La radioattività

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La radioattività

RADIOATTIVITA’ NATURALE

 

I NUCLEI DEGLI ATOMI

Dall’esperienza di Rutherford sappiamo che le dimensioni del nucleo, che si trova al centro di un atomo con Z elettroni, sono molto più piccole di quelle dell’atomo e che la carica del nucleo è +Ze . Successivamente Rutherford e Chadwick eseguirono numerose esperienze, nelle quali facevano urtare delle particelle alfa (che sono nuclei di elio) contro nuclei di atomi più pesanti, per esempio oro e platino. Essi limitarono le loro osservazioni alle particelle alfa di grande energia cinetica che subivano deviazioni consistenti. Erano sicuri che in questo caso le particelle erano arrivate a una distanza molto piccola dal nucleo. Trovarono così che, quando questa distanza è dell’ordine o inferiore a m, le particelle alfa sono soggette, oltre che alla forza di Coulomb, anche ad altre forze che ne modificano la traiettoria e che sono dette forze nucleari .
Esperienze di questo tipo, eseguite successivamente con notevole precisione sui nuclei di tutti gli elementi del sistema periodico facendo uso di particelle cariche accelerate artificialmente, permisero di stabilire che il nucleo atomico è un piccolo corpo, grosso modo sferico, il cui diametro è dell’ordine di m, circa cinquantamila volte più piccolo del diametro di un atomo.

I PROTONI E I NUETRONI

Di che cosa sono fatti i nuclei?

Nel 1919 Rutherford fece un esperimento: un fascio di particelle alfa veniva fatto passare attraverso uno strato di gas azoto. Rutherford osservò che un nucleo di azoto, colpito da una particella alfa, la cattura e si trasforma in un nucleo di ossigeno, emettendo una particella diversa da quella incidente. La particella emessa, che ha massa
   (1836 volte la massa dell’elettrone)
e carica + e (uguale e di segno contrario a quella dell’elettrone), è stata chiamata protone.

Nel 1932 Chadwick fece un’altra scoperta. Bombardando con particelle alfa del berillio (Be), egli scoprì che i nuclei di questo elemento si disintegrano, emettendo una nuova particella fino ad allora sconosciuta.
Il neutrone, così venne chiamata la particella scoperta, è elettricamente neutro e la sua massa è di pochissimo superiore a quella del protone.

La scoperta del neutrone permise di comprendere la struttura dei nuclei, ognuno di essi è costituito da un certo numero di protoni e di neutroni che interagiscono tra loro con forze attrattive di nuovo tipo dette, appunto forze nucleari.

NUMERO DI MASSA E NUMERO ATOMICO

Ogni nucleo è caratterizzato da un numero di massa indicato dalla lettera A , e da un numero atomico indicato dalla lettera Z.
Il numero atomico Z rappresenta il numero di protoni, che in un atomo elettricamente neutro è uguale al numero di elettroni, mentre il numero di massa A rappresenta il numero di nucleoni, cioè la somma del numero Z di protoni e del numero N di neutroni che costituiscono il nucleo:
A = Z + N

Per esempio, il nucleo dell’atomo di alluminio (Z = 13 , A = 27) è costituito da Z = 13 protoni e     N = 27 – 13 = 14 neutroni. Esso è indicato con il simbolo .  

Tutte le volte che due nuclei hanno lo stesso valore di Z, ma diversi valori di A si dice che essi sono isotopi dell’elemento di numero atomico Z.

Poiché la forza nucleare che tiene legati nel nucleo protoni e neutroni è molto complicata, è utile applicare il modello semiquantistico: tale modello è corpuscolare ma tiene conto del principio di indeterminazione, della quantizzazione di Bohr e del fatto che i protoni e i neutroni sono fermioni di spin ½.

