Letteratura Gabriele D' Annunzio Il piacere

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Letteratura Gabriele D' Annunzio Il piacere

GABRIELE D’ANNUNZIO - IL PIACERE (1889)

Così come un secolo prima Le ultime lettere di Jacopo Ortis di Ugo Foscolo aveva diffuso in Italia la corrente e la sensibilità romantica, Il piacere e il suo protagonista Andrea Sperelli introducono nella cultura italiana di fine Ottocento la tendenza decadente e l'Estetismo. Come affermò Benedetto Croce, con d'Annunzio "risuonò nella letteratura italiana una nota, fino ad allora estranea, sensualistica, ferina, decadente", in contrapposizione al naturalismo ed al positivismo che in quegli anni sembravano aver ormai conquistato la letteratura italiana, con la pubblicazione del Mastro-don Gesualdo di Giovanni Verga. Per uscire dai canoni del naturalismo, d'Annunzio inaugura un tipo di prosa psicologica, che avrà in seguito un grande successo e gli permetterà di indagare gli errori e le contrarietà della vita dell'"ultimo discendente d'una razza intellettuale".

Il contesto storico

Nel 1876 cade la Destra storica che aveva governato l'Italia dalla formazione del Regno nel 1861. Il re chiama al governo Agostino Depretis, un ex-mazziniano che forma un ministero con uomini della Sinistra parlamentare, tenendo il potere fino al 1887. A Depretis succede Francesco Crispi, che governa, a fasi alterne, fino al '96. Politica economica della Sinistra: protezionismo delle industrie e delle grandi aziende agrarie nazionali, fino alla guerra doganale con la Francia. Politica estera: 1882: Triplice Alleanza, a carattere difensivo, con Austria e Germania. Inaugurazione di una politica coloniale, con l'occupazione dell'Eritrea sfociata nella sconfitta di Dogali del 1887. Governo Crispi: nuovo codice penale - codice Zanardelli - che abolisce la pena di morte;azione repressiva nei confronti delle associazioni cattoliche e del movimento operaio; ulteriore spinta al protezionismo; rigida applicazione del trattato di alleanza con Austria e Germania; ripresa della politica coloniale: 1889 trattato di Uccialli e costituzione della colonia Eritrea. I fatti qui citati si collocano nel pieno della "grande depressione" economica che colpì l'Europa alla fine del secolo scorso. Il periodo fu caratterizzato da alcuni mutamenti nella struttura socio-economica delle grandi nazioni occidentali: concentrazioni industriali e finanziarie (trust, monopoli) sostenute dallo Stato (protezionismo); conseguente crisi del liberalismo e nascita di nuove tendenze autoritarie. Queste tendenze si scontrano con le conquiste sociali precedentemente ottenute dalle classi lavoratrici e con la conseguente formazione di grandi partiti di massa (socialisti e socialdemocratici), che diventano la struttura portante della società industriale. In questa situazione, artisti e intellettuali scelgono spesso una collocazione divergente o di autoemarginazione dalle masse, dalla vita "ordinaria" promossa dal nuovo modello produttivo capitalistico, e dalla mercificazione dell'opera d'arte, assumendo atteggiamenti accentrici ed elitari, o provocatori e demistificanti.

Elementi biografici

D'Annunzio compose Il piacere tra il luglio del 1888 e il gennaio del 1889, a Francavilla al Mare, dove era ospite del pittore Francesco Paolo Michetti. Il poeta era in quegli anni collaboratore fisso del giornale la «Tribuna» di Roma, da cui dipendeva sul piano economico dalla fine del 1884, dopo la fuga d'amore e il matrimonio riparatore con la contessina Maria Gallese.
Uno dei risultati più impressionanti della sua apparizione nel mondo letterario, che Il piacere aveva reso travolgente, fu la creazione di un vero e proprio "pubblico dannunziano"condizionato non tanto dai contenuti quanto dalla forma divistica, un vero e proprio "star system", che lo scrittore costruì attorno alla propria immagine. Egli inventò uno stile immaginoso e appariscente di vita da "grande divo", con cui nutrì il bisogno di sogni, di misteri, di "vivere un'altra vita", di oggetti e comportamenti-culto che stava connotando in Italia la nuova cultura di massa.

