Corso disegno tecnico online

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Cenni di geometria descrittiva


Punto = ente privo di estensione, la cui immagine è costituita da un corpo di dimensioni ridottissime; i punti si indicano in genere con le lettere maiuscole dell’alfabeto latino.
Linea = insieme illimitato di punti consecutivi, che si dispongono nello spazio in successioni di forme diverse, dette curve (a), spezzate (b), rette (c), ecc.
Retta  =  insieme  illimitato  allineato  di  punti      (∞1
elementi), che presenta un'unica dimensione; le rette si indicano con le lettere minuscole dell'alfabeto latino. Una parte di retta limitata da un punto, infinita dall'altro lato, è detta semiretta; una porzione di retta compresa tra due punti è detta segmento.
Piano = insieme illimitato di punti (∞2 elementi), che presenta due dimensioni
Elementi impropri = un punto improprio, o all’infinito, definisce una direzione (movimento su una retta); una retta impropria definisce una giacitura (movimento su un piano); il piano improprio è il luogo di tutti gli elementi impropri dello spazio.
Proprietà delle figure geometriche:

  1. per 2 punti passa 1 sola retta;
  2. per 3 punti passa 1 solo piano;
  3. se 2 punti appartengono ad un piano, la retta che passa per essi appartiene interamente allo stesso piano;
  4. per un punto di un piano passano infinite rette appartenenti allo stesso piano (fascio di rette);
  5. per una retta passano infiniti piani (fascio di piani).

Angolo = è ciascuna porzione in cui viene suddiviso un piano da 2 rette incidenti appartenenti ad esso; il punto di intersezione è detto vertice dell’angolo; le semirette definite dal punto sono dette lati dell’angolo; la retta che passa per il vertice e divide l’angolo in due parti uguali è detta bisettrice.
La bisettrice di un angolo si costruisce, mediante l’utilizzo del compasso: puntando nel vertice V, si traccia un arco di apertura  qualsiasi, che intersechi i lati a e b dell’angolo; centrando poi in A e B, con uguale apertura, si tracciano due archi, che si intersecano in C: la retta passante per C e V è la bisettrice.
Diedro = ciascuna delle parti in cui viene suddiviso lo spazio, da due piani intersecatisi secondo una retta.
Superficie = luogo geometrico delle posizioni assunte da una linea, detta generatrice, nel suo movimento spaziale lungo un'altra linea, detta  direttrice.
Solido = luogo dei punti contenuti all’interno di  una superficie chiusa.


Posizione reciproca tra rette
Se due rette appartengono allo stesso piano, si dicono incidenti quando esiste un punto proprio del piano appartenente ad entrambe, si dicono parallele se non esiste un punto proprio in comune. Due rette complanari ed incidenti si dicono perpendicolari se formano quattro angoli uguali, che misurano 90° e vengono detti angoli retti. Se due rette non appartengono allo stesso piano, si dicono sghembe. Dato un segmento, la retta perpendicolare ad esso e passante per il suo punto medio è detta asse del segmento.
Posizione reciproca tra piani
Due piani si dicono incidenti quando esiste una retta appartenente ad entrambi, si dicono   paralleli
se non esiste una retta propria in comune.
Posizione relativa tra rette e piani
Una retta appartiene ad un piano se tutti i punti della retta appartengono al piano; una retta non appartenente ad un piano, è secante se ha un punto in comune con esso, è parallela se non ha alcun punto proprio in comune col piano (è parallela ad una retta del piano); una retta non appartenente al piano è perpendicolare ad esso se risulta perpendicolare almeno a due rette del piano.
Definizione della distanza:
Distanza tra un punto ed una retta = segmento avente per estremi l’intersezione tra la perpendicolare alla retta data, passante per il punto, ed il punto stesso;
Distanza tra un punto ed un piano = segmento avente per estremi l’intersezione tra la perpendicolare al piano dato, passante per il punto, ed il punto stesso;
Circonferenza = luogo dei punti di un piano equidistanti da un punto, detto centro. Cerchio = area del piano racchiusa dalla circonferenza.


COSTRUZIONI GEOMETRICHE

La bisettrice di un angolo si costruisce, mediante l’utilizzo del compasso: puntando nel vertice V, si traccia un arco di apertura qualsiasi, che intersechi i lati a e  b dell’angolo; centrando poi in A e B, con uguale apertura, si tracciano due archi, che si intersecano in C: la retta passante per C e V è la bisettrice.
La retta perpendicolare all’estremo A di un segmento AB, si costruisce considerando un generico punto P, esterno ad esso, e tracciando la circonferenze di centro P e raggio PA. Dal punto C intersezione di questa col segmento, si traccia la retta passante per P, fino ad intersecare in D la circonferenza: la retta contenente DA è quella cercata.
La retta parallela ad una retta data, per un punto A assegnato, si costruisce centrando in A, con apertura qualsiasi, fino ad individuare su r il punto B; con uguale apertura, centrare in B, fino ad intersecare ancora r nel punto C; infine, con apertura uguale ad AC, puntare in B, intersecando sul primo arco tracciato il punto D: la retta passante per AD è quella cercata.
    


Asse di un segmento: dai due estremi del segmento dato, si tracciano due archi di circonferenza, aventi raggio maggiore della metà del segmento stesso. La retta cercata è quella passante per i punti di incontro, C e D, dei due archi.
Perpendicolare ad una retta, per un suo punto: data una retta generica r e un punto C, appartenente ad essa, si tracci una semicirconferenza di centro C e di raggio a piacere; dai punti A e B di intersezione di questa, con la retta r, si tracciano due archi di circonferenza di raggio maggiore della distanza CA.
Unendo l’intersezione di questi due archi con il punto C, si avrà la perpendicolare richiesta.

Perpendicolare ad una retta, per un punto esterno: facendo centro nel  punto P, esterno alla retta data r, si tracci una semicirconferenza di raggio a piacere, ma tale da intersecare la  retta r e, a partire dai due punti di intersezione, A e B, si traccino, preferibilmente dalla parte opposta di P, rispetto ad r, due archi di raggio superiore alla metà del segmento AB. Il punto di intersezione di questi, unito a P, individua la perpendicolare.


Utilizzando le proprietà viste fin’ora, effettuiamo la costruzione geometrica di alcuni tra i poligoni regolari più comuni:
Triangolo equilatero inscritto in una circonferenza: tracciare un diametro della circonferenza; con apertura pari al raggio, puntando su uno degli estremi del diametro, tracciare l’arco  che interseca B e C sulla circonferenza; tracciare l’asse del segmento trovato, fino ad intersecare in A la circonferenza: il triangolo cercato è ABC.
Quadrato inscritto in una circonferenza: tracciare due diametri della circonferenza, ortogonali tra loro: essi rappresentano le diagonali del quadrato cercato.
Pentagono iscritto: dati due diametri, ortogonali tra loro, si determina l’asse del segmento AO; centrando in B, con apertura CB, si individua D sul diametro; quindi, centrando in C, con apertura CD, si individua E sulla circonferenza; determinata così la lunghezza del lato, basta riportare la stessa, a partire da ciascun vertice, sulla circonferenza.
Esagono inscritto: dato un diametro, con apertura pari al raggio si punta sui suoi estremi e si individuano sulla circonferenza i sei vertici del poligono cercato.


Gli strumenti della modellazione tridimensionale.

Estrusione: crea superfici o solidi, mediante l’”ispessimento” di un profilo piano, aperto o chiuso (generatrice); il profilo compie, quindi, un percorso rettilineo (direttrice), ortogonale al piano su cui esso giace, generando l’oggetto tridimensionale. Esiste anche la possibilità di estrudere lungo un percorso diverso da quello rettilineo, ovvero lungo una curva, detta traiettoria, ma è un’operazione poco controllabile.
Rivoluzione: crea superfici o solidi, mediante la rotazione di una linea, aperta o chiusa  (generatrice), attorno ad un asse, esterno ad essa, comunque disposto nello spazio; la  linea, che  deve essere piana, durante il suo movimento di rotazione descrive un infinito numero di circonferenze, ciascuna ortogonale all’asse di rivoluzione e tangente alla generatrice, che possono essere considerate come direttrici.
Sweep (flusso, movimento): crea superfici o solidi, mediante il movimento di una linea piana, aperta o chiusa (generatrice), lungo un percorso, 2D o 3 D, aperto o chiuso (direttrice); il profilo si dispone ortogonalmente alla tangente in ogni punto del percorso.
Loft: crea superfici o solidi, mediante la definizione di due o più sezioni trasversali degli stessi, linee piane aperte o chiuse (generatrici), e o di una traiettoria (direttrice) lungo la quale deve svilupparsi l’oggetto tridimensionale, o di linee guida (direttrici) all’interno delle quali esso deve mantenersi ed a cui in ogni punti deve poggiarsi.


