Genetica quantitativa

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Genetica quantitativa

La genetica quantitativa studia quei caratteri che non possono essere descritti dalla genetica mendeliana cioé quei caratteri che non sono fenotipicamente differenziati e quindi non possono essere messi in classi ben distinte.
Questi caratteri descritti assumono un aspetto continuo , da ciò proviene l’impossibilità di posizionare i vari individui in classi precise e distinte; per capire di che tipo di caratteri stiamo parlando specifichiamo degli esempi: peso, altezza, produzione di latte nei bovini, ecc.
La descrizione di questi caratteri viene fatta con una curva gaussiana tendente all’infinito, in cui nelle ascisse viene indicato i tipi di carattere continui, mentre nelle ordinate viene indicato il numero degli individui. Questo tipo di curva è carateristica inquanto si trova il maggior numero d’individui nella parte centrale delle ascisse.
Un aspetto importante che va sempre valutato è l’influenza dell’ambiente, ad esempio, l’altezza di un individuo è un carattere che ha una base genetica ma è anche fortemente influenzata dal tipo d’alimentazione. Questa relazione tra genotipo e ambiente fu messa in evidenza da Johansenn prendendo in considerazione fagioli di diverse linee pure. Per un certo tipo di linea pura fece autofecondare piante col seme del peso di 30cg ottenendo piante col peso medio di 35,8 cg. Mentre da piante col fagiolo di 40cg si ottenevano per la stessa llinea pura piante col seme del peso di 34,8cg. Essendo linee pure queste piante erano le stesse, solo che avevano un seme con un peso diverso e autofecondate davano pesi medi diversi dovuti al non genoma (in quanto linee pure) ma all’ambiente. Invece, calcolando i pesi medi di tutti i semi per ciascuna linea pura, si riscontravano differenze tra le diverse linee dovute a variazioni del genoma.
Un altro tipo di esperimento fu fatto da Nilsson-Ehle considerando la diversa pigmentazione delle cariossidi del grano. Lo scopo fu quello di comprendere il modo di trasmissione dei caratteri continui, e si costatò che era la stessa dei caratteri mendeliani classici. Quindi, i caratteri quantitativi segregano mendelianamente. Da ciò si concluse che la base genetica di questi caratteri quantitativi derivasse da una moltitudine di geni per uno stesso carattere, che hanno la caratteristica di avere un valore additivo, cioè ciascuno dei geni coinvolti aggiunge una quantità (ad esempio di pigmento)in più per la formazione del carattere. Quindi il pigmento del  cariosside del grano era tanto più colorato quanti più geni vi erano presenti per la formazione del carattere.

IN CONCLUSIONE I CARATTERI QUANTIATIVI:

  • Presentano una variazione continua dovuta sia a fattori ambientali che a differenze geniche;
  • Sono determinati da geni che segregano mendelianamente;
  • Sono caratteri poligenici; cioè determinati da più geni;
  • I geni coinvolti nella determinazione di questo carattere hanno un effetto additivo

 Consideriamo un incrocio tra linee pure con cariossidi non pigmentate e cariossidi rosso intenso si ottengono una F1 con fenotipo intermedio. Nella F2 si ottengono cinque fenotipi diversi, in pratica cinque gradazioni diverse del colore della cariosside che tendono dal bianco al rosso intenso. Le due classi estreme, cioè quelle omozigoti hanno una frequenza ciascuna di 1/16 ciò ci porta a concludere che si tratti di un carattere mendeliano determinato da due geni. L’ipotesi che facciamo è che la differenza di pigmentazione è dovuta alla presenza di più alleli con effetto additivo: se indichiamo il genotipo bianco con [aabb], una pigmentazione debole può essere dovuta alla presenza di un solo allele dominante [Aabb; aAbb; aaBb; aabB], una colorazione un pò più intensa può essere dovuta alla presenza contemporanea di due alleli dominanti [AAbb; aaBB; AaBb; aAbB;aABb;AabB], o ancora più intensa alla presenza di tre alleli [AABb; AabB; aABB;AaBB], fino ad arrivare allo presenza di un omozigote dominante che avrà il fenotipo più intenso in assoluto.

