Disprassie e funzioni esecutive

Disprassie e funzioni esecutive

 

 

 

I riassunti , gli appunti i testi contenuti nel nostro sito sono messi a disposizione gratuitamente con finalità illustrative didattiche, scientifiche, a carattere sociale, civile e culturale a tutti i possibili interessati secondo il concetto del fair use e con l' obiettivo del rispetto della direttiva europea 2001/29/CE e dell' art. 70 della legge 633/1941 sul diritto d'autore

 

 

Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).

 

 

 

 

Disprassie e funzioni esecutive

DIFFICOLTA’ RELATIVE ALLA DEFINIZIONE

La disprassia può essere definita come una difficoltà a rappresentarsi, programmare ed eseguire atti motori consecutivi deputati e finalizzati ad un preciso scopo ed obiettivo (G. Sabbadini, L. Sabbadini 1995).
Sembra questa la definizione più completa del concetto di disprassia, tenendo conto che non esiste attualmente una concordanza nello stabilire in modo inequivocabile dei criteri distintivi esatti di disturbi motori che clinicamente appaiono alquanto eterogenei e differenti tra loro dal punto di vista sia clinico, che eziopatogenetico. Le differenti definizioni che si trovano in letteratura risentono quindi di questa eterogeneicità di fondo, per cui in ognuna di esse si trovano di volta in volta enfatizzati o, al contrario, trascurati differenti aspetti. Così l’ICD 10 prende in esame questo disturbo classificandolo come “Disturbo evolutivo specifico della funzione motoria” evidenziandone i seguenti aspetti:

  • Difficoltà di coordinazione, presente dalle prime fasi di sviluppo e non dipendenti da deficit neurosensoriali o neuromotori
  • Entità variabile della compromissione e modificabile in funzione dell’età
  • Ritardo di acquisizione delle tappe dello sviluppo motorio, a volte accompagnato da ritardo dello sviluppo del linguaggio (particolarmente nelle sue componenti articolatorie)
  • Goffaggine nei movimenti
  • Ritardo nell’organizzazione del gioco e del disegno (tipo di deficit costruttivo)
  • Presenza non costante di segni neurologici sfumati privi di sicuro significato localizzatorio
  • Difficoltà scolastiche e problemi socio-emotivo-comportamentali

Il DSM-IV, dal canto suo, classifica questo disturbo come “Disturbo evolutivo della coordinazione motoria” (DCD), prevedendo per la diagnosi il verificarsi dei seguenti tre criteri:

  • presenza di una marcata difficoltà o di un ritardo nello sviluppo della coordinazione motoria; le performances risultano inferiori rispetto ad un bambino normale comparando i dati, sia per Età Mentale (EM), che per Età Cronologica (EC)
  • difficoltà di coordinazione non dovute a condizioni patologiche mediche, quali PCI, distrofia muscolare o altro; se il ritardo di sviluppo cognitivo è presente le difficoltà motorie debbono essere di gran lunga prevalenti rispetto ad altre generalmente associate
  • queste difficoltà interferiscono con l’apprendimento accademico e con le attività della vita quotidiana

