Angina pectoris

Angina pectoris

 

 

 

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Angina pectoris

 

 

 

Piani di assistenza e procedure infermieristiche
a pazienti con
Infarto del miocardio e Angina Pectoris

 



Introduzione

Le malattie cardiache rappresentano la prima causa di morte della nostra
popolazione: è una realtà triste ma confermata da molte fonti d'informazione.
Convegni, campagne d'informazione e bilanci ci forniscono una serie di
numeri e percentuali; ma quello che emerge è chiaro e preoccupante: ogni
anno una città italiana si spopola per le malattie di cuore.

L'infarto è una patologia importante, ma evitabile con l'utilizzo del buonsenso, dell'informazione e dell'educazione sanitaria.

Ne consegue che da anni le Organizzazioni Sanitarie Nazionali ed Internazionali si sono mobilitate nella ricerca dell’individuazione e della rimozione delle cause di una così diffusa e grave patologia.
Il lungo, faticoso e costoso impegno non è stato vano, poiché i grossi studi epidemiologici ci hanno consentito di avere conoscenze precise ed idee chiare riguardo ai numerosi fattori in grado di favorire l’instaurazione e la progressione delle malattie cardiovascolari: quelli che vengono comunemente chiamati fattori di rischio.

Alcuni fattori di rischio sono ineliminabili, come: l’età, il sesso e la familiarità, sono fattori predisponenti su cui, ovviamente, non abbiamo possibilità d’intervento.
Su molti altri invece, possiamo e dobbiamo attivamente intervenire: le dislipidemie (l’aumento di alcuni grassi nel sangue: colesterolo e trigliceridi), l’ipertensione, il fumo di sigarette, il diabete, l’obesita’, la vita sedentaria
 e  lo stress.

L'assistenza infermieristica al paziente con IMA è un momento delicato in cui
si interviene sull'aspetto fisico, psicologico e sociale; proprio questa visione
globale del soggetto ci sprona a trovare e ad applicare nuove strategie di
nursing.

Il supporto, il sostegno e la guida dell'infermiere non si limitano alla sola
prestazione tecnica, ma anche all'educazione sanitaria che mira a dare al
paziente e alla comunità le basi per:

*       riconoscere i segni di allarme di attacco cardiaco;
*       applicare le nozioni di pronto soccorso e intervento;
*       conoscere e condurre uno stile di vita adeguato;
*       sapere quali fattori di rischio provocano l’Infarto.

 

 

Apparato Cardiocircolatorio

 

Il cuore è l’organo principale dell’apparato circolatorio. Si intende per apparato circolatorio un sistema composto da una pompa, il cuore, e da tubi, i vasi sanguigni (arterie, vene, capillari, linfatici), distribuiti in ogni parte ed organo del corpo umano.
La circolazione sanguigna ci consente di portare a ciascuna cellula del nostro organismo l’ossigeno e le sostanze nutritive: aminoacidi, zuccheri, grassi. 
Il cuore è un muscolo cavo che si contrae spontaneamente e ritmicamente e, con tali contrazioni, attraverso un sistema di valvole, assicura la progressione del sangue in due circuiti, detti circolo polmonare o piccola circolazione e circolo sistemico o grande circolazione.
La piccola circolazione trasporta sangue venoso, ricco di anidride carbonica, dal cuore ai polmoni, dove il sangue viene purificato e riportato al cuore ossigenato. Dal cuore a sua volta parte la grande circolazione che porta il sangue arterioso all’organismo per cedere l’ossigeno e riempirsi di anidride carbonica, quindi ritornare al cuore come sangue venoso per entrare nel piccolo circolo e purificarsi. All’interno del cuore il sangue ossigenato arterioso non si mescola con il sangue venoso, ricco di anidride carbonica. Se si taglia il cuore longitudinalmente lo si vedrà diviso in due parti da un setto verticale: una parte destra o cuore venoso perché contiene il sangue venoso, l’altra sinistra o cuore arterioso che contiene il sangue ossigenato. Le due cavità superiori si chiamano atri, quelle inferiori ventricoli.
Anatomia

Il cuore è situato nel torace, più esattamente nel mediastino, la parte della cavità toracica che si trova fra i polmoni.
Il pericardio è composto da due foglietti: un foglietto aderisce al cuore (epicardio), l’altro foglietto parte dall’epicardio e circonda il cuore (pericardio propriamente detto), in modo da formare una cavità virtuale che consente al cuore di muoversi liberamente durante la contrazione cardiaca. All’interno della cavità cardiaca, la parete è ricoperta da una membrana chiamata endocardio.
La forma ricorda un cono, la cui base è però situata in alto, con l’apice rivolto in basso, verso sinistra. Le dimensioni nell’uomo adulto sono variabili, anche in funzione del riempimento del cuore, misurano in media 13 cm longitudinalmente, dalla punta al margine superiore degli atri, 11 cm trasversalmente, con uno spessore massimo di 8 cm dalla colonna vertebrale allo sterno.
             
Le dimensioni sono leggermente inferiori nel sesso femminile. Ha un peso di circa 300 grammi, con variazioni individuali e di sesso. Nell’adulto maschio il peso è compreso fra 280 e 340 grammi, nell’adulto di sesso femminile è compreso fra 230 e 280 grammi. L’insieme delle sue cavità, quando sono rilasciate, contiene un po’ meno di 500 millilitri di sangue.
Il cuore, trasversalmente, viene diviso in due parti da un solco trasversale, il solco coronario od atrioventricolare che separa gli atri, disposti superiormente al solco, dai ventricoli, disposti inferiormente. Gli atri sono due, uno destro ed uno sinistro, separati da un solco longitudinale, detto solco interatriale. Anche i ventricoli sono due, uno destro ed uno sinistro e sono separati da due solchi longitudinali, uno anteriore ed uno posteriore, detti solchi interventricolari.
Nella superficie esterna del cuore si descrivono una faccia anteriore o sternocostale, una faccia posteroinferiore o diaframmatica, una base, un apice. La base del cuore è formata dalla faccia postero-superiore dei due atri, è in rapporto con l’aorta discendente e l’esofago ed è situata in corrispondenza delle 5°- 8° vertebre toraciche. Si trova in corrispondenza dell’atrio destro l’orifizio di sbocco della vena cava superiore ed inferiore. In corrispondenza dell’atrio sinistro si trova l’orifizio di sbocco delle vene polmonari di destra e di sinistra.
L’apice del cuore è formato dal ventricolo sinistro, è in rapporto con il polmone, in corrispondenza del 5° spazio intercostale di sinistra. Mentre le cavità destre e sinistre non comunicano fra loro, le due cavità che compongono il cuore destro e quello sinistro comunicano fra di loro. Ogni metà infatti comprende un atrio ed un ventricolo che sono fra loro in comunicazione mediante l’orifizio atrioventricolare. I due orifizi controllano il passaggio del sangue per mezzo di valvole che permettono il flusso di sangue dagli atri ai ventricoli, mentre ne bloccano il reflusso. L’orifizio atrioventricolare destro è provvisto da una valvola chiamata tricuspide, in quanto possiede tre cuspidi (lembi a forma di punte), l’orifizio atrioventricolare sinistro è provvisto da una valvola chiamata mitrale, in quanto possiede due cuspidi. All’interno dei ventricoli si trovano delle strutture colonnari, i muscoli papillari, il cui compito è di collegare l’apice e le pareti dei ventricoli ai lembi delle valvole atrioventricolari, ai quali si fissano mediante dei tendini, detti corde tendinee.
I ventricoli presentano oltre agli orifizi atrioventricolari, dei forami arteriosi: nel ventricolo destro si trova il forame per l’arteria polmonare, nel ventricolo sinistro il forame per l’aorta. Gli osti arteriosi sono forniti di valvole, formate ciascuna da tre lembi semilunari, per questo motivo vengono chiamate valvole semilunari.
Il cuore si può proiettare sulla parete toracica anteriore in un’area chiamata aia cardiaca. La rappresentazione di questa regione ha finalità pratiche in quanto, mediante l’esame obiettivo, si può valutare la normalità morfologiche e fisiologiche. Ad esempio, mediante la percussione si può valutare le dimensioni cardiache e mediante l’ascultazione si possono apprezzare i toni cardiaci, rumori che si originano dal flusso di sangue che scorre attraverso gli osti cardiaci. 
I toni si ascoltano su particolari punti del torace, detti focolai di ascoltazione. Il focolaio mitralico, si apprezza in una regione detta l’itto della punta, corrispondente all’apice del cuore, ed è apprezzabile nel 5° spazio intercostale: il rumore è dovuto alla contrazione del ventricolo sinistro. Il focolaio tricuspidale si apprezza nel 5° spazio intercostale destro in prossimità dello sterno: in questa sede si apprezza il rumore dato dalla contrazione del ventricolo destro. Il focolaio polmonare si apprezza nel 2° spazio intercostale sinistro in prossimità dello sterno: il rumore è dovuto principalmente all’attività dell’arteria polmonare. Il focolaio aortico si apprezza all’estremo costale del 2° spazio intercostale destro: il rumore è dovuto all’attività aortica. Mediante l’aia cardiaca possiamo così individuare i punti corrispondenti agli osti arteriosi (polmonare ed aortico) e venosi (orifizi atrioventricolari destro e sinistro).
Fisiologia
Si è detto che il cuore si contrae spontaneamente e ritmicamente. Questa attività, è mantenuta da stimoli elettrici che originano nel cuore stesso, nel cosiddetto tessuto o sistema di conduzione. Questo tessuto è formato da fibre muscolari, il cui compito non è di contrarsi ma di produrre automaticamente la trasmissione di stimoli elettrici che comportano l’eccitazione e la contrazione miocardica. Lo stimolo elettrico nasce dal nodo del seno, che si trova nell’atrio destro in corrispondenza della vena cava superiore. Viene chiamato nodo perché gli elementi muscolari che lo costituiscono presentano una disposizione a gomitolo o a nodo. Gli stimoli elettrici si trasmettono successivamente al tessuto muscolare dell’atrio provocandone l’attivazione e la contrazione dell’atrio. L’eccitazione raggiunge quindi il nodo atrio-ventricolare, situato nel setto interatriale. Da qui parte un nuovo impulso elettrico che si propaga attraverso delle fibre specializzate appartenenti al fascio di His, situato nel setto interventricolare. Il fascio di His si divide in due branche destra e sinistra che sotto l’endocardio ventricolare formano una rete detta rete di Purkinje. Normalmente il nodo del seno impone il suo ritmo a tutto il muscolo cardiaco e questo ritmo è detto sinusale. Il ritmo sinusale corrisponde ad una frequenza cardiaca di circa 70-75 battiti al minuto. Esistono altri centri capaci di automatismo, cioè in grado di far contrarre il cuore spontaneamente secondo una determinata frequenza, e questi centri sono caratterizzati dal determinare una frequenza cardiaca minore.
Diversi fattori possono influenzare il nodo del seno, provocando variazioni della frequenza cardiaca. Ad esempio il sistema nervoso simpatico aumenta la frequenza, mentre il sistema nervoso parasimpatico la rallenta. La trasmissione degli stimoli elettrici produce delle correnti che vengono comunemente registrate con l’elettrocardiogramma.
Il cuore funziona come una pompa aspirante e premente in cui l’energia necessaria viene fornita dalla contrazione del muscolo cardiaco stesso. Il fine della pompa è di mantenere la circolazione del sangue nel letto vascolare arterioso, capillare e venoso. Si pensi che il cuore pompa cinque litri di sangue al minuto e che questa quantità può essere raddoppiata se subentra un’attività fisica, fino ad arrivare, in condizioni di sforzo fisico intenso, a pompare venti litri di sangue al minuto.
Si chiama rivoluzione cardiaca il ciclo completo di lavoro che il cuore compie attraverso due fasi distinte, che si susseguono continuamente: fase di contrazione, detta sistole, e fase di rilasciamento o di riposo, detta diastole.
La funzione di pompa del cuore è assicurata dalla parete muscolare e dal sistema valvolare. Il miocardio, quando si contrae, crea una pressione nel sangue contenuto nelle cavità cardiache; questo sangue per mezzo delle valvole viene spinto dal cuore ai due grossi tronchi che da questo si originano: l’aorta e il tronco polmonare. Il sistema valvolare ha la caratteristica di consentire il passaggio in una sola direzione. Gli atri funzionano come una specie di serbatoio di raccolta del sangue proveniente dalla periferia del nostro corpo (atrio destro), o dai polmoni (atrio sinistro). Dagli atri il sangue passa nei ventricoli che costituiscono la pompa cardiaca vera e propria, essi lavorano contraendosi in maniera da raggiungere pressioni più alte, allo scopo di spingere il sangue nell’aorta o nel tronco polmonare. Il miocardio ventricolare è perciò maggiormente sviluppato, presentando uno spessore molto maggiore rispetto agli atri. E’ importante sottolineare che i ventricoli lavorano ad alte pressioni, mentre gli atri a bassissime pressioni.
Si è detto che il cuore lavora come una pompa caratterizzata da una fase di contrazione e da una di rilasciamento. Le valvole atrio-ventricolari, che separano gli atri dai ventricoli, si aprono nella fase di rilasciamento ventricolare, diastole, e permettono ai ventricoli di riempirsi del sangue accumulato negli atri, successivamente queste valvole si chiudono, ciò coincide con la fase di contrazione dei ventricoli, la sistole, cosicché il sangue non possa refluire negli atri. La progressione verso i grossi vasi è assicurata invece dall’apertura delle valvole semilunari aortica e polmonare che avviene nella fase di sistole: in questa fase i ventricoli che si contraggono raggiungono pressioni di circa 125 millimetri di mercurio. Le valvole semilunari dell’aorta e del tronco polmonare si chiuderanno, invece, nella fase di diastole per impedire il reflusso di sangue nei ventricoli.
Il mantenimento della circolazione e della sua funzione, cioè quella di trasportare il sangue, avviene solo se è presente una certo livello di pressione. Nelle arterie il sangue scorre sotto la spinta diretta della contrazione cardiaca; nei capillari e nelle vene il sangue scorre perché esiste una differenza di pressione tra i capillari e gli atri (a livello degli atri la pressione è quasi nulla). Il mantenimento della pressione dipende anche dalla contrazione delle pareti dei vasi, dalla contrazione dei muscoli scheletrici che favorisce il ritorno venoso e dalla quantità di sangue circolante.
La pressione arteriosa che si misura è la pressione esistente nel complesso del sistema circolatorio. La pressione arteriosa massima corrisponde alla fase sistolica, la pressione minima corrisponde alla fase diastolica. Si può cogliere l’importanza di mantenere una pressione arteriosa adeguata se si pensa che un calo pressorio improvviso provoca in un individuo la perdita della coscienza. La pressione arteriosa ha il compito di assicurare la circolazione del sangue e, in seguito ad una riduzione importante, non arriva più sangue al cervello; ecco perché si ha la perdita di coscienza, che in condizioni estreme può portare a collasso cardiocircolatorio e morte.