I modelli letterari di riferimento

Parigi fu, negli anni della Terza repubblica fino allo scoppio della prima guerra mondiale, la capitale culturale d'Europa, la città in cui vennero elaborati i modelli, gli atteggiamenti, i programmi dei principali movimenti culturali, il luogo di attrazione di tutti gli artisti e scrittori europei. Quello che segue è un elenco indicativo dei principali poeti e letterati che soggiornarono a Parigi tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento: Arthur Symon, W.B. Yeats, George Moore dal Regno Unito; Stefan George, Hofmannsthal, Rilke e Gerhart Hauptmann dai paesi di lingua tedesca; Gualdo, D'Annunzio e Marinetti dall'Italia; i fratelli Machado dalla Spagna; Maeterlink e Verhaeren dal Belgio; Moreas dalla Grecia. Essi ingrossarono le file già nutrite degli scrittori francesi, che in quegli anni contavano i nomi di Emile Zola, Guy de Maupassant, Huysmans, i fratelli Goncourt, Gustave Flaubert. D'Annunzio utilizzò il suo impiego giornalistico alla "Tribuna" di Roma per esplorare e assimilare i modelli della nuova letteratura elaborati in quella formidabile fucina di pensiero. La sede parigina del giornale gli procurava le riviste della capitale francese, attraverso cui lo scrittore attrezzò la struttura percettiva, ideologica e costruttiva del romanzo a cui stava lavorando. Alle sue letture precedenti, che comprendevano Charles Baudelaire, Gautier, l'estetica preraffaellita elaborata dai critici del giornale "Cronaca bizantina", e Goethe, si aggiunsero dunque quelle provenenti dalla nuova fonte di ispirazione francese. Quando fu a Parigi scrisse numerose opere in francese e "Canzoni della festa d'oltremare" per festeggiare la conquista della Libia.

Altri modelli culturali

D'Annunzio giunse a Roma nel 1881. I dieci anni trascorsi nella capitale furono decisivi per la formazione del suo stile comunicativo, e nel rapporto con il particolare ambiente culturale e mondano della città si formò quello che possiamo definire il nucleo centrale della sua visione del mondo. L'accoglienza nella città fu favorita dalla presenza in essa di un folto gruppo di scrittori, artisti, giornalisti di origine abruzzese, che fece parlare in seguito di una "Roma bizantina". Questo gruppo, di cui facevano parte il giornalista e scrittore Edoardo Scarfoglio, il pittore Francesco Paolo Michetti e il musicista Francesco Paolo Tosti, amava rappresentarsi – nelle opere e nella critica – con l'atteggiamento rude dei provinciali provenienti da una terra selvaggia ma ricca di una profonda coscienza storica, per conquistare, con il fascino dell'esotico, gli ambienti più raffinati della capitale. La cultura provinciale e vitalistica di cui il gruppo si faceva portatore appariva al pubblico romano, chiuso in un ambiente ristretto e soffocante – ancora molto lontano dall'effervescenza intellettuale che animava le altre capitali europee -, una novità "barbarica" eccitante e trasgressiva; D'Annunzio seppe condensare perfettamente, con uno stile giornalistico esuberante, raffinato e virtuosistico, gli stimoli che questa opposizione "centro-periferia" "natura-cultura" offriva alle attese dei lettori desiderosi di novità. Dal 1884 al 1888 egli scrisse come critico d'arte e di cronaca mondana per il quotidiano la "Tribuna", firmando con vari pseudonimi; si occupò soprattutto di mostre d‘arte, di ricevimenti d'ambiente aristocratico e di aste d'antiquariato. Attraverso questa intensissima attività D'Annunzio si costruì un personale e inesauribile archivio di stili e registri di scrittura, da cui attinse poi per le sue opere di narrativa. In questo rito di iniziazione letteraria egli mise rapidamente "a fuoco" il proprio mondo di riferimento culturale, nel quale si immedesimò fino a trasfondervi tutte le sue energie creative ed emotive, condannandosi così per molti anni ad accumulare debiti e a fuggire dai creditori. Si può quindi parlare, tanto nelle opere quanto nella vita di D'Annunzio, di una idealizzazione del mondo, che viene ad essere circoscritto nella dimensione del mito; la sua fantasia lottò prepotentemente per imporre sulla realtà del presente, vissuto con disprezzo, i valori "alti" ed "eterni" di un passato visto come modello di vita e di bellezza.

