Nietzsche vita e opere

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Nietzsche vita e opere

NIETZSCHE
Il pensiero di Nietzsche getta le basi e permette l’affermarsi della concezione nichilistica della realtà, demolendo vecchi concetti, attaccando anche convinzioni considerate fino ad allora veri e propri dogmi del pensiero filosofico, arrivando, perfino, a dubitare del valore conoscitivo del Lógos.
La sua dottrina sancisce, però, al contempo la piena fiducia nelle capacità umane che, se ben incanala-te, potranno portare all’avvento di un qualcosa che è aldilà dell’uomo: un superuomo!
La filosofia di Nietzsche si scaglia contro l’idea della storia come progresso; del positivismo culturale e scientifico dell’epoca fiducioso in uno sviluppo progressivo.
Nietzsche anticipa e poi affianca quella che viene definita la crisi dei fondamenti che caratterizza la seconda metà dell’Ottocento e la prima metà del Novecento, che si esprime sinteticamente nella nasci-ta delle geometrie non-euclidee che aprivano scenari del tutto nuovi alla scienza, fino ad allora consi-derata perfetta.
Il filosofo ci porta con il nichilismo a vivere il nostro habitat, dove prende vita l’era della tecnica.
La vita e le opere
Friedrich Wilhelm Nietzsche nasce il 15 ottobre del 1844 a Rocken presso Lipsia.
Nietzsche comincia a scrivere poesie a dodici anni. Nel 1864 inizia gli studi di teologia, ma successi-vamente, nel 1865, si trasferisce a Lipsia per seguire lezioni di filologia classica. E’ questo il periodo in cui legge Il mondo come volontà e rappresentazione di Schopenhauer, restandone profondamente colpito: “qui vedevo la malattia e la guarigione”.
A 24 anni ottiene la cattedra di Lingua e Letteratura greca all’università di Basilea. Qui conoscerà Franz Overbeck e Richard Wagner, ed entrambi avranno un ruolo particolarmente importante per quanto concerne la formulazione del suo pensiero filosofico.
Dal 1876 in poi, a causa di continui malesseri, Nietzsche è costretto a lasciare la cattedra e a vagare per l’Europa in cerca di un clima migliore per la sua salute. A Torino dà i primi segni di squilibrio mentale. Le sue precarie condizioni psico-fisiche si aggravano, portandolo alla pazzia proprio quando inizia a riscuotere fama. Muore il 25 agosto del 1900 a Weimar.
Scritti importanti: La nascita della tragedia (1872), incontra subito l’astio dei filologi del tempo poiché mina fortemente il concetto di classicità; Umano, troppo umano. Un libro per spiriti liberi (1878) se-gna il distacco sia dal musicista che da Schopenhauer; La gaia scienza (1882); Così parlò Zarathustra (1883) pubblicata a spese dell’autore; Al di là del bene e del male (1886); Genealogia della morale (1887).
La volontà di potenza (1901, I edizione) – raccolta di aforismi – viene pubblicato postumo dalla sorel-la Elisabeth e Peter Gast.
Interpretazioni del pensiero nietzschiano
Diverse sono le critiche mosse alla filosofia di Nietzsche. Le due più screditanti sono indubbiamente la correlazione tra il suo filosofare e la sua pazzia, che caratterizzò gli ultimi anni della sua vita e il rap-porto con il nazismo.
La prima critica parte dall’idea che o la filosofia nietzschiana sia il prodotto della sua malattia o, ancor peggio, che la malattia sia stata il risultato della sua filosofia. Tale interpretazione di tipo positivistico è stata successivamente rimpiazzata da quella avanguardista che al contrario vede nel malessere di Nie-tzsche lo sprono che gli ha permesso di raggiungere tali vette del pensiero. Oggi tuttavia ogni tipo di critica mossa al lavoro del filosofo considera del tutto futili e irrilevanti tali considerazioni: ciò che ve-ramente conta è il concetto, non come sia nato!
Per quanto riguarda la correlazione tra Nietzsche e il nazismo, la questione è più spinosa. Da un punto di vista puramente cronologico, è impossibile un’adesione del filosofo al nazismo perché Nietzsche è morto prima dell’ascesa al potere di Hitler. È indubbio che molte delle considerazioni nietzschiane erano in accordo con l’ideologia del regime, tuttavia esse furono elaborate in maniera del tutto indi-pendente.
Molti critici hanno evidenziato il ruolo di Elisabeth, sua sorella, nella “nazificazione” di Nietzsche, te-nendo conto la sua adesione al nazismo, ricordando un incontro con Hitler proprio presso l’archivio, ma soprattutto mostrando una serie di errori-falsificazioni nella prima edizione de La volontà di poten-za. Malgrado delle sue responsabilità in realtà, non tutto è attribuibile alla sorella: molti passi e concetti di Nietzsche si prestano ad essere inglobati in una visione nazista, antiegualitaria, antidemocratica. Dunque la sua filosofia si presta ad essere una filosofia reazionaria.
È nel secondo dopoguerra che viene attuata un’opera di denazificazione di Nietzsche. In alcuni casi tale tendenza è addirittura sfociata in una visione di Nietzsche progressista. È superfluo affermare che, come spesso accade, la verità risiede nel mezzo. Nietzsche non era il filosofo del nazismo, né tanto-meno, però, le sue idee possono essere accostate a quelle di K. Marx o F. Engels attraverso l’idea che il superuomo prospetti metaforicamente una liberazione della moltitudine.
L’edizione più importante delle opere di Nietzsche che ha contribuito non poco a rispolverare il suo pensiero è quella critica di Giorgio Colli e Mazzino Montinari (fine anni ’50) che hanno organizzato gli scritti nel loro ordine cronologico definitivo restituendo molti aspetti inediti e modificando diverse interpretazioni preesistenti.
Pensiero e modus operandi
Nietzsche distrugge i dogmi della filosofia fino ad allora vigenti. Il suo pensiero si pone come una frat-tura insanabile con il passato e apre le porte per il mondo moderno. La vera grandezza del filosofo non sta infatti nel semplice rinnego della tradizione. A cosa varrebbe eliminare la base su cui pog-giamo senza trovarne una nuova? Ogni critica, per quanto giusta, deve essere necessariamente costrut-tiva se non vuole essere inghiottita dall’indifferenza e dall’oblio. Così, al vecchio dominio della divini-tà e di enti astratti, Nietzsche sostituisce quello della vita e dell’uomo.
Un uomo che deve spingersi oltre i suoi limiti per divenire un superuomo o oltreuomo.
Da Umano, troppo umano in poi l’aforisma diviene la prassi per la comunicazione del pensiero filo-sofico asistematico. Nietzsche paragona l’aforisma alle figure in rilievo: è possibile cogliere le cose narrate, ma sta allo spettatore andare dietro di esse e in parte costruire l’impronta data. Per questo gli aforismi si prestano a differenti interpretazioni e non è sufficiente la loro lettura per comprenderli fino in fondo. La forma breve dell’aforisma, diversamente dall’incedere sistematico, tecnico austero del linguaggio filosofico (si veda quello hegeliano) punta sull’illuminazione istantanea che precede quel “ruminare”, quel riflettere conoscitivo.
In Così parlo Zarathustra lo stile si fa invece simile a quello della poesia prosaica o a quello adottato nei Vangeli. Esposizione autobiografica e invettiva polemica prevalgono nelle ultime opere.
I vari stili evidenziano la compartecipazione del filosofo ai suoi scritti: “In tutte le opere che ho scrit-to, io ho messo dentro anima e corpo: non so che cosa siano problemi puramente intellettuali”.
Altra caratteristica dello stile di Nietzsche è la sua asistematicità. Egli rifiuta un modo di filosofare si-stematico, in particolare quello proposto da Hegel, e in verità come aveva già firtemente denunciato Feuerbach.
Il desiderio di inquadrare la realtà in un sistema è associato, secondo Nietzsche, alla volontà di potenza che regola il mondo. Il volersi impadronire del Tutto diviene così qualcosa di assolutamente illusorio e destinato al fallimento, perché risulta impossibile interpretare il mondo dominato dal caos con un si-stema ordinato. Nietzsche è un asistematico “scriba del caos” (F. Masini).