 

La scoperta della radioattività naturale

In un dizionario pubblicato nel 1896, alla voce uranio si potevano leggere queste parole: “metallo pesante, di nessun pregio, praticamente inutile”.
Ma proprio in quell’anno, il francese Henri Becquerel (professore di fisica presso il Musée d’Histoire Naturelle a Parigi), mentre cercava di evidenziare la possibile emissione di raggi X da parte di alcuni metalli resi fluorescenti dalla luce, scoprì quasi casualmente che i Sali di uranio avevano la proprietà di annerire le lastre fotografiche anche quando le lastre erano completamente racchiuse dentro ad un involucro opaco alla luce.
Inizialmente pensò che il fenomeno fosse connesso con la fluorescenza indotta dalle onde luminose, poi intuì che l’annerimento delle lastre doveva essere provocato da qualche radiazione, penetrante come i raggi X, emessa spontaneamente dall’uranio senza alcuna preventiva eccitazione del materiale uranifero.
Dedusse quindi che i sali di uranio emettono spontaneamente radiazioni penetranti, che non sono capaci di eccitare il meccanismo della visione, ma che hanno però la proprietà di impressionare le lastre fotografiche.
In seguito venne sperimentato che i sali d’uranio non erano le uniche sostanze radianti.
Questo fenomeno venne definito radioattività naturale.

Madame Curie notò che l’emissione radioattiva era proporzionale alla quantità di uranio presente e che gli effetti radioattivi, come aveva anche intuito Becquerel, erano indipendenti dallo stato chimico e dalle condizioni fisiche del materiale radioattivo.
La radioattività naturale fu riscontrato, in misura anche maggiore, dai coniugi Pierre e Marie Curie in altri minerali di uranio.
Essi pensavano che la radioattività di tali minerali non provenisse dall’uranio, ma da un altro elemento sconosciuto, presente in quei minerali in piccole quantità. Trattando alcune tonnellate di materiale riuscirono ad isolare una nuova sostanza radioattiva, che in onore della patria di Marie Curie (polacca di origine) chiamarono polonio.
In seguito, riuscirono ad isolare anche un altro elemento, il radio, che ha un potere radioattivo diversi milioni di volte maggiore di quello dell’uranio.
Le ricerche successive permisero di isolare numerose altre sostanze radioattive, ma soprattutto permisero di precisare le caratteristiche dell’emissione radioattiva.

Natura delle radiazioni

Nel 1899 Rutherford riconobbe che un preparato radioattivo può emettere almeno due specie di radiazioni inizialmente differenziate dal loro potere penetrante nella materia: la radiazione a e la radiazione b.
Qualche tempo dopo Villard evidenziò un terzo tipo di radiazioni ancora più penetranti dei raggi b, che chiamò raggi g
Perciò l’emissione radioattiva è costituita da particelle a, che portano una carica elettrica positiva doppia di quella dell’elettrone ed hanno una massa praticamente uguale a quella dell’atomo di elio (2He4); da particelle b, che non sono altro che elettroni proiettati dalla sostanza radioattiva ad elevatissima velocità; da radiazioni elettromagnetiche g, che non risentono dell’azione elettrica del campo.

Per lo studio della emissione radioattiva, la tecnica utilizzata da alcuni fisici, tra cui Rutherford, consisteva nel collocare una piccola dose di sostanza radioattiva in un blocco di piombo (ottimo schermo alla radioattività) nel quale fosse praticato un foro: in tal modo si otteneva un pennello di emissione. Ponendo davanti al foro uno schermo sensibile (per esempio una lastra fotografica), si poteva constatare che sotto l’azione di un campo elettrico, una parte del fascio emesso deviava verso la placca positiva, un’altra verso la placca negativa, mentre una terza proseguiva indeviata.
Sottoponendo queste tre parti a successive prove, fu così possibile individuare la natura dell’emissione radioattiva.

 

L’esperienza, inoltre, mostra che mentre i raggi b hanno energia variabile con continuità, sino ad un massimo caratteristico dell’elemento radioattivo in esame, i raggi a hanno energie ben determinate, dell’ordine di alcuni MeV.

