Letteratura Gabriele D' Annunzio La fiera fiesolana

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Letteratura Gabriele D' Annunzio La fiera fiesolana

GABRIELE D’ANNUNZIO - LA SERA FIESOLANA


Questa poesia, composta nel 1889, descrive una sera di inizio giugno. È divisa in tre strofe, che descrivono in tre quadri diversi, i tre momenti della sera (la fine del pomeriggio, la sera, e l’inizio della notte). Leggendo l'opera si percepisce la presenza di due figure: una maschile, rappresentata da un uomo che coglie le foglie di un gelso, e una femminile, l’amante del poeta, a cui D'Annunzio si rivolge durante tutta la poesia. Le strofe sono separate da tre versi, i quali iniziano a tutti con la fase “laudata si”, queste parole sono tratte dal cantico delle creature di San Francesco, a cui tutta la poesia è ispirata. Possiamo notare analogie e differenze tra le due opere: Francesco, in chiave cristiana, esaltava l'unità tra di Dio e le sue creature, D'Annunzio, laico, quella tra la natura e i suoi elementi.


Fresche le mie parole ne la sera
ti sien come il fruscío che fan le foglie
del gelso ne la man di chi le coglie
silenzioso e ancor s'attarda a l'opra lenta
su l'alta scala che s'annera
contro il fusto che s'inargenta
con le sue rame spoglie
mentre la Luna è prossima a le soglie
cerule e par che innanzi a sé distenda un velo
ove il nostro sogno si giace
e par che la campagna già si senta
da lei sommersa nel notturno gelo
e da lei beva la sperata pace
senza vederla.

Laudata sii pel tuo viso di perla,
o Sera, e pè tuoi grandi umidi occhi ove si tace
l'acqua del cielo!

Dolci le mie parole ne la sera
ti sien come la pioggia che bruiva
tepida e fuggitiva,
commiato lacrimoso de la primavera,
su i gelsi e su gli olmi e su le viti
e su i pini dai novelli rosei diti
che giocano con l'aura che si perde,
e su 'l grano che non è biondo ancóra
e non è verde,
e su 'l fieno che già patì la falce
e trascolora,
e su gli olivi, su i fratelli olivi
che fan di santità pallidi i clivi
e sorridenti.

Laudata sii per le tue vesti aulenti,
o Sera, e pel cinto che ti cinge come il salce
il fien che odora!

Io ti dirò verso quali reami
d'amor ci chiami il fiume, le cui fonti
eterne e l'ombra de gli antichi rami
parlano nel mistero sacro dei monti;
e ti dirò per qual segreto
le colline su i limpidi orizzonti
s'incúrvino come labbra che un divieto
chiuda, e perché la volontà di dire
le faccia belle
oltre ogni uman desire
e nel silenzio lor sempre novelle
consolatrici, sì che pare
che ogni sera l'anima le possa amare
d'amor più forte.

Laudata sii per la tua pura morte
o Sera, e per l'attesa che in te fa palpitare
le prime stelle!



Parafrasi:

Le mie parole siano per te fresche come il fruscio che fanno le foglie del gelso nella mano di chi le sta raccogliendo silenziosamente,
e ancora indugia lentamente nel lavoro sull'alta scala che a poco a poco si scurisce appoggiata all'albero che diventa color argento con i suoi rami spogli,
mentre la luna è vicino all'orizzonte ancora azzurro e sembra che davanti a sé distenda un velo dove il nostro sogno d'amore giace (si rivolge all’amata).
E sembra che già la terra si senta sommersa da lei nel freddo notturno e da lei assorba lo sperato refrigerio senza vederlo (la rugiada). (notate le analogie,
le allitterazioni 'fanno – foglie – fresche – fruscio', l’uso dei colori 'la scala, il gelso' e la personificazione della luna).

Che tu sia lodata per il tuo viso del colore della terra, o sera,
e per i tuoi grandi occhi umidi dove viene raccolta l'acqua del cielo.

Le mie parole ti siano dolci (si rivolge all’amata) nella sera come la pioggia che bruiva (un verbo di derivazione francese che significa frusciare, è collegato al fruscio delle foglie presente nella prima strofa) tiepida e fuggitiva (la pioggia fuggitiva è una citazione di un verso di Leopardi) congedo lacrimoso della primavera.
Ma sui gelsi, sugli olmi, sulle viti e sui pini, dai nuovi germogli rasati (rosei diti, è una personificazione) che giocano con l'aria che svanisce, e sul grano che non è ancora biondeggiante (maturo) e non è più verde (germoglio) e sul fieno che è già stato falciato (patì la falce, è una personificazione, D'Annunzio vuol far capire che la natura soffre se l'uomo fa violenza contro di lei) e per questo cambia colore, e sugli olivi, sui fratelli olivi (quest'umanizzazione è un richiamo al cantico delle creature di San Francesco), che fanno le colline argentee e sorridenti con la loro sacralità.

Che tu sia lodata per le tue vesti profumate (la vegetazione), o sera, e per la cintura che ti cinge (la linea dell'orizzonte) come il ramo di salice cinge il fieno odoroso (in passato i rami di salice erano usati per legare le balle di fieno).

Io ti dirò verso quali reami d'amore il fiume Arno ci chiamò, le cui fonti eterne all'ombra degli alberi antichi parlano del sacro mistero dei monti e ti dirò a causa di quale segreto (questa segreto è l'amore) le colline si incurvano sugli orizzonti limpidi come labbra chiuse per un divieto (il divieto di dire il segreto) e perché la volontà di svelarlo le faccia belle oltre ogni desiderio umano, e nel silenzio loro, sempre nuove fonti di consolazione, così che sembri che ogni sera l'anima le possa amare di un amore sempre più forte.

Che tu sia lodata per il tuo naturale finire, o sera, per l’attesa (della notte) che in te fa a luccicare le prime stelle (quest'ultima strofa è un forte richiamo alla speranza, infatti nel panismo la morte non è la fine, semmai può essere un nuovo inizio poiché tutto può avere vita in un'altra forma).

 

Fonte: http://www.calamandrei2013.altervista.org/DANNUNZIO_sera.doc

Sito web da visitare: http://www.calamandrei2013.altervista.org

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

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