Disturbi del comportamento alimentare

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Disturbi del comportamento alimentare

DISTURBI ALIMENTARI: MODERNE CLASSIFICAZIONI DIAGNOSTICHE
INTRODUZIONE
I Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA) rappresentano un gruppo di sindromi patologiche che, secondo la definizione data dal Manuale Diagnostico Statistico dei Disturbi Mentali DSM-IV (Rapaport e Ismond, 1996) pubblicato nel 1994 dalla American Psychiatric Association, possiamo schematicamente raggruppare in tre aree: i due classici quadri clinici della Anoressia Nervosa (AN) e della Bulimia Nervosa (BN) e l’ampia ed eterogenea categoria dei Disturbi Atipici del Comportamento Alimentare, cioè quei disturbi che, pur essendo clinicamente significativi, non soddisfano i criteri diagnostici della AN e della BN così come descritte dal DSM-IV.
Anoressia Nervosa e Bulimia Nervosa sono due disturbi della condotta alimentare che hanno in comune tra loro il fatto di essere diffusi prevalentemente tra giovani donne e il fatto di comportare un’estrema preoccupazione per il peso e l’aspetto fisico. Questa preoccupazione porta le persone colpite da un DCA a mettere in atto tutta una serie di strategie (digiuno, attività fisica eccessiva, abuso di diuretici e lassativi, vomito autoindotto ecc.) volte a limitare l’aumento del peso, anche in presenza di situazioni fisiologiche di grave denutrizione.
Le definizioni e le classificazioni dei Disturbi del Comportamento Alimentare sono passati, nel corso della loro storia, attraverso varie fasi. Per quanto riguarda l’Anoressia Nervosa, soltanto in quest’ultimo secolo, è stata considerata dapprima una malattia organica a coinvolgimento ipofisario, poi una variante non specifica di molti disturbi psichiatrici, infine oggi è riconosciuta come una sindrome che ha una sua specifica entità ed individuali caratteristiche.
Anche la Bulimia Nervosa ha attraversato varie vicissitudini, passando da sintomo episodico, corollario dell’anoressia, a sindrome specifica.

CLASSIFICAZIONE ATTUALE DELL’ANORESSIA NERVOSA
Nel campo della classificazione dell’Anoressia Nervosa sono sempre esistite notevoli controversie. Alcuni studiosi hanno accentuato l’importanza degli aspetti psicologici, altri quelli socioculturali, altri ancora quelli biologici. Un punto fermo all’interno di questo dibattito è stato sicuramente raggiunto nel 1970, quando Gerard Russel  propose una classificazione semplice ed esauriente che ha fortemente influenzato i criteri classificativi. Secondo quest’autore la diagnosi d’Anoressia Nervosa  si compone di almeno tre fattori: 1) marcata perdita di peso corporeo; 2) profonda paura di diventare grassi; 3) amenorrea nelle femmine e perdita d’interesse sessuale nei maschi. La validità e la comprensibilità di questa classificazione è dimostrata dal fatto che la definizione di Anoressia Nervosa del DSM IV (Tab. 1.1) non si discosta troppo da quella di Russel.
Come annunciato questa moderna classificazione ricorda a grandi linee quella originaria di Russel, però, oltre a proporre come nuovo criterio diagnostico l’alterazione dell’immagine corporea, presenta anche un’interessante specificazione tra due sottotipi di Anoressia, quella restrittiva e quella bulimico-purgativa.
Successivamente molte ricerche hanno documentato significative differenze tra le ragazze anoressiche che periodicamente hanno abbuffate compulsive (tipo bulimico-purgativo) e quelle che restringono costantemente la loro alimentazione senza mai perdere il controllo (tipo restrittivo).
Le anoressiche di tipo bulimico-purgativo prima dell’insorgenza della malattia hanno un peso corporeo più elevato e spesso hanno una storia d’obesità; nelle loro famiglie sono ricorrenti l’obesità e vari problemi psichiatrici, il più tipico dei quali è la depressione; usano più spesso lassativi e vomito autoindotto per controllare il peso corporeo; hanno elevati livelli d’impulsività, non solo nel comportamento alimentare, ma anche in altre aree; nella loro storia esiste un più elevato numero di tentativi di suicidio e spesso hanno un’organizzazione di personalità di tipo borderline, narcisista o antisociale (Marcelli Braconnier, 1999).


Tabella. 1.1 (Fonte: Rapaport e Ismond, 1996)

 

Anoressia Nervosa: criteri diagnostici
(DSM IV – Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, 1994)

A.   Rifiuto di mantenere il peso corporeo al livello minimo considerato normale in rapporto all’età e alla statura o al di sopra di esso ( per es., perdita di peso che porta a mantenere il peso corporeo al di sotto dell’85% rispetto a quanto previsto oppure durante il periodo di crescita in altezza, mancanza dell’aumento di peso previsto, che porta a un peso corporeo inferiore all’85% di quell’atteso).
B.    Intensa paura di acquistare peso o di diventare grassi, anche quando si è sottopeso.

  1.   Disturbi nel modo di sentire il peso e le forme del proprio corpo, influenza eccessiva del peso e      delle forme del corpo sui livelli di autostima, o rifiuto di ammettere la gravità dell’attuale condizione di sottopeso.
  2. Nelle donne che hanno già avuto il menarca, amenorrea, cioè assenza di almeno 3 cicli  mestruali consecutivi. (Si considera amenorroica una donna i cui cicli avvengono solo in seguito a somministrazione d’ormoni, per es., estrogeni).

Specificare il sottotipo:
 RESTRITTIVO: durante l’episodio attuale di Anoressi Nervosa il soggetto non ha presentato regolarmente abbuffate o condotte di eliminazione (per es., vomito autoindotto, abuso di lassativi, diuretici o enteroclismi)

 BULIMICO PURGATIVO: durante l’episodio di Anoressia Nervosa il soggetto ha presentato regolarmente abbuffate o condotte di eliminazione (per es., vomito autoindotto, abuso di lassativi, diuretici o enteroclismi)

