Popolazione mondiale storia

Popolazione mondiale storia

 

 

 

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Popolazione mondiale storia

 

Popolamento della terra dalle origini ad oggi

Sembra che il genere Homo sia comparso sulla terra poco più di due milioni d’anni fa nelle regioni dell’Africa orientale. A questo primo essere con le sembianze umane viene assegnato il nome di Australopiteco.
Si passò poi all’Homo habilis e da questo all’erectus che espanse il suo territorio all’intera Africa, all’Europa temperata e all’Asia meridionale ed orientale.
A 150 mila anni fa si fa risalire la presenza dell’Homo sapiens, che era in grado di servirsi del fuoco e di cacciare i mammiferi.
Si arrivò poi all’Homo sapiens – sapiens che creò le prime abitazioni, indumenti per ripararsi dal freddo, oggetti ottenuti con la lavorazione dell’osso, del corno e dell’avorio.
In questo periodo la popolazione umana raggiungeva i 2,5 milioni di unità. L’Homo sapiens – sapiens allargò ulteriormente il suo territorio passando in Australia, negli arcipelaghi dell’Asia meridionale e, successivamente, grazie alla glaciazione di Wurm, che saldò l’Asia orientale e l’America, popolò anche il continente americano. 
Gli uomini preistorici vivevano isolati o in piccoli gruppi dedicandosi alla caccia o alla raccolta di frutti naturali.
La prima esplosione demografica risale al Neolitico quando furono create nuove attività come la lavorazione dei metalli oltre che della ceramica e della terracotta. Inoltre, fu grazie all’allevamento e all’agricoltura che l’uomo aumentò i mezzi di sussistenza.
In questo periodo da nomade divenne sedentario e così si crearono i primi villaggi di contadini e anche piccole forme di vita urbana. Grazie alle maggiori disponibilità alimentari la popolazione aumentò in modo consistente fino a raggiungere nell’era cristiana i 200 – 250 milioni di individui.
Gli addensamenti urbani crescono e le città arrivano ad avere un gran numero di abitanti. Si sviluppano i commerci e viene creata la moneta metallica. Le condizioni igieniche sanitarie erano comunque ancora precarie e il tasso di mortalità restava molto alto.
Si pensa che l’Impero Romano raggiungesse i 54 milioni di abitanti ma, a partire dal III secolo l’intero impero subì un declino demografico che durò fino all’VIII secolo. Questa implosione fu dovuta inizialmente alla schiavitù, al controllo delle nascite e al celibato, alle epidemie e alla carestia.
In seguito, a partire dal V secolo le invasioni barbariche aggravarono questa situazione.
Con il ritorno ad una situazione politica abbastanza stabile e quindi, con la ripresa dell’economia, a partire dall’XI secolo riprese l’aumento demografico che però fu frenato da nuove carestie ed epidemie. 
La seconda grande esplosione demografica si ebbe con la Rivoluzione Industriale; la popolazione europea passò dai circa 84 milioni del 1500 ai 146 milioni del 1750 e, successivamente, raddoppiò in un secolo e quadruplicò in due.

CITTA'

1850

1870

Incremento Percentuale

Berlino

400000

1000000

150%

Parigi

1000000

2000000

100%

Londra

2500000

4000000

63%

 

Nel Nord America, nel Sud America e in Africa gli europei invece, con la colonizzazione determinarono un calo demografico dovuto alla tratta degli schiavi.
La popolazione dell’Asia, in questo periodo, continuò a crescere perché fu colonizzata più tardi.
Il forte aumento della popolazione europea fu causato dal passaggio da un regime demografico primitivo (alta fecondità ed alta mortalità), ad un regime di transizione (alta fecondità e decrescente mortalità). Dalla metà del Settecento alla metà dell’Ottocento, infatti, la durata media della vita passò nei paesi europei da 25 a 35 anni e continuò a salire fino a raggiungere alla metà del Novecento i 66 anni.
A ciò contribuì:

  • La nascita della moderna medicina (creazione di vaccini che ridussero le malattie infettive);
  • I nuovi metodi agricoli;
  • L’importazione di colture dal Nuovo Mondo.

Il proletariato industriale e i contadini desideravano avere un sempre maggior numero di figli, per ottenere maggiore disponibilità di manodopera ed aumentare il reddito famigliare.
Successivamente, a causa delle trasformazioni sociali, economiche e culturali, gli indici di fecondità e di mortalità cominciarono a calare specie dopo gli anni Quaranta e Cinquanta. Così, la seconda grande esplosione demografica inizia a bloccarsi ma, al contempo, si avvia la terza grande esplosione demografica nei paesi meno sviluppati. Fino alla Seconda Guerra Mondiale il loro regime demografico era caratterizzato da alta fecondità ed alta mortalità. Ad iniziare dagli anni Quaranta e Cinquanta si è passati ad un regime caratterizzato sempre da alta fecondità ma da una mortalità in diminuzione, grazie alla lotta contro le malattie infettive e parassitarie. Ciò ha permesso di aumentare la speranza di vita alla nascita.
Questa accelerazione mondiale senza precedenti ha portato la popolazione mondiale attuale ai sei miliardi di abitanti.

 

Ecco una tabella che evidenzia questo andamento demografico:


Anni

Popolazione

0

252

1000

253

1500

461

1700

771

1990

5292

 

 

Le migrazioni

Le migrazioni nella storia sono state tante e causate da diversi motivi. Nella preistoria furono soprattutto le variazioni climatiche a determinare gli spostamenti degli uomini. Nell’antichità, furono i traffici dei popoli marittimi e il trasferimento obbligatorio degli schiavi. L’espansione dell’Impero Romano causò frequenti spostamenti dai territori conquistati verso Roma e viceversa.
Nel V secolo migrazioni come quelle barbariche segnarono la fine dell’antichità.
Nel IV secolo nelle distese steppose dell’Asia centrale ai confini con la Mongolia gli Unni iniziarono a spostarsi e, insieme con loro, anche altri popoli (germani orientali e slavi). Nel VII secolo l’Islam si espanse dall’Arabia in Medio Oriente e nell’Africa settentrionale, in Spagna e in Sicilia.
Nel X secolo iniziò l’espansione dei turchi che ebbe una notevole influenza sul mondo islamico.
Tra il IX e il XII secolo i normanni si spostarono fin nell’Europa orientale, in Francia e nell’Italia meridionale.
Tra il XII e il XIV secolo furono le popolazioni germaniche a spingersi nei territori slavi. Sempre in questo periodo in Asia popolazioni mongole invasero la Cina, il Vicino Oriente e l’Europa orientale. I mongoli furono spinti nuovamente verso occidente dalla conquista cinese della Mongolia.
Nel XVI secolo iniziò la colonizzazione europea dell’America. In tre secoli emigrarono in questo territorio 4 o 5 milioni di europei, inizialmente dalla Spagna e dal Portogallo poi, dalle isole britanniche, soprattutto dall’Irlanda. A questo flusso si aggiunse quello degli africani catturati e venduti come schiavi nelle Americhe.
In seguito, nel XVIII secolo, gli europei emigrarono nuovamente in America ma, le cause furono diverse:

  • L’esplosione demografica causata dalla Rivoluzione Industriale, in special modo in Inghilterra, Irlanda e Germania;
  • Le condizioni di povertà in cui vivevano i contadini russi e astro – ungarici;
  • Le persecuzioni che in Russia e Austria costrinsero gli ebrei a scappare.