Il ruolo dell’arte

Valore assoluto de Il Piacere è l’arte, che è un programma estetico ed un modello di vita, a cui Andrea Sperelli subordina tutto il resto, giungendo alla corruzione fisica e morale (è il tipico dandy, formatosi nell’alta cultura e votato all’edonismo). È, insomma, la realizzazione di un’elevazione sociale e di quel processo psicologico che affina i sensi e le sensazioni: “bisogna fare la propria vita come si fa un’opera d’arte […]. La superiorità vera è tutta qui. […]. La volontà aveva ceduto la scettro agli istinti; il senso estetico aveva sostituito il senso morale. Codesto senso estetico […] gli manteneva nello spirito un certo equilibrio. […] Gli uomini che vivono nella Bellezza, […] che conservano sempre, anche nelle peggiori depravazioni, una specie di ordine. La concezion della Bellezza è l’asse del loro essere interiore, intorno a cui tutte le loro passioni ruotano”. Dopo la convalescenza, successiva alla ferita procuratasi a causa del duello con Giannetto Rutolo, Andrea scopre che l’unico amore possibile è quello dell’arte, “l’amante fedele, sempre giovine mortale; eccola fonte della gioia pura, vietata alle moltitudini, concessa agli eletti; ecco il prezioso alimento che fa l’uomo simile a Dio”. Questo attrazione per l’arte viene rappresentata dall’inclinazione di Andrea verso la poesia, che “può rendere i minimi moti del sentimento […] può definire l’indefinibile e dire l’ineffabile; può abbracciare l’illimitato e penetrare l’abisso; […] può inebriare come un vino, rapire come un estasi; […] può raggiungere infine l’Assoluto”. Il culto “profondo e appassionato dell’arte” diventa per Andrea l’unica ragione della sua vita, tirato in gioco anche nei rapporti con Elena Muti e Donna Maria Ferres , perché egli è convinto che la sensibilità artistica illumini i sensi e colga nelle apparenze le linee invisibili, percepisca l’impercettibile, indovini i pensieri nascosti della natura. Senza dubbio, “i miraggi erotici, tutte le insane orge dei sensi si fondano su una profonda corruzione del sentimento. […] L’arte si dissolve nella minuziosità di un estetismo individualmente raffinato, si limita alla forma e non penetra la sostanza” (appunto di lettura del Michelstaedter sul “Piacere”). Tuttavia, messo da parte l’atteggiamento patologicamente affinato, l’autosuggestione decadente e la tendenza alla spettacolarizzazione di D’Annunzio, l’accostamento tra arte e bellezza, arte e vita è una risposta, energica ed eloquente, verso la massificazione dell’arte e la mercificazione del letterato e della letteratura. Il Piacere è l’agonia dell’ideale aristocratico di bellezza. Racconta la vacuità e la decadenza della società aristocratica, infettata dall’edonismo, vicina al proprio annichilimento morale, poiché il valore del profitto ha sostituito quella della bellezza. Emblematica è la fine del romanzo: Andrea, vinto, disfatte le proprie avventure amorose, vaga per le antiche stanze del palazzo del ministro del Guatemala, disabitato, in rovina, il cui arredamento è stato venduto all’asta.

