Trattamenti acque grezze

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Trattamenti acque grezze

 

l’eliminazione dei solidi sospesi

La rimozione dei solidi sospesi è sempre il primo stadio di qualunque ciclo completo di trattamento. Le apparecchiature più utilizzate sono i sedimentatori e i filtri a sabbia o in pressione.

I solidi sospesi ed i colloidi

Si definiscono solidi sospesi tutti i solidi di dimensioni superiori a 0,45 μm. I solidi sospesi possono essere distinti in solidi sedimentabili (posto 1 l in un cono Imhoff, raggiungono il fondo entro 2 ore) e non sedimentabili. I colloidi si distinguono in colloidi idrofili, di origine org. assorbono in superficie uno strato di H2O; e idrofobi, di natura inorg., presentano un’interfase più netta.
L’aspetto caratterizzante dei colloidi è la repulsione elettrostatica che si esercita, tra le varie particelle, per opera di cariche disposte sulla superficie. La presenza di queste cariche può derivare da imperfezioni cristalline. La repulsione impedisce la collisione tra le particelle e la conseguente formazione di aggregati più voluminosi, e quindi più facilmente sedimentabili. Sulla superficie vengono attratti gli ioni opposti presenti nell’acqua. Quindi, nel caso di cariche negative sulla superficie si contrapporrà uno strato di cariche positive a diretto contatto con quelle negative; questo strato formato si chiama “strato di Stern”. Oltre questo strato si distingue un altro dove concentrazione degli ioni positivi è prevalente. Il valore del potenziale elettrico dello strato di Stern è detto potenziale zeta. L’avvicinamento di più particelle sarà possibile abbassando questo potenziale.

I coagulanti inorganici ed i polielettroliti

L’eliminazione dei solidi avviene mediante un trattamento chimico che sfrutta l’azione di due tipi diversi di sostanze, dette coagulanti, di natura inorganica o polielettroliti, di natura organica. La loro azione si compie in tutti i tipi di solidi sospesi. La loro azione viene svolta in due fasi: la prima, chiamata coagulazione, vengono destabilizzati i colloidi rendendo più facile la formazione di agglomerati voluminosi; la seconda fase, chiamata flocculazione, gli aggregati continuano ad ingrossarsi fino a diventare sedimentabili. I coagulanti sono costituiti da sali di ferro e alluminio: FeCl3, Al2(SO4)3 e altri chiamati PAC. Un’altra caratteristica di queste sostanze e quella di avere un ridotto raggio ionico con una carica elevata. I meccanismi in cui avviene la destabilizzazione sono diversi in funzione del pH. A pH acidi (o comunque quando in soluzione abbiamo i cationi) il meccanismo è la neutralizzazione di carica; la loro azione è quella di abbassare i valori di potenziale elettrico in prossimità della superficie del colloide. Maggiore sarà la concentrazione di sali, maggiore sarà l’effetto schermante. I precipitati di Fe(OH)3 e Al(OH)3 sfruttano come centri di nucleazione particelle colloidali in sospensione; si ha quindi la crescita di un precipitato amorfo in cui le particelle colloidali rimangono intrappolate. Questo meccanismo è detto di irretimento o swep floc. Dopo l’aggiunta di un flocculante il pH si base e va corretto con una base: la calce.
L’altra classe di sostanze usate sono i polielettroliti organici. Sono macromolecole organiche ottenute per processi di polimerizzazione. Le loro dimensioni sono paragonabili ai colloidi in sospensione. Possono essere non-ioniche, cioè possono avere una serie di cariche. Il funzionamento prevede la formazione di ponti interparticellari: le catene polimeriche vengono inizialmente adsorbite sulla superficie delle particelle solide, creando dei ponti tra le particelle. Maggiore è il peso molecolare del polimero maggiore sarà la capacità legante.
Bisogna seguire alcuni accorgimenti per la scelta del polielettrolita: quando i polielettroliti vengono usati da soli è preferibile usare polielettroliti cationici; se l’acqua è già stata trattata con coagulanti organici, è preferibile usare polielettroliti anionici.

