Manzoni il tema della provvidenza

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Manzoni il tema della provvidenza

Alessandro Manzoni è noto come poeta della provvidenza che cerca di trovare e interpretare il disegno provvidenziale nella storia e nelle vite umane. La provvidenza è un protagonista importante di tutte le sue opere. Un altro è la storia. Lo scopo della presente tesi è di scoprire il rapporto del Manzoni con la provvidenza e con la storia e qual è, secondo Manzoni, il ruolo della provvidenza nella storia. Osserverò come si è evoluto ideologicamente l’autore nel corso della sua vita e in che modo si rispecchia tale sviluppo nelle sue opere, in particolare nella sua opera più importante, nei Promessi Sposi. Cercherò di capire se la provvidenza, così insistentemente annunciata, corrisponde ad una intima convinzione dell’autore oppure l’autore ha un altro intento e se l’autore considera la storia un’opera di Dio creata secondo un piano divino, oppure, come forse vedremo alla fine, dà più importanza alle azioni dell’uomo.
Nei primi capitoli riassumerò brevemente nozioni sull’ambiente vitale e ideologico in cui era cresciuto Alessandro Manzoni e cercherò di dare una definizione del concetto manzoniano della provvidenza, della storia e del ruolo di Dio nella storia umana.
Nei capitoli successivi analizzerò l’evoluzione ideologica del nostro autore, dalle prime opere scritte dopo la sua conversione al cattolicesimo, in cui celebra con fervore il piano provvidenziale, alle tragedie, dove inizia a capire che la provvidenza non aiuta sempre chi se lo meriterebbe e ha una funzione piuttosto purificatrice e consolatrice, per arrivare fino ai Promessi sposi, in cui ha maturato la sua nuova visione della storia, della provvidenza e del ruolo dell’uomo nella storia. Descriverò brevemente anche i personaggi manzoniani, per capire qual è il loro rapporto con la provvidenza e che ruolo hanno nel romanzo.
Leggerò i testi di Manzoni, in particolare il suo romanzo storico I Promessi sposi, cercherò di descrivere come viene raffigurata e coinvolta la provvidenza, in che modo agisce nella storia e nelle vite delle persone e come la percepiscono le persone stesse. Proverò a comprendere l’atteggiamento del nostro autore verso la provvidenza e la fede in Dio, così come le sue opinioni sul bene e male, e qual è la connessione tra queste due forze e le azioni dell’uomo.


1 La provvidenza

Prima di affrontare il tema della provvidenza nel Manzoni è utile dare uno sguardo alla visione storica e all’atteggiamento della teologia cristiana di fronte a questo fenomeno. La visione e il concetto della provvidenza varia nei secoli e non è facile trovare una definizione concreta. La parola stessa deriva dal termine latino “providentia” che significa premura e previdenza. La provvidenza può essere capita come la sovranità di Dio oppure gli interventi di Dio nelle vicende umane. Le tracce del concetto della provvidenza si trovano già nella filosofia antica, quando corrispondeva piuttosto al concetto del destino invece che a una forza che deve aiutare l’uomo. Altrettanto nella religione ebrea esiste l’idea della provvidenza: Dio protegge, dirige ma anche punisce il suo popolo, conducendolo verso un futuro migliore. “Secondo il concetto provvidenziale cristiano Dio usa le abilità, capacità intellettuali e il libero arbitrio di tutti gli esseri, così come le loro azioni, per portare la creazione del mondo alla perfezione.”
Nella storia cristiana Dio è concepito come un essere infinito, che si prende cura del mondo, è dotato d’intelletto e volontà e pur vivendo nel suo regno inaccessibile, è presente nel mondo con la sua onnipotenza e provvidenza. Non resta indifferente di fronte a quello che accade sulla terra ma agisce affinché vinca il bene e il male venga sconfitto. In questa visione del mondo l’universo è visto come un insieme, sostenuto da leggi che conducono alla mente divina. Vedendo il mondo e la vita in rapporto di dipendenza da una mente divina, è facile affidare a Dio le azioni e gli eventi, che non si riescono a comprendere e dominare.
Secondo Immanuel Kant, uno dei più importanti filosofi dell’illuminismo, il cui idee avranno influenzato Manzoni, l’universo ha in se stesso le spiegazioni e le cause dei propri fenomeni, non rimanda a una spiegazione divina e in questo contesto anche la storia acquista la sua autonomia. Il processo temporale cessa di essere un mistero che richiede una spiegazione teologica: è l’uomo che realizza se stesso e la storia. Questo processo storico illumina la centralità e il potere creativo dell’uomo. Si tende così a percepire la trascendenza sempre più nella dimensione interiore dell’essere umano.
Il nostro contemporaneo, Luciano Parisi, professore di lingue e letterature romanze, definisce la provvidenza così:
Il sentimento o l’idea di provvidenza è collegato all’intuizione di realtà ordinata e piena di senso che risolve armonicamente in sé errori, dolori e mali. Alcuni credono di cogliere nella storia i segni di tale realtà - un’intenzione divina, una progettualità che misteriosamente connette gli eventi e dà loro significato-insistendo più sull’influenza che sull’interferenza di Dio nel mondo.
A Manzoni erano vicine le idee del teologo seicentesco Jacques-Bènigne Bossuet, il quale: “[…] distingue il miracolo, che forza la natura a uscire dalle sue leggi, dalla provvidenza che si serve degli eventi terreni per i suoi fini senza forzare la volontà umana o la natura, ma asseconda le loro tendenze in una direzione piuttosto che in un’altra.” Secondo Bossuet, le vite umane non sono dominate dal caso ma tutto quello che accade è opera di Dio. Qual è allora la spiegazione del disordine, delle ingiustizie e sofferenze che esistono nel mondo? Per Bossuet, come descrive Parisi nel suo libro, il dolore ha una funzione purificatrice:
Le malattie sono generalmente considerate un male ma, se trasformano una persona offrendole un’occasione per esercitare la propria pazienza e santificarsi, sono causa di bene e bene esse stesse; la salute del corpo è analogamente un bene apparente che diventa fonte di male, e male esso stesso, quando contribuisce alla deprivazione dello spirito. Bene e male sono tali in relazione alla salute dell’anima; e questa salute (non l’immediata remunerazione della virtù e punizione dei vizi) costituisce il criterio con cui Dio provvede alla preordinazione degli eventi terreni.
Altrettanto i mali collettivi svolgono una funzione moralizzatrice e educativa. Riscontriamo tali effetti “positivi” del male soprattutto nelle tragedie manzoniane: la sventura è considerata provvidenziale dato che ci avvicina a coloro che soffrono, insegna la pazienza e l’amore, quindi “libera” le persone dai privilegi profani e gli fa guadagnare la salvezza dell’anima.
Bossuet comunque si rende conto della debolezza delle sue teorie e precisa quindi che esistono un bene assoluto (la felicità eterna promessa ai giusti) e anche un male assoluto (la dannazione), entrambi risultati della giustizia divina, i cui fini sono sconosciuti all’uomo.

1.1 La giustizia

Insieme alla provvidenza, che può essere considerata giustizia divina, nei romanzi di Manzoni viene affrontato il concetto della giustizia terrena. La giustizia, a livello personale, è una virtù morale secondo la quale ognuno si dovrebbe comportare nei confronti degli altri in modo onesto e corretto. A livello pubblico, sotto il nome giustizia s’intende un ordine che dovrebbe garantire a tutti gli stessi diritti. Tutti sperano nella giustizia ma nei tempi di cui narra il nostro autore, per i poveri la giustizia civile era quasi irraggiungibile. Lo esprime Agnese, quando insieme a Renzo e Lucia discutono di don Rodrigo: “Contro i poveri c’è sempre giustizia.” I poveri quindi erano consapevoli che la giustizia, invece di aiutarli, gli si poteva mettere contro. Non restava che avere fiducia nella provvidenza che rappresentava “un tribunale ben altrimenti giusto e riparatore di quello mondano, dove tutti gli uomini, grandi o infimi essi siano, hanno lo stesso trattamento”. Per Manzoni “la giustizia è uno stato reale dell’anima umana, l’aspirazione suprema dell’uomo civile.” Nelle sue opere esprime l’opinione che i governatori spesso non siano in grado di poter governare un paese e decidere delle sorti di altre persone e che dovrebbero avere delle qualità morali superiori e più responsabilità. Non è comunque difficile accorgersi che l’autore usa il termine “giustizia” in senso negativo o per lo meno ironico:
Nel terzo capitolo Renzo aveva affermato che a questo mondo c’è giustizia, finalmente! sottintendendo che, invece, non ve ne era alcuna e che l’unico mezzo perché i poveri l’abbiano è quello di farsela da sé; […] nel capitolo terzo la visita di Renzo al dottor Azzecca-garbugli costituisce una riprova di come la giustizia sia soltanto un nome vano; […] a proposito dei fornai costretti a produrre pane ad un prezzo antieconomico, l’autore afferma che le giustizie del popolo sono delle peggio che si facciano in questo mondo. ”
Queste citazioni dimostrano che per Manzoni la giustizia è solo una parola e che la giustizia umana, secondo lui, non funziona come dovrebbe. Un esempio clamoroso di tale giustizia civile, meglio dire ingiustizia, è riportato nel saggio storico Storia della colonna infame, in cui “la giustizia umana”, ignorando la mancanza delle prove, il buon senso e la morale ha condannato a una morte crudele due persone innocenti.
Nello stesso tempo, come si scoprirà nei capitoli successivi, il nostro autore non perde la speranza in un futuro migliore, crede nella forza creatrice dell’uomo e perciò vuole educare gli uomini e motivarli a un comportamento conforme allo spirito del cristianesimo. Nel suo romanzo più celebre, I promessi sposi, incorpora quindi l’idea che facendo del bene, l’uomo con le sue gesta rappresenta la provvidenza divina.

