Patologia tiroidea

Patologia tiroidea

 

 

 

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Patologia tiroidea

CENNI DI DIAGNOSI E TERAPIA CHIRURGICA

CENNI DI AnaTOMIA E FISIOLOGIA TIROIDEA

La tiroide ha una duplice origine embrionale: dal faringe primitivo e dalla cresta neurale; si sviluppa da una invaginazione tubulare che dalla radice della lingua prolifera caudalmente, anteriormente alla trachea e alla cartilagine tiroidea, raggiungendo così la posizione normale osservabile
La porzione distale di questa struttura viene a formare la ghiandola adulta mentre il tratto residuo regredisce e scompare verso la 5°- 6° settimana di sviluppo fetale.
Dai residui della struttura tubulare possono derivare successivamente cisti del dotto tireoglosso.
L’eccessiva o la deficitaria migrazione dell’abbozzo tiroideo può causare una localizzazione ectopica della ghiandola che può essere rispettivamente mediastinica o sublinguale. Tuttavia follicoli isolati o a gruppi sono stati identificati nei tessuti molli peritiroidei nel 90% degli adulti normali.
E’ possibile che si verifichino delle malformazioni delle tasche branchiali aventi come conseguenza finale uno sviluppo intratiroideo del timo o delle paratiroidi. Questa seconda eventualità è da tenere presente nei pazienti da sottoporre a tiroidectomia i quali potranno, in seguito all’intervento,  sviluppare un ipoparatiroidismo secondario dovuto all’asportazione  accidentale delle paratiroidi stesse.
La tiroide  normale nell’adulto si estende craniocaudalmente dal 1\3 medio della cartilagine tiroidea sino al 5°-6° anello tracheale, pesa mediamente fra i 20 e i 25 grammi, è costituita da due lobi uniti fra loro da un istmo dal quale, nel 40-60% dei casi,  si diparte un lobo piramidale.
L'apporto vascolare arterioso alla tiroide è dato da due arterie tiroidee superiori e due inferiori e talvolta da un'arteria ima mediana, ramo dell'arco aortico o del tronco anonimo. L'arteria tiroidea superiore è il primo ramo della carotide esterna mentre quella inferiore deriva dal tronco tireocervicale.
Il drenaggio venoso avviene attraverso le vene tiroidee superiori ed inferiori affluenti della giugulare e, in una percentuale variabile, dalle vene tiroidee medie affluenti della giugulare interna o  dell'anonima.
Istologicamente la ghiandola è costituita da follicoli di cellule epiteliali cubiche o cilindriche di dimensioni variabili con lo stato funzionale in cui si trovano, contenenti colloide, e separati fra loro da un sottile stroma connettivale all’interno del quale si possono talvolta osservare piccoli aggregati linfocitari. Fra i follicoli si trovano le cellule C deputate alla secrezione di calcitonina.
Gli ormoni tiroidei attivi circolanti sono la triiodotironina (T3) e la tiroxina (T4).
Essi sono sintetizzati a partire dalla tireoglobulina, che viene riassorbita dalle cellule cubiche che tappezzano il follicolo per mezzo di microvilli.
Una volta liberato nel sangue il T4 si lega quasi totalmente ad un alfa globulina chiamata TBG (tiroxin binding protein), ed in misura minore all’albumina ed ad altre proteine plasmatiche.
Il T3, invece, si lega in percentuale inferiore alla TBG e alle altre proteine circolanti.
Poiché lo stato metabolico delle cellule è legato alla frazione di ormone liberamente circolante, è chiaro che il T3 libero (FT3 = free T3)  è più facilmente disponibile per le cellule dell’organismo della piccola frazione di T4 libero in circolo.
Ogni volta che si verifica un’alterazione dei livelli plasmatici di TBG circolante si ha  una modificazione dello stato metabolico generale.
Situazioni associate all’aumento di TBG sono la gravidanza, l’uso di contraccettivi orali o comunque aumentati livelli di estrogeni nel sangue ed  epatopatie.
Livelli diminuiti, invece, si osservano nella insufficienza  epatica, nelle nefropatie con proteinuria e  nella terapia a base di steroidi.
La funzione metabolica degli ormoni tiroidei è quella di stimolare tutti i processi sia anabolici che catabolici.
La tiroide è uno degli organi più sensibili dell’intero organismo; essa risponde ad una moltitudine di stimoli ed è in costante stato di adattamento.
Durante la pubertà, la gravidanza e situazioni di stress psicofisico,  essa aumenta di volume e diviene gradualmente più attiva.
Questa estrema adattabilità funzionale si riflette istologicamente in una iperplasia dell’epitelio tiroideo, con aumentato riassorbimento  di tireoglobulina e trasformazione delle cellule da cubiche a cilindriche.
Quando lo stimolo cessa si verifica un’involuzione che consiste nell’accumulo di colloide nei follicoli e nella trasformazione del loro epitelio da cilindrico a cubico.
Se questo normale  equilibrio fra involuzione ed iperplasia si modifica, si determina una deviazione più o meno cospicua dal normale aspetto istologico della tiroide.
La funzione della tiroide può essere inibita da svariate sostanze dette gozzigene.
Poiché esse sopprimono la sintesi di T3 e T4, ne conseguono, per inibizione del feedback negativo sull’ipofisi,  aumentati livelli di TSH e quindi iperplasia ed ipertrofia della ghiandola (gozzo).
Le più importanti sostanze gozzigene sono i farmaci usati nella terapia dell’ipertiroidismo, quali la tiourea e il mercaptoimidazolo,  che inibiscono l’ossidazione dello ioduro e il legame delle iodotirosine in T3 e T4.


ANATOMIA PATOLOGICA

Morbo di Basedow o di  Graves

Nella maggioranza dei casi la tiroide è lievemente aumentata di volume in maniera simmetrica e uniforme.
La capsula non è modificata né si osservano aderenze ai tessuti circostanti. Alla sezione il parenchima si presenta carnoso, rosso bruno, grigio o rossastro in relazione al  contenuto colloide e alla vascolarizzazione.
L’aspetto istologico prevalente è costituito da una fitta cellularità del parenchima. I follicoli sono di dimensioni molto variabili; quelli più piccoli  sono rivestiti da epitelio follicolare cilindrico, mentre quelli di diametro maggiore presentano strutture papillari, rivestite da epitelio cubico basso.
I tireociti hanno ampio citoplasma chiaro, mentre la colloide ha un aspetto vacuolato.

Gozzo multinodulare

Il quadro anatomo-patologico è molto eterogeneo. Gli aspetti tipici sono:

  • una nodularità formata da isole di follicoli ripieni di colloide o di piccoli acini iperplastici
  • cicatrici irregolari come forma e distribuzione
  • emorragie focali e pigmentazione emosiderinica
  • aree focali calcifiche
  • formazioni microcistiche

L’aumento di volume del gozzo può essere talmente elevato da raggiungere un peso di 2000 gr.
Alla sezione si apprezza  una multinodularità costituita da noduli uno diverso dall’altro: alcuni  appaiono circoscritti, altri circondati da tessuto cicatriziale e da condensazioni dello stroma  tiroideo così da realizzarsi l’aspetto di un vero e proprio adenoma.

Gozzo semplice diffuso o colloidocistico

Nella  evoluzione del gozzo semplice diffuso possono essere identificati due stadi:
1) stadio iperplastico
2) stadio dell’involuzione colloide
Nel primo stadio la ghiandola è moderatamente aumentata di volume e raramente supera i 100-150 gr; è interessata simmetricamente e in modo diffuso, ed è notevolmente iperemica. Istologicamente l’epitelio follicolare è alto e cilindrico e i follicoli sono piccoli con scarsa colloide. Con l’aumento della massa cellulare si raggiunge uno stato eutiroideo  e cessa la proliferazione delle cellule follicolari che è seguita da accumulo di colloide. In seguito a ciò i follicoli si dilatano e l’epitelio si appiattisce. L’accumulo di colloide non è uniforme in tutta la ghiandola e alcuni follicoli possono essere notevolmente distesi. In questo stadio  la tiroide aumenta notevolmente di volume  e talvolta supera i 500 gr .
La colloide accumulata conferisce un aumento notevole di consistenza e un aspetto gelatinoso quasi vitreo alla superficie di sezione. Questa fase di aumento di volume  diffuso e non tossico è detta gozzo colloide.

