Karl Raimund Popper e la scienza

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Karl Raimund Popper e la scienza

 

Popper – La scienza, un edificio su palafitte
Karl Popper (1902-1994) ha avuto la ventura di nascere all’i­nizio del Novecento e di morire ultranovantenne. Ha quindi accompagnato tutto lo sviluppo della filosofia del secolo scorso. Ma come una spina nel fianco. E stato più demolitore che al­leato di quella che fu la maggior gloria del Novecento, la filo­sofia della scienza. Per lui le asserzioni scientifiche sono sempre confutabili. Per questo gli avversari della scienza lo hanno spes­so eletto a loro idolo, nonostante i suoi notevoli contributi allo sviluppo della logica.

Agli inizi degli anni Trenta i filosofi della scienza imperver­savano in Europa come pensatori del futuro. Il loro stru­mento principale continuava a essere quello scelto quattro secoli prima da Francesco Bacone, cioè il metodo induttivo. La metafisica, con la sua pretesa di partire da principi astrat­ti, appariva ormai antiquata e veniva messa alla berlina. Ma l’induzione, che fonda la scienza sulla raccolta di quanti più casi possibile, ha sempre avuto un tallone d’Achille: il suo carattere d’incompletezza, cioè l’impossibilità di controllare la totalità dei casi. Tutti sappiamo che un corpo pesante ca­de verso il basso, ma chi ci assicura che un giorno non si dia il caso di una pietra che si sollevi dal basso verso l’alto?
Con termine tecnico, l’ipotesi di una pietra che leviti vie­ne definita un «controesempio» della legge di gravità. Nes­sun numero per quanto alto di esempi basta a escludere l’e­ventualità futura di un controesempio. Non posso dirmi si­curo della fedeltà di mia moglie in quanto non mi ha mai tradito né col portiere, né col capouffìcio, né con l’idraulico, né con nessuno dei miei amici: accumulare numerosi altri esempi, infatti, non potrà rendere matematicamente certa la mia convinzione sulla sua illibatezza extraconiugale. Basta infatti un solo controesempio, un’avventura con l’elettrici­sta, a rendere falsa la mia convinzione.
È questa l’arma segreta di Popper. Una raccolta di verifi­che, per quanto numerose, non renderà mai sicura una legge. E senz’altro più utile dimostrare falso un suo controesempio. Nell’Europa centrale e settentrionale abbondano quei leggia­dri volatili che sono i cigni: non c’è parco a Parigi o a Londra che non ne conti qualcuno. È venuto spontaneo quindi a Popper ispirarsi per un tipico controesempio ai cigni. Lo zoologo asserisce: « Tutti i cigni sono bianchi ». Non basta raccogliere infiniti casi di cigni francesi o tedeschi che siano tutti bianchi. È invece importante smentire chi affermi che esistano cigni di altro colore. Basta infatti l’esistenza di un solo cigno nero, magari in Australia, per rendere falsa la legge asserita dallo zoologo. Scrive Popper nella Logica della scoper­ta scientifica, l’opera che gli dette la fama nel 1934: «Per quanto numerosi siano i casi di cigni bianchi che possiamo avere osservato, ciò non giustifica la conclusione che tutti i cigni sono bianchi».
Con questo grimaldello Popper era convinto di far saltare l’intero edifìcio della scienza induttiva che andava per la maggiore agli inizi degli anni Trenta. Tuttavia, la sua arma non era infallibile. Infatti, se è facile mostrare che un accu­mulo di verifiche di esempi non basta a rendere vera una legge, di converso neppure la falsificazione di un suo con­troesempio la rende vera. Può darsi che sia falso che esista un cigno nero in Australia, ma ciò non impedisce che ne possa esistere uno in Nuova Zelanda. Allora non c’è diffe­renza tra verifica e falsificazione? Non proprio: mentre alle verifiche non c’è limite, invece un controesempio che non venga falsificato basta da solo a confutare una legge.
Dunque la differenza esiste, però solo in senso negativo. Comunque gli avversari di Popper avevano buon gioco nell’obiettargli che una serie di falsificazioni di controesempi è non meno incompleta di una serie di verifiche di esempi, in quanto entrambe sono per loro natura inesauribili.
Risposta di Popper: sì, ma accumulare esempi verificati non rende la legge più certa, mentre un accumulo di con­troesempi falsificati la corrobora. Questo concetto, corrobo­rare, è stato introdotto da Popper per indicare che, a diffe­renza della verificabilità, la falsificabilità rafforza una legge scientifica. La cosa è discutibile, però si deve riconoscere che la falsificazione di un controesempio ha un peso mag­giore che non la verifica di un esempio. Infatti l’esempio può essere casuale, mentre in genere il controesempio viene addotto appositamente per confutare una legge.
Popper stesso fu costretto ad ammettere che, per quanto corroborata, la verità di una teoria è solo temporanea. Nuo­vi fatti potranno sempre portarci ad abbandonarla. Questa consapevolezza fu il suo tormento negli anni successivi alla Logica della scoperta scientifica, nonostante la sua opera lo avesse tanto coperto di gloria da portarlo sino al titolo di ba­ronetto. Perciò Sir Karl Popper non si stancò di pensare e ripensare al fine di difendere la sua opera. Questa difesa fu così sofferta che gli scritti raccolti sotto il nome di Poscrit­to alla logica della scoperta scientifica restarono ben venticin­que anni inediti prima che egli si decidesse a pubblicarli. In essi il filosofo è molto più cauto che non nell’opera degli an­ni Trenta, e manifesta minor fiducia nella possibilità di for­nire basi attendibili alla scienza.
