Lessico domande e risposte

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Lessico domande e risposte

 

IMPARARE L’ITALIANO
NELLA SCUOLA DELL’INFANZIA

Una parola al giorno  
Il periodo che va dai tre ai sei anni è cruciale nello sviluppo linguistico del bambino e le conquiste che vengono fatte in questo tempo sono formidabili, quantitativamente e qualitativamente molto significative. Al momento dell’inserimento nella scuola dell’infanzia, in genere, i bambini padroneggiano un buon numero di termini; producono frasi formate da una sola parola o da un binomio di termini giustapposti che iniziano a flettere sulla base di norme e regolarità che inaugurano la loro competenza grammaticale. A quattro anni compaiono le frasi subordinate (soprattutto temporali e causali ) e si struttura il sistema base che permette d’esprimere la temporalità nel passato, presente e futuro.
All’uscita dalla scuola dell’infanzia e al momento dell’inserimento nella scuola primaria, si calcola che un bambino sia in grado di produrre circa 2.500-3.000 parole (vocabolario attivo) e conosca circa 8.000 parole che comprende,  ma non usa (vocabolario passivo). Naturalmente, le situazioni individuali presentano differenze e variazioni molto importanti e si registrano divari e distanze significative tra bambino e bambino. Anche fra i bimbi stranieri che entrano nella scuola dell’infanzia, le situazioni linguistiche osservate all’ingresso possono essere molto variegate.
Ci possono essere infatti:

  • bambini non italofoni, giunti da poco dal Paese di origine, oppure nati qui, ma poco “esposti” alla seconda lingua fino al momento dell’inserimento;
  • bambini già italofoni, che hanno frequentato l’asilo nido;
  • bambini che comprendono termini e messaggi di base in italiano e che sono in grado di produrre semplici parole e parole/frasi, grazie all’“immersione”, seppure ridotta, nella seconda lingua.

Per tutti i bambini stranieri, qualunque sia la loro situazione linguistica iniziale, la frequenza della scuola dell’infanzia è un’opportunità cruciale di apprendimento – sia linguistico che generale – e un’occasione positiva di integrazione nella nuova scuola e società.
Il contesto educativo, le interazioni con gli adulti e con i pari, le numerose e variegate attività quotidiane, le sollecitazioni che provengono dagli spazi, dagli oggetti, dai giochi…: tutto questo rappresenta un deposito di stimoli diversificati e potenti per lo sviluppo cognitivo, affettivo, linguistico, relazionale.
In termini linguistici, alla fine della scuola dell’infanzia, un bambino, in genere, è in grado di costruire degli enunciati complessi e di articolarli per riferire un fatto o raccontare una storia; sa descrivere un oggetto; sa spiegare un fenomeno; è pronto per poter fare il suo viaggio dentro la lingua scritta. Lo sviluppo di queste capacità si basa certamente sulle potenzialità cognitive e di apprendimento che caratterizzano questa fase della vita, ma è sollecitato anche in misura notevole dall’intervento educativo incessante degli adulti o dei bambini più grandi che stimolano e incoraggiano “l’apprendista locutore”.

Le conquiste linguistiche nella scuola dell’infanzia
Durante la scuola dell’infanzia avvengono grandi conquiste linguistiche e comunicative:
-     di tipo lessicale:                si passa dalle circa 750 parole conosciute e usate a tre anni alle circa 2.500 utilizzate a cinque anni;
-     di tipo grammaticale:       vengono interiorizzate e riutilizzate le regole grammaticali che riguardano, ad esempio, i sintagmi nominali e gli accordi fra articolo, nome, aggettivo; l’espressione della temporalità al presente, passato prossimo, imperfetto, futuro; l’uso delle preposizioni e dei pronomi;
-     di tipo sintattico:               si passa dalla produzione della parola/frase o della semplice frase formata da soggetto e verbo all’espressione di frasi subordinate che strutturano un racconto o una spiegazione;
-     di tipo narrativo:              si passa dall’uso di un solo termine che denomina un personaggio, il protagonista di una storia o un’azione compiuta, alla capacità di raccontare fatti ed eventi, seguendo un ritmo narrativo fluente e rispettando un ordine logico e/o cronologico.

