I goblin

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I goblin

Ogni eroe fantasy che si rispetti, per consacrarsi tale, deve inesorabilmente affrontare uno scontro finale con un avversario insuperabile, dalle dimensioni, dalla forza o dai poteri magici terrificanti. La parte dell’antagonista con la “A” maiuscola viene solitamente affidata a draghi alati sputa-fuoco, signori oscuri, giganti o mostri rari. Tuttavia l’eroe non può giungere direttamente allo scontro finale, senza prima accrescere le proprie abilità, misurandosi con mostri un po’ meno quotati e orde di combattenti deformi, che solitamente vengono annientati con uno o due colpi d’ascia, un paio di frecce o addirittura a mani nude. Questi antagonisti con la “a” minuscola sono nella maggior parte dei casi scheletri armati, pallidi zombie oppure sogghignanti e verdognoli goblin che pattugliano i cunicoli delle caverne o i sotterranei.
Con il termine “goblin” vengono chiamati quegli “esseri fatati di natura maliziosa o maligna, spesso piccoli e brutti”, alcuni “demoni minori ”, folletti particolarmente dispettosi, e tutti i sadici scagnozzi mangia-uomini dalle orecchie a punta al servizio del grande cattivo di turno. I goblin sono, quantomeno per intenzione, imparentati con gli elfi maligni, i lepricanti irlandesi (anche se questi sono molto meno demoniaci ), i moderni gremlin e altre pessime creature che infestano i sogni dei bambini.
La parola “goblin” tra origine dal termine francese antico gobelin che deriva a sua volta dal latino medievale gobelinus, probabilmente relazionato con il tedesco kobold o il greco kobalos . Appartiene alla schiera dei piccoli esseri malefici anche l’inglese imp che in italiano viene comunemente tradotto con “folletto”.
La figura del folletto mascalzone - altro non è che un goblin un po’ meno brutto e sicuramente più contenuto nei toni della malignità - è presente anche nella tradizione popolare nostrana, dove talvolta si è soliti chiamare i ragazzini disubbidienti con i corrispettivi dialettali regionali italiani della parola “folletto ”, elencati da Marco Barsacchi: “…nel Veneto abbiamo il Massariol e il Salvanel, a Cuneo il Faunett o Servan, nella Garfagnana e nella Lucchesia il Linchetto, a Napoli il Monachicchio o Monacello, in Calabria i Cuscu o Schiavotti, e a Reggio Calabria i Fudetti, in Puglia (Cerignola) gli Scazzamurieddu, nel Beneventano gli Scazzapurelli, ecc ecc “. A quest’elenco aggiungerei anche i foggiani Scazzamurielli (ricordo ancora mia nonna dirmi “Marco, smettila di fare lo scazzamuriel!”) che, insieme agli Scazzamurieddu e agli Scazzapurelli dell’elenco di Barsacchi, discendono dagli Scazzamaurielli irpini , folletti simili ai lepricanti irlandesi, per il legame con i tesori, e agli incubus medievali, per l’attitudine ad attaccare le vittime nel sonno.
Sebbene i nonni e i genitori delle future generazioni conieranno appellativi più moderni per i loro “discoli“, e i bambini del futuro si spaventeranno con mostri cibernetici alla moda e dotati di new technology, i vecchi sadici goblin saranno sempre in voga, anche se magari un po’ più al passo con i tempi (si veda il tecnologicissimo Hobgoblin di Spiderman).
Come scrisse Alan Garner quasi 40 anni fa: “Abbiamo smesso di essere terrorizzati dal campo di grano o dal bosco oscuro, ma abbia sempre bisogno di terrore. Creature senza ossa, o altre simili storpiature, ora cavalcano piatti volanti e la minaccia risiede non più nei cimiteri delle chiese, bensì nelle galassie vicine. Ma i Goblin sono semplici camminatori, cacciatori di confine; e i confini ci saranno sempre “.
I parenti del goblin: il kobold, la korrigan e il puck
Il più anziano antenato del goblin, pare quindi essere il kobalos, uno spiritello maligno della mitologia greca estremamente dispettoso verso gli esseri umani. Il kobalos diede origine al kobold del folclore tedesco; un essere di forma gnomica che infestava le case, le miniere o le caverne, anch’egli ostile agli uomini.