Sin dall’inizio, nella Logica della scoperta scientifica, Pop­per aveva espresso il suo scetticismo sulla solidità della scien­za con un esempio poi diventato famoso: « La scienza non poggia su un solido strato di roccia. L’ardita struttura delle sue teorie si eleva, per così dire, sopra una palude. È come un edificio costruito su palafitte. Le palafitte vengono con­ficcate dall’alto, giù nella palude: ma non in una base natu­rale data; e il fatto che desistiamo dai nostri tentativi di con­ficcare più a fondo le palafitte, non significa che abbiamo trovato un terreno solido ».
Nei suoi scritti successivi Popper cercò di raggiungere una coerenza maggiore, pur continuando a rinunciare alla fidu­cia in una scienza sicura. Il suo affannarsi alla ricerca di una maggior sicurezza ricorda la tortura inflitta nel film Il mara­toneta al suo protagonista per fargli confessare quello che in realtà non sa. La tortura è accompagnata da una domanda ossessiva che si ripete nel corso di dolorose trapanazioni ai denti: «E sicuro...? E sicuro...?» Popper si torturava da solo non riuscendo mai a sentirsi sicuro, ma credette di rafforzare le sue riflessioni attraverso una nuova idea: quella delle «teo­rie rivali». Se lo scienziato, oltre a corroborare una sua teoria falsificandone molti controesempi, prende anche in esame le possibili teorie rivali e le falsifica, le palafitte del suo edificio scientifico risultano meno traballanti.
Quando Popper sosteneva questa posizione nei confronti della scienza, aveva in mente soprattutto la fisica. Ma le sue critiche risultavano ancor più mordenti quando da una ma­teria normalmente incontestata come la fìsica si passava ad altre più controverse. Fra queste la più discussa era indub­biamente la psicanalisi. Qui Popper aveva facile gioco nel sostenere che un accumulo di verifiche non potesse rendere incontestabili i suoi principi. Ma era soprattutto il principio delle teorie rivali a mettere in crisi la scienza in questione. In un esempio particolarmente probante Popper dimostrò che non solo in psicanalisi esistevano teorie rivali fra diversi esponenti di essa, ma anche uno stesso esponente poteva so­stenere due teorie rivali in contrasto fra loro.
L’esempio riguarda la spiegazione di un crimine e con­temporaneamente quella di un atto eroico. Si tratta del ri­schio corso da un bambino di affogare, illustrato nel Poscrit­to alla logica della scoperta scientifica: «Un uomo spinge un bambino nell’acqua con l’intenzione di affogarlo; e un altro sacrifica la propria vita nel tentativo di salvarlo. Ognuno di questi casi, completamente diversi, può essere facilmente spiegato in termini freudiani». Ma le due spiegazioni posso­no risultare tanto vere quanto false. Poniamo il caso della verifica. Essa spiega il delitto dell’uomo che vuole affogare il bambino risalendo alla repressione dei suoi istinti: averli re­pressi lo aveva reso crudele. D’altro lato, l’atto eroico dell’uomo che salva il bambino può essere pure spiegato psica­naliticamente attraverso il fenomeno della cosiddetta «subli­mazione». La psicanalisi infatti sostiene che è possibile tra­sformare i propri istinti primordiali capovolgendoli in al­trettanti istinti di altruismo: questo sarebbe appunto acca­duto al salvatore del bambino. Ma chi ci dice che le due interpretazioni siano corrette? Può darsi che l’atto criminale non abbia niente a che fare con la psiche di chi l’ha com­messo. E altrettanto può darsi che l’altruismo del secondo uomo non provenga affatto dalla sublimazione dei suoi istinti.
Le due interpretazioni, oltre a essere vere, possono essere false, ma non falsificabili, cioè non possono essere dimostra­te false. Questo è il motivo fondamentale che indusse Pop­per a rifiutare le teorie psicanalitiche: «Le rifiutai perché scoprii che le loro teorie non riuscivano a soddisfare il crite­rio di controllabilità, o di confutabilità, o di falsificabili­tà» (Ibid.)
La fama conseguita da Popper convinse molti teorici della scienza ad accettare il criterio di falsificabilità. A metà degli anni Cinquanta egli poteva scrivere: «Oggi questo criterio sta diventando oggetto di ampia accettazione in quanto cri­terio di demarcazione» (Ibid.) Ma il successo della sua teoria non giunse mai a coinvolgere anche gli psicanalisti. Essi considerarono sempre le loro teorie sottoposte al semplice criterio di verificabilità: «Si continua a discuterle nei termi­ni di evidenza che le conferma, di ‘verificazione’» (Ibid) E si capisce perché: se uno psicanalista attribuisce una data ne­vrosi a un trauma infantile, il lettino potrà portargli una conferma e quindi verificare la sua teoria. Ma difficilmente potrà falsificarla: lo psicanalista potrà sempre dire che il pa­ziente non la conferma perché non riesce a ricordarsi il trau­ma in questione.
Dopo questa stroncatura della psicanalisi Popper ebbe pe­rò un atto di generosità, in quanto riconobbe che L’Interpre­tazione dei sogni di Freud era stata una grande conquista. Pe­rò questo suo riconoscimento fu avvelenato da una riserva micidiale: per Popper essa mostra che anche una teoria me­tafìsica è meglio della mancanza di una teoria, anche se ri­corda più i miti di Omero che non i procedimenti di una scienza rigorosa.
Da: P. Emanuele, I cento talleri di Kant, Milano, Salani, 2003, pp. 173-178.

