Pascoli novembre parafrasi

Pascoli novembre parafrasi

 

 

 

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Pascoli novembre parafrasi

“Giovanni Pascoli”

 

Giovanni Antonio Pascoli    (San Mauro di Romagna, 31 dicembre 1855 – Bologna, 6 aprile 1912) è stato un poeta italiano, una figura della letteratura italiana di fine Ottocento.
Pascoli, insieme a D'Annunzio, rappresenta il maggior poeta decadente italiano. Dai principi letterari del poeta, esposti nel suo Fanciullino (1897), emerge una concezione essenzialmente socialista della società, un socialismo umanitario e utopico che misconosce ogni lotta di classe affidando alla poesia la missione di diffondere amore e fratellanza. Coerentemente al suo pensiero decadente, Pascoli manifesta tendenze spiritualistiche e idealistiche, tipiche della cultura di fine secolo segnata dal progressivo esaurirsi del positivismo. Gli stessi lutti familiari avranno modo di influenzare pesantemente, fino all'ossessione, il pensiero dell'autore: il matrimonio della sorella Ida nel 1895 verrà considerato un gesto di tradimento che lo porterà a serie reazioni depressive e patologiche.                 

1. Biografia
Per pochi scrittori come per Pascoli le vicende della prima giovinezza furono tanto determinanti nello sviluppo creativo della maturità: sembra quasi impossibile comprendere il vero significato di gran parte - e sicuramente la più importante - della sua produzione poetica, se si ignorano i dolorosi e tormentosi presupposti biografici e psicologi che egli stesso riorganizzò per tutta la vita, in modo ossessivo, come sistema di base del proprio mondo.
     1.1   Gli anni giovanili
Giovanni Pascoli nacque il 31 dicembre 1855 a San Mauro di Romagna, in una famiglia benestante, quarto dei dieci figli di Ruggero Pascoli (due morti molto piccoli), amministratore di una tenuta della famiglia Torlonia, e di Caterina Allocatelli Vincenzi.
Il 10 agosto 1867, quando Giovanni aveva 12 anni, il padre Ruggero, amministratore di una tenuta dei principi Torlonia, venne assassinato con una fucilata mentre sul proprio calesse tornava a casa da Cesena, e le ragioni del delitto, forse di natura politica o forse dovute a contrasti di lavoro, e i responsabili rimasero per sempre oscuri, nonostante la famiglia avesse forti sospetti sull'identità dell'assassino, come traspare evidentemente nella poesia La cavallina storna.
Il trauma lasciò segni profondi nella vita del poeta. La famiglia cominciò dapprima a perdere gradualmente il proprio status economico e successivamente a subire una serie impressionante di altri lutti, disgregandosi: costretti a lasciare la tenuta, l'anno successivo morirono la madre e la sorella Margherita, nel 1871 il fratello Luigi e nel 1876 il fratello maggiore Giacomo, che aveva tentato inutilmente di ricostituire il nucleo familiare.
1.2  I primi studi
Nel 1871, all'età di 16 anni e dopo la morte del fratello Luigi (per meningite il 19 ottobre dello stesso anno), Pascoli dovette lasciare il collegio Raffaello dei padri Scolopi  di Urbino, e si trasferì a Rimini, per frequentare il liceo classico Giulio Cesare; giunse a Rimini assieme ai suoi sei fratelli: Giacomo (19 anni), Luigi (17), Raffaele (14), Giuseppe (cioè Alessandro, 12), Ida (8), Maria (6, chiamata affettuosamente Mariù).
Pascoli terminò infine gli studi liceali a Firenze.
1.3  L'università e l'impegno politico
Grazie all'interessamento di un suo ex-professore, che gli fece ottenere una borsa di studio di 600 lire, che poi perse per aver partecipato ad una manifestazione studentesca, Pascoli si iscrisse all'Università di Bologna, dove ebbe come docente il poeta Giosuè Carducci, e diventò amico del poeta e critico Severino Ferrari.
Conosciuto Andrea Costa ed avvicinatosi a un movimento socialista-anarcoide, cominciò, nel 1877, a tenere comizi a Forlì e a Cesena. Durante una manifestazione più violenta del solito contro il governo per la condanna all'esponente anarchico Giovanni Passanante, Pascoli venne catturato dalle forze dell'ordine e fu portato nel carcere di Bologna nel 1879.
Dopo poco più di cento giorni, Pascoli esce di galera ed entra in una fase di depressione, nella quale più volte pensa al suicidio, decidendo di non riprendere gli studi. Si sente un fallito e deve essere ospitato dal fratello maggiore. Come poi scriverà in una lirica, in questo periodo sente le voci dei suoi cari defunti che lo incoraggiano e lo incitano a ricomciare gli studi per diventare sostegno per la famiglia.