Sembra però importante sottolineare, anche alla luce dei classici studi di Ayres (che indicavano il coinvolgimento delle componenti sensoriale e percettiva nella genesi del disturbo) e delle recenti nuove acquisizioni di neurofisiologia (Rizzolatti, Gallese e al.) sui neuroni specchio, quanto venga ad assumere un’ importanza fondamentale nel determinarsi della patologia, l’alterazione della funzionalità dei complessi meccanismi, tanto di tipo cognitivo che esecutivo, che normalmente caratterizzano una sequenza motoria nella sua programmazione e pianificazione. In altri termini, nel disturbo di tipo disprassico il soggetto non presenta solo una difficoltà nell’eseguire, dal punto di vista della sola coordinazione, un atto motorio, ma non riesce soprattutto a programmare ed a pianificare una serie di movimenti più o meno complessa, con lo scopo di giungere all’attuazione di un progetto motorio pensato in funzione di un possibile cambiamento di ciò che viene percepito dell’ambiente.
Se ci rifacciamo alle definizioni dell’ICD 10 e del DSM-IV di Disturbo evolutivo della funzione/coordinazione motoria (DCD), possiamo comprendere come in entrambe queste definizioni esista l’attenzione per la componente “cognitiva”, ma ciò non ne rappresenti il nucleo fondamentale. Per questo motivo si deve concludere che non è del tutto corretto considerare come equivalenti le definizioni di DCD e di Disprassia, anche in accordo con Gibbs (2007), secondo cui nell’uso della terminologia dei disturbi di coordinazione  vi è tuttora una certa confusione, pur essendo tollerato nella pratica l’utilizzo come sinonimi dei termini Diprassia e DCD.

 

BASI  ANATOMO - FISIOLOGICHE

 

Se partiamo da queste considerazioni inerenti alla definizione dobbiamo ricondurre l’origine di un atto motorio volontario a meccanismi più o meno complessi che ne contemplino in primis la programmazione e successivamente l’esecuzione. Ogni atto motorio, anche di una certa semplicità, deve, in altri termini, essere pensato sulla base  di determinate informazioni afferenti o di input. Il movimento non viene quindi considerato come un atto semplice, al pari di quello riflesso, che  coinvolge un arco mono o pauci-sinaptico, ma come un processo in cui entrano neuroni appartenenti a specifiche aree motorie, strettamente integrati tra loro e con altre cellule nervose facenti capo a sistemi non motori, come quelli percettivo/sensoriali.
Possiamo descrivere differenti livelli nella programmazione di un atto motorio: nella corteccia cerebrale sono state da tempo individuate alcune aree, di cui le cellule sono deputate alla codifica del movimento dei diversi distretti corporei; in particolare si tratta della corteccia motoria primaria, dell’area premotoria e dell’area motoria supplementare.

  • Nella corteccia motoria primaria, responsabile dell’output effettore, risiedono quelle cellule (primo motoneurone) da cui traggono origine i fasci piramidali che conducono lo stimolo elettrico al secondo motoneurone a sede midollare (corna anteriori).
  • Nell’area premotoria e nell’area motoria supplementare, invece, viene fornito il comando di pianificazione per l’inizio dell’ atto motorio. Sia la corteccia premotoria che quella supplementare ricevono a loro volta informazioni dalla corteccia parietale posteriore, consentendo, la prima, un feed-back di assetto posturo-gravitario necessario per l’inizio del movimento e, la seconda, la programmazione delle sequenze motorie complesse.

Lo studio attraverso l’utilizzo delle moderne apparecchiature di Risonanza Magnetica Funzionale è in grado di confermare questi dati neurofisiologici: infatti se si fa compiere ad un soggetto un semplice movimento di un arto, si rileva un’attivazione della sola corteccia motoria primaria, in assenza di risposte di quella premotoria e di quella supplementare, cosa che avviene, invece, se si richiede di effettuare un sequenza motoria complessa, da cui è possibile infatti rilevare l’ attivazione di tutte e tre le aree.
Un ruolo importante nel controllo dell’effettuazione del movimento è anche quello del cervelletto, il quale, attraverso le vie che lo collegano ai motoneuroni midollari (vie spino-cerebellari) ed altre che conducono afferenze periferiche, è in grado di rilevare e di correggere, con un meccanismo di feed-back continuo, l’attività motoria in corso, confrontandola in ogni momento con le informazioni complesse relative alla programmazione motoria.
I nuclei della base (principalmente il putamen ed il nucleo caudato) hanno invece un ruolo nel controllo cognitivo del movimento, determinandone gli schemi e le sequenze, attraverso i loro stretti collegamenti con le aree motorie e con le aree di associazione.
Le strutture anatomiche deputate al controllo motorio ricevono afferenze di tipo sensitivo e sensoriale che forniscono le informazioni di feed-back relative al rapporto del corpo con l’ambiente, in un sistema in cui sono fortemente integrate le informazioni in uscita con quelle in entrata, che forniscono dati sui risultati di un’azione, per cui, come afferma Carlson (2002) un’azione volontaria è il prodotto di una sinergia che coinvolge, a diversi livelli di funzionamento, aree corticali differenti che, nella loro specificità, contribuiscono a determinare il migliore adattamento possibile all’ambiente.

