Cardiopatia Ischemica

Cardiopatia Ischemica

 

 

 

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Cardiopatia Ischemica

ANGINA PECTORIS
Rappresenta la manifestazione clinica più importante della cardiopatia ischemica.

CARDIOPATIA ISCHEMICA
Definizione
La Cardiopatia Ischemica è una patologia cardiaca caratterizzata da una riduzione progressiva o improvvisa del flusso sanguigno dovuto ad un restringimento o ad una ostruzione completa delle arterie coronarie, i vasi sanguigni attraverso cui l’ossigeno e tutte le sostanze nutritive raggiungono le cellule cardiache.
(ischemia = carenza di ossigeno in un tessuto secondaria  a inadeguata perfusione ematica ma nel caso dell’angina reversibile a differenza dell’infarto)
Etiologia

La principale causa delle varie forme di cardiopatia ischemica è l’aterosclerosi, un processo degenerativo che interessa tutti i vasi arteriosi, ma con frequenza più elevata nei confronti delle arterie coronarie con conseguente restringimento fino all’occlusione competa del vaso colpito per la formazione di trombi. 

Esistono dei fattori di rischio che spesso coesistono con la patologia ischemica.

Essi sono: ipercolesterolemia, obesità e sovrappeso, ipertensione, diabete mellito, fumo, familiarità, sesso femminile, età superiore ai 50-55 anni. 
Quindi possiamo dire che l’ANGINA PECTORIS:
E’ una cardiopatia ischemica a eziologia multifattoriale anche se la causa più comune è l’arteriosclerosi,con interessamento delle coronarie e stenosi che causa una riduzione assoluta della per fusione ematica del miocardio.
Altre cause sono: ostruzione embolia preveniente dal circolo venoso sistemico, infiammazione della parete dei vasi coronarici (artrite di Burger, panartrite nodosa), ostruzione dell’ostio coronario secondario ad artrite luetica, da spasmo (angina da vasospasmo o di Primzmetal), in caso di cardiopatie congenite, ipertrofia ventricolare sinistra secondaria a Ipertensione arteriosa o a stenosi della valvola aortica
Il termine angina deriva dal latino e significa "dolore di petto".
Il sintomo fondamentale è infatti
-un dolore intenso al centro del petto, in genere a carattere costrittivo (come una morsa)
-oppure gravativo (come un peso), che si estende al braccio sinistro, lato ulnare, e talvolta anche alla gola (con sensazione di soffocamento), alla mandibola (come un mal di denti) od alla bocca dello stomaco.
Questo dolore viene generalmente dopo uno sforzo (ad esempio portare un peso o fare le scale od un percorso in salita) o durante l'atto sessuale o per una arrabbiatura; ci sono casi in cui può insorgere a riposo, in pieno rilassamento psico-fisico.  
Dura in genere da 2-3 fino a 15 minuti. Se dura più a lungo, è probabile che non si tratti di angina, bensì di infarto miocardico.
L'angina pectoris è un sintomo  importante, in quanto indicativo di una malattia coronarica. Deve essere  segnalato subito al medico, che provvederà a tutti gli accertamenti ed alle terapie del caso.
 Attenzione!  Non tutti i dolori che vengono al petto sono "angina pectoris" !

Si può trattare di nevralgie intercostali, di spasmi esofagei, di affezioni di origine pleurica o polmonare, ed altre ancora, in genere tutte più benigne.  Per questo motivo, a maggior ragione, bisogna consultare il proprio medico in occasione di qualsiasi dolore toracico, perché, con gli attuali metodi diagnostici, è possibile giungere sempre ( o quasi) ad una diagnosi di certezza.


 


Fisiopatologia
 L’ischemia cardiaca provoca alterazioni delle proprietà biochimiche, elettriche e meccaniche del miocardio.
 Biochimiche : normalmente i miocardiociti metabolizzano glucosio e acidi grassi ad anidride carbonica e acqua reso possibile dall’ossigeno( metabolismo aerobio) ma in carenza assoluta o relativa di O2 il metabolismo avviene in maniera anaerobia e si forma acido lattico che stimola le terminazioni nervose dolorifiche del miocardio  che causa dolore retrosternale
Alterazioni elettriche :Inversione dell’onda T e slivellamento del tratto ST

ECG NORMALE
Le proprietà meccaniche sono quelle di pompa (contrazione e rilasciamento) per la circolazione sanguigna che in questo caso si modificano
 Elementi diagnostici
-clinici (fattori scatenanti, qualità , durata ,sede, sintomi, fattori che alleviano il dolore)

  • bioumorali : in genere LDH e CPK normali ma alterazione dei lipidi e della glicemia
  • Strumentali :Rilievo delle alterazioni Elettriche e meccaniche del cuore, delle zone ischemiche e dello stato delle coronarie mediante radiografia del torace, ECG a riposo e sotto sforzo, Holter Scintigrafia con Tallio (TI)- Si può effettuare una visualizzazione radiologica delle arterie coronarie mediante iniezione di un mezzo di contrasto:la coronarografia che può mostrare un’arteria coronografica stenotica e che può essere dilatata mediante intervento di Algioplastica.

