Manzoni L’Adelchi

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Manzoni L’Adelchi

L’Adelchi (1822)
Tragedia in 5 atti. Manzoni invita gli Italiani a liberarsi dallo straniero (moti del 1820-’21). Realismo storico. Manzoni rievoca episodi degli anni  772-774 dell’ultimo periodo della dominazione longobarda in Italia, un’epoca storica sanguinosa in cui sembrano trionfare solo i più forti. Ѐ la tragedia della “provvida sventura”.
PREMESSA
Prima di vedere in sintesi di quali argomenti tratta la tragedia, è bene ricordare che Manzoni aveva letto l’ ”Ivanhoe” di Walter Scott, romanzo storico, da cui aveva preso spunto per la composizione dei “Promessi Sposi”: raccontare una vicenda di fantasia che si intrecciasse con fatti storici concreti e ben documentati; infatti nei “Promessi Sposi” la vicenda privata di Renzo e Lucia si dipana sullo sfondo storico rigorosamente documentato delle condizioni della Lombardia del ‘600.
Per “romanzo storico” si intende un romanzo ambientato in un’epoca lontana, ricostruita con un certo rigore attraverso una documentazione inerente non solo i fatti, ma anche le usanze, i costumi, ecc. Il concetto-base del romanzo storico di W. Scott era quello di una storia quotidiana che si sviluppasse sullo sfondo di grandi eventi storici, nella fattispecie lo scontro tra Sassoni e Normanni. Ivanhoe era un nobile cavaliere normanno, fedele al re Riccardo Cuor di Leone; nella trama della vicenda, il protagonista resta coinvolto in numerose avventure prima di poter sposare una principessa sassone, sancendo così simbolicamente la fine del conflitto tra Sassoni e Normanni e l’unione dei due popoli. L’ “Ivanhoe”, pubblicato nel 1819, aveva come teatro l’Inghilterra del Medioevo; al di là della vicenda narrata, l’opera aveva dei forti riferimenti alla realtà contemporanea dell’epoca perché, parlando di Sassoni e Normanni, Scott alludeva al conflitto tra Inglesi e Scozzesi, molto vivo a quel tempo, augurandosi una pace tra i due popoli.
Manzoni vede in quest’opera un modello a cui ispirarsi perché essa rispecchiava la visione della storia intesa come scontro di masse popolari (ricordare il concetto romantico di poesia ‘popolare’) e non solo di grandi personaggi. La grande differenza fra Manzoni e Scott consiste invece nel fatto che Manzoni non dà peso al gusto avventuroso nel suo romanzo, ma soltanto all’esigenza di verità.
A parte questo, i due romanzi sono difficilmente confrontabili. In “Ivanhoe” la vicenda è quasi tutta di fantasia e la storia è solo uno sfondo, mentre nei “Promessi Sposi” la storia è realmente protagonista e i personaggi “di fantasia” del romanzo sono toccati – se non addirittura travolti – dagli eventi storici.
→ Simile a Scott è il fatto che nell’ “Adelchi” Manzoni adombri nei due popoli dei Franchi di Carlo Magno (i vincitori) e dei Longobardi di re Desiderio (i vinti) su suolo italico (chiamato “un volgo disperso che nome non ha”) un’allusione rispettivamente ai Francesi e agli Austriaci che si contendevano allora il suolo italiano (riferimento al fallimento dei moti del ’20-’21).
Tornano dunque anche nell’ “Adelchi” i concetti fondamentali di “vero storico” e “vero poetico”.
TRAMA DELL’ADELCHI
Carlo Magno, re dei Franchi, ha ripudiato la propria moglie Ermengarda, figlia di Desiderio, re dei Longobardi. Re Desiderio decide dunque di vendicarsi, dichiarando guerra a Carlo Magno. Nel frattempo Ermengarda torna inizialmente dal padre a Pavia e poi ottiene da lui il permesso di potersi recare a Brescia nel convento di San Salvatore (tuttora conservato entro il complesso monumentale di Santa Giulia), dov’è badessa sua sorella Ansberga. Insieme a Desiderio a Pavia c’è anche il figlio Adelchi, fratello di Ermengarda e di Ansberga, molto diverso dal padre: Desiderio pensa solo all’offesa subita, mentre Adelchi comprende il dolore della sorella e la conforta col proprio affetto. Alcuni duchi longobardi tradiscono il loro sovrano; in particolare il diacono Martino si reca di nascosto nel campo dei Franchi e rivela l’esistenza di un valico che consente di prendere di sorpresa i Longobardi, perciò Desiderio viene sconfitto e fatto prigioniero. Desiderio chiede a Carlo Magno di lasciare libero il figlio Adelchi, ma Adelchi preferisce combattere valorosamente fino all’ultimo, morendo in battaglia, fedele al suo dovere (unico elemento che non corrisponde al vero storico, in quanto nella realtà Adelchi sopravvive, rifugiandosi a Costantinopoli, ma Manzoni modifica questo dato per costruire una ‘tragedia’ a tutti gli effetti); intanto Ermengarda muore a Brescia nel convento della sorella, senza poter dimenticare lo sposo che l’ha ripudiata.
Adelchi ed Ermengarda (fratello e sorella) sono i personaggi-chiave, dalla forte caratterizzazione psicologica ricca di contrasti tra ideali/sentimenti da un lato, come il desiderio di pace e insieme di gloria per lui e l’amore ancora vivo per il marito per lei, e la realtà che li condanna dall’altro: lui alla guerra e alla sconfitta, lei all’abbandono da parte del marito. Entrambi muoiono illuminati dalla luce rasserenante di Dio, dimenticando sofferenze e dolori trovando finalmente pace nell’aldilà.
Nella tragedia la storia è contemplata attraverso il dramma interiore dei protagonisti, sublimato in una visione religiosa della vita come la concepiva Manzoni, che distingueva l’umanità in due categorie: oppressi e oppressori. Manzoni fa dire ad Adelchi in punto di morte: “non resta / che far torto, o patirlo” e nell’episodio della morte di Ermengarda scrive: “Tu della rea progenie / degli oppressor discesa, / cui fu prodezza il numero, / cui fu ragion l’offesa, / e dritto il sangue, e gloria / il non aver pietà, // te collocò la provvida / sventura in fra gli oppressi”…
FUNZIONE DEI DUE CORI
Il 1° coro, “Dagli atrii muscosi…”, nell’atto III, vede lo sgomento e l’esultanza degli Italici alla sconfitta dei Longobardi da parte dei Franchi, ma questi sentimenti vengono commentati dall’autore con la previsione dell’imminente servitù sotto i nuovi ‘padroni’, perché non si può sperare libertà altro che da se stessi.
Il 2° coro, “Sparsa le trecce morbide…”, nell’atto IV, descrive la morte di Ermengarda consolata dalla certezza del premio eterno, perché il dolore e la sofferenza redimono e purificano. →         Collegamento interdisciplinare con Seneca nel “De Providentia” = concezione provvidenziale e redentrice del dolore.

 

Fonte: http://www.luzzago.it/files/9014/4587/7815/LAdelchi.docx

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