Urbanistica

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Urbanistica

Giovanni Astengo, “Urbanistica”, Enciclopedia Universale dell’Arte, 1966.

L’urbanistica, nata alla fine dell’‘800, è la scienza che studia i fenomeni urbani, sotto ogni aspetto, avendo come proprio fine la pianificazione del loro sviluppo storico. Essendo interessata alla pianificazione e all’organizzazione organica del territorio, l’urbanistica  interessa anche le componenti geografiche, storiche, culturali, ideologiche, economiche, igieniche, tecnologiche, educative e assistenziali.
Astengo non da un’interpretazione personale del concetto d’urbanistica, ma si limita a darne una definizione universale attraverso l’analisi comparativa delle varie interpretazioni.
Fa una breve storia dell’urbanistica attraverso l’idea di città e del fenomeno urbano dall’antichità fino ad oggi. Nel mondo antico, quello romano, la città risulta l’aggregazione di impianti necessari, essenzialmente statica e delimitata; ancor più delimitato e immobile è il microcosmo medievale, economicamente chiuso ed autosufficiente. Tra il ‘500 e il ‘700, si hanno ancora dei microcosmi chiusi e distaccati per la struttura politica delle Signorie e dei Principati, ma, già alla fine del ‘700, l’idea di città entra in movimento, con le proposte di città ideali dalla forma geometrica atte alla difesa. Nell’‘800 la popolazione europea si raddoppia, cambiano le configurazioni socio-economiche e tutto diviene più dinamico con riflessi sull’”urbanistica”. Si rende necessario un processo di razionalizzazione, atto alla distruzione delle vecchie mura e alla progettazione di nuovi insediamenti e di nuove infrastrutture. Due correnti di progettisti si interessano di ciò: da una parte gli utopisti e dall’altra gli ingegneri urbani; i primi attraverso la ricerca di modelli alternativi, che potevano però interessare solo qualche isolato, ma non riorganizzare una città; i secondi, oltre ad occuparsi delle normali infrastrutture, riscoprirono una visione d’insieme, che li portò alla progettazione di metropolitane, ferrovie e linee aeree.
Alla fine dell’800 nasce l’urbanistica grazie a soluzioni integrate di ingegneri urbani con igienisti, geologi e sociologi tenendo conto dei nuovi apporti scientifici. Vengono scritte le principali opere di urbanistica, che ne stabiliscono i fondamenti tecnici, estetici e sociologici: C. Sitte, Der Stadtebau nach seinen kunstlerischen Grundsatzen, 1899; E. Howard, Tomorrow, 1898; P. Geddes, Regional Survey, 1899; T. Garnier, Une Citè industrielle, 1901-1904.
La pianificazione urbanistica comincia ora ad essere un processo globale, continuo e irreversibile e sono necessari anche nuovi vocaboli: le parole urbanistica e urbanista sono usate in Italia per la prima volta nel 1927 da A. Melis in un trattato su Torino.
Il concetto di urbanistica è ancora molto indefinito: una delle prime definizioni date, era di arte e tecnica della costruzione della città che però era simmetrica alla definizione accademica di architettura. Giovanni Astengo, per definire questa scienza, ci presenta il pensiero dei maggiori intellettuali di inizio secolo interessati all’urbanistica e ci mostra l’evoluzione di questo concetto, che lentamente si distacca dal concetto di architettura e si capisce che alla base vi è una convergenza di arti e scienze assai diverse, e che, allo stesso tempo, è importante considerarlo all’interno di un ambiente etico, politico, territoriale e sociale. Dopo la definizione di urbanistica, cerca di dare quella di città, mettendo in luce il fatto che non è tanto importante parlare di dimensioni e qualità, quanto lo studiarla con il  territorio circostante. Ci presenta molte definizioni di intellettuali di epoche e luoghi diverse trovate nella vastissima bibliografia dedicata a questo argomento.
Attraverso questi esempi, Astengo giunge ad una definizione generale, ma non banale del concetto di città: “La città è una riunione coordinata di gruppi primari e di associazioni a scopi definiti: i primi, come le famiglie e le unità di vicinato sono comuni a tutte le comunità, le seconde caratterizzano particolarmente la vita di città…Gli essenziali fattori fisici per l’esistenza di una città sono l’ubicazione stabile, il ricovero duraturo, le possibilità permanenti di riunione, di scambio e di immagazzinamento; gli essenziali fattori sociali sono la divisione sociale del lavoro, che giova non solo alla vita economica, ma anche ai processi di sviluppo culturale. La città, in questo senso completo, è quindi un plesso geografico, un’organizzazione economica, un processo istituzionale, un teatro di azioni sociali, ed un esempio estetico di unità collettiva. Da un lato essa è una cornice materiale per le normali attività domestiche ed economiche; dall’altro è la scena consapevolmente drammatica per le azioni più significative e per gli stimoli più sublimati di una cultura umana…La città favorisce l’arte ed è arte essa stessa”.