La coronagrafia viene eseguita introducendo in arteria femorale con puntura diretta sulla scorta di una guida (metodo di Judkins) o dopo preparazione chirurgica della vena omerale di destra (metodo di Sones) Il catetere avanza  in aorta , da qui nel ventricolo sinistro e poi dopo cambio dei cateteri adatti alle coronarie DX e Sin., le coronarie vengono incannulate con il mezzo di contrasto, si opacizzano i tronchi principali e secondari sino alla fase venosa) al fin edi rilevare le stenosi , il grado di restringimento, la presenza di anastomosi e la possibilità di eseguire un intervento di rivascolarizzazione mediante  catetere a pallone o mediante rivascolarizzazione chirurgica o bay pass.
ANGIOPLASTICA.
Il suo nome per esteso è Angioplastica Coronarica Transluminale Percutanea o PTCA e consiste nella dilatazione meccanica, senza un vero e proprio intervento chirurgico, delle arterie coronarie.
E’ comunemente detta angioplastica con palloncino, perché un palloncino gonfiabile è lo strumento che viene usato per riaprire i vasi parzialmente o totalmente ostruiti dalle placche aterosclerotiche.
Ha lo scopo di ripristinare il flusso di sangue nelle arterie che irrorano il cuore.
Esecuzione: un sottile tubo di materiale sintetico (catetere), munito di un palloncino (raramente anche di un raschietto), viene introdotto in anestesia locale in un'arteria della regione inguinale e spinto verso il cuore fino alla stenosi. Quindi si gonfia il palloncino fino al diametro della coronaria (da 2 a 5 mm), dilatando così il vaso sanguigno ristretto. Talvolta la dilatazione della stenosi coronarica non permette ancora un flusso sanguigno sufficiente; in tal caso è possibile collocare a sostegno del vaso sanguigno una reticella metallica tubolare (stent). Lo stent rimane nell'arteria e dopo alcune settimane viene ricoperto dal tessuto vascolare
Eseguita in corso di infarto acuto, l’angioplastica (detta in tal caso "primaria") riapre il vaso occluso e limita l’estensione del danno, salvando tanto più tessuto cardiaco quanto più precocemente viene effettuata e diminuendo il rischio di complicanze come lo scompenso cardiaco.
Con l'angioplastica coronarica si dilatano le coronarie ristrette senza operazione, ripristinando un'irrorazione sanguigna sufficiente del miocardio.


Esecuzione: un sottile tubo di materiale sintetico (catetere), munito di un palloncino (raramente anche di un raschietto), viene introdotto in anestesia locale in un'arteria della regione inguinale e spinto verso il cuore fino alla stenosi. Quindi si gonfia il palloncino fino al diametro della coronaria (da 2 a 5 mm), dilatando così il vaso sanguigno ristretto. Talvolta la dilatazione della stenosi coronarica non permette ancora un flusso sanguigno sufficiente; in tal caso è possibile collocare a sostegno del vaso sanguigno una reticella metallica tubolare (stent)..

Un sottile filo metallico viene spinto attraverso la stenosi. Su questo filo si introduce un catetere a palloncino e, nel tratto ristretto, lo si gonfia con un liquido provocando la dilatazione del vaso sanguigno.

Prima dell'intervento il flusso del sangue
nella coronaria è ostacolato da una stenosi

Dopo l'intervento il sangue può di nuovo scorrere liberamente nella coronaria

Degenza in ospedale: l'intervento dura da una a due ore. Poi il paziente viene sorvegliato e deve restare coricato per un po' di tempo con una fasciatura compressiva applicata sul punto dell'incisione. Di solito si può lasciare l'ospedale il giorno dopo l'angioplastica coronarica.
L'angioplastica comporta l'inserzione di un catetere dotato di un palloncino a un'estremità all'interno di un'arteria, in corrispondenza di una lesione aterosclerotica parzialmente occlusiva. Quando il palloncino viene gonfiato, si possono provocare lacerazioni dell'intima e della media, con una notevole dilatazione dell'ostruzione.
Circa il 20-30% delle ostruzioni recidiva in alcuni giorni o settimane, ma la maggior parte può essere sottoposta con successo a una nuova dilatazione.
L'uso degli stent riduce in maniera significativa il tasso di riocclusione, che continua a diminuire con l'applicazione di tecniche ancora più nuove.
L'angiografia ripetuta a 1 anno di distanza dimostra un lume apparentemente normale in circa il 30% dei vasi sottoposti a tale trattamento.
L'angioplastica rappresenta un'alternativa maggiore rispetto a quello dei graft venosi; dopo 10 anni, fino al 97% di tali condotti è funzionante e l'arteria si ipertrofizza per far fronte all'aumento del flusso ematico.
L'intervento di bypass aorto-coronarico costituisce un approccio terapeutico molto efficace in pazienti selezionati con angina.
Il candidato ideale per tale intervento ha una grave angina pectoris, dimensioni cardiache normali, nessuna storia di IMA, malattia localizzata e pertanto aggredibile mediante bypass, buona funzione ventricolare e operatorio è più alto nei pazienti con funzione ventricolare sinistra compromessa o con associata valvulopatia mitralica o aortica.

La mortalità operatoria per un secondo intervento di bypass è di tre-cinque volte più alta che per il primo; è dunque importante scegliere il momento giusto per eseguire il primo bypass. La coronaropatia può progredire nonostante l'intervento di bypass.

In base alla sintomatologia e al decorso clinico, la cardiopatia ischemica può presentarsi sotto differenti quadri clinici:

angina stabile (cronica),
angina instabile,
infarto cardiaco. 

Angina stabile: sintomatologia
Quadro clinico caratterizzato dalla comparsa di dolore toracico sempre dello stesso tipo ed intensità. Il dolore può manifestarsi come senso di fastidio, oppressione, costrizione, bruciore al torace e bruciore irradiato al braccio sinistro, o al giugulo, o allo stomaco. Generalmente insorge dopo sforzi, o dopo pasti abbondanti o in seguito al freddo, o dopo una emozione.
Il dolore dura pochi minuti, massimo 15, e regredisce fino a scomparire spontaneamente o 1-2 minuti dopo l’assunzione di farmaci coronarodilatatori (es. Carvasin sub-linguale).

Angina instabile invece è una Sindrome a gravità intermedia tra l'angina stabile e l'infarto.

È la manifestazione di una transitoria ischemia miocardica conseguente a caduta della disponiblità di ossigeno, senza aumento delle richieste
L'angina instabile comprende un gruppo di quadri clinici nei quali è presente una delle seguenti caratteristiche:

  • Dolori anginosi insorti da meno di sei settimane (di cui quindi si ignora ancora la possibile stabilità) con attacchi dolorosi e frequenti;
  • Paziente con dolore di variabile durata che insorge a riposo
  • ANGINA Ingravescente (aggravamento di una angina prima stabile che modifica i suoi caratteri) ossia angina cronica e stabile che ha di recente modificato i caratteri di frequenza, intensità e durata degli attacchi dolorosi;
  • Angina che si manifesta entro due settimane da un infarto (angina post-infartuale).

