Jean-Paul Sartre

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Jean-Paul Sartre

JeanPaul Sartre
Tra i filosofi esistenzialisti del primo Novecento un posto particolare spetta a JeanPaul Sartre (19051980) per la grande influenza che ha esercitato non solo all'interno degli ambienti specialistici della filosofia, ma anche presso il vasto pubblico. La sua produzione comprende, oltre a saggi filosofici, anche testi teatrali e romanzi di notevole successo. Sartre è stato inoltre presente in modo costante e capillare sui media: per decenni è stato uno dei più importanti commentatori della stampa francese, occupandosi di molti temi di attualità, dalla politica all'economia alla vita sociale e culturale. Ha incarnato la figura del filosofo impegnato che, di fronte all'impossibilità di ancorare le scelte individuali e collettive a valori oggettivi, assume su di sé la responsabilità della scelta, testimoniandola apertamente presso il suo pubblico. Sartre ha quindi preso posizione su specifiche questioni etiche e politiche, rinunciando al privilegio del distacco intellettuale dalla vita quotidiana.
È proprio a causa di questo impegno intellettuale e politico che Sartre sceglie di presentare la sua filosofia al vasto pubblico attraverso diversi generi letterari e media differenti. La filosofia di Sartre affronta tuttavia anche temi filosofici estremamente specifici e complessi, che sono trattati in opere di grande mole e impegno teoretico, in particolare il saggio L'essere e il nulla, scritto negli anni Quaranta, e la Critica della ragion dialettica, degli anni Sessanta.
L'esistenzialismo di Sartre è ateo e le sue analisi si basano sulla constatazione che è impossibile trovare un fondamento oggettivo ai valori o al senso della vita. L'ateismo, che di fronte all'umana condizione di nonsapere è una scelta, va quindi inteso come posizione filosofica generale: la condizione umana è di solitudine esistenziale perché non c'è alcun altro essere con cui, con consapevolezza e in modo fondato, l'uomo possa dialogare. L'uomo è solo e non possiede valori oggettivamente fondati: tutto dipende dalla sua soggettività.
1. Le cose sono in sé, la coscienza è per sé
La distinzione che fa da sfondo a tutta la riflessione di Sartre è quella tra le cose e la coscienza. Si tratta di due realtà che hanno caratteristiche completamente diverse, in relazione alle quali Sartre respinge ogni forma di idealismo:
• le cose (il mondo della materia e degli eventi) sono quel che sono, nella pienezza del loro essere; sono «in sé», nel senso che semplicemente esistono; alcuni storici della filosofia hanno parlato di eleatismo a proposito di questa visione sartriana della realtà esterna, come caratterizzata dalla pienezza dell'essere in assenza di coscienza e di soggettività: pienezza e insieme opacità, dunque, perché il mondo delle cose è realtà bruta, immediata, irriducibile alla coscienza. Quest'immagine richiama la res extensa cartesiana, una sostanza regolata da forze e leggi proprie, in cui la materia e lo spazio si identificano in assenza di vuoto;
• la coscienza (il mondo interiore dell'uomo, caratterizzato dalla soggettività) non è ciò che è, perché in sé è nulla e deve diventare ciò che sceglie di essere; essa è «per sé», nel senso che costruisce ogni momento se stessa producendo un'immagine di sé, costruendo i propri oggetti; come ha sostenuto la fenomenologia, la coscienza è sempre intenzionale, trascende sempre il mondo, che costituisce tuttavia il suo oggetto: la coscienza è dunque per sé perché è ciò che diviene costruendosi di momento in momento, sempre proiettata in un altrove: nello spazio, verso le cose; nel tempo, verso il passato e il futuro, sempre in tensione tra memoria e attesa.
È quindi una realtà radicalmente eterogenea rispetto al mondo delle cose, benché sia rivolta verso di esse: «La coscienza è coscienza di qualcosa: questo significa che la trascendenza è struttura costitutiva della coscienza; cioè che la coscienza nasce rivolta sopra un essere che non è essa stessa». L'essere delle cose è quindi pieno e compiuto (è questo il senso in cui si è potuto parlare di eleatismo sartriano), mentre la coscienza è vuota di essere, è «nulla»: «l'essere dell'uomo, cioè il suo niente d'essere».
2. Nell'uomo l'esistenza precede l'essenza
