Leopardi formazione

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Leopardi formazione

GIACOMO LEOPARDI

BIOGRAFIA

Nato a Recanati nel 1798 da una famiglia di antica nobiltà ma con scarse risorse economiche,  crebbe, primo di dieci figli di cui cinque morti in tenera età, in un ambiente chiuso e retrivo di  provincia, di cui sentí sempre l'oppressione (suo unico rifugio l'abbandono dell'anima ai sogni e alle  speranze). Di intelligenza e sensibilità precoci, dopo una prima educazione ricevuta dal padre,  conte Monaldo, e dai precettori, appena decenne si dedicò a una ricerca intensa, da autodidatta,  nella ricca biblioteca paterna e consumò sette anni in uno studio «matto e disperatissimo».  Acquistò, cosí, una perfetta conoscenza del greco, del latino, dell'ebraico e delle principali lingue  moderne. All'età di quattordici anni già componeva in versi e scriveva prose non prive di valore  letterario. Intanto, mentre sempre piú chiara si andava manifestando la sua spiritualità di poeta, il  suo fisico era fiaccato da dolorose infermità che lo costrinsero ad allentare gli studi. Fu per lui un  grande dolore che incise non poco sulla sua concezione della vita come delusione e amarezza. In  questi anni si allontanò dalla fede cristiana e aderí alle teorie materialiste e meccaniciste che  escludevano ogni prospettiva soprannaturale.   Di scarso aiuto gli fu la famiglia: la madre, Adelaide Antici, figura gelidamente autoritaria, non gli  dette mai confidenza e il padre, letterato e storico, aveva una mentalità troppo conservatrice per  capire le inquietudini di questo figlio tanto sensibile. Maggiore familiarità il Leopardi l'ebbe con il  fratello Carlo e con la sorella Paolina di poco piú giovane di lui, ma di ben diverso temperamento.   Insofferente dell'ambiente gretto del «selvaggio borgo natio», tormentato da un profondo travaglio  interiore, dopo un tentativo di fuga del 1819, nel 1822 ottenne di recarsi a Roma. Ma anche qui la  vita gli apparve meschina e noiosa; I'ambiente culturale romano, dominato da un classicismo ormai  superato, gli tolse l'illusione che fuori di Recanati ci fosse maggiore felicità e vivacità e lo convinse  della irrimediabile mediocrità della vita umana. Perciò l'anno successivo ritornò a Recanati.   Sempre desideroso di evasione, nel 1825 si trasferí a Milano dove si guadagnò la vita presso  l'editore Stella, per il quale allestí una Crestomazia (antologia) di autori italiani dal Trecento al  Settecento e con cui aveva un contratto per sovrintendere a una edizione delle opere di Cicerone;  ma le condizioni di salute non gli permisero di completare l'opera. Nella capitale lombarda restò per  breve tempo; fu quindi a Bologna, a Firenze, a Pisa ove gli sembrò di avere trovato un ristoro alle  sue sofferenze. A Firenze ebbe amichevoli rapporti con gli intellettuali che si stringevano intorno a  Pietro Vieusseux e alla rivista Antologia. A Pisa, nel 1828, ritrovò l'ispirazione poetica e riprese a  scrivere versi, dopo una parentesi di silenzio poetico che durava dal 1821, quasi ininterrottamente.   Peggiorate tuttavia le condizioni di salute, nel 1828 ritornò alla casa paterna; ma sentí presto, di  nuovo, I'oppressione del chiuso ambiente della famiglia e della provincia da cui si allontanò  definitivamente due anni dopo, per raggiungere Firenze. Qui lo avevano richiamato alcuni amici  devoti e generosi come Pietro Colletta, Nicolò Tommaseo, Giovan Battista Niccolini, e altri e qui  conobbe Antonio Ranieri, un giovane esule napoletano con il quale si legò di fraterna amicizia. Furono quelli gli anni dell'infelice amore del poeta per Fanny Targioni Tozzetti, ma l'amara delusione che  ne ebbe prostrò ulteriormente il suo animo. Nel 1833, sempre piú angosciato e piú ammalato,  accettò l'invito del Ranieri di recarsi a Napoli dove visse, assistito fraternamente dall'amico e dalla  sorella di lui, Paolina, fino al 1837.  

