani, invece, lascia Signorile e i suoi sostenitori senza una politica e al contrario rafforza la posizione di Craxi che adesso è determinato a percorrere la strada del governo. La strada verso cui si avvia il Psi non è condivisa dal suo presidente che, dopo appena due mesi dalla sua designazione, si dimette: questa strada non condivisa è proprio il ritorno al governo che è la carta vincente del segretario e che appare come un esito obbligato a meno di non ritornare dopo solo nove mesi alle urne. Il Pci infatti, non ha il peso necessario per imporsi come partner paritario negli esecutivi e condanna al fallimento anche la strategia della sinistra socialista sancendo la vittoria dell'idea di Craxi.

 

Capitolo 4 1980-1982

 

1. La scelta del governo

La scelta del governo porta lo scompiglio tra gli intellettuali, e il Psi non può completamente prescindere dal consenso o dal dissesto del mondo della cultura. Una parte delle energie culturali ora si orienta verso il Pci forse nell'illusione di aver trovato in Berlinguer un individuo più disponibile ad ascoltare i consigli. I comunisti, però, incapaci di affrontare con coraggio il problema della loro identità, sono condannati a venire travolti dalla dissoluzione dell'Urss.

L'attenzione di Craxi è ora concentrata nei giochi di palazzo dove si apre la partita per strappare agli alleati democristiani una fetta di potere tale da assicurare al Psi il ruolo di terzo partito paritario alla Dc e Pci. Sono così può infrangere lo schema bipolare senza ricambio che blocca il sistema e si potranno assicurare esecutivi stabili ed efficienti. Questa convinzione si rafforza in proporzione ai successi riscossi dal leader socialista nel giro di pochi mesi, per iniziare con il 5 aprile 1980 in cui Cossiga bar ha il suo secondo governo (Dc, Psi, Pri) dove entrano ben nove ministri socialisti. Nelle successive elezioni amministrative cerca l'appoggio dei radicali disponibili invece a parcheggiare un accordo caso per caso in cambio del sostegno del Psi nella nuova battaglia referendaria per l'abrogazione della legge sull'aborto, ritenuta troppo restrittiva: il successo arriva e di sicuro la carta radicale ha giovato.

Nonostante tutto, l'astensione è molto alta e se da un lato può essere interpretata come un segnale di disimpegno o di omologazione dell'Italia alle democrazie occidentali più avanzate, dall'altro la notevole quantità di schede bianche non si presta a nessuna lettura rassicurante.

La battaglia di Craxi continua e cerca di sfruttare il potere qualitativo del Psi per ottenere dalla Dc condizioni ancora più vantaggiose: alza il prezzo della sua partecipazione al governo pretendendo una posizione paritario alla Dc, ben al di sopra del peso in voti del Psi. La pari dignità con il partner democristiano non basta ad assicurare un nuovo corso alla politica italiana che è solo da un rovesciamento dei rapporti di forza a destra e a sinistra può riacquistare dinamismo, a rivitalizzare questo sogno c'è l'esempio del rassemblement francese e a una federazione di socialisti, radicali e laici pensa Craxi quando si accorda con Pannella nella speranza di un reciproco condizionamento. I radicali però si oppongono come avversari irriducibili della partitocrazia di cui il Psi è tornato ad essere un rappresentante; Pri e Pli sono gelosi semi del loro spazi di autonomia e il fallimento dell'unificazione con il Psdi in Psu nel 1969, è un precedente di pessimo auspicio. Anche se si arrivasse ad un'unità tra tutte le forze politiche intermedie, il risultato sarebbe la mia somma, sicuramente in perdita, dei rispettivi voti.

Resta ancora la carta dell'alternativa che però i socialisti condizionano a un preventivo riequilibrio dei rapporti di forza a sinistra e per ottenerlo Craxi deve convincere gli elettori comunisti ad abbandonare il Pci. Lanciata ufficialmente nel 1980 a Salerno - definita la seconda svolta di Salerno -, la strategia dell'alternativa democratica sembra solo un vuoto slogan propagandistico se si esclude per principio il dialogo con l'unico partner possibile con cui associarsi. Eppure proprio adesso Berlinguer appare deciso a chiudere tutte le porte al Psi, mentre sul piano nazionale punta a una nuova stagione di lotte sociali per affondare la coalizione di centro sinistra. Sono i franchi tiratori della Dc, insieme all'opposizione comunista, a mettere in minoranza Cossiga sul "decretone" di provvedimenti all'insegna dell'austerità per frenare la crescita dei prezzi e dell'inflazione; ma anche la proclamazione di uno sciopero a oltranza da parte dei dipendenti del settore auto sostenuti dal Psi e dal Pci. Berlinguer assicura il suo appoggio agli scioperanti anche nel caso di un'occupazione delle fabbriche e questa dichiarazione scatena una tempesta politica ma fa anche comprendere che sul tradizionale terreno delle lotte operaie socialisti e comunisti possono ancora parlare un linguaggio comune.

La spinta verso destra di alcuni intellettuali comunisti, sembra spingere Berlinguer sempre più verso sinistra e il fossato che si era cominciato a scavare tra i due partiti nel 1956, ora si è terribilmente allargato. Berlinguer è ancora dell'idea che la maggioranza dei lavoratori italiani non ha nel suo sentimento una soluzione di cambiamento di tipo socialdemocratico e attacca Craxi riferendosi al suo periodo come di "socialfascismo". Ormai le due posizioni sono inconciliabili ma è palese anche la discrasia tra l'immagine esterna democratica, riformista, occidentale, europea che il Pci vuole dare di sera e la sua effettiva realtà di partito ancorato all'ideologia leninista del passato. Costruire uno schieramento di alternativa democratica con il Psi di Craxi per governare il paese è un obiettivo e escluso a priori dal segretario comunista; nel 1980, in seguito al terremoto in Irpinia, dichiara la necessità di un fatto nuovo per salvare l'Italia dal degrado: la partecipazione al governo dei comunisti, ma insieme alla Dc e appoggiando la sinistra democristiana attaccata da Craxi.

2. Il congresso di Palermo

nel congresso di Palermo del 1981 Craxi si presenta vincente su tutta la linea: all'interno del suo partito dove ha una maggioranza del 70%; ma anche sul piano nazionale, perché l'accordo con Forlani, nuovo presidente del consiglio, ha bloccato la controffensiva della sinistra cattolica e del Pci. In questo periodo la politica italiana si omologa al modello dei paesi occidentali avanzati dove il potere del leader è aumentato col progressivo declinare del ruolo dei partiti come pericolo della partecipazione di massa. L'asse del sistema si sposta dalla centralità dei partiti alla centralità dei candidati e i socialisti puntano a insediarsi nel sistema delle comunicazioni di massa. A controllare tutti i meccanismi dell'organizzazione partitica sono i professionisti dei media e delle relazioni pubbliche, i sondaggi si e i pubblicitari; persino i comici televisivi contribuiscono a ingigantire l'immagine del leader socialista, anche se deridono il suo autoritarismo. E Craxi procede con velocità alla modernizzazione. Il trionfo di Craxi a Palermo lascia una forte impressione anche nel gruppo dirigente comunista dove riprende quota il dissenso nei confronti di Berlinguer che subito fa un distinguo tra Craxi e Mitterrand: il secondo ha cercato subito una linea unitaria con il partito comunista francese senza aspettare di essere più forte; i vicini, dunque, predilige i socialisti e missini e pertanto non ama Craxi.

3. La questione morale

Lo scandalo della P2 mette sul banco degli accusati dirigenti politici dei partiti di governo e del msi, alti funzionari dell'amministrazione pubblica, giornalisti e direttore della Stampa e della televisione, professionisti, compresi, anche se il numero ridotto, esponenti del Psi. La tempesta abbatte l'esecutivo di Forlani e il presidente del consiglio viene sostituito con il segretario del Pri, il partito meno colpito dalla bufera. Per la prima volta dalla nascita della Repubblica la Dc deve rinunciare a Palazzo Chigi. Il degrado, frutto di una distorsione del sistema, può essere sanato solo prendere parte agli esecutivi di Pci, questo sostengono i comunisti. Con la questione morale non si cimenta alcuna alleanza politica, né tantomeno quella con il Psi che a quella sola in grado di proporre un'alternativa all'esistente: discutere di moralità serve a rimuovere la vera questione che Berlinguer deve risolvere ovvero decidere se il Pci sia disposto a proporsi come partito socialista europeo o voglia continuare a restare prigioniero della sua diversità che non si riesce neanche capire cosa consista. Anche Scalfari nel 1981 rimprovera questa sopravvalutazione della natura del Pci che dunque finisce per mettersi da solo fuori gioco.