EZIOPATOGENESI

La disprassia è sempre stata in passato considerata una patologia minore, cioè non direttamente legata ad un evidenziabile danno neurologico. In effetti dobbiamo considerare quali erano le possibilità diagnostiche neurologiche fino a quaranta anni fa, quando si poteva solo contare su esami estremamente invasivi e disturbanti per il paziente, specie se in età evolutiva, come, ad esempio, la pneumoencefalografia. Esami questi peraltro poco specifici e dai quali non era possibile trarre informazioni diagnostiche precise. Solo con l’avvento della TAC, agli inizi degli anni settanta, è stato possibile ottenere informazioni più dettagliate sul sistema nervoso in vivo. La messa a punto in questo ultimo decennio di tecniche di studio del SNC estremamente sofisticate come la RMN, la RMF, la PET, la SPECT, ci ha permesso di poter studiare in modo sempre più dettagliato i meccanismi del funzionamento di sistemi fino ad oggi sconosciuti, portando alla formulazione di nuove ipotesi ed all’acquisizione di nuove conoscenze nel campo della neurofisiologia.
Alla luce di tutto ciò risulta quindi doveroso rivedere certe affermazioni, particolarmente in campi,come questo della neurofisiologia, in cui si è registrata un’evoluzione così significativa delle conoscenze. Per quanto concerne il disordine di tipo disprassico, non è più possibile un suo inquadramento come disordine motorio minore, in assenza di un correlato anatomico lesionale. Sappiamo oggi che in molti bambini disprassici è stato possibile rilevare differenti tipi di microlesioni, particolarmente della sostanza bianca, cioè delle vie di collegamento e di integrazione di cui abbiamo parlato precedentemente, ma anche di altre strutture, come il cervelletto o alcuni nuclei appartenenti al sistema extrapiramidale.
Dai dati che abbiamo raccolto nel corso di un decennio di studio in follow-up di neonati prematuri sotto le 32 settimane e ad elevato rischio neurologico, seguiti anche nel loro successivo inserimento scolastico (non ancora pubblicati), ci è stato possibile evidenziare che la grave prematurità, associata all’esistenza di un quadro ecografico di iperecogenicità periventricolare maggiore dei plessi (quindi di ordine micro lesionale emorragico) e ad un quadro tipico (poor repertoir, cramped syncronized) all’esame obiettivo neurologico condotto secondo la metodica Prechtl,  è spesso responsabile, quando non residuano deficit neurologici maggiori, di un successivo disordine della maturazione neurologica che quasi sempre porta alla comparsa di disturbi che possono coinvolgere la sfera motoria, linguistica, degli apprendimenti o del comportamento, associati in differenti e caratteristici quadri sindromici. Sappiamo inoltre che approfondendo lo studio neuroradiologico e neurofunzionale di questi soggetti nel corso del loro sviluppo, è stato quasi sempre possibile evidenziare microlesioni o disfunzioni a carico delle strutture deputate all’integrazione delle funzioni neurologiche più complesse, che, di volta in volta, possono riguardare prevalentemente alcune piuttosto che altre, determinando di conseguenza quadri clinici differenti e spesso mal definibili. Si possono pertanto presentare disturbi di sviluppo che coinvolgono prevalentemente diversi aspetti, diverse aree, a seconda del versante più compromesso, associando quasi sempre in comorbidità altre alterazioni. Ad esempio, il 67% dei bambini con autismo ed il 50% di quelli con S. di Asperger evidenziano un’importante riduzione delle abilità motorie (Sgandurra et al. 2007).
Vi sono inoltre bambini che possono presentare un disturbo specifico di apprendimento con disgrafia associata ad iperattività, od una forma dislessica in presenza di una disprassia oculare, come è stato osservato nell’atassia- teleangiectasia di Louis-Bar (Pierro, 1982; Pincherle, 1988), o in altre innumerevoli forme più sfumate in cui non è possibile riconoscere un’eziologia sindromica, ma nelle quali si evince più o meno chiaramente un rapporto di causa effetto tra la lesione organica di una parte anche microscopica del SNC ed il disturbo delle prassie oculari e della lettura. Si è visto al proposito che queste forme di dislessia risentono positivamente di un training riabilitativo volto al trattamento del disturbo disprassico oculare. Come ulteriore rilievo bisogna sottolineare infine come queste situazioni comportino quasi sempre, in conseguenza dell’eccessivo carico di frustrazione, la comparsa di sintomi di ordine psicologico - psichiatrico (di tipo depressivo, oppositivo-provocatorio, ossessivo-compulsivo) che nel corso della crescita tendono spesso ad assumere un aspetto preminente rispetto alla problematica di origine, portando allo strutturarsi di quadri patologici di personalità anche di una certa gravità.

