Settori made in Italy

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Settori made in Italy

                                               I settori del Made in Italy

Un nuovo indicatore di competitività (Trade Performance Index) elaborato dall’UNCTAD (United Nations Conference on Trade and Development) insieme al WTO (World Trade Organization), sovverte l’opinione di una Italia industriale in debito di ossigeno nella competizione internazionale mostrando invece una realtà vincente e dinamica. Un Paese che produce moda, prodotti per l’arredo-casa, alimentari e tecnologia meccanica. Un Paese che è secondo solo alla Germania, ma che precede di gran lunga tutte le altre maggiori economie avanzate nella performance complessiva del commercio estero.

Secondo questo indicatore di competitività, prendendo in considerazione la performance complessiva nell’export e nel saldo commerciale, l’Italia nel 2006 figura al:

  • primo posto in 3 settori: tessile, abbigliamento e cuoio/calzature;
  • secondo posto in altri 4 settori: meccanica non elettronica, meccanica elettrica (che include gli elettrodomestici), nei prodotti manifatturieri di base (che includono prodotti in metallo, ceramiche) e nei prodotti miscellanei (che includono occhiali, oreficeria, articoli in materie plastiche);
  • sesto posto negli alimenti trasformati (che includono i vini).

Dunque, il commercio estero si conferma un punto di forza dell’economia italiana ed i risultati dell’export italiano sono stati particolarmente positivi sia nel 2006 che nel 2007, ed anche nella prima parte del 2008, nonostante il peggioramento del clima congiunturale mondiale.
I settori di eccellenza sono quelli del made in Italy, quelli delle 4A (Abbigliamento-moda, Arredo-casa, Apparecchi-macchine, Alimentari-vini) o delle 3F (Food, Fashion And Furniture). Si tratta di settori fortemente distrettualizzati che nel 2006 hanno raggiunto un nuovo record storico nel surplus commerciale generato, toccando i 92 miliardi di euro.

Moda/tessile.
Il fashion, che comprende non solo abbigliamento ma anche pelletteria, arredamento e accessori come orologeria o occhialeria, è uno di quelli che da sempre traina l'Italia, in un contesto mondiale di costante crescita (+10% all'anno) che ha comportato il raddoppiamento del valore negli ultimi 10 anni, fino all'attuale soglia di 220 miliardi di dollari. L'unico elemento economico di incertezza, cioè la contrazione del mercato statunitense, è tra l'altro controbilanciato dalla crescita dei mercati del Far East.
Secondo una ricerca di Sistema Moda Italia, il fatturato del settore nel 2007 è cresciuto complessivamente del 2,6%. Grazie alla buona dinamicità che ha caratterizzato la prima parte dell'anno, il 2007 si è chiuso con un incremento medio di fatturato del 2,6%, che ha consentito alle vendite di riportarsi sopra quota 54 miliardi. Anche la dinamica del valore della produzione (una sorta di stima del valore dell'attività realizzata in Italia, al netto dei proventi derivanti dalla commercializzazione di beni/prodotti acquistati all'estero) si è confermata positiva (+2,4%). Nonostante il recupero del fatturato, continuano le difficoltà sul lato occupazionale: il report stima oltre 1700 chiusure aziendali (-2,9%). Le esportazioni di abbigliamento-moda hanno invece ottenuto lo scorso anno i risultati migliori (+6,3%) della storia recente. In termini di aree di sbocco, un contributo determinante è giunto lo scorso anno dai mercati non-Ue “vicini” (es. Russia), ma anche in ambito europeo si sono ottenuti buoni risultati.
Cina e Hong Kong hanno confermato di poter essere anche un' “opportunità” per le

 

aziende italiane (l'area si è mantenuta in crescita e si configura ormai come l'ottavo mercato di sbocco per il Made in Italy). E' però sul mercato all'importazione che si conferma il ruolo dominante della Cina che ha coperto, da sola, oltre un quarto dell'import totale (a valore) di abbigliamento, sottraendo ulteriori ambiti ai fornitori est-europei. Il gigante asiatico ha aumentato sensibilmente anche la propria capacità competitiva in ambito tessile, spiazzando praticamente tutti i tradizionali fornitori e arrivando a controllare il 18% circa del mercato all'import.