Sono varie le ipotesi che possono giustificare l'insorgenza di tale sintomatologia:

  • Placca aterosclerotica instabile che va incontro a rottura provocando la possibilità di una trombosi coronarica transitoria.
  • Spasmo coronarico.
  • Alterazioni della coagulazione

Cosa dobbiamo suggerire?
All'insorgenza dei primi sintomi è bene mantenere la calma e recarsi subito al Pronto Soccorso dell'ospedale più vicino dove saranno attuate tutte le manovre terapeutiche necessarie ad evitare l'instaurarsi di complicanze come:

  • Evoluzione in infarto miocardio acuto
  • Scompenso del ventricolo sinistro con successiva evoluzione in edema polmonare acuto
  • Insufficienza mitralica acuta
  • Shock cardiogeno
  • Blocco atrio
  • ventricolare completo
  • Aritmie ventricolari maligne

L’elemento clinico comune a tutte queste forme di angina instabile è proprio rappresentato dal decorso clinico variabile e dalla prognosi severa: alto rischio di infarto del miocardio, morte improvvisa e angina stabile cronica refrattaria alla terapia medica
Tra i fattori di rischio noti vi è la durata e la frequenza degli episodi anginosi, la comparsa di alterazioni elettrocardiografiche persistenti, il rilievo di un aumento, nel sangue, della troponina (un enzima che si libera in circolo dalle cellule cardiache danneggiate), la mancata risposta alla terapia farmacologia.

Compito dell’infermiere è oltre ad assicurare le attività di vita quello di collaborare alla realizzazione degli esami bioumorali prescritti per confermare l’ipotesi diagnostica di angina ed eseguire degli esami strumentali semplici come l’ECG dove è possibile rilevare durante l’attacco anginoso il sottoslivellamento del tratto ST verso il basso (ad eccezione dell’angina di Prinzmetal dove invece lo livellamento è verso l’alto) e l’inversione dell’onda T.


ANGINA VARIANTE
(Angina di Prinzmetal)
Angina pectoris solitamente secondaria a spasmo delle coronarie epicardiche, caratterizzata da dolore a riposo e sopraslivellamento del tratto ST durante gli attacchi.
La maggior parte dei pazienti ha una stenosi fissa prossimale significativa di almeno un'arteria coronarica principale. Lo spasmo solitamente si verifica entro 1 cm dalla stenosi ed è spesso accompagnato da aritmie ventricolari.
Al di fuori degli attacchi anginosi (che tendono a verificarsi con regolarità a una certa ora del giorno) l'ECG può essere normale o patologico, ma è comunque stabile nel tempo.
Nonostante la sopravvivenza media a 5 anni sia fra l'89 e il 97%, i pazienti con angina variante e una stenosi coronarica grave costituiscono una categoria a rischio aumentato.
La nitroglicerina sublinguale risolve immediatamente il dolore dell'angina variante. I calcio antagonisti sembrano essere molto efficienti

Il test diagnostico più semplice e più ampiamente adoperato per la diagnosi di angina è l’ECG da sforzo ( durante un esercizio fisico con la cyclette) a intensità crescente mentre vengono contestualmente registrate ECG a 12 derivazioni , la PA e gli eventuali sintomi dolorosi.
Lo scopo è rilevare alterazioni elettrocardiografiche e viene interrotto se compare dolore toracico, dispnea, tachiaritmie, severo slivellamento del tratto ST (segno di cardiopatia ischemica e la comparso del sottoslivellamento reversibile del tratto ST di 1 mm).
Le controindicazioni al test sono: angina appena insorta, di recente aggravamento o; infarto miocardio acuto, insufficienza cardiaca, tromboflebite in atto, aritmie, valvulopatie aortiche, miocardiopatie acute, embolia in atto

Il ruolo diagnostico più importante ma invasivo è da attribuire alla Coronarografia, esame che permette di visualizzare con un mezzo di contrasto i rami arteriosi che portano il sangue al cuore.

 Decorso dell’angina stabile e instabile

L’angina stabile (cronica) ha un decorso meno complicato e più facilmente controllabile rispetto alle altre forme di cardiopatia ischemica. Il paziente sa quali sono gli sforzi che gli causano dolore e quindi può eliminarli
E’ necessaria l’assunzione di farmaci vasodilatatori, controllare gli eventuali fattori di rischio coesistenti (ipertensione, diabete, fumo, ipercolesterolemia) e sottoporsi a frequenti controlli cardiologici;
può evolvere verso la forma di angina instabile.
Tra i farmaci di prima scelta abbiamo i beta bloccanti, poi i calcio antagonisti, i nitroderivati

L’angina instabile ha un decorso più complesso, con una insorgenza atipica ed improvvisa del dolore che può insorgere anche a riposo senza alcuna relazione con eventi particolari, in qualunque ora del giorno o della notte, ed ha una durata spesso superiore alla forma stabile (>15 min.).
Spesso il dolore è resistente alla somministrazione di farmaci coronarodilatatori sub-linguali e è sempre consigliato il ricovero in ambiente ospedaliero.
Il decorso può essere spesso complicato da aritmie atriali e/o ventricolari talvolta minacciose, insufficienza cardiaca e, se si prolunga eccessivamente può degenerare nel quadro più grave dell’infarto cardiaco.

