Genetica e disturbi da separazione

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Genetica e disturbi da separazione

E’ risaputo e noto da tempo che vi sono bambini che reagiscono in modo assai diverso ad analoghe o medesime  situazioni di stress legato, per esempio, alla separazione dei genitori.
La genetica individuale pare dunque svolgere un ruolo significativo nel determinare le manifestazioni di disagio infantile e giovanile. Anche nella mia esperienza ho potuto vedere come fratellini di età analoga e sesso uguale potessero reagire in modo assai differente alla separazione dei loro genitori. Esiste una base medico-scientifica a queste osservazioni?
Quanto effettivamente conta l’ambiente e quanto invece la predisposizione individuale?  Studi recenti, in continua fase di evoluzione, confermano l’importanza della predisposizione genetica nel modulare l’effetto della esposizione ambientale sulla psiche dei nostri figli. Resta ancora talora  da capire attraverso quali meccanismi agisca la predisposizione genetica, anche se in alcuni casi questi meccanismi biologici sono stati ottimamente documentati. Ad esempio uno studio pubblicato nel 2003 da Caspi et al. (1) su oltre 1000 bambini,  seguiti poi per oltre 20 anni, che erano stati esposti  a situazioni di disagio intrafamiliare –tra cui quello separativo-, ha dimostrato che un particolare assetto genetico legato al metabolismo della serotonina aveva un effetto assai negativo nello sviluppo di una tolleranza del disagio medesimo: in sostanza la carenza –su base genetica- del trasportatore (carrier) del neurotrasmettitore serotonina rendeva i soggetti molto più inclini a sviluppare situazioni di disagio psichico non solo in età giovanile ma anche in età adulta.
Ma, attenzione, un certo profilo genetico legato al metabolismo della dopamina, implicata nel controllo degli impulsi, aveva –sempre nello studio longitudinale di 20 anni di Caspi- un effetto sostanzialmente contrario e quindi protettivo circa la comparsa di antisocialità in bambini maltrattati.
Uno studio su gemelli effettuato dall’Università Vita Salute San Raffaele di Milano (2)  ha invece dimostrato che il distacco anche di uno solo dei due genitori aumenta, in bambini geneticamente vulnerabili, il rischio di sviluppare attacchi di panico (DAP) da adulti.). Il concetto di distacco includeva la separazione da uno dei genitori sia per trasferimento, sia per lavoro, sia per decesso che per separazione coniugale con scarse possibilità di frequentazione di un genitore.
Ha spiegato Marco Battaglia, docente di psicopatologia dello sviluppo al San Raffaele: “le implicazioni di questa ricerca sono molteplici sia dal punto di vista della diagnosi precoce sia della prevenzione. Una di queste è che i bambini che manifestano una particolare riluttanza a separarsi dai genitori meritano particolare attenzione: incoraggiarli a fare delle piccole e progressive esperienze di allontanamento può giocare un ruolo preventivo e terapeutico. Sebbene lo studio dimostri l’importanza dei geni per spiegare le relazioni tra ansia da separazione in età di sviluppo e panico in età adulta, modificare l’ambiente e il patrimonio esperienziale dei bambini – anche attraverso programmi psicoterapeutici dedicati – potrebbe non solo curare questi bambini ma anche provocare importanti variazioni nella stessa espressione genetica, cioè nelle modalità con le quali l’informazione nel DNA viene ‘letta e tradotta’ in proteine, ed in ultima analisi, nei comportamenti. Il metodo gemellare permette di integrare strategie di ricerca proprie della tradizione medica e di quella sociale alle cause delle difficoltà emotive e mentali in diverse fasi della vita. I risultati della ricerca suggeriscono che vi siano due strade separate ed alternative che portano il rischio di sviluppare il disturbo di panico nella prima età adulta: nel primo caso prevalgono gli stessi eventi o fattori ambientali a farne soggetti a rischio in età adulta; nel secondo invece è la predisposizione genetica ad influire maggiormente su una futura malattia”,
Lo studio, realizzato in collaborazione con con il Norwegian Institute of Public Health, il Queensland Institute of Medical Research di Brisbane e il Virginia Institute of Psychiatry and Behavioural Genetics di Richmond ha analizzato il fenomeno in più di 700 gemelli del Registro Nazionale Norvegese "perché -prosegue Battaglia - questa strategia permette di separare in modo chiaro il contributo genetico dal contributo ambientale nel rischio di ammalarsi nelle comuni condizioni di patologia: non solo le difficoltà psichiche, dunque, ma anche molte delle comuni malattie fisiche, come quelle cardiovascolari o metaboliche".
Attraverso interviste approfondite su eventi di separazione precoci, sulla presenza di sintomi ansiosi nell’arco della vita, gli studiosi hanno cercato di ricostruire la storia di ciascun gemello per conoscere se vi erano nella loro vita eventi o traumi da separazione come ad esempio divorzio dei genitori o morte di uno dei genitori.
In un secondo tempo ciascun gemello è stato sottoposto ad un test di respirazione utile per capire se una persona è a rischio di attacchi di panico. Viene fatta respirare una miscela d’aria arricchita di anidride carbonica al soggetto: se la persona iperventila, cioè respira così velocemente da farlo in maniera inefficace e reagisce con un picco di ansietà, significa che è a rischio di attacchi di panico.  In questo modo i ricercatori hanno potuto osservare che le persone con attacchi di panico erano significativamente più numerose tra i gemelli che da piccoli avevano subito dei traumi da separazione. Non solo: i ricercatori hanno anche dimostrato che un lutto o il divorzio dei genitori - ma anche semplicemente l’emigrazione all’estero del padre alla ricerca di un nuovo lavoro - possono modificare la respirazione probabilmente cambiando la fisiologia dall’età infantile in modo relativamente stabile. La mia opinione personale è che, a differenza di quanto comunemente avviene, di queste ricerche dovrebbero tener conto i magistrati quando stabiliscono gli orari di frequentazione dei due genitori dopo la separazione coniugale, ancora oggi spesso ridotti a poche ore teoriche col genitore non col locatario.

Questi ed altri studi (ad esempio uno di Stein –3- che dimostra l’influenza dei fattori genetici sull’insorgenza di disturbi post traumatici a seguito di visione di episodi di violenza interpersonale) paiono dimostrare l’esistenza di fattori predisponenti difficilmente eludibili che innescherebbero l’antico dibattito tra determinismo (“mi comporto in un certo modo perché è scritto nel mio DNA”) e libero arbitrio (homo faber fortunae sui).

1-A. Caspi, J. Mc Clay et al.: Role of genotype in the cycle of violence in maltreated children. Science. 297,851-4.
2-Marco Battaglia, Paola Pesenti-Gritti, Sarah E. Medland, Anna Ogliari, Kristian Tambs, Chiara Spatola, A genetically informed study on the association between childhood separation anxiety, sensitivity to CO2, panic disorder and the effect of childhood parental loss, Arch. Gen. Psychiatry., Gen. 2009
3-Stein M.B., Jang K.L. et al.ii: (2002) , Genetic and enviromental influences on trauma exposure and post traumatic stress disorder symptoms: a twi study. Am.J.Psychiatry,159,1675-81.

 

Fonte: http://www.figlipersempre.com/res/site39917/res479942_genetica-e-separazione.doc

Sito web da visitare: http://www.figlipersempre.com

Autore del testo: Del dott. Vittorio Vezzetti, direttore scientifico ADIANTUM

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