 

NUOVI MODELLI  NEUROFISIOLOGICI DI  SVILUPPO

 

Le osservazioni sull’interdipendenza delle diverse funzioni neuropsicologiche nello sviluppo del bambino hanno di fatto reso inadeguati i modelli che le vedevano come separate ed avulse da un sistema di integrazione ed interconnessione neuro-funzionale, in cui la motricità ed il linguaggio sono strettamente dipendenti l’una dall’altro all’interno di un progetto cognitivo, dove assumono un ruolo fondamentale anche le afferenze percettive e gli aspetti emozionali.
Nell’ultimo decennio alcune scoperte effettuate negli anni immediatamente precedenti da gruppi di ricerca italiani, tra cui assume un’importanza fondamentale quello di Parma diretto da G. Rizzolatti, hanno modificato radicalmente le conoscenze in questo campo e permesso di ipotizzare nuovi modelli che potessero essere in grado di leggere ed interpretare con una nuova chiave unitaria i dati raccolti, particolarmente dalle più recenti osservazioni cliniche e strumentali.
Queste ricerche, avviate fin dai primi anni novanta, hanno permesso di individuare nelle scimmie Rhesus un particolare gruppo di neuroni dotati di capacità di scaricare sia quando l’animale compie un movimento, sia quando lo vede compiere da un altro. Nella scimmia queste cellule si trovano localizzate principalmente in due zone: l’area F5 (parte posteriore della circonvoluzione frontale inferiore - corteccia premotoria ventrale) e nell’area PF (parte anteriore del lobulo parietale inferiore). Le aree F5 e PF sono collegate fra loro, formando un circuito integrato denominato “sistema fronto-parietale dei neuroni specchio (NS)”, che ha un ruolo importante nell’integrazione senso-motoria. Un’altra zona in cui si hanno neuroni che rispondono alla visione di un’azione altrui è nel Solco temporale Superiore (STS); anche quest’area risulta strettamente collegata alla corteccia visiva occipitale e temporale.
Studi effettuando la Risonanza Magnetica Funzionale, l’elettroencefalografia e la stimolazione magnetica trans cranica  hanno permesso di individuare anche nell’uomo aree in cui si ha un’attivazione neuronale, sia effettuando, che osservando un’azione. Si tratta di dimostrazioni indirette dell’esistenza di questo set di cellule anche nell’uomo, che aprono la strada allo studio di campi del tutto nuovi delle neuroscienze umane. Le aree individuate sono: la porzione rostrale (anteriore) del lobo parietale inferiore, il settore inferiore del giro precentrale e quello posteriore del giro frontale inferiore. Si è visto che la zona che si attiva nel lobo parietale inferiore corrisponde all’area 40 di Broadman (omologo dell’area PF della scimmia), mentre l’area 44 di Broadman è l’omologo dell’area F5. Si è anche potuto stabilire che il sistema dei neuroni specchio umano ha funzioni più complesse di quello della scimmia: è in grado di codificare atti motori transitivi ed intransitivi, di selezionare il tipo di atto e le sequenze motorie che lo caratterizzano e di attivarsi non solo nell’interazione con gli oggetti, ma anche quando l’azione viene solo pensata e mimata.
La scoperta dei neuroni specchio consente di avere un nuovo modello teorico per spiegare  in termini di unitarietà i meccanismi neurofisiologici che stanno alla base dell’apprendimento delle competenze motorie, linguistiche, rappresentative e cognitive, partendo da un substrato neurale primario appartenente al sistema motorio.
NEURONI SPECCHIO E DISTURBO DELLA COORDINAZIONE MOTORIA