Il profondo rosso nel bilancio dello Stato non è il solo ostacolo sul cammino del nuovo governo che deve fare i conti anche con i veleni sprigionati dall'affare P2, cavalcato dal Pci per delegittimare i corrotti partiti della maggioranza; dal mondo politico messo sotto processo si lavano le prime accuse contro la magistratura, a segnalare la nascita di un conflitto tra poteri dello Stato destinato a diventare uno degli elementi fondamentali nel crollo della prima Repubblica. Craxi è consapevole che sul terreno della non corruzione i comunisti sono in vantaggio sui socialisti perché l'opinione pubblica condivide la critica alla partitocrazia corrotta, inefficiente e inaffidabile. Restano da spiegare le ragioni che partono fin dal 1981 Craxi in rotta con i giudici; tanto più che il Psi non è pesantemente coinvolto come la Dc e il Psdi. Motivazioni possono essere: rassicurare la Dc sulla sua lealtà al governo, appoggiare il Psdi che il piè si spera di assorbire, mettere in imbarazzo Spadolini, concorrente vincente nella corsa per Palazzo Chigi, speranza di bloccare alla nascita un'altra stagione di processi ai palazzi del potere nella consapevolezza che, questa volta, sarebbe assai più difficile impedire il fuoco contro il Psi ormai ritornato fa parte del sistema. E in più evitare di ritrovarsi nella stessa situazione della Dc. La magistratura appare un potenziale avversario da disarmare attraverso una riforma dell'ordinamento giudiziario e lui è pronta a usare tutte le armi per abbattere chi lo ostacola. Craxi però sottovaluta la magistratura e non si preoccupa nemmeno del vuoto nel quale cadono le sue proposte di riforma giudiziaria nel 1981; è cieco di fronte al progressivo saldarsi di uno schieramento anticraxiano composito che si muove al di fuori dei confini della società politica. La sua maggiore preoccupazione sono le manovre tra la sinistra democristiana e Berlinguer che cercano di bloccarlo con la minaccia del compromesso storico. La corte che a Palermo si è stretta intorno al segretario del Psi lo illuda sulla stabilità del potere dei partiti, e in particolare del Psi; quest'illusione è destinata a ingigantirsi negli anni successivi, paradossalmente proprio proporzionale crescere della sfiducia dei cittadini nei confronti della classe politica al potere.

4. La conferenza di Rimini

La conferenza ha come titolo Governare il cambiamento e sembra la prosecuzione del seminario di Trevi. La sfida è il programma di un governo socialista o, nell'immediato, guidato da socialista, ipotesi per nulla astratta. Sono tre anni che il segretario del Psi fonda a questo traguardo, mancato per poco nel 1981 quando Pertini ha preferito offrire l'incarico a Spadolini. Bisogna preparare le condizioni perché un nuovo esecutivo presieduto da Craxi sia il segnale di una svolta storica nel paese. Premessa indispensabile è sgombrare il terreno dai vecchi schemi ideologici di un capitalismo sempre sull'orlo di una crisi mortale, questa visione ha impedito lo sviluppo di un pieno riformismo inteso come continuo processo per risolvere problemi parziali. Per risolvere le tante questioni urgenti sul tappeto, bisogna portare occhiali nuovi attraverso i quali scoprire l'Italia degli anni '80, un paese cambiato persino rispetto al decennio precedente.

Il cuore del dibattito sta nella domanda su come arrivare al cambiamento per governarlo con un esecutivo socialista autorevole e stabile; nel 1980 la scelta di Craxi di tornare al vecchio scenario del centrosinistra aveva rilanciato il tema di una riforma istituzionale, il solo strumento per evitare la paralisi. A Rimini, d'attualità torna ad essere il tema della riforma del sistema elettorale e da paradossale che proprio i socialisti, i primi a sollevare questi problemi, alla fine vengono travolti proprio dalla macchina della riforma elettorale, a cominciare dal referendum sulla preferenza unica nel 1991.

Per quanto a Rimini i giuristi non abbiano parlato di presidenzialismo, se l'argomento circola le partito e fuori dove in molti lo leggono in chiave di una piena legittimazione della leadership craxiana o, in modo più esplicito, di una vera e propria investitura di Craxi alla presidenza del consiglio. Il che non promette nulla di buono per il governo Spadolini, in evidente affanno, stretto dal braccio tra Dc e Psi, la prima determinata a recuperare il ruolo perduto. Lo scontro sembra sempre di più quello tra due personalità forti, Craxi e De Mita, conseguenza questa dei meccanismi di personalizzazione della politica.

La finanza pubblica sembra sull'orlo del collasso e per dare accoglienza adeguata alla nuova società delle professioni emergenti e dell'economia della terza Italia, bisogna conquistare i voti di quest'elettorato. È proprio sulle iniziative eccezionali che si scatena la rissa tra i ministri economici, i socialisti De Michelis e Formica e il democristiano Andreatta. Sono loro i protagonisti di un confronto in componibile che porta alla caduta dell'esecutivo di Spadolini e blocca qualsiasi manovra incisiva. Nessun esponente del governo ha il coraggio di mettere mano alla riforma della sanità e delle pensioni; per fare cassa si ripiega su un condono fiscale e su una raffica di aumenti. L'unico intervento di segno diverso riguarda la scala mobile.

Ovviamente il Psi si rende conto di quanto sia necessario procedere in tempi rapidi al risanamento economico, e tuttavia l'onere del governo appare troppo pesante. Craxi vuole sacrifici e austerità ,a preferisce che sia un altro ad annunciarli: non ha il coraggio di intervenire sugli automatismi né di decidere; lascia allora ai sindacati e Confindustria, liberi di concordare autonomamente il problema del costo del lavoro. Allora l’intangibilità degli scatti automatici dei salari è un dogma che inizia a minare l’unità sindacale.

Intanto Berlinguer insiste sulla stessa linea di tutela del sindacato che gli attira le critiche di De Mita: l’asse tra Pci e sinistra democristiana sembra rotto quando nel 1982 anche i comunisti attaccano il segretario democristiano; il deteriorarsi di questo rapporto apre lo spazio a Craxi pronto a detronizzare Spadolini. Lo aiuta la rissa tra Formica e Andreatta sulla patrimoniale che costringe il presidente del consiglio alle dimissioni. Sulla strada del leader socialista c’è De Mita che mira a ricostruire una maggioranza neocentrista Dc, Pli, Pri, Psdi, con lo scopo di azzerare il potere coalittivo del Psi. La manovra passa sul contenimento del costo del lavoro, priorità assoluta per gli imprenditori; ma il segretario democristiano non sembra curarsi del fuoco di sbarramento del Pci al quale riconosce legittimazione al governo purché abbia la forza dei voti per diventare alternativo alla Dc.

Craxi è in difficoltà costretto di nuovo a scegliere da quale parte schierarsi, e gli resta il sospetto di un possibile rilancio del compromesso storico. Una resa dei conti coi sindacati non gli conviene; tenta allora nell’immediato di frenare la corsa della Dc, che aveva ripreso il suo spirito egemonico, con una crisi di governo: ci riesce candidando Fanfani, troppo indipendente per piegarsi ai voleri del segretario democristiano. L’investitura da parte dei socialisti è condizionata ad un mandato breve, pochi mesi per preparare nuove elezioni. Craxi si vuole assicurare il sostegno di Berlinguer alla sua candidatura di Presidente del Consiglio: ufficialmente è proprio la scala mobile il tema del colloquio tra i due leader che dopo anni si ritrovano faccia a faccia in un incontro che tutta la stampa definisce cordiale.

 

Capitolo 5 1983-1985

 

1. Le elezioni politiche del 1983

Craxi punta a staccare dal Pci l'elettorato laico-progressista; Berlinguer vuole far capire agli elettori che il Psi è compromesso in tutti i giochi del potere a cominciare dalla presidenza dell'Eni che il Psi vuole strappare alla Dc proponendo la candidatura di Di Donna, anche se la fine è costretto a ripiegare su Franco Reviglio. La protesta del paese è ormai la spinta efficace e l'unità per costringere i partiti di governo e persino l'opposizione comunista a scuotersi dalla paralisi.

A marzo il sindaco comunista Novelli e l'intera giunta rossa di Torino sono travolti dagli avvisi di garanzia che piovono sul vicesindaco socialista Gentili e su assessori e consiglieri comunali del Psi, del Pci e della Dc. Il successivo arresto degli esponenti socialisti torinesi fa saltare in aria alla federazione provinciale del Psi che Giuliano Amato deve riportare all'ordine e ha il compito di concordare con Novelli la ricostruzione di una giunta di sinistra; un accordo a rischio perché il segretario provinciale comunista, Fassino, condanna tutti gli imputati e attacca tutta la cultura del nuovo gruppo dirigente craxiana locale e nazionale.

Berlinguer e Craxi si incontrano il 30 marzo a Roma un incontro che serve al segretario del Psi per sondare l'atteggiamento dei comunisti nell'eventualità di un governo a guida socialista per il dopo elezioni. Craxi propone un patteggiamento: in cambio di un appoggio del Pci alla presidenza del consiglio, il leader socialista promette di stringere un'asse a sinistra per imprigionare la Dc. In questo momento i due hanno un nemico comune in De Mita. Manca però un terreno solido sul quale far crescere e maturare questa proposta che richiede comunque una verifica da parte dell'elettorato, perché entrambi partiti devono misurare le proprie forze. Venti giorni dopo da un discorso di Craxi e da un riferimento fatto Berlinguer su un'inchiesta riguardante un traffico armi-droga da qui emergerebbe una documentazione compromettente per Craxi, si evince una chiusura del dialogo. La campagna elettorale è aspra e velenosa.

