Polimeri

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Polimeri

Sono dette materie plastiche ,quei materiali artificiali con struttura macromolecolare che in determinate condizioni di temperatura e pressione subiscono variazioni permanenti di forma. Si dividono in termoplastici, termoindurenti ed elastomeri. Le gomme, pur avendo chimicamente e tecnologicamente molti aspetti in comune con le materie plastiche, non sono normalmente considerate tali.

  1. Termoplastiche: sono dette termoplastiche quelle materie plastiche che acquistano malleabilità, cioè rammolliscono, sotto l'azione del calore.

In questa fase possono essere modellate o formate in oggetti finiti e quindi per raffreddamento tornano ad essere rigide. Questo processo, teoricamente,  può essere ripetuto più volte in base alle qualità delle diverse materie plastiche.

  1. Termoindurenti: sono un gruppo di materie plastiche che, dopo una fase iniziale di rammollimento dovute al riscaldamento, induriscono per effetto di reticolazione tridimensionale; nella fase di rammollimento per effetto combinato di calore e pressione risultano formabili. Se questi materiali vengono riscaldati dopo l'indurimento non ritornano più a rammollire, ma si decompongono carbonizzandosi.
  2. Elastomeri: la loro caratteristica principale è una grande deformabilità ed elasticità; possono essere sia termoplastici che termoindurenti.

Nella chimica, le materie plastiche sono generalmente il risultato della polimerizzazione di una quantità di molecole base (monomeri) per formare catene anche molto lunghe. Si parla di omopolimeri se il monomero è unico, copolimeri se il polimero è ottenuto da due o più monomeri diversi, e di leghe polimeriche se il materiale è il risultato della miscelazione di due monomeri che polimerizzano senza combinarsi chimicamente.
Un materiale plastico è in genere composto da molecole polimeriche di diversa lunghezza, per cui è necessario conoscere la distribuzione dei pesi molecolari per determinare le proprietà chimico-fisiche del materiale plastico in esame.


Sviluppo storico

 

Di seguito vengono riportate (in ordine cronologico) alcune tappe dello sviluppo delle materie plastiche.

  1. 1855: il chimico svizzero Georges Audemars produce in laboratorio il rayon.[1]
  2. 1860: lo statunitense John Wesley Hyatt scopre la celluloide.[2]
  3. 1909: il chimico belga-statunitense Leo Hendrik Baekeland produce la bachelite.[2]
  4. 1920: il chimico tedesco Hermann Staudinger ipotizza la struttura macromolecolare delle materie plastiche.[2]
  5. 1926: Waldo Semon della B.F. Goodrich introduce l'uso dei plastificanti per la sintesi del polivinilcloruro (PVC).
  6. 1928: viene sviluppato il polimetilmetacrilato (PMMA).[2]
  7. intorno agli anni venti e trenta: vengono commercializzate le resine ureiche.[2][3]
  8. 1935: Wallace Hume Carothers della DuPont sintetizza il nylon.[4]
  9. 1937: vengono messe in commercio le resine polistireniche.[2]
  10. 1938: viene sintetizzato il politetrafluoroetilene (o PTFE, brevettato e commercializzato come Teflon nel 1950).[2]
  11. 1941: viene prodotta la prima fibra poliestere, il Terylene.[1]
  12. 1941: viene sintetizzato il poliuretano da William Hanford e Donald Holmes.[1]
  13. 1953: il chimico tedesco Karl Ziegler sintetizza il polietilene (PE).[2]
  14. 1954: il chimico italiano Giulio Natta produce il polipropilene isotattico (commercializzato con il nome Moplen).[2]
  15. 1963: Ziegler e Natta ottengono il premio Nobel per la chimica come riconoscimento dei loro studi sui polimeri.[2]

Caratteristiche

Le caratteristiche vantaggiose delle materie plastiche rispetto ai materiali metallici e non metallici sono la grande facilità di lavorazione, l'economicità, la colorabilità, l'isolamento acustico, termico, elettrico, meccanico (vibrazioni), la resistenza alla corrosione e l'inerzia chimica, nonché l'idrorepellenza e l'inattaccabilità da parte di muffe, funghi e batteri. Quelle svantaggiose sono l'attaccabilità da parte dei solventi (soprattutto le termoplastiche) e degli acidi (in particolare le termoindurenti) e scarsa resistenza a temperature elevate.
La plastica si ottiene dalla lavorazione del petrolio. Lo smaltimento dei rifiuti plastici, quasi tutti non biodegradabili, avviene di solito per riciclaggio o per stoccaggio in discariche: bruciando materiali plastici negli inceneritori infatti si possono generare diossine (solo per quanto riguarda i polimeri che contengono atomi di cloro nella loro molecola, come ad esempio il PVC), una famiglia di composti tossici. Queste difficoltà hanno incentivato negli ultimi anni la diffusione della bioplastica, in cui una piccola percentuale di resina è sostituita da farine vegetali quale quella di mais.


Aggiunta di cariche

 

Alla base polimerica vengono aggiunte svariate sostanze ausiliarie ("cariche", additivi e plastificanti) in funzione dell'applicazione cui la materia plastica è destinata. Tali sostanze possono essere plastificanti, coloranti, antiossidanti, lubrificanti ed altri componenti speciali.
Tali sostanze hanno quindi la funzione (tra le altre) di stabilizzare, preservare, fluidificare, colorare, decolorare, proteggere dall'ossidazione il polimero, e in genere modificarne le proprietà reologiche (lavorabilità), aspetto e resistenza in funzione dell'applicazione che se ne intende fare.

Lavorazioni delle materie plastiche

 

Molte materie plastiche (nylon, teflon, plexiglas ecc.) si prestano bene a processi di produzione industriale con macchine utensili in modo del tutto analogo ai materiali metallici; per questo vengono spesso prodotte in semilavorati (barre, profilati, lastre eccetera) da cui i prodotti finiti (ad esempio boccole, rulli, anelli, perni, ruote) vengono ricavati con lavorazioni meccaniche.
Tra le lavorazioni a cui vengono sottoposte le materie plastiche, si annoverano:[5]

  1. stampaggio per compressione
  2. stampaggio ad iniezione[6]
  3. stampaggio per trasferimento
  4. formatura per estrusione[7]
  5. calandratura
  6. spalmatura
  7. colata
  8. soffiaggio[8]
  9. termoformatura[9]
  10. estrusione in bolla
  11. pultrusione.

Stampaggio per compressione

Lo stampaggio per compressione è un processo di lavorazione impiegato per le materie plastiche termoindurenti (ma talvolta è utilizzato anche per i termoplastici).[5]
Nello stampaggio per compressione il polimero, inizialmente in forma di polvere o pellet (pastiglie),[5] viene sottoposto ad elevate pressioni, e in questa maniera si realizza il processo di reticolazione.

Stampaggio ad iniezione

La lavorazione più usata per produrre in serie oggetti in plastica è lo stampaggio ad iniezione. Si fa con speciali presse (dette "presse per iniezione termoplastica"), che fondono i granuli di materia plastica e la iniettano ad alta velocità e pressione negli stampi, dove il polimero, raffreddandosi, assume la geometria voluta.[5]
Lo stampaggio per iniezione viene impiegata sia nel caso di materiali termoplastici che termoindurenti.[5]

Stampaggio per trasferimento

Nello stampaggio per trasferimento il polimero viene portato ad una temperatura tale da rammollirsi e al tempo stesso evitando la reticolazione, che viene svolta successivamente, in uno stampo chiuso in cui la massa rammollita viene trasferita (da cui il nome del processo).[5]

Formatura per estrusione

Nella formatura per estrusione il materiale viene spinto grazie ad una vite attraverso un'apertura. La forma finale del polimero (che fluisce in maniera continua) dipende dalla geometria dell'apertura.[5]
Questo processo si utilizza per i materiali termoplastici e talvolta per quelli termoindurenti.[5] I tubi in plastica vengono prodotti tramite questo processo.

Soffiaggio

Utilizzato per produrre corpi cavi (come bottiglie, fustini, bombole) consiste nel dilatare una certa porzione di resina di forma cilindrica con un getto d'aria sotto pressione, fino a farla aderire alle pareti di uno stampo; la produzione di oggetti cilindrici è realizzata facendo precedere la fase di soffiatura da una fase di estrusione per la realizzazione del tubo di alimentazione alla soffiatura. La formatura per soffiatura viene impiegata anche per la produzione dei gusci  di certi tipi di casco.

Termoformatura

Un altro processo che ha una buona applicazione nella produzione di prodotti in plastica è la termoformatura, dove si parte da granuli di polistirolo o polipropilene. Si tratta dell'estrusione di film o di lastre che vengono fatte passare, a temperatura adeguata, in uno stampo nel quale l'oggetto voluto viene forgiato con la pressione dell'aria compressa o dell'aria atmosferica, con attrezzature di produzione molto economiche.

Estrusione in bolla

Un metodo diffuso per ottenere pellicole di polietilene è l'estrusione in bolla. Consiste nel far passare il polimero scaldato dall'estrusore attraverso una filiera circolare posta in posizione orizzontale. Il film ottenuto è raffreddato e fatto passare attraverso una calandra di traino che chiude il sistema. È anche inserita dell'aria per aumentare il  volume del sistema, gonfiando ciò che assomiglia molto ad un pallone. In questo modo si produce il film termoretraibile usato per produrre imballaggi.


Pultrusione

La pultrusione è un processo continuo che permette di produrre profilati plastici rinforzati da fibre, come ad esempio la fibra di carbonio e la fibra di vetro.

Polimeri termoplastici

I polimeri termoplastici possono esseri fusi e rimodellati più volte. Hanno una struttura molecolare "a catena aperta", ovvero presentano un basso grado di reticolazione.

Polietilene

 

Esistono varie tipologie di polietilene. Tra queste abbiamo:

  1. HDPE (polietilene ad alta densità): È resistente agli urti.
    1. Usi: Cosmetici, contenitori per detersivi, tubi per l'acqua e tubi per gas.
  2. LDPE (polietilene a bassa densità): È la plastica più leggera. È sensibile al calore ma resiste agli agenti chimici. Ha un buon isolamento elettrico.
    1. Usi: Sacchetti, imballaggi, pellicole per alimenti

 

 

Polistirene

 

  1. PS (polistirene o, più comunemente, polistirolo): Duro e rigido.
    1. Usi: Scotch per le auto, giocattoli, oggetti d'arredamento.
  2. Polistirene espanso: Resina polistirenica a forma schiumosa; ha bassissimo peso specifico e conducibilità termica; buona elasticità.
    1. Usi: Imballaggi, isolamento termico ed elettrico dei muri

 

 

 

 

Altri polimeri termoplastici

  1. PET (polietilene tereftalato): Consente di ottenere fogli sottili e leggeri. Resistente al calore fino a 250 °C ed impermeabile ai gas.
    1. Usi: Contenitori per liquidi, vaschette per frigo e forno.
  2. PVC (polivinilcloruro o cloruro di polivinile): È la plastica più utilizzata. Ha buone proprietà meccaniche.
    1. Usi: Finestre, serramenti esterni, giocattoli, bottiglie, contenitori, grondaie.
  3. PP (polipropilene): È resistente al calore ed agli agenti chimici. Ha un buon isolamento elettrico.

