Resistenza aerodinamica

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Resistenza aerodinamica

 

GIANNI JARRE:

LA RESISTENZA AERODINAMICA

Prolusione in occasione dell'inaugurazione dell'anno accademico 1965-66
del Politecnico di Torino

Le prime esperienze umane sulla resistenza del mezzo risalgono a tempi remoti. L'uomo impara presto che occorrono remi alla sua barca per vincere la resistenza dell'acqua sullo scafo. Già in precedenza aveva sperimentato l'ostilità del vento che sradicava gli alberi, travolgeva le fragili capanne, deviava le frecce.
Con l'ammirevole invenzione della vela, l’uomo riesce a mettere in vantaggiosa opposizione queste due forze della natura: la resistenza della vela al vento contro la resistenza dello scafo all'acqua.
Possiamo immaginare un primo verosimile incidente di navigazione: l'albero maestro si spezza; sotto l'azione della resistenza idrodinamica, lo scafo, senza vela, rallenta fino a fermarsi; sotto l'azione della resistenza aerodinamica, la vela, senza scafo, accelera fino ad acquistare la velocità del vento.
Sono due diverse manifestazioni della resistenza del mezzo: forza che fluido e corpo si scambiano opponendosi al loro moto relativo.
Il primo incidente aveva impartito una lezione sulla resistenza ed ecco che un secondo incidente viene ad impartire una lezione sulla portanza: con la vela erroneamente disposta quasi parallela al vento in poppa, la barca si rovescia di fianco.
Nel 1903, forse seimila anni dopo questa lezione, la stessa forza che aveva rovesciato la barca sostiene le ali del primo velivolo, perché ormai un adeguato motore, pronipote dei remi, gli consente di prendere velocità e di vincere la resistenza aerodinamica.
Così i fratelli Wright si sollevarono da terra nel loro traballante velivolo, a dispetto della scienza ufficiale che ancora escludeva la possibilità del volo del più pesante dell'aria.
Il volo del 1903 fu una salutare sferzata data alla scienza dall'ingegnoso empirismo.
Negli anni 1904-1910 si pongono infatti i fondamenti scientifici della meccanica del volo; tutta la meccanica dei fluidi ne risulta arricchita e stimolata e prende uno slancio ancor oggi in fase ascensionale.

 

È tecnicamente opportuno, anche se discutibile da un punto di vista rigorosamente scientifico, distinguere tre tipi fondamentali di resistenza del mezzo: la resistenza di forma, la resistenza d'onda e la resistenza d'attrito.
Presentano prevalente resistenza di forma gli ostacoli tozzi a bordi taglienti o a spigoli vivi, che producono un'ampia scia in cui viene dissipato in calore il lavoro della forza resistente.
Lo studio teorico della resistenza di forma ha inizio con le ricerche di Helmoltz (1868).
La resistenza di forma si presenta come forza utile motrice sulla vela col vento in poppa; come forza utile frenante sul paracadute; ma come forza passiva su una moderna automobile tutta spigoli.
La resistenza di forma è ovviamente dannosa alla locomozione ad alta velocità e ne curano la massima riduzione sia l'ingegnere navale sia l'ingegnere aeronautico, ispirandosi alle forme naturali dei pesci e degli uccelli; un notevole progresso fu introdotto in aeronautica dal carrello retrattile, visibilmente ispirato al modello naturale.
Le costruzioni civili sotto l'azione del vento offrono in generale esempi tipici di resistenze di forma necessariamente elevate; così le tozze forme a spigoli vivi dei fabbricati, così le forme più snelle, ma reticolari, di antenne radio-televisive, di gru da cantiere, di tralicci e piloni metallici.


Ancora l'ingegneria civile permette di illustrare un altro caso notevole di resistenza di forma.
In speciali condizioni di velocità, neppure troppo elevate, la scia non si presenta come sede di moti dissipativi disordinati, ma come una doppia schiera di vortici che si susseguono a zig-zag creando un curioso disegno a occhi di coda di pavone; questo tipo di scia a vortici alterni, visibile in certe condizioni di piena a valle dei piloni dei ponti, fu studiato teoricamente da von Karman nel 1911; egli stesso contribuì poi a spiegare, nel 1940, il famoso crollo del ponte sospeso di Tacoma, ultimo di una serie secolare di analoghi disastri, come dovuto ad oscillazioni flesso-torsionali della struttura poco rigida del ponte, innescate dal vento e favorite dal periodico distacco di vortici alterni.
Prima di considerare altre forme di resistenza, citerò ancora un caso in cui elevate resistenze di forma si presentano vantaggiose, come sulla vela o sul paracadute.
Per la loro attitudine a creare una scia con forte rimescolamento fluido, ostacoli tozzi Sapientemente disegnati ed installati nelle camere di combustione, possono assicurare la stabilità della fiamma, altrimenti problematica soprattutto in correnti veloci.

