Letteratura antologia d' Annunzio

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Letteratura antologia d' Annunzio

ANTOLOGIA D’ANNUNZIO

Da ALCYONE:
LA SERA FIESOLANA
Questa poesia fa parte del libro Alcyone, che è il terzo dei sette libri delle Laudi del cielo, del mare e degli eroi.
La sera fiesolana è ambientata nella campagna di Fiesole, che presenta un tipico paesaggio toscano. La poesia è divisa in tre strofe, seguite da una ripresa di tre versi, sotto forma di lodi. In essa si racconta di una sera di fine primavera, nella campagna, dove è appena finito di piovere.
Nella prima strofa viene descritto tutto il paesaggio che circonda l’autore, nel momento in cui il sole sta calando ed inizia la sera. Di fronte al poeta si trova un contadino che sta raccogliendo le foglie di gelso che continua lentamente il suo lavoro; la luna che sta sbucando dall’orizzonte, che causa un cambiamento di colori.
Nella seconda strofa, la protagonista è la pioggia. Il poeta si sofferma molto su tutti i particolari della campagna: dagli alberi che giocano con il vento, al grano non ancora maturo, al fieno già mietuto, alle colline sorridenti.
Nella terza strofa, infine, si parla del fiume, degli alberi immersi nel silenzio dei monti e delle colline. Infine, nelle lodi, si parla della sera, che viene personificata nelle sembianze di una donna. Questi versetti, inoltre, riprendono il Cantico di Frate Sole di san Francesco d’Assisi.
D’Annunzio si serve delle parole per descrivere la natura che lo circonda e per testimoniare che lui ne fa parte. Questo testo è indirizzato a Eleonora Duse. Nella poesia tutta la natura viene personificata, come per esempio la primavera che se ne va piangendo, i pini che giocano con il vento e le colline che si incurvano come delle labbra e racchiudono in se dei segreti. Questa tecnica è chiaramente simbolistica, dove si evidenzia il rapporto tra natura e uomo.
Nella sera fiesolana, d’Annunzio descrive la sua stagione preferita: l’estate, il periodo della pienezza vitale, il momento che favorisce la fusione tra uomo e natura circostante. Il tema dominante è il panismo, nome che deriva dal dio Pan, venerato dagli antichi greci, come dio delle foreste e della vita dei campi. Infatti, l’autore, si identifica e si fonde con la natura.