1.4  La docenza
Dopo la laurea, conseguita nel 1882 con una tesi su Alceo, Pascoli intraprese la carriera di insegnante di latino e greco nei licei di Matera e di Massa. Qui volle vicino a sé le due sorelle minori Ida e Maria, con le quali tentò di ricostituire il primitivo nucleo familiare.
Dal 1887 al 1895 insegnò a Livorno al liceo classico Niccolini-Palli. Intanto iniziò la collaborazione con la rivista Vita nuova, su cui uscirono le prime poesie di Myricae, raccolta che continuò a rinnovarsi in cinque edizioni fino al 1900.
Nel 1894 fu chiamato a Roma per collaborare con il Ministero della pubblica itruzione. Nella capitale pubblicò la prima versione dei Poemi conviviali, ed ebbe modo di conoscere e frequentare Gabriele D'Annunzio.
1.5   Il "nido" di Castelvecchio
Costretto dalla sua professione di docente universitario a lavorare in città (Bologna, Firenze e Messina, dove insegnò per alcuni anni all'Università e compose tra le sue più belle poesie, una su tutte: L'Aquilone), egli non si radicò mai in esse, preoccupandosi sempre di garantirsi una "via di fuga" verso il proprio mondo di origine, quello agreste. Tuttavia il punto di arrivo sarebbe stato sul versante appenninico opposto a quello da cui proveniva la sua famiglia.
Nel 1895 infatti si trasferì con la sorella gobba Maria in Garfagnana nel piccolo borgo arroccato di Caprona, presso Castelvecchio nel comune di Barga, in una casa che divenne la sua residenza stabile quando poté acquistarla col ricavato della vendita di alcune medaglie d'oro vinte nei concorsi.
Si può addirittura affermare che la vita moderna della città non entrò mai, neppure come antitesi, come contrapposizione polemica, nella poesia pascoliana: egli, in un certo senso, non uscì mai dal suo mondo, che costituì, in tutta la sua produzione letteraria, l'unico grande tema, una specie di microcosmo chiuso su sé stesso, come se il poeta avesse bisogno di difenderlo da un minaccioso disordine esterno che, però, rimase innominato e oscuro, privo di riferimenti e di identità, come lo era stato l'assassino di suo padre.
1.6   Gli ultimi anni
Le trasformazioni politiche e sociali che agitavano gli anni di fine secolo e preludevano alla catastrofe bellica europea e all'avvento del fascismo gettarono progressivamente Pascoli, già emotivamente provato dall'ulteriore fallimento del suo tentativo di ricostruzione familiare, in una condizione di insicurezza e pessimismo ancora più marcati. Dal 1897 al 1903 insegna latino all'Università di Messina, ed in seguito a Pisa. Nel 1905 assume la cattedra di letteratura italiana all'Università di Bologna succedendo a Carducci. Nel novembre 1911, durante la campagna di Libia, presso il teatro di Barga pronuncia il celebre discorso a favore dell'imperialismo La grande Proletaria si è mossa. Il 6 aprile 1912, già malato di cirrosi epatica (a causa dell'abuso di alcool) muore a causa di un cancro al fegato a Bologna, all'età di cinquantasei anni. Viene sepolto nella cappella annessa alla sua dimora di Castelvecchio di Barga, dove sarà tumulata anche l'amata sorella Maria.