OPERE DEL LEOPARDI:  

CANTI: sotto questo titolo il poeta raccolse 41 componimenti lirici, scritti dal 1818 fino agli ultimi  giorni di vita. Non sono comprese nella raccolta l'Appressamento della morte e alcune altre poesie  minori. Secondo i motivi d'ispirazione e le caratteristiche dello stile, i Canti comprendono canzoni  patriottiche, canzoni di contenuto filosofico o dottrinale, idilli, liriche d`amore.   degli idilli, componimenti di soggetto georgico e semplice, a imitazione del poeta greco Mosco che  egli tradusse, il Leopardi volle esprimere «situazioni, affezioni, avventure dell'animo suo proprio». Si  è soliti suddividerli, per una consuetudine che risale al De Sanctis, in «piccoli e grandi idilli». I  piccoli idilli furono composti fra il 1819 e il 1821 e pubblicati dal milanese «Nuovo Ricoglitore» in  due parti: nel dicembre 1825 e nel gennaio 1826 (II sogno, L'infinito, La sera del di di festa, Alla  luna, La vita solitaria, Frammento XXXIII Sono liriche nate prevalentemente dalla contemplazione e  dal ripiegamento interiore del poeta che indaga in se stesso il dolore della vita. I grandi idilli, invece,  furono scritti fra il 1828 e il 1830, dopo quasi sei anni di silenzio poetico e di riflessione filosofica (II  risorgimento, A Silvia, Le ricordanze, ll passero solitario, La quiete dopo la tempesta, II sabato del  villaggio, Canto notturno di un pastore errante dell'Asia). Sono composizioni piú complesse che, al  di là del bozzetto descrittivo, si aprono alla riflessione filosofica sulle leggi generali della vita umana.  
OPERETTE MORALI: è questo il titolo di una raccolta di 24 prose (di cui alcune in forma di dialogo)  scritte quasi tutte fra il 1824 e il 1827, un periodo in cui il poeta credette di non avere piú ispirazione  per la poesia. In esse il poeta ci offre un'esposizione, sotto certi aspetti organica, del suo pensiero  e, soprattutto, ci dà la possibilità di intendere il suo cosiddetto pessimismo seguendo alcuni motivi  di riflessione trasfigurati in motivi fantastici come Felicità, Piacere, Noia, Speranza, ecc. Esse  scandiscono con compiutezza i temi centrali delle convinzioni leopardiane: la vana ricerca della  felicità (Storia del genere umano), l'inesistenza del piacere (Dialogo di T. Tasso e del suo Genio  familiare), il desiderio della morte (Cantico del gallo silvestre), la speranza nel futuro che si ignora  (Dialogo del venditore di almanacchi), la polemica contro le supposte «verità del secolo» (Dialogo di  Tristano e di un amico)... Questi scritti, oltre che per la profondità del contenuto, si impongono per  l'eleganza dello stile e possono essere considerati «quasi come un commento ai Canti»,  poeticamente non inferiori ad essi.  
PENSIERI: sono 111 in tutto e, sebbene scritti in uno stile molto curato, denotano una profonda  stanchezza; essi sono ricollegati alle ultime poesie del Leopardi, al suo stato d'animo pieno di  amarezza e di dolente disinganno.  
L0 ZIBALDONE: una raccolta di note, appunti, riflessioni, commenti, osservazioni linguistiche,  versi, ecc. che il poeta venne annotando dal luglio 1817 al dicembre 1832. Un materiale  interessantissimo per la ricostruzione e la comprensione della vita e del cammino poetico del  Leopardi. Fu pubblicato per la prima volta nel 1898-900, per il centenario della nascita del poeta, a  cura di una commissione presieduta da G. Carducci.  

 

FASI DELLA FORMAZIONE E DELLO SVILUPPO  DELLA POETICA LEOPARDIANA  

Alla formazione culturale e poetica del Leopardi contribuirono prevalentemente:

le idee del Classicismo   Tutta la sua erudizione degli anni giovanili fu impostata sullo studio delle lingue e delle letterature  latina e greca oltre che sui modi della cultura del Sei Settecento, umanistica e filologica. Aveva  letto e amato Cicerone, Orazio, Lucrezio oltre a tanti autori minori della classicità. Di questa sua  formazione gli rimarrà la compostezza formale, la chiarezza dei concetti, I'amore per il bello  plastico e oggettivo, la spiritualità in cui il suo dolore spesso si trasfigura. Nella sua polemica  antiromantica, si considerò sempre un «classico». Del resto, della cultura settecentesca il Leopardi  non rifiutò mai il materialismo sensistico e il meccanicismo, avvalorati dalla cultura classica e  illuministica (Locke, Leibniz, Voltaire, Montesquieu...).