Il 14 giugno 1983 scoppia il caso di Alberto Teardo, ex presidente della regione Liguria candidato del Psi arrestato per associazione di tipo mafioso, corruzione e concussione e insieme a lui altri sedici dirigenti socialisti liguri: l'inchiesta culmina a dieci giorni dal voto, cosa mai capitato prima tanto da far suscitare il sospetto di trovarsi di fronte a giudici politicizzati; c'è addirittura che non esclude una collusione di alcuni magistrati con il Pci.

In queste elezioni si registra un arretramento della Dc, la stabilità del Pci, ma l'aumento dei voti del Psi di un + 1,6% viene percepito come una semi sconfitta tanto più di fronte alla vittoria del Pri. I due partiti, Pci e Psi non sembrano sfondare insieme il 40% tanto più che il Psi non è stato premiato dalla rottura col Pci ma la gran parte della crescita socialista si registra al sud. Beneficiari del crollo democristiano sono al Nord i repubblicani e a livello nazionale il msi. La sconfitta della Dc costringe De Mita a piegare la testa di fronte all'unico vincitore della competizione cioè Craxi. La formazione del governo Craxi ricompatta l'intero partito intorno al grande capo che però riceve dalla maggior parte della stampa nazionale un'accoglienza piuttosto freddo in quanto preoccupata dalla sua personalità e dal fatto che non ha alle spalle una strepitosa vittoria ne può contare sul sostegno degli alleati di governo; tuttavia. Al successo con molta determinazione non solo caratteriale ma anche condizione obbligata.

2. Governo del presidente e partito del presidente

Pochi mesi dopo Craxi dà l'incarico alla commissione presieduta da Aldo Bozzi di procedere alla riforma delle istituzioni; i lavori di questa prima bicamerale si concludono come quelli della seconda ovvero con un nulla di fatto. Tuttavia all'interno della commissione, sono tutti d'accordo della necessità di dotare il paese di un esecutivo autorevole, sganciato dal condizionamento dei partiti e dei loro conflitti. Le ricette per raggiungere questi obiettivi sono divergenti, che vuole l'elezione diretta del capo dello Stato, chi è favorevole al governo presidenziale e chi vorrebbe introdurre la sfiducia costruttiva. La riforma elettorale diventerà il cuore della discussione. La paralisi su questo piano è però solo apparente perché nei quattro anni di governo presieduto da Craxi si registra un cambiamento sotterraneo che va nella direzione di allargare lo spazio dell'esecutivo rispetto al parlamento come dimostra il dilatarsi del potere normativo esercitato dal presidente del consiglio con la proliferazione della decretazione d'urgenza. Attraverso una serie di norme come la nuova disciplina del voto di fiducia; l'abolizione del voto segreto; una legge che definisce gli ambiti e i ruoli ai vertici dei singoli dicasteri; sono tutti provvedimenti funzionali ad ampliare l'autorità del premier che si trasforma in dominus. Nel Psi scompaiono le correnti ma ora Craxi si trova con lo strumento partiti con non più in grado di elaborare politica.

Reinventare un partito si rivelerà un'impresa impossibile quanto quella di ridisegnare dall'interno il sistema politico. Il passaggio dalla vecchia a una nuovo organizzazione politica è chiuso da tanti ostacoli tanto da sembrare la cruna di un ago; il Psi rimane un corpo inerte e alla sua inerzia contribuisce proprio la presenza di un leader personale che ora è anche capo del governo. Il Psi, senza più strutture di partecipazione di base, senza più dialettica interna, si riduce a fare da supporto elettorale ai candidati e soprattutto alle ambizioni del leader.

Tuttavia i mezzi di comunicazione sono in grado di dar voce anche ai più piccoli gruppi di protesta che hanno così l'opportunità di trasformarsi in autonomi e lavoratori di ideologie e di modelli comportamentali; un avvertimento che i socialisti non raccolgono.

3. Il congresso di Verona e le elezioni europee

Berlinguer ha definito l'arrivo di Craxi a Palazzo Chigi "un'operazione di carattere neocentrista"; nel febbraio 1984 e Craxi presenta al senato il decreto-legge che taglia tre dei dodici punti di contingenza previsti per l'anno in corso e il Pci inizia un durissimo ostruzionismo evocando rischi mortali per la democrazia, con l'intento di delegittimare l'avversario politico. Berlinguer è consapevole che la battaglia sulla scala mobile sia caricata di un forte contenuto simbolico. I 24 marzo 1984 ci sono corta e organizzati in tutto il paese dal Pci.

Dopo quattro mesi il Psi riesce a battere l'ostruzionismo è Berlinguer decide di indire un referendum abrogativo sulla scala mobile desiderando mettere a frutto la mobilitazione dei mesi precedenti. C'è una sorta di gara tra personalità vinta da Berlinguer, per quanto riguarda i media, anche perché l'egemonia culturale del Pci è netta. Spesso i giornalisti attaccano il Psi tant'è che i suoi dirigenti parlano di congiura mediatica, argomento destinato ad accompagnare tutta la fase finale del partito. Alla vigilia delle elezioni europee scoppia il caso del ministro del bilancio, Pietro Longo, il cui nome compare nell'elenco della P2; lui presenta le divisioni ma Craxi respinge scatenando clamore nella stampa. La situazione peggiora quando presidente del consiglio, per costringere la Dc alla difesa di Longo si fa consegnare dai servizi segreti materiale inedito sul caso Moro: un vero proprio ricatto che non gli permetterà di salvare il ministro è addirittura lo porta a perdere le elezioni europee. In queste si assiste a un balzo in avanti del Pci che supera per la prima volta la Dc, probabilmente a questo concorso fattore emozionale per la morte di Berlinguer.

La maggior parte dei quotidiani ridimensiona il successo dei comunisti privi di un progetto politico e paradossalmente la vittoria contribuisce a immobilizzarli nell'illusione di poter rinviare la questione dell'identità che non gli consente piena legittimazione nel sistema democratico dell'Occidente. Il fattore internazionale continua a pesare mentre l'amicizia con l'America è diventato un elemento di forza per Craxi che si è guadagnato la stima di Reagan. Tanto apprezzamento spiega anche in parte l'avversione dei comunisti e la contrapposizione comunismo-socialdemocrazia emerge sempre più chiara: scatta meccanismo dei movimenti per la pace risorti nel settembre 1983.

Il nuovo segretario Alessandro Natta eredita la campagna sulla mobilitazione per il referendum contro i tagli alla scala mobile; il Pci da un lato si propone come partito moderno e occidentale favorevole al libero mercato, dall'altro non riesce rinunciare alla storica diversità che li trascina in una politica di ostruzionismo sociale di massa che li condanna all'opposizione permanente.

4. Il governo Craxi

A suo vantaggio ci sono i segnali di una sfumata ripresa economica, l'inflazione è scesa e il PIL è cresciuto mentre la disoccupazione resta invariata. Al referendum tanto voluto dal Pci sulla scala mobile, i comunisti sono sconfitti e si palesa un loro doppio errore: il primo quello di incitare gli operai a una lotta che li lascia freddi o ostili, il secondo quello di aver impresso alla battaglia contro i tagli alla scala mobile il marchio di un referendum pro o contro Craxi. Craxi infatti aveva fatto annunciare che in caso di vittoria del sì si sarebbe dimesso subito; gli alleati della maggioranza non sono contenti della sfida Pci-Psi che sta enfatizzando la figura del capo dell'esecutivo e sembra quasi ci si auguri una sconfitta del governo. Ho quando invece dalle ore ne esce vincitore Craxi i commenti della stampa, unanimi, danno atto al leader socialista di aver avuto coraggio. Ha ottenuto una fiducia popolare: ora però, non si teme solo il carattere non remissivo di Craxi che potrebbe cedere alla tentazione di stravincere, ma anche la reazione di De Mita che sembra deciso a ostacolare la crescita del leader socialista.

Nella lotta per guadagnarsi spazi televisivi in più non ci si cura dei danni che questa mutazione della televisione pubblica arreca a tutto il sistema partitico, è sempre più difficile per i partiti intercettare il consenso di quei settori sociali in crescita, estranee alla visione solidaristica e comunitaria raccontata dalla elite dirigente. La disaffezione nei confronti della politica aumenta. Nel 1984 esplode uno scontro sul caso di Canale 5, Retequattro e Italia 1, proprietà di Berlusconi, amico di Craxi che difende a spada tratta le reti Fininvest per il suo tornaconto. Il decreto-legge, cosiddetto decreto Berlusconi, per consentire al gruppo privato di continuare a trasmettere su tutto il territorio nazionale, scatena una tempesta che rischia di far saltare in aria il governo. Ma Craxi non cede anche se dopo due anni di governo in molti successi sul piano dell'economia ha ottenuto solo un + 0,6%. Bisogna catturare l'elettorato di centro, dove la Dc è il recupero, e continuare a guadagnare voti a sinistra a spese del Pci rispetto al quale in un decennio i rapporti di forza si sono invertiti.

