Autismo studi

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Autismo studi

1. INTRODUZIONE

L’Autismo ha suscitato l’interesse e l’attenzione di clinici e ricercatori sin dalla prima descrizione di carattere scientifico, 50 anni orsono, da parte di Leo Kanner (1). Il Disturbo Autistico, poiché coinvolge il nucleo della socializzazione, pone quesiti alla neurobiologia come alla psicopatologia evolutiva, al corpus terapeutico come alle scienze della formazione. Nessun altra patologia psichiatrica, probabilmente, necessita e favorisce la creazione di équipe multidisciplinari i cui saperi, psichiatrico, educativo, psicologico, riabilitativo, risocializzante, logopedico, infermieristico, pediatrico, neurologico, genetico, farmacologico, assistenziale, legale e di inserimento lavorativo, si intrecciano nel produrre i migliori risultati possibili delle “professioni di aiuto”. Da ciò è d’altronde intuibile la dimensione di burden familiare correlata a tale patologia, gravata peraltro dall’errata e pregiudiziale interpretazione del testo kanneriano circa il ruolo etiologico dei comportamenti genitoriali nella patogenesi del disturbo: Kanner stesso chiarì, pressoché da subito, che l’Autismo è essenzialmente il riflesso di una disfunzione congenita alla base dei meccanismi affettivi (2). Nonostante i progressi nei campi della diagnosi precoce, dei trattamenti educativi sin nei primi anni di vita, dei supporti per la famiglia, delle strutture residenziali, delle respite care, dei trattamenti farmacologici efficaci, rimane tuttavia l’evidenza che l’Autismo è una patologia cronica, “lifetime” nell’accezione tecnicistica anglosassone; solo significativi progressi, ancora attesi, che siano in grado di prevenire, incidere realmente,  se non addirittura curare, sulle persone affette da Disturbo Autistico, potranno modificare condizione e percezione delle famiglie coinvolte.
Pochi campi delle scienze naturali vedono, come accade per l’Autismo, un continuo florilegio di proposte per  nuovi trattamenti, sedicenti efficaci, troppo spesso però del tutto distanti dai canoni più elementari della ricerca scientifica e dalla pratica empiricamente guidata dalle evidenze, senza per questo voler disconoscere l’importanza dei valori sociali, storici e culturali in cui ogni contesto clinico si trova inevitabilmente ad operare. Vanno d’altronde considerate e rispettate le enormi differenze che esistono  tra gli individui affetti, i quali non formano una classe omogenea, ma le cui abilità,  bisogni e condizioni di vita vanno identificate con accuratezza,  alla ricerca del modello di trattamento più adeguato tra i disponibili.
Dal 1980, con l’introduzione della terza edizione del DSM-III,  Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali III (3), è stato introdotto per l’Autismo il concetto di Disturbo Pervasivo dello Sviluppo (PDD), sottolineando in tal modo il carattere evolutivo del disturbo nonché la gravità delle disfunzioni negli ambiti sociale, cognitivo e del linguaggio. Accanto ad esso il DSM-IV (4), confermata nel DSM-IV-TR (5), ha visto l’inclusione tra i PDD dei Disturbi di Rett, Disintegrativo della Fanciullezza e di Asperger, realizzando allo stesso tempo un costrutto di coerenza nosografica con l’I.C.D.-10 (6, 7).
Il decennio appena concluso ha d’altronde radicalmente modificato, secondo molteplici vertici, l’osservazione del Disturbo Autistico:

  • Trattamenti: conseguendo livelli di funzionamento adattativo in contesti territoriali e residenziali
  • Istruzione: raggiungendo ruoli sociali più adeguati
  • Valutazione: metodologie formalizzate che forniscano dati affidabili e sensibili in grado di orientare il lavoro di clinici e ricercatori
  • Genetica: nuove nozioni circa la vulnerabilità per l’autismo e la natura del fenotipo autistico, con implicazioni anche per il counselling genetico
  • Farmacologia: nuove molecole sono in grado di migliorare specifiche classi di sintomi
  • Scienze Cognitive: recenti teorie sull’attività mentale del bambino, forniscono nuove chiavi di lettura per le disfunzioni dell’Autismo e della Sindrome di Asperger.

Tali dimensioni si intersecano nel protocollo di studio oggetto del dottorato, ossia le procedure di diagnosi e valutazione dell’efficacia di interventi residenziali per il Disturbo Autistico in età adulta. In tale relazione, tuttavia, appare opportuno privilegiare, oltre ad una ineludibile revisione epidemiologica, l’ambito nosografico ed i correlati strumenti diagnostici e di assessment.