BULIMIA NERVOSA
Nel vocabolario medico-psichiatrico “bulimia” indica da molti secoli un sintomo. solo da pochi anni è anche una sindrome. La data di nascita del concetto di Bulimia Nervosa come entità nosografica autonoma può essere collocata nel 1979. A quell’anno risale infatti la pubblicazione di un articolo di Russel (Russell 1988) intitolato “Bulimia nervosa: an ominous variant of anorexia nervosa” dove venivano presentati trenta casi clinici, due maschi e ventotto femmine, che rispondevano al doppio criterio di presentare crisi bulimiche e di soffrire di paura morbosa d’ingrassare. Russel, confrontando la Bulimia Nervosa con quella che chiama la “vera Anoressia Nervosa” (non complicata da crisi bulimiche), osserva che nella Bulimia Nervosa il peso corporeo è più elevato, è più frequente la presenza di cicli mestruali fertili, è più comune una vita sessuale attiva, è alta l’incidenza di crisi depressive con notevole rischio di suicidio. Conclude quindi che la Bulimia Nervosa è una pericolosa variante dell’Anoressia Nervosa con una prognosi più sfavorevole.
Russel basa la sua descrizione di bulimia nervosa su tre punti fondamentali: 1) impulsi potenti e irresistibili a stramangiare; 2) uso di accorgimenti per evitare l’effetto ingrassante del cibo, in particolare vomito autoindotto e/o lassativi; 3) paura morbosa d’ingrassare. Come accaduto per l’Anoressia Nervosa vediamo che, anche in questo caso, la grande acutezza e precisione di Russel hanno ampiamente ispirato il DSM-IV, il quale, per la definizione della Bulimia Nervosa, presenta criteri diagnostici simili a quelli proposti dallo psichiatra inglese (Tabella 1.2).
Quindi la bulimia intesa come il fatto di abbuffarsi e/o vomitare, è un quadro conosciuto fin dall’antichità, forse ancor prima dell’anoressia, mentre la Bulimia Nervosa come noi oggi la intendiamo, pare essere una patologia comparsa nosograficamente in tempi piuttosto recenti.
Oggi la Bulimia Nervosa ha conquistato un proprio autonomo statuto psicopatologico e può essere diagnosticata in assenza di una pregressa diagnosi di Anoressia Nervosa. Questa differenziazione è confortata anche da sempre più crescenti contributi tendenti a testimoniare un diverso quadro psicodinamico di base delle due sindromi (Marcelli e Braconnier, 1999). Piccini (2000) sottolinea ulteriormente come le pazienti predisposte a una Bulimia Nervosa abbiano una struttura di personalità diversa da quella delle pazienti predisposte all’Anoressia Nervosa. Infatti mentre la potenziale anoressica appare caratterizzata da un tratto o da un disturbo di personalità di tipo ossessivo-compulsivo, la potenziale bulimica appare invece portatrice di un tratto di personalità di tipo impulsivo.
Per ragioni di spazio e di pertinenza nel lavoro qui presentato alla Bulimia Nervosa non è concesso lo stesso spazio dedicato all’Anoressia Nervosa, ci sembra però doveroso spendere qualche parola in più per riconoscere alla bulimia lo spessore che merita. A questo proposito si intende proporre almeno un contributo riferito alla riflessione psicodinamica applicata a questo antico e complesso disturbo.


Tab. 1.2 (Fonte: Rapaport e Ismond, 1996)


Bulimia nervosa: criteri diagnostici
(DSM IV)

A. Episodi ricorrenti di abbuffate. Un’abbuffata è definita tale dai due caratteri (entrambi necessari) qui elencati:

     1)  Mangiare in un periodo di tempo circoscritto (per es., due ore) una quantità di cibo che è significativamente maggiore di quello che la maggior parte delle persone mangerebbe nello stesso periodo di tempo in circostanze simili;
      2)   Sensazione di perdere il controllo durante l’episodio (per es., sensazione di non riuscire a                          smettere di mangiare o a controllare cosa e quanto si sta mangiando).

B. Ricorrenti  e inappropriate condotte compensatorie per prevenire l’aumento di peso, come vomito autoindotto, abuso di lassativi, diuretici o altri farmaci; digiuno o esercizio fisico eccessivo;

  1. Abbuffate  e condotte compensatorie si verificano entrambe in media almeno due volte la settimana per la durata di tre mesi;
  2. La valutazione di sé è inappropriatamente influenzata dalle forme e dal peso del corpo;
  3. Il disturbo non si riscontra soltanto nel corso di episodi di Anoressia Nervosa.

Specificare il sottotipo:
PURGATIVO:  nell’episodio attuale di Bulimia Nervosa il soggetto ha presentato regolarmente vomito autoindotto o uso inappropriato di lassativi, diuretici o enteroclismi
NON PURGATIVO: nell’episodio attuale il soggetto usa altri comportamenti compensatori inappropriati, come il digiuno o l’esercizio fisico eccessivo, ma non ha l’abitudine di provocarsi il vomito né quella di usare in modo inadeguato lassativi o diuretici.

In ambito psicoanalitico, i modelli teorici maggiormente accreditati, come quello del conflitto pulsione-difesa, quello delle relazioni oggettuali, la Psicologia del Sé e più recentemente anche la teoria dell’attaccamento si sono confrontati con l’universo dei DCA. Tra questi abbiamo selezionato il contributo di Cuzzolaro (1988), particolarmente attento alla funzione intrapsichica di quella che l’autore chiama la “sequenza bulimica”: dieta-orgia alimentare-distensione-rimorso. In questa prospettiva, tale sequenza e, in particolare, il passaggio crisi bulimica-vomito, risponde al compito di alleviare una tensione interna insopportabile. Infatti l’esperienza clinica conferma come il bisogno di stramangiare nasca come compenso piacevole ad una esperienza dolorosa, come ricerca di una gratificazione  in seguito ad una frustrazione. In realtà secondo Cuzzolaro la crisi bulimica svolge una complessa funzione di “regolatore” delle tensioni interne, di qualsiasi origine e natura. Cuzzolaro inoltre attinge anche dal contributo di Balint (1952), il quale riconosce due modalità arcaiche di relazione oggettuale: atteggiamento ocnofilo e filobate. Il primo è caratterizzato da apertura e dipendenza, mentre il secondo da autosufficienza e superinvestimento delle abilità personali. La sequenza bulimica, può essere quindi letta secondo Cuzzolaro (1988) come una vertiginosa oscillazione da una posizione filobate (la dieta) ad una ocnofila (l’orgia alimentare, la ricerca dell’amore primario) ad una ancora filobate (il vomito, che ha la funzione di alleviare il malessere fisico e, di restituire una sensazione di dominio e di integrità del Sé minacciato dalla massiva regressione precedente).
In conclusione, l’atto alimentare viene qui inteso come un regolatore di tensione, in grado di ristabilire l’idea di un controllo onnipotente dell’unico oggetto importante, anzi dell’unico esistente (il cibo), ogni qualvolta la realtà spiacevole smaschera l’impossibilità di dominare la vita e i suoi effetti. Anche il vomito ha una funzione di controllo poiché una volta finita l’abbuffata c’è qualche altra cosa che potrebbe sfuggire al controllo: il corpo (il suo peso, la sua forma) che invece non deve ingrassare, non deve cambiare.
DISTURBO DA ALIMENTAZIONE INCONTROLLATA
Recentemente è stata introdotta una nuova categoria diagnostica, che è tuttora sottoposta al vaglio del DSM-IV e quindi per il momento classificata tra i Disturbi del Comportamento Alimentare Atipici: il Disturbo da Alimentazione Incontrollata (Rapaport e Ismond, 1996).
Questo tipo di disturbo è diagnosticabile in soggetti in sovrappeso, i quali si abbuffano con le stesse modalità e la stessa frequenza dei soggetti bulimici, ma che a differenza di questi, non fanno uso, di alcun mezzo di compenso, quali il vomito, i lassativi, i diuretici, le diete severe e l’eccessivo esercizio fisico, giungendo così a soffrire ben presto di obesità di grado variabile. Sostanzialmente i soggetti affetti da Binge Eating Disorder continuano ad abbuffarsi senza mai cercare un modo per compensare la propria alimentazione eccessiva: questo spiega perché essi siano generalmente obesi, mentre quelli affetti da Bulimia Nervosa sono generalmente normopeso (Piccini, 2000). Le abbuffate avvengono con regolarità (con una frequenza di almeno due giorni alla settimana per un periodo di almeno sei mesi) e molto spesso in solitudine, il cibo viene consumato con grande voracità senza tenere conto del fatto di sentirsi già pieni oppure di non sentire affatto la sensazione fisica della fame. Subito dopo queste abbuffate i pazienti si sentono fortemente in colpa e si vergognano per quello che hanno fatto (Fairburn, 1994).
Il BED è spesso associato ad una rilevante quota di comormilità psichiatrica; in particolare con Disturbi dell’Umore e Disturbi di Personalità di tipo Schizoide o Schizotipico (Marcelli e Braconnier, 1999). Non a caso un tempo questi pazienti venivano etichettati come “obesi egodistonici” o “obesi depressivi”, per distinguerli da quella quota di obesi definiti egosintonici che invece non sembravano presentare alcuna patologia psichiatrica significativa e in cui l’obesità appariva semplicemente legata a patologie di tipo metabolico (Piccini, 2000). Nella Tabella 1.3 possiamo apprezzare i criteri diagnostici necessari per individuare questo disturbo, secondo il DSM-IV.
DISTURBI ALIMENTARI ATIPICI
Oltre alla Anoressia Nervosa e Bulimia Nervosa, esiste un ampia ed eterogenea categoria di Disturbi del Comportamento Alimentare cosiddetti “atipici o “non altrimenti specificati” (DCA-NAS). In questa categoria diagnostica trovano posto tutti quei quadri clinici che si configurano  sicuramente come patologici, ma che non soddisfano i criteri diagnostici necessari, oppure non sono abbastanza gravi, per essere inclusi in una delle due categorie diagnostiche maggiori.
Ad esempio può configurarsi un DCA-NAS quando in un quadro clinico sono soddisfatti tutti i criteri per una diagnosi di Anoressia Nervosa ma, nonostante la paziente sia sottopeso, il peso non è inferiore all’85% del peso atteso e il BMI è superiore a 17,5 .
Un altro esempio di DCA-NAS può essere il caso di una ragazza che presenta tutti i criteri diagnostici per l’Anoressia Nervosa, eccetto l’amenorrea. Ancora consideriamo DCA-NAS il caso di una ragazza che presenti tutti i criteri per la Bulimia Nervosa tranne per il fatto che la frequenza delle abbuffate è soltanto di una alla settimana.
Nella Tabella 1.4 possiamo ritrovare le caratteristiche necessarie ad individuare un DCA-NAS, secondo la classificazione adottata dal DSM-IV.


