Mitologia

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Mitologia

Introduzione

Il senso originario del mito era quello di “parola, discorso, dialogo” ed è con Omero che si ha la contrapposizione tra mythos-epos-ergon (=l’impresa). Con i scrittori di prosa come Erodono, il mito viene ad identificare il “racconto di invenzione”, la “leggenda”, in contrasto con il logos, la “storia vera”; è con Platone e i filosofi che il mythos assume sempre più il valore tecnico di MITO, a differenza di logos contraddistinto da evidenti sfumature filosofiche.
Pertanto, in origine, MITOLOGIA significava il “raccontare storie, racconti”; oggi, questo termine, identifica, in senso lato, un corpo di narrativa mitica – in particolar modo greca – e, tecnicamente, lo studio del mito.
Il mito opera prendendo come base un passato sacro e senza tempo che influisce su presente e futuro; con il tempo, il mito diventa, per così dire, un “fossile” dell’umanità ( soprattutto se compare come parte di una tradizione che si completa con il culto, la liturgia e il rituale) fino a trasformarsi in SAGA, dove le divinità si trasformano in eroi e l’azione mitica diventa trama storica. In questo modo, spunti mitologici possono camuffarsi dietro trasposizioni letterarie.
Il mito, nel suo stato primigenio, è per definizione proprio di un determinato contesto sociale; pertanto, lo studio di un qualsiasi corpo di miti deve costituire innanzitutto una disciplina storica che si serva delle fonti scritte. Ecco, quindi, che la mitologia comparativa fra tradizioni localizzate e attestate separatamente può essere praticata a diversi livelli di astrazione e generalizzazione; si parla di :

  • MITOLOGIA UNIVERSALE à si riduce a spiegare le concordanze, talvolta le differenze e i contrasti, basandosi soprattutto su elementi ambientali, culturali, ecc.
  • MITOLOGIA DIFFUSAà studia come la tradizione viaggi, tracciando la diffusione e la trasmissione del mito; la difficoltà, in questo caso, sta nel fatto che spesso il mito non viaggia, ma si trasferisce da uno specifico centro storico-geografico all’interno di quell’insieme vasto e indistinto di storielle e leggende, presente in molte culture antiche e moderne.

 

Perciò, è molto difficile analizzare i dati sul mito e capire se ci si trovi davanti a un caso di POLIGENESI (=generazione multipla spontanea basata su fattori di somiglianza) o di DIFFUSIONE. Talvolta ci si affida al metodo di studio MONOGENETICO, che consiste nel tracciare la materia mitologica appartenete alle più diverse culture per arrivare a un’antichità COMUNE, caratterizzata da cultura, lingua e società comuni.
E’ proprio partendo da questi presupposti che Puhvel, nella sua raccolta di saggi, cerca di dimostrare, attraverso gli esempi tratti dal greco, dal latino, dall’antico indiano e dall’iranico, l’esistenza nel passato di una civiltà e di una lingua che potremmo chiamare INDOEUROPEA.

L’antica Roma

 

Per dare un’idea di come precede la mitologia comparativa, prendiamo in considerazione l’esempio fornitoci dall’antica Roma.
Roma fu senza dubbio la più grande e importante utilizzatrice di mitologia greca, considerata ancora oggi come la mitologia classica per eccellenza (nonostante gli elementi da ricondurre a un’ipotetica mitologia indoeuropea siano relativamente pochi). Spesso, quando la tradizione romana veniva in contatto con divinità strane o particolari, queste divenivano oggetto di re-interpretazione, venendo assimilate e divinità dal nome romano ( secondo la tendenza a nativizzare, cioè a far riferimento a divinità il più possibile innestate nella tradizione locale). In altri casi, provenivano dalla tradizione greca per il tramite etrusco, passaggio questo ben ravvisabile nella nomenclatura; un esempio eloquente è dato dall’eroe Eracle, per il quale dal greco Heracles si passò all’etrusco Hercles e infine al latino Hercules.
Roma fu fondata, secondo la tradizione, nel 754.753 a.C.; in questo stesso periodo, i Greci avevano da poco appreso e fatto pr5oprio l’alfabeto fenicio ed erano impegnati nella colonizzazione dell’Italia meridionale. Ben presto vennero a contatto con gli Etruschi, popolo dalle origini misteriose (di area egea?), che Erodoto ritiene discendenti da Tirreno, appartenente alla famiglia reale di Lidia. Essi parlavano una lingua non-indoeuropea che, data la vicinanza, potrebbe aver influenzato quella latina (cfr. il caso del numerale 18: in etrusco si diceva eslem zathrum (= 2 unità per arrivare a 20), mentre in latino si usava duodeviginti, quasi equivalente al precedente). Venuti in contatto con la Magna Grecia, gli Etruschi assimilarono velocemente la cultura greca e ben presto la trasmisero anche ai popoli vicini, per la maggior parte parlanti dialetti italici non-indoeuropei, come gli Oschi. Differentemente da tutte le altre popolazioni italiche, gli abitanti del Latium parlavano LATINO, un dialetto italico minore che differiva dall’osco-umbro anche per la presenza di stretti legami culturali e politici con l’Etruria (basti pensare ai nomi Roma e Tiberis, entrambi di origine etrusca oppure all’età monarchica; ben tre fra i re di Roma erano etruschi di nascita e al momento del crollo della monarchia [510-09 a.C.], i primi consoli della storia della città erano esponenti della fazione etrusco-latina, a dimostrazione dell’amalgamarsi delle due culture). Per tutto il V sec. a.C., fino alla decadenza etrusca occorsa verso il 400 a.C., mRoma rimase fortemente etrusco-latina; tale debito con la cultura etrusca lo si può riscontrare:

  • Nell’alfabeto latino, una forma di alfabeto greco occidentale giunto a noi per tramite etrusco (cfr. G>C e la creazione di G nel III sec. a.C.);
  • Nel fatto che molte divinità etrusche, come quelle romane del resto, non solo svolgevano un ruolo nei culti locali, ma anche impersonavano gli dei assimilati dal pantheon greco. E’ il caso di: Menava<Athena o Maris<Ares.

 

Tutto ciò sembrerebbe contrastare con la comune affermazione secondo cui “Roma non ha mitologia”, in parte vera, ma nata dal considerare la religione romana come caratterizzata da poteri indistinti (i numina), più che da divinità personificate. Sarebbe più prudente assumere che, in un momento preciso, la religione romana fosse costellata di elementi propri della “narrativa sacra”, la quale includeva un ampio corpo di culti arcaici e conservatori, feste e rituali da celebrarsi in ogni giorno del calendario.
Inizialmente la religione romana aveva come punto di riferimento il mōs maiōrum, la fissazione disordinata di preoccupazioni di carattere sociale piuttosto che religioso che, a partire da Roma, si irradiò ben presto anche alla periferia. Un esempio emblematico è dato dall’episodio della fondazione della città; esso costituisce l’originario mito di creazione presente nelle varie culture indoeuropee e non, ma in esso cosmogonia e antropogonia vengono, per così dire, celate dietro l’immagine di una leggendaria nascita della primitiva società urbana. Pertanto, il mito romano è una sorta di combinazione tra elementi rituali e fatti storici, anche se è indubbia la creatività di Roma in altri ambiti, come nel campo della giurisprudenza, che nei provvedimenti e nel lessico utilizzato manifesta non solo un’origine sacrale (come la legge mosaica o il Vidēvdat antico-iranico), ma anche un profondo radicamento nel passato indoeuropeo e con le atre tradizioni, indoeuropee a loro volta. Ad es., l’ittito *sark- (infisso sar-ni-k) è il verbo legale che significa “offrire riparazione” e si trova con il medesimo significato nel latino sarcire (cfr. l’espressione damna (o iniuriam) sarcire).
Interessante, sempre nell’ambito giuridico, è la classificazione dei vari tipi di matrimonio attestati a Roma e in India. A Roma, una donna, con il matrimonio, passava sotto la potestas del marito, la c.d. manus, diventando a tutti gli effetti membro della famiglia dello sposo. Tre erano le forme principali di matrimonio:

  1. confarreatio à alla presenza del flamen diālis;
  2. coēmptio àuna sorta di transazione commerciale, in cui la donna veniva considerata alla stregua di una merce;
  3. ūsus à la potestas del marito si stabiliva solo dopo un anno di convivenza senza interruzioni, che però la donna poteva interrompere in ogni momento, andandosene da casa. Se stava lontana per almeno tre notti consecutive, la potestas del marito era annullata (da qui, confronta il verbo usurpare < *ūsurpa [=rompere un’abitudine]).

 

Ora, nella Legge di Manu vengono descritte otto forma di matrimonio, di cui: le prime quattro (brāhma, daiva, rsa, prajāpatya) erano varianti della cerimonia religiosa celebrata al cospetto del brahman- (corrispondente alla confarreatio), l’ultima (paisāca) prevedeva lo stupro di una donna pazza, ubriaca o dormiente (cfr. il ratto delle Sabine), āsura (il matrimonio per acquisto) corrispondeva alla coēmptio e rākşasa e gāndarva (rispettivamente matrimonio per abduzione e per desiderio reciproco) corrispondevano, più o meno, all’ūsus romano. Tutte (romane e indiane) si rifacevano alle forme di matrimonio adottate fin dall’antica classe indoeuropea del guerriero.