2. Il profilo letterario
2.1   La rivoluzione poetica di Pascoli
L'esperienza poetica pascoliana si inserisce, con tratti originalissimi, nel panorama del decadentismo europeo e segna in maniera indelebile la poesia italiana: essa affonda le radici in una visione pessimistica della vita in cui si riflette la scomparsa della fiducia, propria del Positivismo, e in una conoscenza in grado di spiegare compiutamente la realtà. Il mondo appare all'autore come un insieme misterioso e indecifrabile tanto che il poeta tende a rappresentare la realtà con una pennellata impressionistica che colga solo un determinato particolare del reale, non essendo possibile per l'autore avere una concreta visione d'insieme. Coerentemente con la visione decadente, il poeta si configura come un "veggente", in grado di spingere lo sguardo oltre il mondo sensibile: nel Fanciullino Pascoli afferma quanto il poeta fanciullino sappia dare il nome alle cose, scoprendole nella loro freschezza originaria, in maniera immaginosa e alogica.
2.2   La poesia come "nido" che protegge dal mondo
Per Pascoli la poesia ha natura irrazionale e con essa si può giungere alla verità di tutte le cose; il poeta deve essere un poeta-fanciullo che arriva a questa verità mediante l'irrazionalità e l'intuizione. Rifiuta quindi la ragione e, di conseguenza, rifiuta il Positivismo (che era l'esaltazione della ragione stessa e del progresso), approdando, come si è detto, al decadentismo. La poesia diventa così analogica, cioè senza apparente connessione tra due o più realtà che vengono rappresentate; ma, appunto, solo apparentemente: in realtà c'è una connessione (a volte anche un po' forzata) tra i concetti ed il poeta spesso e volentieri è costretto a "voli vertiginosi" per mettere "in comunicazione" questi concetti. I motivi principali di questa poesia devono essere "umili cose": cose della vita quotidiana, cose modeste o familiari. Dalla casa di Castelvecchio, dolcemente protetta dai boschi della Media Valle del Serchio vicino al borgo medievale di Barga, Pascoli non "uscì" più (psicologicamente parlando) fino alla morte.
Pur continuando in un intenso lavoro di pubblicazioni poetiche e saggistiche, e accettando nel 1905 di succedere a Carducci sulla cattedra dell'Università di Bologna, egli ci ha lasciato del mondo una visione univocamente ristretta attorno ad un "centro", rappresentato dal mistero della natura e dal rapporto tra amore e morte.
Fu come se, sopraffatto da un'angoscia impossibile a dominarsi, il poeta avesse trovato nello strumento intellettuale del componimento poetico l'unico mezzo per costringere le paure ed i fantasmi dell'esistenza in un recinto ben delimitato, al di fuori del quale egli potesse continuare una vita di normali relazioni umane. Non c'è dubbio che la sua opera più significativa è rappresentata dai volumi poetici che comprendono le raccolte di Myricae e dei Canti di Castelvecchio (1903). Il "mondo" di Pascoli è tutto lì: la natura come luogo dell'anima dal quale contemplare la morte come ricordo dei lutti privati.

2.3   Il poeta e il fanciullino
Uno dei tratti salienti per i quali Pascoli è passato alla storia della letteratura è la cosiddetta poetica del fanciullino, da lui stesso così bene esplicitata nello scritto omonimo apparso sulla rivista Il Marzocco nel 1897. In tale scritto, Pascoli, dà una definizione assolutamente compiuta - almeno secondo il suo punto di vista - della poesia (dichiarazione poetica).
Caratteristiche del fanciullino:

  • "Rimane piccolo anche quando noi ingrossiamo e arrugginiamo la voce ed egli fa sentire il suo tinnulo squillo come di campanella".
  • "Piange e ride senza un perché di cose, che sfuggono ai nostri sensi ed alla nostra ragione".
  • Guarda tutte le cose con stupore e con meraviglia, non coglie i rapporti logici di causa- effetto, ma INTUISCE.
  • "Scopre nelle cose le relazioni più ingegnose".
  • Riempie ogni oggetto della propria immaginazione e dei propri ricordi), trasformandolo in simbolo.

Il poeta allora mantiene una razionalità di fondo, organizzatrice della metrica poetica, ma:

  • Possiede una sensibilità speciale, che gli consente di caricare di significati ulteriori e misteriosi anche gli oggetti più comuni;
  • Deve saper combinare il talento della fanciullezza (saper vedere), con quello della vecchiaia (saper dire);
  • Coglie l'essenza delle cose e non la loro apparenza.