Apollineo e dionisiaco
La nascita della tragedia è un trattato filosofico in cui il giovane Nietzsche getta le basi per la formu-lazione del suo pensiero.
Il tema portante dell’opera è la distinzione tra “apollineo e “dionisiaco”, due elementi tra loro contra-stanti, ma rappresentanti in pieno la cultura greca.
L’apollineo descrive il tentativo di mettere ordine al caos del mondo, cioè, di dare forma a ciò che è informe attraverso l’armonia della scultura e della poesia epica. Apollineo è ciò che rifugge dal diveni-re delle cose.
Il dionisiaco è invece il disordine, ossia, la partecipazione completa al dramma della vita che si espri-me massimamente nella esaltazione creatrice della musica e nella poesia lirica. Dionisiaco è ciò che abbraccia e si fonde con il divenire magmatico delle cose.
L’apollineo sta al dionisiaco come la forma al caos; la ragione all’istinto!
Ora, per Nietzsche - diversamente dal giudizio della filologia dominante che vedono nell’Ellade la cul-la dell’apollineo, dell’equilibrio - il dionisiaco (asiatico) è il fondamento, della sensibilità greca. L’apollineo, anzi, nasce per arginare, sublimare il caos dionisiaco. Il dionisiaco è portato a vedere il dramma terribile della morte e gli aspetti raccapriccianti dell’essere. L’apollineo s’elabora come stru-mentazione contro il dolore e l’atrocità della vita.
In un primo momento, i due impulsi convissero separati; poi nella tragedia attica (Sofocle, Eschilo) si armonizzarono, si accoppiarono. L’arte successiva ha, invece, rotto quest’armonia, dando maggiore importanza alla parte più razionale, cioè all’apollineo. Questa “crisi” si manifesta pienamente in Euri-pide, che elimina dalla tragedia il mito e vi inserisce l’uomo comune. La decadenza della tragedia è di-rettamente collegata all’apparire sulla scena filosofica di Socrate che, con il suo atteggiamento razio-nalistico, uccide la vita fondata, al contrario, sull’istinto.
Socrate diventa il simbolo della filosofia, intesa come tentativo di mettere ordine nel mondo con il Ló-gos attraverso la ricerca di una verità assoluta. Per Nietzsche ciò costituisce una pura violenza nei con-fronti della vita, la quale è una forza straordinaria e indomabile che non segue nessuna regola e che non è possibile incasellare in un ordine precostituito. In questo senso, Nietzsche riprende l’irrazionalità della volontà di vita di Schopenhauer che non ha scopo e fine, ma muove tutto il mondo. Ne Il mondo come volontà e rappresentazione Schopenhauer aveva rivelato che alzando il ‘velo di Maya’ delle ap-parenze scopriamo un mondo vulcanico, caotico, irrazionale e senza scopo che corrisponde esatta-mente al principio dionisiaco di cui parla Nietzsche.
Contro la decadenza dell’Occidente il dionisiaco ci salverà! Dioniso, dio dell’ebbrezza e della gioia, incarna in Nietzsche l’accettazione totale del flusso della vita.
La critica a Socrate è, quindi, una critica alla filosofia: non esistono verità assolute e il Lógos, sebbene sembri aver prodotto il meglio della cultura occidentale, non è uno strumento adatto alla conoscenza, anzi si rivela nefasto nel momento in cui ci allontana dal caos della vita.
La consapevolezza dell’insensatezza della vita comporta il carattere doloroso della vita stessa, indivi-duato già da Schopenhauer e a cui, però, i due filosofi rispondono in maniera praticamente opposta. Se, infatti, Schopenhauer fugge la vita attraverso l’ascesi che si configura come rinuncia alla stessa volontà di vita, Nietzsche giunge alla consapevolezza che è necessario accettare la vita così com’è.
Dioniso diventa un modello del flusso della vita, vissuta senza freni e inibizioni, dove il caos regna in-contrastato e ogni atteggiamento è ambiguo: può significare una cosa come l’esatto contrario. Il dio è quindi l’affermazione più completa della vita e del mondo.
Compreso ormai che il Lógos non ha alcun valore gnoseologico, Nietzsche arriva a dire che solo l’arte, in particolare la musica, ci dà la possibilità di conoscere le verità della vita, e individua nella musica di Wagner l’incarnazione dell’ideale tragico.
Il fenomeno dell’arte viene posto al centro; con esso e a partire da esso viene spiegato il mondo.” (E. Fink, La filosofia di Nietzsche).
Storia e vita
Nel saggio Sull’utilità e il danno della storia per la vita, contenuto nelle Considerazioni inattuali (1874), Nietzsche si mostra contrario a qualsiasi tipologia di storia. Per comprendere la posizione del filosofo nichilista, è opportuno ricordare come fosse cambiata la storiografia con l’avvento del marxi-smo.
La storiografia tradizionale era un “minestrone” i cui ingredienti, gli avvenimenti, erano mescolati tutti insieme, semplicemente impilati l’uno dietro l’altro non trovavano alcun fondamento e spiegazione, per cui avevano tutti la stessa importanza ed erano parimenti determinanti e determinati.
Con la concezione materialistica di Marx per la prima volta viene fornito un metodo per “fare storia”: i fatti sono ricondotti alla loro matrice economica attraverso la divisione di struttura e sovrastruttura. E’ così che è possibile separare il grano dalla pula, la causa dall’effetto e dare un ordine alla storia.
La critica di Nietzsche è radicale e coinvolge anche l’impostazione marxista. La storia - come del resto aveva affermato Schopenhauer - non è una scienza e il suo sviluppo non è affatto inquadrabile in nes-sun ordine. I fatti stessi non esistono: ciò che gli storici ci forniscono sono solo interpretazioni, cioè visioni soggettive di quanto è accaduto. Di conseguenza, la storia non può essere ascritta in un ambito scientifico, e non produce nessuna conoscenza proficua.
Secondo Nietzsche esistono tre tipi di storia:
1) la storia monumentale dell’individuo che cerca la grandezza del passato per poterla riprodurre nel presente;
2) la storia antiquaria di chi “guarda indietro con fedeltà e amore, verso il luogo onde proviene, dove è divenuto”;
3) la storia critica di chi è capace di “infrangere e dissolvere un passato per poter vivere”.
Il tipo di storia a cui Nietzsche si sente più vicino è ovviamente l’ultimo, dal momento che la storia è solamente un peso, una catena da cui liberarsi per poter vivere più intensamente il presente.
La storia, infatti, non può far altro che danneggiare l’uomo e comprimere le energie vitali.
La filosofia illuministica e genealogica
L’opera Umano, troppo umano dedicata a Voltaire, segna il passaggio dall’età giovanile al periodo che viene definito “illuministico”, caratterizzato da una ritrovata fiducia nella ragione: la scienza rappre-senta un faro che illumina con il suo procedere razionale le tenebre della superstizione e della menzo-gna. La ricerca scientifica si concretizza in un’aspra critica a tutta la cultura occidentale, condotta attraverso il metodo genealogico, il cui scopo è liberare l’uomo dagli “errori” passati.
La svolta razionalistica comporta un allontanamento sia da Schopenhauer - che aveva cercato di libe-rarsi dalla volontà di vita, attraverso la pratica ascetica e, più in generale, aveva visto una struttura irra-zionale del mondo -, sia da Wagner, la cui arte non sembra più fornire verità valide per l’uomo.
La filosofia del martello è la critica con cui vengono polverizzati i concetti e le categorie della cultura occidentale che si credeva fossero eterni e immutabili, ed essa si esplica con il metodo genealogico, cioè un metodo critico di tipo storico-genealogico.
Il metodo consta di due parti:
1) l’analisi storico-concettuale, con cui i concetti astratti sono riportati in una dimensione umana, cioè nel loro ambito storico-culturale;
2) la critica demistificante, che mostra le motivazioni umane per cui i concetti hanno assunto una determinata forma in una determinata epoca storica.