Venne scoperto che ogni sostanza radioattiva può emettere particelle di un solo tipo, cioè particelle a (decadimento a), oppure particelle b (decadimento b) accompagnate da radiazioni g.

Questi tre tipi di radiazione hanno in comune due caratteristiche:

  • la capacità di penetrare nella materia;
  • la capacità di ionizzare gli atomi della materia, cioè di privarli di alcuni elettroni.

La radiazione a è fortemente ionizzante e poco penetrante, viene completamente assorbita da un foglio di alluminio dello spessore di cinque centesimi di millimetro.

La radiazione b è più penetrante della precedente, poiché può attraversare anche alcuni millimetri di alluminio, ma è meno ionizzante.

La radiazioni g è estremamente penetrante, poiché può attraversare lamiere di piombo dello spessore di dieci centimetri, ma è debolmente ionizzante.

La radioattività è una proprietà dell’atomo che non può essere influenzata da nessun agente fisico (come altissime temperature o pressioni, campi elettrici o magnetici,…) né da eventuali reazioni chimiche.
Questo prova il fatto che la radioattività è una proprietà del nucleo. I nuclei degli elementi radioattivi non sono stabili, ma si disintegrano spontaneamente, emettendo una particella a o una particella b e radiazioni g. Diciamo che è avvenuto un decadimento del nucleo radioattivo con emissione di una a o di una b.

Le particelle a hanno numero atomico Z = 2 e peso atomico 4 (cioè sono costituite dall’insieme di 2 protoni e 2 neutroni); le particelle b sono elettroni. Perciò quando un nucleo radioattivo  di numero atomico Z e numero di massa A, emette una particella a, l’atomo che si ottiene a seguito del decadimento ha numero atomico Z – 2 (la sua carica diminuisce di 2 unità) e numero di massa A – 4 (la sua massa diminuisce di 4 unità). Quindi la disintegrazione può essere rappresentata dalla seguente reazione nucleare:

dove X rappresenta un generico elemento radioattivo di numero atomico Z e numero di massa A e  l’energia della reazione nucleare, chiamata energia di disintegrazione.
I processi che avvengono con liberazione di energia (Q > 0) rappresentano reazioni esoenergetiche, mentre quelle che avvengono con assorbimento di energia (Q < 0) rappresentano reazioni endoenergetiche.
Invece, quando un nucleo radioattivo   emette una particella b, l’atomo che si ottiene presenta numero di massa inalterato (la sua massa non diminuisce in modo apprezzabile, dato che la massa dell’elettrone è trascurabile rispetto a quella del nucleo), mentre la sua carica (e quindi il numero atomico) aumenta di 1 unità.
La disintegrazione b può essere rappresentata dalla seguente reazione nucleare:

Poiché nel sistema periodico gli elementi sono ordinati secondo il numero atomico (che coincide con la carica nucleare), ne deriva che l’emissione di una particella a provoca lo spostamento di due posti verso le caselle di numero atomico inferiore, mentre l’emissione di una particella b dà luogo allo spostamento di un posto verso le caselle di ordine superiore.
Esempio:   il radio (Ra) ha numero atomico 88 e peso atomico 226, i suoi nuclei non sono stabili ed emettono particelle a.
Un atomo che emette particelle a ha massa atomica 226 – 4 = 222 e numero atomico   88 – 2 =86. In tale stato prende il nome di radon (Em). Anche il radon non è stabile ed emette particelle a.
Per la perdita di una particella a, l’atomo di radon si trasforma in radio A (RaA), di massa atomica 222 – 4 = 218 e numero atomico 86 – 2 = 84. Anch’esso è radioattivo ed emette particelle a.
Il radio A si trasforma in radio B (RaB) di massa atomica 214 e numero atomico 82.
Quest’ultimo a sua volta è radioattivo, ma emette particelle b, dando luogo a un atomo di radio C (RaC), il quale ha ancora massa atomica 214, ma carica 82 + 1 =83.
Infine, l’atomo di radio C si trasforma in quello del radio C’ (RaC’) per emissione ancora di una particella b. Il radio C’ ha massa atomica 214 e numero atomico 84.
Il radio A e il radio C’, avendo diversa massa atomica ma uguale numero atomico, sono isotopi.