 

Misurazione della
pressione sanguigna
Valutazione dei valori della pressione del sangue


VALUTAZIONE

Massima
(sistolica)

Minima
(diastolica)

Ottimale
Normale
Superiore alla norma

120
120-129
130-139

80
80-84
85-89

Fascia di confine ipertensione
Ipertensione lieve
Ipertensione moderata
Ipertensione severa

140-160
140-180
oltre 180
oltre 180

90-95
90-105
105-115
oltre 115

Valori normali della pressione del sangue ed età


ETà

Massima
(sistolica)

Minima
(diastolica)

Sotto i 18 anni
Tra i 18-50 anni
Dopo i 50 anni

120
140
140-145

80
85
90

ARTERIE E VENE
I vasi sanguigni che dal cuore si diramano verso le parti periferiche del corpo sono le arterie.
Le arterie, che hanno un diametro massimo di 25-30 millimetri, allontanandosi dal cuore si ramificano e diventano sempre più piccole, fino a diventare delle arteriole, il cui diametro medio è di 0,2 millimetri. Le arteriole si continuano in vasi più sottili detti capillari arteriosi, che hanno un diametro piccolissimo, 7-30 micron (1 micron corrisponde ad un millesimo di millimetro). I capillari arteriosi sboccano nei capillari venosi e quindi nelle vene. Le vene hanno un percorso opposto alle arterie, infatti convergono dai tessuti e dagli organi periferici al cuore. Le vene raccolgono il sangue dopo che ha ceduto l’ossigeno e le sostanze nutritive alle cellule e dopo che ha raccolto le sostanze ed i gas di rifiuto dai tessuti.
Come si è detto, il cuore può essere suddiviso funzionalmente in cuore destro e sinistro. Il cuore destro riceve sangue dal corpo e lo pompa nei polmoni.

Precisamente il flusso sanguigno che arriva dalla periferia viene raccolto dalla vena cava superiore ed inferiore e da queste vene il sangue entra nell’atrio destro, viene spinto nel ventricolo destro, e tramite il tronco dell’arteria polmonare entra nei polmoni per ossigenarsi (ricordiamo che il cuore destro contiene solo sangue venoso, quindi ricco di anidride carbonica). Si parla di piccola circolazione per indicare la circolazione sanguigna che raccoglie il sangue venoso dal cuore destro e, dopo averlo ossigenato negli alveoli polmonari, lo trasporta nuovamente al cuore sinistro. Ne fanno parte il tronco polmonare che successivamente si divide nell’arteria polmonare destra e sinistra che raggiungono il polmone corrispondente e le vene polmonari che riportano il sangue purificato all’atrio sinistro. Nella circolazione polmonare, invece, il cuore sinistro riceve il sangue ricco di ossigeno dai polmoni e lo pompa poi a tutto il corpo. Precisamente il sangue ossigenato dai polmoni viene immesso nell’atrio sinistro dalle vene polmonari: l’atrio sinistro pompa il cuore nel ventricolo sinistro e da qui, mediante un’arteria, l’aorta, viene immesso nella circolazione generale. Il cuore sinistro contiene solo sangue arterioso, cioè ossigenato. Si parla di grande circolazione per indicare la circolazione che parte dal cuore e trasporta alla periferia il sangue ricco di ossigeno.
Il tronco da cui derivano tutte le arterie della grande circolazione è l’aorta. L’aorta origina dal ventricolo sinistro, discende addossata alla colonna vertebrale, percorrendo prima la cavità toracica poi la cavità addominale, dove a livello della quarta vertebra lombare termina nelle arterie iliache. L’aorta viene comunemente divisa in tre porzioni: aorta ascendente, che è il tratto compresa dal cuore alla metà del sterno e da cui si dipartono le arterie coronarie, arco dell’aorta e aorta discendente, che comprende l’aorta toracica e l’aorta addominale. Dall’aorta originano le arterie che portano il sangue a tutto l’organismo.
Il cuore ha le pareti muscolari altamente vascolarizzate per poter rispondere ad un aumento del fabbisogno di nutrimento come avviene in caso di uno sforzo fisico intenso. Il miocardio è irrorato da un sistema di arterie denominate coronarie. Esse si originano all’origine dell’aorta ascendente, nei seni aortici di Valsalva. Le coronarie sono due: coronaria destra e sinistra. Decorrono sulla superficie del cuore dividendosi in rami sempre più piccoli che penetrano nelle varie parti del cuore. La coronaria sinistra dopo un breve tratto iniziale detto tronco comune si divide in due rami: ramo interventricolare anteriore e ramo circonflesso. Si può dire grossolanamente che questi rami ossigenano la parte sinistra del cuore, mentre la parte destra è irrorata dalla coronaria destra.
  
Angina pectoris

L’Angina Pectoris rappresenta la manifestazione clinica più importante della cardiopatia ischemica. Il termine ischemia indica, in senso generale, la carenza di ossigeno in un tessuto secondaria a inadeguata per fusione ematica.