La poesia, quindi, è tale solo quando riesce a parlare con la voce del fanciullo ed è vista come la perenne capacità di stupirsi tipica del mondo infantile, in una disposizione irrazionale che permane nell'uomo anche quando questi si è ormai allontanato, almeno cronologicamente, dall'infanzia propriamente intesa. Il poeta si impone la rinuncia a parlare di se stesso. È vero che la vicenda autobiografica dell'autore caratterizza la sua poesia, ma con connotazioni di portata universale; cioè la morte del padre viene percepita come l'esempio principe della descrizione dell'universo, di conseguenza gli elementi autenticamente autobiografici sono scarsi. La poesia, così definita, è naturalmente buona ed è occasione di consolazione per l'uomo ed il poeta.
Il limite della poesia del Pascoli è costituito dall'ostentata pateticità e dall'eccessiva ricerca dell'effetto commovente. D'altro canto, il merito maggiore attribuibile al Pascoli fu quello di creare finalmente un legame diretto con la poesia d'Oltralpe e di respiro europeo.

 

2.4   ELEMENTI DELLO STILE
Il linguaggio: Pascoli usa un linguaggio poetico lirico, con echi e risonanze melodiche ottenute talvolta con ripetizioni di parole e di espressioni cantilenanti, arricchite di rapide note impressionistiche e di frasi spesso ridotte all’essenziale. In questo egli prelude ai poeti del Novecento.
Il lessico: è nuovo, con mescolanze di parole dotte e comuni ma sempre preciso e scrupolosamente scientifico quando nomina uccelli (cince, pettirossi, fringuelli, assiuoli...) o piante (viburni o biancospini, timo, gelsomini, tamerici...).
Realtà e simbolismo: egli ricerca " nelle cose il loro sorriso", la loro anima, il loro significato nascosto e simbolico. Ecco perché la sua poesia è sempre ricca di allusioni e di analogie simboliche.
La sintassi: preferisce periodi semplici, composti di una sola frase, o strutture paratattiche con frasi accostate mediante virgole o congiunzioni.
Aspetto metrico e fonico: partendo dalla metrica classica e tradizionale vi innesta forme e metri nuovi, adatti ad esprimere timbri e toni nascosti, assonanze e allusioni. Cura in particolare la magia dei suoni, la trama sonora, gli effetti musicali di onomatopee espressive e di pause improvvise.
Accorgimenti stilistici: molto curate le scelte espressive. Per rendere le immagini più vive e sintetiche, Pascoli ama talvolta eliminare congiunzioni e verbi (ellissi) o fare accostamenti nuovi trasformando aggettivi e verbi in sostantivi (un nero di nubi... il cullare del mare...). Ne risulta uno stile impressionistico e nuovo.

 

7
3. Opere
Elenco delle opere

  • 1891 - Myricae (I edizione della fondamentale raccolta di versi)
  • 1896 - Iugurtha (poemetto latino)
  • 1897 - Il fanciullino (scritto pubblicato sulla rivista Il Marzocco)
  • 1897 - Poemetti
  • 1898 - Minerva oscura (studi danteschi)
  • 1903
    • Canti di Castelvecchio (dedicati alla madre)
    • Myricae (edizione definitiva)
    • Miei scritti di varia umanità
  • 1904
    • Primi poemetti
    • Poemi conviviali
  • 1906
    • Odi e Inni
    • Canti di Castelvecchio (edizione definitiva)
    • Pensieri e discorsi
  • 1909
    • Nuovi poemetti
    • Canzoni di re Enzio
  • 1911-1912
    • Poemi italici
    • Poemi del Risorgimento
    • Carmina
    • La grande proletaria si è mossa
  • 1912
    • Poesie varie (a cura della sorella Maria; ediz. accresciuta 1914)

 