Tra il 1800 e il 1930 inoltre, circa 40 milioni d’ebrei si trasferirono.
A partire dalla Seconda Guerra Mondiale si è andato sempre più accentuando il numero degli immigrati, che dai paesi in via di sviluppo e dall’Europa orientale si trasferiscono in Europa occidentale. Anche in alcune regioni dell’Unione Sovietica, soprattutto dopo la disgregazione dell’Unione, si sono registrati flussi migratori provenienti dalle regioni asiatiche.
Perciò, nei paesi europei il numero degli immigrati ha superato quello degli emigrati.
I flussi migratori del giorno d’oggi sono causati, da differenze sociali ed economiche tra paesi sviluppati e paesi più arretrati. Anche all’interno dei vari paesi le ragioni sono fondamentalmente queste. Gli emigrati sono persone povere, disoccupate o sottoccupate ma, anche persone che, pur non essendo povere, vogliono migliorarsi economicamente e socialmente.
Nei paesi in via di sviluppo le cause dei flussi migratori sono principalmente:

  • I possedimenti terrieri appartengono a pochi grandi proprietari e così i contadini si devono accontentare di poche terre marginali;
  • La povertà delle grandi masse rurali;
  • La presenza troppo massiccia di individui in zone a debole ecosistema che causa anche deforestazione e degradazione del suolo;
  • La fame e la malnutrizione che si creano e il conseguente spostamento nelle città;
  • La situazione di degrado delle città.

A tutti questi motivi si aggiungono le politiche autoritarie dell’èlite, le persecuzioni e le guerre civili oltre, ad altri fattori legati all’economia come:

  • Il calo dei prezzi delle materie prime in molti paesi poveri;
  • L’aumento degli interessi sui prestiti internazionali;
  • L’aumento della disoccupazione e sottoccupazione e l’abbassamento dei salari;
  • I tagli alle spese sociali.

Nonostante ciò che si pensa, la maggior parte delle persone residenti all’estero si trova in Asia, Africa e America e non nel Nord America e nell’Unione Europea. Infatti, una consistente parte di flussi migratori avviene tra paesi in via di sviluppo quali Asia, Africa, America Latina e anche all’interno delle stesse zone.
Oggi, i paesi sviluppati adottano particolari misure restrittive per limitare il flusso di immigrati ma, questi arrivano clandestinamente e cercano di lavorare non in regola offrendo mano d’opera a basso costo.
Ecco un esempio di come si suddividono oggi gli immigrati in un paese sviluppato come l’Italia:

PROVENIENZA

IMMIGRATI

Africa

48%

America

24%

Asia

21%

Europa

7%

 

 

Miti, stereotipi e delusioni

Le migrazioni hanno portato sempre, nel corso della storia, grandi illusioni e speranze seguite da tante amarezze e delusioni. Infatti, chi parte è desideroso di migliorare le sue condizioni di vita e spesso vuole fuggire da una realtà sociale ed economica ostile che non gli permette di cambiare la sua condizione.
Ciò è riscontrabile anche in pensieri di scrittori che trattano questo tema:

  • “La grande proletaria si è mossa” di Giovanni Pascoli;
  • “Il lungo viaggio” di Leonardo Sciascia.

“La grande proletaria si è mossa” è un discorso tenuto da Pascoli nel 1911 per esaltare la guerra di conquista coloniale della Libia da parte dell’Italia durante il governo Giolitti. Questa esaltazione celebra soprattutto il fatto che, con la presa di questa terra gli italiani potevano immigrare in un territorio di loro appartenenza e non straniero. Infatti, nei territori stranieri gli italiani venivano sfruttati e disprezzati perché immigranti. Questo discorso, oltre ad essere fortemente condizionato dalle idee che si andavano diffondendo in quel periodo, come il nazionalismo e di conseguenza il razzismo e la superiorità di alcune civiltà rispetto ad altre, presenta anche alcuni aspetti tipici di tutte le migrazioni:

  • le illusioni;
  • il pregiudizio sugli immigranti e il senso di superiorità delle popolazioni locali.

Le illusioni sono rappresentate dal fatto che Pascoli pensa che gli italiani troveranno lavoro in Libia mentre, questo territorio si rivelerà poi desertico e saranno molto pochi quelli che poi vi immigreranno.
Il pregiudizio è rappresentato dalle condizioni in cui erano trattati gli immigranti italiani nei territori stranieri e il fatto di sentirsi loro stessi inferiori e sfruttati per questo.
Anche il brano “Il lungo viaggio” mette bene in risalto gli aspetti che caratterizzano il fenomeno dell’immigrazione. Descrive un gruppo di uomini che dalla Sicilia si imbarcano per l’America. Nella prima parte del racconto sono rappresentate tutte le speranze degli immigranti e i sacrifici per partire mentre, nella seconda parte, rappresentata dall’arrivo in America, risaltano le delusioni dovute al fatto di non sapere dove andare e cosa fare, senza sapere la lingua e con l’ostilità della popolazione locale verso di loro.