2 L’ambiente vitale in cui matura la personalità di Manzoni

            Per poter comprendere meglio il senso religioso dell’opera di Manzoni è necessario guardare l’ambiente in cui era cresciuto e vissuto. Alessandro Manzoni nacque alla fine del ‘700. Secondo i costumi di allora fu affidato a una balia e i suoi genitori s’interessavano poco di lui. C’è da immaginarsi che la sua infanzia non sia stata molto felice, basta ricordare il noto episodio quando la madre lo abbandonò nel collegio senza nemmeno salutarlo. Ristabilì il rapporto con lei solo in età adulta. Alessandro rimase per diversi anni nei collegi di vari ordini religiosi, dove compì anche gli studi.
La mancanza d’amore da parte dei genitori e la solitudine erano probabilmente una delle cause dei disturbi psichici di cui Manzoni soffriva anche da adulto. E secondo gli psicoanalisti possono aver contribuito alla sua conversione alla fede cattolica perché essa offriva alla sua anima il sostegno che gli mancava. Sicuramente la conversione rappresentò per lui l’acquisto di certezze perché la fede offre a ogni persona una norma di condotta morale e le risposte alle domande sul senso della vita umana.
Il soggiorno nell’ambiente colto in cui visse con sua madre, dopo essersi unito a lei a Parigi, insieme ai ricordi amari della vita nei collegi religiosi, lo portarono alle opinioni democratiche, razionaliste e illuministe. Gli illuministi credevano che grazie alla ragione fosse possibile liberare la gente dell’ignoranza, portando l’umanità a un progresso morale, economico e politico.
Ma l’illuminismo era ormai al suo tramonto e inoltre non tutti i problemi parevano risolvibili con la ragione, le esigenze profonde dello spirito non potevano essere sodisfatte per mezzo della ragione e in Manzoni, così come in tutti gli uomini, rimaneva l’aspirazione di avere le risposte alle domande sul senso dell’universo e della vita umana. Dalle opere giovanili di Manzoni si può ricostruire l’itinerario interiore di un pensatore deluso dalla realtà, tanto diversa da quella che promettevano ottenere gli illuministi tramite la ragione. Si aggiunge la delusione della rivoluzione francese, l’involuzione politica di Napoleone e il trionfo della Restaurazione. E come se non bastasse, anche la religione sembra di non dargli delle risposte convincenti. Tutto ciò porta Manzoni a riflettere sulla funzione della storia.
Manzoni, persa la speranza di trovare il senso della vita e della storia tramite la ragione, inizialmente cercò le spiegazioni nella religione cattolica. Credette di poter scoprire nella religione e nelle sue dottrine un principio, un piano divino che soddisfacesse il suo bisogno di risposte. Fu convinto che la religione potesse illuminare il mistero del mondo e della vita. Essendo però educato dall’illuminismo, fu critico anche verso la religione e volle sottoporre la verità presentata dalla chiesa cattolica alla prova della ragione e spiegare razionalmente le affermazioni della tradizione cristiana. Inoltre si rese conto che la provvidenza non agiva sempre come sarebbe logico se ci fosse un piano provvidenziale a regolare l’andamento del mondo. Quindi cominciò a dedicare più attenzione alla storia, con la speranza di trovarvi le risposte alle domande che cercava.
Ci fu una persona che sicuramente ispirò più di chiunque altro il giovane Manzoni nel cercare nella storia un piano ultraterreno - Vincenzo Cuoco, uno scrittore, saggista, politico ed economista. Probabilmente fu il primo a parlare al Manzoni del concetto della provvidenza. Nel suo libro La provvidenzialità della storia Cuoco scrive:
Qualunque sia la credenza interna di un uomo su quelle cose che impossibile è il conoscere, pericolosissimo il disputarne, è certo però che esiste un ordine universale, dipendente da una forza superiore che noi potremo pur chiamare con diversi nomi, ma che dobbiamo tutti convenire in dir che sia unica.
Parlando della vita di Alessandro Manzoni non si può tralasciare il suo ruolo nell’unificazione della lingua italiana. Manzoni fu nominato dal ministro della pubblica istruzione a presidente della commissione il cui compito era l’unificazione della lingua italiana e la sua diffusione tra il popolo. Nel 1868 scrisse la relazione Dell’unità della lingua e dei mezzi di diffonderla in cui indicò il fiorentino come lingua adatta per tutta l’Italia e si impegnava affinché il fiorentino venisse insegnato sulle università di tutta l’Italia. A tale fine rielaborò anche il linguaggio del suo romanzo I promessi sposi sostituendo il dialetto milanese con il linguaggio vivo dei fiorentini colti.

2.1 Manzoni e il rapporto Dio-storia

Cercare di scoprire nella storia umana la mano di Dio non è certo un compito facile:“Da un punto di vista strettamente dogmatico, l’intervento di Dio nella storia è limitato: Dio per mezzo del Verbo causa, con la creazione e la fine del mondo, l’inizio e la fine del tempo storico.” Inoltre, secondo la teologia cristiana, Dio ha dato all’uomo il libero arbitrio, forse con l’intento che l’uomo creasse il mondo con le proprie forze.
Tornando al Manzoni, si può citare una frase dell’introduzione della Storia della colonna infame che sembra rivelare il suo interrogativo:
Ci par di vedere la natura umana spinta invincibilmente al male da cagioni indipendenti dal suo arbitrio, e come legato a un sogno perverso e affannoso, da cui non ha mezzo di riscuotersi, di cui non può nemmeno accorgersi […]. Il pensiero si trova con raccapriccio condotto a esitare tra due bestemmie, che son due deliri, negar la provvidenza, o accusarla.
Questi lati oscuri dell’anima umana e della storia che hanno rovinato i tentativi degli illuministi di sottoporre l’andamento della storia a un ordine armonioso, emergono di fronte alla coscienza di Manzoni in cerca di una ragione, magari ultraterrena, che potrebbe interpretare i problemi dell’esistenza umana.
Manzoni però non credeva di trovare in una ragione soprannaturale la spiegazione dello sviluppo della storia o del comportamento umano. Sapeva che di Dio e del suo disegno ne sappiamo troppo poco per poterlo comprendere.
Questo pessimismo cristiano portò Manzoni alla conclusione che la vita è una guerra contro il male. Il male e il bene sono gli elementi che formano la realtà umana: il male è una forza oscura che spaventa l’uomo, mentre il bene gli dà la speranza perché manifesta il divino. “La storia è lo specchio di tale lotta in un lento progredire del bene, del prevalere della giustizia, nella prospettiva di una vittoria finale.” Manzoni sapeva che l’uomo non potrà mai raggiungere la vittoria definitiva sul male in nessun momento della storia, e d’altra parte sentiva il bisogno di comunicare ai suoi lettori che non dovevano mai rinunciare a questo loro impegno umano, anche se a volte sembra impari e assurdo di fronte alle ingiustizie che appaiono nel mondo. In questi momenti la fede cristiana, pur non potendo dare una giustificazione razionale delle sventure che porta la vita, offre all’uomo una consolazione e lo guida per superare gli ostacoli della vita, apparentemente invincibili. Nell’opera di Manzoni si trovano tracce dell’accettazione delle contraddizioni di questo mondo: come esempio si può indicare il personaggio di Lucia, che si affida a Dio nei momenti difficili; ma cisi trova anche l’esempio di un atteggiamento attivo verso la propria sorte, pur rispettando interamente Dio, cioè il personaggio di Renzo, che cerca sempre di risolvere i problemi con le proprie forze.

 

2.2 Manzoni e la storia

Che cosa è la storia? La risposta a questa domanda non è facile e varia secondo l’epoca e la civiltà. Ha scritto Amiel: “A prima vista, la storia non è che disordine e caso; a seconda vista, sembra logica e necessaria; a terza vista, sembra una mescolanza di necessità e libertà; al quarto esame non si sa più che cosa pensarne... poi torniamo alla prima spiegazione, ma con l’allegria in meno.”
L’ebraismo aspettava il Messia, che terminasse la storia e portasse l’umanità all’inizio della creazione, alla purezza primordiale. Il cristianesimo permette all’uomo di guardare verso il futuro, tramite Cristo offre la salvezza e una vita migliore. L’uomo comincia a concepire la storia come un elemento lineare, che ha un inizio e una fine, tutto ciò diretto da Dio. Tuttavia, l’umanità comincia a sviluppare la propria conoscenza storica solo dopo il medioevo. Che cosa è stata la conoscenza storica e la storia per Manzoni? Il nostro autore credeva che i grandi vettori della storia fossero il pensiero e la passione e voleva capire la storia e i suoi percorsi per trovarci risposte alle domande esistenziali, voleva rappresentare e interpretare la storia per spiegarla ai lettori. Per questi motivi decise di scrivere un romanzo storico che gli avrebbe dato spazio e possibilità per sviluppare le sue idee e spiegare la storia alla gente. Prima di iniziare a scrivere studiava attentamente i fatti storici per poter dare un’interpretazione più precisa possibile dell’avvenuto. La sua preoccupazione principale era quella di scoprire lo stato generale dell’umanità nelle varie epoche, perciò si dedicò alla storiografia. Ecco che cosa significava per Manzoni la scienza storica: “ De’fatti reali, dello stato dell’umanità in certi tempi, in certi luoghi, è possibile acquistare e trasmettere una cognizione, non perfetta, ma effettiva: ed è ciò che si propone la storia: intendo sempre la storia in buone mani...” E le mani di Manzoni erano quelle giuste? Secondo alcuni critici, “Manzoni osservava la storia dal di fuori, dall’alto, dal punto che gli rendeva possibile di contemplare il corso e il fine della storia e intonare inni alla provvidenza o sfilare facezie sullo spettacolo solenne o ridevole del vivere umano” Ma Manzoni stesso credeva di aver raggiunto la verità storica, almeno per quanto gli competeva. Era convinto che: “[…] la storia dovesse contenere la testimonianza oggettiva della presenza operante dei principi e del piano divini, attraverso i quali si potesse spiegare il mistero degli eventi umani, dei loro trionfi e delle loro tragedie.” Nella presente tesi cercherò di capire se Manzoni riuscì veramente a trovare tali testimonianze.