 

La resistenza d'onda si presenta per la prima volta nell'ingegneria come tipica resistenza dei più veloci e snelli scafi navali; le caratteristiche onde di superficie sollevano l'acqua a prua e la abbassano a poppa, provocando uno scompenso di spinte idrostatiche che genera resistenza; sotto la spinta dello scafo, lo specchio di acqua resiste disponendosi in salita.
La dissipazione di energia, che la resistenza di forma localizza nella scia, ha ora luogo nei due sistemi ondosi laterali.
Le prime ricerche sistematiche sulla resistenza idrodinamica furono condotte da Froude nel 1872; egli misurò lo sforzo di trazione per rimorchiare un vecchio scafo inglese in disarmo; concepì e costruì la prima vasca navale dove misurò ancora la trazione su un modellino di quello scafo; elaborando queste prove seppe separare i contributi d'onda e d'attrito alla resistenza totale.
La resistenza idrodinamica d'onda si genera alla superficie di separazione fra due fluidi differenti: in genere acqua ed aria.
Una forma più occulta di resistenza d'onda, talvolta avvertita da imbarcazioni norvegesi in prossimità di fiordi, fu attribuita da Lamb (1916) all’invisibile superficie di separazione fra l'acqua dolce sfociata dai fiumi e la sottostante acqua marina salata.
Analoga a quella subita da uno scafo veloce in mare, è la resistenza, già avvertita ed empiricamente descritta dagli artiglieri, che si manifesta alle velocità supersoniche.
L'onda d'urto a prua e l'onda d'espansione a poppa di un proietto o di un missile supersonico, creano ancora uno scompenso di pressioni che genera resistenza.
L'incremento di resistenza, dovuto al sistema di onde, è particolarmente elevato alle velocità prossime a quella del suono e si attenua alle velocità supersoniche; questa attenuazione non si verifica se la prua è tozza.
Così si spiegano i bordi taglienti delle ali o le ogive aguzze dei fusi che fronteggiano velocità supersoniche.
Un interessante risultato, dedotto da Whitcomb (1953) per via sperimentale, con felice intuito geometrico e aerodinamico, è la legge delle aree: per ridurre la resistenza in campo transonico e supersonico, conviene che la successione delle sezioni maestre del velivolo sia la più graduale possibile; dove le ali fuoriescono dalla fusoliera conviene compensare l'improvviso incremento di sezione con un adeguato scavo nella fusoliera, che tende così alla forma caratteristica della bottiglia di coca-cola.
Questa regola, evidentemente favorevole all'ala a freccia, fissa un criterio orientativo di progetto da contemperare con altre esigenze costruttive e funzionali.


Nello specifico campo aeronautico i primi elementi che ebbero ad affrontare situazioni soniche e supersoniche furono le estremità delle pale dell'elica; le gravi difficoltà incontrate in questo campo furono uno degli stimoli tecnici alla messa a punto del turbo-reattore, come fusione intima di motore ed elica, per progredire verso più alte velocità.
Minimizzate tutte le resistenze esterne del velivolo ogni guadagno di velocità significava capacità di costruire apparati motori sempre più efficienti e potenti; il problema della riduzione di tutte le resistenze passive si trasferiva dall'esterno all'interno del velivolo: prese d'aria, condotti e palettature del turbocompressore esigono la stessa cura progettativa richiesta dal disegno di ali e fusoliere.
La natura non offre esempi di elevate resistenze d'onda; non esiste l'uccello transonico o supersonico e neppure esistono animali veloci che vivano su specchi d'acqua.
Le formazioni ondose non solo eleverebbero la resistenza all'avanzamento, ma segnalerebbero troppo bene il bersaglio agli uccelli pescatori; per le stesse ragioni è imprudente che in guerra un sommergibile navighi in emersione.
Si direbbe eccezionale il caso dell'acrobatico delfino che nuota in immersione ma deve uscire all'aria per respirare; però lo specchio d'acqua, che offrirebbe elevate resistenze d'onda, viene astutamente attraversato di scatto dal delfino così come un velivolo supersonico, accesi i post-bruciatori, attraversa il muro del suono con la massima accelerazione.