 

La funzione dei neuroni specchio è di rappresentare azioni osservate per portare ad una comprensione delle stesse, con il fine di auto sperimentare ed apprendere le informazioni acquisite dall’ambiente per agire in modo appropriato. Nel soggetto sano le azioni fatte da altri vengono riconosciute in quanto la popolazione di neuroni attivata nell’area premotoria durante l’osservazione è congruente con quella che si genera per riprodurre tale azione: infatti i neuroni specchio permettono di giungere ad una rappresentazione interna di una determinata azione reale, sia essa motoria, linguistica, che socio-comportamentale mappando le azioni osservate sugli stessi circuiti neuronali che ne controllano l’esecuzione attiva (Rizzolatti, 1998; Arbib, 2000). Alcuni autori (Wilson, 2004; Niemeijer, 2007)  in originali loro lavori hanno ipotizzato che alla base del disturbo di coordinazione motoria possa esserci un deficit del sistema dei neuroni specchio, che non consente all’individuo di rappresentarsi internamente l’atto motorio da compiere, assumendo una prospettiva in prima persona, ma percependo parti del proprio corpo come esterne ad esso. Sempre Wilson, in un altro suo lavoro del 2001 ha rilevato nei soggetti con DCD un deficit delle sequenze motorie in un pointing visivo, con assenza di relazione tra i movimenti reali e quelli immaginati. Proprio questa difficoltà a immaginarsi in una situazione motoria, a rappresentarsi internamente il proprio corpo è tipica dei soggetti che presentano un disturbo della coordinazione motoria. Ciò è responsabile della difficoltà che questi bambini finiscono per avere nel controllo della propria motricità, particolarmente nell’esecuzione di compiti che richiedono l’attivazione di processi di elaborazione mentale, come ricordare sequenze motorie complesse (allacciarsi le scarpe, fare nodi, compiere un esercizio ginnico o sequenze di danza, riprodurre un disegno a memoria). Sembra che questi disturbi possano essere conseguenti ad un ritardo di maturazione o ad una lesione vera e propria del lobo parietale, la cui disfunzione porterebbe ad una carenza nell’attivazione delle risposte motorie collegate ai processi di immaginazione.

 

NEURONI SPECCHIO E DISTURBO DELLO SVILUPPO DELLA FUNZIONE LINGUISTICA

 