La cardiopatia ischemica può decorrere in modo sintomatico o asintomatico. L'e­sistenza di forme asintomatiche è testi­moniata ampiamente da studi autoptici mostranti la presenza di lesioni atero-sclerotiche coronariche e soprattutto da studi elettrocardiografici dimostranti la comparsa delle tipiche alterazioni elettriche in soggetti senza manifestazioni cliniche della malattia.
Anche se raramente, la prima manife­stazione della cardiopatia ischemica può essere rappresentata dalla morte improv­visa o da aumento di volume del cuore (cardiomegalia) e insufficienza ventrico­lare. La più comune manifestazione cli-nica della cardiopatia ischemica è però rappresentata dall'angina pectoris.
Per angina pectoris (dolore di petto) si intende una sindrome dolorosa acuta dovuta a ischemia reversibile del miocar­dio. È molto più frequente nel sesso maschile (80% dei casi) e in soggetti di età superiore a 50 anni.
Per l'importanza prognostica notevo­le e per l'atteggiamento terapeutico in parte diverso, si possono distinguere due forme cliniche principali di angina pectoris:

ANGINA STABILE: è importante raccogliere un'accurata anamnesi su tut­te le caratteristiche del dolore, le princi­pali delle quali sono:
                        Fattori scatenanti. Il dolore anginoso può essere scatenato da esercizio fisico, emozioni intense, rapporti sessuali, ab­bondanti libagioni, esposizione a tempe­rature rigide.  Tutte  queste condizioni sono accomunate dalla maggiore «per­formance» del miocardio, che può inter­rompere il precario equilibrio fra apporto di ossigeno e richieste metaboliche esi­stente in presenza di lesioni aterosclerotiche. Una caratteristica molto tipica del­l'angina stabile è la prevedibilità dell'en­tità dello sforzo necessario per scatenare l'insorgenza del dolore. I pazienti, infat­ti, sanno in genere bene qual è il limite di attività fisica oltre H guale può insorgere il dolore. Le variazioni dell'entità dello sforzo o della durata del dolore per sforzi di uguale intensità sono elementi clinici molto importanti per sospettare un'evo­luzione verso l'angina instabile.
                        Qualità. In genere il dolore anginoso è descritto come una morsa al petto o una sensazione costrittiva, di oppressione, di soffocamento. Non è quindi un dolore di tipo lancinante o urente. Esso ha un anda­mento del tipo crescendo-decrescendo.
                        Durata. La durata del dolore da angina pectoris stabile in genere è di 3-5 minuti e in ogni caso non supera i 15 minuti. Una maggiore durata del dolore è più tipica dell'angina instabile.
                        Sede. La sede tipica del dolore è retrosternale, con irradiazione alla spalla sini­stra, al braccio sinistro, alla zona ulnare dell'avambraccio e della mano sinistra.
                        Sintomi d'accompagnamento. Il dolore è in genere riferito come molto intenso e genera nel paziente un forte  stato  di ansia e di angoscia; esso si associa inoltre a sudorazione fredda e a pallore da vaso­ costrizione periferica.

ANGINA INSTABILE: è caratterizzata dall'imprevedibilità  dell'insorgenza quindi ha un decorso clinico variabile (da cui la denominazione di instabile) e ha una prognosi più severa, l'angina instabile è infatti una condizione di alto rischio per infarto del miocardio, morte improvvisa e angi­na stabile cronica refrattaria alla terapia medica.
Una particolare forma di angina instabile è l'angina di Prinzmetal, secondaria a un vasospasmo coronario. Caratteristica di questa forma è il quadro elettrocardiografico, che mette in evidenza un sopraslivellamento del tratto ST.

FISIOPATOLOGIA
L'ischemia miocardica può provocare alterazioni delle proprietà biochimiche, elettriche e meccaniche del miocardio.
Le alterazioni biochimiche sono praticamente costanti e sono anche alla base del dolore tipico dell'angina pectoris.
In condizioni normali, i miocardìociti me-tabolizzano glucosio e acidi grassi (fonti principali dell'energia cellulare) ad anidride carbonica ed acqua. Questo processo è reso possibile dalla regolare disponibilità di ossigeno (metabolismo aerobio).
Nella cardiopatia ischemica, cioè in condizioni di carenza assoluta o relativa di ossigeno, il metabolismo aerobio è fortemente ridotto e la cellula cardiaca è indotta a meta-bolizzare glucosio e acidi grassi attraverso una via diversa (metabolismo anaerobio), che comporta la formazione di metaboliti acidi. Il più importante di essi è l'acido lattico, che è in grado di stimolare le terminazioni nervose dolorifiche del miocardio e dunque di provocare il tipico dolore retrosternale.
Le alterazioni delle proprietà elettriche del miocardio sono alla base delle due tipiche manifestazioni   elettrocardiografiche   della cardiopatia ischemica: l'inversione dell'onda T e lo slivellamento del tratto ST. È importante sottolineare che queste alterazioni elettriche possono rappresentare la base di insorgenza di più gravi alterazioni del ritmo cardiaco (aritmie cardiache).
Le proprietà meccaniche del miocardio consistono essenzialmente nella sua capacità dì agire da pompa per la circolazione sistemica. L'improvvisa discrepanza fra perfusione ematica e richieste metaboliche del miocardio si traduce in un'alterazione delle caratteristiche normali del processo ciclico di contrazione e rilasciamento.
In dipendenza della gravita della discrepanza, delle possibilità di compenso da parte dei circoli collaterali, dello stato preesistente del miocardio e della concomitanza di altri fattori aggravanti la funzione circolatoria, la cardiopatia ischemica può accompagnarsi a un deficit più o meno grave della funzione meccanica cardiaca e pertanto ai quadri clini-ci dell'insufficienza o scompenso cardiaco.

 

Competenze Infermieristiche:
1.   Eseguire i prelievi biumorali necessari per il controllo dell’evoluzione dell’Angina Pectoris.
2.   Assistere il paziente nell’esecuzione degli esami strumentali.
3.   Collaborare all'interpretazione degli esami bioumorali e strumentali prescritti dal medico per confermare l'ipotesi diagnostica di Angina Pectoris.
4.   Collaborare con il medico all'esecuzione della terapia.
5.   Controllare e Valutare l’efficacia della terapia.
6.   Consigliare al paziente affetto da patologia ischemica, e ai parenti, le misure igieniche e alimentari adeguate da seguire.

 

Collaborare alla realizzazione e all'interpretazione degli esami bioumorali e strumentali prescritti per confermare l'ipotesi diagnostica di Angina Pectoris

La diagnosi di angina pectoris può essere formulata in base all'accurata valutazione anamnestica del quadro clinico riferito dal paziente. Per confermare il sospet­to clinico, specie nei casi con quadro clinico non tipico, è però necessaria l'e­secuzione di alcuni esami diagnostici in tutti i pazienti. I risultati di questi esami, inoltre, forniscono informazioni impor­tanti al fine della valutazione dell'entità dell'alterazione della funzione cardiaca e della presenza di patologie cardiache as­sociate. Queste informazioni sono di gui­da nella pianificazione del trattamento terapeutico e nella formulazione di un giudizio prognostico. A tal fine è buona norma consigliare il ricovero del paziente che ha sperimentato per la prima volta un attacco acuto di angina e questo per tre ragioni principali:
•   imprevedibilità   dell'evoluzione   della malattia al suo esordio;
•   necessità di escludere con certezza un infarto acuto del miocardio;
•   necessità di eseguire alcuni test dia­ gnostici sotto stretto controllo medico.
Gli esami diagnostici possono essere distinti in BIOUMORALI e STRUMENTALI: i primi sono importanti soprattutto per la diagnosi differenziale con l'infarto acuto del miocardio e per il rilievo di alcuni dei fattori di rischio della malattia aterosclerotica arteriosa.
Gli esami strumentali, con l'eccezione della radiografia del tora­ce, sono specifici per la diagnosi di car­diopatia ischemica e per la valutazione prognostica del paziente.
•   Esami di laboratorio. In tutti i soggetti con storia clinica di angina pectoris devono essere eseguiti i seguenti esami bioumorali:
o       Determinazione dei livelli sierici degli enzimi cardiaci LDH (latticodeidrogenasi) e CPK (creatinafosfochinasi): sono in genere nella norma nell'angina pectoris, mentre si elevano in misura variabile nell'infarto del miocardio.
o       Esame chimico delle urine per il rilievo di diabete mellito e di un'eventuale ma­
lattia renale, condizioni in grado di acce­lerare l'evoluzione dell'aterosclerosi.
o       Determinazione dei lipidi plasmatici, glicemia, creatinina ed ematocrito, que­st'ultimo al fine di escludere la presenza di uno stato di anemizzazione in grado di precipitare un attacco di angina pec-toris
·  Esami strumentali.In tutti i pazienti con angina pectoris deve essere eseguita una radiografia standard del torace, al fine di rilevare l'eventuale presenza di alterazioni morfologiche cardiache associate o provocate dalla cardiopatia ischemica: cardiomegalia, aneurisma ventricolare, segni di in­sufficienza cardiaca.
L'opportunità di eseguire un esame ecocardiografico andrà valutata caso per caso, in base alla storia clinica e all'esito della radiografia del torace. Esso forni­sce, infatti, importanti informazioni non solo sulla morfologia del cuore, ma an­che su alcuni parametri dell'attività mec­canica cardiaca.
Gli esami strumentali di base e più specifici per la diagnosi dell'angina pec­toris sono rappresentati dall'elettrocar­diogramma di base o a riposo e da quello da sforzo. L'iter diagnostico della malat­tia, infatti, parte dall'esecuzione in tutti i soggetti dell'elettrocardiogramma a ripo­so, che è negativo in circa il 70% dei casi di angina pectoris, poiché per definizio­ne l'angina pectoris è provocata da un episodio reversibile di ischemia miocardica.
Quando è possibile eseguire un elettrocardiogramma durante un attacco ischemico si osservano tipicamente due segni di base:
-          lo slivellamento del tratto ST;
-          l'inversione dell'onda T.
Essi sono presenti in tutte le forme di angina pectoris. Con l'eccezione dell'angina di Prinzmetal, lo slivellamento del tratto ST avviene verso il basso, per cui è definito sottoslivellamento . Nell'angina di Prinzmetal, invece, lo slivellamento è verso l'alto e è perciò detto sopraslivellamento.
Il test diagnostico più specifico, più semplice e più ampiamente adoperato per la diagnosi di angina pectoris è però rappresentato dalla registrazione dell'elettrocardiogramma prima, durante e dopo l'esecuzione di un esercizio fisico: il test è denominato elettrocardiogramma da sforzo. Il paziente è sottoposto a un esercizio fisico più o meno standardizzato di intensità crescente (ad esempio con l'impiego di una «cyclette» o di un «ta-pis-roulant») mentre vengono registrati contestualmente V elettrocardiogramma a 12 derivazioni, la pressione arteriosa e gli eventuali sintomi dolorosi. Il fine dell'esame è quello di rilevare la comparsa di alterazioni elettrocardiografiche in condizioni di esercizio fisico controllato. Il test viene interrotto alla comparsa di una sintomatologia dolorosa toracica, di dispnea, di ipotensione arteriosa, di ta-chiaritmie ventricolari o di un severo slivellamento del tratto ST. Viene considerato come segno di cardiopatia ischemica la comparsa di un sottoslivellamento reversibile del tratto ST almeno di 1 mm. Esistono tuttavia delle controindicazioni all'esecuzione di un elettrocardiogramma da sforzo:
            •Angina pectoris appena insorta, di recente aggravamento o altre forme di angina instabile.
            •Infarto acuto del miocardio.
            •Insufficienza cardiaca.
            •Tromboflebite in atto.
            •Aritmie ventricolari.
            •Valvulopatie aortiche.
            •Miocardiopatie acute.
            •Embolia in atto.
Al fine  di aumentare la sensibilità dell'elettrocardiogramma da sforzo nella diagnosi di cardiopatia ischemica è stata recentemente introdotta nella diagnostica strumentale la scintigrafia miocardica con 201Tl durante l'esercizio fisico. Il 201Tl è un isotopo radioattivo che, iniettato per via endovenosa, viene assunto dalle cellule miocardiche vitali, mentre viene assunto in quantità limitata dalle regioni con ridotto afflusso ematico, come le regioni ischemiche, mentre non viene affatto assunto dal tessuto fibroso che rappresenta l'esito di un pregresso infarto. In particolare l'isotopo si distribuisce uniformemente nel miocardio di un co-ronaropatico a riposo, ma non così uniformemente durante lo sforzo, evidenziandosi delle zone di ipocaptazione.
Il paziente viene sottoposto al test ergometrico e subito prima dell'interruzione dello sforzo viene iniettato in vena il 201Tl.
Le immagini vengono rilevate con una gamma-camera subito dopo lo sforzo, successivamente a distanza di alcune ore, per essere sicuri che l'eventuale ipocaptazione dipenda da un'area ischemica. Infatti, a distanza di alcune ore, nel paziente affetto da ischemia del miocardio l'area di ipocaptazione scompare, essendosi ripristinato il flusso ematico, mentre permane in caso di pregresso infarto.
 