Questa istanza critica della filosofia – come abbiamo visto – trova un suo antecedente nell’analisi an-tropologica di Feuerbach, ma ancor più esplicito e articolato lo si ritrova in Marx.
La critica demistificante, dunque, avvicina Nietzsche agli altri ‘filosofi del sospetto’, tra cui Schopen-hauer, Marx e Freud, i quali si impegnano in un'opera di smantellamento delle certezze legate al pen-siero occidentale. All’interno dei concetti e delle idee-valori, infatti, esistono delle motivazioni umane, “ahi troppo umane”.
Il “troppo” indica che, a un’analisi più approfondita del concetto, esso stesso non è più da considerarsi eterno, né tantomeno, “sovrumano” ma, anzi, risponde a esigenze concrete degli uomini. Tutti i con-cetti e delle idee-valori sono, dunque, prodotti storici che rispondono a bisogni e interessi. Bisogna che si analizzino le idee, i valori, i sentimenti come “una chimica delle idee e dei sentimenti” che metta ca-po da una parte alla demistificazione, cioè mostrando come da idee semplici e bisogni si elaborino concetti ‘nobili’; dall’altra bisogna mostrare il loro carattere “dialettico”, o meglio il ruolo dinamico che ha avuto il negativo nella elaborazione di quel concetto.
La filosofia illuministica e genealogica di Nietzsche si rappresenta con le figure dello spirito libero e della filosofia del mattino.
Lo spirito libero si raffigura con la figura del viandante che, grazie ad una gaia scienza, alla libera ri-cerca, riesce a liberarsi ed emanciparsi dal passato e dalle certezza assolute, tra cui in particolare la morale e la metafisica. Tale processo porta a quella che Nietzsche chiama filosofia del mattino in cui l’uomo vive la vita come transitorietà e libero esperimento: che si traduce come semplice possibilità.
Chi anche solo in una certa misura è giunto alla libertà della ragione non può poi sentirsi sulla terra nient’altro che un viandante. (Umano, troppo umano)
Mentre Nietzsche si occupa della morale negli ultimi scritti, affronta la questione della metafisica con l’annuncio della morte di Dio nella Gaia Scienza che è la critica più completa di questo errore.
La morte di Dio e della metafisica
La metafisica è un errore dell’umanità.
Quando Nietzsche discute della morte di Dio non bisogna pensare che sia solo una metafora della me-tafisica ma anche della reale impossibilità di credere ancora in un Dio, la cui esistenza è ormai super-flua nella nostra epoca.
Se, infatti, del Medioevo non si poteva scrivere la storia senza tenere conto delle implicazioni dell’intervento divino, oggi parlare di Dio è un ostacolo alla corretta comprensione della realtà.
Davanti a un cosmo disordinato che si mostra informe e senza regole, Dio rappresenta la ricerca dispe-rata di ordine, il tentativo inutile di contrastare la durezza dell’esistenza:
C’è un solo mondo ed è falso, crudele, contraddittorio, corruttore, senza senso. […] Noi abbiamo biso-gno della menzogna per vincere questa realtà, questa ‘verità’, cioè per vivere. (Frammenti postumi)
La paura del caos rappresenta, in ultima analisi, la paura della morte che, a sua volta, nasce dall’idea che il nostro essere possa essere fagocitato e distrutto dal nulla.
Di fronte al caos, l’uomo rimane, dunque, pietrificato dal dolore e crea l’immagine di Dio che, in un primo momento, lenisce le sofferenze, ma risulta poi funesta poiché ci allontana dalla vera essenza del-la vita e del mondo. Come la filosofia, infatti, anche la religione rappresenta una forzatura, una violen-za nei confronti della vita, perché acquieta la forza straordinaria della vita stessa arrivando addirittura alla sua uccisione.
L’idea di Dio risulta essere, quindi, “la nostra più lunga menzogna” per poter controllare il caos del mondo. L’uomo pietrificato davanti alla forza del caos ha escogitato l’idea di Dio per potersi quietare, per trovare senso davanti al vuoto incombente.
Per Nietzsche non è più necessario dimostrare la non-esistenza di Dio attraverso una prova teorico-filosofica perché è ormai rivelato l’inganno, sia attraverso la sua riduzione ad antropologia - come aveva già fatto Feuerbach - ma anche, semplicemente, davanti alla insensatezza caotica del mondo - come aveva mostrato Schopenhauer. Non si può che essere atei!
Un tempo si cercava di dimostrare che Dio non esiste, oggi si mostra come ha potuto avere origine la fede nell’esistenza di Dio, e per quale tramite questa fede ha avuto il suo peso e la sua importanza: in tal modo una controdimostrazione della non esistenza di Dio diventa superflua. (Nietzsche, Aurora)
Nella Gaia scienza il messaggio “Gott ist tot!” (“Dio è morto!”) è annunciato con toni fortemente drammatici dall’uomo folle:
Il folle uomo balzò in mezzo a loro e li trapassò con i suoi sguardi: “Dove se n’è andato Dio? – gridò – ve lo voglio dire! Siamo stati noi ad ucciderlo: voi e io! Siamo noi tutti gli assassini! Ma come abbiamo fatto questo? Come potemmo vuotare il mare bevendolo fino all’ultima goccia? Chi ci dette la spugna per stru-sciar via l’intero orizzonte? Che mai facemmo, a sciogliere questa terra dalla catena del suo sole? Dov’è che si muove ora? Dov’è che ci muoviamo noi? Via da tutti i soli? Non è il nostro un eterno precipitare? E all’indietro, di fianco, in avanti, da tutti i lati? Esiste ancora un alto un basso? Non stiamo forse vagando come attraverso un infinito nulla? Non alita su di noi lo spazio vuoto? Non si è fatto più freddo? Non se-guita a venire notte, sempre più notte? Non dobbiamo accendere lanterne la mattina? Dello strepito che fanno i becchini mentre seppelliscono Dio, non udiamo dunque nulla? Non Fiutiamo ancora il lezzo della divina putrefazione? Anche gli dei si decompongono? Dio è morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo uc-ciso! Come ci consoleremo noi, assassini di tutti gli assassini? Quanto di più sacro e di possente il mondo possedeva fino ad oggi, si è dissanguato sotto i nostri coltelli; chi detergerà da noi questo sangue? […] Vengo troppo presto – proseguì – non è ancora il mio tempo. Questo enorme avvenimento è ancora per strada e sta facendo il suo cammino: non è ancora arrivato fino alle orecchie degli uomini. Fulmine e tuono vogliono tempo, il lume delle costellazioni vuole tempo, le azioni vogliono tempo, anche dopo es-sere state compiute, perché siano vedute e ascoltate. […] Che altro sono queste chiese, se non le fosse e i sepolcri di Dio?” (La Gaia scienza, 125)
“Che altro sono queste chiese, se non le fosse e i sepolcri di Dio?”. “Dio è morto. Dio resta morto!” La chiesa, in quanto istituzione, non è altro che la testimonianza di un passato ormai superato, che non ha più ragione di esistere. Eppure l’uomo sembra non riuscire ad accettare tale verità e a superare la ver-tigine del nulla, cioè la mancanza dei valori e di un senso dell’esistenza: “Vengo troppo presto […] non è ancora il mio tempo”. La morte di Dio è il processo di secolarizzazione che si compie lentamen-te sotto i nostri occhi, per cui la storia si spoglia degli orpelli religiosi e diventa sempre più laica. Que-sto fenomeno, tuttavia, incontra la resistenza delle masse, cosicchè occorrono secoli affinché questa idea possa essere definitivamente accettata: i popoli poveri di filosofia credono e crederanno ancora a lungo nell’esistenza di Dio, perché ne hanno bisogno. Le religioni sopravvivranno ancora a lungo no-nostante si mostrino come sciocchezze, bagatelle finanche al semplice buon senso.
Quando una mattina di domenica sentiamo rimbombare le vecchie campane, ci chiediamo: ma è mai possibile! Ciò si fa per un ebreo crocifisso duemila anni fa, che diceva di essere il figlio di Dio. (Umano, troppo umano).