L’urbanizzazione

Si pensa che le prime città risalgano a 5000 anni fa. I luoghi allora abitati erano le valli alluvionali del Tigri, dell’Eufrate e dell’Indo. Gli uomini hanno abitato per prime queste zone perché più favorevoli all’agricoltura. I contadini abitavano nelle campagne e producevano i viveri mentre, sacerdoti, guerrieri e funzionari vivevano nelle città e usufruivano e decidevano dei beni prodotti dai contadini. Queste informazioni sono piuttosto attendibili perché nelle città gli scribi si occupavano di codificare tutto ciò che accadeva. Così, erano formate le città–stato, come quelle della Sumeria, con una netta divisione tra lo spazio urbano abitato dai dotti e quello rurale dove vivevano i contadini.
Anche la città era divisa secondo il ceto degli abitanti. Tutto era strutturato in recinti e con l’avvento della monarchia, questa situazione venne maggiormente accentuata.
Le città greche, invece, erano città aperte, senza recinti. Le società si governavano come stati indipendenti. Lo stato romano ereditò dal mondo greco l’organizzazione del territorio. L’urbanistica romana era legata ad una particolare concezione della società: vi era una consistente organizzazione statale. Quando l’impero decadde, politicamente e militarmente, vi fu la crisi delle città.
Il Medioevo fu caratterizzato dall’abbandono delle città e dalla rioccupazione delle campagne secondo un’economia feudale di sussistenza. Le città furono trasformate in depositi ed in spazi architettonici. In seguito, a causa del fallimento del sistema feudale, si passò ad una prima fase di capitalismo mercantile che segnò il ritorno alle città per effettuare gli scambi commerciali. Fu necessaria la riorganizzazione dello spazio urbano con l’allargamento delle strade, la regolamentazione delle torri, la divisione delle città in quartieri, la creazione di una piazza principale come luogo di scambi e di importanti sedi. Tutto questo ridimensionamento proseguì nel corso del Rinascimento, epoca in cui vennero creati i più importanti centri storici ancora presenti.
L’urbanizzazione moderna ha inizio con la Rivoluzione industriale che da origine a città legate al sistema di produzione capitalistico industriale. Le fabbriche e i quartieri operai vennero costruiti alla periferia delle città. In questo periodo una grande massa di contadini si trasferisce proprio in questi quartieri per lavorare in fabbrica. Le città aumentano in modo consistente e la capacità abitativa non è sufficiente. Le città europee si allargano, aumentano le speculazioni sulle abitazioni degli operai e le rivolte popolari dovute alle condizioni igieniche e abitative in cui queste persone erano obbligate a vivere.
La seconda metà del ‘900 è caratterizzata dal fenomeno dell’urbanesimo. Questo incremento è caratterizzato dall’aumento delle megalopoli soprattutto nelle regioni meno sviluppate.
Nei paesi più sviluppati si è passati da una città industriale ad una città post – industriale caratterizzata non più dalle fabbriche ma dai servizi. Quindi, le città vengono trasformate in base alle nuove esigenze di un’economia caratterizzata dal terziario. Così, le industrie vengono trasferite in zone decentrate o ridimensionate. Vengono create sempre più “tecnopoli” caratterizzate dalle attività scientifiche e di ricerca che sono anche zone di residenza del personale che vi lavora. I centri delle città si trasformano in centri di servizi. Gli abitanti con un reddito piuttosto alto si trasferiscono in zone che gli consentono di migliorare le loro condizioni abitative come le zone verdi mentre, chi ha un reddito modesto deve trasferirsi in periferia o nei sobborghi a causa del costo elevato degli affitti e delle abitazioni dovuto alla terziarizzazione. Siccome la periferia si allarga sempre più occorre creare maggiori infrastrutture e si espande la zona definita urbana.
Nonostante tutte queste trasformazioni le città conservano il ruolo direttivo caratterizzato dal fatto che al loro interno si trovano gli organi di governo, i centri decisionali dell’economia, le istituzioni culturali e scientifiche più importanti.
La netta divisione città – campagna, invece, tende a scomparire proprio a causa dell’allargamento delle città. Spesso diventa difficile stabilire la separazione da un centro urbano ad uno rurale.
Questo tipo di città che caratterizza i paesi sviluppati ha cambiato anche le abitudini della popolazione che vi risiede. Le differenze socio – economiche sono più marcate. Le diverse zone residenziali sono ben individualizzabili e distinguono le diverse classi sociali.
Nei paesi meno sviluppati la popolazione continua a crescere e così anche gli agglomerati urbani. Le città si allargano e peggiorano le condizioni abitative. Le metropoli sono sempre più ampie e numerose. Nei centri di queste ampie città si concentrano i ceti sociali più ricchi e benestanti mentre nelle periferie delle megalopoli la popolazione vive in pessime condizioni: non ha una vera e propria casa ma vive in baracche di legno, lamiera, plastica e per lo più in discariche. Così, alle periferie delle metropoli aumentano sempre più le bidonville. I governi molto spesso tentano di risolvere le cose con metodi drastici: facendole spazzare via dai bulldozer. Ciò non risolve nulla perché la gente ricostruisce le baracche in un’altra discarica. E’ abituale anche trovare persone che dormono sui marciapiedi. Anche nelle città con forte sviluppo economico l’inurbamento troppo consistente aggrava il problema delle abitazioni. Inoltre, le risorse idriche, gli impianti igienici, le fognature e i servizi di smaltimento dei rifiuti non sono sufficienti per un aumento così consistente. Molte persone non possono usufruire dell’acqua potabile nelle loro abitazioni mentre nelle bidonville e nei quartieri poveri la popolazione ha solo pozzi o fontane e spesso anche questi sono insufficienti rispetto al numero degli abitanti. I fiumi e i pozzi da cui la popolazione prende l’acqua sono spesso inquinati e ciò è la causa di malattie tipiche di queste zone. Un altro grave problema caratteristico di queste metropoli è quello dei trasporti: il traffico è caotico, gli autobus viaggiano sovraccarichi, i tempi del viaggio si allungano a causa degli ingorghi. Inoltre i mezzi sono vecchi e molto inquinanti.
Lo squilibrio sociale tra l’èlite ed il resto della popolazione è molto marcato e per quest’ultima aumenta ogni giorno la degradazione per sopravvivere.

 

LA POPOLAZIONE DELLE AREE URBANE (dati espressi in percentuale):

CONTINENTE

1970

1990

2025*

AFRICA

23

32

54

ASIA (escluso Giappone)

20

29

54

AMERICA LATINA

57

72

84

EUROPA

67

73

85

NORD AMERICA

74

75

85

MONDO

37

43

61

 

* Le percentuali indicate si riferiscono ad una previsione

 

La distribuzione

Ci sono parti della terra dove l’insediamento umano stabile è favorito dalle risorse climatiche e dalle risorse disponibili. Queste parti insieme vengono chiamate ecumene (terra abitata). L’anecumene, invece, indica le zone dove la presenza umana è minima sia per il clima sfavorevole sia per la mancanza di risorse da sfruttare. La zona di transizione fra queste due aree viene chiamata subecumene dove alcune attività specifiche possono essere esercitate solo nelle stagioni migliori.
La distribuzione degli uomini è stata influenzata sia da fattori di tipo naturale che da fattori di tipo umano.
Quasi tutti gli abitanti della terra vivono nell’emisfero boreale. Ciò è dovuto al fatto che la maggior parte delle terre emerse si trova in quest’area. La popolazione, comunque, non si distribuisce in maniera uniforme, infatti, ci sono delle aree definite forti:

  • Asia orientale e meridionale;
  • Europa temperata;
  • Fascia atlantica dell’America settentrionale;
  • Fascia costiera del golfo di Guinea (Africa);
  • Regione brasiliana di Sao Paulo e Rio de Janeiro (uniche a sud dell’Equatore);

Anche i territori disabitati si trovano per la stessa ragione nell’emisfero boreale.
I maggiori territori dell’anecumene sono:

  • Groenlandia;
  • Alaska;
  • Regioni del Canada e della Siberia;
  • Antartide, Australia e America meridionale al Sud.