4.1 Myricae

Il libro Myricae è la prima vera e propria raccolta di poesie del Pascoli, nonché una delle più amate. Il titolo riprende una citazione di Virgilio all'inizio della IV Bucolica in cui il poeta latino proclama di innalzare il tono poetico poiché "non a tutti piacciono gli arbusti e le umili tamerici" (non omnes arbusta iuvant humilesque myricae). Pascoli invece propone "quadretti" di vita campestre in cui vengono evidenziati particolari, colori, luci, suoni i quali hanno natura ignota e misteriosa. Il libro crebbe per il numero delle poesie in esso raccolte. Nel 1891, data della sua prima edizione, il libro raccoglieva soltanto 22 poesie dedicate alle nozze di amici. Nel 1903, la raccolta definitiva comprendeva 156 liriche del poeta. I componimenti sono dedicati al ciclo delle stagioni, al lavoro dei campi e alla vita contadina. Le myricae, le umili tamerici, diventano un simbolo delle tematiche del Pascoli ed evocano riflessioni profonde. La descrizione realistica cela un significato più ampio così che, dal mondo contadino si arriva poi ad un significato universale. La rappresentazione della vita nei campi e della condizione contadina è solo all'apparenza il messaggio che il poeta vuole trasmettere con le sue opere. In realtà questa frettolosa interpretazione della poetica pascoliana fa da scenario a stati d'animo come inquietudini ed emozioni. Il significato delle Myricae va quindi oltre l'apparenza. Nell'edizione del 1897 compare la poesia Novembre, mentre nelle successive compariranno anche altri componimenti come L'Assiuolo. Pascoli ha dedicato questa raccolta alla memoria di suo padre ("A Ruggero Pascoli, mio padre").
Poesie comprese in Myricae:

Novembre

Gemmea l'aria, il sole così chiaro

che tu ricerchi gli albicocchi in fiore,

e del prunalbo l'odorino amaro

senti nel cuore...

Ma secco è il pruno e le stecchite piante

di nere trame segnano il sereno,

e vuoto il cielo, e cavo al piè sonante

sembra il terreno.

Silenzio, intorno; solo, alle ventate

odi lontano, da giardini ed orti,

di foglie un cadere fragile. E' l'estate,

fredda, dei morti.

 

Parafrasi:


L’aria è limpida e fredda, la luce del sole è così chiara che tu cerchi con lo sguardo gli albicocchi fioriti, l’odore amaro del biancospino dentro il tuo cuore…

Ma, in realtà, il pruno è secco, e le piante stecchite tramano il cielo con i loro rami spogli e scuri, il cielo è privo di nuvole, e sotto il piede il terreno sembra duro e cavo.

Tutto intorno v’è silenzio: solo con le folate di vento senti da lontano, dai giardini e dagli orti, un rumore leggero delle foglie che cadono. E’ l’estate fredda e veloce dell’inizio di novembre.


Commento:
La poesia “Novembre” fu elaborata nel 1890 e pubblicata su “La Vita Nuova” nel febbraio 1891; infine fu conclusa nella prima edizione di Myricae nel 1891.
E’ composta da tre quartine a rima alternata. La prima impressione è quella di avere davanti un paesaggio primaverile, ma questa è solo un’illusione: infatti la poesia è ambientata in novembre e i vari odori e colori sono percepiti non con i sensi ma con l’immaginazione. Nella prima quartina, viene descritto un paesaggio tipicamente primaverile, e persistono immagini di vita, di luce e di colore; nella seconda, invece, viene descritto il paesaggio autunnale e allude alla morte, e nell’ultima quartina Pascoli affianca l’immagine della “finta” estate alla morte, quindi sono presenti.
L’elemento che bipartisce i due quadri naturali è “ma”, poiché ribalta tutto ciò che è stato detto un attimo prima. Inoltre la seconda quartina è piena di parole come “secco e stecchite” che cambiano immediatamente l’immagine della primavera.
Sono presenti alcune sinestesie, come “odorino amaro”, “cader fragile”, e un ossimoro: “estate fredda”.

 

 

 

L'assiuolo


Dov’era la luna? ché il cielo

notava in un’alba di perla,

 
ed ergersi il mandorlo e il melo


parevano a meglio vederla.


Venivano soffi di lampi


da un nero di nubi laggiù;

 

10

veniva una voce dai campi:

chiù...

 
Le stelle lucevano rare


tra mezzo alla nebbia di latte:


sentivo il cullare del mare,


sentivo un fru fru tra le fratte;

sentivo nel cuore un sussulto,
 
com’eco d’un grido che fu.

 
Sonava lontano il singulto:

 
chiù...


Su tutte le lucide vette

tremava un sospiro di vento:

squassavano le cavallette

finissimi sistri d’argento

(tintinni a invisibili porte

che forse non s’aprono più?...);

e c’era quel pianto di morte...

chiù...
 