2. EPIDEMIOLOGIA

Gli studi epidemiologici sull’Autismo iniziarono nella metà degli anni ’60 in Inghilterra (8, 9) e sono stati da allora condotti in numerose nazioni. Tutte le survey epidemiologiche si sono focalizzate su di un approccio diagnostico psichiatrico al disturbo, il quale è però stato fondato nel tempo su differenti insiemi di criteri. Il principale discrimine si pone tra gli studi che definiscono l’autismo quale un grave disturbo dello sviluppo e quelli che includono altri disturbi dello sviluppo con più o meno lievi caratteristiche e sintomi autistici o con tratti inusuali di personalità  (10).
Pur essendo la maggior parte degli studi epidemiologici in oggetto basati su definizioni operazionali di autismo, derivate o meno da classificazioni ufficiali, essi hanno comunque utilizzato una fase di revisione servendosi del giudizio clinico finale di gruppi di esperti, financo per i field trials di DSM-IV ed ICD-10 (11).
Dalla revisione sistematica dei database della letteratura scientifica si individuano 5 principali reviews dal 1966 al giugno 2001 (12, 13, 14, 10, 15). L’osservazione metodologica di fondo sulle survey per l’autismo consiste nel fatto che l’approccio epidemiologico più usuale attraverso la costituzione di un campione, con procedura randomizzata, di soggetti giudicati negativi allo screening iniziale per stimare la proporzione di falsi negativi, non è stato utilizzato per la frequenza estremamente bassa del disturbo che comporterebbe gravi imprecisioni e costi elevati. Da ciò deriva che la stima della prevalenza deve essere vista come sottostimata rispetto ai “veri” tassi, poiché molti casi vanno perduti per la mancanza di collaborazione e per la sensibilità imperfetta della procedura di screening (10). Tale consapevolezza sta d’altronde acquisendo visibilità, in particolar modo per gli studi degli anni ’70, sui cui tassi di prevalenza si basano a tutt’oggi le risorse dei servizi specialistici  almeno del mondo occidentale (16).
Se nella prima survey (8) la prevalenza dell’autismo era stimata  da 4 a 5 per 10.000 e le review classiche (10), sugli studi tra gli anni ’70 e ’90,  si attestano a 5.2/10.000, appare tuttavia l’evidenza che, man mano che vengono abbandonati i restrittivi criteri kanneriani, i tassi medi di prevalenza si attestano ad 1/1000 (15). La più ampia concettualizzazione diagnostica dell’autismo, sulla base di studi clinici e genetici (17), porta dunque ad includere uno spettro più esteso di disabilità delle aree della socializzazione, della comunicazione e dell’immaginazione (14), con tassi conseguenti di prevalenza di 1/2000 per l’autismo tipico  e di 1/1000 per l’autismo in associazione con il disturbo di Asperger (17, 5) e comunque di una stima minima di 19/10.000 per tutti i disturbi pervasivi dello sviluppo (10). Le evidenze epidemiologiche disponibili, in particolare sulla stabilità delle coorti consecutive per anno di nascita, non suggeriscono d’altronde un aumento dell’incidenza dell’autismo (18, 19), sottolineando  ancora una volta l’opportunità di attribuire l’aumento della prevalenza alle differenti procedure diagnostiche (10, 15, 17).
Da ultimo va segnalata la recente mole di studi epidemiologici condotti in paesi non occidentali (20-29), con tassi medi di prevalenza del disturbo del tutto sovrapponibili a quelli degli studi più attendibili dei paesi industrializzati.
Per quanto attiene il rapporto delle medie di prevalenza  maschi/femmine  esso si assesta su di una media di 3.8/1 (10), con variazioni -a seconda della presenza o meno di ritardo mentale- da 2/1 per i soggetti con più grave compromissione cognitiva, sino a 4/1 per quelli con le migliori performance di QI  (30, 31).
Dagli studi epidemiologici in oggetto si ricavano anche molteplici informazioni circa  vari aspetti.

  • Condizioni mediche associate. La più frequente e studiata è sicuramente l’Epilessia con un’incidenza cumulativa, rispetto agli esordi infantili e in età adulta, tra il 25% (32) ed il 33% (33), con un tasso medio del 16.8% (10), che tende però ad innalzarsi nell’associazione con il ritardo mentale grave (34-36). In tal senso, osservandosi un aumento dell’incidenza durante l’adolescenza (37, 38), oltre al primo picco nei primi anni di vita (39), i tassi appaiono sotto-stimati rispetto al rischio life-time.

Precedentemente ipotizzate associazioni tra autismo e Rosolia congenita (40), fenilchetonuria (41) e neurofibromatosi  (42), vengono smentite da dati successivi  che non superano i tassi attesi per un’indipendenza dei disturbi  (43-44).
L’osservazione che la sindrome di Down e l’autismo coesistono in alcuni individui (45) non ha portato tuttavia ad alcuna correlazione causale al di là della co-morbidità.
Diversamente si configura la correlazione con la Sclerosi Tuberosa la cui prevalenza di 1/10.000 (46) appare  circa 100 volte più elevata (36) rispetto alla popolazione generale, apparendo comunque mediata dalla presenza di una sindrome epilettica (10).

  • Tassi di altri Disturbi Pervasivi dello Sviluppo NAS. Molteplici studi hanno fornito utili informazioni sui tassi di sindromi concomitanti, simili all’autismo ma che non rientrano nei criteri diagnostici convenzionali (8, 47, 19, 35, 36); il rapporto tra il tasso combinato di tutti i disturbi dello sviluppo e il tasso dell’autismo è in media del 2,6: in altre parole ogni due soggetti diagnosticati per autismo, si trovano circa tre soggetti con gravi compromissioni di natura simile che però non rientrano strettamente nei criteri diagnostici per l’autismo (10).
  • Disturbo di Asperger. La sindrome di Asperger  (48, 3-7), solo di recente indicata come una categoria diagnostica a sé stante (4, 6), appare avere tassi di prevalenza, secondo l’ICD-10,  di  28.5/10.0000 (30).
  • Autismo, Immigrazione e Classe Sociale. Alcuni studi proponevano l’ipotesi che i tassi di autismo potessero essere più elevati tra le popolazioni di immigranti (49, 50); in realtà, al di là dell’esiguità dei campioni, appare irrisolta la questione di quale meccanismo bio-psico-sociale potessero condividere famiglie con un’eterogeneità assoluta di provenienza  e, soprattutto, quale sarebbe il meccanismo che spieghi l’associazione putativa tra autismo e status di immigrante (10). Anche l’associazione tra autismo e classe sociale e/o educazione genitoriale, uno dei cardini della tradizione psicogenetista in tema di autismo (51), adombrata da artefatti circa l’accesso ai servizi degli studi degli anni ’70 (8), viene in buona sostanza smentita (10, 34, 49).