Nel 1831 il baronetto scozzese Sir Walter Scott scrisse The letters on demonology and witchcraft . Nel suo lavoro, egli riportò una suggestiva ed estremamente interessante dissertazione, influenzata dalle idee dell’orientalista John Leyden, che fornisce alle figure folcloristiche dei duergar (i nani) e dei kobold germanici, dei goblin inglesi e dei bogle scozzesi, delle origini storiche quasi evemeriste:
I duergar, ovvero i nani, sarebbero spiriti di vario genere, più laboriosi di vocazione, più maligni di temperamento, meno propizi delle fate (così propriamente chiamate) al genere umano. Furono un’invenzione dei Celti che metteva in mostra quella superiorità di gusto ed eleganza che, grazie all’amore per la musica e la poesia, veniva generalmente ascritta alla loro gente. Di fatto, sembrano esserci ragioni per concludere che questi duergar fossero originalmente nient’altro che quei minuti nativi di Lapponia, Lettonia e Finlandia, che, prima della conquista armata degli Asi, fuggirono verso le più remote regioni del Nord, con l’intento di nascondersi agli invasori orientali.
Appartenevano a una razza piccola e minuta, ma possedevano abilità probabilmente nel fiutare ed estrarre i minerali, che abbondano nella loro terra. In oltre, essendo abituati ai repentini mutamenti delle nuvole e ad altri fenomeni atmosferici, potrebbero essere stati capaci anche di prevedere anche i cambiamenti del tempo, beneficiando così di un’altra dote sovrannaturale. In ogni caso, è plausibile supporre che queste povere persone, alla ricerca di caverne e posti nascosti alla persecuzioni degli Asi, fossero stati in un certo modo compensati, per la loro statura e forza inferiore, con l’arte e il potere che poi penetrarono nella superstizione dei loro nemici.
Questi già oppressi e spaventati fuggitivi assunsero, abbastanza naturalmente, i caratteri degli spiriti germanici chiamati kobold, da cui derivano, attraverso evidenti inversioni e alterazioni della pronuncia, i goblin inglesi e i bogle scozzesi.
I kobold erano specie di gnomi, che infestavano i posti oscuri e solitari, ed erano spesso visti nelle miniere, dove sembravano scimmiottare il lavoro dei minatori, talvolta traendo piacere nel distruggerne gli oggetti di lavoro o renderne vane le fatiche. Alcune volte erano maligni, specialmente se ignorati o insultati; ma altre volte erano indulgenti con gli individui che prendevano sotto la loro protezione. E in effetti, quando un minatore incappava in una vena d’oro, i compagni di lavoro non pensavano che ciò fosse accaduto grazie a una sua maggiore abilità, ma imputavano la scoperta agli spiriti della miniera che lo avrebbero indirizzato al tesoro.
L’apparente occupazione di questi gnomi o demoni sotterranei, conduce molto naturalmente a identificare i Finni, o i Lapponi, con i kobold; e fu soltanto uno sconfinamento dell’immaginazione che portò invece a confondere questa razza scontrosa e riservata con i più vivaci e gai spiriti che trovano corrispondenza nelle fate britanniche. Non c’è quindi motivo di sorprendersi se i duergar, che molte persone fanno risalire a queste fonti, esibiscono un carattere più oscuro e maligno degli elfi che vivono al chiarore lunare di terre più meridionali dal clima più generoso .
Un’altra figura demoniaca, meno delineata, che si aggira nel folclore, in questo caso celtico, è quella della korrigan, che normalmente viene descritta come una sfrenata, maliziosa e vivace fata bretone, dagli incantevoli capelli e dai luminosi occhi rossi, sempre alla ricerca di rapporti sessuali con uomini e, specialmente, preti . Taluni pensano poi che le korrigan non fossero altro che la demonizzazione delle druidesse celtiche avutasi durante il processo di cristianizzazione .
Viste così le korrigan non sembrano avere molto a cui spartire con i goblin -eccetto forse una naturale predisposizione alla malvagità - se non fosse che queste però non vengono sempre dipinte come spiriti eretici dall’alto potere seducente , abitanti di foreste, fonti e fontane; talvolta finiscono per essere considerate abitatrici del sottosuolo, come i goblin e i kobold, assumere connotati molto meno graziosi e cambiare addirittura sesso. Così sono descritti “i” korrigan in un racconto dell’Alta Bretagna, raccolto e pubblicato nel 1899 da Paul Sébillot, dove la somiglianza con i goblin appare molto più marcata:
Una maga rivelò a un operaio delle saline, suo amico, l’ingresso di una grotta dei korrigan e lo rese invisibile. L’operaio entrò e si ritrovò in una sala immensa dove dappertutto rilucevano oro e pietre preziose. Là una moltitudine di piccoli uomini neri, dai piedi caprini e la testa cornuta, si agitava nel palazzo dove il re, seduto sul suo trono, faceva l’inventario dei propri averi. L’intruso dopo aver riempito un sacco con il tesoro uscì dalla grotta, per poi ritornarvi nuovamente. Al secondo viaggio fu però incapace di scappare. Quando ritornò visibile, fu catturato, giudicato dal re e fortunatamente rilasciato grazie all’aiuto della maga.