Agroalimentare
Internazionalizzazione, apertura al mercato e politiche di marchio tra i fattori chiave del successo di 150 imprese leader del settore secondo un sondaggio Censis commissionata da Confagricoltura. La larga maggioranza delle aziende analizzate punta oggi a un forte processo di ottimizzazione e di efficienza dell'organizzazione, agendo sia sulla razionalizzazione dei costi e dei canali di accesso ai mercati (58,2% del campione) che sulla crescita e acquisizione di figure professionali “alte”. Il sondaggio evidenzia la grande attenzione all'aspetto qualitativo: il 65% degli intervistati dichiara di avere come obiettivo il miglioramento costante del livello qualitativo delle produzioni (ma il dato supera il 70% degli imprenditori nel comparto florovivaistico, dell'ortofrutta, olivicolo e vitivinicolo), cui si aggiunge una interessante quota del 23% che punta in via prevalente sui processi di diversificazione. Nei meccanismi di commercializzazione (anche e soprattutto attraverso sistemi cooperativi e di rete) si innesta un ulteriore elemento rappresentato dalla “leva di marchio”. Ben l'81% delle imprese leader realizza una parte o tutti i prodotti ricorrendo ad una strategia fondata su un brand (sia esso aziendale, o di certificazione di prodotto tipico). Ma soprattutto la ricerca Censis/Confagricoltura evidenzia come ben il 46% del campione commercializzi attraverso un proprio marchio ed il 26% con un marchio consortile.

Vinicolo
L'Italia è il primo paese al mondo per esportazioni vinicole, davanti a Francia e Spagna. Lo segnala il rapporto mondiale 2007 dell'Oiv (Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino). La Francia si conferma il maggior produttore al mondo, con 48.400 migliaia di ettolitri, pari al 17,86% del totale mondiale. L'Italia la tallona da vicino, con 47.981 migliaia di ettolitri, ovvero il 16,61% globale. Al terzo posto si trova la Spagna, e al quarto gli Stati Uniti, che grazie al crescente successo della produzione californiana, controllano ormai una quota del 7,39%. I dati migliori arrivano dall'export: l'Italia nel 2007 ha esportato 18.800 migliaia di ettolitri di vino, pari al 20,56% del volume complessivo mondiale. Il dato assicura al nostro paese il primato globale dell'export, nettamente davanti a Spagna (15.293 migliaia di ettolitri) e Francia (15.151). Il 2007 è stato un anno positivo per l'export vinicolo italiano negli Stati Uniti: 845 milioni di litri venduti, e un incremento dell'8% sul 2006. Ma se gli Stati Uniti si confermano un mercato decisivo per l'export vinicolo italiano, la Cina è destinata presto a diventarlo: dal 2003 al 2007 le esportazioni italiane sono passate da 400.000 a 20 milioni di dollari. Una vera e propria esplosione se si considera che il principale canale di collocamento del prodotto è quello della ristorazione. In questo Paese oggi il vino "made in Italy" è simbolo del cambiamento sociale per una fascia di popolazione con reddito medio-alto di circa 200 milioni di persone.
Segnali d'allarme per l'export italiano arrivano però dai dati preliminari diffusi dall'Istat relativi al primo trimestre 2008: l'Italia ha spedito nel mondo 3,9 milioni di ettolitri di vino, ovvero il 9,1% in meno rispetto al corrispondente periodo del 2007.

 

 

 

Le sfide del settore: si sta assistendo all'allargamento del concetto di bene di lusso e dei mercati di riferimento. Si sta andando verso quello che viene definito “mass product luxury”, dove il branding è fondamentale. Cambia poi il comportamento degli utenti, sempre più internet-based e condizionati, nella scelta degli acquisti, dalle informazioni presenti sul Web. Si assisterà allo sviluppo di format innovativi per il punto vendita, al fine di sfruttare la convergenza tra tecnologie Web e mobile, per creare esperienze multisensoriali. Dato che la direzione è quella del superamento del paradigma prodotto-centrico verso una visione centrata sull'utente/cliente, è necessario improntare piani di marketing granulari, destinati il più possibile a singoli individui, tenendo conto delle istanze che da questi provengono.
Poiché la filiera del tessile è segnata dall'estrema frammentazione produttiva (vi sono anche 10/15 transazioni fra l'inizio della produzione e il prodotto finito sul mercato), un maggiore coordinamento è perseguibile in due modi: con la reintegrazione verticale (le aziende, cioè, si riportano in casa ciò che avevano esternalizzato), oppure con la reintegrazione virtuale, che può essere realizzata solo mediante le tecnologie Ict.

 

Lo sapevate che…

  • abbiamo raggiunto un bel secondo posto in competitività per il commercio estero nella Trade Performance Index di ONU e WTO;

 

  • 8 milioni di copie dei Promessi Sposi sono state di recente pubblicate in Cina;
  • 100mila persone nel mondo siedono ogni sera ad uno spettacolo sulle creazioni Poltrona Frau;

 

  • 123 boutique Cartier sparse nel mondo sono arredate da Molteni; 
  • nella Morgan Library di New York i libri si consultano su 236 sedute disegnate da Renzo Piano;

 

  • 78.000 persone al mondo sono iscritte ai soli corsi di lingua italiana tenuti dagli Istituti di Cultura Italiani per un aumento complessivo del 40% in 7 anni;
  • il mercato del vino italiano cresce del 6% nel primo semestre di quest’anno.

 

Fonte: http://www.civita.it/content/download/31374/215480/file/I%20settori%20del%20Made%20in%20Italy.doc

Sito web da visitare: http://www.civita.it

Autore del testo: Ara Pacis

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