La funzione dei neuroni specchio è quella di produrre una rappresentazione interna delle azioni osservate e giungere ad una loro comprensione, anche per poter distinguere azioni diverse con lo scopo finale di utilizzare queste informazioni per poter codificare un’azione. Come detto, Arbib (2000) ha sottolineato come i neuroni specchio permettano una vera e propria “simulazione incarnata” di una azione reale, non importa se motoria, come un gesto, o linguistica. In questo modo si viene a creare una comprensione ed una condivisione tra l’informazione ricevuta al momento dell’osservazione e quella prodotta al momento dell’esecuzione, attraverso l’attivazione di un certo numero di neuroni specchio. In questo senso i neuroni specchio permettono la comprensione dei messaggi pervenuti dall’ambiente, la loro comparazione con quelli interni e la successiva riproduzione in output. Questo meccanismo è valido tanto per il gesto motorio, che per il suo successivo sviluppo filogenetico, quale è il gesto verbale o linguistico ed è alla base della comunicazione, che presuppone la comprensione dei messaggi e la loro comparazione con quelli codificati in uscita. In questo senso il sistema dei neuroni specchio deve essere considerato di grandissima importanza nella comprensione dei meccanismi dello sviluppo del linguaggio, sia a livello filogenetico, che ontogenetico. Secondo Gallese et al.(1996) è possibile considerare i messaggi di un soggetto che parla come “gesti fonetici”, i quali rappresentano una sorta di archetipi primitivi che vengono tradotti in movimenti articolatori, ma vengono anche “estratti” dal messaggio linguistico percepito. Williams et al. (2001) hanno dimostrato che la popolazione di neuroni specchio che si attiva nella comprensione o nella produzione di un messaggio linguistico è sempre la stessa e che il linguaggio finisce per essere un’azione, i cui meccanismi risultano essere gli stessi rispetto a quelli che caratterizzano il riconoscimento, la comparazione e la produzione di qualunque altro atto motorio. In questo senso anche per il linguaggio assume grande importanza il meccanismo imitativo, che come sappiamo, appare deficitario in un grande numero di disturbi dello sviluppo della funzione linguistica.
In conclusione, alla luce delle ultime scoperte in campo neurofisiologico, è possibile interpretare i meccanismi che sottendono allo sviluppo motorio, cognitivo e del linguaggio in termini unitari. Nel bambino sano, parallelamente all’emergere del gesto ed al raggiungimento delle varie tappe motorie si maturano le capacità linguistiche e cognitive; nelle situazioni patologiche il mancato strutturarsi delle competenze in un’area determina una ricaduta negativa ad altri livelli. La scoperta del sistema dei neuroni specchio ha aperto nuove vie per la comprensione dei meccanismi che  sono alla base dello sviluppo delle funzioni neuropsicologiche nell’essere umano. Attraverso questo modello è oggi possibile pensare ad esse in termini di integrazione ed interconnessione delle diverse funzioni, superando i rigidi schematismi del passato ed aprendo nuove prospettive per la ricerca futura.

 

 

 

 

BIBLIOGRAFIA

 

Arbib, M.A. The mirror system, imitation, and the evolution of language. in Nehaniv C., Dautenhahn K. (eds), Imitation in animal and artifacts, Cambridge Ma., The MIT Press. 2000

Ayres AJ. Sensory integration and learning disorders. Western Psycological Services, Los Angeles; 1972

Ayres AJ. Developmental dyspraxia and adult onset apraxia. Sensory Integration International, Torrance, CA. 1985

Buccino G., Riggio L. The role of the mirror neuron system in motor learning. Kinesiology 2006; 38: 5-15

Byrne RW. Social cognition: imitation, imitation, imitation. Curr. Biol. 2005; 15: R498-R500

Gallese, V. La molteplice natura delle relazioni interpersonali: la ricerca di un comune meccanismo neurofisiologico. Networks 2003;1: 24-47.

Gallese V., Fadiga L., Fogassi L., Rizzolatti G. Action recognition in the premotor cortex, Brain 1996;119: 593-609.