A metà fra la fata e il goblin vi è il folletto britannico puck, un genietto della natura dai magici poteri. Il più celebre fra i puck è sicuramente Robin Goodfellow, il servo di Oberon signore delle fate, reso noto specialmente dalla commedia di Shakespeare A Midsummer Night’s Dream , ma la cui storia vanta origini anteriori. Così si auto-descrive Robin Goodfellow nell’opera del poeta inglese e in un testo antecedente:
Estratto da A Midsummer Night’s Dream
Thou speak'st aright;
I am that merry wanderer of the night.
I jest to Oberon and make him smile
When I a fat and bean-fed horse beguile,
Neighing in likeness of a filly foal:
And sometime lurk I in a gossip's bowl,
In very likeness of a roasted crab,
And when she drinks, against her lips I bob
And on her wither'd dewlap pour the ale.
The wisest aunt, telling the saddest tale,
Sometime for three-foot stool mistaketh me;
Then slip I from her bum, down topples she ,
Estratto da XVII The mad merry pranks of Robin Good-fellow
From hag-bred Merlin’s time have I
thus nightly revell’d to and fro:
and for my pranks men call me by
the name of Robin Good-fellow.
Fiends, ghosts, and spirites,
who haunt the nights,
the hags and goblins do me know;
and beldames old
my feast have told;
so Vale, Vale; ho, ho, ho!
Nell’opera di Shakespeare, Robin Good-fellow viene anche chiamato da una fata “hobgoblin”, un soprannome probabilmente derivato da Rob Goblin (Robin Goblin) ma che poi è diventato sinonimo di goblin o di qualcosa di simile.
L’hobgoblin è una figura folcloristica che Tolkien vede come un goblin di dimensioni maggiori e che nella fiction moderna è diventata famosa attraverso il fumetto Spiderman, dove Hobgoblin - un goblin futuristico che cavalca un veicolo volante a forma di pipistrello - è annoverato fra la schiera di nemici dell’Uomo-ragno.
I goblin e le fiabe
Nel latino medievale è presente la parola gobelinus in riferimento a uno spirito malefico che infestava Évreux, cittadina della Francia settentrionale, nel XII secolo . Il gobelinus è probabilmente un parente del erl-könig germanico; una figura leggendaria che, grazie alla rielaborazione fatta da Goethe nel poema Der Erlkönig , ha ispirato Franz Schubert per la nota composizione musicale Erlkönig. L’ erl-könig viene solitamente descritto come “un maligno goblin che nelle leggende germaniche infestava la Foresta Nera e istigava le persone, in particolare i bambini, alla distruzione ”.
Tuttavia, il primo vero racconto con un goblin per protagonista fu compilato attorno alla fine del XIII secolo (o inizio del XIV secolo), ed è raccolto nella collezione di aneddoti latini denominata Gesta Romanorum. Il goblin in questione è detto “benevolente”, essendo uno spirito che appare dal nulla per dissetare i cavalieri assetati con un corno dorato traboccante di uno sconosciuto nettare delizioso .
Nel 1897 Andrew Lang pubblicò la novella The Goblin and the Grocer , dove è presente un goblin dai poteri magici, che si trova a scegliere fra il servire uno studente amante della poesia o un grossolano droghiere che con le pagine dei libri incarta il formaggio. Alla fine il goblin deciderà di rimanere alle dipendenze del droghiere per godere della marmellata conservata nel negozio, e Lang concluderà il suo racconto con la morale “e ciò vale anche per noi. Non possiamo lasciare il droghiere a causa della marmellata ”.