3 L’evoluzione del concetto della provvidenza

Nelle prime opere scritte dopo la conversione Manzoni celebra il cristianesimo, esprime la propria fede in Dio, lo chiama in aiuto e crede in un piano divino che opera nella storia a favore dell’umanità. Il tema della provvidenza non vi appare ancora.
Nelle tragedie il concetto manzoniano della provvidenza è vicino a quello del teologo Bossuet, che ho menzionato nel secondo capitolo, cioè la sofferenza e il male hanno una funzione purificatrice ed educatrice. Non ci sono interventi provvidenziali che aiutino gli eroi delle tragedie nelle loro imprese, oppure li salvino dall’ingiustizia subita, anzi, gli eroi devono affrontare i colpi del destino e i propri conflitti interiori perché essi li aiutano a purificare l’anima e a raggiungere la salvezza eterna.
Invece nei Promessi sposi appare la parola “provvidenza” quasi in ogni capitolo. Ma non vi si trova mai un intervento provvidenziale diretto, espresso con chiarezza. Sono le persone, soprattutto quelle semplici e povere, che ringraziano o invocano la provvidenza per spiegare gli avvenimenti, per dare loro un senso o per esprimere la loro fiducia in Dio. Renzo, mentre scappa da Milano perché per un paio di sfortunate coincidenze è diventato sospettato di un complotto, di notte si dispera della propria sorte ma si consola: “Quel che Dio vuole, rispondeva ai pensieri che gli davan più noia: quel che Dio vuole. Lui sa quel che fa: c’è anche per noi. Vada tutto in isconto de’miei peccati. Lucia è tanto buona! non vorrà poi farla patire un pezzo, un pezzo, un pezzo!”
Nei capitoli successivi cercherò di descrivere più dettagliatamente l’evoluzione ideologica e la visione della provvidenza di Manzoni, basandomi sulle sue opere principali. Mi concentrerò soprattutto sui Promessi sposi e cercherò di spiegare che quando Manzoni scriveva questo romanzo, nel suo intimo non credeva più negli interventi provvidenziali, rinunciò alla ricerca del piano divino nella storia e arrivò a una visione della provvidenza più personale e intuitiva.

3.1 La provvidenza nelle poesie e nelle tragedie

Alessandro Manzoni cominciò a scrivere le poesie già a 16 anni. Negli Inni sacri, scritti poco dopo la conversione al cristianesimo tra il 1812 e 1822, Manzonivuole soprattutto celebrare gli eventi più importati del cristianesimo e sottolineare il loro significato e l’importanza: “ L’ispirazione fondamentale degli Inni è la verifica della presenza operante dei principi e dei misteri del Cristianesimo nella storia della funzione provvidenziale, civilizzatrice, salvifica di tale presenza.”
Manzoni aveva l’intenzione di scrivere dodici inni, uno per ogni mese, ma alla fine ne terminò solo cinque: La Resurrezione, Il nome di Maria, Il Natale, La Passione, La Pentecoste e ne lasciò incompleto il sesto Ognissanti, forse perché la pubblicazione non ebbe grande successo.
In queste poesie, ispirate dai componimenti dell'antica innografia cristiana, Dio viene chiamato ad intervenire per ristabilire la giustizia sulla terra, per porre fine alle sofferenze dei buoni e punire i malvagi. Questo motivo si riscontra ne La Passione:
Gli uccisori esultanti sul monte
Di Dio l’ira già grande minaccia;
Già dall’ardue vedette s’affaccia,
Quasi accenni: tra poco verrò.
(La Passione, PT, p. 11, vv. 77-80)
Altrettanto ne La Pentecoste, l’ultimo degli Inni, considerato dai critici quello migliore, viene invocato lo Spirito Santo perché “ […] continui a scendere sulla terra, compia la sua opera di rinnovamento spirituale e consoli i sofferenti.”
Manzoni s’interessava anche della vita pubblica e politica. Nel periodo dopo l’abdicazione del re Vittorio Emanuele I fu concessa la costituzione e i liberali piemontesi credettero che i Savoia avrebbero fatto guerra all’Austria, Manzoni si lasciò prendere dall’entusiasmo e scrisse in soli tre giorni l’ode civile Marzo 1821. In questa poesia esprime la convinzione che i popoli devono lottare per la propria indipendenza e che Dio li aiuterà in tale lotta perché è giusto e vuole che tutte le nazioni siano libere. Si può dire che il motivo è simile a quello delle poesie religiose:
Chi v’ha detto che sterile, eterno
Saria il lutto dell’tale genti?
Chi vi ha detto che ai nostri lamenti
Saria sordo quel Dio che v’udì?
Sì quel Dio che nell’onda vermiglia
Chiuse il rio che inseguiva Israele,
Quel che in pugno alla maschia Giaele
Pose il maglio, ed il colpo guidò.
(Marzo 1821, PT, p. 117, vv. 61-68)
Nelle poesie, sia le religiose sia quelle politiche, Manzoniha una visione panoramica del disegno provvidenziale ed esprime la propria fiducia in Dio e nei suoi interventi nella storia. L’autore si riferisce agli eventi storici, i quali, essendo visti a distanza per periodi lunghi e con gli occhi di chi li vuole vedere in quel modo, sembrano fatti da Dio, a favore dell’umanità. Manzoni crede quindi negli effetti positivi della provvidenza nella storia e inizia a studiarla, sperando di trovare nei dati storiografici i segni del piano divino. Come forma letteraria sceglie la tragedia perché essa esprime il travaglio interiore di una persona e la sua lotta contro il destino. Invece gli cominciano a sorgere dei dubbi sugli effetti positivi della provvidenza perché nelle tragedie il suo sguardo si sposta dagli eventi d’interi millenni a un concreto momento storico, alla vita delle singole persone. In questo periodo Manzoni comincia a dubitare sulla presenza e sull’efficacia di un piano divino nella storia.                Non cessa di credere nella forza liberatrice del cristianesimo ma non riesce a cogliere e a verificare un piano divino operante nella storia.
La prima tragedia di Manzoni, basata sui fatti veri, è Il Conte di Carmagnola. È un dramma storico in cinque atti, scritto da Manzoni tra gli anni 1816-1819, pubblicato nel 1820, con la prima rappresentazione nel 1828 al Teatro Goldoni di Firenze. Il protagonista della tragedia è il conte di Carmagnola, condottiero, secondo Manzoni una persona magnanima con una fine immeritata. Tramite quest’opera, ispirata dalle guerre tra il Ducato di Milano e la Repubblica di Venezia nel ‘400, Manzoni critica le discordie dei suoi tempi tra gli italiani, che impedivano l’unificazione dell’Italia. Manzoni era deluso dal comportamento dei suoi contemporanei e spaventato dalle guerre fratricide del ‘400: “I fratelli hanno ucciso i fratelli,/ Questa orrenda notizia vi do.” È difficile decidere, quale delle parti fosse nel giusto, tantomeno trovarci un piano divino. Piuttosto sembra che prendano sopravento le forze del male.
Il conte di Carmagnola, d’origine un uomo povero, inizialmente è dalla parte dei Milanesi, dopo però passa dai Veneziani e vince per loro la battaglia di Maclodio. Successivamente i Veneziani lo sospettano di tradimento, lo arrestano e condannano a morte. Il conte di Carmagnola, come un eroe di una tragedia classica, generoso, sincero, sicuro di essere nel giusto, invece di fuggire quando sa di essere sospettato di tradimento, affronta le accuse a fronte alta ma viene condannato a morte. Nessuna forza maggiore interviene per aiutarlo, nessuna presenza divina è visibile nella sua azione tragica. Soltanto la sua morte immeritata viene illuminata dalla consolazione di un paterno abbraccio di Dio:
“Pei diserti in cielo / c’è un Padre”; dal fatto che tutte le gioie della vita sono “un don del cielo”; dal fatto che la morte stessa non è stata inventata dagli uomini: “ella saria / Rabbiosa, insopportabile: dal cielo / Essa ci viene; e l’accompagna il cielo/Con tal conforto, che né dar né torre / Gli uomini ponno”.
In quest’opera troviamo già gli accenni della possibilità che la provvidenza non intervenga sempre subito e che le sue finalità siano diverse dalle aspettative umane.                          Il conte di Carmagnola, mentre parla ai suoi compagni d’armi, definisce le modalità della giustizia divina così:
Solo al vinto non toccano i guai;
Torna in pianto dell’empio il gioir.
Ben talor nel superbo viaggio
Non l’abbatte l’eterna vendetta;
Ma lo segue, ma veglia ed aspetta;
Ma lo coglie all’estremo sospir.
Quando Manzoni decide di scrivere la seconda tragedia, sceglie un protagonista del tutto diverso. Si rende conto che un capitano di ventura, un guerriero che uccide, non ha le qualità morali che deve avere un vero eroe. Inizia a scrivere Adelchi, un dramma storico in cinque atti, con il quadro storico più ampio, riferito agli avvenimenti che hanno preceduto la caduta del regno longobardico in Italia. L’opera fu scritta tra 1820 e 1822, pubblicata nel 1822 e la prima si svolse nel 1843 al Teatro Carignano di Torino.            
I personaggi principali di Adelchi sono il re Desiderio, suo figlio Adelchi, la figlia Ermengarda e il re franco Carlo. In quest’opera troviamo gli elementi della provvidenza come la vedeva Bossuet, il quale, come abbiamo descritto nel terzo capitolo, credeva nella sua funzione purificatrice. Manzoni però ci “aggiunge dei dubbi e negazioni e la tragedia riafferma l’instabilità, l’ingiustizia e il disordine del mondo: Ermengarda sposa l’uomo che ama, ma viene ripudiata; Desiderio vede i franchi ritirarsi dalle sue terre ma è attaccato alle spalle e catturato dai nemici; Carlo Magno sconfigge gli avversari quando si ritiene vinto e sta per rientrare in Francia.” In questa tragedia Manzoni approfondisce anche il travaglio interiore dei suoi personaggi e noi lo sentiamo nelle parole di Adelchi, quando vuole agire secondo la propria morale ma è ostacolato dalla sorte, quindi la provvidenza non solo non lo aiuta ma gli rende difficile la decisione di come agire:

Il mio cor m’ange, Anfrido: e mi comanda
Alte e nobili cose; e la fortuna
Mi condanna ad inique, e strascinato
Vo per la via ch’io non mi scelsi, oscura,
Senza scopo; e il mio cor s’inaridisce,
Come il germe caduto in rio terreno,
E balzato dal vento.

In un’altra situazione, quando Ermengarda si lamenta del suo destino, Adelchi le risponde che solo Dio può fare la giustizia, quindi crede nell’azione punitrice di Dio:
Così la vita de’migliori il cielo
All’arbitrio de’rei: non è in lor mano
Ogni speranza inaridir, dal mondo
Torre ogni gioia.
Anche in quest’opera, come nel Conte di Carmagnola, sembra non esserci nessun intervento positivo della provvidenza, nessun rimedio temporale ed umano alla sventura, Dio solo può darle un senso e un valore, nei modi che a noi non sono chiari e comprensibili. Adelchi dice al suo padre di dare al re franco il seguente messaggio:
Il Dio che i giuri ascolta
Che al debole son fatti, e ne malleva
L’adempimento o la vendetta, il Dio,
Di cui talvolta più si vanta amico
Chi più gli è in ira, in cor del reo sovente
Mette una smania, che alla pena incontro
Correr lo fa.
La protagonista femminile, Ermengarda, sorella di Adelchi, rappresenta un cristianesimo più maturo di quello di Carmagnola: mentre il condottiero perdona i propri nemici, Ermengarda prega per loro: “ Io pregherò, per quell’amato Adelchi, / Per te, per quei che soffrono, per quelli/ Che fan soffrir, per tutti.” Manzoni riassume nella figura di Ermengarda le affermazioni di Bossuet sull’effetto purificante del dolore. Ermengarda viene ripudiata dal suo marito, Carlo Magno, si rifugia in un convento e si affida al Dio. L’autore spiega le sue sofferenze come un’esperienza che purificherà la sua anima: il dolore ammenda il male commesso e rende possibile l’eterna salvezza spirituale:
Te collocò la provvida
Sventura in fra gli oppressi:
Muori compianta e placida;
Scendi a dormir con essi:
Alle incolpate ceneri
Nessuno insulterà.
Quindi quello che inizialmente sembra una disgrazia, in realtà è un’espiazione che assolve e cancella il male fatto in vita da Ermengarda e le fa guadagnare il paradiso; la provvidenza interviene causando le sventure e il dolore, aprendo a Ermengarda le porte della vita eterna che altrimenti resterebbero per lei chiuse.
 In base a quanto ho documentato sopra posso constatare, che nelle prime opere di Manzoni il tema della provvidenza non appare ancora molto chiaramente anche se è evidente che Manzoni crede nel piano divino perché invoca spesso Dio. La provvidenza esiste ma agisce lentamente, attraverso i secoli, e spesso in modo contradittorio. Viene usato il termine “la provvida sventura”, cioè la provvidenza, che tramite il dolore aiuta le persone di raggiungere la salvezza finale dell’anima ma non le aiuta nel corso della loro vita. Con la voce di Adelchi l’autore dice addirittura che “sulla terra non resta che far torto o patirlo”. La provvidenza ha soprattutto la funzione consolatrice e purificatrice: la sofferenza è un dono di Dio perché prova che non si è fatto il male.

3.2 Dal Fermo e Lucia ai Promessi sposi

Come si è visto nel capitolo precedente, le poesie e le tragedie non soddisfecero l’aspirazione di Manzoni di trovare nelle vicende umane gli interventi della provvidenza che aiutassero le persone. Nel corso degli anni, Manzoni prestava sempre più attenzione alla storia e alla natura umana e decise di scrivere un romanzo storico sperando che la sua trama ampia gli offrisse più possibilità di decifrare nella storia umana un ordine e interventi della mano divina. Nel 1821 Manzoni iniziò a scrivere un abbozzo, che dopo diversi anni divenne il suo capolavoro. I personaggi e la trama di entrambi testi rimasero sostanzialmente uguali ma  cambiò il concetto della provvidenza, come si può leggere nelle Riflessioni sul concetto manzoniano della provvidenza:
“A giudizio dei critici, sembra che si sia verificata una notevole evoluzione nel concetto di provvidenza tra il primo abbozzo, Fermo e Lucia, e il romanzo I promessi sposi. Una maturazione che interessa non solo la concezione religiosa della storia ma le stesse tecniche narrative, strettamente legate al piano ideologico.” Mentre nel Fermo e Lucia Manzoni era continuamente presente come narratore, nei Promessi sposi distingue chiaramente le sue impressioni personali con un tono scherzoso: quando durante i tumulti popolari per la mancanza del pane la gente distrugge le botteghe dei fornai, l’autore lo commenta: “Veramente, la distruzione de’frulloni e delle madie, la devastazione de’forni, e lo scompiglio de’fornai, non sono i mezzi più spicci per far vivere il pane; ma questa è una di quelle sottigliezze metafisiche, che una moltitudine non ci arriva.” Inoltre, l’autore mira sempre a farci osservare la realtà attraverso gli occhi dei personaggi, non come raccontata da lui. Nell’undicesimo capitolo, Renzo, quando va a Milano, descrive il paesaggio come gli appare in quel momento: ricorda che l’immagine del duomo corrisponde esattamente a come gliela avevano descritta quando era bambino.
Nel capitolo successivo, concentrato sull’opera principale di Manzoni, proverò a dimostrare che l’autore, in base ai fatti storici, comincia a pensare che le cause del bene e del male non sono soprannaturali, cioè che non sono interventi della provvidenza divina, ma che il bene e il male sono le conseguenze delle azioni umane e che il creatore della storia non è Dio ma l’uomo.

4 I promessi sposi

4.1 Dati generali sul libro

Dopo studi dettagliati dei dati storici Manzoni inizia a scrivere un abbozzo, intitolato Fermo e Lucia. Ci impiega, con delle interruzioni per altri lavori, un paio d’anni e lo porta a termine nel 1823. Il lavoro comporta tante difficoltà perché l’autore consulta numerosi documenti storici per poter ricostruire il meglio possibile la realtà storica. Dopo circa quattro anni, nel 1827, tra tante modifiche e riduzioni, pubblica la seconda stesura dell’opera, chiamata “La Ventisettana”, il cui titolo era probabilmente Gli sposi promessi ma è stato sostituito con il titolo definitivo I promessi sposi. Manzoni non era ancora sodisfatto della sua opera, in particolare del linguaggio del romanzo, che era il dialetto milanese. L’autore lo voleva sostituire con il dialetto fiorentino, che considerava lingua unificatrice. Dopo le revisioni linguistiche, nel 1840, viene pubblicata la terza e ultima redazione dei Promessi sposi, chiamata “La Quarantana”.
La trama del romanzo è ambientata all’inizio del ‘600 in Lombardia, durante il dominio spagnolo. I protagonisti sono due giovani, Renzo e Lucia, due giovani poveri e semplici di campagna, che si amano e vogliono sposarsi. Prima devono affrontare numerose difficoltà, intrighi da parte di un uomo potente, e ostacoli del destino. Sono costretti a separarsi per un tempo lunghissimo ma alla fine, grazie alla loro pazienza, amore, aiuto di altre persone e forse anche quello della provvidenza, si ritrovano, si sposano e comprano un piccolo filatoio, hanno bambini e vivono felici. Manzoni stesso spiega, dove ha trovato l’ispirazione e i dati storici per il suo romanzo:
Ma trovai nel Ripamonti quegli strani personaggi della Signora di Monza, dell’Innominato, del Cardinal Federigo, e la descrizione della carestia e della rivolta di Milano, del passaggio dei lanzichenecchi e della peste; e viste le grida dei governatori di Milano, ho pensato: Non si potrebbe inventare un fatto a cui prendessero parte tutti questi personaggi ed in cui entrassero tutti questi avvenimenti?”
Ma non bisogna dimenticare che la storia privata dei due protagonisti doveva servire per rappresentare un’epoca storica, nella quale Manzoni voleva scoprire il disegno provvidenziale alla cui ricerca aveva abbandonato la tragedia per il romanzo storico. Studiando con attenzione i materiali storiografici, Manzoni comincia a pensare che le cause del male non siano metafisiche ma che sono le conseguenze della cattiveria, l’ignoranza e l’egoismo della gente, in particolare dei governanti e potenti.