Eppure, queste menzogne continuano ad esistere:
Nella vecchia Europa, mi sembra che anche oggi sia pur sempre la maggioranza ad avere necessità del cri-stianesimo, perciò esso continua sempre a trovare chi gli presta fede. Così infatti è l’uomo: anche se un ar-ticolo di fede potesse essere mille volte confutato – posto che egli lo sentisse necessario -, continuerebbe sempre a tenerlo per ‘vero’. (La gaia scienza)
La morte di Dio, intanto, ha cassato via l’intero orizzonte! Non esiste più una destra, una sinistra, un alto, un basso! Insomma, il cielo, ripulito dalla grande menzogna, ha annichilito le costellazioni che ci indicavano il cammino!
L’avvento del Superuomo
Dio è morto e tutta la configurazione concettuale della realtà è crollata insieme alla metafisica. Davanti a noi ritorna un cosmo tutt’altro che ordinato e benefico, bensì - come aveva già rilevato Schopenhauer - senza un senso e una direzione.
La religione, la metafisica sono stati rimedi che si son rivelati peggiori del male!
Questa consapevolezza non comporta però la perdita di senso delle azioni umane ma, anzi, apre davan-ti all’uomo infinite possibilità.
La morte di Dio è l’atto di nascita del superuomo! La morte di Dio è la condizione del superuomo! E’ in questa assenza, in questa voragine che compare sulla scena il superuomo. In questa assenza di co-stellazioni che ci indicano il cammino è possibile avanzare ‘per l’alto mare aperto’. Dio è morto, tutto è possibile!
Noi filosofi e “spiriti liberi”, alla notizia che il vecchio Dio è morto, ci sentiamo come illuminati dai raggi di una nuova aurora; il nostro cuore ne straripa di riconoscenza, di meraviglia, di presentimento, d’attesa – finalmente l’orizzonte torna ad apparirci libero, anche ammettendo che non è sereno – finalmente pos-siamo di nuovo scioglier le vele alle nostre navi, muovere incontro a ogni pericolo; ogni rischio dell’uomo della conoscenza è di nuovo permesso; il mare, il nostro mare, ci sta ancora aperto dinanzi, forse non vi è ancora mai stato un mare così “aperto”. (La gaia scienza)
Nel viaggio di cui parla Nietzsche tutto è possibile, poiché l’annichilimento della cultura occidentale permette la scoperta di nuovi orizzonti culturali, di nuove dimensioni culturali in cui progettare l’esistenza al di fuori di una struttura metafisica.
Morti sono tutti gli dei: ora vogliamo che il superuomo viva. (Nietzsche, Così parlò Zarathustra)
Per scongiurare il ritorno a qualsiasi tipo di metafisica, Nietzsche non vuole semplicemente la morte di Dio, ma anche di ogni suo ipotetico surrogato, e con quest’ultimo si può intendere qualsiasi tipo di certezza. Surrogati di Dio sono lo Stato, la morale, la verità, la scienza, il socialismo, ecc. cioè tutte quelle altre idee-divinità a cui gli uomini orfani si prostrano, che devono essere assassinati senza rive-renza alcuna per poter fare conoscenza veramente con il flusso della vita, il caos dionisiaco.
L’intento di Nietzsche è arrivare a una ‘maggiorazione’ della vita attraverso un pieno adeguamento alla vita stessa, eliminando tutto ciò che è estraneo alla vita reale e che sfocia quindi nella metafisica. Sco-po dell’uomo è raggiungere dunque l’ateismo assoluto:
l’ateismo assoluto, onesto è […] una vittoria finale e faticosamente conquistata dalla coscienza europea, in quanto è l’atto più ricco di conseguenze di una bimillenaria educazione alla verità, che nel suo momento conclusivo si proibisce la menzogna della fede in Dio. (Aurora)
La morte di Dio coincide con la morte della metafisica e il definitivo tramonto del platonismo: meta-fisica par exellence! Il platonismo rappresenta per Nietzsche l’origine della metafisica, perché ha il demerito di aver separato il mondo reale dalle idee, sublimando concetti storici in concetti imperituri ed eterni nell’iperuranio. A partire da Platone i filosofi hanno dovuto fare i conti con una prospettiva dualistica del mondo che solo il superuomo sarà, secondo Nietzsche, capace di schiantare!
Zarathustra
Così parlò Zarathustra è l’opera che contraddistingue il periodo della filosofia del meriggio, terza e penultima fase della speculazione nietzschiana. I temi portanti sono il mito del superuomo, l’eterno ritorno dell’uguale e la volontà di potenza, ovvero, il nucleo principale della asistematica riflessione del filosofo, spirito libero che si sgancia dall’“oltremondo” per approdare verso orizzonti nuovi, non precostituiti, e perdersi nel mare aperto delle possibilità, dopo aver “ucciso” Dio.
Zarathustra è stato, per Nietzsche, il primo a rendere la morale in termini metafisici cosicchè a lui spet-ta ravvedersene per prima:
Zarathustra ha creato questo errore fatale, la morale, di conseguenza egli deve essere anche il primo a riconoscere quell’errore. (Zarathustra).
Zarathustra è l’alter-ego di Nietzsche! Zarathustra è il profeta del superuomo: lo annuncia!
Il superuomo (Übermensch) rappresenta la compiuta realizzazione del pensiero di Nietzsche, il concet-to filosofico dominante che proprio a partire dalla morte di Dio, si prefigura come possibile “salvezza” per l’uomo occidentale che, denudato dalle sue fallaci e illusorie certezze, deve ora reinventarsi e co-struirsi da sé. Il superuomo di cui si parla è, perciò, un uomo che si inchina alla vita, accettandone la tragicità ed emancipandosi dalla sfera morale e dalla dimensione religiosa, e che fa propria la prospet-tiva dell’eterno ritorno (ciclicità degli eventi).
“L’uomo è una corda tesa tra la bestia e il superuomo”. Il superuomo è colui che è capace, al di là di tutto, senza nessuna guida, di dire sì al flusso della vita alla dimensione dionisiaca dell’esistenza, senza accettare sovrastrutture di tipo ideologico. Chi si adegua al flusso degli eventi e al fatto che Dio è mor-to. Il superuomo è chi adegua le pulsioni vitali con la vita stessa, senza ricercare esempi altrove, ma si muove solo nella sua dimensione.
Nietzsche tiene molto a sottolineare il rapporto superuomo-terra, basato su una fedeltà che il superuo-mo deve alla terra e a nessun’altra “sovraterrena speranza”.
Vi scongiuro, fratelli, rimanete fedeli alla terra e non credete a quelli che vi parlano di sovra terrene spe-ranze! Lo sappiano o no: costoro esercitano il veneficio. (Prefazione, Zarathustra)
In questo modo il filosofo sta mettendo praticamente a tacere ogni supposizione inspiegabile che pre-sume l’esistenza di un’anima che viva nell’ultraterreno.
L’uomo è corpo, null’altro! Pertanto, egli non è alla ricerca più di alcuna dimora che si trovi nell’aldilà, ma la sua esistenza trova senso nell’espressione della sua libertà terrena. Zarathustra in uno dei suoi primi discorsi racconta proprio di come il superuomo per divenire tale subisce tre metamorfosi:
“Lo spirito diventa cammello, e il cammello leone, e infine il leone fanciullo” (Delle tre metamorfosi):
• Il cammello è l’uomo ancora legato alle tradizioni e al culto di certezze oltremondane;
• Il leone rappresenta l’uomo che si libera della sfera metafisica, rigettandola. Il suo rapporto con la libertà non è però ancora completamente definito. Si tratta di una volontà negativa.
• Il fanciullo costituisce, invece, la creatura dionisiaca che si sente realizzata nella sua accetta-zione della vita. E’ il superuomo, spirito libero, che si muove alla stregua della sua libertà, ver-so orizzonti “involati”.