Tiroiditi

Le tiroiditi possono essere provocate da una disseminazione microbica nella tiroide. Quasi sempre l’infezione primitiva è a carico di altri organi e gli agenti microbici sono trasportati per via ematogena. Talvolta una deficienza immunologica potenzia queste forme infettive di tiroidite. I microrganismi più frequentemente in causa sono lo staphylococcus aureus, gli streptococchi, la salmonella, gli enterobatteri, il micobattere tubercolare, i miceti, la candida, gli aspergilli. Qualunque sia l’eziologia, il processo infiammatorio può essere responsabile di un doloroso aumento di volume della ghiandola, ma quasi sempre la condizione è transitoria e autolimitantesi o controllabile con terapia appropriata. La funzione tiroidea non è usualmente compromessa e le alterazioni residue sono scarse.

 

Tiroidite subacuta granulomatosa ( di De Quervain)
La ghiandola può essere lievemente o notevolmente aumentata di volume. Talvolta l’aumento appare asimmetrico e focale, ma più spesso la ghiandola è interessata interamente dalla patologia. La tiroide può essere aderente alle strutture circostanti. Sulla sezione di taglio le aree colpite appaiono bianco-giallastre e di consistenza superiore al tessuto tiroideo normale. Negli stadi avanzati di malattia un infiltrato flogistico cronico con fibrosi si sostituisce alle aree lese.
Tiroidite di Hashimoto
Vi sono due principali varianti morfologiche di questa patologia: la forma classica e quella sclerosante.
La  prima  si caratterizza per un modesto aumento di volume, generalmente simmetrico.
La capsula non è alterata; la superficie di sezione è grigio-pallida, di consistenza  parenchimatosa, con accentuazione della normale lobulatura.
Microscopicamente è presente una sostituzione della normale architettura da parte di cellule linfoidi, plasmacellule, immunoblasti, linfociti trasformati e macrofagi, con formazione di centri germinativi  linfoidi. L’epitelio follicolare residuo è trasformato nelle cosiddette cellule di Hurthle od oncociti che producono poco T3 e T4.
La seconda si caratterizza per un modesto  aumento di volume della tiroide, una fibrosi più intensa ed un infiltrato linfoide meno prominente.
L’atrofia follicolare  è più severa con formazione di cellule di Hurtle.
Tiroidite di Riedel
La tiroide può presentare dimensioni normali o essere lievemente aumentata di volume. L’organo ha consistenza lapidea, colore grigio pallido, ed è asimmetrico con aspetto nodulare. La capsula è interessata dal processo flogistico per cui si verificano tenaci aderenze con gli organi circostanti quali carotide, trachea e muscoli del collo. Nei casi avanzati il parenchima è atrofico e sostituito da tessuto fibroso.

Neoplasie

Le neoplasie della tiroide si suddividono in benigne, rappresentate sostanzialmente dagli adenomi, e maligne.
Adenomi
Gli adenomi sono formazioni nodulari generalmente  uniche, di dimensioni superiori ai 3 cm, talora associati ad iperfunzione della ghiandola (adenoma di Plummer).
Si tratta di formazioni con capsula fibrosa e ben definita; alla sezione presentano una superficie di taglio che varia dal bruno pallido al grigio, di consistenza carnosa e talora presentano focolai di emorragia ed una fibrosi centrale con calcificazione.
All'esame microscopico si caratterizzano per una notevole variazione nella grandezza e nel numero dei follicoli così come nella quantità di stroma interfollicolare.
Neoplasie  maligne
La maggior parte delle neoplasie  della tiroide derivano dall’epitelio follicolare. Esse vengono distinte in:

  • adenocarcinoma

       papillare e papillare variante follicolare
follicolare

  • carcinoma  midollare originante originante dalle cellule C parafollicolari  con secrezione di calcitonina.
  • carcinoma indifferenziato

         a piccole cellule
a grandi cellule
Le rare forme di origine non epiteliali sono :

  • linfomi
  • fibrosarcomi
  • teratomi maligni.

      Carcinoma papillare
Il carcinoma papillifero varia da lesioni microscopiche a noduli che raggiungono anche il diametro di 10 cm.
I noduli più grandi generalmente non sono capsulati e presentano tendenza all’invasività locale (il superamento della capsula si verifica nel 20% dei casi circa e tale estensione peggiora la prognosi). L’aspetto istologico patognomonico di queste lesioni è costituito da formazioni arborescenti provviste di un asse fibrovascolare.
Quasi il 50% delle lesioni papillifere contiene corpi psammomatosi (sferule laminate calcifiche del diametro massimo di 0,1 mm) altamente indicativi di questo tipo di neoplasia.
Carcinoma follicolare
Macroscopicamente può assumere la forma di un piccolo nodulo apparentemente capsulato oppure quella di  una massa invasiva che determina un aumento di volume della ghiandola. Il tessuto tumorale bianco-grigiastro sostituisce gran parte della tiroide e si estende oltre la capsula per diventare aderente e invadere trachea, muscoli, cute e fascio vasculo-nervoso del collo. Nella sua progressione infiltrativa spesso vengono interessati i nervi laringei ricorrenti.
Microscopicamente l’aspetto è quello di un adenocarcinoma con notevoli variazioni di dimensioni e di differenziazione delle formazioni follicolari. L’invasività di queste lesioni è variabile, con maggior tendenza rispetto ai carcinomi  papilliferi a permeare i vasi ematici in quanto neoplasie a carattere multifocale.
Carcinoma midollare
Macroscopicamente si osservano due aspetti: neoplasie mono o plurifocali. In ambedue le forme il tessuto tumorale è compatto, duro e di colore variabile dal bianco grigiastro al giallo bruno, con possibili focolai di necrosi e di emorragia. Circa il 50% dei tumori ha già dato metastasi al momento della diagnosi. Istologicamente queste neoplasie presentano cellule che variano da forme rotondo-poligonali a fusate, disposte in nidi e separate da uno stroma fibrovascolare contenente amiloide.


Carcinoma anaplastico o indifferenziato
Questi tumori si manifestano nel 7°- 8° decennio di vita e sono estremamente aggressivi. Al momento della diagnosi la maggior parte delle neoplasie ha di solito invaso ampie aree di tiroide e superato i confini della ghiandola per produrre voluminose masse a superficie irregolare.
Istologicamente si distinguono due varianti: a piccole cellule e cellule giganti.


DIAGNOSI CLINICA DELLA PATOLOGIA TIRODEA

L’esame clinico rappresenta il tempo primario e fondamentale nello studio della patologia tiroidea risultando pratica indispensabile per la razionale applicazione dei protocolli diagnostico-terapeutici.
Un adeguato esame clinico deve prefiggersi di:

  • riconoscere la tumefazione cervicale ed identificarne la pertinenza tiroidea
  • precisare le caratteristiche morfologiche della tumefazione: consistenza, regolarità dei margini e della superficie, fissità rispetto ai piani superficiali e profondi, dolorabilità
  • presenza di adenopatie locoregionali
  • presenza di segni di compressione locale
  • identificazione dei segni e sintomi di iper/ipofunzione tiroidea

L’esame clinico nella patologia tiroidea si suddivide in tre fasi:

  • raccolta di una accurata anamnesi
  • esame obiettivo locale della regione cervicale
  • esame clinico generale

Anamnesi

La raccolta dei dati anamnestici deve focalizzarsi su:

  • familiarità della patologia gozzigena
  • esistenza di forme ereditarie di carcinoma midollare
  • presenza di altre endocrinopatie associate al ca. midollare (ca. midollare + feocromocitoma + iperparatiroidismo primario = MEN2 mentre iperparatiroidismo primario + neoplasie neuroendocrine pancreatiche + neopl. Ipofisarie = MEN1)
  • provenienza geografica del paziente (gozzo endemico?)
  • pregressa irradiazione cervicale (carcinogenesi)
  • assunzione di farmaci (amidarone, litio e preparati allo iodio) che possano condizionare la funzione tiroidea
  • epoca di insorgenza ed evolutività di una nodularità tiroidea
  • presenza di dolori osteoarticolari, fratture patologiche, ulcera peptica, sdr ansioso-depressive (tutti segni possibili di ipertiroidismo)

Esame clinico locale: tecnica di esecuzione

L’ispezione della regione anteriore del collo si esegue con paziente supino con il collo iperesteso (posizione che favorisce la visualizzazione di neoformazioni tiroidee) oppure seduto di fronte all’esaminatore. Si devono valutare:

  • aspetto della cute: la presenza di reticoli venosi superficiali evidenti può indicare la presenza di un gozzo intratoracico con sdr da ingombro mediastinico, un tramite fistoloso sulla linea mediana indica una patologia del dotto tireoglosso,  arrossamento e lucentezza della cute un processo flogistico acuto, retrazione cutanea che indica l’infiltrazione dei piani superficiali da parte di un tumore
  • presenza di tumefazione: posizione rispetto alla linea mediana e sua eventuale bilateralità, dimensione,  mobilità agli atti della deglutizione

La palpazione rappresenta il tempo fondamentale dell’esame  obiettivo del collo; puù essere effettuata con modalità monomanuale con l’operatore di fronte al paziente seduto a capo lievemente esteso ma è l’approccio posteriore con tecnica bimanuale quello più appropriato.
Procedendo in senso cranio-caudale sulla linea mediana si apprezzano:

  • la membrana cricotiroidea come piccola depressione sotto il margine inferiore della cartilagine tiroidea
  • la cartilagine cricoidea come una banda rilevata dura e liscia sotto la m. cricotiroidea
  • l’istmo della tiroide come una protrusione di 2-3 mm caudalmente alla cartilagine cricoidea

Una volta idividuato l’istmo si procede lateralmente alla palpazione dei lobi tiroidei: le dita di una mano sono mantenute ferme sul complesso cricoide-trachea-tiroide mentre quelle dell’altra si muovono dal basso verso l’alto e in senso medio-laterale sulla superficie del lobo.
Di fondamentale importanza nella definizione delle lesioni tiroidee è la palpazione della ghiandola agli atti della deglutizione durante la quale le dita vanno mantunute in posizione statica. Questa manovra permette di apprezzare la ghiandola nell sua interezza e svelare la presenza di neoformazioni che si approfondano nell’inlet toracico. Quando una tumefazione di incerta natura si muove consensualmente alla trachea durante la deglutizione, è di probabile pertinenza tiroidea.
Alla palpazione di una nodularità tiroidea si devono individuare:

  • numero delle lesioni
  • sede
  • consistenza: tesoelastica quella delle formazioni cistiche, parenchimatosa dei noduli solidi, dura delle neoplasie e dei lobi tiroidei nelle tiroiditi croniche
  • dimensioni
  • limiti: l’impossibilità di identificare palpatoriamente i limiti di una neoformazione indica frequentemente la crescita infiltrativa caratteristica delle neoplasie più aggressive o dei linfomi oppure, nel caso in cui non si apprezzi il limite inferiore, la crescita intratoracica
  • superficie: nel gozzo multinodulare tutta la superficie della tiroide è disuniforme e sono apprezzabili più formazioni nodulari che interessano spesso entrambi i lobi, il nodulo singolo benigno ha superficie liscia così come la cisti
  • fissità rispetto ai piani circostanti indice di infiltrazione flogistica o neoplastica
  • dolorabilità spesso indicativa di processo flogistico acuto
  • caratteristiche del parenchima residuo.

La palpazione deve, inoltre, essere finalizzata alla ricerca di eventuali adenopatie locoregionali (latero-cervicali e sovra-claveari).
E’ dimostrato che può essere considerata sospetta per neoplasia la nodulartà tiroidea singola, in assenza di iperplasia del parenchima adiacente, di consistenza dura, fissa rispetto ai piani circostanti, eventualmente associata a linfoadenopatia laterocervicale soprattutto se monolaterale.
La presenza, invece, di un nodulo singolo, di consistenza parenchimatosa, in assenza di adenopatia locoregionale ma associato a segni clinico di ipertiroidismo indirizza la diagnosi verso il m. di Plummer.
Nella patologia strumosa la tiroide è aumentata in toto di volume, di consistenza solitamente parenchimatosa che diviene lignea nei gozzi inveterati, a superficie irregolare per la presenza di multiple nodularità; il margine inferiore della ghiandola non si apprezza nei gozzi cervicomediastinici. Nel gozzo iperfunzionante si associano i segni sistemici dell’ipertiroidismo.
Il morbo di Graves-Basedow si differenzia dal gozzo iperfunzionsnte per le dimensioni solitamente minori della tiroide che presenta superficie liscia e consistenza maggiore; all’auscultazione si possono avvertire soffi sistolici segno dell’ipervascolarizzazione della ghiandola.
In corso di tiroidite la ghiandola risulta dolorabile, aumentata di volume in fase acuta e ridotta nelle forme croniche, di consistenza parenchimatosa che diviene lignea nella tiroidite di Riedel forma nella quale si verificano frequentemente fatti infiltrativi locali.

Esame clinico generale

L’esame clinico generale è finalizzato all’identificazione dei segni e sintomi sistemici del distiroidismo.
Le sindromi ipertiroidee sono caratterizzate da:

  • segni neuropsicomuscolari: febbricola, iperriflessia, tremori fini ad alta frequenza, ansia, astenia, insonnia
  • segni cardiovascolari: ipertensione, tachiaritmie come la fibrillazione atriale
  • segni apparato digerente: alvo diarroico, iperfagia associata a calo ponderale
  • app. endocrino e tegumenti: iperidrosi, facies eritematosa, intolleranza al caldo,  alterazioni del ciclo mestruale

Caratteristici del m. di Basedow sono, oltre ai segni dell’ipertiroidismo, i segni oculari:

  • esoftalmo
  • edema palpebrale
  • oftalmoplegia con rarità nell’ammiccamento (segno di Stellwag)
  • mancato corrugamento della fronte nello sguardo verso l’alto (segno di Joffrey)
  • facile esauribilità nel movimento della convergenza (segno di Moebius)
  • deficit nel sollevamento delle palpebre nello sguardo verso l’alto (segno di Graefe)

Nelle sindromi ipotiroidee si possono riscontrare:

  • iporiflessia
  • astenia
  • ipersonnia
  • depressione
  • bradicardia
  • stipsi
  • aumento ponderale
  • mixedema ed intolleranza al freddo

 


QUADRI CLINICI E CENNI DI TERAPIA

I principali quadri clinici derivanti da alterazioni organiche o funzionali della ghiandola tiroide sono: 

  • ipotiroidismo
  • ipertiroidismo
  • gozzo
  • tiroiditi
  • tumori tiroidei

Ipotiroidismo

E’ una sindrome clinica dovuta ad  una insufficiente azione degli ormoni tiroidei a livello tissutale che determina un rallentamento di tutti i processi metabolici.
L’ipotiroidismo è più frequente nel sesso femminile, nell’età avanzata e nelle aree con carenza iodica. La diagnosi è difficile  perché esso si manifesta in maniera insidiosa ed equivocabile con altre affezioni. Il deficit di ormone tiroideo, associato ad aumento notevole del TSH, colpisce tutti gli organi dando luogo a sintomi e segni multipli.
In relazione all'epoca di comparsa si distinguono tre forme di ipotiroidismo:

  • ipotiroidismo congenito che si sviluppa durante la vita fetale e/o neonatale e determina una riduzione importante e spesso permanente dei processi accrescitivi e dello sviluppo intellettivo (cretinismo)
  • ipotiroidismo che è causa di ritardi accrescitivi
  • ipotiroidismo dell’adulto, causa di un rallentamento generalizzato dei processi metabolici.

