Ellenismo

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Ellenismo

 

L’epoca ellenistica

Alla morte di Alessandro Magno riaffiorarono i particolarismi locali, alimentati dalle ambizioni dei comandanti militari, le cui rivalità portarono allo smembramento dell’Impero macedone.
L’impero fu ripartito in satrapie tra i diadochi (i “successori” di Alessandro), in attesa che il figlio che Alessandro aveva avuto da Rossane diventasse adulto. Tra il 322 a. C. e il 301 a. C. i diadochi furono però in lotta fra loro e nel 310 a. C. fecero addirittura assassinare Rossane e suo figlio, nonché il generale Perdicca, cui era stata assegnata la tutela del bambino. Alla fine, con la battaglia di Ipso del 301 a. C., il quadro politico si stabilizzò: nacquero tre grandi aree territoriali e di potere:

  • il regno di Siria e Asia, sotto la dinastia dei Seleucidi, che tuttavia non seppe mantenere l’integrità e nel 282 e 281 a. C. si costituirono
    • il regno di Pergamo
    • il regno del Ponto;
  • il regno di Macedonia, sotto la dinastia degli Antigonidi, che fallì nel tentativo di ricondurre la Grecia sotto il proprio controllo;
  • il regno d’Egitto, sotto la dinastia dei Tolomei, la cui capitale, Alessandria, ospitò le spoglie del suo fondatore in uno splendido mausoleo e divenne una grande metropoli internazionale al centro degli scambi commerciali di tutto il Mediterraneo e il punto di irradiazione della cultura ellenistica.

Quando, all’inizio del III sec. a. C., i diadochi assunsero il titolo di re, l’impero di Alessandro, nei fatti già smembrato da tempo, lo fu anche formalmente. Si apriva allora la cosiddetta “Età ellenistica”.

Età ellenistica
L’età ellenistica è l’epoca che segue l’età classica e copre l’arco di tempo che va dalla morte di Alessandro Magno (323 a.C.) alla conquista dell’Egitto da parte dei Romani (31 a. C.), l’ultimo regno rimasto indipendente fino ad allora. Il termine “ellenistico” viene dal verbo greco ellenizein, che vuol dire “parlare greco”, poiché in questo periodo il greco divenne la lingua parlata in tutto il Mediterraneo e nel mondo asiatico. Poiché i sovrani e i gruppi dirigenti degli stati che si crearono furono tutti di estrazione greco-macedone, questo periodo coincise con una grande diffusione della cultura greca e fu quindi caratterizzato da una civiltà “mista” greco-orientale. Proprio quando la Grecia cessava di svolgere un ruolo politico dominante, la cultura greca si affermava a livello internazionale e veniva a rappresentare l’elemento unificante in un mondo lacerato da continui conflitti.

Ellenismo
L’ellenismo designa non solo la diffusione della civiltà greca nel Mediterraneo orientale e nel mondo asiatico, e l’imposizione di una nuova lingua, il greco, che diviene in quest’epoca la lingua comune a tutti (κοινὴ διάλεκτος), adottata dall’amministrazione, dai quadri dell’esercito, dai commercianti, dagli uomini di cultura, assumendo le caratteristiche di una lingua di comunicazione internazionale (lingua veicolare), ma anche l’epoca di profondi cambiamenti politici, economici, sociali, religiosi e culturali.

  • L’ellenismo coincide con il tramonto della polis e con la nascita di una nuova organizzazione statale, il regime monarchico (per cui si parlerà di monarchie ellenistiche), che meglio rispondeva all’ideale di ecumene, cioè della comunità universale dei popoli civili, accomunati da interessi economici, artistici, culturali, nonché dall’uso della medesima lingua.

La monarchia  territoriale assoluta era la più importante forma politica di quest’epoca; consisteva nella presenza di un grande stato nel quale esisteva una abissale distanza tra il dominatore (cioè il sovrano insieme alla classe dirigente) e i dominati (le masse agricole e il popolo in senso lato).
Attorno al sovrano, adorato come una divinità secondo il costume orientale (tanto da essere appellato con soprannomi quali sotèr – salvatore-, evergète – benefattore-, epifàne –che appare un dio benefico-), che impersonava lo stato e incarnava la legge, ruotava una complessa struttura burocratica che amministrava i territori difesi da eserciti di mestiere. Lo stato era una grande azienda di cui il sovrano curava il funzionamento per trarne le risorse necessarie a mantenere la burocrazia e gli eserciti, per cui l’intera amministrazione economica era nelle sue mani. Nei regni ellenistici, dunque, la democrazia scomparve. Le cariche elettive, le assemblee e le discussioni che le animavano furono abolite e al cittadino non si chiese più di esprimere la propria opinione, ma solo di lavorare, pagare le tasse e ubbidire. I cittadini, cioè, divennero veri e propri sudditi, anche se la mancanza si libertà venne accettata a patto di essere tutelati da un governo stabile ed efficiente.