Il superuomo è stato diversamente interpretato. Una interpretazione che possiamo definire di destra lo “legge” come uomo eccezionale, super-uomo anche in senso biologico, élite; un’interpretazione di ‘si-nistra’ traduce Übermensch con oltre-uomo (Vattimo) per poi in certi casi arrivare addirittura ad af-fiancare Nietzsche e Marx: superuomo = umanità liberata.
In realtà in Nietzsche, al di là delle metafore, delle parabole, ecc., il superuomo ha effettivamente no-tevoli tratti che lo configurano come élite, “razza dominatrice” che esprime il suo elitarismo con la schiavitù della massa inferiore. E’ evidente come in questa figura si condensi un atteggiamento an-tiegualitario e antidemocratico che successivamente doveva essere sfruttato dalla propaganda nazi-sta.
L’eterno ritorno
Folgorato durante una passeggiata a Sils Maria, in Engadina, nel 1881 Nietzsche arriva alla intuizione dell’eterno ritorno dell’uguale: “il più abissale dei miei pensieri”.
Nell’aforisma 341 della Gaia scienza si pone il dilemma di cosa accadrebbe se un demone ponesse ad un uomo una “eterna sanzione”:
L’eterna clessidra dell’esistenza viene sempre di nuovo capovolta e tu con essa, granello della polvere? (Gaia scienza, 341)
L’uomo sarebbe terrorizzato da una vita che si ripeterebbe uguale in “ogni dolore e ogni piacere” e stritolato da questo peso per le future scelte. Al contrario, una gioia pervaderebbe il superuomo che ama la vita, accetta totalmente la vita. Come nella Fenomenologia di Hegel il signore diventa tale per-ché non ha paura della morte, così in Nietzsche chi accetta la vita nella sua totalità con il suo aspetto dionisiaco diventa superuomo.
Un’altra suggestiva formulazione si trova in Così parlò Zarathustra. Un serpente nero entra nella bocca di un pastore, forse mentre sta dormendo, e il giovane rischia di essere soffocato. Allora Zara-thustra gli grida di mordergli la testa, di staccargliela.
Lontano da sé sputò la testa del serpente e balzò in piedi. – Non più pastore, non più uomo – un trasfor-mato, un circonfuso di luce, che rideva! Mai prima al mondo aveva riso un uomo, come lui rise! (Così parlò Zarathustra)
Con tutta evidenza il serpente rappresenta il circolo, il tempo che ritorna, l’eterno ritorno dell’uguale. Il giovane pastore è l’uomo che diventa superuomo: il ridente circonfuso di luce. Il passaggio è reso pos-sibile proprio perché il giovane pastore vince la ripugnanza dell’eterno ritorno, staccando la testa al serpente a significare l’accettazione totale della vita.
Come si può vedere Nietzsche ritorna ad una concezione greca, presocratica, e comune alle antichis-sime culture indiane: al tempo ciclico! “Ricurvo – dice Zarathustra – è il sentiero dell’eternità”.
I Greci non mettono mano ad una filosofia della storia dato che sono impegnati nella ricerca delle forme che permangono. Il divenire della natura, dell’uomo stesso sembra loro qualcosa di accidentale, esteriore. Il divenire delle cose si inserisce in uno schema circolare dove tutto si ripete all’infinito.
Con il cristianesimo si apre una nuova concezione del tempo e della storia. Il cristianesimo avversa qualsiasi impostazione pagana e atea della ripetizione infinita dei cicli. Alla visione ciclica viene oppo-sta una visione lineare del tempo. La storia viene vista non più come una serie di avvenimenti insensa-ti, ma dotati di senso, cioè come una totalità dotata di senso e di scopo! Questo senso del tempo e della storia hanno, per la prima volta, una prima ampia formulazione e applicazione in Agostino con l’opera La città di Dio in cui istituisce un parallelo tra le sei epoche della storia dell’umanità e i sei giorni della creazione. La storia ha un significato: gli avvenimenti non s’impilano uno dietro l’altro in maniera ca-suale, ma secondo un ordine, un disegno, in una direzione, dunque, secondo uno scopo. In Agostino questo tempo lineare, rappresentato come una freccia scagliata verso un obiettivo, si muove secondo lo schema Eden – caduta – redenzione.
La storia, complessivamente, si configura come storia della salvezza dove, ovviamente, gli eventi si ripetono una sola volta. Cosa ne sarebbe della figura di Cristo in croce – polemizza Agostino versus i pagani – nel tempo circolare? Cristo sarebbe ridotto a mero attore che prova all’infinito il sacrificio della croce!
Ora è facile vedere in questo incedere triadico, lo schema escatologico (“fine ultimo”) che informerà la riflessione filosofica hegeliana anche se i termini propriamente teologici si affievoliscono in quelli “secolarizzati” di Ragione, Spirito.
La dottrina dell’eterno ritorno è stata diversamente interpretata giacchè lo stesso Nietzsche ne ha dato diverse prospettive. A tratti sembra che l’eterno ritorno poggi su una spiegazione scientifica che vede la energia-materia finita muoversi in un tempo infinito cosicchè le combinazioni della energia-materia devono necessariamente ripetersi.
Un’altra interpretazione parte, invece, dall’impatto che l’eterno ritorno ha sulla dimensione etico-esistenziale dell’uomo: un selettore di scelte che prescrive di amare la vita e di agire, appunto, come se tutto dovesse ritornare.
Ancora, l’eterno ritorno e la circolarità del tempo è la critica, di fatto, all’idea positivistica (comtiana) di uno sviluppo lineare dove sviluppo viene inteso sostanzialmente come progresso.
Nonostante le difficoltà interpretative risulta tuttavia chiaro, netto il rifiuto del tempo lineare cristiano. Vi è il rifiuto di pensare che ogni attimo sia in funzione del successivo sicchè mai ad es. è possibile la felicità perché sempre si sposta in un senso futuro. Il tempo lineare è un tempo d’angoscia giacchè il senso è sempre spostato sull’asse del futuro. Al contrario per Nietzsche ogni attimo è in se stesso sferi-co, pieno!
L’eterno ritorno, in ogni caso, con il suo tempo ciclico riporta alla fedeltà alla terra contro qualsiasi aspirazione oltremondana. Il senso dell’essere è tutto nell’essere, non c’è nessun fuori, oltre: nessun iperuranio è in agguato! Il tempo è solo l’incedere “innocente” e “dionisiaco” delle cose.
Infine, l’eterno ritorno, invita e, ad un tempo, mostra la coincidenza di essere e senso. Ogni attimo come tutto pieno è anche il senso e ciò è la sola possibilità di poter realizzare “la felicità del circolo”.

Genealogia della morale
Nell’ultimo Nietzsche la filosofia del martello manda in frantumi le credenze dominanti, le menzogne.
Innanzitutto bisogna partire dalla morale, dalla morale come problema.
Abbiamo bisogno di una critica dei valori morali, di cominciare a porre una buona volta in questione il va-lore stesso di questi valori. (Genealogia della morale)
Nietzsche mette in discussione la morale attraverso un’indagine genealogica, che evidenzia gli elemen-ti storici, culturali e psicologici che hanno dato vita alla morale stessa e ne hanno determinato la sua funzione all’interno della società umana.
I concetti etici non sono eterni, ma storici, e in quanto tali nascondono al loro interno interessi sordi-damente umani, “cose umane, ahi troppo umane”. La pretesa naturale ed astorica di una “voce della coscienza”, di una “voce di Dio in petto” è assolutamente falsa: essa non è altro - anticipando Freud - che la forma dell’educazione inculcata dalle autorità sociali.
In particolare Nietzsche individua nella morale una delle espressioni con cui si presenta la volontà di potenza, anche nel senso della sua forma più bieca, cioè come volontà di sopraffazione, di dominio umano. In ultima analisi l’etica si dimostra infatti utile per il mantenimento e il rafforzamento delle forme di dominio umano.
La trascendenza della morale è soltanto un’illusione, perché essa in realtà non è altro che una creazio-ne dell’uomo divinizzata e presentata come eterna. Le verità che essa ci propina non sono che menzo-gne al pari dell’esistenza di Dio.