Il protagonista: Andrea Sperelli

Egli era per così dire tutto impregnato d’arte, […] poté compiere la sua straordinaria educazione estetica sotto la cura paterna, […]. Dal padre appunto ebbe il culto delle cose d’arte, il culto spassionato della bellezza, il paradossale disprezzo de’ pregiudizi, l’avidità del piacere. […] fin dal principio egli fu prodigo di sé; poiché la grande forza sensitiva, ond’egli era dotato, non si stancava mai di fornire tesori alle sue prodigalità. Ma l’espansione di quella forza era in la distruzione di un’altra forza, della forza morale che il padre stesso non aveva ritegno a reprimere. [...] Il padre gli aveva dato, tra le altre, questa massima fondamentale: bisogna fare la propria vita come un’opera d’arte. Bisogna che la vita d’un uomo d’intelletto sia opera di lui. La superiorità vera è tutta qui”. Il protagonista del romanzo è un esteta - come il Barone Des Esseintes di Joris Karl Huysmans o il Dorian Gray di Oscar Wilde - che, seguendo la tradizione di famiglia, ricerca il bello e disprezza il mondo borghese, conduce una vita eccezionale, vive la sua vita come un’opera d’arte e rifiuta le regole basilari del vivere morale e sociale. La sua sensibilità straordinaria implica, però, una certa corruzione, evidente nella sadica sovrapposizione delle due donne, corruzione che fa parte di quella necessità ideologica e psicologica del dandy, cagionata anche dalla Roma corrotta e lussuriosa. Anche se Andrea Sperelli la vive non senza un’intima sofferenza, dovuta dalla degradazione di quella forza morale, della sua personalità, perché le massime paterne presumono uno spirito forte, che domini le proprie debolezze. Questo suo atteggiamento ha, dunque, una ragione più profonda. Infatti, ha vissuto la separazione dei genitori, la madre ha anteposto l'amante al figlio e il padre lo ha spinto verso l'arte, l'estetica e gli amori e le avventure facili. È forse per questa infanzia che Andrea passa da una storia all'altra, senza nessun rimpianto o amarezza, che studia cinicamente e accuratamente ciò che dovrà dire ad una donna per sedurla ed ottenere da lei quello che lui vuole. Insomma, Andrea diventa una figura intermedia tra il superuomo e l’inetto, che ha perso il dominio di sé, la propria genuinità, la facoltà di agire senza ambivalenze e di godere a pieno i piaceri agognati. Perciò la sua eccezionalità ha anche un secondo risvolto negativo: è sempre e comunque destinato al fallimento, soprattutto in amore, prima con Elena Muti, poi con Maria Ferres. Questo personaggio, che è tipico della letteratura decadente e crepuscolare, segue l’ideologia dannunziana, non solo per quello che concerne l’estetismo, ma soprattutto perché denuncia la crisi dei valori ed egli ideali aristocratici a causa della violenza del mondo borghese. È importante che non si cada nel luogo comune che vuole Andrea Sperelli come l’alter ego di Gabriele D’Annunzio: l’autore si identifica, il narratore se ne distacca e lo critica pesantemente. Nel primo caso Andrea è ciò che D’Annunzio è e che vorrebbe essere, poiché impersona le sue esperienze effettive e quelle aspirate, è nobile e ricco, intellettuale e seduttore a tratti timido come Cherubino o cinico come Don Giovanni, accede facilmente ai ritrovi mondani e ai salotti della nobiltà. Nel secondo, la critica è indirizzata soprattutto all' “anima camaleontica, mutabile, fluida, virtuale”, alla sua falsità, alla sua doppiezza, alla menzogna e all’inganno che usa nei confronti delle donne da lui amate e possedute: il personaggio si scinde, infatti, in ciò che è internamente e in ciò che deve essere in realtà, in ciò che è e in ciò che vorrebbe essere.