Il goblin iniziò ad assumere connotati più consoni alla sua raffigurazione moderna, soltanto qualche anno più tardi con il celebre poema Goblin Market di Christina Rossetti, pubblicato nel 1862. I goblin in questione sono venditori di frutta dall‘aspetto animalesco che, dietro una maschera di buone maniere e apparente cortesia, nascondono un’indole maligna. Così sono descritti nel poema:
One had a cat's face,
One whisked a tail,
One tramped at a rat's pace,
One crawled like a snail,
One like a wombat prowled obtuse and furry,
One like a ratel tumbled hurry skurry .
Goblin più tolkieniani sono i protagonisti della novella The Princess and the Goblin pubblicata da George McDonald nel 1872. Questi vivono e lavorano nelle miniere e sono nemici degli uomini:
… alcuni minatori, quando avevano necessità di guadagnare qualche soldo in più per ragioni particolari, si fermavano a lavorare di notte. Alcuni fra quelli che passarono la notte in miniera, il mattino seguente giurarono di aver sentito, ogni volta che si fermarono a prendere respiro, un tap, tap di picconi tutt’intorno a loro; così decisero di non rimanere più nelle miniere di notte, poiché sapevano tutti benissimo che i suoni che avevano sentito proveniva dai goblin.
I goblin lavoravano solo di notte, poiché la notte dei minatori era il loro giorno.
[…]
“Egli sapeva almeno una ragione per il costante suono dei martelli e dei picconi che sentivano di notte. I goblin stavano costruendo nuove case, dove avrebbero potuto ritirarsi qualora i minatori li avessero minacciati di irrompere nelle loro abitazioni. Ma egli aveva imparato due cose di grande importanza. La prima era che un’atroce calamità era quasi pronta per abbattersi sulle teste dei minatori; la seconda era che anche i corpi dei goblin avevano un punto debole; sebbene prima non sapesse che i piedi di costoro erano tanto fragili, ora aveva ragione di sospettarlo. Aveva sentito dire che non hanno dita dei piedi: ma mai prima di allora aveva avuto l’opportunità di investigarli da vicino. Ciò che gli restava da fare ora, era scoprire il malefico piano che i goblin avevano in testa.
In un racconto pubblicato da Ruth Manning-Sanders nel 1968, ma basato su una favola del folclore estone di molti decenni antecedente, è presente una famiglia di goblin orribili e malefici. Questi, similmente ad altre figure mitologiche e folcloristiche - nonché agli stessi goblin di Tolkien - non sono in grado di sopravvivere alla luce del sole:
Ma uscendo dalla carrozza - cosa vide? Un abominevole piccolo goblin con occhi abbaglianti e gambette arcuate; e dopo lui arrivarono zampettando tre goblin più giovani e una vecchia, vecchia, orrenda e maligna donna goblin“.
[…]
“La ragazza si girò e diede uno sguardo al cielo. Sì, l’alba stava irrompendo ad est. Chicchirichì! Chicchirichì! Tutti i galli del villaggio iniziarono improvvisamente a cantare. A quel suono, la carrozza, i cavalli, i cocchieri, il vecchio goblin, la vecchia goblin e i tre giovani goblin gemettero e scomparvero.
Come gli elfi, anche i goblin precedentemente all’avvento del fantasy non posseggono caratteristiche delineate, ma appaiono come una razza meticcia che deva qualcosa ad altre razze fantastiche, anch’esse intrecciate a loro volta le une con le altre.
Il goblin, da semplice spirito propizio del Gesta Romanorum, si corrompe interiormente ed esteriormente diventando maligno e orrendo. Diviene il simbolo dei difetti umani e fa il suo ingresso nel mondo dei “cattivi”, dove porta in dote quel ramo maligno della tradizione elfica che lo rende più simile agli elfi oscuri dell’Edda di Snorri Sturluson di quanto lo siano i nani.
"Goblin", A Dictionary of English Folklore in Mythology & Folklore ,Oxford University Press (2008)
Per i lepricanti si veda il capitolo sui nani.
Spirito germanico che infesta le case.
Spirito malefico.