Le superfici rigate.

Sono un particolare tipo di superfici ottenute mediante lo sweep (o l’estrusione lungo una traiettoria),  di una linea retta.

 

In particolare, si definiscono:
Piano = insieme può definirsi anche come una superficie rigata, in cui la direttrice sia una retta e la generatrice si muova su di essa sempre parallelamente a se stessa; la porzione di piano limitata da una retta è detta semipiano; i piani si indicano con le lettere minuscole dell'alfabeto greco.
Le porzioni di piano delimitate da linee spezzate chiuse sono dette poligoni; i segmenti della spezzata sono detti lati del poligono e, quando questi hanno tutti la stessa lunghezza, il poligono si dice regolare. Tra     i
più comuni, troviamo: il triangolo equilatero,  il quadrato, il pentagono e l’esagono.
Cono = superficie rigata generata da una generatrice che si muove lungo una direttrice, passando sempre per un punto fisso, detto vertice; se la direttrice è una circonferenza ed  il vertice giace sulla verticale al piano della direttrice, si parla di cono circolare retto;
Cilindro = è dato da un cono, quando il vertice è un punto improprio; se la direttrice è una    circonferenza    e    le    generatrici  sono
parallele alla retta ortogonale al piano della direttrice, si parla di cilindro circolare retto.


Le superfici di rotazione

A questa famiglia appartengono:

La superficie sferica: si ottiene mediante la rotazione di una semicirconferenza attorno ad una retta passante per i due estremi del diametro che la delimita;
Il cono (cilindro) circolare retto: oltre ad essere una superficie rigata, si può pensare prodotto dalla rotazione di una retta attorno ad un asse, che la interseca in un punto (o parallelo ad essa);

La superficie torica: si ottiene dalla rotazione di una circonferenza attorno ad un asse, esterno ad essa.


Le coniche

Si definisce cono circolare retto un particolare tipo di cono, che ha per direttrice una circonferenza ed il cui vertice, punto dal quale passano tutte le rette generatrici, è disposto sulla perpendicolare al piano su cui giace la direttrice, passante per il centro di essa.
Considerando una porzione finita di cono circolare, generata dalle semirette definite dal vertice, le sezioni di esso ottenute mediante  piani che assumano diverse posizioni nello spazio e che non passino per il vertice, generano delle figure piane dette coniche.
In particolare: si ha:
ellisse = figura piana ottenuta da un cono secato da un piano che ne seca tutte le generatrici (in particolare, se il piano è parallelo al  piano della direttrice, si ha una circonferenza);

 

 

 

 

parabola = figura piana ottenuta da un cono secato da un piano che ne seca anche la direttrice e risulta parallelo ad una sola generatrice del cono;

 

 

iperbole = figura piana ottenuta da un cono secato da un piano che ne seca anche la direttrice e risulta parallelo a due generatrici.


I raccordi

Spesso nel disegno geometrico si ha la necessità di raccordare linee di specie uguale o diversa con curve, in particolare con archi di circonferenza, in modo da non avere bruschi cambiamenti di direzione.
Raccordare due o più linee significa unirle graficamente senza che in esse si abbiano punti di arresto o di discontinuità nei punti di giunzione.
L’arte di raccordare le linee si basa su due principi che fanno parte della teoria delle tangenti:
-           un arco di cerchio ed una retta sono raccordabili se il centro dell’arco è  sulla perpendicolare mandata alla retta nel punto di contatto;
-        due archi di cerchio si raccordano quando i due centri e il punto di contatto sono su una linea retta.
Quindi si può affermare che due linee, di specie uguale o diversa, sono raccordate quando nel loro punto di giunzione esse ammettono la stessa tangente.
Vediamo diversi tipi di raccordo:
ESEMPIO 1 - Raccordo di raggio r tra due rette perpendicolari: centrando in O con raggio r, si tracciano due archi, che intersecano le rette a e b rispettivamente nei punti T1 e T2. Con la stessa apertura si centra in T1 e T2 conducendo altri due archi che individuano C. L’arco TT1 di centro C è il raccordo richiesto.
ESEMPIO 2 - Raccordo tra due rette parallele in un punto P: tracciata per P la perpendicolare alla retta a, si individua su b il punto Q; quindi si trova O, punto medio di PQ. La semicirconferenza PQ è il raccordo cercato.


ESEMPIO 3 - Raccordo di raggio r tra due semirette oblique: si tracciano le due parallele a’ e  b’ alle semirette date, a distanza r; queste si intersecano in C, da cui si conducono le ortogonali alle rette a e b, ottenendo così i punti T1 e T2. L’arco T1T2 di centro C è il raccordo cercato.

 



ESEMPIO 4 - Circonferenza tangente a tre rette date: si costruiscono le bisettrici dei due angoli formati dalle rette a, b, r, e si trova la loro intersezione in O. Da O si conducono le perpendicolari alle rette ottenendo su di esse rispettivamente T1, T2 e T3; questi saranno i punti di tangenza della circonferenza di centro O e raggio OT1=OT2=OT3.

ESEMPIO 5 - Raccordare una retta e una circonferenza con un arco di raggio r: si conduce la parallela alla retta a distanza r; essa interseca in O l’arco di centro C e raggio R+r. Si traccia la perpendicolare da O alla retta e si individua T1; si individua T2 come intersezione di OC con la circonferenza. L’arco T1T2 di centro O è il raccordo cercato.


ESEMPIO 6 - Raccordare due circonferenze con un arco di raggio r: si conducono con centri in C1 e C2, due archi, rispettivamente di raggio R1+r e R2+r; essi determinano come intersezione il punto O. I segmenti OC1 e OC2 tagliano le due circonferenze rispettivamente in T1 e T2. L’arco T1T2 di centro O è il raccordo cercato.
Archi = essi, dal punto di vista geometrico, sono una porzione di conica. Si definisce arco da un punto di vita costruttivo, una struttura che limita superiormente un’apertura, in grado di portare un sovraccarico e costituita da elementi che si reggono per mutuo contrasto. Gli elementi verticali sui quali l’arco a sua volta poggia si dicono piedritti.
l= luce o corda f= freccia
c= chiave
i= intradosso e= estradosso
pi= piano d’imposta

 

 

 

Dalla composizione di diverse porzioni di archi, in genere di circonferenza, si ottengono alcune figure molto utilizzate in architettura. In particolare, si definiscono:
arco a tutto sesto: esso è costituito da una semicirconferenza, quindi ha f=l/2;
arco ribassato: esso è costituito da un arco di circonferenza, inferiore alla metà, per cui ha f<l/2; arco ogivale: è formato da due archi simmetrici, ciascuno di raggio maggiore della metà della luce, per cui ha f>l/2;
arco policentrico: è formato da tre o più archi, con uguale tangente nei punti di giunzione. Vediamo le costruzioni geometriche di quelli più comuni:


Arco a sesto ribassato: assegnati i due punti di appoggio A e B e il punto di chiave C (con freccia minore della metà del segmento AB), si tracciano la corda AC e la perpendicolare per il punto  medio della corda stessa; il punto di incontro di questa con la perpendicolare ad AB condotta da C determina il centro O dell’arco di circonferenza d’intradosso A, C, B.

 

 

 

 

 

Arco a sesto acuto (o ogivale): Fissata la corda AB e la freccia CD, si congiunge C con A e con B e si determinano gli assi dei segmenti ottenuti. I punti di incontro O e O’  di esse con  la corda sono i centri cercati
.