Ora si può fare a meno anche delle giunte rosse, ultimo legame tra socialisti e comunisti; e la prima a cadere è la giunta di sinistra di Roma, inizio di un rimescolamento che porta alla formazione di maggioranze di pentapartito nelle principali città italiane. Il Pci sembra incapace di reagire ma gli avversari più pericolosi rimangono i democristiani con De Mita.

La vendita delle industrie alimentari da parte del Iri si trasforma in un campo di battaglia con la Dc perché il Psi è determinato a impedire la cessione del gruppo SME alla Buitoni dell'imprenditore Carlo De Benedetti, ostile ai socialisti e vicino ai democristiani. Questo caso avrà un percorso lungo e la risposta messa in piedi da Craxi è capeggiata dall'amico Berlusconi; è un segnale sgradito per quei settori del paese che pretendono rigore nei conti pubblici e un passo indietro da parte dei partiti nell'assalto alle risorse delle industrie di Stato. Craxi si irrita di fronte alle critiche, primo tra tutti contro il governatore della Banca d'Italia, Carlo Azeglio Ciampi.

Gli serve, allora, un atto storico come il nuovo concordato firmato con la Santa sede nel febbraio 1984. Inoltre i meriti atlantici che si è guadagnato sulla questione dei missili agli atti di Washington gli permettono di muoversi con dinamismo nella politica estera. Gli attentati terroristici che si ripetono anche a Roma nel settembre 1985, il primo organizzato da movimento rivoluzionario dei musulmani socialisti e il secondo alare porta di Fiumicino contro la British Airways, dimostrano che la tensione è altissima e culmina il 7 ottobre 1985 quando un commando palestinese sequestra la nave da crociera Achille Lauro, nelle acque antistanti l'Egitto, prende in ostaggio passeggeri e uccide un cittadino americano di origine ebraica. La mediazione dell'Olp sembra per un momento risolvere il caso: i dirottatori lasciano la nave ha accompagnati dal mediatore, Abu Abbas, e vengono imbarcati su un aereo della Egypt Air che però viene intercettato dall'aviazione americana e costretto ad atterrare in provincia di Siracusa. I prigionieri sono presi in consegna dalle autorità italiane che li fanno partire per Belgrado.

Una vera propria tempesta si abbatte sul presidente del consiglio che trova una sponda in Andreotti, ministro degli esteri. Chi invece non accetta questa linea è il responsabile della difesa, Giovanni Spadolini e il suo dissenso culmina quando Craxi alla camera di chiara legittima la violenza armata dei palestinesi che si battono per l'indipendenza del loro paese come i mazziniani italiani. Il riferimento fa irritare il Pri tanto più quando Craxi invita Israele ad abbandonare territori occupati nella guerra del 1967: in dissenso inconciliabile sembra preludere alla caduta di Craxi invece la sua mossa entusiasmo al parlamento e il paese dove persino il popolo comunista l'applaude. Il voto a favore dei comunisti alla camera allarme Dipartimento di Stato americano che teme un riavvicinamento tra Psi e Pci tanto da consigliare a Reagan l'invio di una lettera a Craxi allo scopo distensivo.

 

Capitolo 6 1986 -1989

1. Il secondo governo Craxi

Persino i comunisti hanno votato in parlamento la fiducia al governo Craxi che sembra destinato a durare per tutta la legislatura. I suoi primi giorni sono un elenco di successi e cresce la sua popolarità. Quando giunge al record della maggiore durata del suo governo tra tutti quelli della storia repubblicana, la Dc decide di fermarlo utilizzando il successo internazionale appena riscosso.

De Mita critica la gestione personalità dell'intera operazione Abu Abbas, portata avanti senza collegialità; il tasto è dolente perché l'operazione non è stata molto trasparente, nella ricostruzione ci sono evidenti omissioni. Il leader democristiano è però consapevole che non si può arrivare alla crisi definitiva in questa circostanza. Si aggiunge allora il problema economico perché i segnali lanciati da Ciampi sono finiti nel vuoto mentre erano concreti e allarmanti. Nel 1985 è necessario un nuovo riallineamento monetario perché la lira continua a perdere sul marco, l'inflazione è al di sopra della media CEE e Usa e per salvare le esportazioni e il turismo è obbligo alla svalutazione del 6%. È però indispensabile anche un più rigido controllo dei conti pubblici. Un'altra difficoltà viene dalla P2 quando la camera approva la relazione di Tina Anselmi sui processi per corruzione e il tribunale di Torino condanna i principali imputati socialisti.

La tensione con la magistratura cresce e le critiche del Psi ai giudici riscuotono il consenso del nuovo capo dello Stato, Francesco Cossiga, col solo risultato di accrescere la polemica. Lo scontro politico coinvolge anche i centri paralleli del potere ed è sempre più destabilizzante per l'intero sistema; tuttavia il leader socialista non raccoglie i segnali di pericolo.

Quando De Mita viene confermato con un 75% di voti, Craxi è consapevole che la resa dei conti si avvicina anche perché il 26 maggio 1986 la borsa di Milano perde quattro punti percentuali e crolla del 9,3%. La crisi fiscale ha origini politico-sociali, si nutre di complicità diffuse; richiede per combatterla un impegno politico che entra in attrito con le modalità della formazione competitiva del consenso elettorale in una democrazia rappresentativa. Alle spalle di una fiscalità debole, ingiusta e mal distribuita e di un'evasione in larga misura tollerata, si era stabilito una sorta di patto tacito tra i cittadini dello Stato cui si perdonavano la carenza dei servizi, l'inefficienza dell'amministrazione, la macchina in perdita dell'impresa pubblica che davano comunque posti di lavoro e distribuivano privilegi corporativi a larghe mani. Quando però il deficit mette a rischio la credibilità finanziaria del paese, il ceto politico deve intervenire con la conseguenza di scatenare la rivolta che diventa incontenibile perché sommata alla questione morale, che affonda nelle storture antiche della partitocrazia esasperate dal finanziamento dei partiti. Il governo è costretto a chiudere l'erogazione di quei benefici che fruttano voti e consenso ai partiti, alla lite sui tagli trasforma l'esecutivo in un campo di battaglia perché la Dc, partito di maggioranza relativa, rivendica al suo diritto alla guida dell'esecutivo mentre Craxi le contrappone alla pari dignità degli alleati tanto più che a bilanciare il presidente del consiglio socialista al quirinale c'è un democristiano. La presenza di un democristiano al quirinale non soddisfa De Mita che, per fermare Craxi, apre il dialogo con il Pci senza volere a rilanciare il compromesso storico, ma solo agitandone la minaccia. L'appoggio comunista non è sufficiente a far vincere De Mita, costretto ad accontentarsi di una generica promessa da parte di Craxi deciso a non mollare la poltrona fino all'autunno.

Dopo due mesi, la contesa finisce con un secondo governo Craxi, riedizione del primo anche se la arroccarsi del leader socialista sulla trincea della presidenza palesa un pericoloso vuoto di elaborazione politica. Non si sono posti neppure il problema di giocare una partita diversa rinchiudendosi di nuovo nel pentapartito pur di salvare la poltrona. L'esigenza di uscire dal ghetto del governo per rilanciare una politica che non si esaurisca nella difesa a oltranza di Craxi premier non è ignorata dai socialisti; si moltiplicano infatti gli sforzi in direzione del referendum radicali e non solo quelli sulla responsabilità dei giudici. Tra le altre, anche la proposta di abolire la costruzione di centrali nucleari: temi che comportano precise scelte da parte di una forza politica che va alla caccia del consenso degli industriali, del ceto medio progressista, dei lavoratori, ma desideroso di non perdere le sue radici di sinistra. Le questioni poste sono trasversali al paese tuttavia in molti rilevano la contraddizione in cui sembra trovarsi il Psi che si riflette negativamente sul partito che non sembra riuscire a scegliere la propria identità. Craxi minaccia di abbandonare il pentapartito, ma lascia ai suoi luogotenenti le dichiarazioni più bellicose ma alla fine, il 3 marzo 1987 è costretto a gettare la spugna facendo un discorso nel quale non compare alcun accenno alle cause delle dimissioni.

2. Il congresso di Rimini

il problema del partito esiste e si riaffaccia nel congresso di Rimini in cui allarma il divario tra la popolarità di Craxi e quella del partito socialista; il partito è svuotata di energie e ridotto a una struttura di servizio del presidente del consiglio e del suo gruppo dirigente ma a rivitalizzarlo può riuscirci solo il grande leader. Piace la centralità nel sistema politico acquistata dal Psi, un tempo trascurato anche se si teme che all'imperativo della modernità si sacrificano i valori consolidati di una cultura di sinistra classista e populista.