3. DIAGNOSI

La descrizione di Kanner.
Per ripercorrere l’iter del costrutto nosografico dell’Autismo, appare ineludibile rifarsi innanzi tutto alla descrizione clinica di Kanner (1), al quadro degli undici bambini con “disturbi autistici del contatto affettivo”. In tal senso l’autismo infantile precoce appariva come un disturbo congenito, “costituzionale”: i bambini nascevano privi dell’usuale motivazione per l’interazione sociale e, utilizzando il modello dell’errore congenito, delle precondizioni biologiche -“enzimatiche”-  per metabolizzare, dal punto di vista psicologico, il mondo sociale e  acquisirlo come parte di sé. L’utilizzo kanneriano del termine “autismo” fu quanto mai improvvido: traendolo dalla elaborazione bleuleriana sulle sindromi schizofreniche (52), l’autore intendeva derivare, dall’accezione di pensiero schizofrenico autoriferito che conduce ad un ritiro autistico in un mondo fantasmatico personale,  che anche il soggetto autistico vive in un proprio mondo, tagliato fuori dalle  normali relazioni sociali. La condivisione del termine tra le due sindromi portò, e tuttora causa, ad un equivoco circa la relazione tra le due condizioni, tutt’oggi colpevolmente diffuso tra gli psichiatri dell’adulto. L’autismo di un individuo con Disturbo Autistico differisce da quello di un individuo con Disturbo schizofrenico: esso rappresenta il fallimento dello sviluppo in stadi ben più precoci di quanto ipotizzabile per la Schizofrenia, per quanto questa non rappresenti piuttosto una regressione rispetto a livelli di funzionamento precedentemente raggiunti. Kanner descrisse inoltre l’ampia base di difficoltà nelle dimensioni della simbolizzazione, dell’astrazione e della comprensione dei significati, nonché i gravi disturbi nella comunicazione: tre soggetti della coorte originali erano muti ed il linguaggio dei rimanenti era caratterizzato da ecolalia e letteralismo, con un’ulteriore bizzarra difficoltà nell’uso del pronome in prima persona (parlando di sé in terza persona o riferendosi al proprio nome di battesimo). Altrettanto affascinante apparve la predilezione per la parte inanimata dell’ambiente, che veniva preferita alle interazioni ad  esempio con i genitori, nonché l’estrema sensibilità rispetto alle variazioni nella routine quotidiana di tale ambiente, con una resistenza, a volte drammaticamente attiva nei comportamenti, al cambiamento. Tali caratteristiche del quadro originario, resistono brillantemente alla prova nel tempo delle successive verifiche empiriche basate sull’evidenza. Altre notazioni, invece, spesso alimentate da pregiudizi culturali caratteristici delle varie epoche, hanno stentato a trovare una chiarificazione ed una diffusione delle rettifiche in merito. Kanner si limitò ad osservare che la maggior parte del proprio campione era composta di nuclei familiari di elevato livello dal punto di vista sociale e dell’istruzione: tuttavia egli era fermamente convinto che il disturbo fosse congenito e che la relazione bambino-genitore fosse compromessa al pari di quelle con le altre persone, come osservato da revisioni attente dei testi originali (49, 53),  poiché il problema interattivo nasce dal paziente autistico. D’altronde la più recente ricerca sulla genetica dell’autismo (54, 55) ha riaperto il capitolo del ruolo dei fattori familiari (genetici) nella patogenesi del disturbo, nel senso che fattori biologici e genetici possono condurre ad una vulnerabilità per il disturbo. Ancora, Kanner postulò che il disturbo non fosse correlato ad alcun altra condizione medica, il che si è dimostrato non vero quanto meno per l’epilessia (56). Kanner misconosce la correlazione tra autismo e disabilità intellettiva, in quanto i suoi primi casi consistevano di ragazzini dall’aspetto spesso gradevole, e comunque privi delle caratteristiche fisiche della Sindrome di Down, i quali peraltro avevano buone performance in alcune aree dei test per il QI; ciò consente a Kanner ed ai clinici coevi di definirli “funzionalmente ritardati”, a sottolineare che alcune innate capacità intellettive non sarebbero elicitabili dalle consuete prove richieste nella vita reale. In realtà la maggior parte degli individui affetti da autismo si trova nell’intervallo del ritardo mentale, se vengono somministrati adeguati test evolutivi che contemplino  sia punteggi per l’intelligenza che per il livello di sviluppo (57).
Prime Definizioni categoriali di Autismo.
Non è questa la sede per riprendere i fondamenti dell’operazionalismo e dei sistemi diagnostici categoriali (58), né per ripercorrere l’evoluzione, all’interno di questi ultimi, del costrutto nosografico di Autismo, attraverso le successive edizioni di DSM ed ICD. Giova semplicemente ricordare che l’Autismo, non “sfumando” in alcuna misura  nella normalità, rappresenta uno dei disturbi più adeguati per i costrutti della diagnosi categoriale (59). Kanner stesso d’altronde, abbozzò precocemente una definizione categoriale  con i criteri di Kanner ed Eisenberg (60): a) profonda carenza di contatto affettivo; b) comportamenti ripetitivi e ritualistici di carattere elaborato.
Negli anni ’70, dunque, Rutter (61) abbozza la prima definizione categoriale di autismo arricchendo l’originale descrizione di Kanner con i contributi successivi della letteratura, giungendo ad una definizione di Autismo con quattro caratteristiche essenziali:

  • Esordio precoce entro i 2 anni e mezzo di età
  • Sviluppo sociale danneggiato e caratteristico
  • Comunicazione danneggiata e caratteristica
  • Comportamenti inusuali, coerenti per lo più  con il concetto kanneriano di perseveranza sulla identicità (sameness), quali resistenza al cambiamento, risposte idiosincrasiche all’ambiente, manierismi motori e stereotipie.