4.2 La provvidenza nei Promessi sposi

Leggendo I promessi sposi, nessuno può dubitare che la provvidenza sia uno dei temi principali del romanzo. Si trova in ogni capitolo, i personaggi la chiamano in aiuto o la ringraziano, viene citata anche dal narratore, e di seguito indicherò alcuni esempi, scelti dal libro di Miccinesi:
Nel sesto capitolo, la provvidenza mette un filo nelle mani di padre Cristoforo; nell’ottavo fa sì che Menico incontri Renzo, Lucia e Agnese che fuggono dalla abitazione di don Abbondio e li avvisi del pericolo che stanno correndo tornando a casa di Agnese. Nel quattordicesimo ancora la provvidenza ha pensato a procurare a Renzo il pane che lo stesso mangerà poi all’osteria della Luna piena. Nel diciassettesimo, Renzo va verso l’Adda a “guida della Provvidenza”; nello stesso capitolo il protagonista, giunto in riva all’Adda ringrazia in cuor suo la Provvidenza; poco dopo soccorre una famiglia di bisognosi, in nome della Provvidenza; Lucia, in casa del sarto, in cui è stata accolta dopo la sua liberazione dal castello dell’Innominato, pensa che l’allontanamento di Renzo sia stato voluto dalla Provvidenza e si abbandona al pensiero che, sempre la Provvidenza, faccia in modo che Renzo non pensi più a lei. Nel capitolo ventottesimo don Gonzalo spera nell’aiuto della Provvidenza quando i lanzichenecchi stanno per scendere nel territorio milanese. Nel trentesimo è don Abbondio ad invocare la Provvidenza quando accetta di rifugiarsi nel castello dell’Innominato per cercar scampo all’invasione dei lanzichenecchi. Nel trentaquattresimo, quando Renzo salta sul carro dei monatti per sfuggire al linciaggio, dopo che è stato scambiato per un untore, ringrazia la Provvidenza di averlo salvato. Nel trentaseiesimo la Provvidenza fa capitare Renzo proprio dalle parti del lazzaretto dove deve recarsi Lucia, ed è la stessa provvidenza che fa trovare a Lucia, nel momento del bisogno, la buona vedova che si occuperà di lei prendendola sotto la sua protezione.”
Il richiamo della provvidenza in qualsiasi situazione e sotto ogni pretesto percorre tutto il romanzo. Si nota che la provvidenza viene invocata e ringraziata soprattutto dalla gente povera e semplice, che in questo modo esprime la propria fiducia in un senso divino della storia e in una giustizia superiore a quella terrena. In particolare Lucia rappresenta un esempio della fede pura e cristallina. Per lei la provvidenza coincide con la volontà di Dio e si affida a questa volontà nei momenti difficili. Lucia dice a Renzo quando lui vuole agire in modo non conforme al cristianesimo, per dissuaderlo: “Il signore c’è anche per i poveri; e come volete che ci aiuti, se facciam del male.”
Non ci sono quindi dubbi che la provvidenza sia un elemento importantissimo del romanzo. Ma il lettore si può chiedere se la provvidenza annunciata ripetutamente corrisponda veramente alla convinzione intima dell’autore. L’autore coinvolge la provvidenza anche nelle situazioni, in cui è evidente che non si sia trattato di un intervento provvidenziale. Renzo, in osteria, dice scherzando che al pane ci ha pensato la provvidenza, quando invece lo aveva trovato in terra: “Al pane, disse Renzo ad alta voce e ridendo, ci ha pensato la provvidenza. E tirato fuori il terzo e ultimo di que’pani raccolti sotto la croce di san Dionigi, l’alzò per aria, gridando: ecco il pane della provvidenza!” L’uso così frequente della parola “provvidenza”, anche dove non ce n’è bisogno, fa pensare che Manzoni voglia fare capire al lettore che cerca solo d’interpretare il modo di pensare dei personaggi seicenteschi, per far vedere la realtà con gli occhi loro. L’autore stesso però era piuttosto pessimista, sia riguardo alla provvidenza, che si può chiamare giustizia divina, sia riguardo alla giustizia umana. Di questo argomento ho già parlato nel capitolo 1.1 e lo approfondirò anche nel capitolo 5.1 sulla Storia della colonna infame. I personaggi seicenteschi, grazie alla loro fede e devozione, ma forse un po’ in conseguenza alla loro ignoranza, superstizioni e pregiudizi, vedevano la provvidenza dappertutto, anche dove non c’era.
Manzoni, infatti, parla anche dell’ignoranza e della malafede umana: don Abbondio, che sembra piuttosto un insulto alla fiducia nella provvidenza, dato che lui stesso non mostra mai nemmeno un minimo di fede e pensa solo agli affari suoi, invoca la provvidenza in aiuto del proprio egoismo oppure la ringrazia per la morte di don Rodrigo: “Vedete figliuoli, se la provvidenza arriva alla fine certa gente. Sapete che l’è una gran cosa… Ha spazzato via certi soggetti, che, figliuoli miei, non ce ne liberavamo più.”
L’autore crede, come ho già detto prima, che la cattiveria e l’ignoranza della gente sono una delle cause del male sulla terra. Ne parla nel tredicesimo capitolo, quando descrive il comportamento della massa durante i tumulti popolari. La gente è arrabbiata perché manca il pane, allora prende d’attacco le botteghe dei fornai e le distrugge, senza tener conto delle cause di tale comportamento. La massa considera colpevole per la mancanza del pane il vicario di provvisione e non capisce le vere cause del problema e non si rende conto dell’assurdità e dell’ingiustizia del proprio comportamento. Manzoni spiega che la gente agisce in quel modo “per un riscaldamento di passione, per una persuasione fanatica, o per un disegno scellerato, o per un maledetto gusto del soqquadro, fanno di tutto per ispinger le cose al peggio.” Aggiunge che fortunatamente ci sono anche le persone buone che fanno da contrappeso alla cattiveria degli altri. In tale descrizione del comportamento della massa, secondo l’opinione di Miccinesi, “[…] sarebbe difficile trovarvi anche una sola argomentazione della quale si potesse indurre che il suo autore è un convinto sostenitore della provvidenza divina come forza attiva nel mondo.”
In base a quanto ho documentato sopra credo di poter constatare che Manzoni, nel periodo in cui scrive il romanzo, non cerca più una forza soprannaturale che intervenga nelle vicende umane ma capisce che sono gli stessi uomini a creare la storia, che la provvidenza è una forza che viene messa in moto dalle azioni degli uomini. Mentre nell’abbozzo Fermo e Lucia si trovano ancora diversi interventi provvidenziali, nei Promessi sposi l’autore spiega gli eventi che potrebbero apparire come intervento di Dio, come atti di fede individuale e non li fa apparire come un miracolo. Nel sesto capitolo, quando padre Cristoforo pensa che il cielo gli abbia dato un segno, che la provvidenza abbia messo il filo nelle sue mani, il lettore sa che in realtà si tratta dell’aiuto di un uomo, che agisce secondo la sua coscienza e vuole aiutare il suo prossimo. “La pressione provvidenziale si attenua o scompare, e si ha un intervento sulle coscienze umane ai fini di una trasformazione come nel caso dell’Innominato, il Dio interviene solo sul cuore umano e la determinazione divina viene a fondersi col subconscio”. L’uomo, credendo in Dio e nella provvidenza e agendo conformemente alla propria fede, realizza la provvidenza sulla terra.
La fede in Dio e la provvidenza aiutano le persone a sopportare meglio i dolori che la vita porta, di accettarli con rassegnazione e a volte dare a loro una spiegazione. Alla fine del libro lo dice Renzo, quando parlano con Lucia delle sventure che hanno dovuto superare: “[…] i guai vengono bensì spesso, perché ci si è dato cagione; ma la condotta più cauta non basta a tenerli lontani e che quando vengono, o per colpa o senza colpa, la fiducia in Dio li raddolcisce, e li rende utili per una vita migliore.“ Il tema delle azioni umane e delle loro conseguenze verrà approfondito nel sesto capitolo, dedicato al ruolo dell’uomo nella storia.