 
Terapia medica dell’angina instabile

 Negli ultimi anni la terapia dell'angina instabile è stata profondamente modificata sia da nuovi farmaci che dalla possibilità di eseguire nuovi tipi di procedure invasive.
L'obiettivo terapeutico principale consiste nel prevenire o ridurre l'ischemia e nel minimizzare i sintomi.
La malattia di base, solitamente l'aterosclerosi, deve essere caratterizzata e i fattori di rischio devono essere ridotti il più possibile.
I fumatori dovrebbero smettere di fumare
L'ipertensione va trattata con attenzione, dato che anche una lieve ipertensione aumenta il lavoro cardiaco. Talora, trattando uno scompenso cardiaco di moderata entità, l'angina migliora notevolmente. Paradossalmente, in alcuni casi la digitale aggrava l'angina, presumibilmente perché l'incremento della contrattilità miocardica aumenta la domanda di O2 in presenza di un flusso coronarico fisso.


La riduzione aggressiva del colesterolo totale e LDL (con terapia dietetica, associata, se necessario, a farmaci) nei pazienti a rischio ritarda la progressione della malattia coronarica e può provocare la regressione di alcune lesioni.
Un programma di esercizio fisico basato soprattutto sul camminare migliora spesso lo stato soggettivo di benessere, riduce il rischio del paziente e migliora la tolleranza allo sforzo.
Tre classi di farmaci sono abitualmente efficaci, singolarmente o in associazione, nell'alleviare i sintomi: i nitrati . beta bloccanti  e calcio antagonisti
NITRATI:nomi commerciali di alcuni di essi sono:per via sublinguale- carvasin 5 mg, trinitrina perle, natispray.   per via orale- carvasin, diniket, duronitrin, elan, ismo, monocinque, monoket, nitrosorbide. -cerotti: adesitrin, deponit, minitran, nitro-dur, nitroderm tts, nitrosylon, top-nitro, triniplas, venitrin t, per via endovenosa: perganit
beta-bloccanti, nome commerciale di alcuni betabloccanti: atenol, betagon, blocadren, carvipress, concor, corgard, dilatrend, inderal, lopresor, prent, seloken, securpres, seles beta, sectral, sotalex, tenormin, trandate, visken 
i calcioantagonisti :la categoria dei calcio-antagonisti può essere definita come una categoria eterogenea. Comprende infatti calcio-antagonisti che agiscono prevalentemente sui vasi arteriosi (sono chiamati DIIDROPIRIDINE) e calcio-antagonisti che agiscono anche sul cuore (rappresentati dal VERAPAMIL, GALLOPAMIL e dal DILTIAZEM) 
Alcuni nomi commerciali Verapamil-Gallopamil-Diltiazem: algocor, altiazem, angizem, diladel, dilzene, isoptin, procorum, quasar, tildiem, zilden.
Diidropiridinici: antacal, adalat, baypress, clivoten, cardip, esradin, feloday, lomir, lacipil, lacirex, monopina, nicant, nicapress, nicardal, nifedicor, perdipina, plendil, prevex, ranvil, syscor, viapres, vasodin, zadipina, zanedip, ecc...


La nitroglicerina è un potente rilassante della muscolatura liscia e ha un effetto vasodilatatore.
La sua sede di azione più importante è il letto vascolare periferico, in particolare i vasi venosi di capacitanza e le coronarie.
Anche i vasi gravemente aterosclerotici possono dilatarsi nelle zone prive di ateroma.
La nitroglicerina riduce la PA sistolica e dilata le vene sistemiche, riducendo in tal modo la tensione della parete miocardica, una delle maggiori determinanti del fabbisogno miocardico di O2.
Globalmente, il farmaco aiuta a bilanciare l'apporto e la domanda di O2 a livello miocardico.
La nitroglicerina sublinguale alla dose di 0,3-0,6 mg è il farmaco più efficace per l'episodio acuto e per la profilassi prima dell'esercizio.
Entro 1,5-3 min, si ha in genere una marcata riduzione del dolore, che scompare dopo circa 5 min; l'azione del farmaco persiste sino a 30 min. La dose può essere ripetuta dopo 4-5 min per tre volte, qualora il miglioramento iniziale risulti incompleto.
I pazienti devono portare sempre con sé della nitroglicerina in compresse sublinguali o in spray per usarla prontamente all'inizio dell'attacco anginoso. Tale farmaco perde efficacia se non è conservato in bottigliette di vetro a chiusura ermetica e resistenti alla luce; il paziente deve rifornirsi di piccole quantità a intervalli frequenti.
I nitrati ad azione prolungata sono disponibili in preparazioni orali o transcutanee
Essi migliorano la tolleranza all'esercizio per diverse ore nel paziente anginoso.
Abbiamo l'isosorbide dinitrato l'isosorbide mononitrato,l'unguento di nitroglicerina garantisce un buon assorbimento transcutaneo,
I cerotti di nitroglicerina per applicazione cutanea garantiscono un effetto terapeutico prolungato, grazie alla lenta liberazione del farmaco. La risposta è correlata alle dimensioni del cerotto e alla concentrazione del farmaco; la capacità d'esercizio migliora circa 4 h dopo l'applicazione del cerotto, ma la maggior parte degli studi non evidenzia una persistenza dell'effetto dopo 18-24 h. Il cerotto va rimosso dopo 14-18 ore perché può svilupparsi tolleranza
I -bloccanti interrompono la stimolazione simpatica sul cuore e riducono la pressione sistolica, la frequenza cardiaca, la contrattilità e la gittata cardiaca, riducendo pertanto le richieste miocardiche di O2 e aumentando la tolleranza allo sforzo.
Inoltre, essi aumentano la soglia per la fibrillazione ventricolare.Questi farmaci sono estremamente utili nel ridurre i sintomi e sono ben tollerati dalla maggior parte dei pazienti.
I calcioantagonisti rappresentano l'importante terzo braccio nel trattamento dell'angina pectoris e delle coronaropatie. Questi vasodilatatori sono utili nel trattamento dell'angina associata a ipertensione e risolvono lo spasmo coronarico, se presente.
Essi risultano spesso efficacissimi nell'angina variante, ma la loro efficacia può essere limitata dal loro effetto cronotropo e inotropo negativo (diltiazem, verapamil).
Oltre a queste tre classi di farmaci ,Ggi antiaggreganti piastrinici sono importanti perché si oppongono all'aggregazione delle piastrine, che ha un ruolo fondamentale nella genesi dell'IMA e dell'angina instabile.
Da più parti si raccomanda la somministrazione di aspirina alla dose di 80-325 mg/die come profilassi in questi pazienti.
Per i pazienti che non possono assumere aspirina, sono disponibili la ticlopidina (250 mg /die) e il clopidogrel (75 mg/die). La ticlopidina sembra essere più efficace dell'aspirina nei pazienti ad alto rischio per attacchi ischemici transitori, ictus, cardiopatia ischemica e vasculopatia periferica, ma comporta il rischio della soppressione del midollo osseo.