 Tale definizione conduce al costrutto di Autismo Infantile del DSM-III (3), che vede peraltro il suo inserimento in una nuova classe di disturbi, i Disturbi Pervasivi dello Sviluppo.

Classificazione per Tipi di Interazione Sociale- La Triade di Wing & Gould

Wing e  Gould (31) pur ponendosi nel solco della diagnosi categoriale, pongono la propria attenzione sul concetto di Spettro Autistico. Età d’esordio entro i 36 mesi, prediligendo tuttavia appropriatamente il termine di età di riconoscimento, e livelli di QI, con un cut-off a 70, non incidono sul fenotipo comportamentale centrale diagnostico per l’autismo. Partendo dunque dalla osservazione della mancanza di criteri oggettivi per giudicare la validità delle varie categorie diagnostiche utilizzate per i Disturbi Pervasivi dello Sviluppo nei sistemi di classificazione esistenti,  gli autori individuano che le caratteristiche di: 1) interazione sociale reciproca, 2) comunicazione verbale e non verbale ed 3) immaginazione (identificata come fortemente correlata  al ristretto, rigido e ripetitivo pattern di comportamenti), peraltro contemplate in tutti i sistemi diagnostici, si raggruppano in termini  significativi. Il concetto di Spettro Autistico si pone da una parte in termini ampi, poiché includendo anche le più sottili manifestazioni della triade, giunge ad includere tutti o quasi i Disturbi Pervasivi dello Sviluppo. D’altra parte la qualità dell’interazione sociale, estremamente correlata ai bisogni del paziente, porta ad un sistema di sottotipi clinici  utili nella programmazione dei trattamenti. Della ridefinizione della classificazione per tipi di interazione sociale, nell’ambito della ricerca psicologica, sino all’elaborazione del costrutto della “Teoria della Mente” (62),  sarà riferito nella prossima relazione in sede di revisione delle prospettive teoriche sull’autismo.
Wing e Gould dividono dunque le interazioni sociali anormali che si riscontrano nello spettro dei disturbi autistici in tre tipi:

  • Aloof  (riservato)
  • Passive
  • Active but Odd (bizzarro)
  • Questo gruppo, corrispondendo più strettamente all’immagine popolare del disturbo, comprende bambini ed adulti che si sottraggono al contatto sociale, respingendolo se non richiesto, anche con reazioni di agitazione. A volte avvicinano il  prossimo per ottenere del cibo o conforto fisico, ottenuto il quale si allontanano bruscamente. La loro tendenza all’isolamento sociale, particolarmente marcata rispetto ai coetanei, è rivolta anche ai genitori, verso i quali i segni di normale attaccamento appaiono minimi (63). La comprensione e l’uso della comunicazione verbale e non verbale è gravemente compromessa: il sospetto di una sordità viene fugato dalla reazione a suoni significativi. Se tali pazienti sviluppano la parola, l’eloquio è caratterizzato da ecolalie, inversione dei pronomi, ripetitività, letteralismo e tendenza ad abbreviare al massimo le frasi (1, 2). Il linguaggio appare come un mezzo non per conoscere il prossimo o per il reciproco interesse e/o piacere, ma per ottenere ciò che si vuole o per indulgere in discussioni circa i propri interessi. La compromissione della comunicazione non verbale, se presente, comporta una limitazione nei tentativi di intraprendere una comunicazione reciproca: i pazienti a 6 mesi non mostrano la tendenza a voler essere presi in braccio, a 12 mesi non sviluppano la Joint Referencing, non condividendo il proprio interesse con i genitori per le cose che indicano o che prendono quando incominciano a camminare. Più tardi hanno uno scarso contatto dello sguardo, con esplicito evitamento, mimica facciale e nei gesti povera e stereotipata. Nell’interagire con altre persone, possono imparare azioni semplici ripetendole ma con difficoltà a farle spontaneamente; possono manipolare i giocattoli senza però comprenderne il valore simbolico per la costruzione di un mondo immaginativo interno (64). Essi passano il tempo in attività ripetitive che li assorbono totalmente, non condividendole con altri, senza che possano essere distratti da attività circostanti o dal richiamo di qualcuno. Tali attività (schioccare le dita, agitare le braccia, dondolare il tronco)  possono essere sostituite da altre dopo settimane, mesi o –anche- anni, e con l’età tendono a diminuire (65) per essere sostituite da altre, più complesse, quali collezionare oggetti particolari, organizzarli in ordini e disposizioni specifiche, replicare un tedioso rituale per andare a letto o il medesimo itinerario per recarsi a scuola o altrove: qualora tale routine venga interrotta, si assiste  ad una forte resistenza fino a vere crisi di tantrum. Agili arrampicatori, possono incorrere in rischi perché inconsapevoli del pericolo, mostrando invece vero terrore per situazioni innocue. Soggetti a repentini cambi d’umore, improvvisamente in lacrime, respingono il conforto fisico offerto dai familiari. Camminando sulle punte con rapidi movimenti  assumono un aspetto aggraziato, così come i loro lineamenti spesso regolari e l’aspetto innocente e distaccato: qualora disturbati scuotono le braccia, saltano e si producono in grimaces facciali; tutto ciò dall’adolescenza in poi diventa più scoordinato ed eclatante, con reazioni incomprensibili –di grande interesse o franco fastidio- verso stimoli dei più vari, inclusi i nocicettivi. Anomalie fisiologiche comprendono la polidipsia, i disturbi della condotta alimentare e del sonno, con alterazioni autonomiche del respiro, del battito cardiaco e della traspirazione. I comportamenti sociali inappropriati divengono sempre più frequenti con crisi di tantrum, aggressività, distruttività, irrequietezza, prendere oggetti nei negozi, spogliarsi in pubblico, fughe e intrusioni in casa di estranei, a volte come reazione alla interruzione della routine. Non comprendendo le regole del comportamento sociale possono esprimere parole o suoni osceni. L’isolamento e l’indifferenza per il prossimo si accentuano nell’età adulta, soprattutto nei soggetti con più grave ritardo mentale, i quali perdono peraltro le abilità lacunari visuospaziali oltre alle già compromesse verbali (66). Nella minoranza, invece, con un livello intellettivo normale o con ritardo moderato si osservano particolari abilità  nel disegno, nei calcoli aritmetici o con capacità mnesiche sorprendenti per materiale verbale, visivo o musicale, sino a delineare (6% dei casi) il quadro dell’“autistic savant” nelle specifiche aree, in contrasto con i deficit nelle rimanenti (67). In tal gruppo è spesso identificabile una grossolana noxa patogena riguardo al ritardo mentale (31).
  • Bambini ed adulti di questo gruppo non operano approcci sociali spontanei ma accettano quelli del prossimo senza protestare, partecipano a giochi ed attività proposte con un ruolo passivo ma con una parvenza di soddisfazione. Gestiscono i comportamenti altrui, pur senza comprenderne appieno il significato; il linguaggio appare in genere più sviluppato con vocabolario e grammatica di buon livello, che vengono però utilizzati senza interesse per la comunicazione reciproca, ma con circostanziate e pedanti frasi, con il carattere della ripetitività e della mancanza di immaginazione. Il gioco appare imitativo, privo di spontaneità ed inventiva. A volte sviluppano interessi particolari, anche per i giochi di parole o le boutade. Anche da adulti si distinguono, all’interno dello spettro autistico, per essere quelli dal miglior comportamento e di più semplice gestione nel percorso scolastico, sino all’adolescenza allorché sono sottoposti a stimoli stressanti di varia origine.
  • Si tratta degli autistici che approcciano spontaneamente il prossimo ma in uno stile particolare, innocente ed unilaterale. Essi sembrano compiacersi dei propri interessi circoscritti parlando verso un’altra persona, o ponendole anche delle domande al riguardo, ma senza alcun interesse per la reciproca interazione sociale.  Il loro approccio è così insistente da risultare noiosi e sgradevoli. Il loro eloquio è migliore rispetto ai due gruppi precedenti ma rallentato, seppur con ricchezza di vocabolario e grammatica adeguata sin dall’infanzia, carattere prolisso, ripetitivo e privo di espressioni colloquiali. Interpretazioni letterali e trasposizioni di intere frasi conducono a clamorosi equivoci circa il carattere bizzarro dei significanti (68), così come l’intonazione vocale monotona o di volume esagerato, la mancanza o –al contrario- l’eccesso della gestualità riguardo sentimenti  ed emozioni, nonché il contatto visivo ora fisso, ora evitato senza riguardo dell’adeguatezza sociale di ciò. Il gioco appare ripetitivo, stereotipato, giovandosi  in ciò dei videogiochi  o della visione di specifiche scene di video, riprodotte poi accuratamente senza introdurre alcun elemento immaginario, pur nella assenza della comprensione del significato originario. La routine e la ripetitività, con il passare degli anni, coinvolgono interessi ed attività apparentemente più astratte quali genealogia, astronomia, botanica, etc., condotte in modo incessante, esclusivo, senza curarsi del significato o dell’utilizzabilità nella vita quotidiana.  Scarsa è la coordinazione motoria, come la consapevolezza del pericolo, con posture bizzarre. Ad elevati punteggi verbali per il QI  per i sub-test della memoria, non ne corrispondono nelle abilità di ragionamento. I problemi comportamentali sono frequenti: dalle domande inadeguate ed imbarazzanti, alle crisi di tantrum quali reazioni ad un rifiuto in merito. Le condotte violente non sono più frequenti che nella popolazione generale ma si distinguono per la loro bizzarria, che li conduce nell’adolescenza ad invii presso servizi psichiatrici, con problemi di diagnosi differenziale rispetto a Disturbi psicotici o di Personalità.