5 La supremazia del vero nella storia

Nei capitoli precedenti si è visto che Manzoni, dopo le prime opere, nelle quali celebra Dio e dichiara la fiducia in un piano provvidenziale agente nella storia, prova a scrivere le tragedie. Capisce però che i protagonisti non vengono aiutati da nessun intervento provvidenziale e probabilmente a questo punto comincia a dubitare che esistano tali interventi a favore dell’uomo. Decide di scrivere un romanzo storico, sperando che quest’ultimo gli offra maggiori possibilità di cogliere e descrivere gli interventi di Dio nelle vite umane e nella storia. Ragionando sopra i documenti storici invece comincia a capire che la storia è creata dagli uomini per mezzo delle loro azioni. Vuole rappresentare la storia più fedelmente possibile per raggiungere l’oggettività storica assoluta.
Studia attentamente i documenti storici dell’epoca che intende descrivere nella sua opera, di cui ho parlato nel capitolo precedente e alla quale voglio brevemente ritornare per evidenziare quanto ci teneva Manzoni a descrivere ogni particolare storico: nei Promessi sposi, infatti, si trova una descrizione dettagliata dei luoghi in cui si svolge il racconto, incluso i nomi geografici, date delle ordinanze e decreti rilasciati nel periodo di cui l’autore narra, incluso la descrizione e la spiegazione dei loro contenuti. Per maggior comprensione l’autore spiega le usanze e i problemi di quei tempi, sconosciuti al lettore del ’800: per esempio, Manzoni spiega quante complicazioni comportava nel ‘600 inviare una lettera. Soprattutto il periodo, in cui Milano è colpita dalla peste, viene descritto dal Manzoni con molta attenzione: l’autore descrive come si era diffusa l’epidemia, indica i nomi delle persone che probabilmente, secondo gli archivi di allora, portarono la malattia in città; descrive le misure che furono adottate dalle autorità per lottare contro la diffusione dell’infezione, indicando i nomi delle persone che erano impegnate in queste attività, tutto ciò documenta con le citazioni dai documenti e dalle cronache dell’epoca. In particolare fa riferimento allo storico Giuseppe Ripamonti, il cui opere l'Historia Ecclesiae mediolanensis e De peste Mediolani quae fuit anno 1630 erano le fonti principali per tutto il romanzo. In oltre, per dare al suo romanzo l’immagine di una storia vera e per sottolineare la veridicità e dei fatti riportati, l’autore sostiene di aver scritto il romanzo in base ad un manoscritto che trovò.
Oltre ai fatti storici, l’autore cerca di capire e interpretare il comportamento e il modo di pensare della gente coinvolta in questi eventi drammatici: descrive come la gente inizialmente sottovalutava la possibilità che la peste si diffondesse e non rispettava le misure disposte dalle autorità. Quando invece la peste era scoppiata, la gente, presa dal panico, iniziò a sospettare soprattutto gli estranei dalla diffusione dell’infezione. Da qui nacquero le persecuzioni degli untori. La gente, superstiziosa, ignorante e impaurita, vedeva avvelenatori dappertutto. L’autore descrive, basando si sui fatti veri raccontati dallo storico Ripamonti, come bastava un minimo pretesto per accusare e aggredire un uomo innocente:
Nella chiesa di sant’Antonio, un giorno di non so quale solennità, un vecchio più che ottuagenario, dopo aver pregato alquanto inginocchioni, volle mettersi a sedere; e prima, con la cappa, spolverò la panca. “Quel vecchio unge le panche!” gridarono a una voce alcune donne che vider l’atto. La gente che si trovava in chiesa (in chiesa!), fu addosso al vecchio; lo prendon per i capelli, bianchi come’erano; lo carican di pugni e di calci; parte lo tirano, parte lo spingon fuori; se non lo finirono, fu per istrascinarlo, così semivivo, alla prigione; ai giudici, alle torture. “Io lo vidi mentre lo strascinavan così,” dice il Ripamonti: “ e non ne seppi più altro: credo bene che non abbia potuto sopravvivere più di qualche momento.”
Credo che Alessandro Manzoni sia rimasto colpito dalle brutalità, commesse in conseguenza all’ignoranza, di cui trovò testimonianze nella documentazione storica, perché dedicò a questo tema diversi capitoli e prestò molta attenzione ai particolari. A romanzo finito si rese conto che i capitoli sulla peste erano troppo estesi e che sarebbe stata una digressione troppo lunga dalla trama del romanzo e decise di sviluppare l’argomento sugli untori in un testo indipendente. Pubblicò il saggio la Storia della colonna infame.

5.1 Storia della colonna infame

La Storia della colonna infame è una narrazione strettamente aderente ai documenti del processo contro gli untori durante la peste a Milano. Nell’introduzione alla Storia della colonna infame, scritta da Sandro Veronesi, collaboratore dell’Unità, si legge: “La storia della colonna infame era stata riesumata, prima del Manzoni, da Pietro Verri nelle Osservazioni sulla tortura nel 1804 allo scopo giuridico-civile, per far abolire la tortura.” Da precisare che le Osservazioni sono state pubblicate solo dopo la morte di Verri: lui stesso rinunciò a farlo per rispetto verso il suo padre, che era il presidente dello stesso senato che ebbe condannato due persone innocenti. Manzoni stesso fece pubblicare il saggio come libro indipendente solo nel 1840.
Il saggio narra del processo contro i presunti untori, cioè persone accusate di aver propagato la peste con le unzioni, in realtà si trattò di due uomini innocenti, che furono processati in base a un’accusa infondata, presentata da una donna superstiziosa e ignorante, e condannati ingiustamente, senza le prove, solo in base alle dichiarazioni ottenute con la tortura. Manzoni stesso spiega nell’introduzione al libro, che i giudici decretarono un pubblico monumento per commemorare la loro sentenza, in quel momento considerata vittoria della giustizia. Il monumento fu chiamato colonna infame e rimase in piedi cento quaranta anni. Quando i fatti furono chiariti, la colonna diventò al contrario un simbolo d’ingiustizia, una dimostrazione di fino a dove potesse arrivare un uomo in conseguenza della propria ignoranza, pregiudizi e superstiziosità e la colonna fu abbattuta. Manzoni inoltre spiega che il suo racconto si basa sullo scritto di un uomo, che grazie alla sua posizione sociale riuscì a salvarsi e pubblicò le proprie difese. Quindi si tratta di una storia vera, l’autore indica i nomi di tutte le persone coinvolte e cita anche dai verbali del tribunale.
Manzoni descrive tutti i particolari della faccenda: come iniziò il processo (per un assurdo pretesto) che l’accusato sotto la tortura “confessò” e indicò un altro colpevole (per evitare altra tortura, a costo di doversi inventare qualcosa). Manzoni ne dice:
Fanno orrore e compassione le strette, il bistento, i trovati di quel povero inventore, e ancor più orrore, e una più penosa compassione fa la gran contentatura di quei magistrati, i quali notavano seriamente le più assurde risposte, e domandavano nuovi schiarimenti d’una storia improvvisata con una incoerenza che dovrebbe scandalezzare la credulità d’un fanciullo.
Manzoni racconta passo per passo come procedeva l’interrogatorio e tutto il processo: erano i magistrati a suggerire le risposte agli accusati per far tornare l’interrogatorio a loro comodo e gli interrogati confermavano tutto quello che gli veniva chiesto e accusavano pure altre persone, per evitare altre torture. In corso del processo morirono tante persone in conseguenza alle torture, si salvò solo un nobile, uno spagnolo, grazie alla sua posizione sociale e alle difese dei suoi avvocati. Nell’introduzione alla Storia della colonna infame scritta da Sandro Veronesi si legge:
Sta di fatto che fu Manzoni a rendere definitivamente giustizia a Guglielmo Piazza, Giangiacomo Mora e tutte le altre vittime di questa spaventosa macchinazione giudiziaria, e che la Storia della Colonna Infame, in entrambe le versioni, e commentata a sostegno di qualunque tesi, resta una delle opere più straordinarie sull’inaffidabilità degli uomini che la cultura occidentale abbia conosciuto.
Manzoni, leggendo i fatti storici del processo, era impressionato dagli orrori che era in grado di commettere un uomo all’altro uomo, e questi eventi, realmente accaduti, hanno sicuramente contribuito alla perdita della fiducia negli effetti positivi della provvidenza divina del nostro autore. Lo confermano le parole di Miccinesi:
Non è possibile dare la rappresentazione di un mondo dominato dal male (una rappresentazione realistica, addirittura crudele) e pretendere, nello stesso tempo, che quello stesso mondo sia regolato da una provvidenza divina. I fatti scelti come materiali per la costruzione del romanzo smentiscono totalmente quella pretesa.
In quel momento Alessandro Manzoni nel suo intimo non avrà perso la fede in Dio ma non credeva più nella provvidenza come forza attiva che interviene nel mondo. Nella Storia della colonna infame non si trova nessun intervento della provvidenza e la provvidenza non viene nemmeno nominata. L’autore si limita a raccontare i fatti storici. Sapeva già che sono gli uomini con i loro pensieri e le loro gesta a creare la propria storia, non Dio. Con questa conclusione si passa al capitolo successivo che parlerà del ruolo dell’uomo nella storia.

6 Il ruolo dell’uomo nella storia

Nel capitolo precedente ho espresso l´opinione che Manzoni, a un certo punto della sua vita, capì che l´uomo ha un ruolo importante nella storia. Lo confermano le parole di Derla: “Manzoni del romanzo non vedeva la storia come un mistero divino, bensì umano perché il suo senso storico gli impediva di confinarsi nel determinismo provvidenzialistico, che necessariamente porta al fatalismo religioso.” Nel mondo il bene e il male sono connessi alle azioni dell’uomo, l’uomo manifesta il suo libero arbitrio e crea la realtà con le sue scelte. Altrettanto secondo Mariani Manzoni attribuiva tanta importanza alle azione dell’uomo:
Manzoni del romanzo vede ormai la storia come una grande tela composta di innumerevoli azioni individuali e irrevocabili che […] sono motivate individualmente. L’uomo è creatore della storia ed in essa agisce per lo più con coscienza del valore e delle conseguenze delle sue azioni, e lo scrittore interessato all’esperienza umana nella storia si concentra soprattutto sul tema delle responsabilità individuali.”
Manzoni del romanzo, invece di cercare il piano divino, si concentra allo studio della psicologia umana per capire meglio i motivi del comportamento umano e dà una grande importanza alla responsabilità dell’uomo per le sue azioni. L’uomo è il protagonista della storia e la crea a propria immagine. Nel capitolo successivo descriverò come, secondo Manzoni, gli interventi della provvidenza vengono realizzati dagli uomini: quando essi agiscono conformemente alla morale cristiana e compiono il bene, le loro gesta possono essere interpretate come interventi della provvidenza.