Apparecchiature e condizioni operative

La rimozione dei solidi sospesi avviene in una sequenza a partire dalla grigliatura poi la sedimentazione, altrimenti la chiariflocculazione ed infine la filtrazione. In questa sequenza le dimensioni delle particelle separate diminuisce via via verso la fine del processo. La chiariflocculazione  è la formazione di fiocchi con l’ausilio di reagenti chimici. L’aggiunta di reattivi ad una corrente di liquido deve essere fatto in modo che ci sia una distribuzione omogenea.  L’aggiunta dei reagenti deve essere fatta ij piccoli volumi ed elevata turbolenza. Nel caso della flocculazione, che necessità di un certo gradoni agitazione; si ha la flocculazione ortocinetica. L’apparecchiatura che soddisfa queste condizioni operative è l’accelator. È un’apparecchiatura a pianta circolare, suddivisa in due zone: una centrale, dove entra l’acqua da trattare, i reagenti, coagulanti, polielettroliti e calce, si ha una circolazione del liquido e dei fanghi precipitati; la zona esterna, dove lo stato di relativa calma dell’acqua, che si muove verso l’uscita a velocità sempre più bassa, consentendo la sedimentazione dei solidi. L’efficienza di questo apparecchio non è del 100 %, quindi dopo il trattamento dovrà seguire la filtrazione.

 

l’eliminazione dei solidi disciolti

 

Durezza

Il trattamento di eliminazione della durezza viene chiamato addolcimento e si può effettuare con il metodo calce-soda, il metodo al fosfato, o le resine scambiatrici di cationi.

 

METODO CALCE-SODA

La calce e la soda vengono miscelati in parte e poi entrano a contatto con l’acqua da trattare in un reattore a forma cilindrica con il fondo tronco-conico, in cui nell’estremità inferiore escono i fanghi. Il reattore è costruito in modo che i fanghi vanno a depositarsi sul fondo e l’acqua trattata esce per troppo pieno tramite una valvola. L’acqua che esce ha circa 2-3 °F. L’acqua, prima di entrare nel reattore, viene fatto passare attraverso un scambiatore di calore, che serve per abbassare la viscosità, facilitando la separazione delle particelle solide. La miscelazione calce-soda porta alla formazione del CaCO3 che fa da centro di aggregazione e andranno ingrossandosi via via che procedono le reazioni di precipitazione.

 

METODO AL FOSFATO

Questo metodo è usato dopo il calce-soda. Questo metodo è usato per abbassare i gradi francesi. Lo si usa perché i fosfati di calcio e magnesio sono poco solubili in acqua e quindi facilmente separabili. Il reagente è il Na3PO4, ed è molto costoso, per questo viene usato solo per trattamenti di affinazione. L’acqua trattata con questo processo esce e va, infine, ad un filtro pressa.

 

LE RESINE SCAMBIATRICI DI IONI

Alcuni processi richiedono acque completamente prive di tutte le sostanze, sia sospese che disciolte, l’acqua con queste caratteristiche è chiamata acqua demineralizzata. Il metodo più economico, quando un acqua ha una bassa concentrazione di ioni disciolti, è quello con resine scambiatrici. Si definiscono scambiatrici di ioni quelle sostanze in grado di scambiare i loro ioni con quelli presenti nell’acqua. Oggi sono usate resine di origine sintetica (non più zeoliti e permutiti). Le resine si dividono in due categorie: cationiche e anioniche.
Le cationiche scambiano cationi e sono copolimeri con gruppi solforici, in grado di cedere ioni H+ per acquistare Mex+. Questo tipo di resina è acida forte. Un’altra resina cationici è quella che al posto del gruppo SO3H contiene il gruppo carbossilico –COOH in grado di cedere ioni H+, questa resina è acida debole. I calcio e il magnesio presentano grande affinità per le resine. Le resine si rigenerano in ambiente acido riprendendosi il loro ione H+ e cedendo il metallo.
Le anioniche si ottengono per sostituzione sulla macromolecola con gruppi a carattere basico: gruppi ammonio per le resine forti e gruppi amminici per quelle deboli. Le resine basiche deboli, aumentano la loro capacità di scambio in ambiente basico; però non riescono a scambiare gli anioni HCO3- e SiO32-. Per questi anioni si usa la resina forte. Le resine si presentano in forma granulare ed hanno un’elevata porosità.
Per raggiungere delle condizioni ottimali di funzionamento:

  • I solidi sospesi nell’acqua in ingresso devono essere assenti. Il trattamento con le resine deve essere preceduto da uno stadio di filtrazione.
  • Il tempo di contatto tra l’acqua e la resina non deve essere inferiore ai 2 min per le resine forti e 3 min per quelle deboli. Il tempo di contatto viene calcolato: .
  • Velocità di flusso. Velocità troppo basse creerebbero dei cammini preferenziali, lasciando parti di resina inattive. La velocità deve essere inferiore a 1 m/h.

Le resine con il tempo perdono la loro capacità e vanno cambiate con resina fresca. Il caso più semplice di applicazione delle resine è quella di deindurimento facendo uso di resine in forma sodica.
Le resine vengono usate nel processo di demineralizzazione delle acque con l’impianto di addolcimento con resina sodica. Le operazioni si effettuano in tre fasi:

  • Lavaggio in controcorrente, effettuato con acqua grezza per rimuovere eventuali particelle solide trattenute.
  • Rigenerazione con soluzioni concentrate di NaCl.
  • Lavaggio in equicorrente con acqua demineralizzata per rimuovere l’eccesso di soluzione rigenerante.