DSM-III-R, DSM-IV ED ICD-10

Tale affascinante descrizione clinica, oltre a rappresentare a tutt’oggi un  punto di repere  nella prassi dei servizi, servì come base per l’elaborazione del costrutto diagnostico di Autismo Infantile del DSM-III-R  (69), richiedendo questo la presenza di almeno due sintomi nell’area sociale ed uno dalle aree della comunicazione e delle attività ristrette; fu inoltre eliminato il criterio temporale dell’esordio entro i 30 mesi, lasciando al clinico di indicare se esso fosse accaduto entro i 3 anni o dopo.
Attraverso i field trial di revisione (11) si giunge al DSM-IV (4), la cui definizione di Disturbo Autistico (F84.0) non muta nel DSM-IV-TR (5). Oltre all’esigenza di coordinazione con l’ICD-10, viene innanzi tutto reintrodotto il criterio temporale dell’esordio entro i 3 anni di età, da trarre attraverso una dettagliata anamnesi, anche per sgombrare il campo dai residui equivoci circa l’evoluzione in schizofrenia, la cui frequenza apparve identica per i soggetti autistici rispetto alla popolazione generale. Da ciò la decisione di eliminare l’aggettivo infantile ed il sottotipo atipico, invece conservato dall’ICD-10.
CRITERI DIAGNOSTICI PER DISTURBO AUTISTICO (299.00)
SECONDO IL DSM-IV-TR

  • Un totale di 6 (o più)  voci da (1), (2), e (3), con almeno 2 da (1), e uno ciascuno da (2) e (3):
  • compromissione qualitativa dell’interazione sociale, manifestata con almeno 2 dei seguenti:
  • marcata compromissione nell’uso di svariati comportamenti non verbali, come lo sguardo diretto, l’espressione mimica, le posture corporee, e i gesti che regolano l’interazione sociale
  • incapacità di sviluppare relazioni coi coetanei adeguate al livello di sviluppo
  • mancanza di ricerca spontanea della condivisione di gioie, interessi o obiettivi con altre persone ( per es., non mostrare, portare né richiamare l’attenzione su oggetti di proprio interesse)
  • mancanza di reciprocità sociale o emotiva;

       2)  compromissione qualitativa della comunicazione come manifestato da almeno 1 dei          seguenti :

  • ritardo o totale mancanza dello sviluppo del linguaggio parlato (non accompagnato da un      tentativo di compenso attraverso modalità alternative di comunicazione come gesti o  mimica)
  • in soggetti con linguaggio adeguato, marcata compromissione della capacità di iniziare o sostenere una conversazione con altri
  • uso di linguaggio stereotipato e ripetitivo o linguaggio eccentrico
  • mancanza di giochi di simulazione vari e spontanei, o di giochi di imitazione sociale adeguati al livello di sviluppo;
  • modalità di comportamento, interessi e attività ristretti, ripetitivi e stereotipati, come   manifestato    da   almeno 1 dei seguenti:                                                         
  • dedizione assorbente ad uno o più tipi di interessi ristretti e stereotipati anomali o per intensità o per focalizzazione
  • sottomissione del tutto rigida ad inutili abitudini o rituali specifici
  • manierismi motori stereotipati e ripetitivi (battere o torcere le mani o il capo, o complesii movimenti di tutto il corpo)
  • persistente ed eccessivo interesse per parti di oggetti;
  • Ritardi o funzionamento anomalo in almeno una delle seguenti aree, con esordio prima dei 3 anni di età: 1) interazione sociale, 2) linguaggio usato nella comunicazione sociale, o 3) gioco simbolico o di immaginazione.
  • L’anomalia non è meglio attribuibile al Disturbo di Rett o al Disturbo Disintegrativo dell’Infanzia.

(Tratto da: American Psychiatric Association. (2000). Diagnostic and statistical manual of mental disorders (4th ed., text revision). Washington, DC. Ed. It. American Psychiatric Association. (2001). DSM-IV-TR Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali- Text Revision. Masson, Milano.)

L’ICD-10, costruito specificamente per avere due differenti serie di criteri per la clinica (6) e per la ricerca (7), permette in questi ultimi una descrizione molto dettagliata per l’Autismo; vengono inoltre conservati l’aggettivo infantile ed il concetto di atipicità, per età d’esordio e/o sintomatologia, il che, anche per il carattere definitorio essenzialmente “negativo”, descrittivo di deficit e carenze, caratteristico del DSM-IV, rende il costrutto diagnostico di autismo dell’ICD-10 più affine alla prassi dei clinici.  DSM-IV-TR ed ICD-10 non rappresentano comunque l’ultima parola sulla diagnosi di autismo, in particolar modo il secondo, tuttora privo di strumenti diagnostici correlati.
CRITERI DIAGNOSTICI PER AUTISMO SECONDO L’ICD-10

F84. Autismo infantile

  • Un’anormalità o una compromissione dello sviluppo si manifesta prima dei tre anni in almeno una delle seguenti aree:
  • comprensione o espressione del linguaggio usato nella comunicazione sociale;
  • attaccamenti sociali selettivi o interazione sociale;
  • gioco funzionale o simbolici.
  • E’ presente un totale di almeno sei sintomi descritti in (1), (2) e (3), con almeno due sintomi da          

     (1) e almeno un sintomo sia da (2) che da (3):    

1) Compromissione qualitativa dell’interazione sociale, evidente in almeno due dei seguenti            aspetti:                                                                                                                