Profili linguistici diversi
La presenza dei bambini stranieri, che fanno il loro ingresso nella scuola dell’infanzia poco o affatto italofoni, rappresenta un’occasione importante per interrogarci sull’efficacia – in termini di sviluppo linguistico e di capacità narrativa – delle attività, delle proposte e delle attenzioni che la scuola organizza per tutti i bambini .
E ci sollecita alcune domande. Fra queste: quanto tempo dedica la scuola allo sviluppo della produzione orale? Come viene osservata e analizzata la capacità di ascolto e comprensione dei messaggi, delle consegne, dei racconti di ciascun bambino? Quali possibilità reali e occasioni quotidiane hanno i bambini di prendere individualmente la parola per chiedere, esprimersi, interagire con i pari e con gli adulti?
Alcuni dati emersi da una ricerca condotta in una  scuola dell’infanzia,  propongono delle acquisizioni dalle quali partire e ci servono a diffondere alcune consapevolezze, che elenchiamo di seguito. (1)

  • Fra i bambini stranieri osservati si registrano tre diversi livelli di competenza in italiano: un livello basico, che raggruppa i bimbi che sono da poco tempo usciti dalla cosiddetta fase di silenzio e che si esprimono ancora solo su stimoli/domanda di tipo chiuso in modo molto limitato; un livello post-basico, in cui le frasi sono più articolate e compaiono delle forme flesse ,sia per i nomi che per l’espressione della temporalità; un livello più alto che allinea grosso modo le produzioni dei bambini stranieri - in termini di competenza lessicale, grammaticale , di articolazione e ritmo – a quelle dei compagni nativi.
  • Le diversità nelle produzioni orali che sono state rilevate grazie alla ricerca osservativa condotta su un gruppo di bimbi stranieri di cinque anni riguardano soprattutto quattro piani:
  • la competenza fonologica . Si notano in alcuni bambini la difficoltà ad articolare determinati suoni e fonemi, a volte non presenti nella propria madrelingua; ad usare un tono adeguato e intelligibile e a scandire i termini e le frasi con sufficiente chiarezza affinchè la pronuncia risulti comprensibile;
  • la competenza lessicale. Da parte di molti bambini stranieri, vengono usati per lo più parole referenziali di largo uso e sono poco presenti termini più articolati che possono servire a descrivere oggetti, personaggi, ambienti,a rendere in maniera più efficace le situazioni, ad esprimere gli stati d’animo e le sfumature emotive;
  • la competenza grammaticale . Si sono rilevate in alcuni bambini delle incertezze persistenti nell’uso dei sintagmi nominali, delle concordanze fra articolo, nome e aggettivo, nell’uso degli ausiliari e, più in generale, nell’espressione della temporalità. I diversi livelli di competenza grammaticale che prevedono l’uso delle strutture linguistiche di base costituiscono forse l’elemento di discriminazione più chiaro e importante per distinguere gli stadi di interlingua  diversi presenti fra i bambini;
  • la competenza narrativa. Vi sono bambini che producono brevi frasi volte a denominare un personaggio, un’azione della storia, a partire dall’immagine e dal contesto; altri che sono in grado di esprimere frasi complete, ma molto contestualizzate e non autonome e comprensibili, se sganciate dal contesto e dal supporto visivo .La capacità di narrare un fatto, riferire un evento, produrre una narrazione racchiude in sé tutte le competenze precedenti, dal momento che richiede una lessico adeguato e ricco, un’articolazione intelligibile, un uso adeguato delle strutture grammaticali di base.