La presenza dell’uomo è ostacolata dal clima molto rigido di queste zone.
C’è anche un altro fattore che impedisce l’insediamento umano: l’aridità del clima. Ciò è tipico di:

  • Steppe;
  • Savane;
  • Deserti.

Anche nelle zone popolate gli abitanti non sono distribuiti in modo uniforme ma in base a due fattori importanti: la distanza dal mare e l’altitudine.
Il mare attira gran parte della popolazione perché aiuta le zone costiere ad avere un clima più favorevole rispetto alle zone interne e, inoltre, con la navigazione, favorisce gli scambi commerciali con gli altri paesi. Così, il 30% della popolazione mondiale vive lungo le coste che occupano il 12% delle terre emerse. Significativo è il dato relativo al Mar Mediterraneo: sono presenti lungo la sua fascia 80 milioni di persone.
All’interno dei paesi, invece, la densità abitativa appare meno accentuata. Infatti, l’altitudine influisce negativamente sull’insediamento umano perché la composizione del territorio ostacola le attività economiche e le comunicazione e, inoltre, con l’aumento dell’altezza diminuisce la temperatura e c’è più freddo. In linea generale, oltre i 2000 metri la popolazione è inesistente o quasi. L’unica eccezione si trova nelle zone equatoriali dove gli altipiani all’altezza di 2000 – 3000 metri sono più popolati delle zone situate a livelli più bassi perché l’altitudine mitiga il forte caldo e l’umidità.

 

Comunque, nelle zone interne, gli insediamenti umani prediligono le vallate fertili e le pianure irrigue della Terra:

  • Piana dello Huang He, del Gange e dell’Indo in Asia;
  • Valle del Reno;
  • Pianura olandese;
  • Val Padana in Europa;
  • Valle del Nilo;
  • Delta del Niger in Africa.

Più dell’80% degli uomini abita in zone situate a meno di 500 metri di altitudine.
Un altro elemento che caratterizza lo squilibrio nella distribuzione della popolazione è il trasferimento dalle campagne alle metropoli o alle megalopoli.

 

La densità

La densità mette ancora maggiormente in evidenza la scorretta distribuzione della popolazione. La densità esprime il grado reale di occupazione di un territorio e consiste nel rapporto tra gli abitanti e la superficie della zona presa in considerazione.
La superficie delle terre emerse ammonta a 149,2 milioni di Kmq e la densità media della superficie terrestre è di 40 ab/Kmq.
La più alta densità di presenze umane è quella dell’Asia con 78 ab/Kmq seguita dall’Europa con 68 ab/Kmq. I livelli minimi appartengono ad Australia ed Oceania che presentano una densità di appena 3 ab/Kmq.
Confrontando i valori dei singoli stati le differenze appaiono ancora più rilevanti. Gli stati più popolati sono quelli con una grande estensione territoriale ma, sono i paesi con una piccola superficie ad avere la più densità. In Bangladesh questa è di 775 ab/Kmq. Gli altri stati più densamente popolati sono:

  • Bahrein;
  • Taiwan;
  • Corea del Sud;
  • Giappone;
  • Libano;
  • India.

Questo per quanto riguarda gli stati asiatici.
In Europa, invece, prevalgono per densità:

  • Paesi Bassi;
  • Belgio;
  • Regno Unito;
  • Germania;
  • Italia.

Un’elevata densità si riscontra anche in molti paesi dei Caraibi (America) e, per quanto riguarda l’Africa in Ruanda e Burundi (molte risorse idriche, altitudine elevata che attenua il clima equatoriale).
Tra i paesi con densità meno elevata, invece, prevale l’Islanda con 2 ab/Kmq.
Comunque, anche questo dato (diversa densità degli stati) è relativo perché è il risultato della media fra zone completamente desertiche ed aree molto popolate.
Allora, il dato più importante sotto questo punto di vista è la densità fisiologica, cioè l’entità di abitanti per unità di superficie coltivabile.

 

I fattori che incidono sulle dinamiche demografiche

Ci sono vari fattori che incidono sulle dinamiche demografiche dei vari paesi e danno una spiegazione sui differenti modelli di popolamento, sulle cause delle disomogenee densità e distribuzioni territoriali delle popolazioni. Questi fattori possono essere sia naturali che socioeconomici.
I fattori naturali si distinguono in due categorie:

  • FATTORI BIOLOGICI: tengono in considerazione due aspetti fondamentali che sono il nascere e il morire;
  • FATTORI GEO – CLIMATICI: sia la geomorfologia del territorio che il clima incidono sulla presenza della popolazione. Di questi fattori fanno parte anche la latitudine, la morfologia, la natura dei suoli, l’idrografia, la disponibilità di acqua, l’altitudine sul livello del mare e la distanza dal mare.

Comunque, lo sviluppo tecnologico ha permesso insediamenti umani anche in territori che prima erano molto inospitali. Però, ci sono fattori modificabili piuttosto facilmente, mentre altri sono più rigidi e modificabili con interventi complessi e costosi. Alcuni interventi umani che hanno permesso di ampliare l’ecumene sono stati tra gli altri:

  • Le bonifiche che hanno consentito la presenza di insediamenti umani in terre prima disabitate;
  • I terrazzamenti nelle zone montuose;
  • L’irrigazione in aree desertiche.