le influenze preromantiche.   Dopo il 1817, anno della sua «conversione dall'erudizione al bello», il Leopardi abbandonò l'arida  filologia per dedicarsi alla poesia, cioè ad un apprezzamento nuovo dei valori poetici. Fu il periodo  dell'incontro con i grandi poeti italiani della migliore tradizione, da Dante al Tasso, al Foscolo...  Furono assai importanti per la sua formazione: I'amicizia con Pietro Giordani (17741848), il dotto  stilista neoclassico; la lettura del Rousseau le cui idee sulla natura e sul primitivismo, come  espressione di umanità non contaminata dal progresso, divennero la base della sua filosofia della  vita; le opere dell'AIferi, specialmente la Vita come espressione di idealismo eroico; le opere del  Foscolo e del Monti, il primo, poeta dell'idealismo sentimentale, e il secondo, di un idealismo  vagamente mistico. Dietro queste suggestioni, il Leopardi compone i primi canti, come All'ltalia,  Sopra il monumento di Dante, Appressamento della morte, A un vincitore di pallone...  

le idee del Romanticismo.   Nel 1819 si apre una nuova fase della vita poetica leopardiana con la «conversione dal bello al  vero», dalle lettere alla filosofia, dalla poesia d'immaginazione alla poesia di sentimento. Questa  conversione è frutto dell'aprirsi del poeta all'interesse per le lingue moderne e alla lettura sempre piú  attenta degli scrittori contemporanei: Goethe, Chateaubriand, Madame de Staël, L. di Breme,  Berchet... Cosí la sua poesia si orienta su contenuti che vengono dall'intimo sentire e si avvia alla  formulazione di un sistema tutto personale, incline alla malinconia e alla contemplazione,  all'inquietudine, al pessimismo che lo accomuna ai poeti romantici europei piú che italiani  (Holderlin, Byron, Shelley, de Vigny...).  

 

 

LA POETICA LEOPARDIANA  

Si basa su un originale sistema filosofico imperniato sulla dialettica dei concetti di natura e ragione:  —la natura ha creato gli uomini felici, la ragione e principio della loro miseria;   —la natura è regno del bello, delle illusioni, della poesia, degli eroici entusiasmi, la ragione è regno  del vere che inaridisce la poesia e scarnifica i sogni e le illusioni.   Seguendo questa logica la storia dell'uomo si risolve in una reale decadenza dalla primitiva,  inconsapevole felicità a una condizione finale di cosciente dolore.   Siamo nella cosiddetta prima fase del pessimismo leopardiano o pessimismo storico.   Ma nel 1824, durante la composizione delle Operette morali, indagando a fondo sul concetto  rousseauiano di natura e scoprendone la qualità mitica e fantastica piú che razionale, conclude che  la stessa natura, per «necessità della legge di distruzione e riproduzione... è persecutrice e nemica  degli individui... e comincia a perseguitarli nel punto medesimo in cui li ha prodotti». La natura,  quindi, inganna l'uomo promettendo una felicità che poi non concede, allettandolo con illusioni la  cui sola certezza è la morte. Ecco che la natura è vista non piú come madre benevola, ma come  matrigna e tutta la vita umana è concepita da Leopardi come dolore: I'uomo è vittima della natura,  <<il brutto poter che, ascoso, a comun danno impera», e la sua aspirazione alla felicità è illusione  irraggiungibile. Su questo tema insistono le Operette (Dialogo della Natura e di un'anima, Dialogo  della Natura e di un Islandese, Cantico del gallo silvestre...) e da qui scaturisce quel concetto  leopardiano ancora piú cupo del pessimismo umano o storico che associa in una legge di dolore  tutta I'umanità, non il singolo individuo.   Non passerà molto e già Leopardi medita su un dolore ancora piú vasto che coinvolge tutto  l'universo, il pessimismo cosmico, punto di arrivo della sua filosofia: anche gli astri del cielo e gli  animali irrazionali forse soffrono della stessa monotonia della vita di cui soffrono gli uomini, un tedio  senza scampo (Canto di   pastore errante dell'Asia).