Gli esperimenti hanno dimostrato che quando più geni con un carattere additivo sono coinvolti nella determinazione di un carattere aumentando il numero di geni con effetto additivo aumenta il numero di classi fenotipiche.
Se nella determinazione del carattere “colore del cariosside” fossero coinvolti dieci geni avremo una variazione della pigmentazione del colore cosi’graduale e sottile che non riusciremmo a riconoscere delle classi fenotipiche distinte, ma si osserverebbe una variazione continua.
In definitiva poiché i caratteri quantitativi sono determinati da più geni con effetto additivo e in più sono influenzati da fattori ambientali si ha una variazione del fenotipo in modo continuo, variazione che si può rappresentare da una curva normale o a campana.  
In generale la frequenza dei fenotipi estremi alla F2 (cioè gli omozigoti) è data dalla formula 1/2elevato 2n; dove n corrisponde al numero dei geni coinvolti.

Nel caso di caratteri con variazione continua, per analizzare i fenotipi possiamo dividere questa variabilità continua in classi che comprendono individui con fenotipo compreso in un dato intervallo; ad esempio analizzando l’altezza degli uomini in una popolazione possiamo creare delle classi in cui in una stessa categoria si mettano gli individui con un’altezza compresa fra 1,60 e 1,65m.

STUDIARE I CARATTERI QUANTITATIVI:
Per prima cosa si deve caratterizzare il carattere quantitativo: questo è possibile utilizzando due parametri statistici:la MEDIA, e la VARIANZA.
Per via della distribuzione continua dei caratteri, si può stabilire il valore medio che varia secondo il carattere e della popolazione considerata. Però la media da sola non basta a caratterizzare un carattere quantitativo perché possiamo avere due distribuzioni diverse, rappresentate da due curve normali diverse, in cui la media è la stessa ma le curve hanno ampiezza e quindi varianza diversa.

La varianza è la deviazione dei campioni rispetto alla media, ed è la varianza che ci dà l’ampiezza della curva normale.
Ci si può ritrovare in una situazione in cui la varianza è la stessa ma la media è diversa.
Quando si calcolano questi parametri non ci riferiamo ad un unico individuo ma bensi ad un’intera popolazione. L’analisi quindi non può essere fatta utilizzando un incrocio programmato, ma considerando un campione d’individui che sono analizzati per l’espressione di un determinato carattere.
Attraverso l’analisi della distribuzione di un carattere quantitativo si può anche risalire al numero di geni coinvolti nella determinazione di questo carattere confrontando la curva reale di distribuzione del carattere considerato con curve teoriche di distribuzione.
Un altro parametro che è utilizzato per l’analisi dei caratteri quantitativi è l’ereditabilità, che è un parametro che ci permette di determinare il peso della base genetica che determina questi parametri rispetto all’influenza dell’ambiente.
L’ereditabilità non indica quanto un carattere sia determinato geneticamente, in altre parole il 70% di eredità non sta significando che il 70% dei geni determini il carattere.
Quello che analizziamo è la varianza, la variabilità, e l’ereditabilità ci fornisce una stima di quanto la variabilità genetica influisca su quella fenotipica, cioè di quanto le differenti combinazioni alleliche influiscano sul fenotipo e, infatti, l’ereditabilità è il rapporto tra varianza genetica e varianza fenotipica in cui la varianza fenotipica è la somma della varianza genetica con la varianza ambientale: Vf= Vg+Ve          H = ereditabilità = varianza genetica/varianza fenotipica=====Vg/Vg+Ve.
Quindi un’ereditabilità del 70% indica che esiste una variabilità genetica che influenza il carattere per il 70%. L’ereditabilità è la frazione di variazione fenotipica dovute a differenze genetiche.
Vediamo ora un esempio in cui si calcola il valore di ereditabilità:l’esempio riguarda un esperimento condotto sulla NICOTIANA (pianta del tabacco), in cui si effettua un incrocio mendeliano tra linee pure, ossia tra piante con lo stelo corto e piante con lo stelo lungo. All’interno di ciascuna linea pura esiste una certa variabilità per il carattere specificato, infatti, le piante non sono tutte della stessa altezza, ma vi e’ una differenza di 2-3cm. La F1 presenta un fenotipo intermedio (media diversa dai parentali) e anch’essa presenta una certa variabilità. La variabilità della F1 e da attribuire esclusivamente all’ambiente, perché le piante sono genetipicamente identiche, poiché derivano da linee pure. In questo caso l’analisi della varianza ci permette di determinare la varianza ambientale.
Con l’autofecondazione delle piante della F1, si ottiene una F2 in cui la media per il carattere considerato non è molto diversa dalla media trovata alla F1, però aumenta di molto la varianza. In questo caso dobbiamo considerare sia le variazioni ambientali sia le variazioni genotipiche, perché non tutti gli individui della F2 sono genetipicamente identici, infatti, autofecondando piante dalla F2, conla stessa altezza si ottiene nella F3 dei valori medi e delle varianze diverse secondo l’altezza degli individui che vengono autofecondari.