Bambini  “silenziosi”
La frequenza dell’asilo nido risulta cruciale ai fini dell’apprendimento dell’italiano e infatti i bimbi collocati nel livello più alto hanno frequentato tutti  il servizio educativo per i più piccoli. In altre parole, la frequenza dei tre anni di scuola dell’infanzia non sempre sembra  sufficiente ad assicurare una competenza in L2 “da nativo”. Oltre alla frequenza dell’asilo nido, sembrano giocare un ruolo importante nell’acquisizione della seconda lingua fattori quali: le caratteristiche della lingua d’origine, che può essere tipologicamente più o meno distante dall’italiano; la quantità e qualità degli scambi e delle interazioni in italiano con altri bimbi e adulti nel tempo extra-scolastico; le caratteristiche individuali; le pressioni e le aspettative della famiglia.
Durante il tempo trascorso a scuola i bambini ricevono numerosi stimoli e input linguistici indirizzati a tutti che devono comprendere e ai quali devono reagire, ma hanno scarse opportunità di ascoltare messaggi direttamente rivolti a loro e soprattutto di prendere davvero la parola, seguendo ognuno il proprio ritmo e le proprie capacità. Anche coloro che conoscono poco l’italiano riescono, in tempi relativamente brevi, ad essere coinvolti nelle attività di routine e capire quello che succede intorno a loro, grazie all’osservazione e all’imitazione dei pari.
La giornata, scandita da un uso del tempo e dello spazio abbastanza prevedibile e la ripetitività delle azioni costruiscono un quadro piuttosto “trasparente” e rassicurante, entro il quale tutti i bambini, anche coloro che  non sono ancora italofoni, riescono a collocarsi senza perdersi e disorientarsi. Ma può passare un’intera giornata (o perfino più giorni) senza che un bambino, soprattutto se poco italofono, abbia la possibilità di rispondere e reagire ad un input linguistico diretto e di prendere autonomamente la parola e produrre enunciati, grazie a stimoli e ad attività diretti e mirati, penalizzando così i bimbi meno competenti e più silenziosi. La numerosità delle classi e la riduzione dei tempi di compresenza fra gli operatori fanno sì che i tempi da dedicare allo scambio e alla conversazione in piccolo gruppo siano ridotti al minimo.
Data la compresenza in molte sezioni di bambini di età diversa (dai 3 ai 5 anni), gli insegnanti tendono ad usare più spesso un linguaggio semplice, comprensibile e inclusivo e a formulare la consegne in modo da renderle quanto più possibile accessibili e trasparenti. Questo facilita la comprensione e la partecipazione alle attività di tutti i bambini, ma rischia anche talvolta di semplificare troppo i messaggi rivolti ai più grandi, i quali potranno essere disorientati successivamente dalle consegne, linguisticamente e cognitivamente più complesse, che verranno loro proposte nella scuola primaria.
I bambini stranieri inseriti nella scuola dell’infanzia tendono ad essere considerati, in genere, competenti in italiano, dal momento che comprendono i messaggi, partecipano alle attività giornaliere senza grandi problemi, capiscono i messaggi di base e si fanno capire. Raramente gli insegnanti hanno la possibilità, il tempo e gli strumenti per dare uno sguardo più attento e affinato e per poter fare un’analisi meno superficiale  delle loro competenze linguistiche e comunicative. E così, la “facciata linguistica” di questi bambini, che mostrano un’apparente fluenza nel linguaggio del “qui e ora” e la capacità di cavarsela, rispetto a compiti comunicativi semplici e immediati, tende a far sì che la loro competenza sia ritenuta buona e adeguata anche per compiti che sono linguisticamente più complessi.
Mentre per la gran parte dei bimbi italiani, l’acquisizione linguistica continua a casa e nel tempo extrascolastico, grazie a numerosi e densi scambi e interazioni con i pari e con molti adulti che li circondano e che parlano con loro, per molti bimbi stranieri l’ambito privilegiato dell’apprendimento dell’italiano è e resta solo quello scolastico. Gli scambi al di fuori della scuola sono infatti, in genere, più ridotti e il numero degli adulti e dei pari italofoni con i quali si trovano a comunicare è molto limitato. Hanno maggiori possibilità di scambio quotidiano i bimbi stranieri che hanno fratelli o sorelle più grandi, con i quali possono interloquire in italiano (e/o in lingua d’origine).