    1. Usi: Nel settore casalingo, parti di elettrodomestici, imballaggi.
  1. PA - poliammide (nylon): Una fra le prime plastiche scoperte. Resistente all'usura e non infiammabile.
    1. Usi: Ingranaggi, apparecchi radiotelevisivi, abbigliamento.

 

 

 

 

  1. Resine acriliche: Simili al vetro perché sono trasparenti.
    1. Usi: fusori delle lampade, coperture trasparenti, oggetti d'arredamento.
  2. nitrato di cellulosa e/o celluloide: La prima plastica in assoluto ad essere scoperta. Simile alla madreperla
    1. Usi: pettini, tasti, oggetti che imitano l'avorio.
  3. PLA (acido polilattico): prodotta utilizzando come materia prima il mais, tramite un processo biotecnologico che permette di ottenere capacità produttiva elevata e una gamma di prodotti diversificati;
    1. Usi: contenitori compostabili.

Polimeri termoindurenti

Possono essere formati una sola volta, perché, se sottoposti al calore una seconda volta, carbonizzano.

Resine termoindurenti

  1. Resine fenoliche: Le caratteristiche dipendono dai materiali con cui sono mescolate.
    1. Usi: Settore casalingo, mobili per televisori.
  2. Resine ureiche: Dure e colorate. Hanno buone proprietà meccaniche e sono facilmente lavorabili.
    1. Usi: Spine, prese, elettrodomestici, interruttori.
  3. Resine melamminiche: Buona resistenza alle alte temperature e all'umidità.
    1. Usi: Laminati, settore casalingo, arredamenti, vernici.
  4. Resine epossidiche: Eccellente adesività, resistenza al calore e chimica. Inoltre possiedono buone proprietà meccaniche e sono ottimi isolanti elettrici.
    1. Usi: Vernici, rivestimenti, adesivi e materiali compositi.
  5. Resine poliesteri insature: Sono leggere, facilmente lavorabili e resistenti agli agenti atmosferici.
    1. Usi: Piscine, coperture per tetti.
  6. Resine vilnilestere: Caratteristiche molto simili alle resine poliestere ma dotate di migliori caratteristiche chimiche e meccaniche.
    1. Usi: Manufatti sportivi (canoe, piccole imbarcazioni), serbatoi per uso alimentare.

 

Classificazione della plastica

Le plastiche si classificano con un sistema americano detto SPI (Society of the Plastics Industry), che consiste in un triangolo (che è il simbolo del riciclo) con un numero dentro (che corrisponde a un tipo di plastica).

Simbolo

Cod.riciclo

Abbreviazione

Nome del polimero

Usi

 

1

PETE o PET

Polietilene tereftalato o arnite

Riciclato per la produzione di fibre poliestere, fogli termoformati, cinghie, bottiglie per bevande. (vedi: Riciclaggio delle bottiglie in pet)

 

2

HDPE

Polietilene ad alta densità

Riciclato per la produzione di contenitori per liquidi, sacchetti, imballaggi, tubazioni agricole, basamenti a tazza, paracarri, elementi per campi sportivi e finto legno.

 

3

PVC o V

Cloruro di polivinile

Riciclato per tubazioni, recinzioni, e contenitori non alimentari.

 

4

LDPE

Polietilene a bassa densità

Riciclato per sacchetti, contenitori vari, dispensatori, bottiglie di lavaggio, tubi, e materiale plastico di laboratorio.

 

5

PP

Polipropilene o Moplen

Riciclato per parti nell'industria automobilistica e per la produzione di fibre.

 

6

PS

Polistirene o Polistirolo

Riciclato per molti usi, accessori da ufficio, vassoi per cucina, giocattoli, videocassette e relativi contenitori, pannelli isolanti in polistirolo espanso (es. Styrofoam).

 

7

ALTRI

Altre plastiche, tra le quali Polimetilmetacrilato, Policarbonato, Acido polilattico, Nylon e Fibra di vetro.

 

Note

[1] The History of Fabrics (http://inventors.about.com/library/inventors/blfabric.htm) [2]  Microsoft Student, op. cit.
[3] L'industria chimica organica (http://www.minerva.unito.it/Storia/Industria_chimica2/chimDue.htm) [4]  Weissermel-Arpe, op. cit., p. 240
[5]  Villavecchia, op. cit., p. 2072
[6]  Cangialosi, op. cit., pp. 97-102
[7]  Cangialosi, op. cit., pp. 103-108
[8]  Cangialosi, op. cit., pp. 109-112
[9]  Cangialosi, op. cit., pp. 113-116

 

Bibliografia

  1. Materie plastiche. Microsoft Student 2008 (DVD) (http://it.encarta.msn.com/encyclopedia_761553604/ Materie_plastiche.html), Microsoft Corporation, 2007.
  2. Filippo Cangialosi, Proprietà e lavorazione delle materie plastiche (http://books.google.it/ books?id=CzBAkfXON2oC&client=firefox-a&source=gbs_navlinks_s), EuroPass. ISBN 8889354003
  3. Sergio Antonio Salvi, Plastica Tecnologia Design (http://www.hoepli.it/titoli.asp?autore=SALVI+SERGIO+ A.&mcs=0), Milano, Hoepli, 1997. ISBN 8820322943
  4. Vittorio Villavecchia; Gino Eigenmann, Ivo Ubaldini, Nuovo dizionario di merceologia e chimica applicata, Volume 5 (http://books.google.it/books?id=rZU5kEeKOEMC&client=firefox-a&source=gbs_navlinks_s), Hoepli, 1975. ISBN 8820305321

  1. Klaus Weissermel; Hans-Jürgen Arpe, Charlet R. Lindley, Industrial organic chemistry (http://books.google. com/books?id=OUGVPYqtnNgC&dq=weissermel+arpe+"industrial+organic+chemistry"&hl=it& source=gbs_navlinks_s), 4 (in inglese), Wiley-VCH, 2003. ISBN 3-527-30578-5
  2. M. Guaita; F. Ciardelli, F. La Mantia, Fondamenti di scienza dei polimeri (http://books.google.it/ books?id=kBV4AAAACAAJ), Nuova Cultura, 2006. ISBN 8889362901
  3. Francesco La Mantia, Handbook of plastics recycling (http://books.google.it/books?id=TBrOGJqvgcMC) (in inglese), iSmithers Rapra Publishing, 2002. ISBN 1859573258
  4. Francesco Paolo La Mantia, Recycling of plastic materials (http://books.google.it/books?id=1Blt9giGuTIC) (in inglese), ChemTec Publishing, 1993. ISBN 1895198038

La chimica dei polimeri e delle macromolecole è una scienza multidisciplinare che studia la sintesi chimica e le proprietà chimiche e chimico-fisiche dei polimeri e delle macromolecole.
Secondo le indicazioni della IUPAC, il termine "macromolecola" si riferisce a composti a elevato peso molecolare, che possono     essere     caratterizzati     sia     da
ripetizione di unità monomeriche che dalla presenza di un macrociclo. La parola "polimero" descrive invece una sostanza formata da un insieme di macromolecole (aventi una distribuzione dei pesi molecolari più o meno ampia).

Polimeri e loro proprietà

Schematicamente i polimeri possono suddividersi in polimeri naturali (o biopolimeri) e polimeri sintetici. Ciascuna di queste classi di composti può a sua volta ulteriormente suddividersi in sottoclassi più specifiche in relazione al loro ruolo, utilizzo o proprietà chimico-fisiche caratteristiche. La biochimica e la chimica industriale sono discipline che si interessano ai polimeri in modo contiguo alla chimica delle macromolecole.

  1. Biopolimeri prodotti da organismi viventi
    1. proteine strutturali (ad esempio: collagene, cheratina, elastina)
    2. proteine funzionali (ad esempio: enzimi, ormoni, proteine di trasporto)
    3. polisaccaridi strutturali (ad esempio: cellulosa, chitina)
    4. polisaccaridi di riserva (ad esempio: amido, glicogeno)
    5. acidi nucleici
  2. Polimeri sintetici, destinati a svariati usi industriali e di consumo (ad esempio: materie plastiche, vernici, materiali per l'edilizia, parti meccaniche, adesivi e colle):
    1. polimeri termoplastici (ad esempio: polietilene, Teflon, polipropilene, nylon, celluloide)
    2. polimeri termoindurenti (ad esempio: gomma vulcanizzata, Bachelite, Kevlar, resine epossidiche).

Un polimero viene ottenuto per polimerizzazione di più unità monomeriche identiche, mentre un copolimero è ottenuto da diversi tipi di monomeri. Proprietà chimiche salienti dei polimeri sono: il grado di polimerizzazione, il peso molecolare medio, la tatticità, la successione monomerica nei copolimeri, il grado di ramificazione, i gruppi terminali, la presenza di legami reticolazioni (cross-link). Altre proprietà da considerare sono quelle chimico-fisiche quali la cristallinità, il punto di fusione e la temperatura di transizione vetrosa; inoltre, per polimeri in soluzione, vengono anche considerate la solubilità, la viscosità e la tendenza a gelificare.
Nello studio e caratterizzazione dei polimeri, come per la determinazione della forma, dimensione e peso molecolare medio, sono utilizzate comunemente tecniche quali: la diffrazione dei raggi X, l'osmometria, lo scattering di luce laser, la viscosimetria, l'ultracentrifugazione, la cromatografia a permeazione di gel e la spettrometria MALDI-TOF. Molto utilizzata in questo campo, in particolare per i polimeri biologici, è anche l'elettroforesi.