    
La valutazione del paziente con cardiopatia ischemica può essere completata con l'esecuzione dell'elettrocardiogramma di Holter, con il quale si registra l'attività elettrica cardiaca per 24 ore continue.
L'esame diagnostico più invasivo nel piano diagnostico della cardiopatia ischemica è rappresentato dalla coronarografia o arteriografia delle coronarie.

 

Collaborare all'esecuzione della terapia

II dolore dell'angina pectoris è causato da un'ischemia transitoria del miocardio con conseguente squilibrio fra richiesta e apporto di ossigeno. Tale situazione di ischemia può essere dovuta a una diminuzione del flusso ematico, a un aumento delle richieste di ossigeno del miocardio o a entrambi i fattori. L'intervento terapeutico deve pertanto mirare a riequilibrare le necessità metaboliche del miocardio; in particolare nel caso dell'angina da sforzo si deve aumentare il flusso ematico coronarico oppure ridurre il lavoro del miocardio (espresso quale consumo di ossigeno); nel caso dell'angina di Prinzmetal si deve ridurre lo spa-smo delle coronarie.
I           principali fattori che determinano il
consumo di ossigeno da parte del miocardio sono:
-          frequenza cardiaca;
-          capacità contrattile del miocardio (inotropismo);
-          precarico;
-          postcarico.
Ognuno di questi fattori è in rapporto di diretta proporzionalità con il consumo di ossigeno, nel senso che un loro aumento o una loro riduzione comportano rispettivamente un aumento o una riduzione del consumo di ossigeno da parte delle cellule muscolari cardiache.
II precarico  è  dato  dalla pressione telediastolica che distende il ventricolo
sinistro; quanto maggiore è la quantità di sangue che giunge al ventricolo sinistro
dalla circolazione sistemica, tanto maggiori sono la distensione del ventricolo
sinistro e la pressione telediastolica. Il consumo di ossigeno è strettamente correlato all'entità della pressione telediastolica ventricolare  sinistra,  per cui si
può dire che esiste una correlazione diretta fra entità del precarico e consumo di ossigeno. La riduzione del precarico comporta una riduzione del consumo di ossigeno da parte del miocardio. In campo farmacologico, la riduzione del precarico è ottenuta inducendo una vasodilatazione venosa che, riducendo il ritorno venoso al cuore, comporta una diminuzione della pressione telediastolica con riduzione del consumo di ossigeno.
Il postcarico è dato dalla forza che il ventricolo sinistro deve vincere per poter provocare l'eiezione di sangue durante la sistole: tale forza è principalmente determinata dalla pressione arteriosa sistemica. Poiché la pressione arteriosa è determinata dall'azione combinata della forza di contrazione cardiaca e delle resistenze vascolari periferiche, si comprende come la riduzione del postcarico, e quindi del consumo di ossigeno del miocardio, sia ottenuta attraverso una riduzione delle resistenze periferiche, cioè da una dilatazione arteriolare periferica.
I farmaci utilizzati nella terapia dell'angina pectoris sono in grado di agire su uno o più di questi meccanismi fisio-patologici e sono suddivisi in tre classi principali:
-          nitrati organici;
-          beta-bloccanti;
-          calcio-antagonisti.
A queste tre classi di farmaci, si associano gli antiaggreganti piastrinici, somministrati al fine di ridurre il rischio di formazione di trombi piastrinici intraco-ronarici. La terapia farmacologica resta tuttora il presidio terapeutico più importante, tramite il quale la prognosi e l'aspettativa di vita normale dei pazienti con angina pectoris è notevolmente migliorata. La terapia medica farmacologica mira a raggiungere due obiettivi fondamentali:
•          Prevenire l'insorgenza della crisi anginosa (terapia di fondo o di mantenimento).
•          Curare la crisi anginosa quando essa sia insorta (terapia della crisi anginosa).

 

 

Nitrati organici
I nitrati organici utilizzati nella terapia dell'angina pectoris sono rappresentati dalla nitroglicerina, dall'isosorbide dinitrato e dall'isosorbide-5-mononitrato. È relativamente recente l'uso di questi tarmaci, oltre che nella terapia dell'attacco acuto di angina pectoris, anche nella terapia di prevenzione del dolore anginoso. L'effetto antianginoso è dovuto sia all'azione sistemica che a quella coronarica svolta da tali composti.
Azione sistemica. Si esplica nella vasodilatazione venosa e arteriosa (a dosi terapeutiche, però, l'effetto è più spiccato a livello venoso). La dilatazione del distretto venoso riduce il ritorno di sangue al cuore, quindi il precarico e la pressione telediastolica con conseguente minore consumo di ossigeno.
Beta-bloccanti
Agiscono riducendo il lavoro cardiaco (forza di contrazione, frequenza cardiaca e pressione arteriosa) e migliorando l'apporto di ossigeno al cuore.

Calcio-antagonisti
I farmaci calcio-antagonisti hanno la ca­pacità di ridurre la concentrazione di calcio all'interno delle cellule sensibili bloccandone l'entrata dagli spazi extra­cellulari oppure impedendone la mobi­lizzazione dai depositi intracellulari. L'azione antianginosa dei calcio-antagonisti si esplica impedendo lo spasmo coronarico, migliorando il flusso coronarico, favorendo il flusso diastolico e riducendo il consumo miocardico di ossigeno.

Antiaggreganti piastrinici
Sono farmaci in grado di inibire l'aggregazione delle piastrine, riducendo il rischio di formazione dei trombi nei vasi aterosclerotici. Per questa loro proprietà sono ampiamente utilizzati nell'angina pectoris (specie la forma clinica instabile) al fine di prevenire l'insorgenza dell'infarto del miocardio. Essi, comunque, non assicurano una protezione certa da episodi trombotici in pazienti ad alto rischio. I farmaci più adeguati sono l'acido acetilsalicilico, il dipiridamolo e la ticlopidina.

 

TERAPIA D'URGENZA DELLA CRISI ANGINOSA
Nella terapia d'urgenza della crisi anginosa il farmaco di prima scelta resta la TRINITRINA. Dopo aver fatto sedere il paziente, si somministra una perla di trinitrina (0,1 mg, ripetitele dopo 5 minuti) chiedendogli di romperla con i denti e di mettere il contenuto sotto la lingua (la via endovenosa è da riservare al trattamento ospedaliero).

 

Valutazione dell’efficacia della Terapia

L'efficacia della terapia viene valutata sulla base dei dati clinici e strumentali. Nella terapia della crisi la scomparsa del dolore, nonostante la prosecuzione del¬l'attività del soggetto, è il criterio cardine della valutazione. Se il dolore continua è possibile ripetere la somministrazione di trinitrina per via sublinguale. La persi¬stenza del dolore anginoso suggerisce l'immediata   ospedalizzazione   del   pa¬ziente. La comparsa di cefalea e arrossa-mento del volto è indice di attività dei fatmaci antianginosi. Nella terapia del¬l'angina pectoris viene considerato effi¬cace  un  trattamento  che  determini la riduzione della frequenza delle crisi e l'aumento della soglia di esercizio fisico per l'insorgenza del dolore. In caso di mancato controllo dei sintomi è possibile aumentare le dosi del farmaco sommini¬strato fino a raggiungere il massimo con¬sentito o utilizzare associazione di f arma¬ci. Nel caso dell'angina da sforzo è possi¬bile   valutare   l'efficacia   della   terapia mediante le prove da sforzo e/o l'elettro¬cardiogramma dinamico (Holter): con le prime si valuta l'eventuale innalzamento della soglia alla quale compare dolore, con il secondo la presenza e/o la riduzione di episodi anginosi silenti. Sia i calcio-antagonisti che i nitroderivati hanno poche reali controindicazioni; tuttavia, la loro somministrazione nelle forme per via sublinguale o transdermica può provocare vari disturbi (annebbiamento della vista, cefalea, ipotensione ortostatica) che possono essere prevenuti facendo assumere al paziente la posizione seduta prima di assumere il farmaco; in ogni caso tale sintomatologia è rapidamente reversibile, ponendo il paziente disteso con le gambe alzate o sospendendo, quando è possibile, la somministrazione del farmaco.
In caso di assunzione di beta-bloccanti è necessario valutare periodicamente la frequenza cardiaca.