Ipotiroidismo congenito
E’ una malattia  grave che se non riconosciuta  e trattata tempestivamente determina danni irreversibili soprattutto a carico del SNC. I sintomi e i segni alla nascita includono difficoltà respiratorie, cianosi, ittero neonatale, stipsi, disturbi della suzione, macroglossia, pianto rauco, ernia ombelicale, fontanelle allargate, difficoltà a mantenere il capo eretto e la posizione seduta, ritardo della maturazione ossea. Nelle forme non trattate si produce il quadro del cretinismo caratterizzato da ritardo mentale  grave, ipostaturismo disarmonico e gozzo .
Ipotiroidismo giovanile
Questa forma è generalmente dovuta a deficit dell’ormonogenesi tiroidea e si manifesta con ipoevolutismo  somatico e sessuale a cui possono associarsi deficit intellettivi.
Ipotiroidismo dell’adulto
I sintomi caratteristici sono l’adinamia, la sonnolenza, la stipsi, le irregolarità mestruali, i crampi muscolari. I segni includono cute secca, ruvida e fredda, edema al volto e alle palpebre, voce rauca e macroglossia, secchezza e fragilità dei capelli. A carico dell’apparato cardiovascolare si osserva bradicardia, frequente cardiomegalia, dilatazione ventricolare sinistra, presenza di versamento pericardico.
La funzione respiratoria è caratterizzata da bradipnea e da diminuita risposta ventilatoria all’ipercapnia  e ipossia.
Sono presenti alterazioni della funzione renale con riduzione del filtrato glomerulare.
L’anemia è spesso presente e può essere dovuta a perdite ematiche, ridotta sintesi di emoglobina, carenza di vitamina B12 e folati.
I sintomi concernenti il sistema nervoso centrale includono: apatia, lentezza nell’ideazione, alterazioni del tono dell’umore e letargia.
Queste ultime alterazioni sono reversibili con il trattamento sostitutivo.
Le manifestazioni cliniche dell'ipotiroidismo variano da forme asintomatiche a quadri conclamati che vanno dalll'ipotiroidismo subclinico al coma mixedematoso..
Il primo è uno stato asintomatico in cui la iperstimolazione tireotropinica, secondaria a riduzione dei livelli circolanti di ormoni tiroidei, garantisce l’eutiroidismo determinando iperplasia della tiroide.
Il secondo è lo stato finale dell’ipotiroidismo non trattato.
Può essere scatenato dall’assunzione di sedativi o anestetici, da traumi, da processi infettivi ed altri eventi stressanti.
Il quadro è caratterizzato da sonnolenza e letargia fino al coma, ipotermia, ipoventilazione, ipoglicemia, intossicazione di acqua, iposodiemia, shock e morte.
E’ presente bradicardia, a volte ipotensione arteriosa, versamento pericardico e alterazione dell’ECG.
La terapia è sostitutiva e permette di controllare tutte le manifestazioni cliniche dell'ipotiroidismo, ma non di curarlo. La somministrazione di ormoni tiroidei deve essere quindi continuata indefinitamente ed in quantità tali da fare regredire la sintomatologia e da normalizzare i livelli circolanti di TSH (nelle forme primarie) e di ormoni tiroidei.

Ipertiroidismo

L’ipertiroidismo è uno stato ipermetabolico causato da un'aumentata secrezione di ormoni, dovuto ad un incremento dell'attività ormonosintetica della tiroide  ed è più frequente  nel sesso femminile.
Le sindromi cliniche causa di ipertiroidismo sono le seguenti:

  •  morbo di Basedow o Graves
  •  gozzo multinodulare tossico o iperfunzionante
  •  adenoma tossico o di Plummer

I segni che più frequentemente caratterizzano l'ipertiroidismo  sono l'oftalmopatia caratterizzata da esoftalmo ed aumento della rima palpebrale, sudorazione, tachicardia e fibrillazione atriale.
I sintomi che più spesso accompagnano i suddetti segni sono nervosismo ed insonnia, astenia e faticabilità, perdita di peso e cardiopalmo.
Complicanza rara, ma grave dell'ipertiroidismo, è la crisi tireotossica che può verificarsi dopo intervento chirurgico sulla tiroide o dopo trattamento con radioiodio in pazienti non adeguatamente preparati farmacologicamente. Essa si manifesta con  ipertermia continua (39-40 °C), tachicardia, fibrillazione atriale, scompenso cardiocircolatorio. Sono presenti agitazione psicomotoria, confusione mentale, psicosi, convulsioni, apatia fino al coma. Possono essere presenti nausea, vomito, dolori addominali, diarrea e disidratazione.
Morbo di Graves o di Basedow
E’ una sindrome che associa generalmente ipertiroidismo e iperplasia diffusa della ghiandola. L’incidenza  del morbo di Basedow è di 1-2 casi per 1000 abitanti. Colpisce più frequentemente il sesso femminile.
L’eziologia del morbo di Basedow non è completamente nota. L’iperfunzione della tiroide è dovuta alla presenza in circolo di autoanticorpi diretti contro i recettori per il TSH capaci di attivarlo. Il quadro clinico è determinato dall’aumento degli ormoni tiroidei che provocano un incremento dei processi metabolici, della produzione di calore e della sensibilità all’azione delle catecolamine. L’oftalmopatia Basedowiana e il mixedema sono determinati dalla deposizione di mucopolisaccaridi in questi tessuti.  Nel morbo di Basedow sono sempre presenti i segni  e i sintomi dell'ipertiroidismo che includono nervosismo, cardiopalmo, astenia muscolare, diarrea, sudorazione, intolleranza al caldo, esoftalmo, dimagramento senza riduzione dell’apporto alimentare. I segni clinici più frequenti sono la presenza di gozzo, tachicardia, sudorazione, tremori fini alle mani ben visibili a dita protese, aumento della pressione differenziale, ipercinesia, oftalmopatia basedowiana.        
All’esame obiettivo il gozzo solitamente è diffuso, di volume e consistenza variabili, talora fremente e soffiante per ipervascolarizzazione. La cute è umida, calda, sottile ed elastica. Alle estremità può essere presente (1-5% dei casi) una dermopatia infiltrativa mixedematosa. A carico dell’apparato cardiovascolare si possono presentare tachiaritmie. L’apparato scheletrico risente dell’azione catabolica dell’ormone tiroideo sulla sua componente proteica e dell’azione ipercalciurica sulla componente minerale, sviluppandosi frequentemente osteoporosi. Possono essere presenti alterazioni del ciclo mestruale con oligomenorrea fino all’amenorrea. Segni e sintomi oculari sono spesso presenti: essi sono costituiti da esoftalmo, lagoftalmo, alterazioni flogistiche del tessuto orbitario accompagnata da lacrimazione, edema, alterazioni  della muscolatura estrinseca dell’occhio con diplopia. A carico dell’apparato digerente si osserva aumento della motilità intestinale con diarrea.
Gozzo multinodulare tossico
I segni e i sintomi di questa forma di ipertiroidismo sono generalmente più lievi di quelli presenti nel morbo di Basedow. L’ipertiroidismo può essere asintomatico per molto tempo (ipertiroidismo subclinico) e il gozzo l’unica manifestazione clinica; gli esami di funzionalità tiroidea mostrano livelli di TSH soppressi con valori di ormoni circolanti nei limiti di normalità. I sintomi più importanti sono a carico dell’apparato cardiovascolare con tachiaritmia e scompenso  cardiocircolatorio. Sono assenti l’oftalmopatia e la dermopatia basedowiana.
Adenoma tossico o morbo di  Plummer
L’ipertiroidismo è dovuto alla presenza di un singolo nodulo tiroideo iperfunzionante che può istologicamente essere sia un adenoma follicolare sia un nodulo iperplastico. La sintomatologia è molto simile a quella del gozzo multinodulare tossico.
La terapia dell'ipertiroidismo può essere effettuata con diversi mezzi terapeutici:

  •  terapia medica
  •  terapia chirurgica
  •  terapia radiometabolica

La terapia medica è quella di prima scelta nel morbo di Basedow e nelle forme gravi di ipertiroidismo in preparazione all'intervento chirurgico. I farmaci usati sono tireostatici che agiscono bloccando la sintesi degli ormoni tiroidei e betabloccanti che antagonizzano i recettori periferici delle catecolamine.
La terapia chirurgica trova indicazione elettiva nell'adenoma tossico, nelle forme di ipertiroidismo non reagenti al trattamento farmacologico e nei pazienti al di sotto dei 60 anni e con gozzo voluminoso o retrosternale.
La terapia radiometabolica, eseguita somministrando radioiodio, provoca tardivamente ipotiroidismo. Il suo impiego viene perciò limitato a pazienti di età avanzata.