 

Il libro I cento talleri di Kant illustra alcuni esempi filosofici, ripercorrendo l’intera
storia della filosofia. E’ stato scritto da Pietro Emanuele e ristampato in più edizioni.

 

il professor Popper e il suo metodo didattico
A testimonianza della passione per la discussione critica, un allievo di Popper della London School of Economics ha scritto: «l seminari di Popper erano diversi [rispetto alla norma acca­demica]: erano confronti tesi e serrati fra Popper e il relatore – che fosse uno studente o un uditore. Ora, in quella speciale seduta lo studente in qualche modo riuscì a presentare due sezioni [della sua relazione]. Popper lo interrompeva a ogni proposizione; non accettava nulla senza contraddire: ogni pa­rola era significativa. Fece una domanda: lo studente cercò scappatoie. Popper ripeté la domanda, e finalmente lo stu­dente rispose alla domanda stessa. "Allora la sua prima rispo­sta non era sbagliata?", chiese Popper. Lo studente sfuggì a questa conseguenza indesiderata con un profluvio di parole. Popper ascoltò e poi disse: "Certo. Ma allora la sua prima ri­sposta non era sbagliata?". Ora lo studente vide il suo errore e lo ammise. "Si scusa?", chiese Popper. Lo studente accon­sentì, al che Popper sorrise magnanimamente e disse: "Tutto a posto, allora possiamo essere amici"» .
Sempre Bartley III, allievo di Popper ed epistemologo, ricorda che nei suoi seminari si apprendeva praticamente il metodo popperiano che consisteva in «problemi - congetture - confutazioni». Ecco quanto ricorda dell'insegnamento del maestro: «Devi avere un problema, e nessun tema. Non cercare di essere originale. Cerca un problema, e comprendi quanto ti ri­sulta. Devi desiderare di comunicare col tuo lettore; devi es­sere chiaro, non devi mai usare paroloni, né essere inutilmen­te complicato. Per esempio non devi impiegare simboli logici o formule matematiche, se lo puoi evitare. Padroneggia la lo­gica, ma non fartene bello. E’ immorale essere presuntuosi o cercare di impressionare i lettori o uditori col proprio sapere. Poiché tu sei ignorante. Mentre ci possiamo distinguere per le poche cose che sappiamo, siamo tutti eguali nella nostra ignoranza illimitata. Non essere posseduto dalle tue idee. Ti devi mettere a nudo, ti devi esporre al rischio. Non essere troppo cauto con le tue idee. Le idee non sono rare: dove so­no sorte ce ne sono altre. Lascia libero corso alle tue idee: ogni idea è migliore di nessuna affatto. Ma una volta che l'idea sia stata esposta, non ti è lecito cercare di difenderla, tentare di credere in essa, devi invece criticarla e imparare scoprendo l'errore. Le idee sono solo congetture. Importante non è la di­fesa di qualsivoglia congettura determinata, bensì il progresso del sapere. Così, preoccupati di ammettere scrupolosamente i tuoi errori; non ti possono insegnare nulla, finché non confes­si quelli che hai commesso».
Da D. Massaro, La comunicazione filosofica, vol. 3b, Paravia, Torino, 2004, p. 735.

Fonte: http://www.bellodie.altervista.org/filo5a_file/Popper_Scienza.doc

Sito web da visitare: http://www.bellodie.altervista.org/

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

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