Costruire occasioni per prendere la parola
Per le ragioni che abbiamo elencato, il ruolo della scuola dell’infanzia risulta cruciale per lo sviluppo linguistico e comunicativo dei bambini stranieri, a patto che essa funzioni come un ambiente ricco di stimoli e opportunità, in cui ogni bambino possa comprendere, interagire, prendere la parola, raccontare, stabilire primi contatti con la lettura/scrittura nella nuova lingua, sviluppare una competenza che consenta al bambino di “entrare” successivamente nel codice scritto.
Quali sono le condizioni organizzative di base che possono consentire uno sviluppo linguistico adeguato anche ai bambini che entrano a scuola in una situazione di non italofonia? Ne proponiamo alcune.

Consapevolezze  pedagogiche e didattiche

Innanzi tutto, è necessario che fra gli insegnanti  si diffonda una consapevolezza pedagogica e didattica sulle modalità di acquisizione di una seconda lingua: quali tappe , in genere, percorre un bambino, quali stadi di interlingua attraversa; come si promuove e facilita il passaggio da uno stadio all’altro seguendo sempre la regola di non proporre input linguistico troppo al di sopra del livello raggiunto, altrimenti non viene interiorizzato e scivola via come un rumore indistinguibile. E’ quell’attenzione che J. Cummins ha espresso con la formula x + 1, intendendo con x la situazione di base dell’apprendente e con +1 la caratteristica dell’input linguistico nuovo, che non deve essere né troppo complesso - altrimenti non viene compreso e interiorizzato - né troppo banale - altrimenti non stimola i progressi e le nuove acquisizioni. E’quella stessa attenzione pedagogica che Vygotsky definisce la “zona di sviluppo prossimale” quando invita a proporre attività e linguaggio che si collocano un poco più in là rispetto a quello che il bambino sa già fare e dire.

 
L’importanza di osservare

La ricerca/azione condotta nella scuola milanese  che abbiamo citato  sopra aveva lo scopo di diffondere alcune conoscenze e informazioni  sullo sviluppo bilingue dei bambini stranieri e ha cercato di farlo producendo e provando degli strumenti mirati utili agli insegnanti per osservare i comportamenti linguistici e comunicativi dei bambini, le loro conquiste e difficoltà, e per agire di conseguenza.  Sono stati utilizzati insieme agli insegnanti questi strumenti, ci si è presi il tempo per registrare le produzioni, riascoltarle, analizzarle grazie alle due griglie di osservazione predisposte sulla base degli indicatori del Quadro comune europeo di riferimento per le lingue. Si è cercato in questo modo di diffondere la consapevolezza che si deve andare oltre la “facciata linguistica” che alcuni bambini stranieri possono presentare, per affinare lo sguardo rispetto alle loro capacità di descrivere, spiegare, riferire, raccontare, collocare un fatto al passato o al presente

Un tempo per narrare e prendere la parola

Un’altra condizione importante per promuovere lo sviluppo linguistico di tutti i bambini riguarda la disponibilità di un tempo settimanale dedicato a insegnare a parlare: denominare, descrivere, rispondere, prendere la parola, raccontare. L’ideale sarebbe poter disporre tre giorni la settimana di un paio d’ore per ciascuna volta per poter suddividere i bambini in piccoli gruppi e svolgere attività diverse: narrazione e ascolto; descrizione e sviluppo lessicale; uso delle strutture grammaticali di base; conversazione e scambio. In questo modo si può dare la parola a ciascuno, rispettando il ritmo e le lentezze di tutti. Se questa modalità organizzativa non risulta possibile, per problemi organizzativi, si tratta di individuare almeno un tempo settimanale lungo e “dedicato” alla narrazione, anche in orario extrascolastico.

Uno spazio per parlare

Oltre alla disponibilità di tempo, è necessario allestire nella scuola uno spazio tranquillo e confortevole, dedicato alla narrazione, all’ascolto, alla conversazione: un angolo in cui ci si possa sedere in cerchio per leggere e vedere storie, raccontare e ri-raccontare, esplorare la lingua, le parole e si significati. Un posto in cui ci siano libri illustrati, album e alfabetieri di immagini e parole, oggetti, fotografie, pupazzi e materiali per descrivere, inventare situazioni, animare e mettere in scena i racconti.