Bibliografia

  1. M.P. Stevens, "Polymer Chemistry: An Introduction", Oxford University Press, 1998, ISBN 978-0195124446.
  2. H. Allcock, F. Lampe, J. Mark, "Contemporary Polymer Chemistry - 3rd Edition", Prentice Hall, 2003, ISBN 978-0130650566.
  3. M. Guaita; F. Ciardelli, F. La Mantia, Fondamenti di scienza dei polimeri [1], Nuova Cultura, 2006. ISBN8889362901

 


Macromolecola

 

Una macromolecola è una molecola di dimensioni molto grandi e di peso molecolare molto elevato. Le macromolecole sono comuni nei sistemi viventi ma comprendono anche i polimeri sintetici e artificiali. Le macromolecole polimeriche sono tipicamente formate dall'unione di molecole più piccole, uguali o simili tra loro, ripetute molte volte (solitamente da 100 a oltre 1000) e possono essere lineari, ramificate o reticolate. Tra le macromolecole si annoverano inoltre i macrocicli.[1]
Secondo la IUPAC il termine macromolecola va utilizzato esclusivamente per indicare molecole  singole
di grandi dimensioni, mentre il termine polimero identifica una sostanza composta da più macromolecole. Le macromolecole biologiche più importanti sono:

  1. i polisaccaridi che appartengono ai glucidi (come l'amido e la cellulosa);
  2. le proteine che appartengono ai protidi;
  3. il DNA e gli RNA che costituiscono gli acidi nucleici;
  4. i lipidi complessi.

I polimeri sintetici comprendono le materie plastiche, le gomme sintetiche e le fibre tessili, ed hanno un vastissimo campo di applicazioni tecnologiche. I polimeri inorganici più importanti sono a base di silicio.


Proprietà

Le macromolecole in genere hanno comportamenti e proprietà fisiche inusuali, ad esempio possono mostrare tipi di aggregazione supramolecolare con comportamenti liquido-cristallini, difficoltà di sciogliersi in soluzione, facilità a denaturarsi a determinate concentrazioni e fenomeni di natura colloidale.

Note

[1]   (EN) Macrocycle (http://goldbook.iupac.org/M03662.html) IUPAC Gold Book (http://goldbook.iupac.org/index.html)

 

Voci correlate

  1. Chimica dei polimeri e delle macromolecole
  2. Chimica supramolecolare
  3. Dendrimero
  4. Polimero

 


Polimero

Un polimero (dal greco "che ha molte parti"[1]) è una macromolecola, ovvero una molecola dall'elevato peso  molecolare, costituita da un gran numero di gruppi molecolari (detti unità ripetitive) uguali o diversi (nei copolimeri), uniti "a catena" mediante la ripetizione dello stesso tipo di legame (covalente).
I termini "unità ripetitiva" e "monomero" non sono sinonimi: infatti un'unità ripetitiva è una parte di una molecola o macromolecola, mentre un monomero è una molecola composta da un'unica unità ripetitiva. Nel seguito, quando si parla di "monomeri" si intendono dunque i reagenti da cui si forma il polimero attraverso la reazione di polimerizzazione, mentre con il termine "unità ripetitive" si intendono i gruppi molecolari che costituiscono il polimero (che è il prodotto della reazione di polimerizzazione).[2]
Per definire un polimero bisogna conoscere:

  1. la natura dell'unità ripetente;
  2. la natura dei gruppi terminali;
  3. la presenza di ramificazioni e/o reticolazioni;
  4. gli eventuali difetti nella sequenza strutturale che possono alterare le caratteristiche meccaniche del polimero.

Benché a rigore anche le macromolecole tipiche dei sistemi viventi (proteine, acidi nucleici, polisaccaridi) siano polimeri, nel campo della chimica industriale col termine "polimeri" si intendono comunemente le macromolecole di origine sintetica: materie plastiche, gomme sintetiche e fibre tessili (ad esempio il nylon), ma anche polimeri sintetici biocompatibili largamente usati nelle industrie farmaceutiche, cosmetiche ed alimentari, tra cui i polietilenglicoli (PEG), i poliacrilati ed i poliamminoacidi sintetici.
I polimeri inorganici più importanti sono a base di silicio (silice colloidale, siliconi, polisilani).[3][4][5]


Cenni storici

Il termine "polimero" fu coniato da Jöns Jacob Berzelius, con un'accezione differente dall'attuale. Tale termine può indicare sia i polimeri naturali (tra i quali il caucciù, la cellulosa e il DNA) sia i polimeri sintetizzati in laboratorio  (in genere utilizzati per la produzione di materie plastiche). La storia dei polimeri ha quindi inizio molto prima dell'avvento delle materie plastiche, sebbene la commercializzazione delle materie plastiche abbia aumentato notevolmente l'interesse della comunità scientifica verso la scienza e la tecnologia dei polimeri.
I primi studi sui polimeri sintetici si devono a Henri Braconnot nel 1811, il quale ottenne dei composti derivati dalla cellulosa.
Fu il chimico tedesco Hermann Staudinger nel 1920 a ipotizzare la struttura macromolecolare delle materie plastiche.[6] Sempre negli anni venti Wallace Carothers si dedicò allo studio delle reazioni di polimerizzazione.
Nel corso degli anni sono stati svolti molti studi sul comportamento reologico dei polimeri e sulla loro caratterizzazione, nonché sulle metodiche di polimerizzazione. In particolare nel 1963 Karl Ziegler e Giulio Natta ottengono il premio Nobel per la chimica come riconoscimento dei loro studi sui polimeri[6] (in particolare per la scoperta dei cosiddetti "catalizzatori di Ziegler-Natta").
Nel 1974 il premio Nobel per la chimica fu consegnato a Paul Flory, che concentrò i propri studi sulla cinetica delle polimerizzazioni a stadi e polimerizzazioni a catena, sul trasferimento di catena, sugli effetti di volume escluso e sulla teoria di Flory–Huggins delle soluzioni.

Classificazione dei polimeri

I polimeri possono essere classificati in vari modi:

  1. I polimeri prodotti da monomeri tutti uguali, sono detti omopolimeri. Mentre quelli prodotti da monomeri rappresentati da due o più specie chimiche differenti vengono detti copolimeri.[7]
  2. A seconda della loro struttura, possono essere classificati in polimeri lineari, ramificati o reticolati.[8]
  3. In relazione alle loro proprietà dal punto di vista della deformazione, si differenziano in termoplastici, termoindurenti e elastomeri.
  4. Esistono polimeri naturali organici(ad esempio cellulosa e caucciù), polimeri artificiali, ossia ottenuti dalla modificazione di polimeri naturali (come l'acetato di cellulosa) e polimeri sintetici, ossia polimerizzati artificialmente (ad esempio PVC e PET).
  5. A seconda del tipo di processo di polimerizzazione da cui sono prodotti si distinguono in "polimeri di addizione" e "polimeri di condensazione".
  6. In relazione all'omogeneità del peso molecolare si possono distinguere i polimeri omogenei da quelli eterogenei o

polidispersi, con quest'ultimi caratterizzati da alta variabilità del peso molecolare medio.


Classificazione dal diagramma sforzo-deformazione

 

Ogni materiale, in seguito ad uno sforzo risponde con una deformazione, a cui è associata un maggiore o minore allungamento percentuale. Nel caso dei  polimeri si distingue tra:

  1. fibre
  2. polimeri termoindurenti
  3. polimeri termoplastici
  4. elastomeri.

In linea di massima, i polimeri con maggiore cristallinità (fibre) sono più fragili, mentre i polimeri amorfi (elastomeri) sono più duttili e più plastici.
A partire dal diagramma sforzo-deformazione è possibile ricavare i seguenti parametri:

 

  1. Modulo di elasticità: aumenta all'aumentare della cristallinità del polimero
  2. Allungamento percentuale alla rottura: diminuisce all'aumentare della cristallinità del polimero
  3. Tensione di rottura: aumenta all'aumentare della cristallinità del polimero
  4. Tensione di snervamento: aumenta all'aumentare della cristallinità del polimero.

Classificazione dei polimeri per struttura

La struttura dei polimeri viene definita a vari livelli, tutti tra loro interdipendenti e decisivi nel concorrere a formare le proprietà reologiche del polimero, dalle quali dipendono le applicazioni e gli usi industriali.

Classificazione in base alla struttura chimica

Esclusi i gruppi funzionali direttamente coinvolti nella reazione di polimerizzazione, gli eventuali altri gruppi funzionali presenti nel monomero conservano la loro reattività chimica anche nel polimero. Nel caso dei polimeri biologici (le proteine) le proprietà chimiche dei gruppi disposti lungo la catena polimerica (con le loro affinità, attrazioni e repulsioni) diventano essenziali per modellare la struttura tridimensionale del polimero stesso, struttura da cui dipende l'attività biologica della proteina stessa.

Classificazione in base alla struttura stereochimica

L'assenza o la presenza di una regolarità nella posizione dei gruppi laterali di un polimero rispetto alla catena principale ha un notevole effetto sulle proprietà reologiche del polimero e di conseguenza sulle sue possibili applicazioni industriali. Un polimero i cui gruppi laterali sono distribuiti senza un ordine preciso ha meno probabilità di formare regioni cristalline rispetto ad uno stereochimicamente ordinato.
Un polimero i cui gruppi laterali sono tutti sul medesimo lato della catena principale viene detto isotattico, uno i cui gruppi sono alternati regolarmente sui due lati della catena principale viene detto sindiotattico ed uno i  cui gruppi laterali sono posizionati a caso atattico.
La scoperta di un catalizzatore capace di guidare la polimerizzazione del propilene in modo da dare un polimero isotattico è valsa il premio Nobel a Giulio Natta. L'importanza industriale è notevole, il polipropilene isotattico è una plastica rigida, il polipropilene atattico una gomma pressoché priva di applicazioni pratiche.
Due nuove classi di polimeri sono i polimeri comb e i dendrimeri.


 

 

Classificazione in base al peso molecolare

I polimeri (al contrario delle molecole aventi peso molecolare non elevato o delle proteine) non hanno peso molecolare definito, ma variabile in rapporto alla lunghezza della catena polimerica che li costituisce. Lotti di polimeri sono caratterizzati da un parametro tipico di queste sostanze macromolecolari ovvero dall'indice di polidispersità (PI), che tiene conto della distribuzione di pesi molecolari riferibile ad una sintesi.
Si fa inoltre uso del grado di polimerizzazione, che indica il numero di unità ripetitive costituenti il polimero,[9] e che può essere:

  1. basso: sotto 100 unità ripetitive;
  2. medio: tra 100 e 1000 unità ripetitive;
  3. alto: oltre 1000 unità ripetitive.