Le volte

Abbiamo già descritto le caratteristiche geometriche delle superfici rigate: ad esse si fa risalire la configurazione geometrica elementare di alcune strutture, appartenenti alla famiglia delle volte, elementi costruttivi fondamentali.
Le volte sono utilizzate per realizzare coperture di ambienti, chiusi o in parte aperti. Esse sono sostenute da elementi verticali, le cui caratteristiche variano a seconda del tipo di volta (setti portanti, pilastri, ecc.). Parallelamente a quanto visto per gli archi, il piano che divide gli elementi portanti verticali dalla superficie voltata è detto piano d’imposta; il punto, o i punti, o le generatrici appartenenti alla volta e giacenti alla massima quota sono detti elementi di chiave.
Analizziamo innanzitutto quella che è considerata una “volta semplice”, ovvero la volta a botte, superficie che ha per generatrice una retta e per direttrice un arco; se la retta è orizzontale e la  direttrice è una semicirconferenza che giace su un piano ortogonale alla retta generatrice, si ha la volta a botte a tutto
sesto; se la direttrice è un arco ogivale, si ottiene la volta a botte a sesto acuto; inoltre, la generatrice può non essere ortogonale al piano su cui giace la direttrice, ma inclinata, dando luogo alla volta a botte rampante.


Dall'intersezione di due o più volte a botte, si generano quelle che sono dette volte complesse.


In particolare, poniamo l’attenzione su quelle più comuni:
La volta a crociera è generata dall'intersezione di due volte a botte, considerando per ciascuna di esse due unghie, cioè le parti di superficie generate dalla porzione di rette generatrici compresa tra la curva direttrice e le curve di intersezione.

 

 

La volta a padiglione è generata dall'intersezione di due volte a botte, considerando per ciascuna di esse due fusi, cioè le parti di superficie generate dalla porzione di rette generatrici compresa tra il piano d'imposta e le curve di intersezione.


Anche dalle superfici di rotazione, hanno origine alcune conformazioni geometriche, che danno vita ad alcuni tipi di volte:

La cupola: è una copertura a forma di semisfera, quindi ottenuta dalla rotazione di un quarto di circonferenza, attorno ad un asse passante per un suo estremo ad ortogonale al raggio passante per l’altro estremo.
La volta torica: è data da una superficie   torica,

sezionata dal piano contenente il centro della circonferenza generatrice in tutte le posizioni da essa assunte durante la rotazione.
La volta a vela: si ottiene da una cupola, sezionata da quattro piani ortogonali al piano d’imposta, che abbiano come tracce i lati di un quadrato inscritto nella circonferenza all’imposta.


 

Geometria proiettiva.

Tutti i metodi di rappresentazione sono riconducibili ad un’operazione di proiezione mediante rette che si irradiano da un centro e sezione mediante un piano. Ovvero, considerato un punto S nello

coincidente

con

S,

appartenente

ad

a,

si

 spazio, un piano a, che non contenga S, ed un punto P non

 


 

 

qualsiasi oggetto nello spazio.


definisce proiezione la costruzione della retta, della proiettante, passante per S e P; si definisce sezione l’individuazione del punto P’, detto immagine di P, intersezione tra la retta SP ed  il   piano   a.     Analogamente
avviene  per  la  proiezione   di



 

 I diversi metodi differiscono tra loro esclusivamente per la posizione del centro di proiezione e del piano e per la posizione reciproca di questi tra loro e rispetto all’oggetto.


In particolare, se il centro di proiezione è un punto proprio, si parla di proiezioni centrali o coniche, i cui raggi proiettanti risultano quindi convergenti; se è un punto improprio, quindi i raggi  proiettanti risultano paralleli tra loro, si parla di proiezioni parallele o cilindriche. Inoltre, queste ultime si distinguono in proiezioni ortogonali, se la direzione dei raggi proiettanti è perpendicolare al quadro; proiezioni oblique, se invece risultano inclinati di un angolo generico. Il piano di rappresentazione può essere disposto tra il centro di proiezione e l’oggetto, oppure al di là di quest’ultimo, oppure dal lato opposto del centro di proiezione, rispetto all’oggetto.
Vediamo ora diverse relazioni di corrispondenza che, facendo capo sempre alle operazioni di proiezione e sezione, possono instaurarsi tra diversi elementi nello spazio.


La prospettività


Si definisce prospettività una relazione che instaura una corrispondenza biunivoca tra un ente ed il suo corrispondente, mediante la quale sia possibile passare dall’uno all’altro mediante una sola operazione di proiezione e sezione.
Prospettività tra rette: date due rette complanari a ed a’ ed un punto S esterno, ma complanare ad esse, si definisce la prospettività di centro S  come


la relazione biunivoca che lega le rette a ed a’, per cui, dato un punto C appartenente alla retta a, facendo passare per esso un raggio proiettante da S, esso individua univocamente il punto corrispondente C’ corrispondente sulla retta a’ e viceversa.
Sussistono alcune proprietà: si definisce punto unito il punto A=A’, che appartiene ad entrambe le rette, per cui esso ed il suo corrispondente coincidono; si definisce punto limite di a il punto I’ appartenente ad a’ che risulta individuato come intersezione tra a’ ed il raggio proiettante parallelo ad a, passante per S; analogamente, si definisce punto limite di a’ il punto J appartenente ad a che risulta individuato come intersezione tra a’ ed il raggio proiettante parallelo ad a’, passante per S.


Prospettività tra piani: dati due piani a ed a’ incidenti nella retta u ed un punto S esterno ad essi, ma appartenente allo stesso piano, si dice prospettività di centro S la relazione biunivoca che lega piani a ed a’, per cui, dato un punto C appartenente ad a, facendo passare per esso un raggio proiettante da S, esso individua univocamente il punto C’ corrispondente su a', e viceversa. Si osserva che se il punto si muove descrivendo una retta r su a, il corrispondente si muove lungo la retta corrispondente r’ appartenente ad a’.
Si definisce: retta unita = retta u di intersezione tra i due piani, luogo dei punti uniti dei due   piani;
retta limite di a (a’) = retta i’ (j) appartenente ad a’ (a) intersezione tra il piano g (b) parallelo   ad
a (a') e a’ (a).
Prospettività di ribaltamento: dati due piani a ed a’, non paralleli, la rotazione di a’ su a attorno alla retta di intersezione t instaura una corrispondenza biunivoca tra i punti dei due piani, per cui ad un punto di a appartiene uno ed un solo punto di a’ e viceversa. Questa operazione corrisponde ad un particolare tipo di prospettività, in cui il centro di proiezione è un punto improprio che definisce la direzione ortogonale al piano bisettore b tra i piani a ed a’.

 



L’omologia

Data una prospettività di centro S’, tra un piano b’ ed un piano a, per cui ad ogni punto di b’ ne corrisponde uno su a; ed analogamente un’altra prospettività di centro S’’ tra un piano b’’ e lo stesso piano a, se si immagina che b’ e b’’ vadano a coincidere in un unico piano b, si avrà una corrispondenza biunivoca tramite S’ tra i punti di b’ ed a, i quali, a loro volta, saranno in corrispondenza biunivoca, tramite S’’, con b’’. La relazione che si instaura tra i diversi punti di a,
determinata dal prodotto di due prospettività nello spazio, generate da due centri distinti, è detta omologia ed è una corrispondenza biunivoca. In definitiva, , sul piano a si individuano: O, punto di intersezione tra il piano a e la retta congiungente S’ e S’’, che è detto centro dell’omologia; u,  retta
di intersezione tra a e b, che è detta asse dell’omologia.