La figura della donna: Elena Muti & Maria Ferres

L’immaginario della donna ne Il Piacere si lega a quello del Decadentismo: oscilla tra la sensualità sottile, metamorfica e finemente viziosa e l’immagine, prettamente stilnovista e preraffaelita, della donna delicata ed eterea, anche se entrambe estremizzante e molte volte mescolate. Tale immaginario si sdoppia tra la seduzione sessuale e passionale di Elena Muti, esponente di una cultura mediocre, dell’eros, dell’istinto carnale, espressione di piacere e lascivia, che ricorre spesso ai versi di Goethe (poeta sensuale) e la sanità spirituale e quasi mistica di Maria Ferres, colta, intelligente e sensibile all’arte e alla musica, legata alla famiglia ed in particolare alla figlia Delfina, molto religiosa, che nel corso del romanzo assume una natura quasi misteriosa, passionale, inafferrabile, ricorrendo ai versi di un poeta malinconico, quale Shelley. La contrapposizione tra le due si fa emblematica anche nel nome: la prima ricorda colei che fece scoppiare la guerra di Troia, la seconda la madre di Cristo. La donna, però, non deve essere concepita come un personaggio autonomo, ma piuttosto come lo specchio del conflitto interno dell’uomo, tormentato dalla volontà di autoaffermarsi e di dominare l’altro e dal fascino dei fantasmi di distruzione della propria potenza, rappresentati dalla donna. Questo appare palese nella deforme mistione cerebrale che Andrea fa tra le due donne: è un processo di identificazione, che conduce dapprima ad una sovrapposizione sentimentale e poi allo scambio dell’una con l’altra

L'intreccio

Libro primo

(cap. I) Andrea Sperelli, giovane aristocratico, alla fine di dicembre del 1886 aspetta con ansia la sua ex amante, Elena, nella sua casa romana a Palazzo Zuccari. Ricorda nel frattempo la scena dell'abbandono, in una carrozza sulla via Nomentana, quando Elena lo ha lasciato, quasi due anni prima, nel marzo del 1885. Quando Elena entra, nell'incontro fra i due si alternano ricordo, ardore e di nuovo allontanamento e dolore. (cap. II) Si ripercorre la storia della casata aristocratica degli Sperelli, gli insegnamenti del padre, l'arrivo del giovane a Roma. La rievocazione prosegue con il primo incontro tra Andrea ed Elena, a una cena a casa della marchesa di Ateleta, cugina del protagonista. Subito egli inizia un serrato corteggiamento. (cap. III) Il giorno dopo, i due si riincontrano a un'asta di oggetti antichi in via Sistina. (cap. IV) Andrea viene a sapere che Elena è malata e chiede di essere ricevuto da lei; l'incontro con l'amata, che giace a letto, è erotico-mistico. Comincia quindi la narrazione dell'idillio che nei mesi successivi unisce Andrea e Elena, sullo sfondo della Roma rinascimentale, e dei loro amplessi tra gli oggetti d'arte di Palazzo Zuccari, dove il corpo di Elena nutre l'immaginazione estetica di Sperelli. Una sera, tornando a cavallo dall'Aventino, Elena gli annuncia che sta per partire, lasciandolo. (cap. V) Dopo l'abbandono Sperelli si immerge in un gioco di continue seduzioni, conquistando una dopo l'altra sette nobildonne; si incapriccia infine di Ippolita Albònico. In una giornata di corse di cavalli, Andrea la corteggia ostentatamente suscitando la gelosia dell'amante di lei, Giannetto Rutolo, da cui viene provocato a duello. Nonostante la sua maggiore abilità nella scherma, Andrea subisce una grave ferita.

Libro secondo

Ospitato dalla cugina nella villa di Schifanoja, sul mare, Sperelli esce da una lunga agonia e inizia la convalescenza, in un'unione mistica con la natura e l'arte. Il 15 settembre del 1886 arriva, ospite a Schifanoja, Maria Ferres con il marito (che riparte subito) e la figlia Delfina. (cap. III) Dieci giorni dopo, il 25 settembre, Andrea è sedotto dalla donna «spirituale ed eletta»; la loro amicizia aumenta ogni giorno, finché il poeta non dichiara il suo amore a Maria, che non risponde, facendosi schermo della presenza della figlia. (cap. IV) Maria Ferres tiene un diario di quei giorni, dove sono annotati i suoi sentimenti, le sue riflessioni, i turbamenti d'amore per Andrea, da cui non vuol lasciarsi vincere. Dal 26 settembre in poi, attraverso il diario, si ha notizia del corteggiamento sempre più serrato, che ottiene infine una risposta, durante una cavalcata nella pineta di Vicomile, il 4 ottobre. Tornato il marito, avviene la separazione tra i due innamorati.