L'ULTIMO LEOPARDI  

La lirica del Leopardi dopo il: secondo periodo recanatese e l'esperienza dell'amore infelice per  Fanny Targioni Tozzetti, subí una svolta importante, risolvendosi in una lucida sintesi di tutti i temi  precedenti, considerati con ottica nuova e soprattutto con uno spirito virilmente maturo e  consapevole. Già nel «Ciclo di Aspasia», che piú direttamente è legato alla negativa esperienza  dell'amore fiorentino, il poeta non assume un atteggiamento di ripiegamento e di disperazione, ma  quasi ritrovando il suo tragico titanismo giovanile, reagisce con fermezza, difende con energia la  sua dignità morale, mostra il coraggio di contrapporre al mondo ignobile la sua tragica condizione di  uomo.   Troviamo un Leopardi combattivo che, anche nei successivi componimenti poetici (Le odi sepolcrali,  la Palinodia al marchese Gino Capponi, Il tramonto della luna...), afferma la sua piena maturità di  poeta e sa tramutare il suo pessimismo in un eroico ed energico richiamo alla moralità. Nella  Ginestra, infatti, si fa promotore di una eroica fraternità fra tutti gli uomini, ben consapevoli della  comune sorte di dolore, ma solidali nel voler combattere la crudele Natura. È questa la lucida e  spoglia morale laica che Leopardi contrappone alle tesi spiritualiste cattoliche e progressiste del  «secol superbo e sciocco» che intendeva proporre consolatorie illusioni di religione o di progresso.   «Anche il linguaggio, in queste poesie, è veramente nuovo, non il linguaggio vago indefinito tenero e  nostalgico degli idilli, ma una lingua intensa e vibrante... energica e piena di slancio» (N. Sapegno).  

I MOMENTI DELLA VITA POETICA

Dal punto di vista della poesia, la vita del Leopardi si può scandire in cinque momenti fondamentali:


1818-1821

Tentativo di fuga da Recanati.   Conversione al convincimento ateo-materialista derivato dal sensismo e razionalismo  settecenteschi e conseguente rinnegamento della religione cattolica. Inizia la composizione dei  Piccoli Idilli.

I° periodo di Recanati

1822-1826

Silenzio poetico. Esperienze fuori di` Recanati. L Milamo Pisa - Firenze Composizione della  maggior parte delle Operette morali.

Periodo   dell' «acerbo vero»

1827-1830

Rientro a Recanati,«esilio di rabbia, di noia e di malinconia». Risorgimento poetico e composizione  dei Grandi Idilli.

II° periodo  di Recanati

1831-1833

Secondo periodo fiorentino; dall'amore infelice per Fanny Targioni Tozzetti nascono i Canti del ciclo  di Aspasia:

  • II pensiero dominante
  • Amore e morte
  • Consalvo
  • A sè stesso
  • Aspasia

1834-1837

Muta l'atteggiamento del poeta di fronte alla virile consapevolezza del «male di vivere»; non  ripiegamento, ma sfida titanica e invito alla fraternità fra tutti gli uomini in un eroico e positivo gesto  di sfida contro la Natura malvagia.

Periodo napoletano

 

 

 

CRONOLOGIA DEI CANTI  

1817 1l primo amore.   1818  Sopra il monumento di Dante che si preparava in Firenze.   1819 L'infinito; Alla luna.   1820 Ad Angelo Mai quand'ebbe trovato i libri di Cicerone; La sera del di di festa.   1821 A un vincitore di pallone; Nelle nozze della sorella Paolina; II sogno; La vita solitaria.   1822 Alla primavera o delle favole antiche; Inno ai patriarchi o de' principi del genere umano; Ultimo  canto di Saffo.   1823 Alia sua donna. 1826 Al conte Carlo Pepoli. 1828 11 risorgimento; A Silvia.   1829 Le ricordanze; La quiete dopo la tempesta; II sabato del villaggio; II passero solitario.   1830 Canto notturno di un pastore errante dell'Asia.   1831 11 pensiero dominante.   1832 Amore e morte; Consalvo. 1833 A se stesso.   1834 Aspasia.   1835 Sopra un bassorilievo antico sepolcrale; Sopra il ritratto di una bella donna, scolpito nel  monumento sepolcrale della medesima; Palinodia al marchese Gino Capponi.   1836 La ginestra. 1837 11 tramonto della luna.   ALTRE OPERE LEOPARDIANE   Traduzioni: idilli di Mosco; Manuale di Epitteto; Batracomiomachia di Omero.   1813 Storia dell'astronomia.   1815 Saggio sopra gli errori popolari degli antichi.   1816 inno a Nettuno.   1817 Lettera ai sigg. compilatori della «Biblioteca italiana».   1818 Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica.   1834 Paralipomeni alla Batracomiomachia.