Ad esempio, dati due piani a e b e due centri di proiezione S’ e S’’ ed il triangolo ABC, appartenente a b, proiettando i punti di questo su a, sia da S’ che da S’’, si ottengono due triangoli

A’B’C’ e A’’B’’C’’, corrispondenti ad ABC nelle due prospettività; si dice che queste due figure sono legate da una corrispondenza omologica di centro O ed asse u. Si osservano alcune importanti proprietà: considerati due punti corrispondenti (es. A’ ed A’’), se si tracciano le rette congiungenti, esse convergono tutte nel centro O dell’omologia; inoltre, considerate due rette corrispondenti, esse si intersecano su punti appartenenti alla retta u, ciascuno dei quali quindi


rappresenta sia il punto, che il suo corrispondente; essi sono detti, per questo, punti uniti e la retta u quindi è il luogo dei punti uniti.
Omotetia: è quel particolare tipo di omologia in cui il centro O è un punto proprio, mentre l’asse u è una retta impropria, per cui i piani a e b sono paralleli. Ne consegue che i punti corrispondenti sono allineati rispetto al centro, mentre le rette corrispondenti sono parallele. L’omotetia determina  quindi una trasformazione di scala tra le figure corrispondenti sul piano a.
tipo di omologia in cui il centro è un punto improprio, mentre l’asse è una retta propria. Ne consegue che le rette congiungenti punti corrispondenti risultano parallele. Si ha    un’affinità    obliqua   se    la    direzione  di

 

 

 

un’affinità ortogonale quando è invece ad essa perpendicolare. Nel caso particolare in cui il piano b
è ortogonale ad a ed i centri di proiezione S’ ed S’’ sono equidistanti da esso, si ha una riflessione.

 

Traslazione: è quel particolare tipo di omologia in cui sia l’asse che il centro sono elementi impropri. Ne consegue che le figure corrispondenti sono uguali in forma, dimensioni e posizione.



Omologia di ribaltamento: è un particolare tipo di affinità, in cui entrambi i centri di proiezione S’ ed S’’ sono all’infinito, con direzioni di proiezione l’una ortogonale ad a e l'altra ortogonale al piano bisettore g del diedro formato da a e b. Essa corrisponde ad un’affinità di asse u, retta intersezione di a e b, e centro improprio O¥ con direzione perpendicolare ad u.


 

 

 

 

Metodi di proiezione.

I sistemi di rappresentazione geometrica consentono di rappresentare un oggetto tridimensionale su un piano bidimensionale, mediante un’immagine che abbia con l’oggetto originale una precisa relazione di corrispondenza biunivoca, per cui il processo della rappresentazione sia reversibile. Tutti i metodi della geometria descrittiva si basano sui principi della geometria proiettiva, ovvero sulle due operazioni di proiezione e sezione. Gli elementi principali dei metodi della rappresentazione sono:

  • centro di proiezione: (detto anche punto di vista) è il punto da cui si dipartono i raggi proiettanti;
  • piano della rappresentazione: è il piano su cui viene eseguita la rappresentazione.

Le posizioni diverse di questi elementi tra loro e rispetto all’oggetto ed all’osservatore, determinano i diversi sistemi di rappresentazione geometrica.
I metodi di proiezione della geometria descrittiva si distinguono in due gruppi principali: se il  centro di proiezione è un punto proprio, quindi tutti i raggi proiettanti convergono in esso, si hanno le proiezioni centrali o coniche; se il centro di proiezione è all’infinito, per cui i raggi proiettanti sono tutti paralleli tra loro, si hanno le proiezioni parallele o cilindriche.
Le proiezioni di oggetti mediante i diversi metodi danno origini a rappresentazioni con caratteristiche diverse: ad esempio, in proiezioni centrali, proiettando sul piano di quadro due rette parallele, le loro immagini convergono sul punto I'. Ciò avviene in quanto tra i piani p e p' si instaura una prospettività di centro C ed asse LT; le rette s ed r, parallele, si incontrano in  I∞, il cui corrispondente è I', punto limite sia di s che di r.


Nelle proiezioni parallele, proiettando sul piano di quadro due rette parallele, le loro immagini risultano anch'esse parallele. Ciò avviene in quanto tra i piani     p             e    p' si instaura  una prospettività di centro improprio C∞ per cui I∞ha il corrispondente in I'∞. Il metodo delle proiezioni centrali viene anche denominato prospettiva, mentre       le            proiezioni           parallele       si distinguono in: proiezioni ortogonali (di                  Monge),             proiezioni assonometriche, proiezioni quotate.

 

Proiezioni ortogonali.

Le proiezioni ortogonali di un oggetto nello spazio si eseguono considerando due piani ortogonali tra loro, detti anche piani coordinati: p1 = piano orizzontale, p2 = piano verticale; la retta di intersezione tra i due piani è detta linea di terra; lo spazio risulta così diviso in 4 diedri, ma l’oggetto da rappresentare per convenzione si considera solitamente posizionato nel 1° diedro. Si considerano due centri di proiezione all’infinito, con direzioni di proiezione rispettivamente ortogonali a p1 e p2, dai quali si effettua, quindi, la proiezione dell’oggetto su p1, detta prima proiezione o pianta, e su
p2, detta seconda proiezione, o alzato, o prospetto frontale. Date le due immagini dell’oggetto sui due piani, è univocamente determinata la sua posizione nello spazio. Talvolta, si introduce un  terzo


piano, p3, ortogonale sia a p1 che a p2, sul quale si proietta una vista laterale dell’oggetto, utile per dare una rappresentazione più esaustiva della forma dell’oggetto, quando esso non risulti simmetrico. Per rappresentare le due, o tre, proiezioni su un unico foglio da disegno, si immagina di effettuare una rotazione dei piani di rappresentazione, attorno alle rette di intersezione, fino a farli coincidere su un unico piano.


 

Rappresentazione del punto: dato un punto P nello spazio, proiettando le sue immagini sui 3 piani coordinati, rispettivamente su p1 , p2.e  p3 si ottengono le proiezioni P’, P’’ e P’’’.



Rappresentazione della retta: data una retta generica r, comunque disposta nello spazio, si definiscono tracce i punti di intersezione tra essa ed i pani coordinati. Le tracce assumono un pedice numerico uguale a quello del piano coordinato cui appartengono, per cui T1 è il punto in cui  r interseca ,  p1, T2 è il punto in cui interseca ,  p2, ecc.
Retta ortogonale al piano p1 e parallela al piano  p2



Retta ortogonale al piano pe parallela al piano p1



Rappresentazione di due retti incidenti

Rappresentazione del piano: dato un piano a genericamente disposto nello spazio, si denominano tracce del piano, e si indicano con ta1, ta2, ta3 le rette di intersezione tra il piano dato ed i 3 piani coordinati.



Condizioni di appartenenza di un punto ad una retta generica: Condizione necessaria e sufficiente affinchè un punto P appartenga ad una retta r è che le proiezioni P', P'' e P''' del punto appartengano rispettivamente alle proiezioni r', r'' ed r''' della retta.

Condizione di appartenenza di una retta ad un piano: Condizione necessaria e sufficiente affinchè una retta r appartenga ad un piano a è che le tracce Tr' e Tr'' della retta appartengano rispettivamente alle tracce t1a e t2a del piano.


Retta  di  massima  pendenza:  dato  un  piano  a,  si definisce

retta di massima pendenza la retta appartenente ad a, che
permetta di passare da un qualsiasi punto del piano ad un punto a quota 0, seguendo il percorso più breve; essa risulta essere, quindi, a partire da qualsiasi punto, la retta ortogonale alla traccia del piano a considerato; viceversa, tutte le   rette
ortogonali alla retta di massima pendenza risultano parallele alla  traccia  del  piano  a considerato,  in  quanto  la  retta di
massima pendenza dipende dalla giacitura del piano orizzontale  e  tutte le rette ad essa ortogonali   rappresentano
altrettante tracce di piano orizzontali, a quote diverse, rispetto alle quali la retta di massima pendenza del piano a considerato rimane la stessa e deve sempre essere ortogonale.
L’individuazione della retta di massima pendenza su un piano a è agevole mediante l’introduzione di un piano ausiliario b ortogonale a p1 (in modo da individuare il percorso verticale più breve) e con la prima traccia ortogonale a ta1

Ribaltamento di figure piane

Quando i solidi rappresentati in un disegno in proiezioni ortogonali presentano delle facce inclinate rispetto ai piani di riferimento, queste non sono rappresentate nelle loro reali dimensioni e forma. Difatti, le figure piane si presentano nella loro vera forma e grandezza nella loro rappresentazione in proiezioni ortogonali solo quando esse giacciono su piani paralleli al quadro di rappresentazione.
Nel caso di figure inclinate, quindi, le proiezioni ortogonali forniscono immagini deformate e non  se ne possono conoscere le dimensioni reali.
Per trovare la vera forma di una figura piana, comunque disposta, occorre quindi rappresentarla sul piano su cui essa giace o su un piano g parallelo ad esso. Ma per riportare tale rappresentazione sul piano della nostra rappresentazione, è necessario eseguire un procedimento di ribaltamento del piano g, fino a farlo coincidere con uno dei piani coordinati, ovvero ribaltare la rappresentazione

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 della figura intorno alla traccia sullo stesso piano coordinato del piano a cui appartiene, o di g ad esso parallelo, finché non si adagi sul piano di riferimento.