6.1 Personaggi manzoniani

Riguardo ai personaggi manzoniani spiega Toscani: “Tutti i protagonisti dei Promessi sposi hanno un ruolo preciso: l’iter del personaggio singolo è quello che va dalla sofferenza alla purificazione, mentre il personaggio plurale (come la calamità, guerra, peste) è strumento storico-esistenziale, la così detta “provvida sventura.” Ogni personaggio manzoniano è l’artefice del proprio destino, sia terreno sia ultraterreno, perché nella vita ha la possibilità della scelta morale. Nei Promessi sposi l’autore esprime l’idea che chi agisce secondo le proprie convinzioni cristiane, crea un intervento provvidenziale, l’intervento divino si fonde con la coscienza dell’uomo.
Lucia, una ragazza semplice, è la figura centrale del romanzo. È molto religiosa, devota a Dio, e la sua umiltà, dolcezza e purezza fanno di lei un’esemplare rappresentazione della fede cristiana. La sua purezza e bellezza interiore esercita un effetto positivo anche su altre persone, per esempio a Renzo, che in un momento di rabbia, pieno di pensieri negativi, appena pensa a Lucia, cambia il suo stato d’animo: “E Lucia? Appena questa parola si fu gettata a traverso quelle bieche fantasie, i migliori pensieri a cui era avvezza la mente di Renzo, v’erano in folla. Si rammentò degli ultimi riccordi de’suoi parenti, si rammentò di Dio, della Madonna e de’santi, pensò alla consolazione che aveva tante volte provata di trovarsi senza delitti […]” È una donna modesta e come tale si realizza in modo disinteressato e spirituale. Il suo amore nei confronti di Renzo è puro, non si esaurisce nel periodo della loro separazione ed è una dimostrazione delle sue qualità interiori. “Il suo grande e vivo senso della onnipresenza di Dio la fa unica, moralmente insuperabile, quasi santa, ma della santità concreta che si conquista con una instancabile pratica morale della vita.” Lucia crede nella provvidenza, e lei stessa, la sua purezza e devozione hanno un’influenza positiva anche su altri personaggi.
Renzo è un ragazzo semplice e tranquillo, un onesto lavoratore. La sua fede è genuina, sincera e ferma e anche in mezzo ai problemi non si lascia sopraffare dagli eventi: spera sempre in Dio e in provvidenza. Manzoni fa di lui un credibile esempio di un uomo del popolo, simbolo di molti ideali morali e sociali. Renzo crede nella provvidenza ed è un esempio dell’affermazione che la provvidenza c’è solo se l’uomo stesso la crea agendo secondo la propria fede: così dà gli ultimi soldi a una povera famiglia perché crede che “c’è la provvidenza.” Il personaggio di Renzo dimostra anche che Manzoni crede che l’uomo è responsabile per le sue azioni e non può solo sperare in un intervento provvidenziale. Durante le proteste popolari per la mancanza del pane, a modo suo di una persona semplice, Renzo rimprovera la gente per come si comporta:“Come volete che Dio ci dia del pane se facciamo di queste atrocità? Ci manderà de’fulmini, non del pane!”
Il padre Cristoforo viene descritto dall’autore come una persona solenne e maestosa nella sua umiltà. Dopo la sua conversione rappresenta un esempio di cristianesimo attivo. Rinuncia alla vita mondana e dedica la propria vita all’aiuto di chi ne ha bisogno e così incarna la provvidenza sulla terra.
Don Rodrigo e Gertrude sono due personaggi, in cui non si trova nessuna traccia di fede in Dio o provvidenza. “Don Rodrigo, nobile di nascita ma ignobile nelle azioni, è l’incarnazione del male più vicina all’impossibilità della salvezza. Ma nel momento della sua morte il padre Cristoforo e Renzo, due dei suoi perseguitati, sono a implorare la sua salvezza eterna.” Quindi si scopre che Manoni, nel suo intento di dare alla gente buon esempio e speranza, lascia una speranza di salvezza persino per un uomo che in conseguenza delle sue azioni non se la merita. Gertrude è una ragazza di origini nobili, piena di passione e sensualità che rimane vittima delle regole sociali di quei tempi. Il padre la costringe a entrare in un convento, nonostante che tale vita sia assolutamente inadatta per lei. Gertrude è infelice, cede alle tentazioni di un uomo e rimane coinvolta nel rapimento di Lucia. Dopo però si pente e quindi c’è una speranza anche per lei.
Il Cardinale Federico è senz’altro un esempio di come dovrebbe essere un uomo della chiesa: quest’uomo, una persona veramente esistita, è colto, umano, ha compassione con gli altri, in sostanza è “ un severo esecutore della missione sacerdotale e vescovile.” Quando incontra l’Innominato, prima della sua conversione, non gli fa discorsi teologici e morali astratti ma gli parla in modo adatto al suo stato d’animo turbato e sconvolto, e lo aiuta e incoraggia nella sua decisione. Anche quando convoca don Abbondio per rimproveralo per come si era comportato, più che rimproverarlo, cerca di far appello alla sua coscienza cristiana. Si vede dunque che il cardinale Federico, nonostante la sua carica sociale alta, ha tanta empatia e spontaneità e impegna tutte le sue forze, qualità morali e quando ce n’è bisogno, anche le possibilità economiche, nell’aiuto dei bisognosi. Da quello che ho appena detto è chiaro che il cardinale Federico è un’altra rappresentazione manzoniana dell’incarnazione della provvidenza.
Don Abbondio è un prete ma questa funzione è per lui solo una formalità, non una missione. È un uomo debole, privo di coraggio, sempre preoccupato e impaurito anche quando non ce n’è alcun motivo. Se ne rende conto già da giovane e decide di diventare prete con la speranza che tale funzione lo protegga dai problemi della vita. Considera gli ecclesiastici una classe privilegiata e vuole far parte di loro per poter condurre una vita tranquilla. Don Abbondio quindi non è un esempio di un buon cristiano, né di un prete, in lui non c’è nessun segno di fede in Dio o nella provvidenza, se non quando gli serve ai fini propri. Crea un’immagine negativa della chiesa ma dato che agisce solo per difendersi, non per usufruire della sua posizione, è umanamente comprensibile.
Il personaggio dell’Innominato forse rappresenta l’esempio più esplicito del fatto che l’uomo è responsabile della sua vita e delle azioni che compie. È un uomo nobile e ricco che conduce una vita spensierata e fa del male a tanta gente. A un certo punto della sua vita, forse in conseguenza all’età, comincia a pensare alla morte, al senso della vita e capisce che la sua vita fino ad ora era stata piena di crudeltà e priva di senso. Si converte al cristianesimo e cerca di rimediare a tutti i mali e ingiustizie che aveva commesse nella sua vita precedente, dando aiuto a tutti coloro che ne hanno bisogno. Da un uomo senza scrupoli diventa uno che fa di tutto per rendersi utile agli altri. La determinazione, con cui prima commetteva il male, ora l’impiega per fare del bene. La gente lo stima per com’è riuscito a cambiare se stesso: “ Era quell’uomo che nessuno aveva potuto umiliare, e che s’era umiliato da sé. […] In quel abbassamento volontario, la sua presenza e il suo contegno avevano acquistato, senza che lui lo sapesse, un non so che di più alto e di più nobile…” La sua conversione non è causata dalle parole di Lucia, è risultato di una riflessione sulla propria vita e maturazione spirituale. Lucia è stata solo un movente. Lo dice il cardinale Federigo a Lucia: “ Dio si è servito di voi per una grande opera, per fare una grande misericordia a uno, e per sollevar molti nello stesso tempo.” All’Innominato invece, il cardinale Federico dice: “Ma quando voi stesso sorgerete a condannare la vostra vita, ad accusar voi stesso, allora! allora Dio sarà glorificato!” L’Innominato personifica l’alternativa tra il bene e il male, tra Dio e suo nemico. Chi sa guardare bene dentro se stesso, capisce che tutto consiste in questa scelta. È evidente che l’autore vuole insegnare ai lettori che ognuno si deve impegnare per migliorare la propria personalità e che cambiare se stesso in meglio è possibile, basta trovare la forza di farlo.
In base a quello che ho descritto nell’ultimo capitolo della mia tesi si può riassumere che secondo Manzoni l’unico intervento della provvidenza che si possa ragionevolmente leggere nella storia sono le gesta compiute dalle persone che agiscono secondo lo spirito delle loro convinzioni di buoni cristiani. Il nostro autore ne dice: “ […] la vera disgrazia non è soffrire o essere poveri ma fare del male.”

 

 

7 Conclusione

Nelle pagine precedenti ho descritto come si evolse ideologicamente Manzoni nel corso della sua vita: da giovane, in particolare dopo il riavvicinamento alla chiesa cattolica, cercava per mezzo della fede le risposte alle domande esistenziali e riguardo all’ordine nel mondo per mezzo della fede. La fede però non gli dette le risposte che cercava e inoltre, studiando con attenzione la storia, arrivò alla conclusione che non c’è nessun piano divino e nessuna provvidenza che intervenga direttamente nelle vite umane.
Nel corso della sua vita, Manzoni si convinse che sono gli uomini a creare la storia tramite le loro azioni. Dio ha dato loro il libero arbitrio perché partecipassero alla creazione della storia, e gli uomini stessi decidono tra il bene e il male con le loro azioni. Tutto ciò non significa che il nostro autore abbia perso la fede in Dio: al contrario la considera importante perché aiuta l’uomo a sopportare le difficoltà che porta la vita e la condotta conforme alla fede fa diventare l’uomo, e di conseguenza tutto il mondo, migliore.
Nella mia tesi ho documentato che mentre nelle prime opere di Manzoni il tema della provvidenza non appare molto chiaro, nei Promessi sposi si trova in ogni capitolo, il che potrebbe sembrare in contrasto con quanto abbiamo appena detto, così come con il pessimismo manzoniano riguardo al concetto di giustizia che ho descritto. Se ci si chiede, perché Manzoni coinvolge la provvidenza se non crede nella sua esistenza, e perché mette in evidenza le buone azioni della gente, anche se nello stesso tempo dimostra lo scetticismo verso la giustizia umana, posso ipotizzare che Manzoni volesse dare esempio di buona condotta, conforme alle idee del cristianesimo, per educare la gente, per far vedere che le buone azioni portano del bene e possono migliorare il mondo. L’autore vuole altrettanto sottolineare che ognuno è responsabile delle sue decisioni e deve agire secondo la sua coscienza di buon cristiano perché sono le gesta umane a creare la storia, non la provvidenza divina:

 

Dal cielo di Manzoni non scendono arcangeli ad intimare agli uomini le vie da tenere, come dall’inferno non escono i demoni a tentare i cuori: il cielo e l’inferno sono questa vita, un eterno conflitto tra il bene e il male che Manzoni intende rappresentare come la nostra dimensione esistenziale e morale più autentica.
Per concludere penso di poter riassumere che Manzoni adopera il tema della provvidenza con l’intento di educare la gente ad un comportamento migliore, ma anche perché nel suo intimo sperava che il mondo fosse veramente governato da una forza maggiore che garantisse ordine e giustizia.