Dal grado di polimerizzazione dipendono le proprietà fisiche e reologiche del polimero, nonché le possibili applicazioni.
Nel caso in cui il grado di polimerizzazione sia molto basso si parla più propriamente di oligomero (dal greco
"oligos-", "pochi").

Polimeri amorfi e semicristallini

 

I polimeri amorfi sono generalmente resine o gomme. Essi sono fragili al di sotto di una data temperatura (la "temperatura di transizione vetrosa") e fluidi viscosi al di sopra di un'altra (il "punto di scorrimento"). La loro struttura può essere paragonata ad  un groviglio disordinato di spaghetti.
I polimeri semicristallini sono generalmente plastiche rigide; le catene di polimero, ripiegandosi, riescono a disporre regolarmente loro tratti più o meno lunghi gli uni a fianco degli altri, formando regioni cristalline regolari (dette "cristalliti") che crescono   radialmente   attorno   a   "siti   di
nucleazione", questi possono essere molecole di sostanze capaci di innescare la cristallizzazione ("agenti nucleanti") o altre catene di polimero stirate dal flusso della massa del polimero.


Una situazione intermedia tra i polimeri amorfi e i polimeri semicristallini è rappresentata dai polimeri a cristalli liquidi (LCP, Liquid-Crystal Polymers), in cui le molecole mostrano un orientamento comune ma sono libere di scorrere in maniera tra loro indipendente lungo la direzione longitudinale, modificando quindi la loro struttura cristallina.[10]

Polimeri reticolati

 

Un polimero viene detto "reticolato" se esistono almeno due cammini diversi per collegare due punti qualsiasi della sua molecola; in caso contrario viene detto "lineare" o "ramificato", a seconda che sulla catena principale siano innestate o meno catene laterali.
Un polimero reticolato si può ottenere direttamente in fase di reazione, miscelando al monomero principale anche una quantità di un altro monomero simile, ma con più siti reattivi   (ad   esempio,   il   co-polimero   tra
stirene e 1,4-divinilbenzene) oppure può essere reticolato successivamente alla sua sintesi per reazione con un altro composto (ad esempio, la reazione tra lo zolfo ed il polimero del 2-metil-1,3-butadiene, nota come vulcanizzazione).
Un polimero reticolato è generalmente una plastica rigida, che per riscaldamento decompone o brucia, anziché rammollirsi e fondere come un polimero lineare o ramificato.

Copolimeri

Quando il polimero è costituita da due unità ripetitive di natura diversa, si dice che esso è un copolimero.
Nell'ipotesi di avere due monomeri, vi sono 4 modi di concatenamento delle unità ripetitive A e B che derivano da tali monomeri:[11]

  1. random: le unità ripetitive A e B si avvicendano in maniera casuale;
  2. alternato: se le unità ripetitive si susseguono in coppia, prima A, poi B, poi di nuovo A e così via;
  3. a blocchi: se le unità ripetitive di uno stesso tipo (A) sono in blocchi che si alternano con i blocchi costituiti dall'altra unità ripetitiva (B);
  4. a innesto: se le unità ripetitive di uno stesso tipo (A) formano un'unica catena, sulla quale si innestano le catene laterali costituite dalle unità ripetitive del secondo tipo (B).

I copolimeri random, alternati e a blocchi sono copolimeri lineari, mentre i copolimeri a innesto sono polimeri ramificati.


Elenco di polimeri

In base alle normative DIN 7728 e 16780 (nonché la ISO 1043/1[12]), ad ogni materia plastica è associata una sigla, che la identifica univocamente.

  1. CA – Acetato di cellulosa
  1. PEK – Polieterochetone
  1. PS – Polistirene
  1. CAB – Acetobutirrato di cellulosa
  1. PEEK – Polieteroterchetone
  1. PSU – Polisolfone
  1. CN – Nitrato di cellulosa
  1. PES – Polietersolfoni
  1. PT – Politiofene
  1. CP – Propionato di cellulosa
  1. PET – Polietilentereftalato
  1. PTFE – Politetrafluoroetilene (Teflon)
  1. EP – Epossidi
  1. PF – Fenolformaldeide
  1. PUR – Poliuretano
  1. MF – Melammina-formaldeide
  1. PI – Poliimmide
  1. PVB – Polivinilbutirrale
  1. PA – Poliammidi
  1. PIB – Poliisobutilene
  1. PVC – Polivinilcloruro
  1. PAI – Poliammidiimmide
  1. PMI – Polimetacrilimmide
  1. PVC-C – Polivinilcloruro clorurato
  1. PAN – Poliacrilonitrile
  1. PMMA – Polimetilmetacrilato
  1. PVDC – Polivinildencloruro
  1. PB – Polibutene-1
  1. PMP – Poli-4-metilpentene-1
  1. PVDF – Polivinildenfluoruro
  1. PBT – Polibutilentereftalato
  1. POM – Poliossimetilene, Poliformaldeide, Poliacetale
  1. PVF – Polivinilfluoruro
  1. PC – Policarbonato
  1. PP – Polipropilene
  1. RC – Cellulosa rigenerata
  1. PCTFE – Policlorotrifluoroetilene
  1. PPE – Polifeniletere
  1. SI – Siliconi
  1. PDAP – Polidialliftalato
  1. PPO – Polifenilenossido
  1. UF – Urea-formaldeide
  1. PE – Polietilene
  1. PPS – Polifenilensolfuro
  1. UP – Poliestere insaturo
  1. PE-C – Polietilene clorurato

 

  1. PDMS – Polidimetilsilossano
  1. PEI – Polieterimmide

 

 

Caratterizzazione dei polimeri

La caratterizzazione dei polimeri avviene tramite l'utilizzo di numerose tecniche standardizzate dall'ASTM, SPI e SPE, tra cui (accanto a ciascuna tecnica si indicano le grandezze misurate):[13][14]

  1. analisi dei gruppi terminali: peso molecolare medio numerico;
  2. ebulliometria, crioscopia e osmometria: peso molecolare medio numerico;
  3. light scattering: peso molecolare medio ponderale;
  4. viscosimetria: peso molecolare medio viscometrico;
  5. cromatografia di esclusione molecolare: distribuzione della massa molare;
  6. calorimetria differenziale a scansione (DSC) e analisi termica differenziale (DTA): calore di fusione, calore di reazione, calore specifico, temperatura di transizione vetrosa, velocità di cristallizzazione;
  7. termogravimetria (TG): velocità di reazione, purezza;
  8. analisi termomeccanica (TMA): coefficiente di espansione termica, modulo elastico, temperatura di rammolimento;
  9. analisi dinamico-meccanica (DMA): modulo elastico, temperatura di transizione vetrosa;
  10. test di solubilità;
  11. test di diffusione e permeabilità;
  12. microscopio ottico: indice di rifrazione;
  13. spettrofotometro: riflettanza, trasmittanza;
  14. test di indice di ossigeno;
  15. test di resistenza chimica;
  16. test di resistenza agli agenti atmosferici;
  17. resistenza a trazione;
  18. misura della deformazione permanente.

Note

[1] Risultati ricerca - Treccani Portale (http://www.treccani.it/Portale/services/searchTitle.jsp?cercaTesto=polimero&searchIn=V& cercaTestoVis=&x=0&y=0)
[2]  Gedde, op. cit., p. 1
[3]   Polimeri Inorganici (http://pslc.ws/italian/inorg.htm)
[4]   http://chimica-cannizzaro.it/files/le_frontiere_del_silicio.pdf
[5] Brisi, op. cit., pp. 457-458 [6] Microsoft Student, op. cit. [7]  Callister, op. cit., p. 451
[8]  Callister, op. cit., pp. 455-457
[9]  Gedde, op. cit., p. 11
[10]  Gedde, op. cit., p. 14
[11]  Brisi, op. cit., pp. 433-434
[12]   glossary (http://pslc.ws/italian/nomenclatura.htm)
[13]  Gedde, op. cit., p. 10
[14]   http://chifis.unipv.it/mustarelli/dpp.pdf


Bibliografia

  1. Materie plastiche. Microsoft Student 2008 (DVD) (http://it.encarta.msn.com/encyclopedia_761553604/ Materie_plastiche.html), Microsoft Corporation, 2007.
  2. Cesare Brisi, Chimica applicata, 3, Torino, Levrotto & Bella, 1997, pp. 431-458. ISBN 88-8218-016-6
  3. Vittorio Villavecchia; Gino Eigenmann, Gino Eigenmann, I. Ubaldini (a cura di), Nuovo dizionario di merceologia e chimica applicata (volume 5° Mangimi-Polistirene) (http://books.google.it/ books?id=rZU5kEeKOEMC&printsec=frontcover&source=gbs_navlinks_s), Hoepli, 1975. ISBN

88-203-0532-1

  1. Bernardo Marchese, Tecnologia dei materiali e chimica applicata (http://books.google.it/

books?id=m4MTd-kkk9UC&printsec=frontcover&source=gbs_navlinks_s), 2, Liguori Editore Srl, 1975, pp. 405-445. ISBN 88-207-0390-4

  1. Filippo Cangialosi, Proprietà e lavorazione delle materie plastiche (http://books.google.it/ books?id=CzBAkfXON2oC&dq=polimeri&lr=&source=gbs_navlinks_s), EuroPass. ISBN 88-89354-00-3
  2. Arie Ram, Fundamentals of polymer engineering (http://books.google.it/books?id=oquPY-e4ypgC& dq=polymer&lr=&source=gbs_navlinks_s) (in inglese), Springer, 1997. ISBN 0-306-45726-1
  3. Ronald D. Archer, Inorganic and Organometallic Polymers (http://books.google.it/ books?id=9KFwwpv6bGcC&dq=polymer&lr=&source=gbs_navlinks_s) (in inglese), Wiley-VCH, 2001. ISBN 0-471-24187-3
  4. Leslie Howard Sperling, Introduction to physical polymer science (http://books.google.it/ books?id=i7HMbG9MwnIC&dq=polymer&lr=&source=gbs_navlinks_s), 4 (in inglese), John Wiley and Sons, 2006. ISBN 0-471-70606-X
  5. Jan C J Bart, Polymer Additive Analytics: Industrial Practice and Case Studies (http://books.google.it/ books?id=HQ6ZniMlUP4C&dq=polymer&lr=&source=gbs_navlinks_s) (in inglese), Firenze University Press, 2006. ISBN 88-8453-379-1
  6. Ulf W. Gedde, Polymer physics (http://books.google.it/books?id=Iem3fC7XdnkC&source=gbs_navlinks_s) (in inglese), Springer, 1995. ISBN 0-412-62640-3
  7. William D. Callister, Material Science and Engineering: An Introduction (http://books.google.it/ books?id=hFoEAAAACAAJ&source=gbs_navlinks_s), 5a ed. (in inglese), John Wiley & Sons Inc, 1999. ISBN

0-471-35243-8

Voci correlate

  1. Chimica dei polimeri e delle macromolecole
  2. Dimero
  3. Grado di polimerizzazione
  4. Materie plastiche
  5. Melt flow index
  6. Monomero
  7. Nanopolimeri
  8. Oligomero
  9. Pentamero
  10. Polimeri conduttori
  11. Polimerizzazione
  12. Rigonfiamento dei polimeri
  13. Stampaggio di materie plastiche
  14. Trimero


Copolimero

Il termine copolimero indica tutte quelle macromolecole la cui catena polimerica contiene monomeri (piccole molecole reagenti) di due o più specie differenti.
Talvolta il termine copolimero viene utilizzato in senso più stretto per indicare i polimeri ottenuti a partire da monomeri di due specie differenti, mentre il termine terpolimero viene utilizzato per indicare polimeri ottenuti a partire da monomeri di tre specie differenti.
Quando invece un polimero è costituito dall'unione di monomeri di un solo tipo, viene detto omopolimero.