Si cominciano a delineare due posizioni, quella dei "ministerialisti" di De Michelis, appoggiati da Amato, che considerano l'alleanza con la Dc un progetto a medio termine sul quale però far crescere il nuovo riformismo socialista, abbandonando l'illusione di una grande sinistra, con un Pci ridimensionato e un Psi in veste di guida. A loro si contrappongono i "movimentisti" di Martelli che sperano di lucrare sulla posizione dentro il governo e di rilanciarsi nella società civile percorsa dai fermenti radicali, ecologisti e ambientalisti. C'è poi la sinistra di Signorile che trova appoggio in Formica, favorevole a riaprire il dialogo con il Pci su nuove basi, ma sempre nell'orizzonte dell'alternativa. Il segretario tiene il suo profilo super partes, anche se è vicino ai ministerialisti.

La crescita del potere ha sicuramente contribuito a dilatare l'affarismo. Quegli anni 70 Craxi aveva iniziato a usare con determinazione il potere qualitativo del Psi che anche. Un potere di ricatto; ma per ricattare, non bisogna essere ricattabili ed è necessario diventare finanziariamente autonomi. Dalla dipendenza ne gli anni 40 e 50 dal Pci, che faceva trasferire dall'estero dei fondi anche al Psi, si era passati alle erogazioni della Dc che concedeva quote di risorse pubblica spartite rigorosamente in proporzione al peso elettorale. Nel 1979 la forza di interdizione di Craxi aveva consentito di pretendere una fetta più ampia della torta e con la presidenza del consiglio, il Psi si era ritrovato proprio nel cuore della rete del finanziamento politico. Craxi sa che la risorsa finanziaria è indispensabile per l'organizzazione della politica e ora, che dispone solo di un terzo dei voti democristiani, deve appropriarsi della maggiore quantità possibile di mezzi per gestire e alimentare clientele o crearle dal nulla. Lui però non può esplicitamente riconoscere che potere e denaro sono un elemento portante della sua strategia ma è consapevole di dover pagare anche costi sgradevoli di un finanziamento ricercato tutte le forze politiche, ciascuna nelle proprie fonti. (Per quanto riguarda i partiti di governo, i finanziamenti si ricavano dalla sfera pubblica).

Pur avendo colto tutte le implicazioni negative del problema per intero sistema partitico, la classe politica si guarda bene dall'affrontarlo; una controllata e progressiva fuoriuscita dalle istituzioni e dalle centrali pubbliche del potere probabilmente avrebbe salvato i partiti e aiutato i loro rinnovamento tanto più che la presenza del pubblico nell'economia e nella società italiana si sta ridimensionando per il disastro dei conti dello Stato. Paradossalmente sembra che proprio la percezione dell'imminente fallimento pubblico scateni gli appetiti. La voglia di moralità emersa al congresso di Rimini è solo una bolla di sapone. Eppure i socialisti sembrano consapevoli di quanto negativo sia il giudizio dell'opinione pubblica su di loro, in un questionario distribuito tra i 1100 delegati al congresso, per il 47% dei rappresentanti della base socialista il difetto più grave del loro partito è la questione morale; per il 19% l'eccesso di potere. Purtroppo a nessuno indica come invertire la tendenza.

3. Una lunga stagione di attesa

L'importanza del dibattito e anche la sua durata segnano un momento di vitalità nel Psi, la questione di base nel 1987 resta quella del come uscire dall'immobilità del sistema, come forzare recinto del pentapartito. Gli italiani con il loro voto non aiutano, a gestire le elezioni è infatti un governo monocolore Fanfani che senza la fiducia, rimane in carica solo per consentire lo svolgimento delle operazioni elettorali.

Craxi non vuole ascoltare gli intellettuali ex socialisti che si candidano nelle liste della sinistra indipendente, ma nemmeno i giovani che indicano il Psi come il peggiore partito rispetto al problema della morale pubblica. Tuttavia il Psi è premiato dagli elettori con 14,3% mentre il Pci precipita al 26,6% pagando caro il ritardo nella riflessione sul cambiamento sociale. Persino Natta è costretto ad ammettere che il Psi registra più rapidamente del suo partito i processi di decomposizione e ricomposizione della società. Questi segnali, però, non inducono i comunisti a rilanciare un effettivo dialogo con il Psi, aumentano solo il loro stato di paralisi e i loro timori perché sanno che solo un drastico ridimensionamento elettorale del Pci quando le socialisti a costruire insieme al comunisti uno schieramento della sinistra alternativo al blocco democristiano. Restano aggrappati alla speranza che Craxi non raggiungo l'obiettivo.

La crescita socialista del 1987 ha riportato il Psi al massimo storico del 14,2% raggiunto nel 1958 ma Craxi sembra improvvisamente fermarsi: lascia che la Dc si riappropri di Palazzo Chigi e non porta avanti la riforma del partito. La quantità di potere ha accumulato fa da zavorra, paralizza la paura di perdere il patrimonio conquistato a cui ci si aggrappa fino a non riuscire più muovere braccia e gambe. De Mita invece, non dà tregua e contende ogni mossa di Craxi: non c'è pedina socialista che non venga immediatamente affiancata da un democristiano della sinistra, De Mita può anche contare sull'appoggio dei comunisti che sperano di esaurire le energie del Psi.

L'unica carta di vantaggio per i socialisti sta nell'amicizia di Silvio Berlusconi e per questo tendono a privilegiare il mezzo di comunicazione televisivo. Nell'aprile 1988 il caso sulla proprietà della Mondadori tra la Fininvest e De Benedetti, che termina con estromissione dal consiglio di amministrazione del candidato sostenuto dalla prima, lascia l'azienda di famiglia sotto il controllo del secondo vicino alla Dc. La partita sembra perduta per Craxi ma la vicenda si trascina per anni, nell'immediato l'eco della vicenda si ripercuote in parlamento dove il 4 giugno 1988 arriva in discussione la legge Mammì che vieta il controllo di stazioni televisive ai gruppi editoriali con quote azionarie nella stampa periodica superiori al tetto fissato; cioè si apre e De benedetti sono praticamente esclusi dal mercato televisivo. A rendere meno amara la sconfitta c'è il successo netto e inequivocabile al turno parziale di amministrative e di regionali nel maggio e nel giugno perché il Psi supera il Pci. Le dimissioni di Natta e la nomina a segretario di Achille Occhetto testimoniano la portata del terremoto che investe il Pci dopo queste elezioni. Sembra finalmente il momento della svolta tanto attesa per riprendere l'iniziativa che è il risultato delle elezioni ha permesso: invece Craxi parte per viaggi all'estero assorbito dai suoi incarichi internazionali.

4. Il congresso dell'Ansaldo

L'appuntamento con i comunisti sembra rinviato alle elezioni europee del 1989, meglio quindi ridurre le distanze magari acquistando un vantaggio pieno. Questa politica di prudenza non si converte in una politica aperta al dialogo con il Pci e più attiva nella società civile: infatti i socialisti e cadono in un immobilismo sorprendente. L'incombente Craxi è un alibi che non basta a giustificare la catena di scelte poco incisive compiute in questo periodo, esagerato definire rivoluzione l'abolizione del voto segreto, ottenuto nell'ottobre 1988, e lo stesso vale per la legge sulla droga che inaugura il nuovo corso proibizionisti ha deciso di Craxi. La vernice di perbenismo di cui si riveste il Psi è funzionale a riscuotere simpatia del mondo cattolico; ma quando nel 1988 il Psi si dichiara a favore dell'ora di religione nelle scuole, si ha l'impressione di mosse improvvisate piuttosto che di un progetto strategico.

Non si riescono a ottenere vittoria nella politica economica e l'inflazione si impenna di nuovo, è caldo anche il fronte sociale come dimostra a novembre la manifestazione indetta dalle tre confederazioni sindacali a Roma dove sfilano 300.000 persone per protestare contro la pressione fiscale. Poi è una volta degli scioperi a Bagnoli innescati dalla chiusura degli stabilimenti Fiat. Intanto il governo guidato da De Mita è aggredita dai socialisti e dagli stessi democristiani, ma disposti di fronte al segretario troppo potente. Nel febbraio 1989, al congresso democristiano, un fronte anti De Mita, e ne decreta la fine sostituendolo con Forlani, amico dei socialisti; questi ultimi sono consapevoli di essersi liberati del nemico e della minaccia di riesumare il compromesso storico cosa che rigetta i comunisti nell'isolamento.

Si ricava comunque l'impressione che il partito sia allo sbando, abbandonato da tutti e abbia referenti solo nei luogotenenti di Craxi. Signorile tenta invano di cambiare politica, di uscire dall'umore del pentapartito, ma lo scandalo Trane, segretario dell'ex Ministro dei trasporti Claudio signorile, fa perdere credibilità alle voci della sinistra socialista.