Bibliografia

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  • MANZONI, Alessandro, Storia della colonna infame. Editrice l’Unità s. p. a., Supplemento al n. 39 dell’Unità dell’11-10-93.
  • MARIANI, Umberto, Il solito Manzoni e il Manzoni vero. Pesaro: Metauro, 2006.
  • ULIVI, Ferruccio, Manzoni - storia e provvidenza, Roma: Bonnaci editore. 1974.
  • DERLA, Luigi, Il realismo storico di Alessandro Manzoni. Varese: Istituto editoriale cisalpino, 1965.
  • MICCINESI, Mario. Invito alla lettura di Alessandro Manzoni. 2. ed. Milano: Mursia, 1990.
  • TOSCANI, Claudio, Come leggere I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni. Milano: U. Mursia editore, 1994.
  • PARISI, Luciano, Il tema della Provvidenza in Manzoni. In:MLN [online]. 2009[cit. 2014-09-26]. ISBN 0026-7910. Accessibile al: http://www.jstor.org/action/showPublication?journalCode=mln.
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  • MANZONI, Alessandro. Conte di Carmagnola [online]. Letteratura italiana Einaudi. [cit. 2014-11-09].Accessibile al: http://www.letteraturaitaliana.net/pdf/Volume_8/t339.pdf.
  • PANIZ, Giuseppe, Riflessioni sul concetto manzoniano della provvidenza.
    Messina; Firenze: G. D’Anna, 1972.
  • Judaismus, křesťanství, islám. Vyd. 2., podstatně přeprac. a rozš., (v nakl. Olomouc vyd. 1.). Editor Helena Pavlincová, Břetislav Horyna. Olomouc: Nakladatelství Olomouc, 2003, 661 s. ISBN 80-718-2165-9.

 

Cfr. Judaismus, křesťanství, islám. Vyd. 2., podstatně přeprac. a rozš., (v nakl. Olomouc vyd. 1.).         
Editor Helena Pavlincová, Břetislav Horyna. Olomouc: Nakladatelství Olomouc, 2003, 661 s., p. 427.

PANIZ, Giuseppe, Riflessioni sul concetto manzoniano della provvidenza.
Messina; Firenze: G. D'Anna, 1972, p. 10.

PARISI, Luciano, Il tema della Provvidenza in Manzoni. In: MLN [online]. 2009[cit. 2014-09-26].  
Accessibile al  http://www.jstor.org/action/showPublication?journalCode=mln, p. 84.

Ibidem.

Ivi, p. 90.

MANZONI, Alessandro, I promessi sposi. Milano: Garzanti, 2000, p. 87.

Cfr. TOSCANI, Claudio, Come leggere I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni, Milano: U. Mursia 
editore, 1994, p. 78.

Cfr. DERLA, Luigi, Il realismo storico di Alessandro Manzoni, Varese: Istituto editoriale cisalpino,  
1965, p. 219.

MICCINESI, Mario, Invito alla lettura di Alessandro Manzoni. 2. ed. Milano: Mursia, 1990, p. 216- 217.  

MICCINESI, Mario, Invito alla lettura di Alessandro Manzoni. 2. op. cit., p. 28.

Cfr. MARIANI, Umberto, Il solito Manzoni e il Manzoni vero. Pesaro: Metauro, 2006, p. 22-23.

MANZONI, Alessandro, Storia della colonna infame, in Prose minori, Firenze, Sansoni, 1967, p. 44, 
cit. da PANIZ, Giuseppe, Riflessioni sul concetto manzoniano della provvidenza. Op. cit., p. 21.

MANZONI, Alessandro, Storia della colonna infame, in Prose minori, Firenze, Sansoni, 1967, p. 44,
cit. da PANIZ, Giuseppe, Riflessioni sul concetto manzoniano della provvidenza. Op. cit., p. 28

TILGHER, Pensieri sulla storia, cit. da DERLA, Luigi, Il realismo storico di Alessandro Manzoni.
Op. cit., p. 81

DERLA, Luigi, Il realismo storico di Alessandro Manzoni. Op. cit., p. 45.      

Cfr. Ivi, p. 49.

MARIANI, Umberto, Il solito Manzoni e il Manzoni vero. Op. cit., p. 67.

MANZONI, Alessandro, I promessi sposi. Op. cit., p. 239.

MARIANI, Umberto, Il solito Manzoni e il Manzoni vero. Op. cit., p. 38.

MANZONI, Alessandro, La Passione, cit. da PARISI, Luciano, Il tema della Provvidenza in Manzoni. 
Op. cit., p. 84.  

Cfr. MICCINESI, Mario, Invito alla lettura di Alessandro Manzoni. Op. cit., p. 124.

MANZONI, Alessandro, Marzo 1821, cit. da PARISI, Luciano, Il tema della Provvidenza in Manzoni. 
Op. cit., p. 85.

Tratto da MARIANI, Umberto, Il solito Manzoni e il Manzoni vero. Op. cit.

Cfr. MARIANI, Umberto, Il solito Manzoni e il Manzoni vero. Op. cit., p. 69.

Cfr. Ivi, p. 72.

MANZONI, Alessandro. Conte di Carmagnola [online]. Letteratura italiana Einaudi.                                                     
[cit. 2014-11-09].Accessibile al: http://www.letteraturaitaliana.net/pdf/Volume_8/t339.pdf, p. 56

PARISI, Luciano, Il tema della Provvidenza in Manzoni. Op. cit., p. 92.         

MANZONI, Alessandro. Adelchi [online]. Letteratura italiana Einaudi [cit. 2014-11-05].
Accessibile al: http://www.letteraturaitaliana.net/pdf/Volume_8/t341.pdf, p. 49.

MANZONI, Alessandro. Adelchi [online]. Op. cit., p. 22.

Ivi, p. 86  

  MANZONI, Alessandro. Adelchi [online]. Op. cit., p. 69.

  Ivi, p. 79.

Cfr. PANIZ, Giuseppe, Riflessioni sul concetto manzoniano della provvidenza. Op. cit., p. 37.

MANZONI, Alessandro, I promessi sposi. Op. cit., p. 178.

TOSCANI, Claudio, Come leggere I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni. Op. cit., p. 24.

MICCINESI, Mario. Invito alla lettura di Alessandro Manzoni. Op. cit., p. 215.

MANZONI, Alessandro, I promessi sposi. Op. cit., p. 35.

Ivi, p. 198.

MARIANI, Umberto, Il solito Manzoni e il Manzoni vero. Op. cit., p. 20.

MANZONI, Alessandro, I promessi sposi. Op. cit., p. 184.

MICCINESI, Mario. Invito alla lettura di Alessandro Manzoni. Op. cit., p. 218.

42 Cfr. ULIVI, Ferruccio, Manzoni - storia e provvidenza. Op. cit., p. 178.

MANZONI, Alessandro, I promessi sposi. Op. cit., p. 541.

MANZONI, Alessandro, I promessi sposi. Op. cit., p. 442.

Cfr. MANZONI, Alessandro, Storia della colonna infame, Editrice l´Unità s. p. a., p. VIII.

MANZONI, Alessandro, Storia della colonna infame. Op. cit., p. 9-10.

Ivi, p. X.

MICCINESI, Mario. Invito alla lettura di Alessandro Manzoni. Op. cit., p. 219.

Cfr. DERLA, Luigi, Il realismo storico di Alessandro Manzoni. Op. cit., p. 98.

MARIANI, Umberto, Il solito Manzoni e il Manzoni vero. Op. cit., p. 21.

Cfr. TOSCANI, Claudio, Come leggere I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni. Op. cit., p. 94.

MANZONI, Alessandro, I promessi sposi. Op. cit., p. 30.

Cfr. MANZONI, Alessandro, I promessi sposi. Op. cit., p. 96-97.

Ivi, p. 183.

Cfr. TOSCANI, Claudio, Come leggere I promessi Sposi di Alessandro Manzoni. Op. cit., p. 98.

Cfr. ULIVI, Ferruccio, Manzoni - storia e provvidenza. Op. cit., p. 148.

MANZONI, Alessandro, I promessi sposi. Op. cit., p. 409.

Cfr. Ivi, p. 335.

Ivi, p. 309.

Cfr. Ivi, p. 330.

Cfr. DERLA, Luigi, Il realismo storico di Alessandro Manzoni. Op. cit., p. 98

 

Fonte: http://is.muni.cz/th/399348/ff_b/Il_tema_della_provvidenza_in_Manzoni.docx

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Autore del testo: Martina Hauerová

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