Tab. 1.3 (Fonte: Rapaport e Ismond, 1996)

 


Disturbo da Alimentazione Incontrollata (binge eating disorder): criteri diagnostici
(DSM IV)

 

A.   Episodi ricorrenti di abbuffate. Un’abbuffata è definita dai due caratteri   seguenti:(vedi tab. 1.2).

  1.    Gli episodi di abbuffate sono associati ad almeno tre dei seguenti caratteri:

          1) Mangiare molto più rapidamente del normale;
          2) Mangiare sino ad avere una sensazione dolorosa di stomaco eccessivamente pieno;
          3) Mangiare grandi quantità di cibo pur non sentendo fisicamente la fame;
          4) Mangiare in solitudine a causa dell’imbarazzo per le quantità di cibo ingerite;
          5) Provare disgusto di sé, depressione o intensa colpa dopo aver mangiato troppo:

  1.   Le abbuffate suscitano sofferenza e disagio;
  2. Le abbuffate  avvengono, in media, almeno due giorni la settimana per almeno sei mesi.
  3. Il disturbo non si riscontra soltanto nel corso d’Anoressia Nervosa o di Bulimia Nervosa.

 

Tab. 1.4 (Fonte: Rapaport e Ismond, 1996)

 



Disturbi del comportamento alimentare non altrimenti specificati: criteri diagnostici.
(DSM-IV)

Disturbi del comportamento alimentare che non soddisfano i criteri per uno specifico disturbo del comportamento alimentare (Anoressia Nervosa o Bulimia nervosa).
Esempi:

  1. Per femmine, sono soddisfatti tutti i criteri per l’Anoressia Nervosa, ma il soggetto ha cicli mestruali regolari;
  2. Sono soddisfatti tutti i criteri per l’Anoressia Nervosa, ma il peso, benché diminuito  significativamente, rientra nell’area della normalità;
  3. Sono soddisfatti tutti i criteri per la Bulimia Nervosa, ma abbuffate compulsive e utilizzo di mezzi di compenso impropri avvengono con frequenza inferiore a due volte la settimana o per un periodo inferiore ai tre mesi;
  4. Un soggetto normopeso ha l’abitudine d’utilizzare comportamenti impropri di compenso dopo aver mangiato modeste quantità di cibo;
  5. Un soggetto mastica e sputa ripetutamente, senza inghiottire, grandi quantità di cibo.
  6. Disturbi d’abbuffate compulsive: episodio ricorrente d’abbuffate compulsive senza quei comportamenti impropri di compenso che sono caratteristici della Bulimia Nervosa.