Tra i fattori socioeconomici prevalgono:

  • SISTEMA ECONOMICO: è influente soprattutto per quanto riguarda la domanda di lavoro che può risultare inferiore rispetto alle persone in cerca di lavoro e, quindi, si ha l’emigrazione. Invece, se la domanda di lavoro è superiore allora si ha l’immigrazione. La domanda di lavoro è importante anche perché può far aumentare o diminuire la crescita demografica.
  • APPARTENENZA SOCIALE: spesso appartenere ad un determinato ceto sociale condiziona i comportamenti. Infatti, la condizione della donna incide spesso sulle dinamiche demografiche (una donna impegnata in attività extrafamigliari pianifica maggiormente la procreazione).
  • CONDIZIONE POLITICA: le ideologie politiche influiscono, a volte, sulle nascite, sui flussi migratori e anche sulla sanità. Inoltre, in molti casi le guerre fanno diminuire fortemente la popolazione di un territorio.
  • CONTRASTI ETNICO – RELIGIOSI: questi conflitti che si originano a volte all’interno di paesi dove sono presenti diverse etnie e religioni causano spostamenti di profughi in fuga dalle regioni in questione.
  • TECNOLOGIA: la crescita della popolazione mondiale negli ultimi secoli è stata causata dal progresso (agricolo, sanitario e industriale).
  • INVECCHIAMENTO DELLA POPOLAZIONE: questo fattore determina nuove emergenze sociali in campo economico dovute anche al fatto che la forza attiva continua a diminuire.

Per calcolare la popolazione mondiale dobbiamo prendere in considerazione due soli fattori: le nascite e le morti.
All’interno di singoli territori per individuare la popolazione presente, oltre alle nascite e alle morti, occorre tenere presenti anche i flussi migratori.

 

Lo sviluppo umano

Il concetto di sviluppo umano è stato elaborato dall’ONU che, attraverso un indicatore chiamato ISU, analizza la situazione nei vari paesi per quanto riguarda tre settori fondamentali:

  • Longevità;
  • Istruzione;
  • Qualità della vita.

Infatti, analizzando alcuni aspetti di questi indicatori si può rilevare il grado di sviluppo di una nazione.

 

 

Questi sono tutti elementi che influiscono sui tre fattori fondamentali (longevità, istruzione e qualità della vita) e quindi permettono di stimare l’indice di sviluppo umano di un determinato territorio.

 

La fecondità nel Nord e nel Sud del mondo

In tempi antichi non esistevano metodi contraccettivi e quindi la non procreazione poteva essere dovuta solo da cause naturali.
Oggi, ovunque la natalità si è abbassata al crescere del benessere.
Senza eccezioni ed in ogni epoca la fecondità è sempre stata più accentuata:
Nelle campagne rispetto alle città;
Nelle società rurali piuttosto che in quelle urbano – industriali;
Nelle regioni povere più che in quelle del benessere.
Questo ultimo fatto si può riscontrare anche nella realtà attuale che è caratterizzata da un maggior numero di figli nel Sud del mondo rispetto al Nord.

PAESI

n° figli

Ruanda

7,1

Malawi

6,9

Costa d'Avorio

6,1

Uganda

6

Angola

5,8

Stati Uniti

2

Cina

1,8

Francia

1,7

Giappone

1,5

Italia

1,2

 

 

 

Nonostante questa tendenza principale, negli ultimi tempi si è verificata una forte riduzione della fecondità in molti paesi in via di sviluppo come: Egitto, Marocco, Cina, Corea del Sud, Bangladesh, India e Turchia.

STATI

1970 - 1975

1995 - 2000

EGITTO

5,5

3,6

MAROCCO

6,8

3,5

CINA

4,2

1,8

COREA SUD

4,3

1,6

BANGLADESH

7,0

3,4

INDIA

5,4

3,2

TURCHIA

5,0

2,6

 

I paesi più sviluppati invece presentano caratteristiche omogenee, infatti, i fattori che influenzano la fecondità sono piuttosto comuni:

 

Quindi, questi sono tutti fattori che influenzano la cultura dei paesi sviluppati e frenano le nascite.
E’ interessante la condizione della donna che, potendo usufruire anch’essa di un’istruzione pari a quella dell’uomo, è impegnata sempre maggiormente in attività lavorative. Quindi, decide di programmare il numero dei figli e di controllare la sua fecondità con metodi contraccettivi.
Inoltre, l’età del matrimonio si è allungata. Le cause possono essere attribuiti agli anni di studi e alla difficoltà di trovare un lavoro sicuro.
Tutti questi fattori sono in contrapposizione con quanto avveniva in passato, infatti, sono dovuti al progresso ed allo sviluppo della società.

 

La mortalità infantile

Con il termine tasso di mortalità infantile si intende la percentuale di bambini che muoiono nel primo anno di vita considerando il numero dei bambini nati nello stesso anno. Questo è uno degli indicatori più evidenti dello squilibrio tra il Nord ed il Sud del mondo, infatti, è uno dei più precisi per individuare il grado di sviluppo economico – sociale, diminuisce se migliora la qualità della vita, le abitudini alimentari, le abitazioni, le condizioni igienico – sanitarie di un paese.
Infatti, nel Nord i valori di questo indice si sono stabilizzati intorno al 9/1000 mentre, nelle regioni meno sviluppate l’indice, anche se sta diminuendo, si mantiene elevato: intorno al 67/1000.
Nei casi in cui la morte del bambino si ha nel primo mese di vita, di solito è dovuta a debolezze organiche già presenti al momento del parto e dovute alla debole condizione fisica della madre. Nei paesi più poveri, infatti, molte donne soffrono di carenze alimentari e non sono in grado di nutrire sufficientemente il feto.
A volte, nascono anche bambini morti perché, in questi paesi non ci sono strumenti moderni come l’ecografia. I parti avvengono in condizioni igienico – sanitarie pessime e senza neppure conoscere gli eventuali rischi.
Nei casi in cui il neonato supera il primo mese di vita ma, muore entro l’anno, la causa principale è da attribuire alle difficoltà di svezzamento: il latte di queste madri è insufficiente e povero degli alimenti nutrizionali indispensabili al bambino. Così, il bambino cresce gracile, senza difese naturali e il fisico è incapace di reagire agli attacchi virali o batterici.
Un ultimo tipo di mortalità infantile si ha entro il quinto anno di vita ed è imputabile alle pessime condizioni igienico – sanitarie. Da questo fatto derivano malattie come il tifo e il colera che vengono trasmesse attraverso l’acqua attinta nei pozzi.
Nei PVS, si può riscontrare che l’indice di mortalità infantile è più accentuato per quanto riguarda le bambine. Questo perché si privilegia una prole maschile in paesi in cui la donna viene ancora fortemente discriminata.
Come già accennato, questo indice tende a diminuire un po’ ovunque, anche nei PVS. Ciò si riscontra maggiormente nelle zone monsoniche grazie all’abbondanza di riso, alimento molto nutriente. Ma, se è vero che la mortalità infantile tende a ridursi ecco perché l’incremento demografico è ancora più consistente.