 

                 

 

Legge del decadimento radioattivo

Vogliamo introdurre la relazione che esprime l’attività di una sostanza radioattiva in funzione del tempo.
In base alle leggi della meccanica quantistica il decadimento spontaneo di un nucleo è un processo puramente casuale; quindi, mentre è praticamente impossibile determinare l’istante in cui un particolare nucleo si disintegra, si può invece predire la probabilità che un certo numero di atomi di una data specie si disintegri in un dato intervallo di tempo.

Consideriamo un campione costituito da un numero N0 molto grande di atomi con nucleo radioattivo di un isotopo radioattivo. Dopo un piccolo intervallo di tempo Δt un certo numero di atomi è decaduto e di conseguenza il numero di atomi dell’elemento originario è variato di una quantità che indichiamo con – ΔN.
Qualunque sia la natura dell’isotopo, il numero di atomi decaduti è proporzionale al numero Nt di atomi inizialmente presenti e all’intervallo di tempo Δt, cioè:
                                                          (1)
dove l è una costante di proporzionalità caratteristica dell’elemento considerato ed è chiamata costante di decadimento o di disintegrazione.

Se indichiamo con R la velocità di decadimento, cioè il rapporto tra il numero di nuclei che decadono in un intervallo di tempo Δt e l’intervallo di tempo stesso, si ha che:

dove il segno meno sta ad indicare che N diminuisce all’aumentare di t.
Tenendo conto della velocità di decadimento, la (1) può essere scritta nella forma:
                                                            (2)
e mediante un calcolo integrale si ottiene:
                                                            (3)
Quest’ultima è detta legge del decadimento e mostra come, partendo da N0 atomi, il numero Nt di atomi presenti all’istante t, che non si sono cioè ancora disintegrati, decresce esponenzialmente nel tempo.

La legge del decadimento può essere rappresentata mediante la seguente curva:

Sostituendo la (3) nella (2) si ottiene  che posta sotto forma logaritmica diventa:
                                                                        (4)
Poiché  è una quantità costante, utilizzando una scala semilogaritmica (ascisse lineari, ordinate logaritmiche), la (4), ossia il grafico di  in funzione di t, può essere espressa da una retta con pendenza -l.

Ci riferiamo alla velocità di decadimento, poiché, mentre non è possibile determinare il numero di nuclei presenti al tempo t, la R(t) può essere sperimentalmente misurata.

Dimostrazione della legge del decadimento radioattivo.

Indichiamo con N(t) il numero di nuclei di una certa sostanza radioattiva presenti al tempo t e con N(t+Δt) quelli presenti al tempo t+Δt.
Il numero di nuclei che si sono disintegrati nell’intervallo di tempo Δt è:
- ΔN = N(t) – N( t+Δt
La velocità di decadimento, ossia il numero di nuclei che si disintegrano nell’intervallo di tempo Δt, può essere espressa dal rapporto:
                                             (*)
in cui il segno negativo sta ad indicare che il numero iniziale dei nuclei diminuisce all’aumentare del tempo.
Se consideriamo un intervallo di tempo infinitesimo, la (*) diventa:
                                                 (**)
Essendo in un istante qualsiasi R proporzionale al numero N di nuclei presenti in quell’istante, si ha:
                                                                           R = lN                                                            (***)
Dalla (**) e dalla (***) si ha:
 ovvero
che integrata diventa:
 ossia
che possiamo scrivere nella forma:

e passando dai logaritmi ai numeri:
                                                      c.v.d.

 

Periodo di dimezzamento

Definiamo periodo di dimezzamento di un isotopo radioattivo l’intervallo di tempo T dopo il quale la metà degli atomi N0 originari è decaduta e quindi il numero di atomi ancora presenti si è ridotto a N0/2.