 

La resistenza d'attrito è quella più sfuggente e meno visibile; essa nasce al contatto fra il fluido e la superficie del corpo lambito dove direttamente avviene la dissipazione di energia.
Le prime ricerche in questo campo riguardano l'attrito viscoso; il classico risultato ottenuto da Stokes (1852) per il moto della sfera ebbe brillanti applicazioni nella fisica moderna: servì ad Einstein (1905) per descrivere il moto browniano e servì a Millikan (1909) per misurare la carica dell'elettrone con il metodo della goccia d'olio.
Il regime di Stokes è caratterizzato dall'assoluto prevalere delle azioni viscose sulle azioni di inerzia; è perciò un regime che interessa la dinamica dei fumi e delle nebbie, la migrazione del polline, la microbiologia; alla scala umana interessa sicuramente i barattieri, sommersi da Dante nella tenace pece.
Per minimizzare la resistenza viscosa in regime di Stokes occorre semplicemente minimizzare la superficie lambita dal fluido; a parità di volume o di sezione maestra la forma più penetrante è semplicemente quella sferica.
Questa osservazione ci fa capire quant'è antropomorfico il nostro concetto di sagoma aerodinamica.
L'importanza relativa delle azioni viscose e d'inerzia è stata individuata da Reynolds nel 1883.
Con una semplicissima esperienza egli visualizzò la transizione dall'ordinato regime viscoso al disordinato regime turbolento; non descrivo i dettagli di quella nota esperienza; essa ci viene giornalmente ripetuta su vasta scala in tutte le città industriali.
Fra l'alba e il tramonto, quando la terra irraggiata dal sole è più calda dell'aria, vediamo uscire dalle ciminiere un fumo macroscopicamente agitato, in regime turbolento; dopo il calar del sole, quando l'aria è più calda della terra, risulta invece stabile il regime laminare: il fumo esce dalle ciminiere molto più calmo, privo di agitazione visibile.
Alla turbolenza diurna è dunque affidata la nostra sopravvivenza nelle città industriali; l'intensa diffusione turbolenta ci assicura una relativa nettezza urbana atmosferica.
Dopo i risultati di Stokes, Helmoltz, Froude e Reynolds, rimaneva da spiegare la resistenza di attrito in fluidi evidentemente poco viscosi come l'acqua o l'aria.


Dopo un lungo periodo di polemiche e contraddizioni, Prandtl, nel 1904, in un lavoro di sole otto pagine, istituiva la teoria dello strato limite.
Le azioni viscose, insignificanti a una certa distanza dall'ostacolo, sono invece essenziali dove le velocità diventano molto disuniformi; cioè le azioni viscose non sono affatto trascurabili in prossimità della superficie lambita, alla quale il fluido deve necessariamente aderire.
Su questa solida e semplice base fisica e con coerenti semplificazioni matematiche, si poteva finalmente calcolare la piccola resistenza aerodinamica di un foglio di carta investito di coltello da una corrente d'aria; è il caso della resistenza d'attrito allo stato puro.
Come nella corrente intubata di Reynolds, come nelle correnti libere e fumose delle ciminiere, anche nello strato limite, superato un certo spessore critico, appare il disordinato regime turbolento.
La resistenza d'attrito ne risulta nettamente incrementata.