 

Condizioni socioeconomiche delle donne
nel Terzo Mondo

  • Povertà
  • Scarsa istruzione
  • Carenze igienico – sanitarie
  • Gravidanze premature
  • discriminazione

BAMBINE

  • scarso peso alla nascita
  • malnutrizione
  • deperimento organico
  • difficoltà di apprendimento

RAGAZZE E ADOLESCENTI

  • deperimento organico
  • nanismo/rachitismo
  • difficoltà di apprendimento
  • ritardo delle prime mestruazioni
  • sviluppo incompleto del bacino

MADRI POTENZIALI E DONNE INCINTE

  • carenza di vitamine e minerali
  • anemie, rischi di infezioni
  • complicazioni al parto
  • scarsità di latte
  • rischi di deformazioni ossee

 

 

L’invecchiamento della popolazione

La speranza di vita rappresenta il numero di anni che un bambino ha mediamente la possibilità di vivere. L’allungamento della vita al giorno d’oggi è in costante sviluppo.
Ad allungare la durata media dell’esistenza sono le migliori condizioni di vita per cui in Europa questo indice si aggira intorno ai 72,7 anni mentre in America settentrionale supera i 76 anni. Invece, l’Africa presenta i valori più bassi con 51,8 anni. Anche l’Asia si trova ancora in una posizione piuttosto arretrata con 64,5 anni. Anche nel Sud del mondo però la durata media della vita è aumentata e continua ad aumentare grazie al miglioramento delle condizioni igienico – sanitarie.
A contribuire a questo aumento generale è stato anche il passaggio dal lavoro manuale al lavoro intellettuale. Infatti, il lavoro intellettuale frena l’invecchiamento della popolazione. Ciò è dovuto al fatto che le economie si sono terziarizzate.
Si possono fare anche osservazioni interessanti in base alla differenza fra i due sessi: nei paesi del Nord la durata media della vita della donna è di 5-7 anni superiore a quella dell’uomo mentre, nei paesi poveri, specie nella regione indiana, la vita femminile è inferiore a quella maschile. Queste tendenze contrapposte sono dovute al fatto che nei paesi del Sud la donna viene considerata inferiore, deve svolgere i lavori più faticosi, è nutrita con i cibi peggiori e spesso stremata dai tanti parti in condizioni pessime invece, nei paesi benestanti, dove c’è parità fra i due sessi, la donna vive più a lungo perché è dotata di migliori condizioni fisiche.
La popolazione dei paesi industrializzati è invecchiata in modo continuo negli ultimi 150 anni. Ciò è dovuto al declino dei tassi di natalità e all’aumento della speranza di vita. Importante è l’indice di vecchiaia che esprime il rapporto tra la popolazione giovane (minore di 15 anni) e quella anziana (maggiore di 65 anni).
La percentuale della popolazione con più di 65 anni di età è aumentata in modo stabile in tutti i paesi G10. Un altro fattore che influisce sull’invecchiamento della popolazione è la maggiore longevità delle persone anziane causata dal progresso delle cure mediche e sanitarie.
Questo tipo di trasformazioni è rappresentato dalla piramide dell’età che evidenzia la struttura della popolazione per fasce di età. Se si considera una di queste piramidi di due – tre generazioni fa si nota che la base è larga e rappresenta la numerosa presenza di popolazione giovanile mentre al vertice la piramide si restringe sempre più per via della minore durata media della vita. Nei paesi poveri le piramidi delle età sono ancora oggi così.
Oggi, nei paesi sviluppati, l’abbassamento della fecondità riduce fortemente la base (fascia giovanile) e, la piramide si trasforma in una specie di rettangolo dove il vertice si riduce soltanto per fasce di età molto elevate.
Comunque, anche se molto più accentuato nei paesi industrializzati, l’invecchiamento della popolazione è un fenomeno globale.
Infatti, si prevede che:

  • la quota degli anziani nei paesi meno sviluppati raddoppierà;
  • il numero degli anziani nei paesi industrializzati (come quelli del G10) aumenterà in modo molto consistente tanto da creare una dipendenza “anziana” con effetti anche sull’economia.

Non si possono però fare previsioni certe per varie cause:

  • la volatilità della fecondità;
  • la difficoltà di programmare la speranza di vita;
  • le fluttuazioni nel flusso migratorio internazionale condizionato da fattori politici.

Quindi, anche in periodi brevi si può avere un margine di errore considerevole.

Percentuale di oltre 65enni


SVEZIA

23,4

GIAPPONE

23,9

FRANCIA

20,6

REGNO UNITO

20,1

USA

19,6

 

 

Il sistema pensionistico

Il forte cambiamento nella composizione per età dei paesi industrializzati avrà profondi effetti sul tenore di vita degli individui e sui bilanci pubblici. Una questione, infatti, che suscita previsioni e adeguamenti è la preoccupazione di quanto e come questo fatto inciderà sul benessere economico.
L’invecchiamento della popolazione potrebbe causare effetti molto rilevanti sui bilanci pubblici. Considerando le attuali politiche di bilancio dei paesi G10 si nota che la spesa pubblica è prevista in notevole aumento nel corso dei prossimi decenni. La spesa procapite per gli anziani è alta nel settore della previdenza pubblica e, in alcuni paesi, nel settore dell’assistenza. Anche la spesa pubblica per l’assistenza sanitaria degli anziani è consistente e in crescita. Prevedendo ulteriori progressi nel campo medico – sanitario e considerando che l’incidenza della spesa sanitaria per gli anziani continua a crescere la pressione fiscale potrebbe risultare insostenibile per alcuni paesi. In tutto il mondo i sistemi pensionistici stanno attraversando una fase critica perché con l’allungarsi della vita media aumenta il numero di anni da vivere dopo il termine del periodo lavorativo. Il rapporto tra pensionati e lavoratori crescerà ancora di più se continueranno le tendenze al pensionamento precoce. E’ necessario che l’età media alla quale si inizia a lavorare, l’età del collocamento a riposo e quindi il numero di anni lavorativi cambino in relazione all’allungarsi della vita media. Perciò è necessario anche attuare riforme del sistema pensionistico perché l’allungamento della vita media e la diminuzione della natalità incidono sul rapporto tra lavoratori anziani già in pensione e lavoratori giovani ancora in attività i cui contributi servono per il pagamento delle pensioni.
Una prima riforma indirizzata ad attenuare questo problema è stata introdotta nel 1995. Con questo metodo contributivo il calcolo della pensione viene effettuato in base ai contributi versati durante l’attività lavorativa rivalutati in base alle variazioni del Pil (Prodotto interno lordo).
Comunque, se la crescita si mantiene così consistente occorrerà attuare ulteriori riforme.
Oltre alle pensioni sarà necessario occuparsi anche di altri problemi come:

  • occupare i pensionati in attività socialmente utili ma poco onerose (vigilanza fuori dalle scuole, nei parchi giochi);
  • far fronte alle spese per l’assistenza medica e sanitaria (persone che non sono autosufficienti);
  • spese sociali per una vecchiaia soddisfacente.