Se, per esempio, il tempo di dimezzamento di un isotopo radioattivo è 5 minuti, ciò significa che, considerando un campione di 1000 atomi, 500 decadranno nei primi 5 minuti; dei 500 rimasti, 250 decadranno nei successivi 5 minuti, e dei 250 atomi rimasti dopo i primi 10 minuti, 125 decadranno nei successivi 5 minuti, e così via.

Se prendiamo, per esempio, 1 Kg di uranio 238, dopo 4,5 miliardi di anni sarà ridotto a mezzo chilo, mentre l’altro mezzo chilo sarà diventato piombo con qualcuno degli elementi intermedi tra l’uranio e il piombo. Il mezzo chilo rimasto si ridurrà a 250 grammi dopo altri 4,5 miliardi di anni, e così via. Si può pensare che occorreranno una cinquantina di miliardi di anni affinché dell’uranio 238 non rimanga quasi nulla.

Dalla (3), ponendo  e t = T si ha:
 cioè
e, prendendo i logaritmi naturali di ambo i membri, si ha:

da cui:

Da quest’ultima si può osservare che, come la costante di disintegrazione l, il periodo di dimezzamento varia con la natura dell’isotopo considerato.

Unità di misura

Riportiamo nella tabella che segue, le masse dell’elettrone, del protone e del neutrone espresse in kilogrammi e in unità u ().

Particelle

Massa a riposo m0 (Kg)

u

Elettrone

9,109·10-31

0,549·10-3

Protone

1,67252·10-27

1,007276

Neutrone

1,67482·10-27

1,008675

Per quanto riguarda l’energia, nel SI l’unità usata in campo atomico è l’elettronvolt (eV), corrispondente all’energia posseduta da 1 elettrone in un punto di un campo elettrico dove il potenziale è di 1 volt.
Poiché la carica dell’elettrone vale:

ed inoltre:

abbiamo che:

Si usano i seguenti multipli:



Facendo i calcoli di trasformazione, si trova che:

Equivalenza tra massa ed energia e sue conseguenze

Una delle conseguenze della teoria della relatività di Einstein è la seguente (una delle più sconvolgenti scoperte della fisica moderna):

dotare un corpo di energia cinetica equivale ad incrementare la sua massa.

Questo significa che ogni volta che un corpo viene messo in movimento, il lavoro della forza provoca un incremento della sua massa; naturalmente, quando il corpo si ferma, la perdita di energia provoca una corrispondente diminuzione della sua massa.
Se consideriamo che l’energia cinetica non è che una delle tante forme di energia, e che tutte le forme di energia possono trasformarsi l’una nell’altra, il principio di equivalenza può essere esteso a tutti i tipi di energia.

Possiamo dunque formulare il principio di equivalenza tra massa ed energia  in questa forma più generale:

ogni volta che ad un corpo viene fornita una quantità di energia E di qualunque specie, la massa del corpo aumenta di una quantità:

dove c (pari a 2,99792 ·108 m/s) è la velocità di propagazione della luce nel vuoto.

Possiamo chiederci come mai nei fenomeni macroscopici non si avvertono le variazioni di massa dei corpi in corrispondenza degli scambi energetici.
Per rispondere facciamo un esempio:
se un corpo la cui massa è 1 Kg viene sollevato ad un’altezza di 1000 m, l’energia potenziale che gli viene fornita è:

la corrispondente variazione di massa risulta:

pari circa a un decimiliardesimo di grammo. Nessuna bilancia sarebbe in grado di rilevare una tale variazione di massa.
Ecco perché il principio di equivalenza tra massa e energia non fu mai evidenziato sperimentalmente, prima che Einstein lo scoprisse per via puramente teorica.
Per i fenomeni dove intervengono le particelle elementari , si può evidenziare sperimentalmente tale principio. Infatti le energie che possono essere impartite ad una particella sono molto elevate nei confronti della massa della particella stessa.
Se la massa è una forma di energia, allora anche un corpo, la cui massa a riposo è m0, possiede, quando è fermo, una quantità di energia pari a:

solo per il fatto di esistere.
Chiamiamo  energia di riposo o energia di esistenza.
Tenendo conto di ciò, il principio di conservazione dell’energia deve essere formulato nel seguente modo:
in un sistema isolato l’energia totale si mantiene costante, purché alle forme ordinarie si aggiunga anche l’energia di esistenza dei corpi che vi prendono parte.