Parafrasi:

 


Mi domando dove fosse la luna, visto che il cielo aveva un colore chiaro e il mandorlo e il melo sembravano sollevarsi per vederla meglio.
Da nuvole nere in lontananza venivano dei lampi mentre una voce nei campi ripeteva: chiù. Solo poche stelle brillavano nella nebbia bianca. Sentivo il rumore delle onde del mare, sentivo un rumore tra i cespugli, sentivo un’agitazione nel cuore al ricordo di una voce che evocava un dolore antico. Si sentiva un singhiozzo lontano: chiù. Sulle vette dei monti illuminate dalla luna, soffia un vento leggero mentre il canto delle cavallette sembra il suono dei sistri funebri che bussano alle porte della morte che forse non si aprono più?…e continua insistentemente un pianto funebre … chiù…


Commento:


Il paesaggio de “L’assiuolo” è uno dei più intensi e suggestivi di tutta la produzione pascoliana.
Le immagini si susseguono prive di ordine logico, come rivelazioni improvvise via via più profonde. Il vero filo conduttore è il verso dell’assiuolo, un piccolo rapace notturno, simile alla civetta, che va ripetendo il suo verso lamentoso: in quella voce sembra concentrarsi tutta la tristezza dell’universo, tutto il dolore, dell’esistenza nel suo fatale destino di morte.

 

 

Temporale


Un bubbolio lontano...

Rosseggia l'orizzonte,

come affocato, a mare;

nero di pece, a monte,

stracci di nubi chiare:

tra il nero un casolare:

un'ala di gabbiano.



Parafrasi:

Il brontolio di un tuono lontano...
L'orizzonte si accende di rosso, come se fosse di fuoco, verso il mare; sui monti il cielo è nero come la pece, in mezzo vi sono nubi bianchi: tra le nuvole nere c'è un casolare: un'ala di gabbiano.

 

Commento:


Nella prima descrive una tempesta che si sta avvicinando, nella seconda l’attimo in cui il lampo acceca l’occhio. La prima si apre con un’onomatopea che indica l’eco lontano di una minaccia. L’unica salvezza nella tempesta è il casolare. È il nido. Nella seconda poesia domina il senso della vista: anche qui l’unico riparo è il casolare bianco. Il fanciullino non è in armonia con la natura ma deve fuggire da essa e rintanarsi nel suo rifugio.

 

4.2   I canti di Castelvecchio


I Canti di Castelvecchio sono una raccolta pascoliana del 1903: il titolo pare voglia creare un collegamento con i "Canti" leopardiani, suggerendo così, secondo l'interpretazione di Giuseppe Nava, l'ambizione ad una poesia più elevata.

Commento:


La poesia viene definita istantanea, poiché si riferisce a momenti e istanti precisi nella prima notte degli sposi, collegati tramite simbolismi. Innanzi tutto, il titolo fa subito pensare ad una poesia centralizzata nella sfera dell’eros, simboleggiata per Pascoli dal riferimento al fiore (il gelsomino). L’erotismo presente è sicuramente celato dalle ripetute analogie con il mondo della natura, se non drammatizzato quando il poeta riconsidera nelle strofe le proprie esperienze di vita. Infatti si può notare come, già dai primi versi, sia messo in risalto l'atto sessuale dei coniugi e relazionato alla tristezza del poeta, che si sente indotto a pensare ai suoi cari morti. Quest'idea si mette meglio a fuoco con la seconda strofa: si intravede l'angolo di intimità personale e protetta dei due che per il Pascoli non fu; non si riesce ad osservare direttamente la scena, ma la si può solo vedere da lontano. Nella quarta strofa, l'ape tardiva è il modo in cui Pascoli si presenta in maniera netta nella scena, come interessato ma distaccato, tardiva poichè si pensa che il poeta non sia riuscito ad arrivare al contatto con la donna in tempo. Quivi è presente il paragone tra l'immagine della chioccia e i suoi pulcini nell'aia e la costellazione del cielo chiamata con il termine popolare di chioccietta. Per tutta la notte si ripete la scena sessuale dei coniugi, segnalata dall'apertura del fiore che allude alla fecondazione, e che termina addirittura con una violenza inferta alla carne. Infine, è presente l'idea di nascita di una nuova vita, che il Pascoli vive in maniera turbata e non serena.