UNO SGUARDO CLINICO SULLA STORIA DELLA SINDROME
Alcuni studi recenti sull’Anoressia Nervosa pongono il problema se essa debba considerarsi una “malattia nuova”, cioè un fenomeno peculiare della società moderna, oppure un disturbo già conosciuto anche nei secoli passati (Brutti e Parlani, 1992). Scopo del presente paragrafo è quello di raccoglire i diversi contributi in grado di testimoniare tracce di comportamenti anoressici anche in epoche passate, mentre l’influenza socio-culturale della moderna civiltà occidentale sull’insorgenza di questo disturbo, sarà vagliata al momento di prendere in considerazione i fattori predisponenti alla malattia.
Nell’immaginario collettivo quanto viene designato con il termine “Anoressia” è un fenomeno proprio del XX secolo: una sorta di peculiare epidemia, endemica nella società del benessere, senza antecedenti di rilievo. In realtà, nella storia della medicina, possiamo riconoscere che la prima descrizione di un quadro anoressico risale al 1694 quando Richard Morton nel capitolo “De phthisi nervosa” nel suo trattato Phthisiologiae Liber Primus, indicò come consunzione della costituzione corporea una sindrome in cui l’appetito viene debilitato dal debole tono dello stomaco e l’assimilazione ritardata dallo stato ammalato del cervello (Morton, 1988). Dalle sue incisive note cliniche inoltre, emerge con chiarezza l’importanza che Morton attribuì all’amenorrea.
Dovranno passare due secoli perché questi “stati di consunzione” tornino ad essere oggetto di attenzione da parte della medicina: a distanza di un anno, Lasègue nel 1873 in Francia e Gull nel 1874 in Inghilterra, compiono uno sforzo di specificazione nosografica della sindrome, che si è ormai imposta definitivamente all’attenzione della medicina, e che viene inizialmente denominata “Anorexia histerique” da Lasègue, che poi nel 1883 Huchard modificherà in “Anoressia mentale” (Brutti e Parlani, 1992).
Al di là di questi diversi aggettivi però la rappresentazione successiva dell’Anoressia fu profondamente segnata dal suo significato etimologico (dal greco Anoreksia, che significa “non ho appetito”), che dette definitivamente al quadro, almeno fino alla metà del XX secolo, il carattere di sindrome da inappetenza. Raramente, infatti, nelle descrizioni relative alla sindrome, effettuate tra il 1873 e il 1950 viene riferita, rispetto alle anoressiche, la paura di ingrassare (Dalle Grave, 1996).
Come abbiamo visto, attualmente, l’Anoressia Nervosa è considerata un disturbo con delle caratteristiche specifiche che la distinguono da altre patologie psichiatriche; ma non è stato sempre così, infatti, per molto tempo, è stata considerata variante o sintomo non specifico d’altre malattie. Tomas infatti nel 1909 affermò che l’Anoressia Nervosa non era una singola malattia ma una sindrome comune a diversi stati come la paranoia, la malinconia, l’ipocondria, la mania e le neurosi (Ruggieri e Fabrizio, 1994)
Per quanto riguarda la schizofrenia, il primo caso riscontrato in un soggetto anoressico risale al 1913 ed è stato descritto da Dubois (Dalle Grave, 1996); d’allora alcuni autori hanno creduto che l’Anoressia Nervosa fosse una variante della schizofrenia (Selvini Palazzoli, 1981). Tuttavia, sebbene alcune caratteristiche presenti nell’Anoressia Nervosa, quali il negativismo e l’isolamento sociale, si manifestino anche nella schizofrenia e sebbene in taluni casi il disturbo dell’immagine corporea possa raggiungere nelle anoressiche le dimensioni di un vero e proprio delirio, le caratteristiche fondamentali delle due patologie, negli affetti e nei problemi di pensiero, sono significativamente differenti (Segal, 1989).
Sempre con l’intento di ritrovare tracce del disturbo anche in epoche remote, Bell (1987) esplora, analizzando pagine di diario, relazioni di confessori e testimonianze di contemporanei, le biografie di alcune sante, vissute nell’Italia centrale tra il XIII e il XVII secolo, tra le quali spiccano nomi di grande rilievo storico come quelli di S. Caterina da Siena, S. Chiara d’Assisi, S. Margherita da Cortona. Bell tende a dimostrare che il comportamento alimentare di queste sante era del tutto sovrapponibile a quello delle odierne anoressiche. L’autore, inoltre, rispetto al contesto, ci ricorda che esso dinanzi al comportamento alimentare delle sante esprimeva una duplice reazione: di idealizzazione della loro eroica capacità di resistere all’impulso della fame e, al contrario di dubbio e addirittura di sospetto.
I confessori di tali sante, nella loro inquietante ricerca di indizi per capire se si trovavano di fronte ad un evento demoniaco da esorcizzare o ad una manifestazione del divino, sono presi a rappresentanti del dilemma che quell’anomalo comportamento veniva a creare. La tesi di Bell (1987) è dunque che anche le sante medievali erano anoressiche.

EPIDEMOLOGIA
Gli studi epidemiologici, fino ad ora eseguiti hanno dimostrato che la distribuzione dell’Anoressia Nervosa all’interno della popolazione non è casuale, ma che il gruppo più vulnerabile è rappresentato dalle giovani donne, infatti i maschi rappresentano solo il 5-10% dei soggetti affetti da questo disturbo (Piccini, 2000).
Il disturbo appare più frequentemente tra i 12 e i 25 anni, con un incremento tra i 14 e i 18 anni, anche se negli ultimi anni sono stati diagnosticati molti casi ad incidenza più tardiva, dopo i 20 - 30 anni (Bruch, 1978).
L’Anoressia Nervosa è considerata da alcuni autori una sindrome legata alla cultura (culture – bond) e quindi presente in alcuni paesi e culture ed assente in altre. E’ ormai chiaro che il disturbo mostra una netta predominanza nei paesi industrializzati e sviluppati, soprattutto occidentali (Gordon, 1991).
L’Anoressia Nervosa ha una frequenza ed una distribuzione abbastanza uniformi sul territorio italiano: va dal 0,36-0,4% nel Centro Nord allo 0,2-0,3% nel Centro Sud. Tale frequenza è andata costantemente aumentando negli ultimi dieci anni (Piccini, 2000). Anche la sua distribuzione appare omogenea a livello sociale: le classi agiate appaiono in fatti colpite con la stessa frequenza delle classi meno agiate.
La Bulimia Nervosa, ha conosciuto negli ultimi dieci anni una crescita esponenziale, fino a raggiungere una incidenza nella popolazione italiana che si situa attualmente tra l’1% al Centro-Nord e l’1,7% al Centro-Sud, con criteri di distribuzione piuttosto omogenei sia per aree territoriali, sia per ceti sociali. Anche per la BN l’età di esordio si situa tra i 12 e i 25 anni con un picco di maggior frequenza tra i 17 e i 18 anni (Cuzzolaro, 1988).
L’esatta incidenza del Binge Eating Disorder nella popolazione italiana non è ancora del tutto nota, ma sembra essere compresa tra il 20/30% dei pazienti che richiedono un trattamento per l’obesità. Questo quindi permetterebbe di stimare l’incidenza di BED variabile tra lo 0,7 e il 4% degli individui obesi (Dalle Grave, 1996). Cuzzolaro (1988) ha condotto a Roma una ricerca dalla quale sono emerse prevalenze dello 0,4 e dello 0,34%.
La sua prevalenza nella popolazione generale degli individui obesi, sembra inoltre aumentare con il crescere del peso corporeo (ad esempio nei soggetti con obesità di grado elevato è presente in circa il 40% dei casi) (Piccini, 2000).
Il BED insorge di solito tra i 20 e i 30 anni, spesso a seguito di una significativa perdita di peso ottenuta mediante una dieta drastica. Una patologia dunque non rara, anche se di difficile individuazione diagnostica rispetto alla Bulimia Nervosa, cui si sovrappone in parte dal punto di visto sintomatologico.