Per far fronte a questo tipo di problemi alcuni paesi sviluppati favoriscono le immigrazioni di manodopera giovanile oppure adottano politiche volte ad aumentare gli sgravi fiscali o gli aiuti finanziari alle famiglie numerose.

 

 

La crisi dell’occupazione

Con il termine popolazione attiva si intendono:

  • tutte le persone occupate in attività lavorative;
  • le persone disoccupate in cerca di lavoro.

Il tasso di attività quindi, è dato dal rapporto tra le forze di lavoro e la popolazione totale. Il tasso di inattività invece, è dato dal rapporto tra la popolazione in età non lavorativa più quella in età lavorativa esclusa dal mercato del lavoro e la popolazione totale. Così, il tasso di disoccupazione viene misurato in relazione alle sole forze di lavoro. Perciò, popolazione in età lavorativa e popolazione attiva non sono dei sinonimi.
I paesi sviluppati presentano un più elevato tasso di attività rispetto ai paesi poveri perché questi hanno un elevato numero di bambini e ragazzi in età non lavorativa anche se poi i bambini sono costretti a lavorare. Nei PVS ci sono ancora molti fenomeni di sfruttamento del lavoro minorile. Nonostante la convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia che vieta questo fenomeno, secondo alcune indagini svolte dall’UNICEF, si stima che nel mondo siano 250 milioni i minori tra i 5 e i 14 anni costretti a lavorare.
Le forme di questo sfruttamento sono diverse:

  • servitù;
  • lavoro forzato;
  • pratica dei mestieri di strada;
  • sfruttamento sessuale.

Le principali cause di questo fenomeno sono dovute a:

  • povertà delle famiglie;
  • scarsa diffusione dei servizi pubblici (risorse insufficienti all’istruzione);
  • tradizioni culturali;
  • discriminazione verso le femmine.

La popolazione attiva si suddivide in tre fondamentali rami occupazionali:

  • SETTORE PRIMARIO: vi appartengono gli addetti all’agricoltura, alla pastorizia, all’allevamento, alla silvicoltura e alla pesca;
  • SETTORE SECONDARIO: vi appartengono gli addetti all’industria e all’artigianato. Trasformano le risorse fornite dalla natura.
  • SETTORE TERZIARIO: comprende tutti gli addetti nei settori più vari (trasporti e comunicazioni, commercio, credito e assicurazioni, altri servizi).

Nei paesi post – industrializzati, l’agricoltura è ormai praticata da un numero ristretto di persone (5%) ciò non significa che non sia redditizia, infatti, è caratterizzata da un’alta meccanizzazione e automazione. Anche il secondario è in calo occupazionale con una percentuale che va dal 25 al 40% per lo stesso motivo. Invece, il settore terziario è in forte espansione occupando più del 50% degli addetti.
Nei paesi sviluppati a economia socialista la situazione varia da paese a paese: in Cina si predilige da sempre l’agricoltura; in Russia e negli stati ex socialisti viene privilegiata l’industria anche se in difficoltà.
Nei paesi più poveri la maggior parte degli addetti si hanno nel settore primario (tra il 55 e il 90%). In questi paesi il terziario è molto arretrato e poco efficiente.
Un fenomeno che si sta accentuando è quello della disoccupazione che diviene sempre più preoccupante per l’aumento consistente e continuo della popolazione. Un fattore che accentua questo problema è lo sviluppo tecnologico che richiede personale sempre molto qualificato la cui professionalità è resa però obsoleta dall’introduzione di sempre nuovi impianti ad alta tecnologia.
Nei paesi poveri proprio per via della disoccupazione non esistono le classi medie: il potere è in mano ad una ristretta élite mentre il resto della gente vive in povertà.
La disoccupazione accentua le disuguaglianze sociali che erano state fortemente ridotte negli anni precedenti. Questo fenomeno, infatti, causa forme di esclusione e colpisce una fascia consistente di popolazione attiva. Così, negli ultimi due decenni, in molti paesi post – industriali, è aumentato di molto il divario fra le fasce più ricche e quelle con redditi più bassi.
I disequilibri sociali non riguardano solo le singole aree ma il mondo intero, infatti, c’è un enorme divario fra il reddito medio prodotto al Nord (20 – 22000 dollari) e quello prodotto al Sud (7 – 800 dollari).
A livello planetario ben 120 milioni di persone sono oggi disoccupate. C’è un altro fenomeno che si sta sempre più diffondendo: la sottoccupazione. Nel mondo sono considerati sottoccupati 700 milioni di individui che anche se prestano un impegno lavorativo oneroso e prolungato ottengono un salario insufficiente per soddisfare le loro più elementari esigenze.
Sia nel Nord che nel Sud del mondo viene discriminata l’attività lavorativa della donna rispetto a quella dell’uomo ciò è provato dal fatto che ovunque il numero delle donne che lavorano è inferiore a quello degli uomini.

 

NAZIONI

PERCENT.

SPAGNA

21,1

FINLANDIA

16,9

IRLANDA

13,3

FRANCIA

12,5

ITALIA

12,3

GERMANIA

11,5

CANADA

9,2

REGNO UNITO

5,6

USA

5

GIAPPONE

3,4

 

 

L’istruzione

L’istruzione è uno degli indicatori che appartengono all’ISU (indice di sviluppo umano) in quanto permette di individuare il grado di sviluppo della popolazione presa in considerazione.
Anche in questo indicatore c’è una grossa differenza tra paesi post – industrializzati e PVS. Nei paesi sviluppati si riscontrano livelli di istruzione molto alti mentre, nei paesi poveri ci sono aree dove l’istruzione è ancora molto elementare e, in alcuni casi, addirittura nulla.
Un indicatore importante per studiare il livello di istruzione è il tasso di alfabetizzazione degli adulti. Nel 1995 il livello più basso si registrava nel Niger con 13,6% di adulti alfabetizzati. Anche altri paesi dell’Africa presentavano un livello basso: al di sotto del 30%. Negli stati a basso sviluppo umano il tasso medio complessivo era del 51%. Negli stati a sviluppo umano elevato il tasso di alfabetizzazione era tra l’80 ed il 100%.
Quindi, risulta evidente che i paesi più ricchi hanno ormai debellato l’analfabetismo e allora si hanno altri dati statistici importanti:

  • la percentuale di popolazione in possesso dell’istruzione di base obbligatoria;
  • la durata dell’istruzione di base obbligatoria;
  • la percentuale di diplomati;
  • la percentuale di laureati;
  • il numero medio di anni di scolarizzazione;
  • gli occupati nei centri di ricerca.