Gozzo non tossico

E’ caratterizzato da un aumento volumetrico e nodulare  della tiroide causato dall’iperstimolazione  della ghiandola  da parte del TSH per mantenere uno stato di eutiroidismo  in presenza di diminuita funzionalità della stessa.
Solo nelle forme più voluminose ed eventualmente a sviluppo parzialmente retrosternale, si possono manifestare disturbi meccanici da compressione della trachea e dell'esofago.

Gozzo endemico e sporadico

Il gozzo si definisce endemico se è presenta in più del 10% della popolazione adulta. Le aree maggiormente colpite sono quelle montane (Alpi, Ande, Himalaya), ma aree di endemia gozzigena sono presenti anche  in località collinari e di pianura. E’ più frequente nel sesso femminile. Per gozzo sporadico si intende, invece, un iperplasia tiroidea che si verifica sporadicamente in aree non endemiche.
Il gozzo endemico è causato  dallo scarso apporto di iodio con gli alimenti. L’eziopatogenesi del gozzo sporadico è ignota.
La sintomatologia è generalmente modesta. Solo nei gozzi  di maggiori dimensioni si possono verificare disfagia, dispnea e disfonia che assumono particolare importanza se il gozzo si estende nel mediastino antero-superiore. Nella fase di equilibrio  i livelli di TSH sono generalmente normali. I livelli di FT4 possono occasionalmente risultare ridotti e il rapporto FT3/FT4 aumentato anche  per l’incremento assoluto dei livelli di FT3. Si può osservare un’evoluzione verso un  ipertiroidismo per lo svilupparsi di aree funzionalmente autonome, o verso un ipotiroidismo per il prevalere di aree scintigraficamente “fredde” e per l’istituirsi di autoimmunità associata.

Tiroiditi

Con questo termine si definisce un gruppo etereogeneo di condizioni patologiche della tiroide di natura infiammatoria ed autoimmunitaria. In base a criteri anatomo-clinici si distinguono forme acute, subacute e croniche.


Tiroidite acuta
E’ un processo infiammatorio della tiroide a decorso acuto causato da un’infezione batterica secondaria a focolai infettivi in altri organi (tonsilliti, sinusiti, etc.). E’ divenuta  una forma rara grazie all’utilizzo degli antibiotici. Il processo flogistico interessa generalmente un singolo lobo e la sintomatologia e’ caratterizzata da febbre, brividi, disfonia e dolore alla regione anteriore del collo, che si presenta tumefatta, arrossata e calda.
Tiroidite subacuta
La tiroidite subacuta (di de Quervain) e’ un’infiammazione della tiroide di origine virale. Essa ha in genere un esordio brusco con febbre, malessere generale, dolore intenso alla regione tiroidea che si accentua con la tosse, la deglutizione e l’estensione del collo, spesso preceduta da laringiti e faringiti. La tiroide è aumentata di volume e dolorabile alla palpazione.
Tiroidite cronica linfocitaria o tiroidite di Hashimoto
E’ una tiroidite cronica di origine autoimmune, che  si associa generalmente alla presenza di gozzo e che può essere accompagnata o meno da ipotiroidismo. La sintomatologia è molto sfumata e può limitarsi a lieve dolenzia al collo e senso di compressione accompagnati o meno da sintomi di lieve ipotiroidismo quali astenia, ipersensibilità al freddo, meno-metrorragie. Nella forma atrofica si ha il quadro del mixedema idiopatico senza gozzo con i segni e i sintomi caratteristici dell’ipotiroidismo primario. Molto raramente la tiroidite di Hashimoto si associa a linfoma maligno primitivo della tiroide, che deve essere sospettato in caso di rapido aumento di dimensioni  della tiroide.
Tiroidite di Riedel
E’ un’affezione molto rara, ad eziologia sconosciuta che colpisce i soggetti in età media e avanzata. E’ un processo fibroso che interessa la tiroide e le strutture vicine. La sintomatologia è dovuta all’azione compressiva del gozzo con senso di soffocamento, disfagia  e dispnea.
La terapia delle tiroiditi varia nelle diverse forme. Nella tiroidite acuta e subacuta è medica e si basa sull'utilizzo di antibiotici e corticosteroidi. La possibile evoluzione verso un ipotiroidismo nella tiroidite di Hashimoto, richiede una terapia sotitutiva per mantenere adeguati livelli di ormoni tiroidei. E' invece chirurgica la terapia della tiroidite di Riedel che presenta spesso fenomeni compressivi locali.

Noduli  singoli e carcinomi tiroidei

I noduli tiroidei sono frequenti soprattutto nel sesso femminile con un rapporto  M:F di 4:1. La grande maggioranza  dei noduli tiroidei è di natura benigna, mentre le  neoplasie maligne sono più rare.
Le neoplasie benigne sono soprattutto adenomi tiroidei, più frequentemente non funzionanti (perciò scintigraficamente “freddi”), talora sono aree di funzionalità autonoma (perciò scintigraficamente “caldi”) e in questo caso possono determinare ipertiroidismo. 
Il reperto di nodularità tiroidea è spesso occasionale in quanto, in assenza di sintomatologia dolorosa o compressiva, la presenza del nodulo viene notata dal paziente solo quando esso  si rende visibile.

Neoplasie della tiroide

Il  tumore della tiroide ha un’incidenza  di 4 su 100.000 abitanti e rappresenta lo 0,3% dei noduli tiroidei. Tutte le età possono essere colpite con un rapporto F:M di 3:1.
L’eziologia di queste neoplasie è per lo più sconosciuta.
Il quadro clinico dipende dal tipo di neoplasia presente.
Nel caso dell’adenocarcinoma differenziato, papillare o follicolare, si ha generalmente il riscontro occasionale di un nodulo tiroideo che è quasi sempre asintomatico. Raramente, e solo nelle forme più avanzate, vi possono essere segni di compressione o infiltrazione quali disfonia, disfagia e dispnea.
All’esame obiettivo il nodulo  può essere singolo, o riscontrato nel contesto di un gozzo multinodulare, di consistenza nettamente aumentata, mobile sui piani superficiali e profondi mentre  nelle fasi avanzate può infiltrare le strutture del collo e diventare fisso. Può essere presente linfoadenopatia latero-cervicale per presenza di metastasi. Questo può talora essere il primo segno clinico della malattia.
Carcinoma papillifero
Rappresenta il 50% delle neoplasie della tiroide e si manifesta in età infantile e tra i 15 e i 45 anni. Dà metastasi per via linfatica con localizzazione ai linfonodi cervicali,  al polmone e all’osso.
Carcinoma follicolare
Rappresenta il 10-15% delle neoplasie tiroidee e si manifesta dopo i 40 anni. Dà metastasi per via linfatica e per via ematica con localizzazione al polmone, all’osso, al cervello e raramente al fegato.
Carcinoma indifferenziato
Rappresenta  il 10% dei carcinomi tiroidei e si manifesta dopo i 50 anni. Ha consistenza dura o lignea con rapido accrescimento e invasione delle strutture superficiali e profonde del collo. La disfagia, la disfonia e la dispnea compaiono precocemente e tendono ad aggravarsi rapidamente. In breve tempo si ha diffusione verso il mediastino, infiltrazione della trachea e talora dell’esofago ed erosione di strutture adiacenti, quali lo sterno  e la clavicola. Può dare gravi emorragie che risultano spesso fatali.
Carcinoma midollare
Rappresenta il 5% dei carcinomi tiroidei. Dà metastasi per via linfatica locali e a distanza (polmone, ossa e fegato). In presenza di metastasi diffuse si manifestano diarrea e crisi vasomotorie al viso dovute al fatto che il tumore secerne anche serotonina, istamina e prostaglandine. Più raramente il carcinoma secerne ACTH determinando una sindrome paraneoplastica.
Neoplasie endocrine multiple (MEN)
Si tratta di sindromi caratterizzate dall’associazione di iperplasie, adenomi e neoplasie di diversi organi endocrini, spiegata su base ereditaria o familiare.