Illustrare al paziente e/o ai parenti
misure Igienico-Dietetiche

Le norme generali riguardano la riduzione dei fattori di rischio per la coronaropatia. Occorre adottare provvedimenti, quali sospensione del fumo, riduzione dell'assunzione di alcolici a un bicchiere di vino a pasto (o una birra) e riduzione del sovrappeso con dieta adeguata. Nei pazienti con angina da sforzo la limitazione dell'attività fisica viene consigliata in base alla gravita della sintomatologia. Nei pazienti con angina a soglia elevata e sporadica non è necessaria alcuna limitazione funzionale.
Nei pazienti con angina presente dopo sforzi intensi, l'attività fisica deve essere mantenuta a un livello che eviti l'insorgenza della sintomatologia. In presenza di angina frequente per sforzi molto modesti è invece indicato il riposo assoluto. Non è invece richiesta alcuna limitazione dell'attività fisica nell'angina spontane

Infarto del Miocardio

L’infarto miocardico è dovuto ad un’ischemia (ridotto apporto di sangue) acuta che dura un intervallo di tempo superiore ai venti minuti, che provoca un danno permanente al cuore.
Patogenesi
Viene detto transmurale, quando si instaura un danno anatomico che interessa l’intero spessore della parete miocardica. In questo caso avviene a seguito di una trombosi o di un vasospasmo che determinano l’occlusione totale di un ramo coronarico, sempre in presenza di una lesione aterosclerotica.
Viene detto intramurale quando si ha l’interessamento solo di uno strato subendocardico. Consegue frequentemente a subocclusione od occlusione totale di un ramo coronarico, in presenza di circolo collaterale. Nel giro di poche settimane la zona infartuata (si immagini una zona di tessuto miocardico morta, necrotizzata) si trasforma in una cicatrice fibrosa. Se l’infarto è piccolo il cuore mantiene le restanti pareti inalterate, e la cinesi viene conservata. Se l’infarto è esteso, il cuore ha perso una parte della capacità contrattile, e può apparire alterato anche nelle zone non infartuate. La cicatrice fibrosa è più sottile del restante miocardio, rimane acinetica (non si contrae) se la cicatrice è estesa oppure discinetica, cioè presenta una espansione durante la sistole. Questa estroflessione può dare luogo, nel corso di mesi o anni, ad un aneurisma (dilatazione) del ventricolo. La sede di lesione dipende dalla coronaria occlusa, quanto più prossimale è l’occlusione, cioè quanto più vicina è all’origine, tanto più estesa è la necrosi miocardica.
Sintomi
Nella maggior parte dei pazienti, l’infarto è la prima manifestazione della cardiopatia ischemica. Si manifesta più frequentemente nelle prime ore del mattino: il paziente lamenta un dolore simile al dolore dell’angina, ma più acuto e durevole (alcune ore). Il dolore non regredisce con il riposo, il paziente è agitato, cerca delle posizioni per calmare il dolore, non regredisce con il riposo. Il dolore è spesso associato ad astenia, nausea e vomito, sudorazione fredda.
Purtoppo non sempre è presente il dolore: l’infarto può essere silente. Ciò avviene, ad esempio, nei pazienti affetti da “diabete mellito” e negli anziani. Il riscontro avviene occasionalmente ad un controllo elettrocardiografico. Gli anziani possono presentare come unico sintomo la dispnea, cioè difficoltà a respirare. Alcuni pazienti interpretano e descrivono il dolore toracico come "maldigestione". All’esame obiettivo il paziente è pallido, sudato, aritmico (il ritmo sinusale non è regolare per la presenza di extrasistoli). Nei casi gravi può essere complicato da shock cardiogeno. I sintomi dello shock sono: ipotensione, ipotermia e cianosi periferica (le estremità sono bluastre a causa della stasi venosa), confusione mentale ed oliguria (diminuzione della diuresi).

 

Competenze Infermieristiche:
1.    Assicurarsi che il paziente non compia alcuno sforzo e si mantenga a riposo, in caso di arresto cardiaco applicare il BLS
2.    Eseguire i prelievi biumorali necessari per il controllo dell’evoluzione dell’Angina Pectoris.
3.    Assistere il paziente nell’esecuzione degli esami strumentali.
4.    Collaborare all'interpretazione degli esami bioumorali e strumentali prescritti dal medico per confermare l'ipotesi diagnostica di Angina Pectoris.
5.    Controllare periodicamente: FC, PA, FR, TC e Diuresi.
6.    Collaborare con il medico all'esecuzione della terapia.
7.    Controllare e Valutare l’efficacia della terapia.
8.    Consigliare al paziente affetto da IMA le misure igieniche e alimentari adeguate da seguire.

 

Assistenza al paziente in caso di urgenza
Basic Life Support (BLS)
In caso di arresto cardiaco bisogna eseguire una cor­retta rianimazione con massaggio cardiaco e respi­razione artificiale.  Se esso è provocato da una fi-brillazione ventricolare può essere indispensabile l'uso del defibrillatore (400W).  Il massaggio deve essere eseguito con paziente posto su un piano rigi­do, a capo iperesteso per evitare la caduta della lingua, eventualmente utilizzando una cannula di Mayo. Si dovrà esercitare con le palme delle mani congiun­te una pressione ritmica in sede precordiale sini­stra tale da indurre una depressione della gabbia toracica di almeno 1 cm. ottenendo quindi una compres­sione del muscolo cardiaco sottostante. In caso di fibrillazione ventricolare può essere utile far pre­cedere 2-3 pugni nella medesima sede.- In contempo­ranea si praticherà una respirazione artificiale insufflando aria nella bocca del paziente tramite un pallone Anbu o direttamente con la bocca al ritmo di un'insufflazione ogni 3 compressioni cardiache. La nanovra rianimatoria andrà interrotta ogni tanto per controllare la ripresa dell’ attività spontanea regi­strando un ECG continuo.  Un utile parametro di valutazione sono le dimensioni delle pupille; finché c'è risposta alla stimolazione luminosa, anche se pre­sente midriasi (pupille grandi), è opportuno prose­guire il trattamento che deve essere sospeso invece in presenza di midriasi fissa.  Mentre si praticano le manovre suddette si provvedere anche ad incannulare immediatamente una vena per somministrare bicarbonati (5-10 fiale in 500cc di fisiologica) e, in caso di fibrillazione, Xilocaina. Puòrendersi in­dispensabile il posizionamento di un pace-maker tem­poraneo.
Si può tentare inoltre un'iniezione intracardiaca di Adrenalina (1 fiala), infilando l'ago a livello del 4° spazio intercostale sulla parasternale sinistra,
Se il paziente è in stato di shock cardiogeno la te­rapia consiste nella somministrazione di Dopamina (Revivan) che stimola l'efficacia della contrazione cardiaca, aumenta i valori di pressione arteriosa e provoca una vasodilatazione a livello renale favoren­do la diuresi.  Si somministra per fleboclisi (2 fia­le in 250 cc di glucosata al 5% o fisiologica) alla velocità media di 50-60 gocce al minuto.  Consideran­do la pericolosità del farmaco può rendersi utile l'uso ci microgocciolatori, eventualmente dotati di allarme elettronico nel caso in cui muti la velocità di discesa o vi sia una fuoriuscita dell'ago calla vena.   Si può anche iniettare per via endovenosa cortisone a forti dosi (Flebocortid: 1-2 g alla volta).
In UTIC si potrà posizionare un contropulsatore aor­tico, cioè una sonda fornita da un palloncino, posta in aorta, che si gonfierà e sgonfierà ritmicamente con l'attività del ventricolo sinistro, alleviando quindi il lavoro cardiaco.

 

Piano di Assistenza al Paziente Infartuato In UTIC

Nell'UTIC devono essere ricoverati infartuati nelle prime 24 ore dall'inizio dei sintomi e tutti quei pa­zienti che, in uno stadio più avanzato della malattia, abbiano presentato in corsia o al proprio domicilio im­portanti complicazioni.
II piano di assistenza al paziente infartuato in UTIC può essere così riassunto:
            - Sistemare rapidamente a letto il paziente, evitando­gli sforzi fisici e tranquillizzarlo;
            - Sedare il dolore, eventualmente con morfina;
            - Provvedere per l'immediato monitoraggio elettrocardio­grafico, della pressione arteriosa e venosa centrale;
            - Controllare il funzionamento dei dispositivi d'allarme;
            - Valutare l'intensità e le caratteristiche del dolore e l'eventuale presenza di cianosi, turgore giugulare, dispnea, edemi declivi;
            - Preparare l'occorrente per un eventuale cateterismo vescicale;
            - Programmare il controllo della diuresi nelle 24 h;
            - Eseguire prelievi ematici arteriosi urgenti (emogas-a­nalisi) e venosi per enzini cardiaci (CPK, LDH, GCT) elettroliti (Ha, k), emocromo (poiché c'è un aumento di globuli bianchi), test coagulativi (per la presen­za frequente di ipercoagulabilità), glicemia (nella fase acuta è riscontrabile un suo immediato aumento);
            - Mantenere pervia una vena per qualsiasi necessità, preferibilmente tramite un piccolo catetere, sommi­nistrando a goccia lenta della soluzione fisiologica o gocce di eparina;
            - Preparare cateteri endocavitari per un eventuale mo­nitoraggio emodinamico (servono a rilevare le pressio­ni intracavitarie e sono solitamente posizionati nello atrio destro)
            - Controllare il funzionamento dei pace-maker tempora­nei (di solito posti nella cavità destra; sono cate­teri provvisti di un elettrodo stimolatore)
            - Preparare il defibrillatore nell'eventualità di fi-bri11azione ventri colare
            - Preparare l'amplificatore di brillanza utile per po­sizionare i cateteri endocavitari
            - Assistere psicologicamente il "paziente che, all'ingresso nel reparto, subisce due tipi di trauma: uno per l’angoscia legata alla malattia, l’altro per l’ambiente estremamente asettico ed i macchinari a cui è immediatamente collegato.

 

Collaborare alla realizzazione e all'interpretazione degli esami bioumorali e strumentali prescritti per confermare l'ipotesi diagnostica di infarto del miocardio