Lo sviluppo della ricerca è importante per una crescita economica tecnologicamente all’avanguardia. L’istruzione è condizionata dall’industrializzazione.
Oggi, cresce sempre maggiormente l’importanza dell’istruzione e ciò è provato dai fatti qui di seguito riportati:

  • il periodo di scolarità obbligatoria si allunga;
  • la durata dei corsi universitari è maggiore;
  • nascono corsi post – laurea;
  • si moltiplicano i corsi di specializzazione.

I sistemi economico – sociali attuali richiedono un aggiornamento costante anche dopo l’ingresso nel mondo del lavoro.
Il miglioramento del livello di istruzione femminile ha inciso molto sulle dinamiche demografiche, infatti, le donne più istruite hanno famiglie meno numerose.
Ecco un grafico che evidenzia i ragazzi iscritti alle scuole medie superiori nei vari territori.

STATI

PERC.

Giappone

97

Canada

96

Svezia

95

Germania

93

Israele

87

Italia

85

Iran

62

Cina

45

Bolivia

42

Nuova Guinea

25

Afghanistan

16

Burkina

12

Mali

11

 

 

Le principali malattie e cause di morte

Esiste una correlazione molto significativa tra le condizioni economico – sociali di un paese e il suo tasso di mortalità. Questo tasso nelle economie povere è più accentuato mentre, in quelle ricche è inferiore.
Esistono, infatti, diversi fattori che incidono sul tasso di mortalità:

 

Al progresso della medicina si deve la scomparsa di malattie che un tempo incidevano pesantemente sulla mortalità (come il vaiolo).
Dopo la rivoluzione industriale, proprio per questo motivo, il tasso di mortalità è diminuito e sono cambiate le principali cause di morte. Infatti, le profonde trasformazioni sociali ed economiche, l’inquinamento e i modelli di vita urbani, in alcuni casi hanno aggravato le patologie già esistenti e in alcuni casi ne hanno create di nuove.
Nei paesi in via di sviluppo le principali cause di morte sono ancora dovute a:

  • scarsa igiene;
  • carenze sanitarie;
  • affezioni da agenti parassitari;
  • malattie infettive.

Una delle malattie più frequenti in quest’area è la malaria causata dalle zanzare anofeli che sono portatrici del parassita che porta questa malattia. Sono sempre più frequenti perché il clima tende ad essere sempre più caldo e umido.
Tra le affezioni dovute ad agenti parassitari le più diffuse sono di tipo gastroenterico legate alla carenza di acqua potabile che molto spesso viene attinta dai pozzi ed alla mancanza di servizi igienici. Tra le malattie infettive provoca ancora molte morti nei PVS il morbillo.
Nei paesi sviluppati, invece, le cause di morte cambiano e sono dovute a:

  • nuovi stili di vita:
  • cardiopatie;
  • malattie della circolazione sanguinea;
  • farmacodipendenza;
  • allergie;
  • modificazioni dell’ambiente:
  • tumori;
  • manifestazioni allergiche.

E’ consistente anche un’altra causa di morte dovuta a:

  • incidenti stradali.

Le malattie dovute ai nuovi stili di vita sono caratterizzate da un’alimentazione sbagliata ed eccessiva, da uno stile di vita sedentario e dallo stress.
Le modificazioni dell’ambiente hanno portato molto inquinamento che è appunto la causa principale dei tumori e delle allergie che, nonostante non siano una causa diretta di morte, indeboliscono l’organismo.
In tutto il mondo sono comuni alcune cause di morte:

  • AIDS;
  • tossicodipendenza;
  • tabagismo;
  • alcolismo.

Al contrario di quanto si può pensare hanno maggior incidenza sul totale dei decessi il tabagismo e l’alcolismo.
L’AIDS e la tossicodipendenza sono fenomeni che si riscontrano soprattutto tra i giovani e in special modo nei paesi in via di sviluppo. La situazione è particolarmente grave in Africa per quanto riguarda l’AIDS dove sulla popolazione tra i 20 e i 40 anni è contagiata una persona su quattro.

 

Lo sviluppo sostenibile

L’incremento demografico, lo sviluppo tecnologico e il benessere tendono ad esaurire le potenzialità e le riserve dell’ambiente.
Negli ultimi anni è emerso fortemente il problema della tutela dell’ambiente.
Prima, si pensava unicamente al profitto e i problemi legati all’esaurimento delle risorse naturali, all’inquinamento dell’acqua e dell’atmosfera, al degrado ambientale non erano affatto presi in considerazione perché prevaleva un’idea di superiorità e dominio dell’uomo nei confronti della natura.
Di fronte al degrado ambientale, associato a fenomeni come povertà e disoccupazione, sono progressivamente cresciuti gli interventi di economisti, sociologi ed ecologisti per ricercare un livello di sviluppo compatibile con il rispetto dell’ambiente e in grado di assicurare il benessere delle popolazioni, con uno sviluppo sostenibile. Questo concetto indica uno sviluppo che soddisfi i bisogni della popolazione attuale ma tenendo in considerazione le generazioni future.
Due problematiche condizionano questo fatto e sono tra loro collegate:

  • il degrado ambientale derivante dallo sfruttamento indiscriminato della natura;
  • il rapido incremento demografico che si registra nelle aree del Sud del mondo.

Il modello di crescita attuato finora dai paesi industrialmente avanzati ha avuto effetti devastanti su tutto l’ecosistema.
Questo sfruttamento irrazionale inoltre, porta all’esaurimento delle fonti di energia, tra le quali il petrolio che nel giro di pochi decenni è destinato ad esaurirsi.
Questa situazione è appunto aggravata dall’incremento della popolazione che richiede sempre un maggior numero di risorse.
Bisognerà cercare di promuovere lo sviluppo sociale ed economico considerando la disponibilità finita delle risorse dell’ambiente. Per attuare questo progetto il principio fondamentale è quello dell’equità: tra le diverse aree del mondo ma anche tra le generazioni presenti e quelle future.
Inoltre, bisogna incrementare la crescita del reddito medio pro – capite nei paesi del Terzo Mondo per risolvere il problema del sottosviluppo di queste zone.
Altro obiettivo è di sfruttare la crescita al massimo rendendo minimo l’impatto ambientale.

 

Fonte: http://zappageografia.altervista.org/Tesine%20cartacee/Tesina%20Platoni.doc

Sito web da visitare: http://zappageografia.altervista.org

Autore del testo: Platoni

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