Levi G., Fabrizi A. Disturbi specifici del linguaggio e ritardo motorio. Un contributo clinico psichiatrico. Psichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza 1988; 55: 563-576

Mattar AG, Gribble PL. Motor learning by oservation. Neuron 2005; 46: 153-60

Niemeijer AS, Smits-Engelman BCM, Schoemaker MM, Neuromotor task training for children with developmental coordination disorder: a controlled trial. Dev. Med. Child Neurol. 2007; 49:406-11

Pierro MM. Clinica della Sindrome di Louis-Bar.  Atti 6° Conv. Naz. Citog. Med. 1982; 74:985-992

Pierro MM. Lo spazio e l’attività, il movimento e la coordinazione sensorio-motoria (introduzione ai disturbi spaziali nei bambini) In: Sabbadini G. (a cura di ) Manuale di Neuropsicologia dell’età evolutiva. Zanichelli, Bologna, 1995

Pincherle M., Salvucci G.: Un caso di S. di Louis – Bar ad espressività incompleta; Atti 9° Conv. Neurol. Inf. Roma; 1988

Rizzolatti G., Arbib M.A. Language within our grasp. Trends Neurosci. 1998; 21:188-94

Rizzolatti G., Craighero L. The mirror- neuron system. Ann. Rev Neurosci 2004; 27: 169-92

Sabbadini G., Sabbadini L. La disprassia in età evolutiva. In: Sabbadini G. (a cura di ) Manuale di Neuropsicologia dell’età evolutiva. Zanichelli, Bologna, 1995

Sabbadini L.  La disprassia in età evolutiva: criteri di valutazione ed intervento, Ed. Springer, Milano, 2005

Sgandurra G., Guzzetta A., Cioni G. Disturbi motori e disturbi neuropsicologici: modelli fisiopatologici e strategie di trattamento, Giorn. Neuropsich. Età Evol. 2007; 27; 264-277.

Sugden D. Current approaches to intervention in children with developmental coordination disorder. Dev. Med. Child Neurol. 2007; 49:467-71

Williams J. H. G., Whiten A., Suddendorf T., Perret D. I. Imitation, mirror neurons and autism. Neuroscience and behavioural review2001;25: 287-295.

Wilson PH., Maruff P., Butson M., Williams J., Lum J., Thomas PR. Internal representation of movement in children with developmental coordination disorder: a mental rotation task. Dev. Med. Child Neurol.; 2004; 46: 754-9

Wilson PH. Practitioner Review: approaches to assessment and treatment of children with DCD: an evaluative review. J. Child. Psycol. Psychiat. 2005; 46: 806-23.

 

Fonte: http://docentiold.unimc.it/docenti/maurizio-pincherle/2011/neuropsichiatria-infantile-2011/disprassie-1/at_download/Disturbo%20della%20coordinazione%20motoria.doc

Sito web da visitare: http://docentiold.unimc.it/

Autore del testo: MAURIZIO PINCHERLE

Il testo è di proprietà dei rispettivi autori che ringraziamo per l'opportunità che ci danno di far conoscere gratuitamente i loro testi per finalità illustrative e didattiche. Se siete gli autori del testo e siete interessati a richiedere la rimozione del testo o l'inserimento di altre informazioni inviateci un e-mail dopo le opportune verifiche soddisferemo la vostra richiesta nel più breve tempo possibile.

 

Disprassie e funzioni esecutive

 

 

I riassunti , gli appunti i testi contenuti nel nostro sito sono messi a disposizione gratuitamente con finalità illustrative didattiche, scientifiche, a carattere sociale, civile e culturale a tutti i possibili interessati secondo il concetto del fair use e con l' obiettivo del rispetto della direttiva europea 2001/29/CE e dell' art. 70 della legge 633/1941 sul diritto d'autore

Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).

 

Disprassie e funzioni esecutive

 

"Ciò che sappiamo è una goccia, ciò che ignoriamo un oceano!" Isaac Newton. Essendo impossibile tenere a mente l'enorme quantità di informazioni, l'importante è sapere dove ritrovare l'informazione quando questa serve. U. Eco

www.riassuntini.com dove ritrovare l'informazione quando questa serve

 

Argomenti

Termini d' uso, cookies e privacy

Contatti

Cerca nel sito

 

 

Disprassie e funzioni esecutive