 
Il difetto di massa e l’energia di legame

L’isotopo dell’idrogeno, il deuterio, ha un nucleo chiamato deutone, che è formato da un protone e da un neutrone.
La massa del protone è:

e quella del neutrone è:

La somma di queste due masse risulta:

mentre la massa del nucleo del deuterio è:

Si constata che la massa del deutone è minore della somma delle masse delle particelle che lo compongono.
Questo è un fenomeno generale, in quanto la massa di un nucleo risulta sempre lievemente minore della somma delle masse delle particelle che lo compongono.

La differenza viene chiamata difetto di massa.
La spiegazione del difetto di massa è fornita dalla teoria della relatività di Einstein, secondo la quale massa ed energia si equivalgono.

Consideriamo allora di nuovo il nucleo del deuterio.                               
Il protone ed il neutrone che lo compongono si attraggono vicendevolmente a motivo dell’interazione nucleare forte, per cui le due particelle, all’interno del nucleo, hanno una determinata posizione reciproca di equilibrio.
Ogni azione esterna che tende a modificare tale struttura deve agire in opposizione alla forza interna e quindi deve compiere lavoro; lavoro che si trasforma in energia potenziale del sistema.
Quindi, scindendo il nucleo di deuterio, si deve compiere lavoro dall’esterno, che si trasforma in un aumento di energia E incamerata dalle singole particelle, e ciò, per la teoria di Einstein, equivale ad un aumento di massa.
Viceversa, se due particelle si riuniscono nella formazione del nucleo, perdono energia, e ciò si manifesta in una perdita di massa.

L’energia che si forma all’atto della formazione del nucleo è detta energia di legame delle particelle del nucleo; essa può anche rappresentare l’energia necessaria per disintegrare un nucleo.
Se Δm è la differenza tra la somma delle masse delle particelle del nucleo e la massa del nucleo, l’energia di legame è:

dove c è la velocità di propagazione della luce nel vuoto.

Facendo i calcoli, si trova che il difetto di massa del deutone è:

(ricordando che )
cui corrisponde un’energia:

Per ottenere l’energia espressa direttamente in MeV possiamo osservare che:


e quindi possiamo scrivere

Nel nostro esempio abbiamo:

 

Quanto precedentemente detto, lascia intuire che esiste la possibilità di ottenere energia dalle reazioni nucleari.
Se riconsideriamo il processo di fusione di un protone e di un neutrone, alla fine della reazione, il nucleo ottenuto ha una massa minore della somma delle masse delle particelle reagenti. La differenza di massa si libera, sottoforma di energia raggiante, nell’ambiente esterno.
Questo risultato vale in modo generale: in ogni reazione nucleare, nella quale i nuclei ottenuti hanno una massa inferiore a quella dei nuclei reagenti, si produce una quantità di energia che, secondo la reazione di Einstein, è:

 

ESERCIZI

  • Il polonio-218() si trasforma in piombo-214 () con un periodo di dimezzamento Dopo quanto tempo un campione di polonio-218 si è ridotto a 1/100 della sua consistenza iniziale?

 

  1. Individua sulla tavola periodica gli elementi caratterizzati da :

A = 16;       Z = 8;
A = 17;       Z = 8;
A = 28;       Z = 13;
A = 28;       Z = 14;
A = 60;       Z = 28;
A = 233;     Z = 91;

3.  Usando anche la tavola periodica descrivi con il simbolismo studiato l’elemento:
a) il cui nucleo è costituito da 137 nucleoni, di cui 55 protoni;
b) Yttrio, il cui nucleo ha 89 nucleoni.