In realtà l'immobilità si spiega perché Craxi ha concordato con Forlani un intero percorso che inizia con la caduta di De Mita e la formazione di un esecutivo di passaggio a guida democristiana, per culminare in un altro governo Craxi, quando si libererà la casella del quirinale dove è prevista l'investitura o di Andreotti o di Forlani: uno scenario politico proiettato fino al 1992. E infatti all'indomani del congresso del Psi, De Mita lascia Palazzo Chigi dove si insedia Andreotti. Proprio aver ceduto alla tentazione della stabilità assicurata da questo accordo, denominato Caf (Craxi-Andreotti-Forlani), è una delle ragioni del suo declino. Questo patto va iscritto nello scenario di un voto deludente per il Psi, che ha un incremento dello 0,5%, e della discesa degli indici di popolarità di Craxi sorpassato da Andreotti.

Al indomani delle elezioni europee del 20 giugno 1989, e gli elettori hanno punito il Psi facendo incrementare il Pci del 1% che, con Occhetto, ha seppellito l'euro comunismo e si muove nella prospettiva della ricomposizione dell'unità socialista. Si è approfondita la divisione tra "ministerialisti" e "movimentisti" all'interno del Psi che in altri tempi avrebbe scatenato una guerra, ma adesso il partito ha svuotato di vitalità e ha poca voglia di battersi e di mettere a rischio il potere che Craxi distribuisce anche nel governo pentapartito guidato da Andreotti.

Nel pieno delle polemiche parte per la Svezia dove lo attende una riunione dell'internazionale socialista, Craxi non intende cambiare le sue scelte soprattutto ora che il risultato elettorale non smentisce la tendenza alla crescita socialista, è proprio la lentezza con cui il Psi avanza a convincerlo che sia indispensabile incrementare il patrimonio di potere del partito prima di lasciare la sponda democristiana; tanto più che il Caf sembra funzionare tanto da consentire alla rapida approvazione della legge finanziaria nel 1990 senza la solita rissa tra ministri.

 

Capitolo 7 1990-1992

 

1. Il crollo del muro di Berlino

Il rilancio del pentapartito con il governo Andreotti non è una scelta senza ritorno per Craxi, che ha semplicemente ribadito un accordo di non belligeranza con quei democristiani a lui meno ostili. Non è ancora venuto meno il fattore K, il principale ostacolo sulla strada di un ricambio tra schieramenti che normalizzi la dinamica politica italiana; Craxi è convinto che solo una grande forza socialista, democratica e occidentale può aspirare alla guida del paese ma questa premessa comporta un ridimensionamento del Pci e una crescita del Psi, due obiettivi non ancora raggiunti sul finire degli anni '80. Nell'attesa che maturino queste condizioni, si deve governare nel solo modo possibile ovvero con la Dc. Con il crollo del muro di Berlino, anche l'egemonia della Dc, baluardo contro comunismo, va in crisi così, con un PC in disfacimento e una Dc privato della sua identità, c'è una massa di voti in libertà che il Psi deve conquistare e così si spezza la cruna dell'ago. Il Psi, abituato a trovare già impostati dal segretario i temi di dibattito e le soluzioni possibili, sembra disorientato e prevale la convinzione di avere davanti ancora tempo.

In occasione del XVIII congresso, il Pci fa un passo indietro nell'illusione di avere trovato in Gorbaciov la soluzione di tutti i problemi perché sembra diventato compatibile col percorso di occidentalizzazione dei comunisti italiani. Questa sponda non convince il Psi e la ricucitura dei rapporti è difficile: a parte il gruppo di Signorile, è soprattutto a Martelli a spingere in questa direzione, contrastato dalla destra di De Michelis mentre Craxi si ricava una posizione mediana.

La caduta del muro sembra dar ragione ai socialisti e questo scava un fossato con il Pci costretto a difendersi all'interno del partito, dove era attaccato dagli intransigenti, e all'esterno dove è attaccato dal Psi. Il partito comunista, come un animale ferito, reagisce di fronte alla minaccia di essere privato della sua ragione di vita che sta proprio nel nome e nei singoli su cui Occhetto vorrebbe abbattere la scure; la maggior parte dei comunisti non vorrebbe morire socialdemocratica e questo fa capire come resti vivo il messaggio di Berlinguer.

La primavera del 1990 porta un certo disgelo tra i craxiani e Occhetto: D'Alema invita ai socialisti a partecipare al processo di rifondazione per arrivare al più presto all'alternativa di sinistra; non si possono equivocare gli umori antisocialisti del popolo rosso, ben lontani dalla linea unitaria di Occhetto che a marzo riunisce il congresso per avviare la fondazione di un nuovo partito, con un nuovo nome, nuovo indirizzo politico e nuovi referenti internazionali. La svolta comunista si percuote immediatamente alla conferenza programmatica di Rimini dove si riuniscono i socialisti: alla domanda se il Pci sia disposto ad accettare un governo di alternativa guidato da Craxi, anche se il Psi e rimanesse inferiore come peso elettorale il Pci, la risposta di Occhetto ha praticamente si. Craxi però non si sbilancia e questo attendismo si spiega con la scadenza delle elezioni amministrative che segneranno un altro passo indietro del Pci e uno avanti del Psi; ma la crescita socialista a parte cospicua solo al sud, mentre al nord, i voti in fuga dal Pci anziché defluire nelle linee socialista, finiscono nelle astensioni o nelle leghe.

2. La riforma delle istituzioni

Le tante astensioni e l'esplosione delle leghe confermano l'allarme lanciato dai maggiori quotidiani italiani prima e dopo le elezioni: l'Italia è descritta come un paese sull'orlo del collasso e non solo economico; sembra arrivata al culmine l'emergenza criminalità ed è tragico che i cittadini si rifiutino di votare una classe politica impotente e corrotta, con solo risultato di prolungare all'infinito l'ingovernabilità. Craxi mostra di aver capito le ragioni del successo dei movimenti leghisti quando fa discendere il trionfo delle leghe dalla debolezza del sistema dei partiti. Il rinnovamento va iniziato a partire dalle istituzioni e infatti è più di un decennio che si parla della Grande Riforma.

Un movimento per la riforma elettorale, il "gruppo dei 31" era nato fin dal 1987 organizzato dal democristiano Mario Segni; il maggiore imputato per questa riforma è il sistema proporzionale. A favore del sistema uninominale corretto alla camera e sull’obbligo di una sola preferenza si pronunciano radicali, sinistra indipendente, parte del Pri, del Pli e del Psdi, dei Verdi; arriva anche un assenso non ufficiale del Pci mentre il Psi si disimpegna da ogni iniziativa, fermo sull’elezione diretta del capo dello stato e su una proporzionale con sbarramento al 5%. Il Psi è anche ostile ai referendum ma l’arroccarsi di Craxi su queste posizioni è forse l’errore fatale; la maggior parte degli intellettuali comunisti poi non è d’accordo.

Per Occhetto la ripresa di un rapporto con il Psi è un passo obbligato nell'attuale crisi dei comunisti; resta forte la tentazione di tirarsi indietro. Tentazione che diventa irresistibile quando Occhetto comincia a intravedere altre sponde cui aggrapparsi, innanzitutto quella dei referendari ma anche la Rete di Orlando e la Sinistra dei Club. La crisi internazionale dell'estate 1990 che prelude alla prima guerra del Golfo porta un'altra ondata di gelo nella parte dei socialisti con il Pci, attestato su una posizione pacifista e anche americana. Anche se si sono delineati due schieramenti, quella dei falchi, tra i quali Gianni De Michelis a favore di un intervento immediato e punitivo come chiedono gli Usa, e quello di chi difende le regole del diritto internazionale violato, come Craxi, la crisi irachena investe il Pci proprio nella delicatissima fase del cambiamento del nome, con effetti deleterio per l'ala filosocialista imbarazzata anche dalla mostra di Craxi che annuncia la nuova denominazione del Psi, ribattezzato Unità Socialista. Quando nasce il partito democratico della sinistra, gli intellettuali sono entusiasti: se ne il Pci-Pds tardano terreno il filo socialisti, gli unitari del Psi sono in altrettanta difficoltà sotto i colpi di De Michelis e Intini. Quando poi il 17 gennaio 1991 il parlamento approva la risoluzione per la partecipazione dell'Italia alla guerra contro Iraq con il voto contrario dei comunisti di Occhetto e di Cossutta, sembra che la rottura a sinistra non potrà mai più essere ricucita; per i socialisti il Pds, pur con il nuovo vestito, è rimasto il Pci di prima, antiamericano che dialoga con la sinistra democristiana e ammicca a Segni, tutti segnali minacciosi di un rilancio del compromesso storico.