“Goblin”, Concise Oxford English Dictionary, Oxford University Press (2008)
Anche gli inglesi sono soliti chiamare imp i loro bambini irrequieti e disubbidienti. Ciò deriva dall’associazione con the imp of Satan, ovvero “il figlio di Satana“ – [“Imp”, Online Etymology Dictionary, Douglas Harper (2001)]. In italiano invece “folletto” deriva dal latino fòllere che significa “muoversi di qua e di là” - [“Folletto”, Vocabolario etimologico della lingua italiana di Ottorino Pianigiani, Fratelli Melita (1988)]
Marco Barsacchi, L’altezza degli Elfi, Minas Tirith n.21 (2008), Società Tolkieniana Italiana, p.17
Dal sito dell’Assessorato al Turismo della Regione Campania (www.turismoregionecampana.it): <<Volete sapere, invece, chi sono gli “scazzamaurielli”? Sono i folletti irpini per eccellenza. La loro caratteristica è quella di riuscire ad introdursi nelle dimore, attraverso le serrature, durante la notte. Lo scazzamauriello, infatti, può assumere le sembianze di vari animali. Secondo la tradizione villamainese esso si accovacciava sul torace delle sue vittime, sorprendendole durante il sonno e sfidandole, una volta sveglie, a liberarsi della sua presa proverbiale. A chi ci riusciva andavano denari e ricchezze che il folletto pattuiva in cambio della sua libertà. A coloro che fallivano, restava un malessere cronico o una malformazione. Tante ricchezze apparentemente improvvise e tanti patrimoni velocemente accumulati, sono stati spesso addebitati dalla tradizione locale al fatto di aver “acchiappato lo scazzamauriello”.>>
Alan Garner, The Hamish Hamilton Book of Goblins, Hamish Hamilton (1970), p.1
Le lettere sulla demonologia e sulla stregoneria
Norreno.
Sir Walter Scott, The letters on demonology and witchcraft, G. Routledge and sons (1884), p.102-104
“Korrigan”, A Dictionary of Celtic Mythology in Mythology & Folklore, Oxford University Press (2008)
Barbara L. Picard, French Legends, Tales and fairy stories, Oxford University Press (1966), p.107-109
Potrebbero anche essere state druidesse raffigurate dalla Chiesa come demoni pagani durante il processo di cristianizzazione.
Paul Sébillot, Lègendes locales de Haute-Bretagne, Paris (1899), p. 51
Sogno di una notte di mezza estate
William Shakespeare, A Midsummer Night’s Dream, Cambridge University Press (2003), atto II, scena 1
Ciò che dici è corretto; Io sono l’allegro vagabondo della notte. Sono il buffone di Oberon e lo faccio ridere. A volte mi prendo gioco di uno stallone pasciuto e ben nutrito, Nitrendo come una giumenta in calore; E altre volte mi nascondo nel boccale di una vedova, Sotto forma di granchio arrostito, E quando ella beve sobbalzo contro le sue labbra E sull’avvizzita pappagorgia le faccio sbrodolare la birra. La saccente zia, intenta a narrare i racconti più tristi, A volte mi scambia per uno sgabello a tre piedi; Così io le scivolo via da sotto il sedere, e quella si ribalta…
Le pazze allegre burle di Robin Good-fellow
Canzone riportata in Frank Sidgwick, Sources and analogues of “A Midsummer-night’s dream”, Chatto and Windus Duffield and Company (1924)
Dal tempo di Merlino, figlio di strega, Mi sono così divertito di notte qui e là: E per le mie burle gli uomini mi chiamano Con il nome di Robin Good-fellow (Robin Bravuomo oppure Robin Bravo-ragazzo). Demoni, fantasmi e spiriti, Che infestano le notti, Le streghe e i goblin mi conoscono; E le vecchie megere Hanno raccontato il mio diletto; Così Addio, Addio; ho ho ho!
"Goblin" A Dictionary of Phrase and Fable, Oxford University Press (2006).
Potrebbe essere un’errata trascrizione del danese ellerkonge che significa “re degli elfi”.
Il re degli elfi.
"Erl-King", The Oxford Companion to English Literature, Oxford University Press (2000).
"The benevolent goblin" raccolto in Wynkyn de Worde’s Gesta Romanorum, University of Exeter (1974).
Il goblin e il droghiere.
“The Goblin and the Grocer”, Andrew Lang, Pink fairy book, Longmans, Green & Co. (1918), p.16
Il mercato dei goblin
Uno aveva la faccia da gatto, Uno sbatteva la coda, Uno camminava come un ratto, Uno strisciava come una lumaca, Uno si aggirava come un vombato stupido e peloso, Uno si agitava in fretta e furia come un tasso.