Classificazione dei copolimeri

Una prima classificazione dei copolimeri si può effettuare in base alla disposizione dei diversi monomeri all'interno della catena polimerica. Se ipotizziamo di avere un copolimero formato da due diversi monomeri che chiameremo A e B si possono presentare i seguenti casi:

  1. copolimero alternato: quando due monomeri sono disposti in modo alternato nella catena polimerica;[1]

Casella di testo: -A-B-A-B-A-B-...-A-B-

  1. copolimero statistico o random: i due monomeri sono presenti nella catena senza un ordine preciso;[1]

Casella di testo: ..-A-B-B-B-A-A-B-A--B-B-...-A-B-A-A-A-..

  1. copolimero a blocchi: in un copolimero a blocchi, tutti i monomeri di un tipo e quelli dell'altro sono raggruppati in due blocchi distinti ma uniti ad un estremo. Un copolimero a blocchi può essere pensato come due omopolimeri uniti alle estremità terminali:[1]

Casella di testo: -A-...-A-A-A-A-A-A-A-B-B-B-B-B-B-B-...-B-

Un copolimero a blocchi molto diffuso è la gomma SBS. Viene utilizzata per le suole delle scarpe e anche per  i battistrada degli pneumatici.


  1. copolimero innestato o graft: si presenta se catene di polimero costituito da monomero di tipo A sono innestate ad una catena di monomero B;[1]

 

Un copolimero innestato è il polistirene anti-urto la cui sigla è HIPS: High Impact Polystyrene. Su una catena principale di polistirene sono innestate catene di polibutadiene. Il polistirene conferisce resistenza al materiale, la gomma polibutadienica ne aumenta la resilienza e ne riduce la fragilità.

Note

[1]  Callister, op. cit., pp. 460-461

 

Bibliografia

  1. William D. Callister, Material Science and Engineering: An Introduction (http://books.google.it/ books?id=hFoEAAAACAAJ&source=gbs_navlinks_s), 5a ed. (in inglese), John Wiley & Sons Inc, 1999. ISBN 0471352438

Voci correlate

  1. Polimero
  2. Materie plastiche
  3. Polimeri comb

 

Esempi di copolimeri

  1. Copolimero SAN
  2. Gomma SBR
  3. Gomma nitrilica
  4. Etilene vinil acetato

Esempi di terpolimeri

  1. Acrilonitrile butadiene stirene
  2. EPDM


Monomero

 

Col termine monomero (dal greco una parte) in chimica si definisce una molecola semplice dotata di gruppi funzionali tali per cui sia in grado di combinarsi ricorsivamente con altre molecole (identiche a sé o reattivamente complementari a sé) a formare macromolecole.
Per estensione, il termine viene usato anche per identificare l'unità strutturale ripetitiva che forma un polimero (detta più propriamente "unità ripetitiva" del polimero).
Il processo di trasformazione del monomero a polimero si chiama polimerizzazione.
Quando i monomeri vengono utilizzati per produrre copolimeri, si utilizza più precisamente il termine comonomero.

Esempi di monomeri

Esempi di monomero nel caso di polimerizzazioni per addizione possono essere:

  1. il cloruro di vinile, da cui ha origine il PVC;
  2. l'etilene, da cui ha origine il polietilene;
  3. l'acido cianoacrilico, costituente di alcune colle;
  4. lo stirene, che per polimerizzazione produce il polistirene;
  5. l'acrilato di metile, dalla cui polimerizzazione si ottiene il Plexiglas. Nel caso di polimerizzazioni per condensazione, alcuni esempi sono:
  6. gli amminoacidi, che biologicamente entrano nella costituzione delle proteine;
  7. la coppia acido adipico-esametilendiammina, da cui si produce il Nylon 6-6;
  8. la para-fenilendiammina e l'acido tereftalico, che condensando costituiscono il Kevlar;
  9. il glicole etilenico con l'acido tereftalico, dalla cui condensazione si produce il PET, il materiale con cui sono fatte le bottiglie di plastica.

Voci correlate

  1. Dimero
  2. Trimero
  3. Pentamero
  4. Oligomero
  5. Polimero

 

Comportamento dei polimeri

Temperatura di transizione vetrosa

 

La temperatura di transizione vetrosa, solitamente indicata col simbolo Tg, rappresenta il valore di temperatura al di sotto della quale un materiale amorfo si comporta da solido vetroso.
La Tg rappresenta la temperatura al di sotto della quale sono congelati i movimenti di contorsione e rotazione di segmenti di molecole di circa 40-50 atomi e i movimenti traslazionali dell'intera molecola e c'è energia sufficiente solo per le vibrazioni degli atomi intorno alle posizioni di equilibrio e per movimenti di pochi atomi appartenenti alla catena principale o di gruppi laterali. Analizzando più in dettaglio il processo implicato, in pratica la temperatura di transizione vetrosa regola la transizione di fase del secondo ordine definita transizione vetrosa: fondendo una fase totalmente o parzialmente amorfa, esempi classici sono i vetri e le materie plastiche, è possibile effettuare un  successivo sottoraffreddamento  che condotto fino al valore di temperatura pari a Tg porta alla formazione di una struttura solida vetrosa.
In pratica la temperatura di transizione vetrosa segna il confine tra lo stato amorfo vetroso e lo stato amorfo gommoso, liquido molto rigido e caratterizzato da elevata viscosità. La transizione vetrosa non è una transizione termodinamica, bensì cinetica, alla quale non corrisponde alcun cambiamento nella disposizione degli atomi/molecole nello spazio, come invece avviene  nel  passaggio  di  stato  da    solido
cristallino      a      liquido.      Mentre      le      sostanze      vetrose      inorganiche      o      minerali,      come           la


silice, possiedono un determinato valore di  T  ,     i     polimeri     termoplastici  possono
g
possedere   una   ulteriore   T    a   valore   di
g
temperatura inferiore e al disotto della quale diventano rigidi e fragili assumendo facile tendenza  a  frantumarsi.  Inoltre  a  valori di
temperatura   maggiori   di   T    tali polimeri
g
possiedono elasticità e capacità di subire deformazioni plastiche senza andare incontro a fratture, caratteristica questa che viene sfruttata in ambito tecnologico.
I valori di transizione vetrosa ai quali si fa comunemente riferimento sono in realtà dei valori medi, dipendendo questa grandezza dal gradiente di temperatura con il quale viene effettuato il raffreddamento e per i polimeri  anche  dalla  distribuzione  dei pesi
molecolari medi. Inoltre la eventuale presenza di additivi è anch'essa in grado di influenzare la T .
g
Alcune sostanze pure dal basso peso molecolare possono possedere anche loro un determinato valore di  temperatura
di transizione vetrosa al disotto della quale possiedono struttura amorfa. Ad esempio l'acqua possiede T  = -173 °C  e
g
per rapido raffreddamento dell'acqua liquida, in modo da impedire l'organizzazione in strutture cristalline ordinate,
fino a un valore pari alla T  si ottiene il ghiaccio amorfo.
g

Comuni metodiche utilizzate per la determinazione della temperatura di transizione vetrosa sono la calorimetria differenziale a scansione (DSC) e l'analisi meccanica dinamica (DMA).

Alcuni valori di temperatura di transizione vetrosa

 

Materiale

(°C)
g

Polietilene (LDPE)

−125 (è citata anche −30)

Polipropilene (atattico)

−20

Acetato di polivinile (PVAc)

28

Polietilene tereftalato (PET)

79

Alcool polivinilico (PVA)

85

Cloruro di polivinile (PVC)

81

Polistirene

95

Polipropilene (isotattico)

0

Polimetilmetacrilato (atattico)

105

Policarbonato

150

Tellurite

279

Fluoroalluminato

400

Silice

1175


Bibliografia

  1. Alcuni valori di temperatura di transizione vetrosa di vari polimeri sono disponibili in Engineered Materials Handbook -- Desk edition (1995)
  2. Valori di temperatura di transizione vetrosa per materiali inorganici possono essere consultati su Handbook ofGlass Datadi O.V. Mazurin (1993)

Voci correlate

  1. Vetrificazione
  2. Solido
  3. Liquido
  4. Punto di fusione
  5. Punto di rammollimento
    Melt flow index

 

1.  RINVIA Melt Flow Index


Rigonfiamento dei polimeri

Il rigonfiamento dei polimeri (in inglese swelling) è un fenomeno che consiste nell'aumento del volume di un materiale plastico, che può verificarsi:

  1. durante il processo di estrusione, allo sbocco della filiera;
  2. sciogliendo il polimero in una soluzione.

Fenomeni di rigonfiamento possono essere vantaggiosamente utilizzati per la realizzazione di cilindri cavi tramite estrusione e per la produzione di gel e idrogel. Essi sono anche alla base dei meccanismi di rilascio di alcuni farmaci.