La fine dei bombardamenti su Baghdad nel febbraio 1991 porta un po' di serena nei rapporti Psi-Pds; ma lo scenario italiano è rimasto immutato. La produzione industriale è crollato, e l'inflazione cresce: una nuova stagflazione spaventa gli industriali. L'aspra critica da parte dei poteri forti dell'economia nei confronti del mondo politico alimenta nel Psi il sospetto di una congiura antisocialista. Anche gli industriali, come gran parte della classe dirigente italiana, sono persuasi che questo ceto politico non sia più in grado di assicurare un governo efficace in una situazione di emergenza; nessuno sembra più credere alla riformabilità della partitocrazia che ha bisogno di una spinta dall'esterno per costringerla a uscire dall'immobilismo. Questa spinta potrebbe venire da referendum sulla preferenza unica che quindi si sta caricando di un significato politico grazie all'azione dei mezzi di comunicazione di massa.

3. Il referendum del 1991

In un primo tempo sembra che a guidare l'opposizione a referendum sia la Dc, ma Andreotti e l'intera Dc preferiscono far finta di nulla anche perché gli italiani non manifestano un particolare interesse nei confronti dell'iniziativa di Segni cosa che per lui è un motivo di allarme. Apertamente contrari al referendum sono la Dc, per quanto lacerato al suo interno, e il Psi. Craxi si sente sicuro e questo ottimismo è condiviso anche da De Mita; ma a distruggere questa certezza intervengono i media che accendono un imponente il rettore sulla campagna referendaria e rovesciano le previsioni su un'astensione di massa: il voto inizio ad assumere il significato di voto contro i partiti. All'ultimo minuto, inoltre, una parte del mondo politico salta sul carro referendario ormai dato per vincente: i repubblicani escono dal limbo del voto di coscienza per schierarsi a favore del sì; le forze più tiepide, dai Verdi a rifondazione comunista, diventano sostenitori accesi di Segni, l'azione cattolica e i gesuiti si mobilitano e la loro discesa in campo trascina frange importanti della Dc compreso De Mita. Craxi rimane praticamente solo, abbandonato anche dal presidente della Repubblica, Cossiga, che richiama gli italiani al dovere del voto. Craxi tuttavia non fa un passo indietro anche se si tratta di una scommessa dalla posta altissima. Anche alcuni dei suoi però lo lasciano.

Craxi perde la scommessa e non sa di avere perso in quello stesso momento l'intera partita politica della sua vita. E la vittoria del referendum, che non porta a chi l'etichetta politica di nessun partito, viene rivendicata da tutti. Occhetto adesso ponga a prendere la guida di quello schieramento trasversale e disomogeneo che è confluito nel fronte referendario. Un'impresa impossibile e politicamente a rischio perché nella realtà il Pds non ci riesce. I socialisti accusano il colpo con dignità mai realtà la crisi interna è profonda, il Psi ha perduto l'orientamento e comincia a dubitare della capacità del suo capo nell'individuare la rotta. Signorile e Martelli sono convinti che l'unica direzione possibile sia l'unità a sinistra magari sulla base di un'intesa federativa tra Psi e Pds, proposta giudicata in attuale da D'Alema. È un momento nero per il leader socialista.

Ai suoi oppositori interni Craxi concede la promessa dell'unità socialista che verrà annunciata nel 1992; un appuntamento destinato sfumare, perché a quella data i socialisti saranno ormai agonizzante. Il rilancio del dialogo con Occhetto non persuade di ministerialisti che continuano a ritenere solido il sistema partitico, malgrado tutti segnali negativi.

4. Giudici e media alla guerra

Nei mesi successivi il dialogo con il Pds resta slabbrato, anche se i socialisti ammorbidiscono le loro posizione sulle riforme istituzionali. Il presidenzialismo rimane l'obiettivo irrinunciabile per Craxi che però si dice disponibile a discutere su un nuovo sistema elettorale pur mantenendo ferma la pregiudiziale anti maggioritario. La tela della porta sinistra viene lacerata dal conflitto con la magistratura che coinvolge il capo dello Stato, al cui fianco si è sempre schierato il Psi, perché lo scontro tra Cossiga e il consiglio superiore della magistratura va avanti da tempo; ed ancora di più la reciproca ostilità tra socialisti e magistrati culminata quando Palermo era scoppiata la guerra sui criteri della lotta alla mafia tra il consigliere Antonino Meli e il giudice Giovanni Falcone, appoggiato dal ministro della giustizia Giuliano Vassalli. In quell'occasione la corporazione dei magistrati aveva minacciato uno sciopero, che verrà attuato nell'autunno 1991 e definito immediatamente da Cossiga illegale. L'anno prima si è registrato una rottura con il capo dello Stato che si era rifiutato di presiedere le sedute del Csm. Inasprirsi il rapporto con i giudici e andava di pari passo con l'inedito interventismo del presidente della Repubblica nella vita politica del paese culminato il 31 dicembre 1990 quando Cossiga aveva richiamato la necessità di una riforma costituzionale. Molti avevano interpretato l'invito a riformare le istituzioni come un appoggio alle tesi presidenzialista di Craxi, c'era però largo accordo nel ritenere che il protagonismo del capo dello Stato andava collegato all'agonia del sistema politico con le relative convulsioni. Il Pds nell'ottobre 1991, presenta alla camera la mozione di impeachment. In marzo, la vittima sul campo è invece il governo Andreotti che entra in crisi perché il democristiano Cossiga spara le sue bordate soprattutto contro i nemici del suo partito, sostenuto da Craxi in questo gioco; il legame Craxi-Cossiga ha effetti fortemente negativi in occasione del referendum.

Ma sarà democristiana è sotto gli occhi di tutti, ma il problema non si risolve solo con l'impeachment, che serve solo a destabilizzare un sistema agonizzante e a scatenare l'ira di un Cossiga incontenibile, dal capo dello Stato, al CSM, alla Confindustria alla Stampa, una serie di potere che erano neutrali vengono trascinati dallo stesso processo di degradazione verso la politicizzazione aperta col risultato di scatenare conflitti devastanti tra diverse istituzioni. Questa descrizione calda per Cossiga ma anche per i magistrati che non resistono alla tentazione di sostituirsi a classe politica in una funzione di supplenza, a coprire il vuoto lasciato dei partiti, utilizzando l'arma giudiziaria tanto più affilata quanto più si abbatte sul Psi. Tutto inizia con l'arresto di Mario Chiesa, il presidente socialista del Pio Albergo Trivulzio, colto in flagrante mentre riceve una tangente il 17 febbraio 1992. L'inchiesta denominata mani pulite è solo una parte di un'indagine a tappeto sulla corruzione degli amministratori milanesi condotta da un pool del tribunale di Milano. Craxi finge di non curarsene e liquida la vicenda ma non sa quale tempesta si prepara a Milano, tempesta destinata a travolgere tutto.

A dare colpo di grazia è la mobilitazione di un altro potere per così dire "neutrale", il mondo della comunicazione e dell'informazione che a partire dalla battaglia referendaria del 1991 si è schierato compatto contro la partitocrazia e contro Psi.

L'impennata della delinquenza organizzata risale al 1982 quando è stato assassinato a Palermo il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, inaugurando una mattanza di giudici di poliziotti e uomini politici vittime della microcriminalità diffuse in Sicilia come Lombardia e di quelle lasciato sul terreno in un selvaggio regolamento di conti tra potentati mafiosi. Il tema porta direttamente ad affrontare il problema delle collusioni politiche e il voto di scambio, inquinato dalla malavita, specie nel sud. Il msi cavalca l'emergenza criminalità con la proposta delle ronde tricolori. Una criminalità così diffusa nasce dal mercato degli appalti pubblici, dalle tangenti, dagli illeciti arricchimenti di una classe politica passata dalla continuità alla commistione, alla fratellanza con la mafia.

La sospensione di Samarcanda, programma di Michele Santoro, nei dieci giorni precedenti le elezioni politiche fissate per il 5.06 aprile 1992 si ritorce contro i partiti che hanno fatto pressioni per chiuderla. Si rivela infatti un boomerang il comizio di solidarietà a Santoro dove si danno appuntamento tutti i suoi amici, da Occhetto ad altri. La fine anticipata della legislatura non stupisce. Craxi ha fretta di giocarsi la carta della presidenza del consiglio e Andreotti quella del quirinale; annunciano allora paese la loro intenzione di continuare a governare insieme dopo le elezioni. Un modo per sostenersi, ma dietro di loro c'è un paese in rivolta e Segni tenta di legare varie schiere con il "patto Segni" che impegna i firmatari, qualunque sia la forza politica di appartenenza, a sostenere alle camere, se eletti, la legge elettorale maggioritaria. Occorre creare una solidarietà in parlamento che riproduca lo schieramento che si è formato il 9 giugno e al quale si sono iscritti tutti gli italiani che hanno votato sì (quello del referendum del 1991).

La minaccia non sembra spaventare né Craxi ne Andreotti che hanno altri motivi per spaventarsi: il primo per l'inchiesta aperta a Milano e il secondo per l'uccisione di Salvo Lima, euro deputato democristiano e braccia destra del presidente del consiglio in Sicilia, caduto a Palermo in un agguato mafioso forse una vendetta perché voleva mettere fine ai lunghi anni di collusioni con la mafia. Le previsioni sono comunque pessime per Craxi.