Per trattare più in concreto la questione religiosa e mitologica, è interessante dare uno sguardo al sistema sacerdotale romano, organizzato in collegia. Al vertice si trovava il pontifex maximus, termine molto antico significante “costruttore di strade e corrispondente al vedico pathi-kŗt, titolo religioso attribuito sia alle divinità sia ai sacerdoti. Pons, poi, riflette l’indoeuropeo per “passaggio”, che ritroviamo nel greco patos e in pontos (=mare). Tra i vari collegia bisogna ricordare quello dei fetiales; il *feti- presente nel nome corrisponde al vedico dhatu “fondamento”, nell’aggettivo su-dhatu usato in RV 7,60,II (in riferimento al rendere un territorio adatto a una fondazione) e in tridhatu, “tre volte fondato” (in riferimento alla creazione dell’universo ad opera di Visnu, in tre stadi).
Il culto di una determinata divinità era controllato da un flāmen, corrispondente etimologico di un brahman-; tra i c.d. flāmines maiōres si distinguono: flāmen Diālis (sacerdote di Giove, che aveva in comune con il brahman- una serie di tabù da rispettare durante i rituali; questo rafforzerebbe la loro identificazione etimologica con gli indoeuropei *bhlaghsmen), flamen Martialis (sacerdote di Marte) e flamen Quirinalis Sacerdote di Quirino).
Si evidenzia, quindi, una struttura tripartita che rivela quella del c.d. pantheon pre-capitolino, basato sulla triade Giove-Marte-Quirino e in seguito sostituita dalla più nota Giove-Giunone-Minerva, per intrusione etrusca. La triade originaria trova un corrispondente nella tripartizione vedica di Adityas-Rudras-Vasus.

Dialis à aggettivo derivato da Diēs(piter) o Diūs (nome originario di Jupiter), derivato dall’indoeuropeo *Diéws, da cui il vedico Dyaùs e il gr. Zeus; il termine Diūs è il vocativo usato nelle invocazioni o nella preghiere (cfr. il gr. Zeu pater). Giove richiama molto la funzione del gr.Zeus (che nella tradizione greca era collocato al vertice del pantheon, dio della folgore e del cielo) e del vedico Dyaùs, dio del cielo; è anche personificazione del cielo diurno e di colui che vaga nel cielo sotto forma di dio del fulmine. Come protettore delle fides, presenta l’allomorfo Diūs Fidius, sull’esempio di Mitra che si accompagna sempre a Veruna, dio del giuramento, nel composto dvandva Mitra-Varuna.

Marte ànoto anche con gli epiteti Mavors, Mamers, Mamars; di oscura etimologia, era il dio della guerra, anche se il carattere “agrario e agreste” supera di gran lunga quello marziale (cfr, il De agri cultura di Catone, in cui è riportata una preghiera al dio perché scacci la sofferenza e la malattia).

Quirinoà era la divinità rappresentante i romani in periodo di pace (i Quirites), riflesso nella radice *Co-Virinos e del nome collettivo *Co-Viria ( da cui il lat. Curia). Era il protettore degli uomini in quanto “produttori, fondatori, progenitori”, secondo il senso dell’i.e. *wiro – quando giustapposto al quasi sinonimo *ner – come nel vedico virakarma- “svolgere un lavoro da uomini”, di contro a mrmanas “dallo spirito eroico”. Di tutto ciò abbiamo come testimoni il lat. Vir (dat. viro), il gr. Anèr, l’osco ner, la differenza tra *wiro- e *ner- permane, invece, nella religione, dove Nerio era al moglie di Marte e Virites quella di Quirino.

Tra le restanti divinità romane, alcune presentano nome etrusco, come nel caso di Mercurio. Vulcano, il dio del fuoco, e in particolare del fuoco selvaggio, è legato al scrr. Ulka “fiamme” e varcas- “bagliore, splendore”. Un curioso collegamento alla leggenda del vedico Agni è presente nel sacrificio rituale di cinque piccoli pesci, dedicato al fuoco, durante la cerimonia dei Volcanalia, celebrata il 23 agosto, che ricordava l’odio mortale per i pesci attestato nella tradizione epica e vedica.
Tra le divinità femminili si ricordano, soprattutto:

  1. Minerva
  2. Venere (in origine, Venus era un nome neutro astratto, come il scrr. vanas- “desiderio”, divenuto, poi, femminile per influsso greco)
  3. Vesta (deificazione del focolare domestico, riconducibile alla dea vedica Agni)
  4. Diāna (riflette il termine *Diviānā ed era in origine collegata a Zeus; forse divinità maieutica à legame con la luna)
  5. Giunone à il termine Giunone deriva dalla radice per iuvenis (cfr. scrr. yunì- femminile di yǘvan “giovane” e del mese Junius. Il tema jūnōn- sembra secondario sulla base di un più antico juni- (cfr. Junius/Uni); presenta affinità con Antico-iranica Arədvī Sūrā Anāhitā. Presso il luogo di culto di Lanuvium, Giunone era conosciuta come Seispes mater Regina, dove:
    • Seispes corrisponde a Sospes, equivalente a Anāhitā “immune, immacolata”;
    • Regina si ricollega a Sūrā, “eroico/a”, e al vedico rājanyā ;
    • Mater richiama la funzione di protettrice della feritilità.

 

Prendendo in considerazione anche la divinità più oscure, è possibile vedere la forte dipendenza della tradizione romana dal passato indoeuropeo.
Ad es., Mater Matuta (dea dell’aurora) trova un preciso corrispondente nella vedica ās. Opposto della precedente, era Diva Angerōna, dea la cui festività cadeva il giorno del solstizio invernale, quando vi era lux angusta. Il termine angustus deriva da *angus (cfr. il vedico āmnas); Angerōna presenta il suffix argomentativi –ōna legato al tema *anges di *angus. Anche Augustus (ved. Ōjas) deriva da *angus. Il rituale connesso a questa divinità richiedeva un profondo silenzio e trova un legame con la leggenda vedica, in cui il brahman- Atri era chiamato a far riemergere il sole dalle tenebre, dopo un’eclissi di sole. Anche qui, il mezzo è dato dal potere mistico del silenzio.

Per completare il discorso, è possibile fare un breve accenno ai rituali praticati nell’antica Roma.
Parti di essi possono trovare qualche elemento di delucidazione nei testi vedici. E’ il caso dei Fordicidia, che prevedevano l’uccisione di una vacca gravida il 15 di aprile e che trova un corrispondente nel rituale vedico dell’aşţāpadī, “l’essere dalle otto gambe”. Entrambi avevano il compito di propiziare la fertilità; in ambiente romano, il vitello veniva estratto e braciato dalle Vestali. Le sue ceneri venivano, poi, asperse durante i Pariglia, dedicati alla dea rurale Pales. L’escatologia di questo evento è strettamente collegata alla leggenda di Remo e Romolo, chimati da Puhvel “pastoral twins”, e collegabili agli antico-indiani Aśvins, i gemelli divini nati da Dyaǘs, ai quali si possono ricondurre anche i Dioskouroi greci.
Interessante, infine, anche la corsa delle bighe (carri) nel Campo Marzio in occasione degli Equirria (< *Equi-curria “corsa dei cavalli”), celebrati intorno all’originario nuovo anno (27 feb-13 mar) e, secondo leggenda, istituiti da Romolo in onore di Marte. Giovanni Lidio nel De Mensibus (4,30) ci ha conservato la tradizione per cui i partecipanti erano divisi in tre “tribù” e i loro colori erano: ROSSO, BIANCO (entrambi colori privilegiati perché ottenuti con procedimenti molto costosi) e VERDE, ovvero i colori canonici delle tre classi sociali indoeuropee:

  • BIANCO >> sacerdoti;
  • ROSSO >> guerrieri;
  • VERDE >> classe produttiva (ad es., mercanti).

 

Pertanto, gli Equirria conservavano un ricordo della preistorica tripartita classe sociale e Giovanni Lidio aggiunge, nel suo trattato, che i russati appartenevano a Marte, gli albati a Giove e i virides a Venere, ovvero alle divinità tipiche dei tre ordini rispettivamente. Ma non si tratta dell’unico arcaismo, dal momento che l’ Equirria richiama l’antico-indiano vajapeya, che in origine sembra essere stato aperto ai brahmin, ai kşatriya e ai vaiśya, ma che venne ben presto stilizzata in un rituale.

Tutti questi elementi, presi nel loro insieme, contribuiscono ad affermare la completa appartenenza della cultura latina al passato indoeuropeo e, in genearle, possono aiutarci a ricostruire una vera e propria civiltà (e cultura)indoeuropea.

 

Fonte: http://www.univr.it/documenti/Avviso/all/all965060.doc

Sito web da visitare: http://www.univr.it/

Autore del testo: Silvia Pachera

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