Rigonfiamento durante l'estrusione

 

Il fenomeno di rigonfiamento può intervenire durante il processo di estrusione delle materie plastiche; tale fenomeno (chiamato in inglese die swelling[1]) è da ricondurre al comportamento viscoelastico dei polimeri[1] e consiste nel recupero parziale della forma e del volume che il polimero aveva prima del passaggio attraverso la filiera.
Tale fenomeno è da attribuirsi al rilassamento della struttura molecolare, con conseguente diminuzione dell'entropia posseduta dal sistema. Durante il passaggio attraverso la filiera, il polimero viene compresso, in quanto si ha una diminuzione della sezione di passaggio, ma la portata rimane necessariamente costante, per cui la velocità aumenta (per effetto Venturi).
Durante il fenomeno del rigonfiamento del polimero, nel caso in cui il passaggio attraverso la filiera avvenga in tempi sufficientemente lunghi (ovvero all'aumentare della lunghezza della filiera e della viscosità del polimero[1]), i nodi fisici (entanglement) possono sciogliersi. Una volta che il polimero è passato attraverso la filiera, i nodi fisici che non si sono dissolti tendono a riportare il polimero alla sua conformazione iniziale, in modo da minimizzare il contenuto entropico.[2]
Grazie al fenomeno del rigonfiamento è possibile produrre cilindri cavi tramite estrusione.[1] Bisogna inoltre tenere conto di tale effetto durante le operazioni di calandratura, in quanto a seguito del rigonfiamento lo spessore delle lastre ottenute risulta maggiore della distanza tra i due cilindri.[1]


Rigonfiamento in soluzione

Quando un polimero viene sciolto in una soluzione, si stabiliscono delle forze tra i tratti della catena polimerica e il solvente che sono di entità differente rispetto alle forze che i tratti della macromolecola sperimentavano quando si trovavano nel bulk del solido. In particolare, si ha un aumento della distanza testa-coda, che sarà più o meno marcato a seconda di:

  1. natura del polimero;
  2. natura del solvente;
  3. temperatura.

Considerando il coefficiente di espansione α, si possono avere tre casi differenti, che sono:

  1. α < 1: condizione di cattivo solvente; il polimero si scioglie con difficoltà nel solvente, per cui il gomitolo statistico rappresentativo del polimero assume un ingombro minore rispetto alla condizioni theta, ovvero si ha un valore minore della distanza quadratica media testa-coda;
  2. α = 1: condizione theta;
  3. α > 1: condizione di buon solvente; il polimero si scioglie con facilità nel solvente, per cui il gomitolo statistico rappresentativo del polimero assume un ingombro maggiore rispetto alla condizioni theta, ovvero si ha un valore più elevato della distanza quadratica media testa-coda.

Il fenomeno del rigonfiamento dei polimeri in soluzione è alla base della produzione di gel e idrogel, i quali vengono prodotti mettendo il polimero (in particolare omopolimeri idrofilici o copolimeri insolubili in acqua) in soluzione con acqua.[3] Su tale fenomeno si basa il meccanismo di rilascio di alcuni farmaci.[4]

Note

[1]  Cangialosi, op. cit., pp. 75-77
[2] Hiemenz, Paul C., and Tim Lodge. Polymer Chemistry. 2nd ed. New York: CRC, 2007. [3]   http://www.ing.unitn.it/~luttero/materialifunzionali/idrogeli.pdf
[4]   http://www3.unisa.it/uploads/1498/tesi_francescal.pdf

 

Bibliografia

  1. Filippo Cangialosi, Proprietà e lavorazione delle materie plastiche (http://books.google.it/ books?id=CzBAkfXON2oC&source=gbs_navlinks_s), EuroPass, 2005. ISBN 8889354003

Voci correlate

  1. Estrusione


Plastificante

Un plastificante è un additivo che migliora la plasticità o fluidità del materiale a cui viene aggiunto. Plastificanti vengono aggiunti a materie plastiche, cementi, calcestruzzi, intonaci e gessi. Alcune sostanze plastificanti sono usate sia per le plastiche che per i cementi, ma l'effetto che producono è leggermente differente.
I plastificanti per cementi vengono usati per ammorbidirli finché sono freschi, migliorandone la lavorabilità, senza che necessariamente vengano alterate le proprietà del cemento dopo l'essicamento.
I plastificanti per intonaci migliorano la stendibilità della miscela e permettono di usare meno acqua, rendendo più rapida l'asciugatura.
I plastificanti per le materie plastiche vengono invece impiegati per aumentare la flessibilità e la lavorabilità dei polimeri.

Per i cementi

I superplastificanti o disperdenti sono miscele chimiche[1] aggiunte alle miscele di cemento per migliorarne la lavorabilità. Questo permette di limitare la quantità di acqua da aggiungere al cemento, migliorandone la tenacia.
Sono generalmente prodotti da ligninsolfonato, un sottoprodotto dell'industria cartaria. Altri superplastificanti sono prodotti da naftalensolfonati condensati o da melammina solfonata e formaldeide. Devono la loro azione disperdente alla loro natura di polimeri organici recanti un'elevata quantità di cariche elettriche negative: avvolgendosi attorno alle particelle di cemento, fanno sì che queste si respingano a vicenda.
Disperdenti di concezione più recente sono gli eteri policarbossilati (PCE), la cui azione non si basa sulla repulsione elettrostatica, ma sulla repulsione sterica.
Nell'antica Roma, i plastificanti in uso erano latte, grasso e sangue animali[2].

Per le materie plastiche

Nel caso delle materie plastiche, un plastificante è una sostanza aggiunta ad un polimero per diminuirne la rigidità  in modo da consentirne la lavorazione a temperatura ambiente o a temperature sufficientemente basse tali da non rischiare la degradazione termica del polimero durante la lavorazione.
Esistono numerose classi di sostanze plastificanti, la scelta della sostanza da impiegare dipende dal polimero cui va aggiunta e dal tipo di applicazione finale cui la materia plastica è destinata.
Una sostanza plastificante deve essere completamente miscibile con il polimero, in modo che si incorpori  stabilmente e in maniera omogenea nella sua massa e non tenda col tempo a migrare verso la superficie della materia plastica (fenomeno noto col nome di "essudazione"). Deve altresì essere poco o nulla volatile perché lasciando la materia plastica, verrebbe meno il suo effetto; per la stessa ragione occorre anche che la sostanza plastificante resista all'effetto di estrazione che potrebbero esercitare i liquidi con cui la materia plastica verrà a contatto durante l'utilizzo del manufatto (ad esempio, un contenitore per bevande o alimenti).
La sostanza plastificante deve inoltre essere chimicamente inerte nei confronti del polimero (ovvero non reagire con esso), deve essere chimicamente stabile per resistere all'azione del calore e della luce, non deve subire facilmente reazioni di idrolisi o ossidazione da parte dell'umidità o dell'ossigeno ambientali, deve non essere infiammabile - spesso l'aggiunta di un plastificante serve anche a rendere meno infiammabile il polimero stesso - elettricamente isolante, inodore e incolore, quest'ultimo requisito è indispensabile se la materia plastica è destinata alla produzione di pellicole o manufatti trasparenti.
Le sostanze plastificanti e le loro miscele sono moltissime, la loro individuazione e messa a punto è continuo oggetto di ricerca nell'industria; si elencano di seguito alcune classi principali, senza alcuna pretesa di esaustività.


Fosfati organici

Gli esteri organici dell'acido fosforico sono forse la categoria di plastificanti tecnologicamente più anziana; sono apprezzati per la scarsa volatilità e per la loro non infiammabilità.

  1. tributilfosfato
  2. tri-2-etilesilfosfato o triottilfosfato
  3. trifenilfosfato
  4. tricresilfosfato
  5. cresildifenilfosfato

Ftalati

Esteri dell'acido ftalico.

  1. dimetilftalato, dietilftalato
  2. dibutilftalato
  3. diamilftalato
  4. di-2-etilesilftalato o diottilftalato
  5. dicaprilftalato
  6. diallilftalato
  7. cicloesilftalato e dimetilcicloesilftalato
  8. dimetossietilftalato e dibutossietilftalato

Adipati, sebacati, esteri degli acidi grassi

Esteri dell'acido adipico, dell'acido sebacico e di altri acidi grassi.

  1. adipato di butile
  2. adipato di 2-etilesile o adipato di ottile
  3. adipato di dicicloesile, adipato di metilcicloesile
  4. sebacato di butile
  5. sebacato di 2-etilesile o sebacato di ottile
  6. sebacato di benzile
  7. stearato di amile

Esteri della glicerina

  1. diacetato di glicerile
  2. triacetato di glicerile

 

Note

[1]   Cement Admixture Association (http://www.admixtures.org.uk/publications.asp), 02.04.2008
[2]   Cemex Mortars, p. 6 (http://www.cemex.co.uk/re/pdf/lt-admixtures.pdf)

 

Voci correlate

  1. Additivo (edilizia)

Polimerizzazione

 

Con il termine polimerizzazione si intende la reazione chimica che porta alla formazione di una catena polimerica, ovvero di una molecola costituita da molte parti uguali (detti "monomeri" o "unità ripetitive") che si ripetono in sequenza.

Classificazione per meccanismo di reazione

 

Nel 1929 i polimeri furono distinti da Wallace Hume Carothers in polimeri di addizione e polimeri di condensazione, a seconda che la reazione di polimerizzazione produca rispettivamente solo il polimero o anche una specie a basso peso molecolare                       (chiamata "condensato").[1][2]
Il poliuretani (polimeri prodotti a partire da un diisocianato e un diolo) sono ad esempio polimeri di addizione.
Più tardi (nel 1953), Paul Flory distinse i polimeri in base al meccanismo di reazione seguito dalla reazione di sintesi dei polimeri.[3] A seconda del meccanismo di reazione, la reazione di polimerizzazione può essere infatti distinta in:

  1. polimerizzazione a catena (in inglese chain polymerization)
  2. polimerizzazione a stadi (in inglese step polymerization).[4]

I polimeri ottenuti per polimerizzazione a stadi sono in genere polimeri di condensazione, mentre i polimeri ottenuti per polimerizzazione a catena sono in genere polimeri di addizione. Esistono comunque delle eccezioni a questa regola, ad esempio il poliuretano è un polimero di addizione ma la sua produzione avviene tramite polimerizzazione a stadio.[5] Quindi le classi di polimeri secondo la classificazione di Carothers e secondo la classificazione di Flory non coincidono.