L’importanza del piccolo gruppo

Dal punto di vista metodologico e organizzativo, si tratta di suddividere i bambini in piccoli gruppi omogenei per età, formati da 5-6 bambini, che hanno competenza linguistiche e comunicative diversificate e che risultano quindi al loro interno eterogenei e variegati. Nel gruppo ristretto, tutti avranno la possibilità di prendere la parola, anche i bambini più silenziosi e impacciati e ognuno imparerà a rispettare i turni di parola, ad ascoltare e ad ascoltarsi.

Raccontare , far raccontare

Il filo conduttore delle attività  sarà quello della narrazione, tema potente e coinvolgente che consente allo stesso tempo di arricchire il lessico, sollecitare l’ascolto, trasmettere fluenza e ritmo, proporre azioni collocate in fasi temporali diverse, introdurre spiegazioni, cause ed effetti. La narrazione di storie mobilita inoltre la memorizzazione, provoca identificazione, empatia e riconoscimento. Si presta inoltre ad essere usata secondo modalità e per scopi molteplici: per l’ascolto e la comprensione, per la descrizione dei personaggi e degli ambienti, per la produzione di dialoghi e il passaggio dal discorso diretto all’indiretto, e viceversa.

 

Una storia al mese e quattro attenzioni
Quali sono le attenzioni linguistiche e comunicative prioritarie che si possono sviluppare nei momenti dedicati in maniera mirata  allo sviluppo linguistico ai bambini stranieri di cinque anni? A partire dal filo conduttore della narrazione (almeno “una storia al mese”), ci sembrano soprattutto quattro gli obiettivi che possiamo darci. Essi rappresentano la risposta operativa alle incertezze e difficoltà emerse nella fase di ricerca/osservazione sulle caratteristiche dell’italiano dei bambini stranieri.

  • L’arricchimento lessicale

Abbiamo visto che un bambino che entra nella scuola primaria usa circa 2.500 vocaboli in maniera attiva e fa riferimento a circa 8.000 termini in maniera passiva (li comprende, ma non li usa). Un bambino straniero possiede, in genere, un vocabolario più ridotto e per lo più formato soprattutto da parole “piene” (nomi o verbi) di uso frequente e quotidiano. Un percorso di sviluppo lessicale si proporrà inizialmente di ampliare il lessico di base per sviluppare successivamente, attraverso attività diverse e giochi linguistici, la capacità di descrivere, classificare, indovinare, produrre nuove parole a partire dalle regole della derivazione, scoprire le modalità di alterazione dei nomi, individuare i sinonimi e i contrari.

  • L’uso delle strutture linguistiche di base

A cinque anni, in genere , un bambino padroneggia molte strutture linguistiche di base. E’ in grado , ad esempio, di concordare in maniera corretta gli articoli, i nomi e gli aggettivi, di flettere le forme verbali sulla base del pronome soggetto e dei tempi di più largo uso; di esprimere la temporalità nel presente, passato e futuro attraverso le forme verbali o gli avverbi adeguati; di produrre i pronomi personali più utilizzati e le preposizioni semplici e articolate più ricorrenti.
Con il tempo, anche i bambini stranieri acquisiscono e usano le strutture linguistiche di base, ma devono essere accompagnati e sollecitati lungo questo percorso, attraverso la riformulazione corretta che gli insegnanti propongono dei loro enunciati  non corretti e attraverso attività mirate di re-impiego delle strutture e delle regole grammaticali che i bambini hanno acquisito. Naturalmente tutto questo deve essere fatto all’interno di attività motivanti e “autentiche”, durante le quali si inviti il bambino , ad esempio, ad esprimere una stessa azione compiuta da soggetti diversi, a partire da immagini e fotografie (per l’uso dei pronomi personali soggetto e dei verbi); a raccontare un fatto accaduto nel passato (per l’uso della temporalità); a descrivere oggetti, ambienti, personaggi per risolvere un indovinello, scoprire un oggetto nascosto, descrivere una fotografia (per l’uso delle concordanze nel sintagma nominale).