L'ipotesi diagnostica di infarto del mio­cardio deve essere quanto prima confer­mata attraverso l'esecuzione tempestiva dell'elettrocardiogramma e dei prelievi ematici per la determinazione dei livelli plasmatici degli enzimi cardiaci.
Determinazioni enzimatiche La necrosi muscolare cardiaca determina il rilascio in circolo di grandi quantità di enzimi intracellulari, i cui livelli plasma­tici hanno un andamento temporale ca-ratteristico e sono quantitativamente cor-relabili con l'estensione dell'area necro­tica. La transaminasi glutammico-ossa-lacetica (GOT) e la creatin-fosfochinasi (CPK) raggiungono rapidamente il loro picco ematico e ritornano ai valori nor­mali in pochi giorni; la lattico-deidroge-nasi (LDH) aumenta più lentamente e resta elevata più a lungo.
•  La GOT è poco specifica per la diagno­si di infarto miocardico, essendo anche presente a livello della muscolatura sche­letrica, del fegato e delle emazie.
•  La CPK, e più precisamente l'isoenzi-ma MB, è presente pressoché esclusiva­mente a livello cardiaco ed è perciò più specifica. Il picco si raggiunge in 18-24 ore e scompare in 3-4 giorni.
•  L'LDH presenta un picco fra la 3a e la 4a giornata e decresce lentamente in 10-12 giorni. Con tecniche di elettroforesi si separano 5 isoenzimi dell'LDH, fra cui quelli provenienti dal muscolo cardiaco sono detti LDH-1. Sono questi ultimi che aumentano effettivamente in corso di infarto miocardico, anche in assenza di modificazioni dell'LDH totale: gli isoen­zimi LDH-1 rappresentano perciò un in­dice di infarto miocardico molto sensi­bile.
Indici non specifici di necrosi In corso di infarto miocardico vanno an­che valutati i seguenti parametri che so­no  espressione  di reazioni aspecifiche della necrosi miocardica:
•  Globuli bianchi: è presente leucocito­si polimorfonucleata (valori intorno ai 12.000-15.000/mm3) che persiste per 3-7 giorni.
• VES:  aumenta lentamente nel corso della prima settimana.
Elettrocardiogramma Le alterazioni elettrocardiografiche rap­presentano un valido supporto diagno­stico ai dati clinici. Si deve tener presen­te, comunque, che in una piccola percen­tuale di casi l'elettrocardiogramma è scarsamente modificato e può non risol­vere la diagnosi di infarto.
Le alterazioni più caratteristiche e si­gnificative interessano i complessi QRS, il segmento ST e l'onda T.
• Alterazioni del complesso QRS: com­prendono la riduzione di voltaggio del­l'onda R e la comparsa di onde Q patolo-giche (onde di necrosi). Le due alterazio­ni sono correlate alla riduzione o alla totale mancanza di miocardio vitale a livello dell'elettrodo esplorante. Nell'in­farto della parete anteriore del ventricolo sinistro l'onda Q patologica si osserva nelle derivazioni precordiali, mentre nel­l'infarto   della   parete   posteriore   essa compare nelle derivazioni aVF, D2, D3. Per definire un'onda Q patologica è ne­cessario che essa sia presente in una derivazione in cui prima non era osser­vabile (confronto con un elettrocardio­gramma precedente all'episodio ische-mico), che abbia una durata superiore a 0,04 secondi e una profondità superiore a un quarto dell'altezza della successiva onda R positiva. Le onde Q persistono per lungo tempo diminuendo di profon­dità e sono indicative di un infarto pre­gresso.
• Modificazioni del segmento ST: nelle fasi iniziali dell'infarto si osserva un so­praslivellamento del segmento ST, indi­cativo di una lesione della membrana cellulare miocardica. Tale alterazione è presente  nelle  derivazioni  che   fanno fronte alla zona lesa, mentre le derivazio­ni opposte alla regione infartuata regi­strano un sottoslivellamento «speculare» dello stesso segmento. Il sovraslivella-mento del segmento ST è la prima altera­zione che si evidenzia in corso di infarto e tende a scomparire entro pochi giorni.
• Modificazioni dell'onda T: la più tipi­ca è rappresentata dall'inversione pro­fonda e simmetrica (onda T negativa). Essa persiste per alcuni mesi dall'episo­dio acuto.
Le alterazioni elettrocardiografiche non compaiono sincronicamente, ma in successione temporale. È pertanto im­portante eseguire ripetuti elettrocardio­grammi. Entro alcune ore dall'inizio del-
l'infarto compare il sopraslivellamento del segmento ST; a distanza di pochi giorni si osservano la riduzione di vol­taggio dell'onda R, la comparsa di onde Q patologiche e l'inversione dell'onda T {Figura 2.68).

Collaborare all'esecuzione della terapia

I principali obiettivi del trattamento sono:

  1. Sedazione del dolore
  2. Riduzione del fabbisogno di ossigeno
  3. Prevenzione delle aritmie  
  4. Riperfusione della zona ischemica

Un primo importante inter­vento consiste nell'infusione lenta di so­luzione glucosata ed eparina, al fine di mantenere a disposizione una via venosa (è preferibile utilizzare un catetere veno­so) per la somministrazione di farmaci in condizioni di emergenza.
            • Sedazione del dolore: sia il dolore che l'ansia ad esso associata possono aggra­vare lo stato di ipereccitabilità del siste- ma simpatico e favorire la comparsa di aritmie cardiache o incrementare le ri­chieste metaboliche del miocardio. In situazione di emergenza si può utilizzare la nitroglicerina sublinguale, sino a 3 capsule da 0,3 mg a intervalli di circa 5 minuti. I nitroderivati devono essere evi­tati in caso di ipotensione. In caso di dolore estremamente intenso, durante la degenza in Unità Coronarica, si sommi­nistra morfina per via endovenosa (2-4 mg ogni 5 minuti). La morfina può pro­vocare vomito e ipotensione. In sostitu­zione della morfina si può utilizzare la meperidina (50-100 mg intramuscolo). Se il dolore non è molto intenso si sommini­stra acetilsalicilato di L-lisina (250-500 mg endovena). L'ansia può essere controlla­ta con benzodiazepine per bocca (diaze-pam o oxazepam più volte/die). È impor­tante assicurare un riposo notturno ade­guato con l'impiego di farmaci ipnoin-duttori, quali il triazolam, benzodiazepi-na a emivita breve.
            • Riduzione del fabbisogno di ossigeno: può essere realizzato in una certa misura col riposo assoluto, sia fisico che psichi­co. Nella prima giornata è comunque opportuno somministrare ossigeno, me­diante maschera facciale o sondino nasa­le. L'ossigenoterapia ha lo scopo di mi­gliorare la diffusione di ossigeno nel miocardio ischemico che è ai margini della zona necrotica.
L'indirizzo terapeutico più moderno prevede anche l'uso di farmaci che ridu­cono la richiesta miocardica di ossigeno e proteggono il miocardio ischemico.
- Beta-bloccanti: riducono in toto l'attivi­tà cardiaca; sono particolarmente indicati in pazienti con sindrome ipercinetica (ta­chicardia associata a ipertensione arterio­sa) e in assenza di scompenso. Si può utilizzare il propranololo per infusione (2,2 mg/kg). Sono anche utili nel control­lo del dolore.
- Nitroderivati: determinano dilatazione dei vasi coronarici e riduzione del ritorno venoso al cuore. Si utilizzano per infu­sione.
- Calcio-antagonisti: in alternativa ai be­ta-bloccanti.
            •  Prevenzione delle aritmie: l'elevata fre­quenza con cui si manifestano aritmie ventricolari maligne che possono prece­dere la comparsa di fibrillazione ventri­colare ha suggerito l'impiego profilattico della lidocaina nella fase acuta dell'infar­to. Si somministra una prima dose per via intramuscolare (200-300 mg) e si pro­cede con infusione continua endovenosa (1-3 mg/min).
            • Riperfusione della zona ischemica: poi­ché la causa principale dell'infarto del miocardio è rappresentata dall'occlusio­ne trombotica di vasi coronarici, la rapi­da risoluzione del trombo con un farma­co fibrinolitico rappresenta la possibilità terapeutica più interessante per il ripri­stino  del flusso ematico coronarico. I farmaci più utilizzati sono la streptochi-nasi e l'urochinasi per via intracoronari-ca o endovenosa; di recente impiego è l'attivatore del plasminogeno tessutale(TPA) che, rispetto ai precedenti, ha il vantaggio  di provocare una fibrinolisi localizzata nella sede di formazione del trombo  di recente data.  Affinchè tale terapia sia efficace, il trattamento deve essere iniziato precocemente, entro le prime 3 ore dall'inizio dei sintomi.
I segni di avvenuta riperfusione sono rappresentati dalla riduzione del dolore e dalla risoluzione o diminuzione del sopraslivellamento del tratto ST all'elet­trocardiogramma. Nelle fasi iniziali della somministrazione di streptochinasi può verificarsi una diminuzione, talvolta an­che notevole, della pressione arteriosa.
L'uso di trombolitici è controindicato nei pazienti anziani, in caso di grave ipertensione, in presenza di precedenti episodi cerebrovascolari e in caso di alto rischio di emorragie gastroenteriche. I trombolitici in seguito devono essere so­stituiti con farmaci anticoagulanti, al fine di evitare la formazione di nuovi trombi a livello della placca aterosclerotica. Si utilizza inizialmente eparina, in dosi suf­ficienti a mantenere il tempo di trombo- plastina parziale fra i 60 e gli 80 secondi e si continua a domicilio con gli anticoagu­lanti orali (warfarin) per almeno 6 mesi. Diversi studi clinici hanno dimostrato che il trattamento trombolitico per via endovenosa è in grado di abbassare la mortalità immediata e intraospedaliera; nella maggior parte dei pazienti in cui si ottiene una lisi del trombo, però, persiste una stenosi critica (superiore al 70% del diametro di sezione) che può essere re­sponsabile di ischemia ricorrente e rein­farto precoce o tardivo.
I pazienti sottoposti a terapia trombo-litica con stenosi residua severa del vaso colpito dovrebbero essere sottoposti ad angioplastica coronaria

 

Tecniche terapeutiche

     Angioplastica Coronaria
Questa tecnica permette di visualizzare i vasi coronarici, individuando così le zone estenotiche e dilatarle tramite l’uso di appositi palloncini. Si introduce in anestesia locale per via cutanea, un filo guida in una arteria brachiale o femorale e , sotto controllo radioscopico, si raggiunge un’arteria coronaria. A questo punto si pratica un’angiografia per individuare la Stenosi.
Lungo il filo guida si fa quindi avanzare il catetere  a palloncino (sgonfio), sempre sotto controllo radioscopico, e lo si sistema in corrispondenza della stenosi. Una volta in situ, il palloncino viene gonfiato e sgonfiato ripetutamente mediante un mezzo di contrasto radiografico, per un periodo di 20-90 sec., o meglio sino a quando non si osserva la risoluzione della stenosi all’angiografia.
L’apparato a catetere può essere a questo punto retratto e introdotto eventualmrete in altri vasi che presentano un’altra lesione stenotica.
II problema principale connesso all'u­so dell'angioplastica è la riostruzione del vaso, probabilmente per effetto del dan­no parietale prodotto dal catetere, che può favorire la formazione di aggrega­ti piastrinici e quindi di un nuovo trom­bo. Per questa ragione, dopo l'esecuzio­ne dell'angioplastica, deve essere inizia­ta una terapia con antiaggreganti piastri­nici.