  1. Il radio ha un tempo di dimezzamento di 1622 a (anni) . Quanto tempo occorre perché 2,0 g di questo elemento si riducano a 0,25 g?

 

  • Un elemento radioattivo ha un tempo di dimezzamento di 10 a . Calcola la percentuale di massa che rimane dopo 5,0 a .
  • Il fosforo radioattivo ha una vita media uguale a s. Se un campione contiene inizialmente  atomi di fosforo radioattivo, quanti decadimenti si avranno durante il decimo giorno?

 

  • Dimostra che l’attività (numero di decadimenti al secondo) di un campione contenente  atomi radioattivi di vita media , è /.
  • Supponiamo che ogni secondo venga prodotto un certo numero B di nuclei radioattivi di vita media  e che il tempo per produrli sia molto lungo rispetto a .

 

  • Mostra che dopo tale tempo, il numero di nuclei radioattivi presenti non varia nel tempo ed è dato da Bτ: in particolare non dipende dal numero di nuclei inizialmente presenti .

La situazione descritta si presenta sulla Terra per l’isotopo , radioattivo, con un tempo di dimezzamento uguale a 5730 a . Questo isotopo viene prodotto a seguito di processi naturali a partire dall’ordinario azoto . Si può supporre che questi processi sulla Terra abbiano prodotto costantemente il carbonio radioattivo. Considerando l’età della Terra e il tempo di dimezzamento, si può ritenere soddisfatta la condizione della domanda a).
Gli organismi viventi assorbono e fissano l’isotopo radioattivo del carbonio insieme a quello non radioattivo nelle proporzioni esistenti sulla superficie della Terra che, per quanto detto risultano costanti. Dopo la morte, per il mancato ricambio, inizia la diminuzione dell’isotopo radioattivo a seguito del suo decadimento. Misurandone l’attività si può allora risalire al tempo trascorso dalla morte.

  • Un campione di legno di massa di 1,0 g, appena tagliato è carbonizzato, presenta un’attività di 15,4 decadimenti al minuto. Un pezzo di legno di 10 g carbonizzato, estratto da uno scavo archeologico, presenta 126 decadimenti al minuto. Che età possiamo attribuire al legno estratto dallo scavo?

 

  • Per l’elemento  il numero atomico Z, il numero di massa A e il numero di neutroni N sono:

A)    Z = 82          A = 207           N = 125
B)    Z = 82          A = 289           N = 207
C)    Z = 125        A = 207           N = 82
D)    Z = 125        A = 207           N = 125
E)    Z = 207        A = 82             N = 125

  • Una sorgente radioattiva è costituita da radon , che ha un tempo di dimezzamento di 3,823 d (giorni); dopo quanto tempo un campione di radon si è ridotto a 1/10 del valore iniziale?

A)   0,3823 d
B)   0,4175 d
C)   6,101 d
D)   12,70 d
E)   38,23 d

 

Rispondi al quesito in un massimo di dieci righe.

  • Delinea brevemente le seguenti caratteristiche del nucleo atomico: dimensioni, componenti e forze di legame.       

Illustra l’esperimento in un massimo di 30 righe.

  • I decadimenti alfa e beta sono fenomeni che producono trasformazioni nei nuclei degli atomi. Come avvengono? Fornisci, per ognuno di essi, almeno un esempio di reazione.

 

 

Bibliografia
Amaldi  ,  LA FISICA  ,  Zanichelli editore    
A.Caforio – A. Ferilli , PHYSICA 3 , Le Monnier
H. Miller, FISICA materia, energia, ambiente, Poseidonia

 

Fonte: http://personalpages.to.infn.it/~maina/didattica/SIS/rel2004/coccalotto-signorino/Radioattivita_naturale.doc

Sito web da visitare: http://personalpages.to.infn.it/

Autore del testo: indicato nel documento di origine

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