  • L’articolazione e la pronuncia

Durante la raccolta delle produzioni dei bambini osservati nella  ricerca osservativa, è emerso  che alcuni di loro parlavano con un tono di voce molto basso, quasi non intelligibile; altri avevano difficoltà a pronunciare determinati suoni e ad articolare parole e frasi con chiarezza; altri ancora potevano essere capiti solo da un interlocutore molto cooperativo - come è in genere l’insegnante - che cercava di decodificare e completare le produzioni orali dei bambini. Le ragioni che sono alla base delle difficoltà di pronuncia possono essere molteplici: la presenza in italiano di suoni che non sono nella lingua d’origine; la lunghezza delle parole italiane, quasi tutte polisillabiche, mentre in cinese le parole sono per lo più monosillabe; la difficoltà a produrre alcuni suoni complessi che sono tali anche per bimbi italofoni nativi; le esitazioni e gli impacci legati al tono dell’italiano (in cinese ci sono quattro toni).
La competenza fonologica si acquisisce in tempi lunghi; rappresenta una sorta di colonna sonora delle attività volte allo sviluppo del linguaggio che deve essere diluita nelle diverse proposte. I bambini fra i tre e i sei anni si trovano nella condizione migliore per diventare nel giro di un tempo più o meno breve dei parlanti pressoché indistinguibili dai nativi. Si tratta quindi di creare le situazioni più coinvolgenti e di proporre le attività mirate, in cui i bambini stranieri possano esercitarsi sui suoni estranei e difficili, giocare con le parole e consolidare la loro pronuncia in italiano, senza tuttavia insistere e forzare perché “dare tempo e darsi tempo “ sono condizioni indispensabili.

  • La capacità di raccontare

Promuovere e sostenere nei bambini stranieri la capacità di raccontare rappresenta una sorta di macro-obiettivo, dal momento che essa racchiude in sé dimensioni e abilità diverse: la conoscenza del lessico, l’articolazione delle parole e delle frasi, l’uso delle strutture linguistiche. La capacità narrativa può essere stimolata ed esercitata, proponendo compiti e attività variegate; ad esempio: collocare delle azioni o dei fatti in ordine cronologico, a partire da immagini, disegni, fotografie; riferire un evento che è capitato a sé o ad altri al tempo presente o al passato; dare spiegazioni per un fenomeno conosciuto; collegare fra loro due fatti, l’uno causa dell’altro.
E ancora, completare una storia, dato l’inizio, ri-raccontare una storia ascoltata, avendo davanti a sé le sequenze e le immagini, inventare una storia, dato il titolo, i personaggi, l’incipit.

 

Note

  • La ricerca condotta nella scuola milanese è stata realizzata nell’ambito delle iniziative della L.285 del Comune di Milano da “La casa di tutti i colori”. Il gruppo di ricerca era composto da : Graziella Favaro, Elena Nuzzo e Gabriele Pallotti.     

Tutti i materiali utili  all’osservazione e le proposte operative si trovano nel testo:Graziella Favaro ( a cura di )  Dare parole al mondo.    L’italiano dei bambini stranieri, Edizioni Junior 2012 

Fonte: http://www.icvazzola.gov.it/stranieri/L2%20BAMBINI-che%20fare.docx

Sito web da visitare: http://www.icvazzola.gov.it/

Autore del testo:  Graziella Favaro

Il testo è di proprietà dei rispettivi autori che ringraziamo per l'opportunità che ci danno di far conoscere gratuitamente i loro testi per finalità illustrative e didattiche. Se siete gli autori del testo e siete interessati a richiedere la rimozione del testo o l'inserimento di altre informazioni inviateci un e-mail dopo le opportune verifiche soddisferemo la vostra richiesta nel più breve tempo possibile.

 

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