 


Infarto miocardio
Definizione: Focolaio di necrosi ischemica del tessuto miocardio secondario all’improvvisa e persistente occlusione di un ramo dell’arteria coronarica

Eziologia
occlusione dei rami delle arterie coronariche, dovute ad  un trombo o ad uno spasmo coronarico prolungato tale da condurre a morte (necrosi) un distretto di cellule miocardiche vascolarizzato dall’arteria coronaria interessata dall’occlusione.
La causa più comune di occlusione è
l’aterosclerosi coronaria,
l’embolia da materiale trombotico,
l’ arterite,
la cardiopatia ipertensiva specie se associata ad aterosclerosi coronaria.

I fattori che aumentano il rischio di infarto del miocardio sono
ipertensione arteriosa,
diabete mellito,
fumo,
obesità,
ipercolesterolemia.


Fisiopatologia:
il muscolo cardiaco necessita di O2 e di glucosio per contrarsi.

Quando c’è necessità di aumentare la quota di ossigeno, il cuore in condizioni normali vi riesce con l’incremento del flusso coronario dei rami intramiocardici delle coronarie.

Le arterie coronariche di calibro maggiore, sottoepicardiche mantengono invece il loro calibro ed è qui che in genere si determina il restringimento segmentario del lume del vaso.

Il flusso di sangue viene garantito dalle arteriole intramiocardiche ma quando le arteriole sono dilatate al massimo come a risposta a stenosi del 75% non è possibile adeguare il flusso sanguigno alle richieste metaboliche del miocardio e un aumentato fabbisogno di O2 o un aggravamento della stenosi per spasmi patologico o piccoli trombi piastrinici rendono insufficiente la perfusione miocardica e si determina un episodio di ischemia cardiaca

 

Patogenesi
Necrosi miocardia dovuta a un’occlusione trombotica improvvisa e persistente: almeno 6-7 ore in genere per un trombo che si forma per l’aggregazione piastrinica su una placca atterosclerotica ulcerata dell’endotelio coronario.


Anatomia patologica
La sede dell’infarto varia in relazione all’arteria occlusa:
-occlusione del ramo discendente provoca infarto anteriore
-occlusione del tronco principale della coronaria sinistra provoca  un infarto anterolaterale
-occlusione dell’arteria coronaria destra provoca un infarto posteriore
In base all’estensione l’infarto può essere massivo o transumurale se si estende dala superfivce epicardica a quella endocardica, infarto massivo non  transmurale, laminare (sunendocardico), miliare ( a piccoli foci)
L’esito dell’infarto è un tessuto cicatriziale

Elementi diagnostici: Clinici,Bioumorali,Strumentali

Clinici (sintomatologia) Il dolore dell’infarto miocardico è spesso acuto e si manifesta come senso di bruciore intenso, o dolore trafittivi in sede precordiale, o oppressivo con frequente irradiazione al braccio sinistro, al collo, alle spalle. Ha una durata prolungata  persistente anche per 15-20 minuti ma può durare anche 1-2 ore e non regredisce dopo l’assunzione dei farmaci coronarodilatatori sub-linguali.
Il paziente è agitato e ansioso, Frequenza del polso e PA in genere sono normali ma è tachicardico nell’infarto anteriore mentre nell’inferiore può essere bradicardico e ipoteso o polipnoico. Ha sudorazione fredda, pallori tremori e nausea. Frequentemente sono presenti aritmie e dopo diverse ore ci può essere temperatura tra i 37 e i 38 ° C per il riassorbimento di sostanze pirogene del tessuto necrotico

 

Bioumorali:
Nel miocardio sono presenti normalmente alcune sostanze (enzimi miocardici specifici) che, nel momento in cui il tessuto muore, si riversano in grande quantità nel sangue.
Queste sostanze sono le creatininfosfochinasi (CPK), in particolar modo l’isoenzima MB (tipico del tessuto cardiaco); la mioglobina; la troponina T e troponina I.
Molto meno utilizzati, a causa della loro presenza in molti altri tessuti, sono la latticodeidrogenasi (LDH), soprattutto nella sua isoforma LDH1, e la transaminasi aspartato (AST) detta anche transaminasi glutamico-ossalacetica (SGOT).
L'enzima più importante è sicuramente il CPK-MB che raggiunge il picco in 18-24 ore, e se rimane normale per 24 ore, esclude la diagnosi di infarto.
Strumentali: segni elettrocardiografici di ischemia, lesione e necrosi. Le alterazioni più caratteristiche interessano i complessi QRS, il segmento ST e l’onda T

Criteri terapeutici:
Ricovero in UTIC,
segue trattamento iniziale e a lungo termine dell’infarto miocardico.

Gli scopi del trattamento sono di fornire una terapia di supporto e antalgica, di promuovere la rivascolarizzazione e di ridurre la mortalità.
L’ossigeno, la diamorfina e i nitrati forniscono il supporto iniziale e il controllo del dolore;
i trombolitici e l’aspirina promuovono la rivascolarizzazione; l’uso a lungo termine di aspirina, betabloccanti, ACE inibitori e statine aiuta a ridurre ulteriormente la mortalità.