E’ necessaria quindi una trasvalutazione dei valori:
la mia verità è tremenda: perché fino a oggi si chiamava verità la menzogna. Trasvalutazione di tutti i valori: questa è la formula per l’atto con cui l’umanità prende la decisione suprema su se stessa, un at-to che in me è diventato carne e genio. (Ecce homo)
Nella sua analisi storica, Nietzsche distingue due forme diverse di morale: quella dei signori, che ap-parteneva la mondo greco, e quella degli schiavi, propria del cristianesimo.
La morale dei signori rappresenta in pieno tutte le energie vitali dell’uomo, e quindi la forza, la salute fisica e psichica, la gioia, la fierezza, e predica l’abbandono totale al flusso della vita, la piena accetta-zione del caos del mondo. Una morale di questo tipo predilige l’espressione del corpo su quella dello spirito.
L’avvento del cristianesimo ha però spinto la morale in tutt’altra direzione, improntandola a valori antivitali, quali il sacrificio di sé, l’abnegazione o il disinteresse. Ciò si spiega con l’instaurazione, ad opera dei sacerdoti, di una sorta di dittatura del pensiero, che impone la superiorità dello spirito sul corpo non potendo certo competere con i guerrieri sul piano della forza. La dualità corpo-spirito, di derivazione platonica, viene decisamente marcata e rafforzata in una concezione che fa della materia e del corpo, un elemento transeunte e inessenziale, e dello spirito una sostanza immutabile, eterna, necessaria.
Il cristianesimo rappresenta la massima espressione della morale degli schiavi, cioè di coloro che sop-primono la volontà di potenza con un’imposizione del pensiero, allo scopo di contrastare la morale dell’elite dei guerrieri. Con il cristianesimo la vita si è posta contro la vita! Il cristianesimo ha celebra-to valori antivitali. Ciò è cominciato con il popolo ebraico che in maniera sistematica ha rovesciato i valori guerrieri nella apologia del debole e del deforme:
i miserabili soltanto sono i buoni; solo i poveri, gli impotenti, gli umili sono i buoni; i sofferenti, gli indi-genti, gli infermi, i deformi sono anche gli unici devoti. (Genealogia della morale)
A questo punto Nietzsche si occupa di stabilire quali siano state le conseguenze a livello psicologico della soppressione degli impulsi istintuali e vitali. Innanzitutto si rende conto che la concezione del peccato ha creato un uomo malato, preso continuamente dai sensi di colpa. Il cristiano è infatti co-stretto in una camicia di forza, la morale degli schiavi, che naturalmente non gli appartiene. La limita-zione delle sue energie vitali causa un autotormento, che si concretizza non solo nella macerazione del proprio essere, ma anche nel senso del rimorso e poi del risentimento, causa, quest’ultimo, dell’aggressività e di veri comportamenti violenti come le guerre religiose testimoniano.
Per Nietzsche la simpatica figura di Gesù – “santo anarchico” anche se un po’ “idiota” – si sarebbe ri-voltato contro qualsiasi istituzione:
La Chiesa è esattamente ciò contro cui Gesù ha predicato e contro cui egli ha insegnato ai suoi discepoli a combattere. (Ecce homo)
Non rimane al filosofo che essere legislatore di una nuova morale che insegni i valori vitali. I veri filo-sofi sono dominatori e legislatori! A partire dagli operai scientifici della filosofia, tra cui nientemeno, Kant ed Hegel, i veri filosofi dicono: “così deve essere!” (Al di la del bene e del male!)
La volontà di potenza
La volontà di potenza è uno degli elementi più controversi della filosofia nietzschiana, al punto tale che ha permesso una lettura del filosofo in entrambi gli schieramenti politici, la destra e la sinistra, sebbene, in realtà, il suo pensiero non sia catalogabile entro tali angusti schemi. Indubbi, in ogni caso, elementi che si caratterizzano come antiegualitari, reazionari, che inneggiano al dominio sugli schiavi, ecc.
La volontà di potenza è per Nietzsche l’”intima essenza dell’essere”. La vita è autoaffermazione! Da un punto di vista individuale, la volontà di potenza è quell’elaborazione o processo attraverso cui si esprime la propria identità. L’affermazione di se stessi, il riconoscimento della propria identità è – prendendo a prestito la terminologia hegeliana – un uscire fuori di sé e un ritornare in sé trovando nell’altro lo specchio della propria identità. Detto in altri termini il processo identitario si manifesta at-traverso la mediazione con un altro essere, che in Nietzsche si risolve con la autoaffermazione-sopraffazione dell’altro.
Trattenerci reciprocamente dall’offesa, dalla violenza, dallo sfruttamento, stabilire un’eguaglianza tra la propria volontà e quella dell’altro: tutto questo può diventare una buona costumanza tra gli individui […]. Ma appena questo principio volesse prendere ulteriormente terreno, addirittura, se possibile, come principio basilare della società, si mostrerebbe immediatamente per quello che è: una volontà di nega-zione della vita, un principio di dissoluzione e di decadenza. (Al di là del bene e del male)
E’ chiaro che questa visione implica una visione elitaria in cui c’è “bisogno della schiavitù” e una dif-ferenziazione gerarchica affinchè vi sia un progresso della società verso il superuomo. Ogni progres-so è stato, secondo Nietzsche, “opera di una società aristocratica” come di una società che crede nella “differenziazione tra uomo e donna” (in Così parlò Zarathustra, aveva detto: “Vai da una donna? Non dimenticare la frusta!).
Ogni lotta per uguaglianza dei diritti è già un sintomo di malattia. (Ecce homo)
E’ possibile comunque interpretare il processo identitario del superuomo come libera progettazione: ognuno è creatore della propria vita e ha una libertà di produzione che non rispetta nessun ordine pre-stabilito. Anche per questo Nietzsche individua nell’arte un elemento fondamentale. L’arte, come tra-svalutazione del reale, ci avvicina a ciò che vogliamo, sia nella rappresentazione dell’individuo che nei nostri desideri, ed è sempre un elemento che ci porta al di là delle conoscenze certe. L’artista può es-sere considerato quindi la “prima visibile figura dell’oltreuomo”. (Vattimo)
Infine, è possibile interpretare il concetto di volontà di potenza, dal punto di vista dell’intera specie umana, come la manifestazione della volontà dell’uomo di creare una rete di concetti tale da ‘pescare’ il mondo e di tenerlo ‘irretito’ in un ordine razionale. Le leggi che l’uomo crea in realtà non rappresen-tano che il vano tentativo di spiegare il mondo, dominato dal caos, attraverso il Lógos.
Per Nietzsche non esiste nessun tipo di certezza, e dunque tutto è relativo; l’unica cosa di cui possiamo essere certi è che:
Questo mondo è volontà di potenza – e nient’altro! E anche voi stessi siete questa volontà di potenza – e nient’altro! (Frammenti postumi)
L’ospite inquietante
Nietzsche stesso si definisce il primo nichilista d’Europa! Ma che cosa è precisamente il nichilismo? Che volto ha questo ospite che ormai si siede alle nostre tavole, respira la nostra aria? Che volto ha “il più inquietante fra tutti gli ospiti” (Frammenti postumi 1885-1887, fr. 2 (127))?
In maniera chiara e sintetica:
Nichilismo: manca il fine; manca la risposta al ‘perché’; che cosa significa nichilismo? – che i valori su-premi perdono ogni valore.” (Frammenti postumi 1887-1888, fr. 35)
Manca il fine, lo scopo e i valori si svalorizzano!
Siamo al “crepuscolo degli idoli”, “il senso dei valori non è all’altezza dei tempi”!
La più semplice forma di nichilismo consiste nella “volontà del nulla”, ovvero il rifiuto e la fuga dalla realtà concreta; la nascita di tale modo di percepire il mondo è attribuita al platonismo e al cristianesi-mo.