Questo processo è in grado di rimuovere quasi completamente la durezza ma, immettendo ioni Na+ si rischia il fenomeno della fragilità caustica. Per evitare questo problema si demineralizza l’acqua con l’impianto di decarbonatazione e addolcimento che fa uso di una resina acida debole ed una a scambio sodico, poste in parallelo. La resina acida debole elimina gli ioni della durezza temporanea. Dopo essere passata per le due resine passa ad una torre di degassaggio (decarbonatazione) che elimina la CO2 prodotta dalla resina acida debole.
Un’altra applicazione è la demineralizzazione che serve ad eliminare tutti gli ioni. L’impianto è costituito da 5 colonne:

  • C1 resina acida debole: elimina i cationi equivalenti a bicarbonato.
  • C2 resina acida forte: elimina tutti gli altri cationi.
  • C3 torre di decarbonatazione: elimina la CO2.
  • C4 resina basica forte: elimina tutti gli anioni compreso i silicati.
  • C5 resina a letto misto: contiene in alto, resina basica e in basso quella acida; serve per eliminare gli eventuali ioni non rimossi prima.

La demineralizzazione può essere effettuata tramite un impianto di demineralizzazione semplificato con l’uso di due colonne: una acida forte e l’altra basica forte.
Nel primo impianto abbiamo costi di installazione maggiori ma costi di reagenti inferiori, invece nell’impianto semplificato avremo costi di installazioni inferiori ma costi molto maggiori riguardo ai reagenti.
Le resine sono un trattamento ottimale quando il contenuto di soldi disciolti non supera i 350 ppm.

deferizzazione e demanganizzazione

Per eliminare ioni come Fe2+ ed Mn2+ ci si basa sulla reazione di ossidazione mediante ossigeno dell’aria; che li fa precipitare come idrossidi colloidali. Data la formazione di H+, l’ambiente alcalino favorisce la reazione che può essere eseguita in torri di areazione, seguite da uno stadio di filtrazione con filtri a sabbia o in pressione. Nel caso che sia richiesta una eliminazione completa a questo stadio è seguito un trattamento con permutiti al manganese che fanno precipitare sempre come idrossidi.
Per il degasaggio di un’acqua si utilizza l’aria come gas di strippaggio che è favorevole per l’eliminazione di tutti i gas tranne dell’azoto e dell’ossigeno. In questo caso provocheremo una saturazione. Per l’operazione di degasaggio totale si utilizza vapore d’acqua alla pressione di 5 ata e a 141°C. L’impianto funziona in questo modo: l’acqua da degasare viene preriscaldata e introdotta nella colonna di degasaggio (a piatti) dove, dal basso viene introdotto il vapore. Per effetto dell’elevata temperatura e della bassa pressione dei gas, essi lasciano l’acqua e vengono trasportati del vapore.
Per eliminare l’ossigeno si usa la deossigenazione chimica che sfrutta la seguente reazione: N2H4 + O2 → N2 + H2O.

la sterilizzazione

 

I composti del cloro nella sterilizzazione

I trattamenti chimici per eliminare i microrganismi in un acqua hanno la funzione di ossidare le sostanze ossidabili (organiche). La sterilizzazione chimica con i composti del cloro utilizza cloro gassoso (in passato), ipoclorito di sodio, biossido di cloro ed il cloruro di calce. L’ipoclorito ha una azione sterilizzante per il fatto che si inserisce nella membrana cellulare, per andare a reagire con l’enzima deidrogenasi fosfatica, inibendo la vitalità e la riproducibilità dei microrganismi. Contemporaneamente all’azione sterilizzante viene svolta un’azione ossidante sulle sostanze ridotte. Una particolare reazione è quella tra l’ammoniaca (prodotta dalle proteine) e l’acido ipocloroso, che porta alla formazione di cloroammine. Le cloroammine vengono definite come cloro combinato (cloro libero). In questa fase si hanno anche le reazioni tra altre sostanze organiche: fenoli e amminoacidi; i prodotti risultanti da queste reazioni sono di un odore sgradevole e quindi, l’acqua dovrà essere fatta passare attraverso carboni attivi. L’ipoclorito ha degli inconvenienti: reagisce con composti presenti nei terreni (acidi fulvici e composti umici) per dare una serie di composti detti trialo-metani (THM), sostanze molto cancerogene come il cloroformio e il dibromoclorometano. Per ovviare alla situazione si usa come ossidante biossido di cloro che offre molti vantaggi:

  • Non dà luogo a formazione di THM
  • Non reagisce con l’ammoniaca
  • Elimina i fenoli
  • È maggiormente persistente

Il suo dosaggio deve essere limitato in quanto ossida l’emoglobina del sangue.