MEN I
Questa sindrome a carattere familiare è sostenuta da tumori multipli di varie strutture ghiandolari, tra cui l’ipofisi e le paratiroidi.
Nel 97% dei casi è presente iperplasia nodulare di tutte e quattro le paratiroidi, associata alla presenza di uno specifico fattore circolante capace di indurre la replicazione delle cellule paratiroidee.
Nel 10-15% dei pazienti sono presenti gozzo o adenomi tiroidei funzionanti.
La diagnosi viene generalmente posta per il prevalere della sintomatologia di tipo gastrointestinale; più raramente la sintomatologia di esordio indirizza verso un’alterata funzionalità paratiroidea ovvero verso una patologia ipofisaria.
MEN II
Questa sindrome è sostenuta da una triade di neoplasie a carattere ereditario, che comprende il carcinoma midollare della tiroide, il feocromocitoma e l’iperplasia della paratiroidi (MEN IIa). Nelle variante IIb manca la condizione di iperparatiroidismo.
Il carcinoma midollare della tiroide associato ad una    MEN II si manifesta in giovanissima età, tanto che alcuni Autori lo ritengono presente fin dalla nascita; metastatizza precocemente e si associa ad elevata mortalità.
In questa sindrome la neoplasia è plurifocale e bilaterale: il carcinoma midollare è presente nella totalità dei pazienti affetti da MEN IIa, mentre l’iperparatiroidismo si sviluppa nel 60% dei soggetti.
In genere la neoplasia tiroidea è la prima ad essere diagnosticata, per la presenza di masse mediastiniche e/o cervicali di pertinenza tiroidea, che spingono il paziente a rivolgersi al medico.
Il trattamento chirurgico del carcinoma midollare associato ad una MEN II consiste in una tiroidectomia totale con eventuale linfoadenedectomia.
La terapia dei tumori della tiroide si basa sull'associazione di chirurgia mediante tiroidectomia totale con o senza dissezione linfonodale locoregionale, terapia sostitutiva e soppressiva con ormoni tiroidei e terapia radiometabolica nel caso di evidenza, alla scintigrafia total body eseguita dopo l'intervento chirurgico, di residui tiroidei o metastasi a distanza.
La prognosi dell’adenocarcinoma della tiroide dipende dal tipo istologico della neoplasia, dall’età e dal sesso del soggetto (con prognosi peggiore dopo i 40 anni  e nel sesso maschile), dalle dimensioni e dall’invasività della neoplasia stessa al momento della diagnosi. In generale gli adenocarcinomi  differenziati hanno una buona prognosi (migliore per il carcinoma papillare rispetto a quello follicolare perché quest’ultimo è multifocale) con sopravvivenza superiore a 10 anni nell’80% dei casi. La prognosi è peggiore per i soggetti  di età superiore ai 50 anni e in presenza di metastasi a distanza.
La prognosi  del carcinoma midollare primitivo dipende dalla precocità della diagnosi e dalla presenza di linfonodi metastatici all’intervento, con  sopravvivenza che va dal 86% nelle forme N- al 46% nei casi N+. Qualora lo stesso istotipo sia parte di una MEN II, la prognosi è invece estremamente severa e sfavorevole. 
Il carcinoma indifferenziato ha prognosi infausta con sopravvivenza inferiore a 1-2 anni nella quasi totalità dei casi.


DIAGNOSTICA STRUMENTALE

Studio della funzionalità tiroidea

Fondamentale nella diagnostica della patologia tiroidea è il dosaggio degli ormoni tiroidei e degli anticorpi antitiroidei che permette di differenziare le diverse sindromi cliniche.
In tutte le forme di ipotiroidismo si evidenzia una diminuita concentrazione degli ormoni tiroidei circolanti mentre il TSH è aumentato; quest'ultimo rappresenta il più precoce e preciso indice di ipotiroidismo primitivo.
L'elevata concentrazione in circolo di FT3 e FT4, associata a soppressione dei livelli circolanti di TSH che risulta a volte indosabile anche dopo stimolazione con TRH, caratterizza  l'ipertiroidismo. Nel gozzo tossico possono, inoltre, essere presenti anticorpi antitireogolbulina.
Nel gozzo non tossico, in fase eutiroidea, i livelli di TSH sono generalmente normali mentre quelli di FT4 possono occasionalmente risultare ridotti ed il rapporto FT3\FT4 aumentato per l'incremento assoluto di FT3.
Nelle forme autoimmuni di tiroidite, si evidenziano elevati livelli circolanti di anticorpi antitireoglobulina mentre le concentrazioni di ormoni tiroidei possono essere ridotte, normali o aumentate.
Nel follw up delle neoplasie tiroidee risulta di notevole importanza il monitoraggio dei livelli circolanti di calcitonina e tireoglobulina rispattivamente nei carcinomi midollari e differenziati.

Medicina nucleare

Grande rilevanza ai fini dell’accertamento diagnostico funzionale di una patologia tiroidea ha la scintigrafia che rappresenta la distribuzione spaziale, nella ghiandola, della concentrazione del radiofarmaco somministrato, fornendo informazioni funzionali e metaboliche oltre che su sede e morfologia del parenchima tiroideo.
Nell’ambito delle informazioni funzionali é possibile riconoscere fondamentalmente due comportamenti di captazione: nodulo ipocaptante o “freddo” e nodulo ipercaptante o “caldo”. Il primo può essere espressione sia di patologia benigna, iperplastica, cistica o adenomatosa, che maligna. Il secondo, normalmente benigno, è espressione di un adenoma iperfunzionante. (19,23)
Il 99mTc, sotto forma di pertenectato, é il tracciante attualmente più usato nella diagnostica tiroidea; i motivi per cui viene preferito allo I131, come tracciante di routine, sono molteplici: migliore dosimetria, migliore accoppiamento con il rilevatore, disponibilità continua e minor costo. Lo I131, pur rappresentando il tracciante fisiologico dell’intero processo di ormono sintesi, ha un impiego limitato a specifiche indicazioni: nelle distopie retrosternali e linguali e nel follow-up post-chirurgico del carcinoma tiroideo per la ricerca di eventuali metastasi funzionanti. Nel sospetto di patologia neoplastica l’utilità dello I131 é invece controversa.
La maggior parte delle lesioni benigne e virtualmente tutte le neoplasie maligne ed i gozzi nodulari captano sia il 99mTc che i radioisotopi dello iodio meno avidamente rispetto al tessuto ghiandolare normale cosicchè la maggior parte delle tireopatie può presentarsi all’esordio come nodulo freddo.
Nel follow-up post-chirurgico del carcinoma tiroideo viene eseguita la scintigrafia total-body con I131 e il dosaggio plasmatico della tireoglobulina al fine di valutare sia la quota di tessuto tiroideo residuo che l’efficacia della terapia, consentendo di evidenziare la maggior parte delle metastasi, generalmente localizzate nei polmoni e nelle ossa.