ALCUNI RIFERIMENTI SEMIOLOGICI PER L’ANORESSIA NERVOSA
L’Anoressia Nervosa, considerata una volta una malattia rara e bizzarra, costituisce un problema molto grave che affligge attualmente in prevalenza i paesi occidentali o comunque industrializzati. Infatti l’Anoressia Nervosa in passato rarissima e quasi esclusiva delle classi sociali più elevate, è diventata un disturbo frequente anche in altri strati della popolazione. L’aumento di casi d’Anoressia Nervosa iniziata dopo la Seconda Guerra Mondiale, è divenuto molto più intenso negli anni ’70, ’80 e ’90.
L’Anoressia Nervosa è considerata un Disturbo del Comportamento Alimentare, anche se questa definizione rischia d’oscurare il nucleo centrale del problema, che non consiste solo in un’alimentazione disturbata ma nell’eccessiva preoccupazione nei confronti del peso e delle forme corporee. Questa preoccupazione si  esprime con due modalità che sono presto diventate dei segni patognomonici specifici di questa sindrome e che sono: la paura d’ingrassare e una costante ricerca della magrezza. Naturalmente oltre questo nucleo centrale, largamente accettato, sono presenti molti altri segni e sintomi cui è stata attribuita maggiore o minore importanza a seconda degli autori che li hanno descritti.
A questo proposito è necessario sottolineare che nonostante questi punti fermi, la descrizione del quadro clinico dell’Anoressia Nervosa presenta delle difficoltà in quanto diventa difficile distinguere tra alcune caratteristiche del disturbo e gli effetti fisici e psicologici del digiuno e della denutrizione (Dalle Grave, 1996). Dopo questa premessa generale vediamo ora più in dettaglio gli elementi che possono aiutarci a comprendere e descrivere meglio questa complessa patologia.
Paura d’ingrassare e ricerca della magrezza
La preoccupazione nei riguardi del peso e delle forme corporee è considerata dalla maggioranza degli autori come il nucleo psicopatologico specifico dell’Anoressia Nervosa. Infatti, questa sindrome è stata alternativamente definita come “paura morbosa del grasso” oppure “inseguimento della magrezza” (Garfinkel e Garner et. al, 1983).
Dopo aver individuato queste due modalità elettive d’espressione della preoccupazione inerente al peso e alle forme corporee, è interessante capire in che rapporto sono tra loro.
La ricerca spasmodica della magrezza è presente soprattutto nelle prime fasi del disturbo, mentre poi è gradualmente sostituita dalla paura d’ingrassare.
La paura d’ingrassare inoltre sottende e rende comprensibili la maggior parte degli aspetti dell’Anoressia Nervosa. In questa sindrome infatti, gli elementi dietetici restrittivi, il vomito autoindotto, l’uso di lassativi o diuretici, la preoccupazione nei confronti del cibo, l’enorme sensibilità alle modificazioni del peso, il pesarsi frequentemente oppure non pesarsi affatto sono tutti fenomeni che scaturiscono dalla convinzione, comune a tutte le ragazze anoressiche, che il peso e la forma fisica siano d’estrema importanza per giudicare il proprio valore personale, ecco perché questi fattori vanno sempre tenuti sotto strettissimo controllo (Dalle Grave, 1996).
Molto spesso una situazione di leggero sovrappeso può precedere l’insorgenza dell’Anoressia Nervosa, in quanto porta ad iniziare una dieta sotto la spinta dei genitori o del medico. L’obiettivo iniziale non è quasi mai quello di perdere molto peso ma solo qualche chilo; tuttavia quando il dimagrimento ha avuto inizio difficilmente si arresta. La paura d’ingrassare che subentra al desiderio di dimagrimento assume il completo controllo della situazione e l’alimentazione è ristretta sempre di più.
Assumendo una prospettiva biopsicosociale (Swift et al 1986), indispensabile per affrontare una patologia così complessa, è possibile sottolineare che la paura d’ingrassare è accentuata dal fatto che, mentre il soggetto desidera raggiungere un certo peso, il suo corpo oppone resistenza a questo progetto: infatti quando un soggetto si sottopone, per qualsiasi motivo, ad una restrizione alimentare l’organismo mette in atto svariati meccanismi difensivi, tra cui un aumento della fame e della preoccupazione nei confronti dell’alimentazione. Questa pressione psicologica ad assumere cibo, in una ragazza che consideri il controllo del peso corporeo come il metro più importante per esprimere il suo valore, aumenta ancor più la paura di perdere il controllo e d’ingrassare (Moriconi et al. 1992).
In questo modo si viene ad instaurare un circolo vizioso caratterizzato da: dieta severa – pressione biologica ad assumere cibo – paura d’ingrassare – dieta ancor più severa.
In questo contesto il termine anoressia, con la sua accentuazione etimologica sulla mancanza di appetito,  sembra perciò inadeguato a descrivere quello che accade, in quanto la maggior parte dei soggetti affetti da tale patologia soffre di una fame così intensa che per ridurla devono assumere farmaci anoressizzanti o grandi quantità di liquidi.
A questa paura d’ingrassare e alla profonda restrizione dell’apporto alimentare, fa da contraltare nelle ragazze anoressiche un interesse nei confronti del cibo che si manifesta attraverso comportamenti tipici come la conoscenza delle calorie d’ogni alimento, il collezionare libri di cucina, cucinare per gli altri, etc.

Negazione della malattia e disturbo dell’immagine corporea

Nelle fasi della malattia, nonostante la severa perdita di peso, quasi tutte le ragazze anoressiche negano la fame, la perdita di peso e la presenza di qualsivoglia problema, affermando di sentirsi bene e che non c’è nulla di cui preoccuparsi.
A quest’atteggiamento s’associa assai frequentemente quello che sta diventando insieme alla paura d’ingrassare e al desiderio di dimagrire, una caratteristica importante dell’Anoressia Nervosa e cioè il disturbo dell’immagine corporea. Infatti molte ragazze con evidente emaciazione si vedono e si sentono normali, se non addirittura grasse in tutto il corpo o in alcune sue parti (Ruggieri e Fabrizio, 1994)
Partendo da questo dato, negli ultimi anni, sono state messe a punto diverse metodologie per valutare la percezione dell’immagine corporea, ed il fenomeno è apparso molto complesso. Non in tutti i soggetti affetti da Anoressia è presente una distorsione dell’immagine corporea ed inoltre tale fenomeno non riguarda esclusivamente questa patologia.
Probst et al. (1995)) hanno messo a punto una metodica che misura il grado di distorsione della percezione dell’immagine corporea, denominata videodistorsione. Il soggetto posa in bikini di fronte ad una videocamera collegata ad uno schermo ed agisce su una manopola attraverso la quale la sua immagine nello schermo può essere allargata o ristretta. Infine la paziente sottoposta al test deve stimare la misura di un oggetto ( solitamente un cerchio), perché si possa valutare s’esista o meno un deficit generale della percezione.
Durante l’esperimento sono presentate tre richieste:

1. Modificare l’immagine sullo schermo fino al momento in cui rifletta quella reale;
2. Modificare l’immagine sullo schermo fino al punto in cui essa corrisponda a come la paziente desidera essere;
3. Modificare l’immagine fino al momento in cui essa corrisponda a come la paziente si sente.
Questa ricerca ha in parte confermato le aspettative, poiché le immagini desiderate dai soggetti erano molto più magre del normale, ma d’altronde ha stupito verificare che le ragazze anoressiche, nella maggior parte dei casi, non sovrastimano il proprio corpo; molto spesso la valutazione percettiva delle proprie dimensioni corporee è simile a quella delle ragazze non affette da Anoressia Nervosa.
I dati di questi studi, in ultima analisi, evidenziano che il disturbo dell’immagine corporea è un fenomeno complesso in quanto esso non è presente in tutti i soggetti affetti da Anoressia Nervosa, ma solo in un sottogruppo, che ha però prognosi peggiori (Ventura et al. 1992).
Abbuffate compulsive vomito e lassativi
In un largo sottogruppo di ragazze affette da Anoressia Nervosa sono presenti dei comportamenti che diventano ormai sempre più tipici di questa sindrome: vomito autoindotto, abuso di lassativi e abbuffate compulsive (Garfinkel e Garner et al., 1983).
Per abbuffate compulsive s’intende l’assunzione d’elevate quantità di cibo, accompagnate dalla sensazione di perdita del controllo. Durante questi episodi vengono ingeriti i cibi “proibiti” o ingrassanti, che sono solitamente evitati nelle fasi di restrizione perché considerati troppo calorici.
Vengono solitamente preferiti cibi che non richiedono troppa preparazione per essere cucinati, né masticazione per essere assunti, in particolare dolci, gelati, pane, toast, cioccolata. L’entità di un episodio bulimico varia considerevolmente entro un range che va dalle 1000 alle 2000 calorie (Russell, 1988). Spesso non si tratta di abbuffate compulsive oggettive, bensì soggettive; il cibo ingerito non è oggettivamente molto rispetto al normale, ma è soltanto superiore a quanto il soggetto aveva previsto (Piccini, 2000).
Tali episodi vengono vissuti in solitudine e seguono generalmente dei rituali stereotipati.
Durante le abbuffate la maggior parte dei soggetti mangia velocemente, senza apprezzare il gusto del cibo. La durata dell’attacco bulimico è estremamente variabile, ma normalmente inferiore alle due ore.
Dopo l’abbuffata compulsiva alcune ragazze restringono la loro alimentazione per molti giorni, mentre altre s’inducono il vomito oppure fanno uso di lassativi o diuretici, per prevenire l’incremento del peso. Alcuni soggetti iniziano ad assumere lassativi con l’idea irrazionale di ridurre il gonfiore addominale e prevenire l’assorbimento del cibo.
Iperattività fisica
Un’altra caratteristica, difficile da modificare e presente nella maggior parte delle ragazze anoressiche, ma non in tutte, è costituita dall’iperattività accompagnata dalla negazione della fatica. Tale comportamento non ha mai cessato di suscitare stupore e sconcerto, poiché esso, realizzato da ragazze notevolmente sottopeso, appare paradossale e misterioso. La giovane anoressica, infatti, più è defedata e più sembra invasa da un sacro fuoco che la rende incessantemente attiva.
L’obiettivo più lampante di quest’iperattività è bruciare calorie per evitare d’ingrassare. Normalmente l’attività fisica è praticata in solitudine, seguendo una regolare e rigida sequenza che ha delle caratteristiche ossessive. Se per qualsiasi motivo quest’allenamento non ha luogo, le ragazze anoressiche si sentono fortemente in colpa. Questi comportamenti costruiscono un credito verso il cibo, infatti ci si “guadagna” il diritto d’ingerire un certo quantitativo di calorie svolgendo un determinato numero d’esercizi; al contrario si deve pagare la colpa di aver mangiato qualcosa in più, eseguendo una quantità ancora maggiore d’allenamento. Un altro tipo di iperattività si esprime con una persistente irrequietezza che è tipica di quasi tutti gli individui fortemente emaciati, spesso associata a disturbi del sonno ed apparentemente non sottoposta a controllo cosciente (Dalle Grave, 1996).
La scoperta delle endorfine che in certe situazioni di stress e sofferenza il nostro organismo secerne, e l’effetto anestetico ed euforizzante da esse prodotto (Reitano, 1995) illumina il risvolto biologico del fenomeno, senza però spiegarlo completamente.
Amenorrea
Il sintomo più caratteristico ed indicativo dell’Anoressia Nervosa è certamente l’amenorrea (scomparsa delle mestruazioni), al punto tale che la sua presenza è considerata necessaria per porre la diagnosi d’Anoressia Nervosa (Selvini Palazzoli, 1988).
Essa dipende largamente, ma non completamente, dalla perdita di peso conseguente alla restrizione alimentare, anche se in un sottogruppo di soggetti (7% - 24%) compare prima della riduzione ponderale (Dalle Grave, 1996). L’amenorrea regredisce, nella maggior parte dei casi, con il recupero del peso, ma in un sottogruppo permane, nonostante esso sia stato totalmente riacquistato.
Attualmente non è ancora chiaro se tale disfunzione sia conseguente soltanto alla malnutrizione oppure sia associata ad anomalie biologiche o stress emotivi. Recentemente alcuni studi di orientamento endocrinologico hanno rilevato che, anche quando l’amenorrea precede la perdita di peso corporeo, si verifica in un periodo più o meno lungo di restrizione dietetica associata a stress ambientali e talora ad iperattività fisica (Pelicci, 1987).
A questo proposito Brutti e Parlani (1992), in antitesi con l’atteggiamento organicista espresso dagli studi di tipo endocrinologico, che attribuiscono l’amenorrea a generici “stress emotivi” sostengono che quando nell’Anoressia Nervosa si stabilisce il rapporto tra diminuzione del peso corporeo e amenorrea, occorre tener presente che ciò vale precisamente all’interno del processo anoressico in atto, non tutti i dimagrimenti, difatti, provocano la sospensione del ciclo mestruale. Secondo gli autori la situazione è più complessa, in quanto ad esempio, nelle anoressiche l’aumento di peso conseguente ad una alimentazione forzata non provoca, automaticamente, la ricomparsa delle mestruazioni. Per contro queste possono riprendere anche prima che la ragazza abbia riacquistato il peso supposto compatibile con la ricomparsa del flusso mestruale.
Nelle ragazze prepuberi l’amenorrea incide negativamente sullo sviluppo delle mammelle, nei maschi invece il corrispettivo dell’amenorrea è la perdita dell’interesse e della potenza sessuale.