LE IDEE E LA POETICA IN SINTESI  

La poesia del Leopardi rientra nel filone del Romanticismo pur conservando caratteristiche originali.  Egli dice che la poesia deve nascere da un sentimento sincero, da quel senso vago e profondo che  ribolle nell'animo. La poesia deve essere soprattutto musica e perciò svincolata dalla rima (ecco  perché nelle sue liriche preferisce il metro libero, un fluire di endecasillabi e settenari sorretti dal  ritmo melodico). Di qui il titolo di Canti o voci dell'anima. Ma l'anima le o è costantemente incline  alla malinconia: la vita appare al poeta come dolore; la gioia, egli dice, è soltanto momentanea, è  cessazione di dolore, di affanno, di ansie, è una parentesi piú o meno breve tra una sofferenza e  l'altra. E al di là del dolore c'è la noiail «tedio» peggiore della sofferenza stessa perché spegne nel  cuore il desiderio di vivere. Molti dei Canti si aprono con note avvincenti: canti di uccelli, paesaggi  sereni, primavere in fiore; poi la meditazione porta il poeta a considerazioni amare perché egli vede  in quella affascinante bellezza un subdolo inganno per l'uomo, vittima inerme di una continua,  latente malvagità della natura. Siamo in un atteggiamento di pessimismo. Ma forse soltanto il  poeta, con intuito piú fine, è capace di avvertire il reale dramma della vita, mentre gli altri uomini  vivono spensierati e felici (pessimismo individuale: Il passero solitario). Non è vero, riconosce  Leopardi; tutti gli uomini, quando aprono gli occhi sulla realtà, «all'apparir del vero», sono delusi  perché la natura, madre e vita, che prima era apparsa bella e benevola alimentatrice della speranza  umana, si manifesta come una spietata matrigna che gode a sottrarre tutte le illusioni che aveva  suscitato; quindi tutti sono soggetti alla stessa legge di disinganno (pessimismo umano o storico:  A Silvia) Allora sono felici gli esseri irrazionali, inconsapevoli di speranze e di dolori? No, dice il  poeta; la natura che rende infelice l'uomo forse rende infelici anche tutti gli altri esseri del creato  che non sono capaci di esprimere la loro sofferenza (pessimismo cosmico: Canto di un pastore  errante dell'Asia Tuttavia questo pessimismo così totale non distrugge la poesia del Leopardi, anzi  ne è la struttura portante e la eleva alle note piú alte. Nell'antagonismo tra ragione e sentimento, tra cervello e cuore, sentiamo prevalere le immagini liriche che cantano la  bellezza della natura e la realtà poetica delle scene paesane (La quiete dopo la tempesta, 11  sabato del villaggio...).   Non si può, quindi, parlare, per Leopardi di un pessimismo in senso filosofico che porterebbe alla  negazione assoluta della vita; il «pessimismo» leopardiano non spegne nell'anima il sogno, ma  suscita !a commozione; il poeta, anche amareggiato dalle delusioni, non può fare a meno di godere  delle bellezze di quella stessa natura che vorrebbe odiare. E così canta la primavera e l'età piú bella  della vita, la fanciullezza spensierata e l'adolescenza in cui fioriscono i sogni e le speranze, ma non  la giovinezza che, presa coscienza della triste realtà, vede il sogno frantumarsi nella delusione e la  gioia naufragare nel «vero» (A Silvia)

II PIACERE, IL VAGO E L'INDEFINITO  

Proviamo a seguire lo sviluppo del pensiero leopardiano relativo alla natura del pia cere e della  felicità temi da lui fissati nello Zibaldone dal 1820 in poi.   Per Leopardi l'attività umana si fonda sulla ricerca e sul bisogno del piacere, desiderio infinito e  perciò irraggiungibile, dati i limiti della natura umana. Solo l'immaginazione porta a figurarsi pi aceri  infiniti.   II piacere, per lui, è nell'immaginazione de piacere stesso o nell'attesa di un futuro pia cere o nella  cessazione del dolore (il piacere è «figlio d'affanno» - La quiete dopo L tempesta -).   La vita dell'uomo è un continuo alternarsi • del desiderio di piacere, che resta inappagato;   • dello stato di infelicità e di dolore che ne deriva;   • della noia, peggiore dello stesso dolore perché è uno «stato di indifferenza e senza passione».   Ma, se la vita non è che infelicità e noia, I'uomo cerca una soddisfazione illusoria al suo desiderio di  infinito rivolgendo l'animo a ciò che è vago e indefinito, impressioni suscitate in lui da particolari  suoni o canti (11 passero solitario, La quiete dopo la tempesta ..) o da visioni suggestive quale, per  esempio, la siepe (vedi L'infinito) che gli permette di spaziare con l'immaginazione nelle sconfinate  distese di spazio e di tempo   Anche i ricordi, specialmente quelli legati all'infanzia e alla prima adolescenza, costituiscono una  parte importante della sua «teoria del piacere» in quanto suscitano sensazioni indefinite e vaghe  che danno «diletto» (vedi Alla luna).

 

Fonte: http://materialefossati.altervista.org/download/GiacomoLeopardi_Samb.doc

Sito web da visitare: http://materialefossati.altervista.org/

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

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