LA PIOGGIA NEL PINETO
“La pioggia nel pineto” è una poesia di Gabriele D’Annunzio, scritta con ogni probabilità nell’agosto del 1902, un periodo di grande creatività lirica del poeta, e inserita nella seconda sezione di Alcyone, uno dei sette libri delle “Laudi del cielo, del mare, della terra e degli eroi”, l’opera lirica più celebre del poeta, corrispondenti alle sette stelle della costellazione delle Pleiadi.
Gabriele D’Annunzio è uno dei poeti più rappresentativi del Decadentismo italiano; egli fu un esteta decadente poiché seppe realizzare quel “vivere inimitabile”, eccezionale, dominato da una continua ricerca di bellezza e di grandezza, dal gusto dell’avventura e dalla vita costruita come “opera d’arte”. Questa poesia è la descrizione di una passeggiata in pineta durante la quale, i protagonisti della lirica, cioè il poeta e la donna amata che è con lui, Ermione, vengono colti da un violento acquazzone, che ridona loro un senso di intensa vitalità; la descrizione è così minuziosa e sottile che la prima impressione che si ricava è quella di una straordinaria abilità letteraria del poeta, capace di percepire con l’acutezza dei sensi, e di riprodurre con l’armonia delle parole, i suoni diversi che la pioggia suscita cadendo sulla fitta vegetazione.
Il poeta comincia dicendo ad Ermione, donna immaginaria che l’accompagna, di tacere, invitandola ad abbandonarsi completamente alla vita naturale, ad ascoltarne in silenzio il suono, e ad immedesimarsi con essa, poiché entrando nella pineta non ascolta più suoni umani ma il suono della pioggia che cade sulle foglie in lontananza. Continua dicendo di ascoltare la pioggia che cade dalle poche nuvole presenti e che bagna le tamerici impregnate di salsedine ed arse dal sole, i pini dalla corteccia ruvida e dalle foglie aghiformi, i mirti sacri a Venere, le ginestre dai fiori gialli raccolti, i ginepri pieni di bacche profumatissime; ancora dice, rivolgendosi ad Ermione, che la pioggia bagna i loro volti silvani, cioè divenuti tutt’uno con la selva, le loro mani nude, i loro vestiti leggeri, quindi i loro corpi, i nuovi pensieri sbocciati dall’anima rinnovata, e la favola illusoria dell’amore che ha illuso lei in passato e lui nel presente.
Già a questo punto della poesia, tutti e due i protagonisti si sentono inaspettatamente parte viva del mondo naturale, immedesimati nella stessa natura, come se fossero intimamente uniti agli alberi, alla vegetazione che circonda i loro corpi: i pini, i mirti, le ginestre e i ginepri.
Il poeta chiede alla sua “compagna di viaggio” se sente la pioggia che cade sulle foglie della pineta deserta e che produce un crepitio che dura e varia secondo quanto è folto il fogliame. Gli dice poi di ascoltare il canto delle cicale che, non essendo fermato e impaurito né dalla pioggia, né dal colore scuro del cielo, risponde alla pioggia, che viene paragonata al pianto, inteso come pianto di piacere per la metamorfosi che sta avvenendo. A questo punto, nella pineta si scatena una vera musica, i cui strumenti sono il pino, il mirto e il ginepro, che producono ognuno un suono diverso e che sono fatti suonare da innumerevoli dita che corrispondono alle gocce di pioggia. Essi capiscono di essere nel più intimo della foresta, e non più esseri umani ma vivi di una vita vegetale, cioè di vivere della stessa vita degli alberi. Il poeta poi dice ad Ermione, che è una creatura originata dalla terra, come lo sono anche gli alberi, che il suo volto bagnato è imbevuto di pioggia come una foglia, e che i suoi capelli profumano come le ginestre. Come si può notare, nella presentazione di questa strofa, il poeta usa la congiunzione e sia per rivolgersi agli alberi che per rivolgersi a lui e ad Ermione, mettendo le due persone allo stesso piano degli alberi.
D’Annunzio fa poi notare che il canto delle cicale che stanno nell’aria va diminuendo sotto la pioggia che aumenta; ma in crescendo si mescola un canto più rauco, che sale dall’ombra scura dello stagno in lontananza, ma poi trema ancora una sola nota, si spegne, risorge, trema, e si spegne. Non arriva il suono delle onde sulla spiaggia, ma si sente sulle fronde degli alberi scrosciare la pioggia d’argento che purifica, lo scroscio che varia secondo i rami più o meno folti. La figlia dell’aria, cioè la cicala perché vive sui rami più alti degli alberi, è muta, ma la figlia del lontano fango, la rana, canta nell’ombra più profonda, chissà dove. E piove sulle ciglia di Ermione.
Il poeta descrive la metamorfosi che sta trasformando lei e il poeta, da spettatori della natura, tutt’uno con essa, e dice che piove sulle sue ciglia nere da sembrare che lei pianga di piacere, che non è più bianca, ma quasi verde da sembrare uscita dalla corteccia di un albero. E tutta la vita in loro è fresca e odorosa, il cuore nel petto è come una pesca non ancora toccata, gli occhi tra le palpebre sono come fonti d’acqua in mezzo all’erba, i denti nelle gengive sembrano mandorle acerbe. E vanno da un cespuglio all’altro, ora tenendosi per mano, ora separati (la ruvida e forte stretta delle erbe aggrovigliate gli blocca i polpacci e le ginocchia) chissà dove.
La poesia ripete alla fine dell’ultima strofa, gli ultimi versi della prima: dice che piove sui loro volti divenuti tutt’uno con il bosco, sulle loro mani nude, sui loro vestiti leggeri, quindi sui loro corpi, sui pensieri nuovi generati dall’anima rinnovata, quasi fossero fiori che si schiudono e sulla favola illusoria dell’amore che ha illuso Ermione in passato e il poeta nel presente.
Il tema dominante di questa poesia, non è quello della descrizione della pioggia, come potrebbe sembrare, ma è il panismo (deriva da Pan, divinità della natura) del poeta, cioè la tendenza ad abbandonarsi alla vita dei sensi e dell’istinto, ad immedesimarsi con le forze e gli aspetti della natura e sentirsi parte del tutto.
La poesia è strutturata in quattro strofe lunghe ognuna di 32 versi, per un totale di 128 versi di lunghezza variabile, ognuno che termina con il nome di Ermione e le rime sono irregolari, sia interne che esterne. La prevalenza delle “i” nei nomi delle piante concorre a rendere più acuto il suono del testo che imita la pioggia.
Numerose figure retoriche contribuiscono all’effetto musicale del testo: la brevità scandita richiede l’uso frequentissimo dell’enjambement; ci sono molte anafore, con la ripetizione dei vocaboli “piove” e “ascolta”; c’è un’assonanza (salmastre ed arse, v. 11), un’allitterazione (vita viventi, v. 55), c’è la vistosissima metafora “volti silvani”, c’è un climax discendente (s’allenta, si spegne, v. 76), e le numerosissime similitudini con la natura (il volto come una foglia, v. 58; le chiome come le ginestre, v. 61; il cuore è come una pesca, v. 104; gli occhi sono come polle, v. 107; i denti sono come mandorle, v. 109).
Questa poesia può essere definita il racconto di una metamorfosi perché il poeta ed Ermione iniziano il loro viaggio nel bosco ascoltando la natura e lo terminano dopo averlo appreso pienamente, diventando tutt’uno con essa; i protagonisti si abbandonano alla freschezza della pioggia, imbevendosi dello spirito stesso del bosco, fino a sentirsi come trasformati in piante e frutti, in elementi della natura vegetale.
Leggendo questa poesia si viene immersi in questa pineta della Versilia, dove tutto è illuminato da una luce verdolina; qui il poeta ed Ermione, immergendosi nella natura, ascoltandone ogni suono, subiscono la metamorfosi.

 

Fonte: http://classe4ba.altervista.org/gabrieled.doc

Sito web da visitare: http://classe4ba.altervista.org

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

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