La nozione sartriana di nulla va intesa in rapporto a quella di possibilità: l'identità dell'uomo come essere cosciente non è definita dalla sua realtà originaria, allo stesso modo in cui è definita l'identità delle cose. Infatti:
• ciascuna cosa è regolata da leggi di natura che ne determinano il movimento e il ciclo rispetto alla complessità dell'universo;
• ciascun uomo è invece ciò che decide di essere, avendo la possibilità di condurre vari tipi di vita e di darsi identità diverse.
Questo significa che l'uomo non è determinato a essere ciò che è, ma è libero. Significa anche che l'uomo in sé è nulla, perché questa è la condizione esistenziale necessaria affinché possa divenire ciò che vorrà: se fosse qualcosa, sarebbe determinato, e la sua libertà svanirebbe.
Sartre presenta quest'idea in termini radicali, in coerenza con la separazione (trascendenza) tra il mondo delle cose (l'in sé) e il mondo della coscienza (il per sé). Con una frase divenuta celebre, Sartre ricorda che questa condizione esistenziale non è frutto di una libera scelta: «l'uomo è condannato alla libertà», perché il suo essere è tutto da costruire e la vita coincide con questa costruzione; a essa non si sfugge in nessun caso, neppure abdicando alle scelte, dato che non scegliere, seguire passivamente il corso del mondo, è già una scelta.
Riprendendo termini classici della tradizione filosofica, Sartre sostiene che nell'uomo l'esistenza precede l'essenza: l'uomo (il nulla che egli è) è innanzitutto gettato nell'esistenza, nel senso che si trova a esistere senza averlo scelto e senza comprenderne il senso; è lì, e deve essere qualcuno, il che significa che deve diventare qualcuno che non è ancora; la sua essenza si costruisce in rapporto al fatto di esistere, e in questo senso essa viene dopo l'esistenza.
L'attività di costruzione del proprio sé (l'essere qualcuno innanzitutto per se stessi) non è però pienamente cosciente: la libertà può avere tratti di opacità, la coscienza può non essere trasparente a se stessa; nonostante questo l'uomo è ciò che sceglie di essere e, qualunque sia il grado di consapevolezza di questa scelta, egli ne è responsabile.
3. Responsabilità e angoscia
La vita è una continua progettazione mediante la quale l'uomo organizza il mondo come proprio mondo, pone dei valori, dà senso alle cose, crea modelli, e di questo è responsabile. Sartre sottolinea che non si tratta di una scelta solo per se stessi ma, almeno in linea di principio, di una scelta per tutti. Ponendo valori, infatti, l'uomo inevitabilmente li oggettiva come validi: è come se dicesse agli altri che il valore che ha scelto per sé è giusto, e quindi è giusto per tutti (> Antologia, brano 2, «Se Dio non esiste, tutto è permesso»).
L'uomo dunque porta una responsabilità che non è solo individuale, ma universale: se sceglie di essere cristiano, testimonia di fronte a tutti la bontà della sua scelta, ne propone implicitamente la validità. È come se dicesse: "La scelta è mia, ma il valore che ho scelto è universale. Tutti dovrebbero, come ho fatto io, scegliere il cristianesimo". Nessuna scelta è tanto individuale da non proporsi agli altri come modello e da questa consapevolezza sorge un profondo sentimento di angoscia. L'uomo, infatti, sa che qualsiasi cosa abbia scelto, l'ha fatto senza un fondamento oggettivo: è l'io il creatore dei suoi valori, e da questa potenza senza limiti e confini nasce l'angoscia legata a ogni decisione.
4. La malafede e l'impegno
Si è in malafede quando non si riconosce la responsabilità delle proprie scelte. Chi non si assume questa responsabilità inganna se stesso più o meno consapevolmente (a volte del tutto inconsapevolmente). La malafede, frutto dell'autoinganno, è una possibile fuga dall'angoscia, generata dal fatto che è difficile accettare e vivere sino in fondo la propria libertà.
La filosofia, secondo Sartre, è disvelamento della malafede; è la presa di coscienza della necessità dell'angoscia, cioè dell'assunzione della propria responsabilità.
L'esistenzialismo, pur sostenendo l'assenza di valori oggettivi, non implica la rinuncia all'azione, in quanto mostra la necessità per l'uomo di assumersi le proprie responsabilità. È proprio per l'assenza di valori oggettivi che è importante impegnarsi: chi altri se non l'uomo dà senso alle cose? Chi altri se non l'uomo è in grado di rendere la vita, nel suo farsi, degna di essere vissuta? Solo l'impegno, che accetta sino in fondo la radicale libertà degli esseri umani, gli permette di essere se stesso superando il nulla. Solo vivendo, impegnandosi nell'azione che trasforma il mondo, l'uomo diviene se stesso.