 
Le resistenze di forma, d'onda e d'attrito si presentano spesso sovrapposte e interferenti, a loro volta influenzate dalla turbolenza.
Eiffel, dopo numerose ed accurate misure di resistenza aerodinamica su corpi in caduta libera dalla sua Tour Eiffel, realizzò a Saint Cyr la prima galleria del vento; nel 1912, sperimentando su una semplice sfera, osservò che la resistenza si riduceva nettamente con il sopravvenire, ad una certa velocità critica, del regime turbolento.
Nel 1914 Prandtl, con altre esperienze nella nuova galleria di Gottinga, chiariva il fenomeno: il moto dell'aria sulla sfera è dapprima accelerato e poi rallentato, come quando, in una tubazione, l'aria passa in un convergente seguito da un divergente.
Mentre nel convergente la corrente riempie sicuramente il condotto, nel divergente si può manifestare un distacco del fluido dalle pareti; ma il distacco è meno probabile o più posticipato se la turbolenza, con la sua vivace agitazione, assicura un miglior riempimento.
Nel caso della sfera miglior riempimento significa maggiore avvolgimento a poppa; la scia si chiude e, grazie alla turbolenza, la resistenza, che qui è prevalentemente di forma, si riduce.
Qualsiasi irregolarità o corrugamento o rugosità superficiale sulla sfera, innescando la transizione al regime turbolento, finisce per ridurre la resistenza totale.
Un sottoprodotto di questa scoperta sono le palle da golf martellate, con cui si realizzano maggiori gittate che con le palle lisce.
La turbolenza dunque fa un doppio gioco: incrementa la resistenza d'attrito ma riduce la resistenza di forma.
Il secondo effetto è dovuto al miglior avvolgimento dell'ostacolo lambito; questo miglior avvolgimento, nel caso delle ali, assicura pure il pieno sviluppo della forza sostentatrice di portanza.
Ne derivavano conseguenze importantissime per il volo.
L'opportunità di ridurre la resistenza d'attrito portava infatti, più tardi, all'introduzione dei profili laminari, caratterizzati da una lunga prua a sezione crescente seguita da una poppa corta e acuta.
Sono le forme che la natura ha conferito ai più veloci animali marini: squali, delfini e tonni hanno la sezione di massimo spessore localizzata oltre metà corpo, verso la coda.
A parità di spessore i nuovi profili laminari offrono meno resistenza dei vecchi profili tradizionali; viceversa a parità di resistenza i nuovi profili laminari tollerano maggiori spessori. In natura maggiori spessori significano maggiori volumi muscolari o maggiori riserve di grasso; in aeronautica significherebbero più elevata disponibilità per il carico pagante o per il carburante.
L'opportunità di ridurre la resistenza di forma, pericolosamente elevata proprio negli assetti alari richiedenti maggior portanza, introduceva in aeronautica tecniche sempre più raffinate di ipersostentazione e di controllo sia dello strato limite sia della transizione turbolenta.


Anche la natura ha sapientemente risolto il problema.
Le penne remiganti che si aprono a persiana all'estremità delle ali degli uccelli, realizzano un’efficace ipersostentazione.
Inoltre al decollo e all'atterraggio, il falco e l'aquila, ad esempio, rizzano appositi peli disposti a pettine o a spazzola sul dorso dell'ala per produrre un’energica transizione artificiale al regime turbolento.
Con il condor la natura ci presenta il suo record di volo; un’eccezionale superficie alare consente al condor di raggiungere la rarefatta atmosfera dei settemila metri, fra le quote normali di volo di un aeroplano con motore a pistoni e di un jet di linea.
Col progredire delle conoscenze sullo strato limite e sulla turbolenza, cui diedero contributi essenziali Prandtl, Karman, Taylor e Ferrari, tutta la meccanica dei fluidi subisce poderosi e rapidi progressi.
Anche lo studio, già delineato da Reynolds, dei fenomeni analoghi alla resistenza d'attrito si amplia e si approfondisce: si tratta dei fenomeni di trasmissione del calore e di scambio di materia.
Questi fenomeni analoghi fra loro si presentano, simultanei o separati, sotto varie forme, in innumerevoli problemi di impiantistica termica, chimica, nucleare e metallurgica: dalle torri evaporative alle colonne di distillazione, dagli scambiatori a sodio liquido al trasporto di metalli fusi.
La ricerca aerodinamica feconda questi campi della tecnica e procede ad estendere lo studio degli stessi fenomeni nel dominio supersonico.
A questo punto, intorno al 1945-50 comincia a diventare difficile citare ancora nomi ed esperienze: la ricerca è già un fenomeno di collaborazioni collettive.
Solo con la ricerca di gruppo si può far fronte alla rapida espansione scientifica, ma anche ai guasti di eccessive specializzazioni.