Ecografia

L’ecografia é una metodica che ben si presta ad essere impiegata nello studio della patologia nodulare della tiroide.
La normale ecostruttura della ghiandola tiroidea é caratterizzata da un tappeto di fini echi di medio-alta intensità omogeneamente distribuiti su tutto l’ambito ghiandolare.
Assumendo come parametro di riferimento la normale ecostruttura del parenchima tiroideo i noduli vengono distinti in isoecogeni, ipo o iperecogeni (noduli solidi); noduli anecogeni (noduli cistici); noduli misti (noduli solidi con componente liquida maggiore del 50% dell’intero nodulo).
Quando vengono identificati, i noduli tiroidei devono essere definiti per numero, struttura, caratteristiche dei margini, eventuale presenza di alone ipoecogeno periferico, fenomeni di colliquazione, presenza di calcificazioni, eventuale invasione delle strutture anatomiche contigue.
L’iperplasia nodulare può assumere vari aspetti a seconda del numero e della grandezza dei noduli, della loro struttura, della presenza di aree colliquate e/o calcificazioni. In genere il nodulo iperplastico é isoecogeno, con margini netti e regolari, circondato da alone ipoecogeno periferico, sottile, continuo (aspetto caratteristico ma non patognomonico). Il 25% delle iperplasie nodulari sono iperecogene mentre le ipoecogene sono rare.
Le aree di colliquazione sono un reperto di riscontro abbastanza frequente nelle iperplasie nodulari; il contenuto di queste aree appare francamente anecogeno quando é costituito da liquido sieroso mentre può assumere un grado di ecogenicità variabile e crescente fino alla isoecogenicità se é costituito da colloide o da sangue. Non esistono caratteri particolari riguardo le dimensioni dei noduli; tuttavia il rischio di malignità é direttamente proporzionale all’incremento volumetrico del nodulo durante il follow-up. Le calcificazioni sono particolarmente frequenti nelle iperplasie di vecchia data e sono disposte tipicamente alla periferia del nodulo, a volte con aspetto a guscio, dovute a deposizione di sali di calcio nel contesto di aree emorragiche o degenerative andate incontro a progressiva fibrosi.
Le microcalcificazioni (spot iperecogeni con diametro inferiore ai 2 mm con o senza cono d’ombra) sono tipicamente più frequenti nei noduli maligni ma possono essere identificate anche nelle iperplasie in cui tendono ad assumere un aspetto omogeneo e una distribuzione ordinata.
L’adenoma tiroideo è relativamente poco frequente, rappresentando soltanto il 5% di tutte le lesioni nodulari della tiroide.
Le caratteristiche ecografiche sono molto variabili: mentre gli adenomi follicolari presentano un quadro US sovrapponibile a quello dell’iperplasia, quelli non follicolari presentano caratteristiche molto simili alle lesioni maligne, in genere ipoecogeni con contorni regolari e spesso privi di calcificazioni superiori ai 3 mm.
Le neoplasie maligne sono più spesso iso-ipoecogene nei confronti del circostante parenchima tiroideo sano, presentando margini irregolari, polilobati e/o sfumati con alone periferico ipoecogeno ampio, di spessore irregolare frequentemente superiore ai 2 mm, e talvolta incompleto.        
Caratteristiche della patologia neoplastica tiroidea sono le microcalcificazioni (diametro inferiore ai 2 mm) che hanno substrati anatomo-patologici diversi nei differenti istotipi. (44,45) La sensibilità del parametro microcalcificazioni nella diagnostica ecografica delle neoplasie é relativamente bassa (60-70%) a causa della loro assenza in alcuni istotipi mentre la specificità é abbastanza elevata (85-95%) dato il loro raro riscontro in patologie nodulari non maligne.
La neoplasia più difficile da diagnosticare ecograficamente é il carcinoma follicolare per la sua frequente associazione con patologia iperplastica benigna, specie in aree gozzigene (70%) e per la scarsità dei segni di malignità in particolare assenza di microcalcificazioni intranodulari e adenopatie laterocervicali.
Microcalcificazioni intranodulari sono invece presenti nel 90% dei casi nel carcinoma papillare che si manifesta frequentemente con adenopatie metastatiche locoregionali, di diametro anche infraclinico (diametro inferiore ad 1 cm.). Le adenopatie hanno forma rotondeggiante, ipoecogene e contengono nell’80-90% dei casi microcalcificazioni. (44)
Il quadro ecografico del carcinoma indifferenziato é simile a quello dei carcinomi papillari o follicolari dai quali verosimilmente deriva, ma con due caratteristiche differenti: maggiori dimensioni ed estrema aggressività locale.
Il carcinoma midollare si presenta ecograficamente come lesione nodulare ipoecogena e meno frequentemente isoecogena, a margini sfumati ed irregolari con microcalcificazioni nell’80-90% dei casi. Lo stesso aspetto é riscontrabile nelle metastasi linfonodali locoregionali. (12,15,20,39)
In conclusione appare evidente da quanto sopra esposto che l’analisi semeiologica ecografica delle differenti lesioni nodulari della tiroide manca di un carattere di sicura differenziazione tra le forme benigne e quelle maligne.
Pertanto il ruolo fondamentale dell’ecografia é l’identificazione di uno o più noduli: ciò soprattutto in considerazione del fatto che l’ecografia può modificare la preliminare diagnosi clinica di nodulo tiroideo singolo dimostrando una multinodularità non apprezzabile alla palpazione in oltre il 30% dei casi. (8,9,10,47)
L’ecografia quindi é metodica dotata di elevata sensibilità nel rilevamento di noduli tiroidei, anche di piccole dimensioni (10,19),  ma la sua specificità nel discriminare le lesioni benigne dalle maligne, anche se ha subito un incremento sensibile, non é ancora tale da permettere una diagnosi di natura affidabile.

Color doppler e power doppler

La recente evoluzione delle apparecchiature Color e Power (PW) Doppler nell’ambito dei sistemi B-Mode ha successivamente consentito di acquisire l’analisi delle caratteristiche dei flussi ematici, tentando la tipizzazione e caratterizzazione dei tessuti patologici mediante il riconoscimento dei mappaggi vascolari caratteristici.
Numerosi sono ormai i contributi della letteratura in tema di analisi Color Doppler della tiroide (2,16,26,27,37) e gli autori sono concordi nel ritenere che la semeiotica delle principali tireopatie, diffuse o nodulari, si propone attraverso quattro fondamentali aspetti (o patterns) qualitativi che si possono così sintetizzare:
1) assenza di segnale colore apprezzabile (pattern 1)
2) presenza di segnale colore perifericamente alla lesione nodulare (pattern 2)
3) presenza di segnale colore marginalmente ed all’interno della lesione nodulare (pattern 3)
4) segnale colore presente e diffuso in tutta la ghiandola (pattern 4)
I pattern 1e 2 posseggono elevato valore predittivo di benignità ed hanno la massima possibilità di corrispondere a lesioni nodulari benigne nel contesto di strumi normofunzionanti  In presenza di pattern 3 si pone il problema diagnostico differenziale tra nodulo autonomo iperfunzionante e neoplasia maligna in quanto entrambe queste condizioni patologiche rivelano evidente segnale colore sia alla periferia che all’interno della lesione nodulare. Il pattern 4 é espressione di alterazioni funzionali diffuse della ghiandola, sia nel senso dell’iperfunzione che dell’ipofunzione.

FNAB (fine needle aspiration biopsy)

Il più delle volte una corretta diagnosi pre-operatoria di natura va demandata all’esecuzione di una agobiopsia. (19)
La biopsia aspirativa con ago sottile della tiroide (FNAB = Fine Needle Aspiration Biopsy), introdotta negli anni ‘50, é entrata nella pratica clinica negli anni ‘70.
L’esame citologico del materiale aspirato consente di ottenere preziose informazioni per decidere l’iter diagnostico-terapeutico dei pazienti tireopatici con bassa morbilità e, se in mani esperte, alta precisione diagnostica. (18)
Unico limite del metodo é legato all’impossibilità di diagnosticare quelle lesioni caratterizzate più dal loro aspetto strutturale che non dalla loro cellularità. (17,18)
Nel caso inoltre dei gozzi multinodulari, un solo prelievo non definisce tutta la patologia tiroidea in atto ma dà informazioni esclusivamente sulla zona esplorata per cui può rivelarsi di scarsa utilità clinica ed ingenerare un falso senso di sicurezza, a meno che non venga esaminata una zona di particolare interesse. Pertanto in questo contesto diviene necessario selezionare solo i noduli “emergenti” ovvero che abbiano qualche caratteristica clinica o strumentale di sospetto o abbiano mostrato modificazioni nel tempo, compito affidato alle metodiche di imaging dotate di più alta specificità diagnostica.