Isolamento  euforia depressione
Nella maggior parte dei casi le ragazze affette da Anoressia Nervosa, con il progredire della malattia riducono gradualmente le proprie attività e interessi, che rimangono circoscritte a campi quali l’attività fisica, la scuola e la dieta.
Nelle ragazze anoressiche permane infatti, almeno nelle fasi iniziali, un grande impegno nello studio e nel tentativo di raggiungere brillanti risultati scolastici, parallelamente all’astensione assoluta dalle situazioni sociali che comportano l’assunzione di cibo. La maggior parte dei soggetti perde l’interesse negli amici già nelle prime fasi della dieta e questo può essere considerato, come sottolinea anche Hilde Bruch (1973), il più importante segno precoce di Anoressia Nervosa.
Per quanto riguarda il tono dell’umore la situazione è molto variabile. Abbiamo infatti una prima fase, quando c’è la negazione del problema, in cui si può assistere alla comparsa di un vero e proprio stato d’euforia. In questa fase i soggetti si sentono bene, non avvertono stanchezza, si concentrano meglio, si sentono “leggeri”, il tono dell’umore è elevato (Kaplan et al. 1988).
La ragione di quest’euforia da digiuno può essere spiegata anche in termini evoluzionistici, in quanto un soggetto che per qualsiasi motivo si trovi in una condizione di prolungata assenza di cibo, almeno nelle fasi iniziali, riceve un grosso vantaggio dal fatto d’avvertire meno dolore fisico, di non soffrire di stanchezza, di vedere e sentire meglio, perché ciò gli consente di trovare più facilmente qualcosa da mangiare e quindi di sopravvivere. Questo stato di benessere è purtroppo un’arma a doppio taglio, poiché è anche uno dei principali meccanismi di rinforzo di pratiche dietetiche restrittive: la ragazza anoressica sente che attraverso la dieta e la perdita del peso può migliorare il tono dell’umore e aumentare la propria autostima (Moriconi et al. 1992).
Con il progredire della malattia l’euforia cede il posto alla comparsa di sintomi di depressione come umore depresso, disperazione, senso di colpa, autosvalutazione, irritabilità, mancanza di concentrazione, disturbi del sonno. Spesso sono presenti anche idee suicidarie (Kaplan et al. 1988).
Questa frequente comorbilità tra Anoressia e sintomi depressivi, ha suggerito la possibilità che i Disturbi del Comportamento Alimentare altro non siano che una forma di depressione. Questi sintomi depressivi però vanno considerati più come manifestazioni secondarie dal disturbo alimentare che non fattori causali. Tale affermazione trova conferma dalla comparsa di depressione anche in soggetti sottoposti a digiuno in condizioni sperimentali e soprattutto dal fatto che con l’aumento ponderale del peso si verifica, nella maggioranza dei casi, un netto miglioramento della sintomatologia depressiva (Dalle Grave, 1996)   
Ansia ossessioni compulsioni
L’ansia è comunemente presente in soggetti affetti da Anoressia Nervosa e si manifesta soprattutto in presenza del cibo, infatti quest’ansia assume la forma di paura nei confronti di alcuni cibi, la preoccupazione per le situazioni sociali che implicano il mangiare, il timore che il proprio corpo venga osservato.
Visto che quest’ansia si lega principalmente a tematiche alimentari questi sintomi non possono certamente essere considerati indicativi di un disturbo d’ansia indipendente primario. Anche qui, come nella depressione, la normalizzazione del peso corporeo determina un marcato miglioramento delle funzioni psicologiche e sociali, con un complessivo miglioramento della sintomatologia ansiosa (Dalle Grave, 1996).
L’Anoressia Nervosa è frequentemente associata ad altri sintomi che hanno radici profonde nell’ansia, ed anzi ne rappresentano la trasformazione, ossia le ossessioni ed il loro equivalente comportamentale, le compulsioni.
Le ossessioni sono pensieri, immagini, impulsi, sperimentati come intrusivi, che creano una marcata preoccupazione nel soggetto che li sperimenta. Nella maggior parte dei casi di Anoressia Nervosa le ossessioni hanno per oggetto il cibo e il corpo (conteggio delle calorie, preoccupazione per le forme del corpo, il peso, rimuginazioni riguardo al cibo) mentre in una minoranza dei casi riguardano altri temi generali comunemente presenti nelle ossessioni (paura d’essere contaminati, di aver dimenticato il gas acceso, disporre oggetti in un preciso ordine, lavarsi continuamente le mani) (Andreas Thiel et al., 1995).
C’è d’aggiungere che l’ossessione del cibo è stata osservata in quasi tutti i soggetti denutriti, indipendentemente dalla causa che li ha portati a dimagrire, e può quindi essere considerata un meccanismo difensivo normale in un soggetto a digiuno; essa aumenta insieme alla perdita del peso e diminuisce con il suo recupero (Dalle Grave, 1996).
Tuttavia, in alcuni soggetti affetti da Anoressia Nervosa in particolare di tipo restrittivo, esiste anche un disturbo ossessivo-compulsivo che presenta tematiche non inerenti alla dieta, al cibo o all’immagine corporea; i più tipici fra di essi sono il continuare a pulire e a lavarsi, l’automutilazione, dubbi patologici (Halmi et al., 1991).
Identità perfezionismo autostima
Alcuni autori  hanno evidenziato che nei soggetti, prima dell’insorgenza della malattia, esistono caratteristiche psicologiche abbastanza costanti come: elevato perfezionismo, alti livelli d’introversione, scarsa capacità di relazione sociale, bassa autostima (Piccini, 2000).
I racconti più tipici descrivono le bambine pre-anoressiche come perfette, sempre ubbidienti e disponibili ad offrire il loro aiuto (Brusset, 1998).
Con il progredire del disturbo si assiste ad un profondo mutamento della loro personalità: reagiscono ad ogni tentativo altrui di modificare il loro atteggiamento con rabbia, inganni e manipolazioni. Con lo sviluppo della malattia vengono poi totalmente assorbite dal processo patologico e diventano enormemente dipendenti dalla famiglia o dal terapeuta.
Hilde Bruch (1973, 1978) ha collegato questa patologia ad uno schiacciante senso d’inefficacia e scarsa autostima. L’autrice sostiene che il desiderio di controllo del peso rifletterebbe un fortissimo impulso al controllo della sessualità e degli impulsi aggressivi. Tale senso d’inefficacia sarebbe legato ad altri due fattori principali: disturbo dell’immagine corporea e disturbo dell’elaborazione degli stimoli che originano dal corpo come fame, stanchezza, sazietà. Questo disconoscimento dei bisogni del corpo sarebbe legato alle prime esperienze difettose del lattante: egli avrebbe ricevuto da parte della propria madre risposte inadatte, caotiche, insufficienti o eccessive alle proprie diverse richieste. Questi errati apprendimenti non permetterebbero al lattante, al bambino e poi all’adolescente di riconoscere i bisogni del proprio corpo. Il bambino apprenderebbe a rispondere esclusivamente alle sensazioni e ai bisogni corporei della madre e non ai suoi, e ciò provocherebbe disturbi nella costruzione dell’identità fondamentale e dell’immagine del corpo. L’incapacità d’integrare gli stimoli che concernono la fame e la sazietà e gli stati affettivi, spiegherebbe anche, secondo  Bruch, l’assenza d’interesse per la sessualità.
Una caratteristica spesso presente nelle ragazze affette da Anoressia Nervosa è la regolazione dell’autostima e del valore personale attraverso l’adesione a standard di apparenza e di prestazione (Dalle Grave, 1996). Il gran desiderio di auto-affermazione non sembra provenire da una genuina ricerca dell’autonomia, ma piuttosto dal desiderio dell’essere approvato dagli altri. La ricerca dell’identità personale è espressa attraverso una mimesi degli attuali modelli culturali. Questo spiegherebbe l’aumentata incidenza dei disturbi alimentari verificatasi negli ultimi anni nei paesi occidentali, dove la pressione sulle donne ad essere magre e a raggiungere il successo è aumentata in modo drammatico.
Sessualità
Con il progredire della denutrizione le ragazze anoressiche perdono del tutto l’interesse nella sessualità ed evitano qualsiasi possibile incontro con il sesso opposto. In queste ragazze c’è sempre un movimento di ritiro rispetto alle sollecitazioni che le trasformazioni corporee della pubertà e il cambiamento di statuto familiare e sociale dell’adolescenza comportano.  Nel caso in cui abbiano esperienze sessuali, esse sono vissute senza provare il minimo piacere, accompagnate anzi da sentimenti d’ansia e senso di colpa. Sul piano di queste attività come sul piano delle fantasticherie, non c’è che poca implicazione affettiva e corporea. Si tratta piuttosto, sia di fare come gli altri in una ricerca conformista di una supposta normalità, sia di utilizzare gli altri a fini narcisistici (Brusset, 1998).
La coincidenza dell’Anoressia Nervosa con l’adolescenza ha fatto considerare questa malattia come una sorta di nevrosi attuale in rapporto con la maturazione puberale. Infatti l’arrivo della pubertà, con la maturazione corporea e l’incremento degli impulsi sessuali, coglie un individuo fragile, profondamente minato nella sua autostima, che mette subito in atto meccanismi di difesa che vanno dalla razionalizzazione fino a meccanismi più arcaici come la scissione e l’identificazione proiettiva, che hanno lo scopo di dominare totalmente le fantasie e gli impulsi sessuali nascenti (Laufer, 1984). Infatti i desideri sessuali e il bisogno di un nuovo oggetto al di là di quelli infantili sono vissuti come minacciosi da un’autostima fragile, quale quella delle ragazze anoressiche che, negando la dipendenza da ogni investimento oggettuale, si collocano invece nella dipendenza dalle sensazioni, come quella della fame, permettendo che il conflitto legato alla dipendenza si sposti sulla fame (Blos, 1962).