 

 

Generalità sulle sezioni

Gli oggetti da rappresentare contengono spesso delle parti che dall’esterno risultano nascoste; per facilitare la loro rappresentazione si ricorre alla sezione.
Questa operazione consiste nel taglio dell’oggetto con un piano ideale (piano di sezione) e nella rappresentazione di una delle due parti in cui l’oggetto  è stato diviso.
Per rappresentare una casa, la vista dall’alto non consente di vedere i muri interni, che  invece risulteranno visibili sezionandola con un piano orizzontale.
La scelta del piano di sezione è legata alla posizione e alla forma dell’oggetto; si ricorre pertanto a piani di sezione disposti nel modo opportuno: orizzontali, verticali, obliqui.


In genere nella rappresentazione degli edifici vengono eseguite anche delle sezioni con piani verticali, che consentono la vista dei solai, delle porte, finestre etc.
Le superfici sezionate, devono essere campite con il tratteggio generico.
Esso è formato da linee sottili, equidistanti, inclinate di 45° rispetto al contorno o agli assi della figura. La distanza tra le linee deve essere proporzionata alla dimensione della figura.

 

Le sezioni sono talvolta ottenute con piani inclinati rispetto ai piani di proiezione; pertanto in questi casi le figure ottenute con l’operazione di sezione si presentano deformate nelle proiezioni ortogonali.
Pertanto per ottenere la vera forma e grandezza della sezione si ricorre all’operazione di ribaltamento, che può essere effettuato su qualsiasi piani di proiezione.


 

 

 

 

Le proiezioni assonometriche

La proiezione assonometrica rientra nelle proiezioni parallele, o cilindriche: il  centro di proiezione è all’infinito e i raggi proiettanti, paralleli tra loro, colpiscono l’oggetto nello spazio e vengono sezionati da un piano p, detto quadro, su cui si forma l’immagine proiettata. Tale processo, tuttavia, genera una indeterminatezza  nell’individuazione della posizione occupata dall’elemento nello spazio, in quanto ad esempio la proiezione di un punto P su un piano  (P’)
risulta uguale per qualsiasi punto nello spazio allineato lungo la direzione dei raggi proiettanti (P,  Q, R). Affinché si possa risalire alla posizione esatta dell’oggetto nello spazio, esso viene allora collocato  all’interno  di  un  sistema    di
riferimento: esso è formato da una terna di piani p1, p2, p3 ortogonali tra loro a due a due, sui quali l’oggetto viene proiettato ortogonalmente; gli assi di intersezione tra i piani suddetti risultano ortogonali tra loro, convergono in un punto O, origine del sistema di riferimento, e vengono denominati assi  di riferimento cartesiano x, y, z; su ciascuno di essi viene indicata l’unità di misura.
L’oggetto     viene,     quindi,   proiettato


ortogonalmente sulla terna di piani coordinati; successivamente, dal centro di proiezione S¥, vengono  proiettate  su  sia  l’oggetto,  che  la  terna  cartesiana  e  le  tre  immagini     ortogonali
dell’oggetto sui piani di riferimento; sul quadro si rappresenteranno così la vera proiezione assonometrica, dell’oggetto e del sistema di riferimento, con le unità di misura, ma anche le tre proiezioni assonometriche delle immagini dell’oggetto.
In base alla direzione degli assi proiettanti rispetto al quadro p, si distinguono: ass. ortogonale, se  la direzione S¥ è ortogonale al quadro, ass. obliqua, se essa è invece obliqua.

Nella proiezione del sistema di riferimento, l’unità di misura di ciascuno degli assi generalmente ha un’immagine assonometrica di dimensioni diverse da quella reale, il cui rapporto di riduzione o allungamento è funzione dell’inclinazione degli assi di riferimento rispetto al quadro e della direzione dei raggi proiettanti. Se le unità di misura assonometriche assumono valori tra loro uguali su tutti e tre gli assi, l’assonometria si dice isometrica; se su due assi le unità risultano uguali e sul terzo di valore diverso, si dice dimetrica; se i tre valori sono tra loro distinti, l’assonometria si dice trimetrica.


Assonometria ortogonale


Nel caso in cui la direzione  degli assi proiettanti sia ortogonale al quadro, quest’ultimo non può andare a coincidere, né essere parallelo, ad alcuno dei piani del sistema  di riferimento spaziale, altrimenti la rappresentazione si ridurrebbe   ad   una   proiezione


ortogonale. In queste condizioni, il quadro interseca i tre piani coordinati su tre rette, tracce dei  piani su p, ed interseca gli assi in tre punti, tracce degli assi sullo stesso quadro. Si definisce
triangolo delle tracce o fondamentale quello formato dalle tracce dei tre piani di riferimento sul quadro, o dai segmenti che congiungono le tracce dei tre assi di riferimento su p. La proiezione ortogonale su p dell’origine O, denominata O’, risulta essere l’ortocentro del triangolo delle tracce. Per determinare le unità assonometriche, si procede ribaltando il punto O sul quadro, attorno ad almeno due dei lati del triangolo, e riportando sugli assi ribaltati l’unità di misura vera; tra le immagini assonometriche e le unità ribaltate intercorre un’affinità omologica ortogonale, quindi mediante l’applicazione delle proprietà dell’omologia di ribaltamento, si ottengono le unità di misura assonometriche sui tre assi. Applicando le regole della trigonometria, esse risultano funzione degli angoli a, b, g che gli assi cartesiano formano con il
quadro.
Per determinare l’unità di misura assonometria a partire da quella reale, si può operare anche senza avvalersi del triangolo delle tracce, effettuando un ribaltamento  degli assi reali attorno ai rispettivi assi assonometrici,  instaurando stavolta un’affinità ortogonale che ha per asse dell’omologia appunto l’asse assonometrico.


Il triangolo delle tracce risulta essere equilatero, nel caso di assonometria ortogonale isometrica; esso è isoscele, nel caso di assonometria dimetrica; quando si ha un’assonometria trimetrica, il triangolo fondamentale è scaleno.


Assonometria obliqua


Nel caso in cui la direzione di proiezione assonometrica S¥ è obliqua rispetto al piano di quadro
p, vale il cosiddetto teorema di Polke-Schwarz, secondo cui, presa una qualsiasi terna di assi, comunque orientati, convergenti in un punto, e tre valori di unità di misura, è sempre possibile risalire ad una direzione assonometrica, a tre assi nello spazio mutuamente ortogonali ed a tre rispettive unità di misura, di cui quelle date risultino essere le proiezioni assonometriche.
Anche in questo caso, utilizzando il triangolo delle tracce, si può risalire alle unità  assonometriche,
tenendo tuttavia conto che la proiezione O’ dell’origine non coincide con O0 proiezione ortogonale di O; quindi, dopo aver ribaltato gli assi reali sul quadro, attorno ad un lato del triangolo delle tracce, in questo caso si instaura un’affinità obliqua con asse sul lato del triangolo delle tracce e direzione sulla congiungente O’O*, da cui si risale alla misura delle unità assonometriche.


In realtà, però, per motivi pratici, si utilizzano tipi di assonometria obliqua in cui il quadro risulti parallelo o coincidente con uno dei piani cartesiani. Questo tipo di assonometria è detto assonometria cavaliera. In tal modo, l’angolo formato dagli assi appartenenti al piano parallelo al quadro rimane invariato, ovvero di 90°, per cui l’immagine assonometrica conserva la forma e le dimensioni originarie. In particolare, quando il quadro p è parallelo a p1, essa si chiama ass. cavaliera militare.
L’immagine indeformata sarà quindi un prospetto o una pianta, a seconda che si utilizzi la cavaliera o la cav. militare.