F1 = varianza media = 8,46 = varianza ambientale
F2 = varianza media = 40, 96 = varianza ambientale + varianza genetica

Vg= Vtot – Vamb= 40,96 – 8,46 = 32,2

H = 32,2/40,96 = 0,79             79% eretitabilità!!!!!!
La variabilità genetica influisce per il 79% sulle differenze fenotipiche che noi osserviamo.
Tale metodo però è possibile nel caso in cui si possano usare degli incroci programmati. Nel caso dell’uomo però non è possibile fare tali incroci e percio si utilizza un altro metodo statistico che è la covarianza. La covarianza è quel parametro che ci permette di correlare due variabili e di capire se le variazioni di queste variabili sono correlate o meno.
Possiamo analizzare il “carattere statura” tra genitori e figli, e vogliamo sapere se vi è una correlazione tra i due. Possiamo allora determinare la covarianza che può essere positiva nel caso in cui aumentando la statura dei genitori aumenta pure quella dei figli, o negativa quando aumentando la statura dei genitori diminuisce quella dei figli. La covarianza ci dice quanto variano relativamente le due variabili, però non ci dice se le due variabili sono strettamente correlate, cioè se la variazione di una variabile determina la variazione dell’altra. Quindi si utilizzano altri due parametri: coefficiente di correlazione che tiene conto della deviazione standard dei due campioni; retta di regressione che ci permette di stabilire qual è l’andamento delle due variabili; quest’andamento è espresso dall’inclinazione della retta.
Quando ad un aumento di un  tot di cm dell’altezza dei genitori corrisponde un uguale aumento dell’altezza dei figli, l’inclinazione della retta (indicata con la lettera “b”), avrà il valore di 1.

Nei casi in cui b = 0,5 e b = 0 non c’è nessuna correlazione tra aumento dell’altezza nei genitori e aumento dell’altezza nei figli, quindi la variabilità che si osserva per quanto riguarda l’altezza non è una variabilità d’origine genetica, ma è una variabilità d’origine ambientale. Nel caso di b=0,5 l’incremento dell’altezza dei figli risulta più basso rispetto all’aumento dell’altezza dei genitori. Poiché proprio l’inclinazione della retta è il parametro che ci indica la correlazione tra due variabili, sipuò considerare tale valore corrispondente all’ereditarietà trovata in precedenza; quindi diciamo che H = b.