Nietzsche spiega il nichilismo anche come la condizione dell’uomo moderno che, caduta ogni convin-zione su una realtà organizzata e retta da perfette entità metafisiche, razionali ed eterne, ai valori su-premi di Dio, della verità assoluta, di bene, capisce che Dio è morto e si lascia andare al più profondo sgomento. La nascita di questo modo di rapportarsi con la realtà è da imputare alla delusione dell’umanità nel constatare che i valori e i fini assoluti, derivati dalle metafisiche, non sono altro che una menzogna priva di riscontro nella realtà.
Il concetto di “uno”, “vero”, “buono” non esistono! È inutile ricercare un senso alle cose, perché un senso non c’è. Così, quanto più l’uomo si è lasciato andare alle farneticazioni, tanto più paga lo scotto della vera essenza delle cose.
L’organizzazione che abbiamo dato ai fenomeni, al mondo non è affatto organizzata su base oggettiva, universalmente e univocamente data. L’organizzazione del mondo nella rete di concetti e di senso è stabilita semplicemente dalla volontà di potenza che impone il proprio fine!
Nietzsche supera il concetto stesso di nichilismo, facendo diventare la condizione di sconforto solo una tappa intermedia e passeggera tra l’iniziale illusione e l’effettiva comprensione. Probabilmente proprio per questa ragione Nietzsche distingue tra nichilismo incompleto e completo.
Il nichilismo incompleto è quello che si palesa per primo, e consiste nella crisi degli ideali e nello scon-forto. Per superare questo stato d’animo si ha la creazione di surrogati, di nuovi idoli che svolgono una funzione analoga a quelli iniziali. In pratica l’uomo ha ancora bisogno di un’entità che gli detti la giu-sta condotta: ha ancora bisogno di verità! Tale stato può portare al massimo ad una serie ininterrotta di cicli di creazione di nuove entità e rispettive distruzioni. Esempi di questo tipo di nichilismo sono mol-teplici: lo Stato, il nazionalismo, il socialismo, l’anarchismo, il positivismo, il naturalismo, ecc.
Il nichilismo completo permette finalmente all’uomo di liberarsi dagli idoli da egli stesso creati e di rendersi libero. Esso è caratterizzato negativamente se si prende solamente atto dell’insussistenza dei valori crogiolandosi nel nulla (nichilismo passivo); viceversa è positivo se la sempre maggior potenza dello spirito è utilizzata come forza di distruzione (nichilismo attivo). Il nichilismo diventa “estremo” se annienta ogni rimanente credenza metafisica per proporre un sano relativismo: “non esiste affatto un mondo vero” (Frammenti, 1887-1888).
La distruzione di tutti i ponti con l’inconsistente passato, apre nuove prospettive per il futuro, per que-sto si parla anche di “nichilismo estatico”. Infine, il nichilismo diviene “classico” quando permette il superamento del nichilismo stesso e permette di capire che il senso deve essere umanamente inventato. Quindi la distruzione delle certezze assolute rappresenta un obiettivo fondamentale per permettere all’umanità di farsi definitivamente carico delle proprie decisioni e responsabilità, uscendo dal prece-dente stato di minorità! L’uomo è fonte di valori e di significati.
Prospettivismo
Nella fase terminale dell’attività filosofica Nietzsche estremizza sempre di più la sua concezione che egli stesso chiama “prospettivismo”. I fatti non esistono, esistono interpretazioni! Chi sostiene il con-trario, come i positivisti, ha torto, esistono interpretazioni relativamente a diversi angoli prospettici.
Il mondo non può essere quindi compreso in senso univoco, ma ci sono innumerevoli sensi. Non esi-ste un mondo vero ma infiniti mondi!
La posizione di Nietzsche vuole essere anche un superamento dell’idealismo che mette al centro l’Io. Nietzsche non concorda neanche con l’interpretazione secondo cui tutto è soggettivo. Anche questa posizione è una posizione, una interpretazione.
L’idea di caos ordinato mediante schemi umani avvicina Nietzsche a Kant, tuttavia per quest’ultimo vi è una sola verità indiscutibile, necessaria. Infatti, se per Kant il mondo è indagato mediante le forme a priori, esse sono uguali per tutti e ciò garantisce la universalità della verità. In Nietzsche le nostre de-duzioni sono frutto della volontà di potenza: “Sono i nostri bisogni che interpretano il mondo” (Fram-menti, 1885-87). Dunque, ci sono innumerevoli punti di vista sul mondo. Conoscenze empiriche e lo-gica, un po’ come affermava Hume, sono fallaci. Il rapporto causa-effetto non è un principio concre-to, ma la sciocca volontà di astrarre un modello da dati reali che solo casualmente si sono manifestati seguendo un certo ordine.
La conoscenza razionale con tutta la sua strumentazione di verità assolute, concetti, categorie non sono che invenzioni o, al meglio, convenzioni. Lo stesso linguaggio, come grimaldello della conoscenza, non è che “un esercito di metafore”, similitudini assai lontano dalla comprensione “in sé” della natura.
È quindi minata alla base l’essenza stessa della scienza di ciò che i greci avevano chiamato epistéme, cioè ciò che ‘sta sopra’ e che si propone come incontrovertibile. La scienza è nata per offrire rifugio all’instabilità tipica dell’essere umano, e per questo è assimilabile a una semplice illusione di verità. L’uomo, non capace di comprendere le cose nella loro immediatezza, è costretto a trasporle in un una realtà astratta, immutabile a parallela, nel tentativo di fare chiarezza nel caos del mondo. Per la venera-zione che l’uomo riversa nella scienza, essa risulta la miglior alleata dell’ideale ascetico.
Nietzsche esprime una visione antipositivistica. I fatti che i positivisti pretendono studiare sono spie-gabili solo all’interno di determinate teorie che ‘creano’ gli oggetti, cioè configurazioni che esse stesse danno senso, significato ai fatti.
Nietzsche critica in particolare la scienza moderna; le sue invettive sono rivolte a vari capisaldi dell’indagine scientifica come il meccanicismo, la sempre maggiore specializzazione e la visione ato-mica del mondo, il determinismo.
La scienza moderna impone una visione unilaterale e perciò violenta della realtà. Le interpretazioni non possono essere che plurali, da varie angolazioni. Ciò significa pure che la scienza, imponendo la sua concezione meccanicistica, matematizzante, della realtà, travisa la realtà stessa che è polimorfismo e totalità.
Affermando che le discipline scientifiche non permettono di penetrare la natura ma solo di modificar-la, Nietzsche anticipa le correnti pragmatistiche ed ermeneutiche del Novecento.
Infine, il prospettivismo di Nietzsche non afferma che tutte le interpretazioni date di un certo fenome-no sono equivalenti. Il criterio di scelta tra interpretazioni confliggenti sarà dato dalla sua corrispon-denza al criterio della salute e della forza cioè della vita: volontà di potenza. Tutti questi concetti (vi-ta, salute, ecc.) in Nietzsche non hanno un semplice valore fisiologico, ma riguardano la capacità dell’individuo di accettare, mediante la sua parte dionisiaca, la tragicità della vita e di sfruttarla a pro-prio vantaggio. In definitiva, per salute, forza si intende il modo di essere del superuomo, e in partico-lare della sua capacità di prosperare anche senza certezze assolute.
CONCLUSIONI
Nietzsche in Ecce homo si augura che non venga preso “per un altro”, ebbene, il linguaggio aforisma-tico, parabolico, ecc. se, da una parte, rende estremamente fecondo il filosofo per la molteplicità inter-pretativa a cui da luogo, dall’altra è facile che ci sfugga il ‘vero’ Nietzsche.
Le interpretazioni della filosofia di Nietzsche oscillano ampiamente da interpretazioni naziste a letture in chiave esistenzialista, come teorico cioè della coscienza europea, come propone K. Jasper, o Löwith, accostandolo a Kierkegaard. Altri come Lukács hanno visto il pensatore dell’irrazionalismo borghese del periodo imperialista che si rifugia nella decadenza della propria classe. Addirittura i teo-logi hanno insistito sull’anticristo nietzscheano come un nuovo cristiano.