TRATTAMENTO INIZIALE
Dovrebbe essere somministrato ossigeno tranne nel caso di paziente con broncopneumopatia cronica ostruttiva grave delle vie aeree.
Il dolore (e l’ansia) dell’infarto miocardico è controllato con una lenta infusione endovenosa di diamorfina dovrebbe essere somministrato anche un antiemetico come la metoclopramide (o la ciclizina, se la funzione ventricolare sinistra non è compromessa) per infusione endovenosa.
L’aspirina (masticata o sciolta in acqua) è somministrata per il suo effetto antiaggregante piastrinico; è consigliabile una dose di 150-300 mg. Se l’aspirina viene somministrata prima dell’arrivo in ospedale, lo si deve segnalare con una nota da inviare insieme al paziente.

Se non ci sono controindicazioni, i farmaci trombolitici (alteplasi, reteplase o streptochinasi) sono somministrati ai pazienti entro 12 ore dall’infarto miocardico, idealmente entro 1 ora; il loro utilizzo dopo 12 ore richiede una decisione specialistica.
La somministrazione di tenecteplasi dovrebbe essere effettuata entro 6 ore dall’infarto miocardico.
La streptochinasi rimane il farmaco di scelta benché possano comparire anticorpi dopo 4 giorni (per questo non si dovrebbe utilizzare oltre questo termine).
L’eparina si impiega come farmaco adiuvante con alteplasi, reteplase e tenecteplase per prevenire ulteriori trombosi, la somministrazione dell’anticoagulante deve essere continuata per 24 ore (consultare la scheda tecnica del prodotto).
I nitrati sono utilizzati per alleviare il dolore ischemico. Se la nitroglicerina sublinguale non fosse efficace, si dovrebbe somministrare nitroglicerina o isosorbide dinitrato endovena.
La somministrazione endovenosa precoce di alcuni betabloccanti si è dimostrata efficace, i pazienti senza controindicazioni dovrebbero ricevere atenololo per iniezione endovenosa a una dose di 5 mg in 5 minuti, ripetuta una volta dopo 10-15 minuti; il metoprololo per iniezione endovenosa può essere un’alternativa.
Anche gli ACE inibitori sono utili per pazienti che non presentano controindicazioni; nei pazienti normotesi il trattamento con un ACE inibitore può essere iniziato entro 24 ore dall’infarto miocardico e continuato per almeno 5-6 settimane (sotto per la terapia a lungo termine).
Tutti i pazienti dovrebbero essere monitorati con attenzione per lo sviluppo di iperglicemia; i pazienti diabetici o con iperglicemia dovrebbero ricevere insulina.

TRATTAMENTO A LUNGO TERMINE
L’aspirina dovrebbe essere somministrata a tutti i pazienti, tranne se controindicata, a una dose di 75-150 mg al giorno.
I betabloccanti dovrebbero essere somministrati a tutti i pazienti nei quali non vi siano controindicazioni e continuati per almeno 2-3 anni. Si possono utilizzare acebutololo, metoprololo, propranololo o timololo;           nei pazienti con insufficienza ventricolare sinistra sono più appropriati carvedilolo, bisoprololo o metoprololo a lunga durata d’azione..
Benché gli altri calcioantagonisti non abbiano un ruolo nel trattamento di routine, il verapamil può essere utile nei pazienti nei quali i betabloccanti siano inappropriati.
Gli ACE inibitori .Gli ACE-inibitori, (inibitori dell'enzima convertente l'angiotensina) sono diuretici normalmente utilizzati per il controllo dell'ipertensione. sono raccomandati in tutti i pazienti con insufficienza ventricolare sinistra dimostrata.
I nitrati sono utilizzati nei pazienti con angina.
Le statine [Queste molecole, comunemente chiamate statine, sono in grado di ridurre gli eventi patologici già dopo il primo anno di terapia, abbassano il tasso di LDL (la diminuita concentrazione epatica di colesterolo attiva l'espressione dei recettori delle lipoproteine a bassa densità che vengono così richiamate dal circolo) e incrementano l'HDL, e modificano gli ateromi già presenti, rendendoli più fibrosi e quindi più resistenti alla rottura e meno trombogenici ] sono utili nel prevenire recidive di eventi coronarici, in particolare in pazienti ad alto rischio per la presenza di altri fattori.


Farmaci maggiormente utilizzati per la prevenzione secondaria dell'infarto:

  • antiaggreganti
    come l'acido acetilsalicilico, ossia un farmaco che consenta di mantenere un giusto livello di fluidità del sangue e che permetta di contrastare la formazione dei tanto temuti trombi che, come abbiamo visto all'inizio, chiudono i vasi dando origine all'infarto. L'acido acetilsalicilico ha dimostrato di ridurre del 15-30 per cento la mortalità e il reinfarto nei pazienti dimessi dall'ospedale dopo l'infarto
  • beta-bloccanti (per esempio atenololo, timololo, metoprololo, propranololo)
    farmaci che riducono la pressione arteriosa, riducono la frequenza e, più in generale mettono a riposo o, meglio, riducono il lavoro svolto dal cuore facendogli consumare meno ossigeno. Nei soggetti che non tollerano l'acido acetilsalicilico o nei quali questo sia risultato inefficace è indicata la ticlopidina
  • ace-inibitori (per esempio enalapril, lisinopril, quinapril)
    farmaci che riducono la pressione, che migliorano la funzione del cuore in caso di insufficienza cardiaca e che hanno dimostrato di essere efficaci sia se somministrati nelle prime ore dopo l'infarto (riducono la mortalità) sia nel trattamento prolungato dei pazienti che abbiano avuto un infarto e abbiano sviluppato insufficienza cardiaca (gli ace-inibitori aumentano la sopravvivenza di questi pazienti e migliorano il funzionamento del cuore insufficiente)
  • antagonisti dell'angiotensina II
    quali l'irbesartan, il losartan, efficaci e meglio tollerati rispetto agli ace-inibitori.