Christina Rossetti, Goblin Market, and other poems, Dover Publications (1994), versi 75-80
George McDonald, The Princess and the Goblin & The Princess and Curdie, Collins (1970), p.20-22
Ruth Manning-Sanders, A book of ghosts and goblins, Methuen & Co (1968), p.14, 18
Bibliografia
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Dictionary of Mythology, Folklore and Symbols, part.I, The Scarecrow Press (1962)
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De Mauro, dizionario della lingua italiana (2008) - Dizionario on-line www.demauroparavia.it
Dizionario etimologico dei nomi e dei toponimi Sindarin, Il Fosso di Helm (2005) –
Il Fosso di Helm: www.ilfossodihelm.it
Il Messaggero: www.ilmessaggero.it
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Project Runeberg, Linköping University (2007), http://runeberg.org
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The Oxford Companion to World mythology. Oxford University Press (2004)
Vocabolario etimologico della lingua italiana di Ottorino Pianigiani, Fratelli Melita (1988)
Wikipedia, L'enciclopedia libera (2008) - Enciclopedia universale on-line www.wikipedia.it
lo Zingarelli, vocabolario della lingua italiana, Zanichelli editore (2003)
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Beowulf, Fazi Editore (2002), edizione a cura di Seamus Heaney tradotta dall’inglese da Massimo Bacigalupo,
Bestiary, The Folio Society (1992)
Bibbia, Chiesa Cattolica Italiana, (1974)
Bósa saga ok Herrauðs, testo in norreno pubblicato su www.heimskringla.no
Eirik the Red and other Icelandic Sagas, Oxford University Press (1999) traduzione dal norreno di Jones Gwyn
Gesta Romanorum, Wynkyn de Worde’s Gesta Romanorum, University of Exeter (1974)
Grettis saga e Orms þáttr Stórólfssonar, tradotte dal norreno da Denton Fox e Hermann Palsson in G.N. Garmonsway, Jaqueline Simpson, Hilda Ellis Davidson, Beowulf and his analogues, J.M. Dent & Sons (1981)
Il canzoniere eddico, Garzanti (2004) traduzione dal norreno di Piergiuseppe Scardigli e Marcello Meli
I Nibelunghi, Einaudi (1972) traduzione dal tedesco medievale di Laura Mancinelli
La Saga dei Volsunghi, Edizioni dell’Orso (1993), traduzione dal norreno di Marcello Meli
The Fairy Queen, poesia raccolta in Required Poems for Reading and Memorizing: Third and Fourth Grades, State Courses of Study (1920)
The Mabinogion, Penguin (1976) traduzione dal gallese da Jeffry Gantz
Ragnars saga loðbrókar, brano riportato in inglese in Denton Fox e Hermann Palsson in G.N. Garmonsway, Jaqueline Simpson, Hilda Ellis Davidson, Beowulf and his analogues, J.M. Dent & Sons (1981)
Seafarer, Methuen (1960)
Sir Gawain e il Cavaliere Verde, Adelphi (1986), traduzione di Piero Boitani
Sir Gawain and the Green Knight, Pearl, Sir Orfeo, G. Allen & Unwin (1975), traduzione di JRR Tolkien
Solomon and Saturn II, estratto reperito in traduzione italiana di Elena Jeronimidis Conte in JRR Tolkien, Lo Hobbit annotato da Douglas A. Anderson, Bompiani (2002)
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Interviste
Highfield Roger (Emeritus Fellow del Merton College, professore di storia), intervista rilasciatami nella Common Room del Merton College di Oxford (2008).
Larrington Carolyne (docente di norreno e anglosassone presso il St. John’s College di Oxford), intervista rilasciatami presso il St. John’s College (2008).
Lee Stuart D. (docente di anglosassone e lingua inglese della facoltà di inglese di Oxford, direttore del Computing Systems and Services dell’Università di Oxford), intervista rilasciatami presso la Bodleian Library di Oxford (2008).
O’Donoghue Heather (docente di norreno e anglosassone presso ilLinacre College di Oxford), intervista rilasciatami presso la Facoltà di inglese dell’Università di Oxford (2008).
Phillips Courtney (Emeritus Fellow del Merton College, professore di chimica), intervista rilasciatami nella Common Room del Merton College di Oxford (2008).
Shippey Tom (docente di inglese presso la Saint Louis University degli USA), contributi fornitimi per corrispondenza (2009)
Solopova Elizabeth (docente di anglosassone e medio inglese della facoltà di inglese di Oxford, membro della Bodleian Library), intervista rilasciatami presso la Bodleian Library di Oxford (2008).
Tolkien JRR intervista effettuata dalla BBC nel 1968.

Fonte: http://www.marcodinoia.it/wp-content/uploads/2011/03/TESI.doc

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Autore del testo: Marco Andrea di Noia

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