Libro terzo

(cap. I) Sperelli, tornato a Roma si rituffa nella vita precedente la convalescenza, tra donnine del demi-monde e amici indifferenti e superficiali. (cap. II) lrrequieto e pieno di amarezza, Andrea rincontra Elena. Ora l'attrazione per Elena, nella sua nuova veste provocatrice e schiva, e per Maria, nella sua ingenua purezza e fragilità, si intreccia nel suo spirito e nella sua esistenza, facendolo passare ininterrottamente dall'una all'altra. Tenta così di incontrare Elena nella casa di cui ha ripreso possesso, a palazzo Barberini, ma la presenza del marito lo fa fuggire. (Cap. III) Poco dopo, a casa di lei, Andrea assedia Maria, e la sera dopo i due si rincontrano a un concerto alla sala dei Filarmonici, dove arriva anche Elena; partita Maria, Elena invita Andrea ad accompagnarla in carrozza; nel tragitto, incontrano una folla di manifestanti per i fatti di Dogali; prima di lasciare l'ex-amante, Elena lo bacia intensamente. Sperelli dunque riflette su sé stesso e si giudica «camaleontico, chimerico, incoerente, inconsistente». Ma ormai è deciso a dare caccia senza tregua a Maria, che lo ama. (cap. IV) Maria cede sempre più all'amore; a villa Medici, in una delle passeggiate con cui il giovane offre alla donna l'esperienza di un virgiliato tra le bellezze della città Andrea e Maria si baciano.

Libro quarto

(Capp. I & II) Respinto con durezza da Elena, Sperelli viene a sapere dagli amici della rovina del marito di Maria, sorpreso a barare al gioco. Maria si mostra più forte di lui di fronte al dolore di dover partire e separarsi, rimanendogli totalmente fedele. Andrea, al contrario, riesce a nascondere con sempre maggior difficoltà il suo "doppio gioco". Dopo aver visto Elena uscire di casa per andare dal nuovo amante, Andrea torna nel rifugio di palazzo Zuccari, dove, durante l'ultima notte d'amore con Maria, pronuncia inconsciamente il nome di Elena. Maria, con orrore, lo lascia. (Cap. III) Il 20 giugno all'asta dei mobili appartenuti ai Ferres, Sperelli vive con ribrezzo e nausea il senso del «dissolvimento del suo cuore». Fugge alla vista di Elena e degli amici, e verso sera rientra nelle stanze dove Maria aveva vissuto, ora vuote e percorse dai facchini; la vicenda si conclude, per Andrea, amaramente, dietro il trasporto dell'armadio che ha comprato all'asta «di gradino in gradino, fin dentro la casa».

La struttura del romanzo

Il lessico utilizzato è conforme al comportamento ed all’educazione da esteta di Andrea Sperelli: pregiato, quasi artefatto, aulico e molto elaborato, in particolar modo nella descrizione degli ambienti e nell’analisi degli stati d’animo; si prendano ad esempio l’uso di parole tronche, o le forme arcaiche e letterarie, come nel caso di articoli e preposizioni articolate. Anche se l’eloquenza e la ricercatezza tendono ad appiattire il registro verbale, come succede per l’uso di metafore e comparazione che talvolta complicano ed intensificano momenti carichi di tensione. È naturale che la sintassi sia prettamente paratattica, in grado di rafforzare la tendenza all’elencazione, alla comparazione, all’anafora e che la prosa sia ricca, allusiva e musicale, tanto da assumere una funzione espressiva, non più comunicativa. Non dimentichiamo che D’Annunzio affida la narrazione delle vicende ad un narratore onnisciente in terza persona; che usa fare riferimenti ad opere letterarie ed artistiche per conferire un tono più elevato al romanzo, senza prescindere da vocaboli in inglese, francese e latino. In ultimo, per smorzare una narrazione generalmente statica, segnata da un’eccessiva narrazione che prevale sui dialoghi, e nel tentativo di coinvolgere l’autore, D’Annunzio fa uso del flashback.

 

Fonte: http://www.calamandrei2013.altervista.org/DANNUNZIO_piacere.doc

Sito web da visitare: http://www.calamandrei2013.altervista.org/

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

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