La prognosi è severa ma si è modificata in senso favorevole negli anni. L’importante è arrivare presto in UTIC dove le morti sono notevolmente ridotte (10-20%).
Le morti precoci sono in genere dovute a gravi aritmie (fibrillazione atriale, blocco atrioventricolare di 2° grado)

Decorso
Quando viene sospettato un infarto é fondamentale raggiungere un pronto soccorso in tempi brevi in quanto il decorso può essere severamente complicato fino all’exitus. Frequente è infatti la comparsa di aritmie ventricolari minacciose, o l’insufficienza ventricolare.
Oggi le possibilità  maggiori di intervento efficace sono offerte dall’ ANGIOPLASTICA  e dai farmaci trombolitici. L’angioplastica o intervento coronarico percutaneo ( PCI ) primario ha dimostrato essere, ad oggi, la più efficace terapia di riperfusione nell'infarto miocardico acuto (IMA). Il PCI rappresenta la migliore strategia riperfusionale nei pazienti con infarto miocardico acuto ed insorgenza dei sintomi da più di 3 ore.
La somministrazione di farmaci detti trombolitici (in quanto “sciolgono” il trombo) ha migliorato notevolmente il decorso clinico del paziente infartuato.
Uno dei più usati e l’ Alteplasi rtPA, attivatore tessutale del plasminogeno (actylise è il nome commerciale ) altri  fibrinolitici sono streptochinasi,urochinasi


I farmaci fibrinolitici agiscono come trombolitici trasformando il plasminogeno in plasmina, la quale degrada la fibrina sciogliendo quindi i trombi.
La streptochinasi è usata nel trattamento delle trombosi venose che mettono a rischio la vita e nell’embolia polmonare, ma il trattamento deve essere iniziato rapidamente.
L’efficacia dei farmaci trombolitici nel trattamento dell’infarto miocardico è ormai accertata. È stato dimostrato che streptochinasi e alteplasi riducono la mortalità; reteplase e, più di recente, tenecteplase sono anch’esse approvate per l’infarto miocardico acuto; sono somministrate per iniezione endovenosa (tenecteplase in bolo).
I farmaci trombolitici sono indicati in tutti i pazienti con infarto miocardico acuto per i quali si ritiene che i benefici superino i rischi connessi con il trattamento.
Studi clinici hanno dimostrato che i benefici sono superiori in coloro che presentano modificazioni dell’ECG come sopraslivellamento del tratto ST (specialmente in quelli con infarto anteriore) e in pazienti con blocco di branca sinistra.
I pazienti non dovrebbero essere esclusi solo sulla base dell’età poiché in questo gruppo la mortalità è alta e la percentuale di riduzione della mortalità è la stessa che nei pazienti più giovani.
AVVERTENZE Rischio di sanguinamento compreso quello derivante da puntura venosa o procedure invasive, compressione toracica esterna, gravidanza, aneurisma addominale o condizioni nelle quali una trombolisi possa scatenare complicanze emboliche, come per esempio dilatazione atriale sinistra con fibrillazione atriale (rischio di dissoluzione del coagulo e successiva embolizzazione), retinopatia diabetica (minimo rischio di sanguinamento retinico), terapia anticoagulante recente o concomitante.
CONTROINDICAZIONI Emorragie recenti, trauma, o interventi chirurgici (comprese estrazioni dentarie), difetti di coagulazione, diatesi emorragiche, dissezione aortica, coma, storia di patologia cerebrovascolare specialmente se recenti o con qualche disabilità residua, sintomi recenti di possibile ulcera peptica, grave sanguinamento vaginale, ipertensione grave, patologia polmonare attiva con cavitazioni, pancreatite acuta, epatopatia grave, varici esofagee; nel caso di streptochinasi, anche precedenti reazioni allergiche a streptochinasi o anistreplasi (non più disponibile). Una persistenza prolungata degli anticorpi anti streptochinasi e anti anistreplasi può ridurre l’efficacia di un trattamento successivo, per questo la streptochinasi non dovrebbe essere utilizzata oltre 4 giorni dalla prima somministrazione.
EFFETTI INDESIDERATI Gli effetti indesiderati dei trombolitici sono principalmente nausea, vomito e sanguinamento. Quando i trombolitici sono utilizzati nell’infarto miocardico, possono comparire aritmie da riperfusione. Può comparire anche ipotensione che di solito può essere controllata con il sollevamento degli arti inferiori, riducendo la velocità d’infusione o sospendendola temporaneamente. È stato anche riportato mal di schiena. Il sanguinamento è di solito limitato al sito d’iniezione ma può comparire emorragia intracerebrale o sanguinamento da altre sedi. Sanguinamenti gravi impongono una interruzione del trombolitico e possono richiedere la somministrazione di fattori della coagulazione e farmaci antifibrinolitici (aprotinina e acido tranexamico). La streptochinasi può causare reazioni allergiche (compresi rash, vampate e uveite); è stata anche riportata anafilassi (per dettagli relativi al trattamento emergenze allergicheRaramente dopo terapia con streptochinasi è stata riportata la comparsa di sindrome di Guillain-Barrè.
(Posologia: Infarto miocardico, regime accelerato (iniziato entro 6 ore), 15 mg per iniezione endovenosa, seguiti da 50 mg per infusione endovenosa nell’arco di 30 minuti, poi 35 mg in 60 minuti (dose totale 100 mg in 90 minuti); dosi più basse in pazienti con peso corporeo inferiore a 65 kg. Infarto miocardico, con esordio tra le6ele12 ore, 10 mg per iniezione endovenosa, seguiti da infusione endovenosa di 50 mg in 60 minuti, poi 4 infusioni di 10 mg ciascuna in 30 minuti (dose totale 100 mg in 3 ore; massimo 1,5 mg/kg in pazienti con peso corporeo inferiore a 65 kg).
Embolia polmonare, 10 mg per iniezione endovenosa in 1-2 minuti seguita da infusione endovenosa di 90 mg in 2 ore; massimo 1,5 mg/kg in pazienti con peso corporeo inferiore a 65 kg.)