Nebbia


Nascondi le cose lontane,

tu nebbia impalpabile e scialba,

tu fumo che ancora rampolli,

su l'alba,

da' lampi notturni e da' crolli

d'aeree frane!

Nascondi le cose lontane,

nascondimi quello ch'è morto!

Ch'io veda soltanto la siepe

 

16
dell'orto,

la mura ch'ha piene le crepe

di valeriane.

Nascondi le cose lontane:

le cose son ebbre di pianto!

Ch'io veda i due peschi, i due meli,

soltanto,

che dànno i soavi lor mieli

pel nero mio pane.

Nascondi le cose lontane

che vogliono ch'ami e che vada!

Ch'io veda là solo quel bianco

di strada,

che un giorno ho da fare tra stanco

don don di campane...

Nascondi le cose lontane,

nascondile, involale al volo

del cuore! Ch'io veda il cipresso

là, solo,

qui, solo quest'orto, cui presso

sonnecchia il mio cane.

Parafrasi:


Nascondi le cose lontane, tu nebbia impalpabile e incolore (scialba), tu fumo che sali, scaturisci (rampolli) all’alba, tu assomigli a un fumo che si ha con la tempesta e a un fumo che si ha con le catastrofi cosmiche.
crolli d'aeree frane: la metafora rende il fragore dei tuoni scoppiati durante il temporale notturno.

Nascondi le cose lontane e per me nascondi il passato lontano che mi ricorda la morte dei miei cari. Che io veda solo la siepe di questo orto, il muro che è pieno di crepe piene di valeriane (piante medicinali).
la siepe dell’orto: rappresenta il confine tra il nido famigliare e il minaccioso mondo esterno - Enjambment (quando un’espressione, anziché concludersi alla fine del verso, continua nel verso seguente).

Nascondi le cose lontane: le cose sono ubriache (ebbre) di pianto! Che io veda solo le piante che danno le dolci marmellate (solo le piccole cose domestiche possono dare gioia) alla dolorosa esistenza del poeta (pel nero mio pane).

Nascondi le cose lontane che mi ricordano gli antichi affetti e che mi dicono di andare! (proprio come un bambino, il poeta sente la necessità di rinchiudersi in un nido e sfuggire ai pericoli della vita, rifiutando persino di "andare" ed "amare") Che io veda solo quella strada bianca (la strada che conduce al cimitero) che un giorno dovrò percorrere accompagnato dal suono infelice delle campane.

Nascondi le cose lontane, nascondile, sottraile ai desideri e ai sogni del mio animo (involale al volo del cuore). Che io veda solo il cipresso (è simbolo di morte) e solo quest’orto presso cui sonnecchia il mio cane.
Commento:
Questa poesia è un’invocazione, una preghiera rivolta alla nebbia affinché nasconda le apparenze di una realtà a lui troppo stretta di mistero e dolore. La natura, nella poesia di Pascoli, è una natura simbolica e qui, è la nebbia ad essere un simbolo. Con la nebbia il poeta non vede il passato, non vede quindi il dolore. Tema principale, infatti, che ricorre in tutte le sue opere è la morte dei familiari e l’importanza del nido familiare che ritiene un proprio universo, di limitati ma rassicuranti affetti, in cui rinchiudersi. Ed è per questo che implora la natura di fargli vedere solo quello che fa parte del suo “nido”: i pochi alberi nell’orto, la siepe e il muro. Sono questi semplici elementi che lo proteggono dai rischi del mondo esterno. In “Nebbia” risalta con chiarezza il fondo pessimistico di Pascoli: il legame di cui non può fare a meno con le proprie memorie, la segregazione in un mondo tutto suo di piccole cose, l’ossessione della morte, sono tutti aspetti di un rifiuto di vivere che arriva in questo caso al desiderio di cancellare la realtà. E’ una poesia che rivela a pieno gli ideali dell’autore, ci fa capire quanto la morte dei familiari abbia influito sulla sua vita, l’autore non riesce a guardare il passato per il gran dolore che prova e usa la natura, la semplicità della nebbia, per nasconderlo.

 

 


 

Fonte: http://www.sismondipacinotti.it/Didattica/Docenti/GualbertoRinaldi/index.php/didattica/category/1-italiano-classe-5?download=6:giovanni-pascoli

Sito web da visitare: http://www.sismondipacinotti.it

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