 

Controllare l'evoluzione della malattia

In casi di infarto acuto del miocardio bisogna assicurare il monitoraggio conti­nuo dei seguenti parametri:
- più volte al giorno: pressione arteriosa, frequenza cardiaca, frequenza respirato­ria;
- quotidianamente:    diuresi,    glicemia, enzimi cardiaci,  VES,  leucociti,  azote-mia, elettrocardiogramma.
Prima della dimissione, inoltre, è op­portuno effettuare un test da sforzo per verificare la comparsa di sintomatologia anginosa, aritmie o di modificazioni del tratto ST. In tal caso i pazienti sono definiti ad alto rischio e vanno trattati adeguatamente: terapia antiaritmica, in presenza di aritmie; farmaci beta-bloc­canti, nitrati a lunga durata d'azione e/o calcio-antagonisti in caso di comparsa dei segni di ischemia. È indicata, inoltre, l'esecuzione di una coronarografia e, nel caso di stenosi severe, si deve prov­vedere alla rivascolarizzazione (angio-plastica o bypass aorto-coronarico).
Per valutare la presenza di alterazioni (discinesia) della motilità della parete ventricolare è indicata l'esecuzione, in un periodo successivo alla fase acuta, dell' ecocardiografia bidimensionale.
    

Complicanze

Si dividono in precoci e tardive.
·                    Le precoci sono innanzitutto le turbe del ritmo (Aritmie) che rappresentano un problema notevole in quanto possono aggravare il quadro clinico già compromesso per aumentata esigenza metabolica e riduzione di gittata cardiaca che determinano. Negli infarti della parete posteriore avremo la bradicardia sinusale, intesa come ipertono vagale; essa può generare aritmie ventricolari ripetitive, è trattata efficacemente con l'atropina per via endovenosa (0,4-0,6 mg).. La tachicardia sinusale è presente nel 30% dei casi, e le cause più comuni sono l'ansia, il dolore persistente, l'ipovolemia; è trattata efficacemente con l’atropina per via endovenosa. La fibrillazione atriale ricorre nel 10-15%; i battiti ectopici ventricolari BEV di solito sono comuni e non hanno un grosso significato, ma possono degenerare in fibrillazione ventricolare se multifocali e polimorfi. La fibrillazione ventricolare è praticamente l'arresto cardiaco se non si interviene con manovre di rianimazione e massaggio cardiaco al suo presentari. Si tratta di una tachiaritmia totalmente desincronizzata che non si accompagnano a sistole meccanica dei ventricoli, quindi senza gittata cardiaca e dunque a collasso.
·                    Le tardive sono:
Scompenso cardiaco
La terapia dello scompenso è simile a quella dell'insufficienza secondaria ad altre forme di cardiopatia: la digitale non migliora la funzione del miocardio necro­tico, ma solo di quello funzionante; i diuretici (furosemide) riducono il preca­rico e la congestione polmonare; i nitrati hanno azione venodilatatrice.
Shock cardiogeno
L'intervento terapeutico è finalizzato a migliorare il circolo coronarico e periferi­co tramite l'uso di vasopressori (dopami-na e dobutamina) e soluzioni saline. È necessario effettuare ossigenoterapia per cercare di ridurre l'ipossia.
Embolie
Vanno trattate con farmaci anticoagulan­ti.
Pericardite di Dressler
Risponde al trattamento con salicilati;

Collaborare alla realizzazione delle misure idonee a favorire la risoluzione dell'area necrotica nell'infarto del miocardio

II paziente con infarto del miocardio de­ve osservare il riposo assoluto al fine di ridurre il fabbisogno energetico del miocardio e favorire il processo di cicatrizza­zione (è stato dimostrato che quest'ulti­mo si realizza in un periodo di 6-8 setti­mane). Nei primi 2-3 giorni il paziente deve rimanere a letto per la maggior parte del tempo; possono essere concessi solo brevi periodi di poltrona (15-30 mi­nuti). Nelle giornate successive (3'1-4'1) i periodi di riposo in poltrona possono essere prolungati. Durante il periodo di permanenza a letto è consigliabile che il paziente muova le gambe, per prevenire la stasi e i possibili accidenti tromboem-bolici. La deambulazione va iniziata in 3a-5a giornata e sempre in maniera gra­duale.
È indicata una dieta ipocalorica sud­divisa in pasti piccoli e frequenti. In caso di insufficienza cardiaca va ridotto l'ap­porto di sodio e incrementato quello di potassio.
La permanenza a letto e l'uso di anal­gesici per la sedazione del dolore posso­no provocare stitichezza. È opportuno in tal caso aumentare la quantità di scorie nella dieta e utilizzare un ammorbidente delle feci o blandi lassativi. Le evacuazio­ni fecali, nei primi giorni, dovranno av­venire a letto mediante l'uso di una comoda.
Se non intervengono complicanze e il test da sforzo è negativo, i pazienti pos­sono proseguire la convalescenza a casa (dopo un periodo di ospedalizzazione di almeno 2 settimane). La riabilitazione deve procedere in maniera progressiva, con piccoli spostamenti in casa e, solo più tardivamente, nei dintorni. È neces­sario un adeguato riposo notturno di almeno 8-10 ore e, in alcuni casi, ulteriori periodi di riposo nel corso del mattino e del pomeriggio.
Devono essere sempre rispettate le norme dietetiche indicate e l'assoluta astensione dal fumo.
Dopo 6-8 settimane circa o prima di riprendere l'attività lavorativa è opportu­no ripetere un test da sforzo.

 

 

 

ESAMI STRUMENTALI
PER VALUTARE LA CARDIOPATIA ISCHEMICA

ELETTROCARDIOGRAMMA
La registrazione delle attività elettriche prende il nome di elettrocardiogramma (ECG). Durante ogni ciclo cardiaco, un'onda di depolarizzazione si irradia attraverso gli atri, raggiunge il nodo AV, viaggia nel setto verso l'apice, gira e si diffonde attraverso il miocardio ventricolare, verso la base. Questa attività elettrica può essere monitorata sulla superficie corporea. Paragonando le informazioni ottenute dagli elettrodi posti in differenti posizioni è possibile registrare la funzione dei singoli nodi e delle componenti di conduzione e di contrazione. Ad esempio, quando una parte del cuore è danneggiata, queste fibrocellule muscolari cardiache non sono più in grado di condurre il potenziale d'azione e quindi l'ECG rivelerà l'anormalità della conduzione elettrica.
L'aspetto della traccia dell'ECG varia a seconda del posizionamento degli elettrodi. La Fig. mostra le principali caratteristiche di un ECG come appare con gli elettrodi posti in posizione standard.
     
La piccola onda P accompagna la depolarizzazione degli atri; il complesso QRS appare in seguito alla depolarizzazione ventricolare. Questo segnale elettrico è piuttosto intenso, in dipendenza del fatto che la massa muscolare ventricolare è maggiore di quella atriale. La piccola onda T indica la ripolarizzazione ventricolare. Non è possibile visualizzare l'onda di ripolarizzazione atriale, perché essa avviene quando i ventricoli si stanno depolarizzando e quindi l'evento elettrico è mascherato dal complesso QRS.
L'analisi di un ECG verte principalmente sull'osservazione della depolarizzazione durante l'onda P e il complesso QRS. Ad esempio, un segnale elettrico più piccolo del normale può significare una riduzione della massa cardiaca, mentre una depolarizzazione troppo intensa può significare che il miocardio si è iper-trofizzato. La dimensione e la forma dell'onda T può anche mutare in ogni condizione che rallenta la ripolarizzazione ventricolare.
Rispetto al numero di strumentazioni sofisticate disponibili a valutare o a visualizzare la funzione cardiaca, nella stragrande maggioranza dei casi l'elettrocardiogramma fornisce le informazioni diagnostiche più importanti. L'analisi elettrocardiografica, in particolare, è utile nel rilevamento e nella diagnosi delle aritmie cardiache, patologie del ritmo cardiaco. Le aritmie riducono l'efficienza di pompa del cuore, producendo una sintomatologia correlata. Serie aritmie possono indicare danno alla muscolatura miocardica, al pacemaker o al sistema di conduzione, nonché altre patologie.

TEST DA SFORZO
E' un esame molto semplice, ma di estrema utilità: l'elettrocardiogramma e la pressione arteriosa vengono rilevati mentre il paziente pedala su una bicicletta (TEST DA SFORZO AL CICLOERGOMETRO) o corre su un tappeto rotante (TEST DA SFORZO AL TAPPETO SCORREVOLE). Infatti se sottoponiamo il cuore ad un maggior lavoro per soddisfare le richieste dell'organismo, il flusso di sangue nelle coronarie deve aumentare parallelamente per fornire l'ossigeno necessario.

 

In presenza di aterosclerosi coronarica significativa, questo flusso non puo' incrementare, per cui compare una sofferenza del muscolo cardiaco, che puo' essere evidenziata dall'elettrocardiogramma; anche in assenza di sintomi da parte del paziente.
Inoltre l'esame permette di valutare il carico, cioe' la resistenza che viene applicata ai pedali (misurata in watt), al quale compare l'alterazione dell'elettrocardiogramma o la sintomatologia anginosa: quanto piu' precocemente compare, tanto piu' grave è l'aterosclerosi delle coronarie. Possiamo infine controllare l'andamento della pressione sotto sforzo, l'eventuale comparsa di aritmie, il grado di allenamento del soggetto, ecc...
Purtroppo, come tutti gli esami, non è tutto oro quello che luccica! Qualche volta questo esame fa cilecca! E allora? Niente paura, il cardiologo ha altre frecce nel suo arco.

SCINTIGRAFIA   MIOCARDICA
Piu' spesso viene utilizzata in associazione al test da sforzo, quando quest'ultimo non ha risolto i nostri dubbi o quando desideriamo ottenere ulteriori informazioni. Consiste nel somministrare una sostanza radioattiva, che si fissa sul cuore e puo' venire rilevata da una particolare attrezzatura. In presenza di ostruzioni coronariche significative, le cellule non fisseranno questa sostanza, svelando la presenza della malatt

ECG DINAMICO SECONDO HOLTER
Consiste nella registrazione di un elettrocardiogramma, su una normale audiocassetta, per un tempo molto lungo (24-48 ore), utilizzando uno speciale registratore che il paziente porta con sè. E' possibile così analizzare l'eventuale presenza di aritmie o di ischemia miocardica, anche in assenza di disturbi da parte del paziente

 

 


ECOCARDIOGRAMMA
Utilizza gli ultrasuoni emessi da una sonda che viene appoggiata sul torace del paziente. E' possibile quindi "vedere" il cuore in movimento, analizzando il funzionamento del muscolo cardiaco, delle valvole e delle altre strutture.
E' possibile quantificare il danno subito dal cuore dopo un infarto, la gravità di una stenosi od una insufficienza valvolare, ecc... Talora viene eseguito durante il test da sforzo o mentre il cuore è stimolato con alcune sostanze (dipiridamolo o dobutamina) somministrate per via endovenosa (ECOSTRESS).