 



Geometria dei tetti a falde

Dato il perimetro di un edificio, formato da un poligono con n lati, la copertura a falde si realizza rispettando le seguenti ipotesi: numero di falde uguale al numero di lati; quota della linea di gronda costante; pendenza delle falde costante. Si applica quindi il seguente procedimento: dato un lato AB del poligono, si considera un piano di pendenza uguale a quella stabilita, la cui traccia sul piano orizzontale, alla quota della linea di gronda, sia la retta t, che contiene il lato AB; la copertura a falde è data dall’intersezione degli n piani, di ugual pendenza, le cui tracce sul piano di gronda siano date dalle rette che contengono i rispettivi lati del perimetro; la porzione di piano corrispondente a ciascun lato del perimetro dato, che risulta essere una figura piana con un lato corrispondente ad uno dei lati del poligono, è detto falda; la copertura presenta quindi un numero di falde n, pari al numero di lati.
Le proiezioni sul piano orizzontale delle rette di intersezione tra le falde si possono determinare con il metodo delle proiezioni quotate, rappresentando ogni falda mediante la corrispondente retta quotata di massima pendenza. Tracciando le rette alla stessa quota, appartenenti a ciascuna falda, se ne determinano i punti di intersezione, che saranno allineati sulla retta di intersezione delle falde.
Tale retta di intersezione risulta, per ovvie motivazioni geometriche, essere la bisettrice dell’angolo formato dai lati delle falde corrispondenti, per cui in pratica si può procedere come segue: dati i lati AB e BC, si determina la bisettrice dell’angolo ABC, finchè essa non interseca la bisettrice dell’angolo successivo BCD; da quel punto, dovrà essere tracciata la bisettrice dell’angolo formato dai prolungamenti dei lati AB e CD; si procede così per tutti i lati che formano il perimetro.


 

 

 

 

Le proiezioni quotate

Le proiezioni quotate rientrano nei metodi di rappresentazione a proiezione cilindrica o parallela. La proiezione quotata è una proiezione ortogonale, su un unico piano di quadro, sul quale viene  apposta la quota dell’oggetto rappresentato.
Si definisce quota di un punto P la distanza che intercorre tra il dato punto ed il quadro. Gli elementi fondamentali sono quindi:

  • un piano di rappresentazione orizzontale p, detto anche quadro, che suddivide lo spazio in due semispazi: si assegna quota pari a 0,00 al piano di quadro e si stabilisce un’orientazione positiva per le quote, per cui si avrà un semispazio con quote positive  (di solito quello al di sopra del quadro) e l’altro con quote negative;
  • un centro di proiezione all’infinito, con direzione di proiezione perpendicolare al piano;
  • una unità di misura u.

Rappresentazione del punto: la posizione di un punto è nota in proiezioni quotate quando ne è nota la proiezione sul quadro e la quota, in valore e segno.
Rappresentazione della retta: una retta generica è determinata quando se ne conosce la sua proiezione sul quadro e la quota di due suoi punti; può quindi, ad esempio, essere definita mediante la rappresentazione della sua traccia (punto a quota 0,00) e da un altro punto ad essa appartenente. Una retta perpendicolare al piano sarà rappresentata solo dalla sua traccia, proiezione di tutti i punti della retta; una retta parallela dalla rappresentazione della sua proiezione e dalla quota di un solo suo punto.
Si definisce:

  • retta graduata o quotata quella rappresentata mediante l’individuazione sulla sua immagine delle proiezioni dei punti ad essa appartenenti con differenza di quota unitaria a partire da 0, ovvero a quota 0, 1, 2, 3, …
  • modulo ir della retta il segmento costante pari alla distanza tra le immagini di due punti appartenenti alla retta, la cui differenza di quota sia pari all’unità di misura u.
  • inclinazione della retta l’angolo acuto a che essa forma con il quadro;
  • pendenza della retta la tangente trigonometrica della sua inclinazione.

Rappresentazione del piano: un piano generico è definito quando siano note le rappresentazioni quotate di due rette incidenti ad esso appartenenti, oppure di due rette orizzontali, o di tre punti non allineati o della sua retta di massima pendenza. Un piano orizzontale sarà descritto dalla sua quota; un piano verticale dalla sua traccia sul quadro.

Nozioni base di cartografia

 

La superficie del suolo è una realtà estremamente varia ed irregolare, determinata da azioni fisiche, chimiche e biologiche; per rappresentarla mediante i metodi tradizionali di proiezione e sezione, è necessario approssimarla ad una superficie geometrica, i cui punti interpolino in maniera il più possibile esatta quelli della superficie reale.
Il metodo più comunemente diffuso per la rappresentazione dell’andamento della superficie del suolo sono le planimetrie a curve di livello. Esse si ottengono approssimando la superficie reale ad una superficie poliedrica a facce triangolari, piane, i cui vertici corrispondono a punti reali; proiettando le facce su un piano orizzontale, si ottiene una rappresentazione a piani quotati, dalla quale si passa a quella a curve di livello, o isoipse, tracciando le curve che uniscono i punti giacenti alla stessa quota.
La quota di riferimento che viene assunta pari a 0 è quella che viene denominata “livello del mare”: nella realtà, la superficie delle acque presenti sulla superficie terrestre non è costante, in quanto influenzata dai moti delle maree e vari fenomeni meteorologici; si assume quindi una superficie media, che viene denominata superficie geodetica terrestre.
Nella rappresentazione a curve di livello, si possono aggiungere le curve di massima pendenza: esse sono le curve che raccordano le linee di massima pendenza corrispondenti a ciascuna isoipsa. In pratica, per ciascuna curva di livello, si traccia la perpendicolare alla tangente in un suo punto e la si raccorda con quelle delle curve che seguono e precedono.
La quota di un punto sulla carta è determinata solo se esso ricade esattamente su una isoipsa o su un particolare punto di cui sia segnalata la quota. Per determinare la quota di un punto generico P, noto il dislivello e la quota di due isoipse tra le quali esso risulta completo, è necessario tracciare il segmento più breve congiungente le due isoipse, passante per P ed applicare le proprietà di similitudine tra i triangoli.
Si definisce profilo altimetrico la linea di contorno determinata dall’intersezione di un piano verticale con la superficie terrestre. Esso si determina rappresentando sulla carta la traccia del piano di sezione, tracciando una parallela a questa e da essa tante parallele con distanza pari all’equidistanza tra le curve di livello ed infine proiettando ortogonalmente a queste i punti di intersezione  tra  le  isoipse  e  la  traccia  del  piano  di  sezione.  Per  ottenere  rappresentazioni


chiaramente leggibili, solitamente ascisse ed ordinate dei profili altimetrici non vengono rappresentate alla stessa scala, per cui per l’equidistanza si fissa una unità di misura diversa da quella della carta, tale che le quote verticali vengano sufficientemente differenziate.

Individuazione di percorsi a pendenza costante

 

Si voglia tracciare un percorso a pendenza costante che conduca da un punto A ad un punto B, di quota nota.
Fissata una pendenza (p), ad esempio del 10%, e noto il dislivello tra le isoipse (Eq =equidistanza)  si determina la distanza l che fornisce la lunghezza di un percorso con pendenza pari a quella  fissata, per superare il dislivello tra due isoipse successive. Si ha:
p = Eq/l = 10%           →   l = (100 Eq) /10 = 10 Eq
A partire da A, con apertura di compasso pari ad l, si traccia un arco, fino ad intersecare la curva di livello successiva; dal punto di intersezione determinato, si procede analogamente fino all’isoipsa successiva e così via, fino al punto B. Da ogni punto, le intersezioni determinabili con l’isoipsa successiva sono almeno due, tra le quali si sceglie quella che ci consente di tracciare il percorso che ci permette di avvicinarci il più possibile a B.
Per esigenze della rappresentazione, al fine di aumentare la precisione, può essere  necessario infittire le curve di livello: è sufficiente tracciare dei segmenti, comunque orientati, che congiungono punti appartenenti ad isoipse successive ed unirne i punti medi, ottenendo una  spezzata che si può interpolare in una curva; per aumentare ulteriormente il numero di curve di livello, si procede per successivi infittimenti.