Tuttavia, i progetti che l'uomo continuamente porta avanti, che danno un senso alla sua vita, non dipendono solo dall'io del singolo per la loro realizzazione, ma da diverse circostanze esteriori non sempre controllabili e, soprattutto, dalla volontà degli altri uomini che, in quanto tali, sono altrettanto liberi. Ciascuno, trasformando il mondo e la società attraverso il proprio lavoro, compie un'opera che affida sempre, in parte, anche agli altri, perché la completino e la continuino. Ciascun uomo rimane tuttavia responsabile della propria scelta e può differenziare il proprio progetto da quello degli altri.
5. La Critica della ragion dialettica
Negli anni Cinquanta e Sessanta, in costante dialogo con il mondo cattolico e con il mondo marxista, Sartre presenta la propria concezione dell'esistenzialismo come filosofia umanista dell'impegno e della responsabilità in senso storico ed eticopolitico.
Con il tempo, si avvicina sempre più al pensiero marxista, sia pure da posizioni critiche, polemizzando contro l'interpretazione deterministica del materialismo storico, nei cui confronti l'esistenzialismo si propone come un elemento insieme correttivo e integrativo; Sartre, in questi anni, si considera soltanto un "compagno di strada" dei marxisti e insiste sulla libertà e sulla responsabilità legate alla posizione esistenzialista: «Noi vogliamo la libertà per la libertà e attraverso ogni circostanza particolare. E volendo la libertà, scopriamo che essa dipende dalla libertà degli altri, e che la libertà degli altri dipende dalla nostra».
Sartre scrive queste parole in una prospettiva rivoluzionaria, contro ogni alienazione e ogni oppressione, individuale e collettiva, che devono essere denunciate dall'intellettuale "impegnato", partecipe delle questioni concrete e delle situazioni storiche in cui si decidono le sorti dell'uomo. Nella Critica della ragion dialettica (1960) vengono riformulati i principi dell'esistenzialismo dialogando con il marxismo, al fine di fornire strumenti adeguati all'analisi della società: «le condizioni materiali della sua [dell'uomo] esistenza circoscrivono il campo delle sue possibilità. [...] E questo campo, a sua volta, dipende strettamente dalla realtà sociale e storica».
In questa prospettiva, Sartre modifica la concezione assoluta della libertà che aveva caratterizzato il primo periodo della sua riflessione, riconoscendo le determinazioni storiche dell'azione umana. Respinge il comunismo sovietico, che nega la libertà individuale, e ritiene che l'esistenzialismo possa offrire al marxismo un'antropologia e una teoria del soggetto che lo liberi dalle tendenze al totalitarismo.
La ragione dialettica deve partire dalla prassi individuale per guadagnare la totalità di quella sociale: la lotta di classe è fatta da individui concreti e la storia è sintesi di molteplici totalità. Diversamente dalla precedente impostazione, il rapporto con il prossimo è mediato dalla penuria materiale e dal bisogno: si giustifica così il permanere del conflitto come elemento essenziale nella caratterizzazione delle relazioni sociali. Sartre distingue gli insiemi «praticoinerti» i gruppi che si presentano come oggettivazione alienata delle prassi individuali in ruoli e in funzioni sociali irrigidite dai «gruppi in fusione» che realizzano in modo vivo e dinamico la libertà e la solidarietà umana per mezzo della coscienza di classe e del lavoro. La libertà, risultante dal reciproco riconoscimento nell'uguaglianza, è caratterizzata dall'instabilità dei gruppi spontanei in una situazione rivoluzionaria. Attraverso diverse forme di alienazione (per esempio il terrore) o di organizzazione e dominio, nasce la società come quintessenza dei gruppi e dei collettivi e, infine, lo Stato come gruppo limitato di organizzatori e amministratori che, mediante le istituzioni, si stabiliscono come gruppo dominante.
Sartre non ha sviluppato queste idee soltanto in saggi teorici, ma le ha applicate concretamente alle situazioni storiche, attraverso un impegno politico sistematico e militante.