Il linguaggio poetico e profetico, a prima vista più adatto ad un moralista che ad un filosofo, in ogni caso segnala - già con Schopenhauer - non solo una propensione personale quanto, ormai, una più profonda rottura con la filosofia sistematica che si affida ad un linguaggio tecnico a voler sottolineare il tentativo razionale di ordinare il mondo. L’aforisma, l’intuizione linguistica meglio si adatta a scan-dagliare il dionisiaco caos della vita.
Dal punto di vista individuale Nietzsche per certi versi ha un parallelo in Van Gogh, e non solo per la malattia mentale che segnerà l’epilogo dei due quanto per la sincera ricerca senza risparmio: entrambe non conoscono il lavoro ‘teorico’, ‘intellettuale’ nel senso che nel loro lavoro essi mettono anima e corpo, sistema nervoso, senza distinzione, fino allo schianto!
Nietzsche è sicuramente filosofo anticipatore di quella crisi dei fondamenti che investe il sapere nei primi decenni del XX secolo, ma le cui propaggini si estendono fino all’oggi: epoca della tecnica.
In sede conclusiva vanno sottolineati almeno quattro temi che fanno di Nietzsche un pensatore estre-mamente fecondo nella riflessione filosofica attuale: l’irrazionalismo, la demistificazione, la morte di Dio e il nichilismo.
Per ciò che afferisce all’irrazionalismo Nietzsche prosegue e a suo moto supera l’irrazionalismo di Schopenhauer. Irrazionale è il mondo! Non c’è nessun ordito o trama razionale che si dipana in una direzione, verso uno scopo, un fine. Il tentativo hegeliano di dare ordine al caos è pura follia esso si inquadra in quei tentativi che cercano ancora di imbrigliare il mondo in una necessità, in una Ragione che sostanzialmente serve per acquietare, lenire il terrificante volto del dionisiaco, del caos. Non solo il mondo non può essere tagliato e messo in comodi cassetti orinati, ma lo strumento che doveva esse-re in grado di penetrare il mondo e farci conoscere la più recondita verità è esso stesso inservibile, inefficace: il Lógos. Il Lógos non è più in grado di cogliere la verità del mondo. Nietzsche porta a fon-do la critica che già è presente in Schopenhauer, al Lógos come strumento che si rivela parziale nella comprensione della molteplicità, della poliformità della vita. Il Lógos è una struttura incapace di co-gliere il flusso della vita. Il Lógos è menzogna che ci aiuta a credere nella vita a sopportarla. D’altra parte il Lógos, lungi dall’essere quella regione autonoma e necessaria, è al servizio della volontà di po-tenza. L’uomo ha, infatti, costruito una filiera di concetti e valori che servono solo alla sua volontà di potenza.
Ecco il secondo punto che Nietzsche sviluppa. La filosofia del martello gli permette di frantumare tutte quelle credenze assolute in cui l’uomo, come animale instabile, si rifugia e crede di trovare riparo dall’intemperie del caos. La filosofia del martello fa perno su un metodo genealogico-critico scava i concetti, ne fa - per così dire - l’archeologia e ne svela l’origine umana, troppo umana, e la corrispon-denza al bisogno umano. Non c’è, dunque, filiazione ontologica, né divina, ma meramente, ‘sordida-mente’ umana. La vita è tutto quello che abbiamo! La vita vuole solo se stessa, un mondo dionisiaco al di là del bene e del male, è la volontà di potenza e nient’altro. Né finalità né morale ma il dispiegarsi di una potenza. Non c’è un Dio che impone tavole della legge o che ci apra il petto e vi innesti sacri valo-ri!
La demistificazione dei concetti e valori supremi e assoluti ci porta dritti alla morte di Dio che è conte-stualmente morte del Dio cristiano, ma anche la morte della metafisica, e del Lógos, della verità asso-luta, ecc. Dio è morto. Dio resta morto! E noi abbiamo ucciso Dio scoprendo l’inganno, la grande menzogna. Menzogna che alla fine si è rivolta contro di noi giacchè se doveva lenire il dolore davanti al buio del nulla, di finire nell’indistinto, nel nulla, ecco che tale rimedio ha completamente obliato la vita, la forza vitale, compresso ciò che di dionisiaco è in noi. Il rimedio è stato peggiore del male! In verità Nietzsche non annuncia la morte di Dio, ma - se così possiamo esprimerci - la certifica, la testi-monia dopo una lunga elaborazione teoretica che parte da Spinoza e che, in Hume, Kant, Schopen-hauer, Feuerbach trova i suoi araldi. Se questo è vero è però completamente nietzschiano il modo di intendere la morte di Dio e di porre subitaneamente la presenza dell’ospite più inquietante: il nichili-smo. In Marx la morte di Dio aveva significato, invece, la possibilità di realizzare quel processo demi-stificatorio antimetafisico e di tutto l’apparato concettuale borghese: eterizzante, ossificato.
La morte di Dio ci porta alla presenza del più inquietante fra gli ospiti: il nichilismo! Profetico quanto Nietzsche scrive: “Ciò che racconto è la storia dei prossimi due secoli. Io descrivo ciò che viene, ciò che non può più venire in altro modo: l’insorgere del nichilismo” (La volontà di potenza). Tale ospite – anticipiamo – si aggira nell’attuale orizzonte culturale dominato dalla tecnica!
Non c’è più la destra, la sinistra, l’alto e il basso. Non c’è più il fine. Non c’è più il perché. I valori si svalorizzano prima che possano attecchire. Il nichilismo è l’ospite che minaccia qualsiasi costruzione culturale, qualsiasi progetto, ancorché politico, qualsiasi tentativo di senso. Ma solo guardandolo in faccia, conoscendolo è, forse, possibile andare oltre. La formulazione del superuomo è esattamente questa possibilità di andare oltre: un oltre-uomo che, lasciate oltremondane speranze, decide di rima-nere fedele alla terra; decide di accettare la totalità della vita. Al di là di un nichilismo passivo e stan-camente decadente, Nietzsche afferma un nichilismo attivo - espressione della volontà di potenza - grazie al quale l’uomo possa riappropriarsi – similmente in ciò al programma feuerbachiano – della terra, della vita.
Non è possibile parlare di Nietzsche senza far riferimento alla lettura che ne da Heidegger. La metafi-sica secondo Heidegger è stata un progressivo oblio dell’essere giacchè l’essere è stato sempre trattato come ente. Ora la filosofia nietzschiana non è affatto antimetafisica ma si inserisce in perfetta conti-nuità con quella storia metafisica che, partendo da Platone (riduzione dell’essere a idea), attraverso Cartesio (verità come certezza soggettiva), arriva fino alla formulazione della volontà di potenza pen-sata come l’intima essenza dell’essere. Nietzsche in questa prospettiva, è l’ultima metafisica: il suo estremo compimento! La volontà di potenza è la necessaria, coerente conclusione della storia dell’Occidente. Nietzsche non avrebbe fatto altro che portare a termine l’oblio dell’essere, cioè a fare dell’uomo la misura delle cose. La volontà non vuole che se stessa e nient’altro e che nella sanzione dell’eterno ritorno si glorifica soggettivisticamente: la volontà di potenza non è altro che il trionfo del soggettivismo. E’ questo che rende Nietzsche contemporaneo: filosofo del nichilismo e profeta della tecnica. In questo senso la filosofia nietzschiana non è – suo malgrado - né antimetafisica né inattuale, ma metafisica e contemporanea.
L’oggi […] è la determinatezza metafisica dell’umanità storica nell’epoca della metafisica di Nietzsche. (Heidegger, Nietzsche)
BIBLIOGRAFIA
Opere di Nietzsche
Nietzsche, Così parlò Zarathustra. Un libro per tutti e per nessuno, Adelphi, 1976
Nietzsche, La stella danzante. Le più belle pagine del grande filosofo, Rizzoli, 2000
Opere su Nietzsche
G. Vattimo, Introduzione a Nietzsche, Laterza, 2012
E. Fink, La filosofia di Nietzsche, Mondadori, 1977
SITI WEB:
http://www.filosofico.net/nietzsche.htm

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