CENNI DI TECNICA CHIRURGICA

La  prevenzione delle complicanze maggiori della chirurgia tiroidea ed in particolare  la lesione dei nervi laringei ricorrenti e delle ghiandole paratiroidi, è strettamente legata alla tecnica chirurgica utilizzata nella mobilizzazione e dissezione della faccia latero-posteriore del lobo tiroideo.
Sino alla fine degli anni '80, la maggioranza dei chirurghi preferiva le resezioni subtotali che, preservando una lamina posteriore di tessuto tiroideo, evitavano la dissezione dei nervi laringei ricorrenti e delle ghiandole paratiroidi diminuendo, apparentemente, il rischio di ledere queste strutture.
Solo negli anni successivi si è diffusa sempre più la tesi che l'exeresi tiroidea, per essere il più possibile scevra da complicanze, debba seguire il criterio di una minuziosa dissezione degli elementi posteriori, compreso il nervo laringeo ricorrente che deve essere seguito per tutto il suo tragitto, con una corretta esposizione del lobo tiroideo esteriorizzato e basculato in avanti, verso la linea mediana (7).

Arteria tiroidea inferiore: isolamento e sezione

  Le varianti della disposizione anatomica dell'arteria tiroidea inferiore sono notevoli: nella maggioranza dei casi (più del 90% dei soggetti) si presenta come un tronco unico che incrocia orizzontalmente il peduncolo giugulo-carotideo per sfioccarsi nei suoi rami terminali in prossimità della capsula tiroidea.
Questa suddivisione può avvenire precocemente ed il lobo tiroideo appare vascolarizzato da più arterie distinte oppure, al contrario, l'arteria rimane unica fino al suo contatto con il lobo stesso e si presenta come un voluminoso ramo arterioso di facile identificazione.
Altrettanto variabile è il rapporto anatomico esistente con il nervo laringeo ricorrente che può essere situato su di un piano profondo posteriormente all'arteria tiroidea inferiore, fra i rami terminali dell'arteria oppure, più raramente, anteriormente ad essa su di un piano superficiale.
La maggioranza degli Autori ritiene che la sezione dell'arteria tiroidea inferiore debba essere condotta isolando e legando separatamente i rami terminali perché, con questa tecnica, vengono più facilmente preservati i rami destinati alla vascolarizzazione delle ghiandole paratiroidi (7).

Nervo laringeo ricorrente: riconoscimento, isolamento e preservazione

 I nervi laringei ricorrenti decorrono, su entrambi i lati del collo, a lato della trachea dalla quale sono separati dalla catena linfatica ricorrenziale sino al punto di ingresso nel laringe, a livello dell'articolazione cricotiroidea che è di facile identificazione alla palpazione.
Spesso il nervo laringeo inferiore di sinistra, ricorrendo dopo avere circondato l'arco aortico,  decorre su di un piano più profondo del controlaterale.
Per gli stretti rapporti esistenti tra arteria tiroidea inferiore e nervo ricorrente e per la variabilità anatomica degli stessi, appare evidente come la legatura e sezione del peduncolo vascolare inferiore della tiroide costituisca uno dei tempi operatori a rischio per la lesione del nervo stesso e come debba essere condotto sotto visione diretta del nervo laringeo ricorrente.
Altra sede a rischio di lesione del nervo ricorrente è il punto della sua penetrazione nel laringe dove il nervo decorre abitualmente posteriormente al ligamento di Gruber al quale è adeso: una trazione importante esercitata sul lobo tiroideo può perciò portare all'anteriorizzazione del ricorrente determinandone la lesione accidentale la cui frequenza aumenta nei casi in cui  (circa il 25 % dei soggetti) il nervo attraversa il ligamento stesso (46).
Nella stessa sede, inoltre, è spesso presente un piccolo ramo arterioso terminale, che incrocia il ricorrente prima della sua penetrazione nel laringe, la cui emostasi con elettrobisturi può risultare estremamente pericolosa.
Il riconoscimento del nervo ricorrente e il suo isolamento sono facilitati da una accurata emostasi che renda il campo operatorio completamente esangue e da una sua minuziosa dissezione che parte dal punto di incrocio tra nervo ed arteria tiroidea inferiore e risale verso l'alto, in un tessuto cellulare lasso, creando una sorta di tunnel tra faccia anteriore del nervo ricorrente e superficie posteriore della tiroide sino all'articolazione cricotiroidea.
Questa tecnica permette di seguire il nervo lungo tutto il suo decorso cervicale visualizzandone la faccia anteriore senza ricorrere ad un isolamento circonferenziale che potrebbe risultare ischemizzante.

Ghiandole paratiroidi: riconoscimento e preservazione

Le paratiroidi, solitamente in numero di quattro, due per lato di cui una superiore ed una inferiore, sono di forma variabile e colore bruno e misurano, in media, 6 mm di lunghezza e 2-4 mm di larghezza; sono disposte simmetricamente rispetto alla linea mediana.
Le paratiroidi superiori si trovano, quasi costantemente, su di un piano posteriore al polo superiore della tiroide (80% dei casi), strettamente adese alla capsula della ghiandola, oppure in prossimità del punto di penetrazione del nervo ricorrente nel laringe.
Le paratiroidi inferiori hanno una sede anatomica molto più variabile anche se in una percentuale di circa il 50% dei casi si ritrovano accollate alla faccia laterale del polo inferiore del lobo tiroideo; nei restanti casi si possono trovare in basso verso la regione timica oppure in alto superiormente ai rami dell'arteria tiroidea inferiore dalla quale, peraltro, trae origine la vascolarizzazione arteriosa delle ghiandole paratiroidi (1).
In passato sono state proposte tecniche di colorazione in vivo delle paratiroidi con bleu di metilene per facilitarne l'identificazione (13) che sono però state abbandonate perché non totalmente specifiche  (colorazione di tessuto tiroideo o linfonodale) e perché la colorazione blu ardesia così assunta dalle paratiroidi può impedire la valutazione di un'ischemia paratiroidea.
Attualmente si ritiene che l'identificazione delle ghiandole paratiroidi debba avvenire mediante un'accurata dissezione della faccia laterale del lobo tiroideo a partire dal polo superiore, trazionando il quale si può anteriorizzare la paratiroide superiore,  e dei rami dell'arteria tiroidea inferiore che devono essere sezionati, separatamente l'uno dall'altro,  il più vicino possibile alla capsula tiroidea per preservare i rami paratiroidei.
La variabilità anatomica della disposizione dei peduncoli vascolari paratiroidei rende, in una certa percentuale dei casi, tecnicamente difficile preservare la vascolarizzazione delle paratiroidi soprattutto quando i rami arteriosi sono molto corti e le ghiandole accollate alla capsula tiroidea.
Qualora una paratiroide risultasse ischemica dopo la sezione dei rami tiroidei inferiori oppure venisse asportata durante le manovre di dissezione, è possibile il suo reimpianto.
Questo viene eseguito divaricando per via smussa le fibre del muscolo sternocleidomastoideo e creando una "tasca" nel contesto del muscolo stesso dove posizionare la ghiandola paratiroide precedentemente sezionata in più frammenti con il bisturi tagliente.
I risultati di questa tecnica sono eccellenti abbassando considerevolmente il tasso di ipoparatiroidismo secondario postoperatorio, particolarmente dopo tiroidectomia totale.

 

 

Fonte: http://uploadmedico.altervista.org/index.php?action=downloads;sa=downfile&id=76

Sito web da visitare: http://uploadmedico.altervista.org

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