STIMA DELL’EREDITABILITA’
Un metodo per calcolare l’ereditarietà è molto usato nella selezione artificiale: metodo della selezione di massa. Ipotizziamo di selezionare dei bovini con una massa muscolare maggiore rispetto al resto della popolazione. Questi bovini selezionati si fanno incrociare tra loro e nella progenie si selezionano ancora quelli che hanno un peso maggiore e cosi via… Tutto questo lavoro sarebbe un lavoro inutile se la variabilità non avesse alcun tipo di ereditabilità genetica ma avesse dovuto esclusivamente all’ambiente. Ove il carattere “massa muscolare” fosse determinato solo dall’ambiente basterebbe perfezionare il mangime dato ai bovini.
Staitisticamentr si ricavano tre dati:1)peso medio parentali 2)selezione dei capi più grandi di almeno ¼ superiore al valore medio 3)incrociati i capi si fa un peso medio della progenie. Da ciò si fa il differenziale della selezione (D): la differenza tra la media dei genitori (selezionati) meno la media dei genitori dell’intera popolazione; e l’incremento selettivo (G): che il valore medio dei figli dei capi selezionati meno il valore medio della popolazione inizionale.
Il rapporto tra i due parametri ci da un valore d’eredità. Se H=G/D=1 allora la variazione sara puramente di tipo genetica; viceversa se H=G/D=0 vorrà dire che la variabilità sarà ti tipo ambientale.

Il rapporto tra G e D ci dà il valore d’ereditabilità che è di 0,57, tale valore indica che selezionando questi bovini vi è una buona probabilità di ottenere delle coltivazioni che producano bovini con peso maggiore.

EREDITABILITA’IN POPOLAZIONI DIFFERENTI
I valori di ereditabilità non sono valori assoluti e bisogna sempre tenerne conto per non incorrere a errrori. L’ereditabilità non è un vallore assoluto perché esso varia a seconda della base genetica che si considera:quindi al variare della popolazione considerata  e al variare dell’ambiente.
Per un a stessa popolazione in condizioni ambientali differenti faranno trovare valori d’ereditabilità differenti.
ESPERIMENTO:
1) Talee di una singola pianta sono state piantate su un versante collinare. Il versante collinare è un ambiente differenziato secondo la zona in cui cresce la pianta. Essendo per selezione piante omozigoti, la variabilità genetica è zero. Da ciò la variabilità che si osserva dipende totalmente dall’ambiente.
Vg = 0         Ve = 1
2) altre talee di piante con genotipo eterozigote, vengono piantate in un terreno ottimale e omogeneo. Quindi la varianza genetica sarà alta mentre quella ambientale sarà minima.
Vg = alta         Ve = minima
3) le stesse piante della fase due sono piantate in condizioni ambientali pessime ma sempre con terreno omogeneo. Da ciò si otterra sempre una elevata variabilità genetica e variabilità ambientale minima.
Vg = alta        Ve = minima
4) le stesse talee della fase due ora sono piantate in un terreno uguale a quello della fase uno. Avremo in questo caso una varianza genetica intermedia e una varianza ambientale intermedia.
Vg = intermedia         Ve = intermedia

Notiamo che le piante delle fasi 2, 3, e 4 sono le stesse; nonostante ciò abbiamo una variabilità genetica alta nelle fasi 2 e 3, mentre nella fase 4 avremo una variabilità genetica intermedia. Quindi, stesse piante fatte crescere in terreni differenti avranno un’ereditabilità differente.
Inoltre il fatto che nei casi 2 e 3 si abbia una varianza genetica alta non significa che le differenza fenotipiche che si osservano siano di tipo genetico; nel caso 2 abbiamo piante rigogliose; mentre nel caso 3 avremo piante stentate e questa differenza fenotipica non è dovuta alla varianza genetica delle piante ma è dovuta a differenze ambientali.
Nell’uomo spesso per motivi socio-politici e non genetici, le differenze tra popolazioni sono considerate su una base di un’errata interpretazione del valore di ereditabilità come dovuta a geni. Se i neri hanno un quoziente intellettivo più basso rispetto agli americani bianchi non significa che tali differenze siano dovute al fatto che i neri siano geneticamente più scemi; ma è dovuto al fatto che le condizioni socio culturali (e quindi ambientali) sono estremamente diverse.

 

Fonte: http://lab.artmediastudio.it/www-storage/appunti/47785/7010/GENETICA%20QUANTITATIVA.doc

Sito web da visitare: http://lab.artmediastudio.it

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