  • Un altro fenomeno rilevante fu il processo di urbanizzazione, che incise enormemente a livello sociale. I diadochi, infatti, per controllare i grandi snodi commerciali e i territori di confine, costruirono delle città, dando a ciascuna il proprio nome. Per soddisfare i bisogni della popolazione urbana in continuo aumento, occorreva poi assicurare alle città una quantità di derrate alimentari e manufatti di ogni genere, per fabbricare i quali occorreva acquistare all’esterno le materie prime necessarie. Questa richiesta di beni stimolò gli scambi commerciali, anche grazie all’aumento della circolazione di denaro, e assicurò un costante progresso economico.
  • Lo slancio produttivo rese necessaria una abbondante manodopera che vide il largo impiego degli schiavi, il cui commercio divenne uno dei più importanti in età ellenistica; le città di Rodi e Delo furono i principali centri del mercato mediterraneo degli schiavi.
  • Difficile si fece invece la vita nelle campagne, che servivano solo come fornitrici di grandi quantità di cereali per sfamare la popolazione urbana in caso di carestie. Nelle campagne, quindi, a parte qualche progresso nei sistemi di canalizzazione e di drenaggio, le innovazioni tecniche furono modeste. Peggiorarono così le condizioni dei contadini, gravati anche da pesanti tributi.
  • La caduta dell’ideale della polis greca con il conseguente movimento migratorio, e la moltiplicazione dei centri urbani causarono anche la perdita di legami e di identità che si tradusse nell’esaltazione della dimensione individuale del destino di ciascun individuo (individualismo).

Se, infatti, la civiltà della polis aveva valorizzato la dimensione comunitaria, ritenendo che essa fosse lo spazio in cui andavano visti e risolti non solo i problemi politici, ma anche quelli esistenziali e morali, la comparsa dei regni ellenistici modificò questo quadro, poiché il potere divenne competenza esclusiva del sovrano e la riflessione sugli aspetti morali, politici e civili della collettività perse di interesse. Questa situazione produsse reazioni diverse:

    • da un lato, lo sganciamento dell’individuo dalla comunità favorì gli spostamenti e i viaggi. Se Socrate, infatti, si vantava di non essersi mai allontanato da Atene, gli artisti e gli intellettuali di questo periodo si misero a viaggiare e a spostarsi tra i grandi centri organizzati del sapere, attratti dai finanziamenti che i sovrani ellenistici mettevano a disposizione della ricerca, per ragioni di prestigio e di potere. In tal modo la cultura usciva dai limiti della polis e assumeva una dimensione sovranazionale, perché non aveva più come scopo quello di formare la coscienza collettiva della comunità.

Lo sconfinato orizzonte del mondo ellenistico e l’incontro concreto con popoli e culture diversi fece poi maturare un atteggiamento mentale di curiosità e di apertura, che oggi definiremmo cosmopolitismo (da κὸσμος = mondo e πολίτης = cittadino, ovvero “essere cittadini del mondo”). Inteso come superamento dei vincoli di appartenenza al gruppo etnico o sociale di origine, esso ci appare come un atteggiamento complementare all’individualismo: l’individuo, cioè, comprendeva che in questo clima politico e sociale nuovo non si era più solo cittadini della polis d’origine, ma cittadini del’intero mondo conosciuto.

    • Per contrasto, però, la dipendenza dalla volontà dei sovrani potenti e lontani e il declino delle poleis fecero emergere il senso di isolamento e di insicurezza dei cittadini, che per questa ragione cercarono risposte nella religione.

Si crearono così forme di sincretismo religioso, cioè di mescolanza di culti e pratiche soprattutto di origine orientale (il culto di Cibele, dea della fertilità, o il culto di Serapide, sintesi di Osiride, Zeus e Dioniso, in Egitto), accomunate dalla caratteristica di dare risposte alle ansie e alle paure individuali del presente o di promettere un destino di salvezza nella vita ultraterrena.

  • Accanto a questi nuovi riti e ai culti orientali, diffusi soprattutto tra le masse popolari, le classi colte cercarono la soluzione ai problemi morali più urgenti nella filosofia.