 

Il fatto che la resistenza d'attrito dissipa il suo lavoro proprio sulla pelle del corpo lambito, e non a valle o lateralmente come fanno invece le resistenze di forma e d'onda, porta in primo piano, ormai oltre la barriera del suono, il problema tecnico e scientifico della barriera termica.
Arrivati ai nostri tempi le alte velocità cominciano a scottare.
La lotta contro il muro del calore chiede alla meccanica dei fluidi la soluzione di nuovi problemi: come refrigerare artificialmente le superfici cimentate dal calore d'attrito? Quali fenomeni possono collaborare alla refrigerazione naturale?
Risponde al primo interrogativo la sublimazione di adatti materiali epidermici, offerti in pasto al calore d'attrito per salvare le strutture sottostanti.
I fenomeni naturali collaboranti alla refrigerazione sono numerosi: si tratta dapprima dell'irraggiamento delle stesse superfici riscaldate; poi, col crescere della velocità, intervengono successivamente la dissociazione dell'ossigeno e dell'azoto atmosferici e la ionizzazione degli atomi ormai dissociati; tutte reazioni chimiche fortunatamente endotermiche.
Eccoci di fronte ai più moderni problemi ipersonici: resistenza d'attrito e resistenza d'onda vengono ad interferire profondamente nello strato d'urto dove confluiscono gli effetti dell'onda d'urto e dello strato limite.
Sulle surriscaldate superfici ipersoniche nascono veri e propri laboratori interdisciplinari di aerodinamica, di termodinamica, di chimica e di elettromagnetismo.
Per un missile porta-satellite tutti questi complessi fenomeni simultanei e interagenti hanno la breve durata della traversata dell'atmosfera; il regime non permanente complica lo studio dei fenomeni ma in compenso consente di fare assegnamento sull'accumulo di calore nella massa del corpo.
Anche gli studi sull'urto termico hanno quindi richiesto approfondimenti teorici e sperimentali per ottimizzare l'impiego dei materiali in queste situazioni estreme.


Raggiunto lo spazio, molti fenomeni critici perdono importanza ma altri ne emergono anche nel campo specifico della resistenza aerodinamica: occorre ancora poter valutare e prevedere le piccole forze scambiate fra il satellite e l'atmosfera estremamente rarefatta a qualche centinaio di chilometri dalla crosta terrestre.
Anche la meccanica discontinua dei gas estremamente rarefatti, già delineata da Newton, Maxwell e Knudsen, ha richiesto e richiede tuttora approfondimenti teorici e sperimentali.
La meccanica statistica, già insinuatasi nella meccanica dei fluidi con gli studi più avanzati sulla turbolenza, riappare nel dominio dei gas rarefatti.
Mentre questi problemi sono allo studio, si va arricchendo continuamente il patrimonio di dati sperimentali: da qualche anno, ormai, numerosi satelliti artificiali ci informano, con il loro decadimento orbitale, sulla resistenza aerodinamica in ambiente ultrararefatto.
Giunti ai confini estremi dell'ipersonico e dell'ultrarefatto, sembrerà, a molti con sgomento ad alcuni con orgoglio, di aver perso il contatto con la fenomenologia naturale.
In realtà la natura ci presenta continuamente in uno spettacolare e unitario esperimento, lo spettro completo di tutti i regimi di resistenza aerodinamica: dal regime ipersonico e rarefatto al regime lentissimo e viscoso.
Seguiamo il cammino di una stella cadente: essa piomba nell'esosfera, diciamo a 70 km/sec rispetto alla terra, cade nella rarefatta ionosfera dove si scalda e si accende; ionizza, dissocia ed eccita tutto quel che trova nella stratosfera, ma comincia a bruciare e vaporizzare, sacrificando la testa per abbellirsi la coda; all'entrata nella troposfera non v'è più altro che una finissima polvere; ha inizio un fall-down, non sporco e non innaturale, di particelle che decelerano progressivamente e ci piovono addosso al lento ritmo descritto da Stokes più di cent'anni fa.
La natura ci presenta così, rovesciata ed accelerata, la sintesi dell'evoluzione delle ricerche sulla resistenza aerodinamica, dall'epoca di Stokes fino all'epoca nostra, dei satelliti e dei pianeti artificiali.

 
Vorrei essere riuscito, con questo frammentario panorama sulla resistenza aerodinamica, ad illustrare l'apporto delle scienze collaterali allo sviluppo della meccanica dei fluidi; a segnalare l’importanza che viceversa la meccanica dei fluidi ha acquistato in molti rami dell'ingegneria; e soprattutto a ricordare che fuori dei nostri laboratori è sempre in funzione e mai abbastanza sfruttato, il meraviglioso laboratorio completo della natura.

Fonte: http://web.tiscalinet.it/giovanni_jarre/la%20resistenza%20aerodinamica.doc

Sito web da visitare: http://web.tiscalinet.it/giovanni_jarre

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