Polimerizzazione a catena

Nella polimerizzazione a catena la reazione è innescata dalla formazione di una specie chimica attiva, chiamata iniziatore, che può essere costituita da un radicale, un carbocatione o un carbanione). L'iniziatore somma ricorsivamente su di sé una molecola di monomero, spostando il centro di reattività (l'elettrone spaiato, la carica elettrica) all'estremità della catena  a mano a mano che questa cresce. Il processo di produzione di una catena polimerica è suddiviso in 3 fasi: attivazione, propagazione e terminazione.
Un esempio di polimero ottenuto per polimerizzazione a catena è il polietilene.
In presenza di una elevata temperatura o pressione il doppio legame tra  gli atomi di carbonio si rompe ed è sostituito con un legame singolo covalente. A ogni atomo di carbonio competeranno quindi 7 elettroni nel livello energetico più esterno. Per soddisfare le richieste di legame, il monomero si combina con altri monomeri di etilene, assicurando così che ogni    atomo    di    carbonio    condivida    4    legami    covalenti.       La
polimerizzazione può avvenire grazie alla presenza di un doppio legame covalente tra gli atomi di carbonio nella molecola del reagente. Il legame doppio (assieme al legame triplo) è detto "legame insaturo"; esso è costituito da due legami che hanno forze di legame di entità differenti: il legame σ (più forte) e il legame π (più debole). Dalla rottura del legame π si genera un specie chimica instabile (detto radicale) a cui possono addizionarsi monomeri addizionali, allungando la catena.
La concentrazione di monomero nell'ambiente di reazione nel caso di polimerizzazione a catena diminuisce con velocità costante. La resa per questo tipo di polimerizzazione è elevata, e i polimeri che si ottengono hanno un minore grado di polimerizzazione rispetto a quelli ottenuti nella polimerizzazione a stadi.

Polimerizzazione a stadi

La polimerizzazione a stadi si realizza tra specie chimiche aventi due (o più) estremità reattive (gruppi funzionali), capaci quindi di legarsi le une alle altre, formando lunghe catene per unione di catene più corte. Un esempio di polimero prodotto per polimerizzazione a stadi è il nylon.

Confronto tra polimerizzazione a catena e polimerizzazione a stadi

La tabella seguente mette in risalto le principale differenze che intercorrono tra la polimerizzazione a catena e polimerizzazione a stadi.


 

 

Polimerizzazione a catena

Polimerizzazione a stadi

Centri di reazione

Centri attivi (radicali o ioni)

Gruppi funzionali

Peso molecolare delle catene polimeriche nel tempo

I polimeri ad alto peso molecolare si formano in minore tempo e con conversioni più basse. La concentrazione di monomero decresce nel tempo.

I polimeri ad alto peso molecolare si formano in più tempo (diverse ore) e con conversioni più elevate. La concentrazione di monomero si riduce si riduce molto presto

Numero di catene polimeriche nel tempo

Si ha una fase iniziale di produzione di specie attivate (attivazione), passata la quale avviene l'allungamento delle catene polimeriche (propagazione), che non aumentano di numero durante questa seconda fase. Durante la successiva fase di terminazione si ha infine una diminuzione del numero di catene polimeriche.

Il monomero reagisce immediatamente per formare catene polimeriche che si accrescono a una velocità pressoché costante

Viscosità

Si ha elevata viscosità per la massima parte del processo (a causa dell'elevato peso molecolare delle catene)

Si ha viscosità non elevata per la massima parte del processo (a causa del basso peso molecolare delle catene)

Specie reagenti

Possono reagire solo le specie in cui è presente un centro attivo (radicali o ioni)

Qualunque specie può prendere parte alla reazione, per cui la probabilità di avere reazioni secondarie è maggiore

Assunzioni sulle costanti cinetiche

Tutti i radicali in accrescimento (a prescindere dal loro peso molecolare) hanno uguale costante cinetica[6]

Tutti le catene in accrescimento hanno uguale costante cinetica (a prescindere dal loro peso molecolare), ovvero i gruppi funzionali di tutte le catene hanno uguale             [6]
reattività

Classificazione di Carothers

In genere si ottengono polimeri di addizione

In genere si ottengono polimeri di condensazione

Classificazione per fasi coinvolte

A livello industriale, esistono 4 differenti metodi di produzione dei polimeri per addizione, che si differenziano a seconda delle fasi coinvolte nel processo:[7]

  1. polimerizzazione in massa (o omogenea)
polimerizzazione in soluzione
  1. polimerizzazione in sospensione
  2. polimerizzazione in emulsione .

Polimerizzazione in massa
Viene utilizzata industrialmente per la produzione di PS, PVC, PMMA, PET, PA-6.6, PE (alta pressione).
Ha come vantaggi l'assenza di solvente (che comporta dei costi, produzione di sostanze inquinanti e deve essere successivamente recuperato), ed il fatto che la polimerizzazione avviene in situ, direttamente nello stampo (vantaggioso soprattutto per il PMMA).
I principali svantaggi sono dovuti all'aumento di viscosità (in breve tempo), alla difficoltà di dissipazione del calore che si produce durante la reazione, allo scarso controllo delle variazioni dimensionali (differente densità), ed all'impossibilità di condurre reazioni in cui il solvente ha parte attiva.
Come caratteristica, si ha che l'iniziatore deve essere solubile nel monomero di partenza (la maggior parte dei monomeri è apolare). Per evitare fenomeni di autoaccelerazione si utilizzano trasferitori di catena.


Polimerizzazione in sospensione (micromassa)
Viene usata per PS, PVC, PMMA, reazioni fortemente esotermiche. Per facilitare la rimozione del calore si crea una sospensione in un mezzo disperdente che ha una certa viscosità. Si frammenta il sistema in massa formando perle di qualche mm di diametro. Ogni particella ha comportamento cinetico come il processo in massa.
Vantaggi

  1. facilità di rimozione del calore. Svantaggi
  2. eliminazione degli stabilizzanti;
  3. agitazione rigorosa.

Come caratteristica, si ha che come disperdente viene usata acqua stabilizzata da caolino, gelatine colloidali ed altri, e ciò è importante anche per la morfologia delle particelle che si ottengono di polimero (separate o coalizzate assieme). L'iniziatore ed il monomero devono essere insolubili in acqua (mezzo disperdente), e l'iniziatore deve essere solubile nel monomero.

Polimerizzazione in soluzione

Viene usata per PE, PP, PVAc, PAN, PA-6.6, polimerizzazioni interfacciali, ioniche. Tutte le polimerizzazioni sterospecifiche (es. Ziegler-Natta) vengono svolte in un solvente idrocarburico.
Vantaggi

  1. viscosità ridotta e quindi miglior controllo della temperatura;
  2. possibilità di condurre polimerizzazioni in cui il solvente ha parte attiva. Svantaggi
  3. presenza del solvente.

Come caratteristica, si ha che l'iniziatore ed il monomero devono essere solubili nel solvente (polare o apolare).

Polimerizzazione in emulsione

Viene usata per PS, PVC, PVAc. Vantaggi

  1. viscosità ridotta
  2. alta vp e DPn contemporaneamente. Svantaggi
  3. presenza del tensioattivo (il lattice deve essere coagulato).

Viene effettuata in un sistema disperdente a base acquosa; il monomero non è solubile in acqua, ma lo è l'iniziatore. Questa tecnica permette di ottenere alti PM e alte vp.
Per una polimerizzazione in emulsione oltre ad acqua, monomero ed iniziatore, è necessario aggiungere un emulsificante, di solito un tensioattivo: quando questo entra in acqua contenente monomero si formano delle micelle, con le teste polari all'esterno e le code apolari all'interno.
Una parte di queste micelle andrà a stabilizzare delle goccioline di monomero (ed in seguito di polimero), comportandosi da reattori; delle grosse gocce invece conterranno solo il monomero, comportandosi da serbatoi. C'è poi una quantità di emulsificante che sta disperso come molecola singola.
L'iniziatore, in fase acquosa, darà origine ai radicali che si muovono per raggiungere le particelle di monomero (goccioline), ed a questo punto avrà inizio la polimerizzazione radicalica.
La polimerizzazione avviene in questo modo:


  1. presenza di un certo numero di micelle e gocce serbatoio di monomero. La quantità di micelle che si forma dipende dalla quantità di tensioattivo che deve essere maggiore della concentrazione micellare critica (CMC); le dimensioni sono di 100-200 Ǻ e la concentrazione di 1014 micelle/cm3. L'iniziatore può dare origine a 1013 radicali/cm3, che diffondono quindi nelle micelle nella quantità di 1 radicale ogni 10 secondi. Quando il radicale incontra il monomero nelle micelle inizia la polimerizzazione. Essendoci più micelle reattori rispetto alla gocce serbatoio, l'iniziatore avrà maggiore probabilità di incontrare il monomero nei reattori che nel serbatoio.
  2. inizia a formarsi il "serpentello" di polimero e quindi le micelle rigonfiano e le gocce serbatoio continuano per diffusione a rifornire di monomero le micelle. Si ha la formazione di un lattice costituito da queste gocce rigonfiate di monomero/polimero, le quali però tendono a collassate quindi è necessaria una vigorosa agitazione.
  3. si ha uno stato stazionario dovuto alla terminazione nella micella in seguito all'arrivo del secondo radicale. Ogni 10 secondi si avrà quindi terminazione (che dura altrettanti 10 secondi). Le micelle sono pertanto attive solo per la metà del tempo, o, viceversa, nello stesso tempo sono attive la metà delle micelle.
  4. quando la percentuale di conversione supera il 70%, le gocce serbatoio non riescono più a rifornire di monomero le micelle-reattori e quindi la concentrazione del monomero nel lattice diminuisce, tendendo a diminuire la v .
    p

Copolimerizzazione

È la reazione con cui si formano macromolecole caratterizzate da almeno 2 o più differenti unità ripetitive che non si legano secondo una sequenza obbligatoria. I copolimeri possono essere a blocchi, a innesto, alternati o casuali.