 

 

 

CORONAROGRAFIA
E' un esame che utilizza un sottile tubicino (catetere) che viene introdotto, attraverso un'arteria del braccio o della gamba, sino al cuore (CATETERISMO CARDIACO). A questo punto, dopo l'iniezione di un liquido opaco nelle coronarie, viene eseguito un filmato radiografico, che permette di evidenziare tutto l'albero coronarico: delle arterie principali e delle loro diramazioni. Si puo' così rilevare il numero, la sede e la gravità delle stenosi coronariche.
Una curiosità! Il primo cateterismo cardiaco su un uomo è stato effettuato da Werner Forssmann nel 1929. Su di chi? Su se stesso. Si avete capito bene, ha introdotto un tubicino in una vena del proprio braccio sino al cuore destro, quindi con il catetere posizionato all'interno del cuore ha salito le scale sino alla Radiologia per eseguire una radiografia e poter così documentare l'evento.

 

            

 

Programma Riabilitativo del Paziente
con Infarto Del Miocardio

Un tempo la cura dell'infarto miocardico comprendeva periodi prolungati di riposo a letto e di ricovero in ospedale. Il recupero di una buona condizione psicofisica era molto lento ed incompleto. Troppo frequentemente residuavano timori, ansie ed una scadente qualità di vita.
Oggi non è più così!
Certi timori erano del tutto ingiustificati come ha dimostrato la scienza medica!
Infatti una lunga degenza a letto comporta alcune gravi conseguenze: predispone alla formazione di trombi nelle vene, facilita la caduta della pressione arteriosa e l'eccessivo incremento della frequenza cardiaca mettendosi in piedi, riduce la capacità di ventilazione dei polmoni e la capacità di esercizio fisico, ecc...
L'organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha, infatti, definito la riabilitazione cardiologica come la messa in atto di tutte quelle misure in grado di riportare un malato di cuore alle condizioni fìsiche, mentali, sociali, le migliori possibili, compatibili con la sua malattia.

Qualsiasi intervento che si pone come obiettivo il recupero di tali funzioni o l'ottimale utilizzo delle funzioni residue si definisce come intervento riabilitativo, e lo si organizza partendo dall'analisi dei bisogni particolari che emergono a causa dei deficit funzionali, distinti in:

  • bisogni di recupero, se legati a funzioni, fìsiologiche e psicologiche, perdute con l'evento morboso;
  • bisogni di mantenimento, se legati a funzioni residuate malgrado l'evento morboso;
  • bisogni di apprendimento, se riferibili all'acquisizione di strategie comportamentali congrue a gestire la situazione esistente.

Nelle diverse fasi ospedaliere (periodo acuto e convalescenza) la risposta a tali bisogni è data dal parallelo intervento di competenze complementari del personale di area medica, infermieristica e riabilitativa.

La riabilitazione del cardiopatico è un intervento multidisciplinare che richiede l'intervento di più figure professionali, quali il medico, l'infermiere, lo psicologo, il fisioterapista, il dietista e l'assistente sociale.
Ciascuna di queste figure professionali ha competenze specifiche anche se complementari l'una con l'altra.

La riabilitazione cardiaca è sempre più considerata come attività di
prevenzione secondaria
Nel programma riabilitativo possiamo distinguere due fasi:

a)La prima fase della riabilitazione inizia già in UTIC, con gli esercizi attivi e
passivi a letto, e termina prima della dimissione con l'effettuazione di una
prova da sforzo, eseguita generalmente dopo 8-12 giorni.
In questa prima fase si rende necessari l'intervento dello psicologo per
sostenere il paziente e spronarlo a reagire,in quanto un soggetto abbattuto o
demotivato ha di fronte a se un ripido cammino,rispetto a chi crede o vuole
guarire con tutte le sue forze.
L'uso del test da sforzo , eseguito sotto l'osservazione del medico e dell'infermiera ,prima della dimissione può fornire dati molto importanti sul rischio di eventi coronarici da parte del paziente e fornisce anche ulteriori linee-guida per la riassunzione delle normali attività quotidiane e può servire a rassicurare il paziente e chi vive con lui, dimostrando che l'attività fisica può essere svolta senza comparsa di sintomi significativi. Gli effetti emodinamici favorevoli però sono influenzati da diversi fattori :età,gravità della malattia,distanza dainnfarto,capacità funzionale.

 

b)La seconda fase (o fase di convalescenza) solitamente inizia a domicilio, ove il
 paziente, secondo un programma individuale, aumenta progressivamente l'attività fisica.
Durante questa fase, lo scopo dell'attività fisica per il cardiopatico dovrebbe essere lo sviluppo della capacità funzionale.
E' raccomandato un programma quasi giornaliero,con molte attività che stimolano la funzione cardiorespiratoria; nello scegliere una attività lo specialista di riabilitazione cardiologica dovrebbe tener conto delle condizioni mediche del paziente, dei suoi interessi e delle sue necessità .
A volte può essere utile indirizzare il soggetto verso dei centri d'incontro,dove si tengono riunioni di gruppo tra cardiopatici,dove tra il dialogo e le esperienze,si copre che la vita continua, anche per il cardiopatico. In questo stadio della riabilitazione bisogna evitare attività altamente competitive perché possono provocare risposte cardiovascolari ed emodinamiche inappropriate .
Alcune attività come il passeggiare, l'andare in bicicletta possono essere eseguite mantenendo il dispendio energetico a livello costante, mentre alcune attività fisiche come il basket o il tennis hanno un dispendio altamente correlato con il livello di abilità personale.
La scelta dell'attività dovrebbe cadere su attività che possono essere facilmente eseguite a intensità costante e a basso dispendio energetico.
A tal proposito sarà utile fornire al paziente dei piccoli promemoria con tutte le informazioni possibili, sulle attività che possono svolgere.

 

Aspetti Psicologici dell'assistenza
al Paziente Infartuato

II paziente cardiopatico è molto particolare, in genere si preoccupa di conoscere la sua patologia, e tutti i rischi che essa può comportare. L'infermiere, deve valutare lo stato emotivo del paziente perché è collegato alla sua salute, ed agire di conseguenza.

Nel trattare il paziente con infarto miocardico acuto lo scopo principale a cui si tende è la prevenzione delle complicazioni, l'estensione della lesione miocardica e l'aggravamento dello stress subito dal paziente. Il ricovero del paziente può avvenire in elezione o in regime d'urgenza; l'infermiere si trova quindi a ricevere i dati anagrafici per la compilazione della cartella dal paziente o dai parenti, e proprio in questa fase c'è un primo contatto con l'individuo e la sua famiglia.
L'infermiere accompagnerà il paziente in stanza, comunicherà informazioni e riceverà tutti gli elementi per la definizione della diagnosi di tipo infermieristico; trascriverà la terapia prescritta dal medico, ed eseguirà i prelievi ematochimici, ECG...

Il rapporto infermiere/paziente

II paziente deve essere assistito nella sua globalità, poiché si tratta di un'insieme bio-psico-sociale.
L'assistenza "psicologica" fornita dall'infermiere, incentrata sui bisogni del paziente fa si che lui non si senta estirpato dalla sua casa e dalla sua vita; affronterà con diverso spirito anche la nuova realtà in cui si trova.
E' necessario dare spiegazione al malato e rassicurarlo.
Quando il paziente arriva in UTIC generalmente è in preda all'ansia, può avvertire un forte dolore ed essere spaventato da quest'esperienza.
In questa fase iniziale è diffìcile che il paziente possa ricordare le informazioni che gli sono date; pertanto la comunicazione tra infermiere e paziente devono - in questo periodo- essere limitate a spiegazioni semplici e rassicuranti.
Molto spesso i pazienti sono sospettosi o male informati riguardo agli apparecchi di monitoraggio, sarà quindi necessario dare spiegazioni sull'apparecchiatura usata e su tutto ciò che è fatto durante la loro permanenza in UTIC.
L'infarto induce una serie d'esperienze, reazioni e comportamenti che condizionano la situazione psicologica del paziente sia nella fase acuta, che in quella riabilitativa.
Ansia, depressione, irritabilità, disturbi del sonno, angoscia, sensazione di malattia invalidante, dipendenza dal medico, dai farmaci.
Accanto a questi problemi vi è spesso confusione da parte nel paziente e nei famigliari per ciò che riguarda le istruzioni sui farmaci, dieta, attività fìsica e comportamenti.
Il paziente infartuato percepisce il proprio corpo come malato e indebolito, non e più controllabile né gestibile.
Il futuro diventa incerto, si ha la paura di non poter più far progetti a lungo
Termine.
Riduzione dell'ansia e dell'aggressività, miglioramento dello stato d'animo e
dell'immagine di se stessi sono gli effetti psicologici più favorevoli della riabilitazione, che si evidenziano con il miglioramento della prestazione fisica quotidiana, con la sensazione di benessere, con la scomparsa dell'apprensione nel fare un certo sforzo.
Tra i fini più importanti della riabilitazione, intesa come intervento multidisciplinare, grande importanza assumono le misure di prevenzione secondaria atte a correggere i fattori di rischio.
Un programma di ripristino dell'equilibrio psicologico deve essere adottato : dalle prime ore di ricovero.
L'infermiere professionale dovrebbe dedicare del tempo all'ascolto empatia favorendo l'espressione delle paure e creando le condizioni nelle quali la rassicurazione ed il conforto possano trovare terreno favorevole per essere accettati.

A volte bastano pochi accorgimenti come:

* Far esprimere al paziente le proprie paure;
* Dare informazioni sulle procedure attuate, anche le più semplici;
* Favorire l'accettazione della situazione particolare del momento, rendendolo partecipe delle terapie attuate;
* Favorire la sicurezza dei pazienti nella ripresa delle attività precedenti e aiutarli a riprendere il loro posto nella famiglia e nella società;
* Favorire l'educazione sanitaria dei pazienti e delle loro famiglie;
La depressione è tipica nel corso della convalescenza, soprattutto dopo che il pericolo è passato, quando la routine ospedaliera diventa noiosa si ha il tempo di pensare ai cambiamenti della propria vita.
Questo periodo è stato paragonato ad un vero e proprio periodo di lutto, per la perdita della funzionalità e di capacità fìsiche.
In alcuni casi la depressione sopraggiunge solo dopo il ritorno a casa e spesso si manifesta con astenia, dolore.., che sostituiscono o completano i sintomi psichici come perdita dell'appetito, insonnia, apatia e senso d'isolamento; questo quadro può essere peggiorato da un comportamento iperprotettivo della famiglia.

Fonte: http://www.infermierilatina.altervista.org/DownloadTESINE/PazienticonA.P.eI.M.A.doc

Sito web da visitare: http://www.infermierilatina.altervista.org

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