Determinazione dell’area di visibilità di un punto

L’area di visibilità di un punto individua, su una pianta a curve di livello, le zone in cui il dato punto risulta visibile virtualmente (non tiene conto della presenza di ostacoli, quali alberature ecc.). Essa è un fattore di importanza fondamentale, qualora si debba valutare l’impatto visivo e paesaggistico di manufatti collocati sul territorio.
Essa si determina tracciando i profili della superficie del suolo, individuati da tracce di piani di sezione disposti radialmente rispetto al punto di cui si vuole determinare la visibilità. Su di essi, si riporta il punto in esame e da questo si tracciano le rette proiettanti, fino ad individuare quelle tangenti al profilo. I punti di tangenza con il profilo si riportano in pianta, proiettandoli ortogonalmente sulla traccia del piano di sezione corrispondente. Si procede quindi determinando le spezzate che congiungono i punti individuati in corrispondenza di tutti i piani di sezione, che separano le zone visibili da quelle nascosta. Quanto maggiore è il numero di profili, quanto più fitte sono le curve di livello, tanto è più affidabile l’individuazione dell’area di visibilità.

 

Il disegno per il progetto architettonico

 

Il disegno è lo strumento mediante il quale l’idea progettuale viene innanzitutto creata, studiata ed inserita nella realtà esistente; è il mezzo mediante cui il progettista può osservare criticamente la propria opera, verificarne la validità, approfondirla, interpretarla, elaborarla e perfezionarla; ed è anche, infine, lo strumento mediante il quale il progetto viene in seguito esposto, sia al fine della comunicazione alla committenza, che ai fini pratici della realizzazione. Dagli schizzi di studio iniziali, agli elaborati del progetto di massima, fino alle tavole esecutive, il disegno è lo strumento operativo che “materializza” il processo di ideazione dell’opera.
Quindi, escludendo la fase di studio ed analisi preliminare, il disegno architettonico deve utilizzare un linguaggio comprensibile ad altri soggetti, siano essi i committenti o i realizzatori dell’opera.
E’ stato così fissato un sistema di norme convenzionale di trascrizione grafica dei progetti.

 

Convenzioni e normative grafiche

 

Esistono diversi enti nazionali ed internazionali che si sono occupati di definire delle norme al fine della rappresentazione chiara ed univoca di un progetto architettonico; tra questi sono l’UNI, l’ente nazionale italiano di unificazione, e l’ISO, International Standardizing Organization. Nonostante ciò, vi sono consuetudini della pratica professionale che vengono tutt’oggi utilizzate e che bisogna quindi conoscere.
Una di queste regole non scritte, ma adottate, è quello di raggruppare gli elaborati di progetto per tipologie e contraddistinguerli quindi con una sigla formata da una lettera, l’iniziale del gruppo di appartenenza (R = elaborati di rilievo, A = disegni architettonici, S = elaborati strutturali, ecc.) , ed un numero.
Definiamo innanzitutto, cosa è la scala di rappresentazione: essa è data dal rapporto tra le misure dell’oggetto rappresentato nel disegno e le sue misure reali. Si ha quindi:
S = Dd/Dr


in cui, se Dd>Dr si ha una scala di ingrandimento (raramente usata per l’architettura), se Dd<Dr si ha una scala di riduzione.
In teoria, esistono infinite scale di rappresentazione, per cui l’UNI ha normalizzato quelle da utilizzare per i grafici tecnici:
-           Scale di ingrandimento: 50:1, 20:1, 10:1, 5:1, 2:1.
-           Scale di riduzione: 1:2, 1:5, 1:10, 1:20, 1:50, 1:100, 1:200, 1:500, 1:1.000, 1:2.000,
1:5.000, 1:10.000, ecc.
Tuttavia, talvolta vengono utilizzate anche le scale 1:25 e 1:250.
La scala deve sempre essere indicata sul disegno. A questa, è utile aggiungere una scala grafica, formata da un segmento su cui si rappresenta la corrispondenza tra le unità del disegno e le misure reali, che consenta di risalire alle dimensioni dell’oggetto rappresentato anche nel caso in cui gli elaborati vengano riprodotti, ingranditi o ridotti.
Il numero ed il tipo di elaborati di progetto di cui si compone un progetto architettonico è ovviamente funzione del genere di opera, delle sue dimensioni e complessità, ma si  possono definire degli elaborati di base, indispensabili, ai quali si vanno aggiungendo tutti quelli che si ritengano necessari ai fini della esaustiva definizione del progetto. Essi consistono in:

  • una planimetria generale in scala 1:10.000 - 1:2.000 della porzione di territorio significativa, che evidenzi la collocazione, le relazioni ed i collegamenti dell’opera con l’ambiente circostante;
  • una planimetria in scala 1:1.000 – 1:500 che evidenzi i rapporti altimetrici dell’opera  con il terreno circostante;
  • una pianta in scala 1:100 per ogni livello dell’edificio, che ne descriva esaustivamente lo sviluppo planimetrico, comprese le coperture;
  • le sezioni significative in scala 1:100 necessarie a rappresentare le caratteristiche altimetriche dell’opera;
  • tutti i prospetti esterni in scala 1:100;
  • piante esecutive, in scala 1:50;
  • prospetti esecutivi, in scala 1:50;
  • dettagli costruttivi, in scala 1:20 – 1:2;
  • gli schemi strutturali, in scala 1:50, completi di particolari costruttivi in scala 1:20, al fine dello studio delle tecnologie costruttive adottate;
  • gli schemi degli impianti, completi di piante e sezioni 1:100 e particolari 1:20 – 1:10.

Tutti gli elaborati sono ovviamente tra loro strettamente ed indissolubilmente correlati, quindi nella loro redazione è fondamentale assicurarsi della esatta corrispondenza dimensionale di tutte le parti costituenti l’edificio rappresentate nelle diverse tavole.
La norma UNI 936 stabilisce i formati dei fogli da utilizzare per il disegno tecnico. I Formati Comuni sono ottenuti da successive divisioni del formato A0 e sono:
A0     841x1.189 mm A1           594x841 mm
A2       420x594 mm
A3       297x420 mm
A4       210x297 mm
Esistono poi Formati Speciali, allungati, ecc. Tali fogli vengono poi appositamente piegati, in modo da assumere le dimensioni di un A4.
Nella stesura dei disegni di progetto, diversi tipi di linea e spessori diversi assumono specifici significati e funzioni.
L’UNI ha normalizzato l’uso delle linee di diverso tipo e spessore, mediante la norma 3968: gli spessori utilizzabili tra i quali scegliere sono 0.18, 0.25, 0.35, 0.50, 0.70, 1.00, 1.40, 2.00. In un disegno, si devono utilizzare solo due spessori, che siano l’uno il doppio dell’altro. In realtà, la consuetudine professionale disattende tali indicazioni, preoccupandosi esclusivamente di utilizzate linee di spessore nettamente distinguibile.
Vi sono anche indicazioni riguardanti i simboli e le scritte da utilizzare nelle tavole di progetto, ma in realtà ci si regola in base alle proprie abitudini, per cui talvolta si crea un po’ di confusione!