Intenzionalità e trascendenza sono termini che Sartre riprende dalla tradizione fenomenologica di Husserl e legge attraverso l'interpretazione datane da Heidegger in Essere e tempo. La coscienza è detta intenzionale in quanto è rivolta verso un mondo a lei esterno e supposto indipendente: il mondo delle cose, il corpo, gli eventi. Il rapporto tra coscienza e realtà esterna è di trascendenza, poiché la coscienza non è tutte queste cose, ed esse sono opache per lei, che non può penetrarle, ma può conoscerle solo riproducendone in sé l'immagine. Il termine trascendenza indica infatti nel linguaggio tradizionale della filosofia la radicale separazione tra due realtà riguardo al loro essere.

Nulla/Possibilità. Sartre sostiene che solo con l'uomo il nulla viene all'essere. Quest'affermazione, dall'apparenza paradossale, significa che soltanto l'uomo può concepire nella sua mente qualcosa che non appartiene al mondo esterno e ciò, ovviamente, è la condizione prima di qualsiasi progetto di vita, e quindi di qualsiasi costruzione della propria identità (si progetta di essere ciò che non si è ancora e si potrebbe non essere mai). La coscienza è per sua natura nullificante, perché nel grande mare dell'essere (delle cose) ritaglia quel che le interessa e mantiene il resto sullo sfondo: Sartre riprende qui l'antica concezione scolastica, e poi spinoziana, espressa dalla formula «omnis determinatio est negatio». Alla nozione di nulla è legata quella di possibilità, che è esclusa dal campo dell'essere in sé, in cui ogni cosa è ciò che è e non potrebbe essere altrimenti. L'uomo, invece, non avendo una propria essenza originaria, non è determinato a essere ciò che è, e può quindi scegliere. La possibilità non appartiene al regno dell'essere, cioè al regno della natura e delle cose, ma al regno del nulla che viene o non viene all'essere (la possibilità può non realizzarsi).

Angoscia. Sartre riprende la nozione di angoscia da Heidegger, ma le conferisce un senso specifico nel contesto del suo esistenzialismo ateo. Il filosofo francese parte dall'idea che Dio non esiste, e che chi afferma la sua esistenza se ne deve assumere la responsabilità: se Abramo riceve un ordine da Dio, è Abramo a decidere si tratta proprio di Dio. L'uomo è dunque responsabile di qualsiasi valore ritenuto oggettivo e, per quanto privata sia la scelta che compie, la vita sociale fra gli uomini è tale che si finisce con lo scegliere anche per gli altri, ponendo la propria scelta come valida oggettivamente. Chi ha coscienza del fatto che l'uomo è un nulla non può non provare angoscia: sa che si sta assumendo una responsabilità per sé e per gli altri attraverso una scelta presa al buio. È impossibile però rifiutare di assumersi delle responsabilità, perché l'uomo è condannato a essere libero; l'angoscia è quindi frutto di una coscienza matura e consapevole. La condizione umana, scrive Sartre, è simile a quella di un'ufficiale in guerra: egli è responsabile della vita dei suoi uomini, li manda a morire, le sue scelte porteranno a conseguenze radicali e ha molte possibilità di fronte; non ha però la possibilità di non scegliere. Se non desse alcun ordine, avrebbe semplicemente lasciato i suoi uomini senza guida, allo sbando: anche questa sarebbe stata una scelta.

Fonte: http://www.vitellaro.it/silvio/Filosofia_143/Sartre.doc

Sito web da visitare: http://www.vitellaro.it/

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

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