Altre tecniche di sterilizzazione

La sterilizzazione può essere fatta sottoponendo l’acqua a radiazioni UV.
Un’altra tecnica è l’ozonizzazione. L’ozono è un gas facilmente instabile in grado di fornire ossigeno nascente, che è in grado di ossidare i composti. Viene usato subito appena prodotto proprio per la sua instabilità. È in grado anche di ossidare manganese e ferro.

i carboni attivi

 

Il metodo dei carboni attivi è usato per l’eliminazione di microinquinanti, sostanze a bassissima concentrazione nocive e di possibile reazione nei processi di clorazione dando luogo a problemi. Il metodo a carboni attivi è prodotto a partire di gusci di noci e mandorle e sono caratterizzati da un enorme superficie specifica. Questo fa sì che legami deboli che si formano tra carboni attivi e microinquinanti, consentono una elevata efficienza di rimozione. I carboni attivi sono in forma granulare e sono contenuti in colonne. Queste colonne devono sempre essere precedute da uno stadio di eliminazione totale dei solidi sospesi, altrimenti la torpidità andrebbe a ostruire i passaggi abbassando la superficie disponibile dei carboni attivi. Periodicamente bisogna lavare i filtri. È importante cambiare i filtri con regolarità sia perché la capacità dei carboni attivi va via via diminuendo, sia perché c’è il rischio che si formino microrganismi vari, anche nocivi.

dissalaggio acque salmastre

 

Osmosi inversa

Si usa per acque con una salinità elevata (da 500 a 50000 ppm). SI ottengono efficienze del 95 % nella rimozione di solidi disciolti e del 100 % nella rimozione di batteri, virus ecc. Il principio si basa sul fatto per cui: se  dividiamo una vasca tramite una membrana semipermeabile e nei due settori della vasca ci mettiamo, su uno acqua pura, e sull’altro acqua salina; l’acqua pura tenderà ad attraversare la membrana per aumentare la propria concentrazione, questo passaggio opporrà un rialzo del livello di acqua salina e quindi una pressione idrostatica maggiore (dislivello). Ia via che il fenomeno procede si avrà una diminuzione della differenza di concentrazione e un aumento del battente idrostatico. Il fenomeno si arresta quando le due forze si equilibrano.
Su questo principio si basa la tecnica dell’osmosi inversa: se nello stesso dispositivo applichiamo una pressione superiore di quella osmotica, l’acqua tenderà a passare da soluzione concentrata a quella meno concentrata. Le membrane usate sono a base di poliammidi aromatiche. Siccome dopo un certo tempo le membrane perdono la loro capacità, a questo trattamento si fa precedere uno stadio di filtrazione e uno di clorazione.

Evaporazione multiflash

In grandi stabilimenti dove si ha una grande disponibilità di vapore, il trattamento migliore è quello di evaporare l’acqua marina. Uno dei sistemi utilizzati è quello della evaporazione a multiplo effetto, che consiste in un numero di evaporatori posti in serie. Nel primo l’acqua viene portata all’ebollizione utilizzando vapore ad alta pressione, il vapore prodotto cede il calore di condensazione nell’evaporatore successivo, che viene alimentato con la soluzione uscente dal primo. La minore pressione di esercizio consente una ulteriore evaporazione. Il processo si ripete per un certo numero di evaporatori, consente di ottenere acqua ad elevata purezza.
Un sistema più economico è l’evaporazione multiflash: la soluzione si viene a trovare in ambienti posta a pressione via via decrescente, cosa che provoca la vaporizzazione di aliquote di liquido, che condensate vengono raccolte.

Elettrodialisi

Trova applicazione nella rimozione di solidi in acque mediamente salmastre (sino a 5000 ppm). L’acqua da trattare attraversa una cella provvista di elettrodi a cui è applicata una differenza di potenziale. Gli ioni con una certa carica migreranno verso l’elettrodo di carica opposta. La cella è ripartita in settori delimitati da membrane che consentono alternativamente il passaggio agli ioni positivi o a quelli negativi. Gli ioni negativi migreranno verso l’elettrodo positivo attraversando una sola membrana e la successiva no, la stessa cosa accadrà per gli ioni positivi. Alla fine verranno a crearsi delle zone prive di ioni.

 

Fonte: http://members.xoom.virgilio.it/alberto_chim/trattamenti%20acque%20grezze.doc

Sito web da visitare: http://members.xoom.virgilio.it/alberto_chim

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

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