Note

[1]  W. H. Carothers, "Journal of American Chemical Society", 1929, 51, 2548
[2] Paul J. Flory, "Principles of Polymer Chemistry" (http://books.google.com/books?id=CQ0EbEkT5R0C&pg=PA37&lpg=PA37& dq=Carothers+polymer+addition+condensation&source=bl&ots=13v-5Uxvju&sig=h1RcDqB_plK0WR xwxwjuLybC4&hl=it& ei=wdJUSuKSKY2angPIt4SMDA&sa=X&oi=book_result&ct=result&resnum=1), Cornell University Press, 1953, p.39. ISBN
0-8014-0134-8
[3] Susan E. M. Selke, John D. Culter, Ruben J. Hernandez, "Plastics packaging: Properties, processing, applications, and regulations" (http:// books.google.com/books?id=1aM9n0hovOoC&dq=Flory+polymer+addition+condensation&hl=it), Hanser, 2004, p.29.  ISBN
1-56990-372-7
[4] In genere i polimeri di condensazione vengono prodotti tramite polimerizzazione a stadio mentre i polimeri di addizione vengono prodotti tramite polimerizzazione a catena, ma esistono numerose eccezioni.
[5]  Brisi, op. cit., pp. 435
[6] Queste assunzioni a rigore non sarebbero valide per le catene con un basso numero di unità ripetitive (oligomeri), ma siccome nell'ambiente di reazione questi hanno una concentrazione più bassa delle catene polimeriche in accrescimento, si può trascurare la loro presenza.
[7]  Brisi, op. cit., pp. 435-436

 

Bibliografia

  1. Hamielec, Archie E., Hidetaka Tobita (2000). Polymerization Processes (http://127.0.0.1:49152/Wiley/lpext. dll?f=templates&fn=main-hitlist.htm&2.0). Ullmann's Encyclopedia of Industrial Chemistry (in inglese). DOI: 10.1002/14356007.a21_305 (http://dx.doi.org/10.1002/14356007.a21_305).
  2. Cesare Brisi, Chimica applicata, 3, Torino, Levrotto & Bella, 1997, pp. 431-458. ISBN 88-8218-016-6
  3. Vittorio Villavecchia; Gino Eigenmann, Gino Eigenmann, I. Ubaldini (a cura di), Nuovo dizionario di merceologia e chimica applicata (volume 5° Mangimi-Polistirene) (http://books.google.it/ books?id=rZU5kEeKOEMC&printsec=frontcover&source=gbs_navlinks_s), Hoepli, 1975. ISBN

88-203-0532-1

  1. Bernardo Marchese, Tecnologia dei materiali e chimica applicata (http://books.google.it/

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  1. Filippo Cangialosi, Proprietà e lavorazione delle materie plastiche (http://books.google.it/ books?id=CzBAkfXON2oC&dq=polimeri&lr=&source=gbs_navlinks_s), EuroPass. ISBN 88-89354-00-3
  2. Arie Ram, Fundamentals of polymer engineering (http://books.google.it/books?id=oquPY-e4ypgC& dq=polymer&lr=&source=gbs_navlinks_s) (in inglese), Springer, 1997. ISBN 0-306-45726-1
  3. Ronald D. Archer, Inorganic and Organometallic Polymers (http://books.google.it/ books?id=9KFwwpv6bGcC&dq=polymer&lr=&source=gbs_navlinks_s) (in inglese), Wiley-VCH, 2001. ISBN 0-471-24187-3
  4. Leslie Howard Sperling, Introduction to physical polymer science (http://books.google.it/ books?id=i7HMbG9MwnIC&dq=polymer&lr=&source=gbs_navlinks_s), 4 (in inglese), John Wiley and Sons, 2006. ISBN 0-471-70606-X
  5. Jan C J Bart, Polymer Additive Analytics: Industrial Practice and Case Studies (http://books.google.it/ books?id=HQ6ZniMlUP4C&dq=polymer&lr=&source=gbs_navlinks_s) (in inglese), Firenze University Press, 2006. ISBN 88-8453-379-1
  6. Ulf W. Gedde, Polymer physics (http://books.google.it/books?id=Iem3fC7XdnkC&source=gbs_navlinks_s) (in inglese), Springer, 1995. ISBN 0-412-62640-3

 

Voci correlate

  1. Polimero
  2. Chimica dei polimeri e delle macromolecole
  3. Materie plastiche
  4. Melt flow index
  5. Stampaggio di materie plastiche
  6. Grado di polimerizzazione

Classificazione delle materie plastiche

Polimeri termoplastici

 

I polimeri termoplastici sono polimeri formati da catene lineari o poco ramificate, non legate l'una con l'altra (ovvero non reticolate);[1] è sufficiente quindi aumentare la temperatura per portarli ad uno stato viscoso e poterli quindi formare.
Ogni volta che si ripete l'operazione di riscaldamento e formatura il materiale perde un po' delle sue caratteristiche.

Cristallinità

I polimeri termoplastici possono essere amorfi o semicristallini: i primi sono trasparenti, gli altri sono invece opachi. I polimeri amorfi al di sotto della temperatura di fusione hanno catene intrecciate e attorcigliate. Presentano una certa resistenza ed elasticità e se non sono caricati mantengono la loro forma.
I polimeri semicristallini sono invece costituiti da zone cristalline (in cui le catene polimeriche sono disposte in maniera ordinata, seguendo tutte la stessa orientazione) intervallate da zone amorfe.
Il comportamento dei polimeri amorfi è fortemente influenzato dalla temperatura: alla temperatura di transizione vetrosa (T ) i movimenti delle catene si riducono a tal punto che il materiale diviene compatto e rigido, e vi è una
g
variazione di circa tre ordini di grandezza del modulo elastico. La temperatura di transizione vetrosa non è costante, ma dipende dal peso medio ponderale e dalla velocità di raffreddamento del polimero.

Diagramma sforzo-deformazione

 

I polimeri termoplastici hanno comportamento elastico se sottoposti a piccole deformazioni (ovvero seguono la legge di Hooke), per cui se lo sforzo cessa vengono ripristinate le dimensioni che il provino aveva prima dell'applicazione dello sforzo, quindi la deformazione è reversibile.
Se vengono invece sottoposti a  deformazioni più marcate, hanno comportamento plastico, per cui una volta che lo sforzo è cessato il provino non ritorna alle dimensioni iniziali, bensì permane    una
certa aliquota di deformazione. Ciò è spiegato dal fatto che le molecole di polimero possono muoversi l'una rispetto all'altra e i legami che intercorrono tra le macromolecole sono legami di attrazione intermolecolare (ad esempio forze di van der Waals o legami idrogeno), più deboli dei legami chimici che possono esserci ad esempio nel caso di polimeri reticolati (elastomeri), i quali invece riassumono sempre le loro dimensioni iniziali.
Inoltre all'aumentare della temperatura e a parità di deformazione ottenuta è necessario applicare uno sforzo minore per deformare un polimero termoplastico (da cui il nome "termo-plastico").


Procedimenti di solidificazione

Le proprietà di un materiale termoplastico dipendono dalle condizioni di solidificazione, che sono:

  1. temperatura di stampaggio o reticolazione;
  2. tempo richiesto per tale processo. I procedimenti sono due:
  3. cristallizzazione;
  4. vetrificazione.

Nello studio è utile il diagramma (analogo alle curve di Bain per gli acciai) nel quale presenti le curve di fine e inizio trasformazione (che rappresentano la fine e l'inizio di cristallizzazione), con scala dei tempi logaritmica.
Al punto di fine cristallizzazione però non abbiamo il materiale 100% cristallino, ma abbiamo raggiunto il massimo grado di cristallinità del materiale. Poi abbiamo anche la curva di transizione vetrosa, che incide sull'addensamento delle macromolecole e sul volume libero del polimero (cioè lo spazio che rimane tra le macromolecole).
I tipi di raffreddamento possibili sono:

  1. raffreddamento rapido: si ottiene un materiale vetrificato in circa 10 secondi. Per altri materiali non è possibile fare ciò, perché servirebbe una velocità di raffreddamento elevatissima (esempio polietilene).
  2. solidificazione isoterma: ottenuta ad alte temperature; si ottengono strutture cristalline; la temperatura va mantenuta per tempi lunghi.
  3. raffreddamento continuo: con velocità tale da realizzare il materiale in un tempo utile; è quella più comune.

Morfologia

La morfologia dei polimeri termoplastici può essere:

  1. "a micelle frangiate": il materiale di base è diviso in due parti (zona cristallina e zona amorfa. Essendo la lunghezza delle catene tipicamente maggiore della lunghezza delle zone cristalline, si ha che una stessa catena fa parte di più zone cristalline.
  2. "a catene ripiegate": dalla solidificazione di una soluzione molto diluita si è scoperto che il cristallo singolo aveva la forma di una lamella, la quale aveva un'altezza di 100Å, minore dello spessore delle catene.

Nel caso di polimero ottenuto da fuso si forma una "superstruttura", in cui la lamella è l'elemento base, chiamato sferulite.

Esempi

Di seguito vengono elencati alcuni polimeri termoplastici:

  1. polietilene
  2. polipropilene
  3. polistirene
  4. polietilentereftalato
  5. nylon.

Note

[1]  Gedde, op. cit., p. 15

 

Bibliografia

  1. Ulf W. Gedde, Polymer physics (http://books.google.it/books?id=Iem3fC7XdnkC&source=gbs_navlinks_s) (in inglese), Springer, 1995. ISBN 0-412-62640-3

Voci correlate

  1. Elastomero
  2. Polimeri termoindurenti


Polimeri termoindurenti

 

I polimeri termoindurenti sono particolari polimeri che una volta prodotti non possono essere fusi senza andare incontro a degradazione chimica ("carbonizzazione").[1]
Sono polimeri reticolati, ma presentano un grado di reticolazione molto più elevato degli elastomeri, per cui le reticolazioni ostacolano la mobilità delle macromolecole, dando luogo ad un comportamento fragile.

Produzione

I polimeri termoindurenti vengono prodotti in due fasi: in una prima fase vengono prodotte le catene polimeriche, mentre nella fase successiva (che è rappresentata da un riscaldamento o da una reazione chimica catalizzata) le  catene polimeriche vengono fatte reticolare.[2] Lo stampaggio avviene durante la seconda fase di lavorazione.

Lavorazione

Le tecniche che possono essere utilizzate per lo stampaggio di questi polimeri sono:[2]

  1. Stampaggio a compressione: effettuato sottoponendo il polimero ancora non reticolato a compressione e riscaldamento
Stampaggio con trasporto a pistone
  1. Stampaggio ad iniezione: a differenza del processo di stampaggio ad iniezione dei polimeri termoplastici, lo stampaggio ad iniezione per i materiali termoindurenti avviene tramite riscaldamento.

Esempi

Di seguito vengono elencati alcuni polimeri termoindurenti:

  1. poliuretano
  2. resina epossidica
  3. polifenolo
  4. polidiciclopentadiene
  5. poliimmide.

Note

[1]  Gedde, op. cit., p. 15
[2]   http://www.mauriziogalluzzo.it/cladis_0607/plastiche/pdf/lavorazioni.pdf

 

Bibliografia

  1. Ulf W. Gedde, Polymer physics (http://books.google.it/books?id=Iem3fC7XdnkC&source=gbs_navlinks_s) (in inglese), Springer, 1995. ISBN 0-412-62640-3

Voci correlate

  1. Materie plastiche
  2. Polimeri termoplastici

 

Fonte: http://www.wikilibri.it/pdf/Materieplastiche.pdf

Sito web da visitare: http://www.wikilibri.it

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

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