  • incapacità di utilizzare adeguatamente lo sguardo faccia a faccia, l’espressione facciale, la postura e la gestualità per regolare l’interazione sociale;
  • incapacità di sviluppare (in modo appropriato all’età mentale e nonostante ampie opportunità) rapporti con coetanei che implicano una condivisione di interessi, attività ed emozioni;
  • mancanza di reciprocità socio-emozionale, come dimostrato dalla mancanza o dall’anormalità della risposta alle emozioni delle altre persone, dall’assenza di modulazione del comportamento in accordo al contesto sociale, oppure dall’integrazione difettosa dei comportamenti sociali, emotivi e comunicativi;
  • mancanza della ricerca spontanea di condivisione di divertimenti, interessi o acquisizioni con altre persone (ad esempio, manca la tendenza a mostrare ad altre persone oggetti di interesse per il soggetto).
  • Compromissione qualitativa dell’interazione sociale, evidente in almeno uno dei seguenti    aspetti:
  • ritardo o totale mancanza dello sviluppo del linguaggio verbale, che non è accompagnato da un tentativo di compensazione attraverso l’uso dei gesti o della mimica come modalità di comunicazione alternativa (spesso preceduta da una mancanza di lallazione comunicativa);
  • relativa incapacità di iniziare o sostenere una conversazione ( a qualsiasi livello di abilità linguistica) in cui vi sia una risposta reciproca alle comunicazioni dell’altra persona;
  • uso ripetitivo e stereotipato del linguaggio o uso idiosincrasico di parole e frasi;
  • assenza di gioco inventivo o (nei primi anni di vita) imitativo.
  • Modelli di comportamento, interessi e attività limitati, ripetitivi e stereotipati, evidenti in almeno uno dei seguenti aspetti:
  • preoccupazione pervasiva per uno o più interessi limitati e stereotipati che sono anomali nel contenuto o nell’obiettivo; o presenza di uno o più interessi che sono anomali per l’intensità e la natura circoscritta, ma non per contenuto o biettivi;
  • adesione apparentemente compulsiva a pratiche o rituali specifici o disfunzionali;
  • manierismi motori stereotipati e ripetitivi che implicano il battere o il torcere le dita, o movimenti complessi di tutto il corpo;
  • preoccupazioni per parti di oggetti o per elementi non funzionali dei materiali di gioco (quali l’odore, la sensazione che danno al tatto, il rumore o le vibrazioni che producono).
  • Il quadro clinico non è attribuibile ad altri tipi di sindrome da alterazione globale dello sviluppo psicologico: disturbo evolutivo specifico della comprensione del linguaggio (F80.2) con problemi socioemozionali secondari; disturbo reattivo dell’attaccamento (F94.1) o disturbo disinibito dell’attaccamento dell’infanzia (F94.2); ritardo mentale (F70-F72) con disturbo emozionale o comportamentale associato; schizofrenia (F20.-) con esordio insolitamente precoce; sindrome di Rett  (F84.2).

 

F84.1 Autismo atipico

 

  • Un’anormalità o una compromissione dello sviluppo si manifesta all’età di tre anni o successivamente (i criteri per l’autismo sono soddisfatti, ad eccezione dell’età di insorgenza).
  • Sono presenti anomalie qualitative nell’interazione sociale o nella comunicazione, o comportamenti, interessi e attività limitati, ripetitivi e stereotipati (sono soddisfatti i criteri per l’autismo, ma non è necessario che sia rispettato il numero di aree di anormalità richiesto per quella condizione).
  • La sindrome non soddisfa i criteri diagnostici per l’autismo (F84.0).

L’autismo può essere atipico sia per l’età di esordio (F84.10) che per la sintomatologia (F84.11); ai fini della ricerca questi due tipi vengono differenziati con una quinta cifra. Le sindromi che sono atipiche per entrambi gli aspetti debbono essere codificate come F84.12.

F84.10 Atipicità nell’età di esordio

  • La sindrome non soddisfa il criterio A per l’autismo (vale a dire, lo sviluppo anormale o compromesso si rende evidente solo all’età di tre anni o successivamente)
  • La sindrome soddisfa i criteri B e C per l’autismo (F84.0).

 

F84.11 Atipicità nella sintomatologia

E’ soddisfatto il criterio A per l’autismo (vale a dire, lo sviluppo anormale o compromesso si rende evidente prima dei tre anni).

Sono presenti compromissioni qualitative nell’interazione sociale o nella comunicazione, o comportamenti, interessi e attività limitati, ripetitivi e stereotipati (sono soddisfatti i criteri per l’autismo, ma non è necessario che sia rispettato il numero di aree di anormalità richiesto per quella condizione).

  • La sindrome soddisfa il criterio C per l’autismo (F84.0)
  • La sindrome non soddisfa completamente il criterio B per l’autismo (F84.0)

 

 F84.11 Atipicità sia nell’età di insorgenza che  nella sintomatologia

  • La sindrome non soddisfa il criterio A per l’autismo (F84.0); vale a dire, lo sviluppo normale o compromesso si rende evidente solo all’età di tre anni o successivamente.
  • Sono presenti compromissioni qualitative nell’interazione sociale o nella comunicazione, o comportamenti, interessi e attività limitati, ripetitivi e stereotipati (sono soddisfatti i criteri per l’autismo, ma non è necessario che sia rispettato il numero di aree di anormalità richiesto per quella condizione).
  • La sindrome soddisfa il criterio C per l’autismo (F84.0)
  • La sindrome non soddisfa completamente il criterio B per l’autismo (F84.0)

 