Il fossato Pds-Psi si è allargato anche dal caso di Piero Borghini, ex comunista, uscito dal più di essere quando i socialisti locande danno a sindaco di Milano, vicenda che indebolisce anche la destra del partito. Il Psi sceglie come slogan "o noi o il caos", ma la sua vera chances di successo sta nella debolezza dei suoi avversari. Dalle elezioni e esce un risultato deprimente per Craxi che tiene grazie solo ai voti del sud, ma l'onda lunga si è fermata. Non può compiacersi neppure di fronte alle consistenti perdite della Dc perché adesso l'alleanza di pentapartito non ha i numeri in parlamento per formare un governo credibile. Il 52% dei voti espressi e contro i partiti governativi; il 22% degli aventi diritto a rifiutato di votare. Le prime elezioni del dopo guerra fredda hanno decretato la morte del sistema, alla fine del regime; ad accrescere la confusione ci sono le dimissioni di Cossiga, ha annunciato in televisione venti giorni dopo le elezioni, a un mese dalla regolare scadenza del mandato. Così il confronto già difficile su quale esecutivo dare al paese s'intreccia a quello spinoso su quale capo dello Stato far eleggere da questo nuovo e ingovernabile parlamento.

Craxi però si mostra moderatamente ottimista e va all'hotel positiva la sostanziale tenuta elettorale dei socialisti rispetto al crollo della Dc e al modesto 16,1% del Pds. Non mi sfugge la debolezza del pentapartito. La sindrome della congiura a panna una valutazione lucida da parte del leader socialista, rimasta aggrappata al progetto della presidenza del consiglio in un esecutivo a cinque o, meglio, a quattro perché la diserzione del Pri di Giorgio La Malfa è data per scontata. Non importa se la somma di Dc, Psi, Psdi e Pli non sono nemmeno 49% dei voti. Il patto del Caf traballa dopo l'assassinio di Lima, che ha sbarrato la strada del quirinale ad Andreotti. Trovare un accordo in questo parlamento per una nuova presidenza della Repubblica sembra impossibile che ci sono quindici votazioni a vuoto; alla fine viene eletto Oscar Luigi Scalfaro. Si apre la partita sul governo in un orizzonte più nero del previsto, e primi di giugno arrivano gli avvisi di garanzia agli ex sindaci di Milano (anche se a Milano e in Lombardia gli elettori non hanno bisogno degli avvisi di garanzia per rendersi conto di quanto sia estesa la rete della corruzione di cui Mario Chiesa è solo un piccolo tassello). Non è la prima volta che nel Psi viene sollevato il problema della corruzione.

Piove una valanga di accuse e di denunce: tutti riconoscevano il giro di affari della famiglia milanese di Craxi che proprio per questo si è indebolito; la polemica investe tutta la linea politica del segretario e le sue tante promesse non mantenute: è fallito il rinnovamento del partito tante volte evocato. Craxi dovrebbe rivedere la sua strategia e proprio questa stessa convinzione è il motivo delle dimissioni dall'esecutivo di Signorile che dichiara esaurita la fase dei governi di centrosinistra. La guerra dei giudici si sta trasformando in una carneficina di politici e le vittime più numerose sono proprio i socialisti: è costretta a presentare una canna di nomi, Amato, De Michelis, Martelli, tra i quali il capo dello Stato sceglie il primo per guidare il nuovo esecutivo la cui continuità con la precedente compagine ministeriale è un fattore di debolezza perché sono falliti tentativi di coinvolgere nella maggioranza altri partiti, in primis il Pds. Amato sa bene di presiedere un esecutivo fragile, abbandonato dal Pri, la sua forza sono il sostegno del presidente della Repubblica e la sua veste di tecnico più che di politico. Amato si muove con una libertà inconsueta che gli viene proprio dalla oggettiva debolezza dei suoi alleati di governo e dalla confusione dominante in parlamento, dove arrivano ogni giorno avvisi di garanzia da parte della magistratura il cui raggio d'azione si sta allargando da Milano al resto dell'Italia. Riesce a mettere in cantiere ciò che prima il capo del governo non riusciva: una manovra finanziaria di 30 mila miliardi che prevede una patrimoniale sulla casa, asse sui conti correnti e sui depositi bancari, aumenti sui bolli, revisione del sistema pensionistico e privatizzazioni.

5. Ultimo atto

Amato si estranea dalle vicende di partito, si ingrossano le file dei dissenzienti. È una pesante responsabilità a rompere l'unità del partito ma Signorile nel giugno convoca un'assemblea con l'obiettivo di varare un manifesto per l'unità delle sinistre che sia contemporaneamente una dichiarazione di sostegno al governo Amato e una pressione per un coinvolgimento del Pds nella maggioranza. Craxi lascia che sia la maggioranza del gruppo parlamentare socialista a rispondere ai ribelli interni con loro documento di accusa alla magistratura, inquinata da pregiudiziali politiche, e pasta al servizio di manovre politiche. È nato un gioco al massacro che ha appena colpito anche il potente De Michelis, nominato immediatamente vicesegretario del Psi, come se Craxi volesse dimostrare che se ne infischia della pubblica opinione. Del resto il leader socialista è convinto che le azioni giudiziarie puntino chiaramente ad abbattere il sistema politico in atto; Craxi accusa magistratura che strumentalizza le irregolarità e le illegalità, come se dei politici nel reperimento delle risorse finanziarie. Se gran parte di questa materia deve essere considerata materia criminale allora tutto il sistema è un sistema criminale. Per tutta risposta Occhetto critica il tentativo di autoassoluzione e D'Alema gli fa eco.

Il Psi sta franando nell'Italia settentrionale, fa da bersaglio in tutte le trasmissioni televisive di grande ascolto, a alle costole il PM Di Pietro e attaccarlo è un altro errore di Craxi che sembrano rendersi conto che l'opinione pubblica ormai l'identifica come l'ultimo difensore ufficiale della corruzione. I giudici si sono conquistati il ruolo di supplenti di una classe politica delegittimata, né il loro nuovo potere viene scolpita dal suicidio del deputato socialista Sergio Moroni accusato di avere riscosso tangenti; è un'accusa destinata a rivelarsi infondata. Anche le armate dei professionisti della comunicazione, alleati con i magistrati, intendono portare guerra sistema politico fino a distruggerlo. Pochi giorni dopo la scomparsa di Moroni, Martelli esce allo scoperto per contestare Craxi. All'autoriforma del partito, Martelli non crede più; va cambiata la strategia del Psi nella sola direzione possibile per un partito socialista ovvero l'unità a sinistra con il Pds.

Per tutto il '92 il percorso è apparso così irto di ostacoli da scoraggiare chiunque; ma a Martelli a settembre decide di rimuovere gli ostacoli lanciando la proposta di costruire con Occhetto una grande sinistra democratica. Craxi definisce questa alleanza un fascio. Il programma elaborato dai martelliani è incentrato su due punti: l'accordo con il Pds e la riforma elettorale uninominale, il più agevole strumento per arrivare al rassemblement delle forze progressiste. Il Pds sembra dargli credito e il 27 settembre si tiene un comizio congiunto di Martelli, Occhetto e Vizzini, segretario del Psdi. Il risultato delle elezioni gel a questo germoglio unitario: la lega stravince, il Psi dimezza i suoi voti e il Pds tiene a stento. Martelli prosegue la sua battaglia all'interno del partito e anche se Craxi non è ancora apertamente sotto processo, il monolitismo del Psi è frantumato. Il Psi e in crisi perché si è identificato in una leadership unanimemente sostenuta che, da conto di forza sia trasformata in problema. Craxi ha ancora voglia di combattere e rifiuta di rassegnare le dimissioni e in un'intervista, designa il suo successore nella persona di Giuliano Amato; un ultimo tentativo di forzare la mano al presidente del consiglio.

L'assemblea nazionale del Psi vede Craxi ha ancora prevalere su Martelli, ma so potere ormai solo ricordo e nelle amministrative il Psi precipita a nord e a sud. All ’indomani del voto Craxi riceve un avviso di garanzia per corruzione, ricettazione e violazione della legge sul finanziamento pubblico ai partiti. Giuliano Amato invita l'intero gruppo dirigente socialista ad assumersi le proprie responsabilità, che non possono essere solo del segretario. L'undici gennaio 1993, il Pds presenta alla camera una mozione contro il governo Amato; Craxi che dell'istituzione di una commissione d'inchiesta parlamentare che i dati sugli ultimi vent'anni di finanziamento pubblico ai partiti: la proposta respinta. Il 10 febbraio 1993 Martelli riceve un avviso di garanzia dai giudici che indagano su un conto svizzero; il giorno dopo Craxi rimette il suo mandato all'assemblea nazionale del Psi.

 

Fonte: http://sidways.altervista.org/Joomla/upload_d/storia1/cruna_lago.doc

Sito web da visitare: http://sidways.altervista.org

Autori del testo: La cruna dell'ago di S. Colarizi e M. Gervasoni

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