Ma per avere un buon risultato terapeutico è importante inziare la terapia trombolitica entro 3-4 ore dall’insorgenza dei sintomi. Infatti dopo 12 ore l’efficacia è scarsa in quanto già esisterà un danno miocardico irreversibile (necrosi cellulare).
Diversi studi hanno dimostrato che il trattamento è in grado di abbassare la mortalità immediata ma può persistere una stenosi critica e si può ripresentare l’ischemia per cui anche costoro vanno sottoposti a angioplastica coronaria e dopo per evitare la ricostruzione del vaso occorre iniziare una terapia con antiaggreganti pistrinici

Tecniche diagnostiche: ECG, Coronarografia e test da sforzo

 

L’elettrocardiogramma (ECG) è un esame fondamentale che permette di valutare:

  • frequenza cardiaca e disturbi del ritmo
  • ingrandimento del cuore
  • sofferenze ischemiche

Il Test da sforzo consiste nella registrazione di un ECG durante uno sforzo come pedalare su una cyclette o camminare su un tappeto rotante.
Permette di diagnosticare:

  • la presenza di ischemia
  • valutare la tolleranza allo sforzo
  • valutare l’efficacia della terapia
  • osservare l’eventuale insorgenza di aritmie

Il test da sforzo si dice essere positivo quando durante la prova compaiono segni sull’ECG tipici di ischemia miocardica associati anche a dolore anginoso.
La coronaroventricolografia è un esame diagnostico che deve essere necessariamente eseguito in ospedale durante un ricovero di 2-3 giorni. Consiste nell’introduzione nelle arterie coronarie e nel cuore, tramite dei“cateteri”, di un mezzo di contrasto, che permetterà di valutare gli eventuali restringimenti coronarici e giudicarne la operabilità.
Non tutti i pazienti devono essere sottoposti a questo tipo di esame. I pazienti cui si consiglia l’esecuzione di questo esame sono quelli con test da sforzo e scintigrafia positivi, o pazienti affetti da infarto miocardico che hanno superato la fase critica.

Oltre a questo:
La Scintigrafia miocardica è un’indagine che viene eseguita somministrando una sostanza radioattiva in genere tallio che consente di valutare la perfusione miocardica e di rilevare eventuali zone vitali e/o necrotiche. Viene eseguita sia a riposo sia sotto sforzo o dopo somministrazioni di farmaci particolari che mimano una condizione di sforzo cardiaco. L’esame si dice positiva quando mette in luce un quadro di sofferenza ischemica
L’ecocardiografia è un esame indolore che permette di “vedere” la funzionalità delle pareti del cuore, delle valvole cardiache
La terapia chirurgica è necessaria qualora la terapia medica non da risultati accettabili tale da garantire una buona qualità di vita ed un alto indice di sopravvivenza a distanza.
Molti centri cardiologici e cardiochirurgici adottano in casi selezionati, come alternativa all’intervento chirurgico di “by-pass aorto-coronarico” l’angioplastica,. Anche questa procedura non è esente da rischi, può essere effettuata solo in pazienti con una o al più due arterie coronariche ostruite
L’intervento chirurgico di by-pass ha attualmente dei rischi bassissimi (2-3%) variabili in base alle condizioni di base del paziente, richiede una degenza post-operatoria di 5-6 giorni. I condotti utilizzati per confezionare i by-pass sono: l’arteria mammaria interna, che decorre sotto lo sterno, la vena grande safena che viene prelevata di lunghezza adeguata dall’arto inferiore.
Nei soggetti giovani si preferisce utilizzare più arterie possibili, in quanto la loro durata rispetto a quella della vena è nettamente superiore nel tempo. Per cui si preferisce prelevare le due arterie mammarie e, se si rende necessario anche l’arteria radiale, grossa arteria che decorre nell’avambraccio.
Generalmente dopo l’intervento chirurgico i pazienti possono continuare a praticare anche terapia medica come supporto ai by-pass, e cardine fondamentale della terapia rimane la somministrazione di aspirina.


Complicanze Aritmie, Scompenso cardiaco, Embolie, Pericardite, Rottura del cuore, Rottura del setto interatriale, Insufficenza mitralica, Aneurisma ventricolare.
Aritmie (extrasistoli ventricolari che se sono più di 6 al minuto sono le più comuni e comportano il rischio di tachicardia o di una fibrillazione ventricolare e allora si infonde lidocaina per via ev, se bradicardia si infonde atropina per via ev, se permangono disturbi di conduzione con bradicardia  è indicato il pacemaker)
Scompenso cardiaco, la terapia si effettua con digitale furosamide e nitrati
shock cardiogeno per mancata ossigenazione del miocardio con ipotensione spiccata e segni di insufficienza circolatoria periferica (cianosi, cute fredda e sudata, polso piccolo e frequente, contrazione della diuresi) si somministrano vasopressori, dopamina e donutamina, soluzioni saline e 02
Embolie: farmaci anticoagulanti
Pericardite di Dressler : salicilati
                    Riabilitazione
Il paziente con infarto deve osservare riposo assoluto nei primi 2-3 giorni, può essere concesso andare in poltrona per brevi periodi 15-30 minuti, nelle giornate successive si può rimanere in poltrona più a lungo.
La deambulazione inizia in 3° - 5° giornata.
La dieta deve essere ipocalorica.
La stitichezza deve essere combattuta con ammorbidenti delle feci per evacuare senza sforzo.
La convalescenza deve durare per almeno due settimane dopo la dimissione e la riabilitazione deve essere progressiva con un riposo serale di almeno 8-10 ore e riposo nel corso della giornata.
Astensione assoluta dal fumo, prima di iniziare il lavoro eseguire test da sforzo

 

Fonte: http://infermierimassa.altervista.org/files/cardiopatia_ischemica_appunti_per_slide.doc

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