(Tratto da: World Health Organization. (1993). The ICD-10 classification of mental and behavioral disorders. Diagnostic criteria for research. Geneva. Ed.It. World Health Organization. (1995). Decima revisione della classificazione internazionale delle sindromi e dei disturbi psichici e comportamentali. Criteri diagnostici per la ricerca. Masson, Milano)
4. STRUMENTI DIAGNOSTICI
Sebbene l’autismo sia uno dei disturbi la cui diagnosi è più attendibile valutando i singoli casi, molti dei suoi aspetti diagnostici presentano criticità in quanto sono condivisi  da altri disturbi con esordio nell’infanzia.  L’autismo è associato, infatti, ad un ampio intervallo di abilità intellettive e di linguaggio, che condizionano il modo in cui i sintomi si manifestano, i quali sono comunque necessari e sufficienti per porre delle diagnosi al di là del livello evolutivo. Test come il Wechsler (70, 71), prevedono compiti differenti per  soggetti a diversi livelli evolutivi e i punteggi standardizzati sono conteggiati in funzione anche di piccole gradazioni di età. Nel campo dell’autismo l’unico strumento che prevede questa possibilità è l’ADOS-G  (72). I ritardi intellettivo e del linguaggio rendono inoltre la maggior parte degli strumenti diagnostici disponibili del tutto inadatti agli adulti con tali compromissioni di grado severo.
La Childhood Autism Rating Scale –CARS (73) è la scala più utilizzata, con maggiori documentazioni, per i comportamenti associati all’autismo; essa consiste di 15 item su cui i pazienti, bambini ed adulti, ricevono un punteggio da 1 a 4 in seguito ad un’osservazione. La somma dei punteggi così ottenuta si pone rispetto ad un cut-off di 30, per identificare i soggetti autistici e discriminarli da quelli con un semplice ritardo mentale. Essendo stata creata prima dell’introduzione di DSM-IV ed ICD-10, pur avendo un’ottima concordanza con il DSM-III-R, mostra un’iperinclusività rispetto ai due più recenti sistemi diagnostici (74). L’Autism Diagnostic Interview (75)–ADI e l’Autism Diagnostic Interview– Revised–ADI-R (76) sono delle interviste semistrutturate per caregiver di bambini ed adulti per i quali l’autismo o un disturbo pervasivo dello sviluppo sono delle diagnosi possibili. L’ADI-R, in particolare, è correlata con l’ICD-10 ed il DSM-IV, ne è disponibile una versione abbreviata di 40 item, per la cui somministrazione è necessario comunque un training, e richiede almeno 90 minuti di intervista. L’interrater reliability appare da buona ad eccellente per i punteggi complessivi e per quelli delle tre sottoscale: a) reciprocità sociale, b) comunicazione e c) comportamenti restrittivi e limitativi, che corrispondono alle aree indagate dall’ICD-10 e dal DSM-IV, tra i quali la consistenza interna è eccellente, come la capacità di discriminare autistici da ritardi mentali; le uniche aree di debolezza appaiono essere l’iperinclusività rispetto ad individui con età mentale inferiore a 18 mesi (77) e, all’opposto, la scarsa sensibilità per soggetti autistici high-functioning  (78).
L’Autism Diagnostic Observation Schedule – ADOS (79) ed il Pre-Linguistic Autism Diagnostic Observation Schedule -PL/ADOS (80) sono protocolli standardizzati per l’osservazione del comportamento sociale e comunicativo per pazienti in predicato di ricevere una diagnosi di autismo o altro PDD. L’ADOS era stato in origine sviluppato per un utilizzo con pazienti con eloquio fluente in frasi; il PL/ADOS, invece, fu elaborato per pazienti privi di linguaggio espressivo. I due protocolli sono stati assemblati in un unico, più vasto, strumento l’Autism Diagnostic Observation Schedule –Generic  -ADOS-G  (72), in grado di coprire anche pazienti con linguaggio spontaneo limitato ma non fluente ed adolescenti ed adulti high-functioning. L’ADOS ed il PL/ADOS sono stati sviluppati come strumenti complementari a ADI ed ADI-R. Lo scopo di questo set di strumenti è di processare l’interazione sociale, la comunicazione ed il gioco all’interno del contesto di un algoritmo diagnostico per l’autismo; entrambi gli strumenti possono essere somministrati in  30-45 minuti e richiedono un training specifico. L’interrater reliability si è mostrata buona per i singoli item ed eccellente per i punteggi totali. Il PL/ADOS appare sottoinclusivo nel mostrare circa l’80% di accuratezza nel discriminare gli autistici; al contrario l’algoritmo diagnostico dell’ADOS appare iperinclusivo per pazienti con handicap mentale e difficoltà comportamentali e sottoinclusivo per pazienti high-functioning.
L’Adolescent and Adult Psychoeducational Profile (81), strumento di assessment derivato dal PEP-R per bambini (82) ridimensiona il linguaggio, la velocità ed altre aree di funzionamento che sono gravemente compromesse nell’autismo, enfatizzando invece le abilità visuali e categoriali  che sono tradizionalmente più sviluppate in questi pazienti. Lo strumento utilizza un sistema di punteggio basato sul criterio: riesce-emerge-fallisce a ciascuna prova. Il punteggio emergente è assegnato quando un soggetto ha qualche conoscenza di ciò che è necessario per portare a termine un compito, ma è privo dell’abilità necessaria per una completa padronanza e comprensione; le abilità emergenti diventano il focus dei programmi di intervento. E’ notevole la flessibilità nella somministrazione dell’AAPEP che si focalizza su sei aree: a) abilità professionali, b) funzionamento autonomo, c) abilità di gestione del tempo libero, d) comportamento lavorativo, e) comunicazione funzionale, f) comportamento interpersonale; l’interrater reliability appare eccellente, ma soprattutto la sensibilità nell’individuare le variazioni di funzionamento nelle varie aree.

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Fonte: http://www-3.unipv.it/iscr/programmi_dispense_02_03/sostegno/becchi/Carr%85-AutismoxSISLIS.doc

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