La filosofia ellenistica era di carattere pratico, cosa che la distingueva da quella greca classica, caratterizzata invece dalla riflessione astratta sulle origini del mondo, sul mistero dell’universo, sulla natura delle istituzioni pubbliche.
Nella filosofia ellenistica ciò che importa non è tanto la definizione del regime politico migliore e del modo migliore di comportarsi nella polis o nella società, quanto le azioni dell’uomo comune (la sua morale) e le norme per raggiungere la felicità, che ai più appare possibile solo nel distacco dell’animo dai turbamenti della vita quotidiana. La ricerca del bene e della felicità e più in generale del valore dell’esistenza umana, temi centrali nella riflessione filosofica di quest’epoca, assunsero una connotazione marcatamente individualistica: era l’individuo e non la comunità, né tantomeno lo stato, a detenere la chiave del bene o del male, della felicità o dell’infelicità.
Le varie correnti filosofiche, tra cui l’epicureismo e lo stoicismo, appaiono, dunque, espressione di una spiritualità inquieta e profonda, incentrata sulle scelte morali del singolo, volte ad esaltare fino all’eccesso le virtù individuali, separando definitivamente l’aspetto privato da quello pubblico (politico).

  • Alla rivoluzione culturale e filosofica si accompagna lo sviluppo nel campo scientifico. Tra le scienze astratte particolari sviluppi ebbero la geometria (Euclide ordinò in sistema tutto il sapere geometrico del suo tempo) le matematiche (Archimede fondò la meccanica razionale e idrostatica), l’astronomia (Eratostene di Cirene riuscì a calcolare a tavolino con grande approssimazione la circonferenza terrestre; Aristarco di Samo determinò le dimensioni del sole e della luna e la loro distanza dalla terra, affermando per primo che il sole è immobile, mentre è la terra che gira intorno ad esso; Ipparco di Nicea calcolò la durata dell’anno solare in 365 giorni, 5 ore e 55 minuti, con un eccesso di appena 7 minuti rispetto ai calcoli moderni).

Centro nevralgico della cultura fu Alessandria d’Egitto, dove operarono le menti più vive dell’epoca. La città fu dotata di un Museo (“il tempio delle Muse”), centro di ricerca esteso alle più diverse discipline: matematica, geometria, meccanica, musica, medicina, retorica, politica, astronomia, economia. Gli studiosi disponevano di osservatori astronomici, di laboratori di anatomia, un giardino zoologico e di un orto botanico.

  • Successivamente, all’inizio del III secolo a.C., per volere di Tolomeo II, fu annessa al Museo una biblioteca (da biblion, “libro” e theke, “deposito”), che arrivò a contenere fino a 700.000 volumi. Il suo primo organizzatore, Demetrio del Falero, ebbe il compito di organizzare un completo archivio enciclopedico di tutto il sapere e di sviluppare la ricerca in ogni disciplina.  I Tolomei inviarono allora i loro emissari in tutta la Grecia e l’Asia Minore per reperire tutti i testi possibili; oltre al reperimento e alla raccolta, veniva curata anche la diffusione del patrimonio letterario e scientifico, per mezzo di copisti che trascrivevano i testi. Fino ad allora però le trascrizioni dei testi antichi avevano lasciato spazio ad errori, fraintendimenti e omissioni. Ad Alessandria si comprese che era necessaria un’opera di “purificazione” dei testi, cioè di critica testuale, in modo da risalire, laddove possibile, alla versione originale. Nacque così la filologia (philos “amico” e logos “parola”), disciplina che si avvaleva dello studio grammaticale e stilistico dei testi, che confrontava copie diverse di una stessa opera per cercare di stabilire il più possibile il testo di partenza.
  • Conseguenza ovvia di questa attenzione al testo scritto fu l’importanza e la diffusione del libro.

Se fino all’età classica, infatti, la fruizione della cultura avveniva nell’ambito della dimensione comunitaria (si pensi al teatro e all’oratoria, i generi principe di quest’epoca) e prediligevano forme orali di comunicazione, ora invece, tramontato l’ideale della polis e i valori che essa portava con sé, l’esperienza culturale si riformula nella dimensione individuale, del tutto privata, della lettura-scrittura: si leggevano libri in solitudine e si scrivevano libri che potevano essere letti in solitudine da altri. Questo fenomeno mette in luce una verità paradossale: ad una più ampia diffusione della comunicazione di informazioni e saperi si associa l’isolamento individuale. Si scopre cioè che al massimo della comunicazione sociale, che permette di mettere in relazione moltissime persone anche tra loro lontane, si può accompagnare il massimo dell’isolamento individuale, proprio perché nella relazione si è interposto un medium, cioè un supporto tecnologico che, mentre mette in comunicazione, al contempo isola.
Tale paradosso è ben visibile nel nostro tempo dove gli individui possono avere accesso anche contemporaneamente alle informazioni e ai saperi attraverso media diversi (radio, televisione, internet), rimanendo però completamente isolati.

Fonte: http://www.diversamentesocial.it/pluginfile.php/156/mod_folder/content/0/ellenismo.doc?forcedownload=1

Sito web da visitare: http://www.diversamentesocial.it/

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

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