La scienza urbanistica moderna è stata preceduta da una “fase utopistica” alla ricerca della città del futuro, per esprimere una nuova società. Le moderne utopie, oltre a proporre un modello di società, danno anche indicazioni per la caratterizzazione spaziale del modello urbano e s’impongono come “modello perfetto”: si distinguono in utopie di “evasione” e di “ricostruzione”.  Esponenti del mondo utopistico furono, agli inizi del XIX secolo Owen e Fourier che si occuparono della teorizzazione di piccole società come le colonie industriali (Owen), e il modello del “falansterio” (Fourier); a metà secolo Buckingham e Cabet che rilanciano idee generali per grosse realtà, mentre alla fine del XIX secolo, operarono Bellamy, che addirittura immaginò una società del 2000 organizzata su un’“armata industriale”, e Howard che chiude il periodo che rappresenta una sintesi ed un punto di arrivo per le varie utopie “associazioniste”.
Howard, ha successo con l’ideazione della “città giardino”, e realizzerà l’unico dei sistemi utopistici ideati nel XIX secolo: Letchworth. All’inizio del nuovo secolo si pone all’attenzione il concepimento di “Une citè industrielle” di T. Garnier, e con lui la progettazione diventa indipendente alla politica e si avvia alla sperimentazione progettuale.  Dopo Garnier s’imporranno sulla scena Le Corbusier (Unitè d’habitation, il piano di Channigarh), e F.L. Wright (Broadracre City, Usonia), con inserimenti minori di W. Gropius e L. Hilberseimer. Altri momenti importanti furono nel 1934 l’ultimo piano di Amsterdam e più tardi le ipotesi utopistiche di K. Tange per Tokio.
Nel decennio 1925-35, la scienza urbanistica è formata, ma si mantiene nelle varie caratterizzazioni originarie senza avanzare. Negli anni ’50 fiorirono numerosi piani e sembra quasi che in poco tempo questa scienza si sia scrollata di dosso gli “impacci culturali impliciti del razionalismo, i vagheggiamenti utopistici e i tecnicismi ingegneristici” degli anni ’30. Inghilterra, Svezia, Francia, USA, URSS, in maggior misura, svilupparono questi piani, ma l’espansione urbana nelle grandi città risultò non controllabile: i piani non erano efficaci, mancava un approfondimento culturale e c’erano sbagliate scelte politiche, che non guardavano alla programmazione economica dei paesi come poi si dimostrerà. Ci sarà il passaggio dall’urbanistica tecnica che si manifesta con lo schema della formazione, approvazione ed applicazione dei piani (planotecnica), alla pianificazione creativa continua, che vede il piano come uno strumento su cui si succedono una serie di stati di sviluppo. C’è la definizione dei tempi lunghi, medi e brevi di sviluppo dei piani che sono inquadrati come tappe di un percorso, che forma una pianificazione continua per controllare “il futuro”, illuminandolo con le esperienze. La Polonia è il laboratorio di quest’ultima forma di pianificazione. I problemi di attuazione dei piani, oltre quelli tecnici sono anche e soprattutto di ordine giuridico (la Costituzione Italiana conteneva già a fine ‘800 leggi riguardanti la “scienza urbanistica”), fiscale, economico, e sono inscindibili dai problemi fondiari e dalla loro risoluzione.
È impossibile tracciare un panorama di raffronti dell’attività urbanistica dagli anni ’40 ad oggi per mancanza di informazioni e di corretta informazione. Se si fossero raccolti dati di base, sarebbe stato agevole costruire modelli che permettevano di stimare, la “dotazione urbanistica” per abitante delle varie città e dei vari paesi, ottenendo indici della civiltà e del benessere. Il reperimento di dati consentirebbe ai paesi di impostare una “contabilità nazionale urbanistica”, per ottener una programmazione economica. La formazione dei bilanci urbanistici è l’unico strumento per riuscire nella pianificazione urbanistica razionale, e nel momento in cui si faranno dei bilanci globali per schemi spaziali alternativi (Genova ’63-65), l’urbanistica potrà uscire dalla fase empirica e sperimentale.
Nel ’66, del futuro se ne poteva parlare, non trattando di fenomeni socio-economici staticamente cristallizzati, ma di fenomeni urbanistici dinamici e fluidi. La “mosaicatura” dei piani di settore per ottenere un piano globale, costituisce, la prima fase di avvicinamento alla pianificazione mediante un processo di “razionalizzazione” e di integrazione di parti di sistema. Il passaggio dalla pianificazione “funzionale”, a quella di tipo organico, è lo stadio da raggiungere, ed è un obiettivo dell’epoca, che ebbe intralci dal punto di vista giuridico, amministrativo, e di programmazione economica. Le condizioni operative dei piani riguardavano l’adeguamento degli strumenti ai fini, e la rinuncia a creare una razionalizzazione funzionale, da una concezione individuale. Si doveva creare un’integrazione metodologica fra intuizione e verifica per diminuire le scelte incoerenti e si doveva passare da una “visione meravigliosa”, ad uno “schema di ragionamento creativo”.
“L’urbanistica, scienza del futuro, è ovunque impegnata, sotto tutte le latitudini ed i regimi politici, a predisporre in modo creativo e consapevole le condizioni di vita per il futuro, prossimo e lontano, dei vari popoli prefigurando la dimensione, la struttura e la forma della loro distribuzione territoriale; per questo suo compito corale essa ambisce al riconoscimento di “arte collettiva” per eccellenza e i suoi successi sono necessariamente legati alla misura con cui essa stessa riuscirà nei vari paesi a diventare abito non secondario di comportamento collettivo adulto”.

Autori:
Simona Cinganelli
Francesco Cingolani

 

Fonte: http://spazioweb.inwind.it/fravento/sbs/Astengo.rtf

Sito web da visitare: http://spazioweb.inwind.it/fravento

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