Gli elaborati di progetto: la pianta

 

E’ la proiezione ortogonale di un livello di un edificio su un piano orizzontale, parallelo al piano di calpestio, che si ipotizza lo sezioni ad una quota prestabilita; questa viene scelta in modo da  ottenere il maggior numero di informazioni possibili, laddove vengano evidenziati i vani porta e finestra presenti, per cui, ad esempio, nei normali edifici residenziali, si usa porlo idealmente ad un’altezza compresa tra 1,20 e 1,40 m.
Quando si redige una pianta o una sezione, si utilizzano linee di spessore maggiore per le parti che vengono sezionate dal piano di proiezione e più sottile per tutti gli oggetti rappresentati in proiezione. Le parti sezionate possono essere rappresentate anche mediante campitura interna con linee parallele sottili a 45°, che vari inclinazione quando appartengano ad oggetti diversi. Se è


necessario proiettare parti che si trovano al di sopra del piano di sezione (ad esempio le volte di copertura) si utilizzano linee tratteggiate.
Le piante redatte a scale diverse, forniscono informazioni diverse. La pianta 1:100 contiene i dati generali fondamentali di ingombro e distribuzione degli ambienti, al rustico; sono talvolta evidenziati, mediante campitura, gli elementi portanti, ma non si distinguono le diverse parti componenti la muratura. Elementi quali infissi, ascensori, ecc. sono rappresentati in maniera schematica e simbolica.
La pianta 1:50 è un elaborato esecutivo, in cui si indicano in maniera dettagliata la forma e le dimensioni dei singoli elementi, si definisce lo spessore al finito dei muri e la stratificazione interna. Gli infissi, gli ascensori e gli altri elementi tecnologici vengono rappresentati in maniera più realistica e particolareggiata.
Entrambi questi elaborati devono essere quotati e l’UNI definisce norme dettagliate per le modalità di utilizzo delle quote: esse si dispongono tenendo conto del procedimento di esecuzione dei lavori. Le unità di misura da utilizzare sono: il millimetro, per le opere in metallo e cemento armato; il centimetro per gli spessori dei muri, delle canalizzazioni, dei lavori in legno, le misure degli elementi tecnologici; il metro per tutte le altre. In una stessa tavola, non si deve cambiare unità di misura.
All’esterno si riportano le dimensioni totali dell’edificio, lo spessore dei muri, le distanze tra loro e le distanze tra gli assi di simmetria delle aperture; all’interno, si indicano lo spessore e le distanze dei tramezzi e degli accessori dagli elementi la cui posizione è già ben definita dalla quotatura esterna, l’asse di simmetria e la luce dei vani porta. In corrispondenza delle aperture, sia interne che esterne, si indica anche l’altezza dei vani.
Le quote devono essere scritte nel senso parallelo alle linee di misura di riferimento, leggibili dalla base e dal lato destro del disegno.

La sezione

 

E’ la proiezione ortogonale di una parte dell’edificio su un piano verticale che lo interseca, in modo da evidenziare alcune parti interne. Valgono le stesse norme generali valide per la pianta. Fondamentale è la scelta del piano di sezione: esso deve rendere evidenti alcuni elementi significativi dell’edifico, che devono appunto risultare sezionati. Essi sono: i vani scala, gli ascensori, le corti interne, i cavedi, ecc. E’ inoltre consigliabile sezionare in corrispondenza dei vani porta o finestra. Il piano di sezione può anche non essere unico, ma articolato, al fine di rappresentare il più possibile numero di informazione; tuttavia è meglio non scegliere un andamento


troppo irregolare. La traccia del piano di sezione deve essere puntualmente riportata su tutte le piante, con linea tratto-punto, con frecce agli estremi indicanti la direzione di proiezione e contraddistinta da due uguali lettere maiuscole.

Il prospetto

 

E’ la proiezione ortogonale delle parti esterne di un edificio su un piano verticale. Esso quindi, solitamente, non contiene parti sezionate, quindi va rappresentato mediante linee tutte di egual spessore, eccetto la linea di terra, che deve avere spessore maggiore.

Gli elaborati esecutivi

 

Essi sono disegni tecnici, che rappresentano nei particolari gli elementi costruttivi (fondazioni, strutture portanti, impianti, ecc.), che vengono redatti in scala piccola (da 1:50 a 1:1) e quindi con  un livello di dettaglio molto maggiore. Le norme grafiche e la simbologia sono le stesse utilizzate per gli altri elaborati, con una maggiore cura nella quotatura e nella descrizione di tutte le parti, al fine di indirizzare le modalità di esecuzione in cantiere o in officina, il dimensionamento ed il posizionamento degli elementi.


Elementi costruttivi: le scale

Quando si devono mettere in comunicazione spazi giacenti a quote differenti è necessario introdurre elementi costruttivi di collegamento verticale. Essi si dividono in:

  • elementi di collegamento continui, cioè ottenuti mediante piani inclinati, come ad es. le rampe;
  • elementi realizzati con l’alternanza di superfici orizzontali e verticali, ovvero le scale.

Le scale sono formate dai gradini, ovvero elementi ciascuno formato da un elemento piano verticale, detto alzata, ed uno orizzontale, detto pedata. Una successione continua di gradini viene detta rampa e quando una scala è formata da più rampe, esse vengono separate tra loro mediante strutture orizzontali, dette pianerottoli, che offrono uno spazio di pausa al movimento di salita.
Esistono diverse tipologie di scale, che presentano diversa configurazione planimetrica dello sviluppo delle rampe: a due rampe parallele, a rampe allineate, a tre rampe (due parallele e quella intermedia ortogonale ad entrambe), a tenaglia (quattro rampe parallele con verso di salita opposto), a chiocciola (con profilo planimetrico circolare), ecc.
Lo spazio vuoto centrale tra le rampe (eccetto quando sono allineate) viene detto occhio della scala e viene spesso utilizzato per collocare gli elementi di collegamento verticale meccanici, ovvero gli ascensori.
Le scale, in pianta, si rappresentano mediante la proiezione ortogonale dell’ingombro dell’intera struttura, dei muri di contenimento, di tutte le strutture che le compongono e della successione dei gradini, sui quali, mediante una freccia che segue l’intero sviluppo delle rampe, viene indicato il verso di salita. Poiché, inoltre, la scala viene intersecata dal piano di sezione orizzontale in corrispondenza di un gradino, per chiarezza di rappresentazione il taglio viene convenzionalmente indicato da una o due linee parallele molto ravvicinate, inclinate a 45° rispetto all’andamento dei gradini.
Il dimensionamento longitudinale delle rampe delle scale dipende dal dislivello da superare e dalla pendenza che ad esse si attribuisce, che dipende dal rapporto alzata/pedata. La necessità di rendere le scale agilmente percorribili ha portato gli studiosi di ergonomia a ricercare delle formule empiriche per la scelta del miglior rapporto a/p; quella più utilizzata in Italia è:
2a + p = 62÷64 cm.
La larghezza delle rampe si stabilisce in funzione del flusso che si prevede, solitamente  mai inferiore a 0,90 m; la larghezza dei pianerottoli va dimensionata pari alla larghezza delle rampe, con misure non inferiori a 1,20 m.
Affinché la geometria della scala risulti corretta, sia dal punto di vista funzionale, che formale, è necessario rispettare alcune regole fondamentali: considerando le superfici di intradosso delle due


rampe, esse si incontrano in una retta orizzontale; dalla traccia che essa individua su un piano verticale si fa passare una retta verticale, detta asse di sfalsamento. Si definiscono: radente  superiore il piano tangente allo spigolo superiore dei gradini e radente inferiore il piano tangente allo spigolo inferiore; i rispettivi radenti della 1° e della 2° rampa si incontrano in rette orizzontali, le cui tracce devono anch’esse appartenere all’asse di sfalsamento. Inoltre, affinché non si presentino discontinuità nelle superfici di intradosso della scala, la superficie di intradosso del pianerottolo deve intersecare quelle delle singole rampe sulla stessa retta. Il corrimano della scala non deve subire discontinuità lungo il percorso e, affinché ciò avvenga, esso deve invertire la direzione in corrispondenza dell’asse di sfalsamento.

Si definisce sfalsamento della scala la distanza tra l’ultima alzata della prima rampa e la prima  alzata della seconda rampa.
Si avranno così scale a:

  • sfalsamento nullo, in cui si ha d = s-r cos g = a/2;
  • sfalsamento in avanti, con d > a/2;
  • sfalsamento indietro, con d < a/2.

(essendo S = spessore del pianerottolo, r = spessore delle rampe, g = inclinazione delle rampe)

Fonte: http://www.cdc.unict.it/users/lbarnobi/Corso%20A-L/Lezioni%202010.pdf

Sito web da visitare: http://www.cdc.unict.it

Autore del testo: Dott.L. Barnobi

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