CAPITOLO II

IPOTESI EZIOLOGICHE
UNA PROSPETTIVA BIOPSICOSOCIALE
L’Anoressia Nervosa è un disturbo molto complesso, e questa complessità ha portato fin dalle prime descrizioni, alla nascita di un largo ventaglio di ipotesi che avevano lo scopo di trovare un fattore causale che spiegasse il disturbo. Nel corso del tempo, ciclicamente, si sono prese maggiormente in considerazione ipotesi psicologiche, biologiche o culturali.
Le prime ad affermarsi all’inizio del XX secolo furono le ipotesi psicologiche proposte da alcuni medici come Charcot, Dubois, e Janet (Piccini, 2000).
Non passò molto tempo, quando, nel 1914, la cattiva interpretazione di un decesso portò in auge l’ipotesi biologica. Il caso in questione riguardava una donna che, arrivata ad un’estrema cachessia e poi alla morte, sottoposta ad autopsia presentava un’atrofia del lobo anteriore dell’ipofisi.
Negli anni ’30 si verificò un rilancio dell’origine psicogena dell’Anoressia Nervosa ad opera di medici come Ryle, Sheldon e Venables; ipotesi che venne ad assumere contorni più definiti negli anni ‘40, quando Berkman (1945) dimostrò definitivamente che l’emaciazione non era una caratteristica comune nell’insufficienza ipofisaria e che questa condizione poteva essere chiaramente distinta dall’Anoressia Nervosa.
Nel momento in cui l’ipotesi psicologica iniziava a diffondersi e a raccogliere consensi negli ambienti scientifici, iniziarono a prosperare numerose teorie che, ispirate a concetti psicoanalitici, ipotizzavano cause esclusivamente psicologiche.
Queste teorie influenzate dal pensiero freudiano avevano come chiave interpretativa il concetto di regressione allo stato orale.
Negli anni ’60 le cause biologiche del disturbo, mai completamente abbandonate, suscitarono un rinnovato interesse. Il fatto che in alcune ragazze l’amenorrea si verificasse prima della perdita del peso corporeo, e che in altre si mantenesse anche dopo il recupero ponderale, portò molti autori a postulare che esistesse un’alterazione endocrina alla base del disturbo e che l’anomalia biologica risiedesse a livello dell’ipotalamo anteriore. Questa teoria non ha raccolto però prove convincenti che la supportino.
Giungendo agli anni ’70 troviamo il contributo della psichiatra americana Hilde Bruch (1973, 1978), che più di tutti influenzò la moderna concezione dell’Anoressia Nervosa.
Quest’autrice propose un modello psicologico centrato sull’importanza che la profonda mancanza di autostima ha sull’Anoressia, e su come la malattia sia un tentativo per riempire questo gran vuoto attraverso il corpo, il cui controllo  può ricostruire il sentimento d’auto-efficacia perduto.
Questo rapido escursus delle principali ipotesi eziologiche riguardanti l’Anoressia e in particolare la ciclicità di alcune di esse tende a dimostrare che questa malattia è troppo complessa per essere ricondotta ad un singolo fattore causale. Di fatto la ricerca attuale si sta orientando verso ipotesi eziologiche di tipo multifattoriale. Secondo questa prospettiva la malattia costituirebbe l’esito finale della combinazione di tre fattori:

  • Fattori predisponenti:
  • Individuali (biologici-psico-dinamici);
  • Familiari;
  • Socio-culturali.
  • Fattori scatenanti:
  • Dieta.
  • Fattori perpetuanti:
  • Rinforzi ambientali;
  • Sintomi da digiuno.

FATTORI PREDISPONENTI INDIVIDUALI
Lo studio delle cause dell’Anoressia Nervosa ha evidenziato che nello sviluppo della patologia possono essere implicati numerosi fattori predisponenti.
Affrontiamo ora i fattori predisponenti di tipo individuale che possiamo distinguere sommariamente in biologici e psicologici.
Fattori biologici
Da numerosi autori l’Anoressia Nervosa è stata considerata una patologia sostenuta da alterazioni biologiche. Ad indirizzare il pensiero scientifico in questa direzione sono state inizialmente le gravi alterazioni endocrine e le vistose alterazioni somatiche presenti in questi pazienti. Questa concezione si alimentò, come abbiamo accennato, anche a causa di un grossolano errore diagnostico. Essa fu confusa infatti con il “morbo di Simmonds” che è una sindrome di panipopituarismo, cioè una grave insufficienza ipofisaria, in cui uno dei sintomi più evidenti è costituito dall’imponente dimagrimento (Ruggieri e Fabrizio, 1994). Tutto ciò orientò alla ricerca di cause endocrine nell’eziologia della malattia, mentre il ruolo degli aspetti psicologici venne ripreso solamente negli anni ’30. Le più recenti conoscenze circa il ruolo di controllo e di modulazione esercitato dal Sistema Nervoso Centrale sul Sistema Endocrino hanno consentito di comprendere come le alterazioni ormonali possano essere considerate conseguenze dell’alterata regolazione nervosa (Pinel, 1990). Quest’ultima a sua volta può essere strettamente collegata a più profonde alterazioni di natura psicologica (intrapsichica e relazionale) (Ruggieri e Fabrizio, 1994). Questo certo non significa che la prospettiva bio-medica di studio dell’Anoressia sia stata accantonata, anzi essa non ha mai smesso di fornire interessanti spunti allo studio di questo complesso fenomeno:                                                                                                                                                         

  • Genetica: L’idea di un’origine genetica dell’Anoressia Nervosa è presente già dal 1800. Negli ultimi anni la ricerca sulla possibilità dell’origine genetica dell’Anoressia Nervosa ha utilizzato principalmente tre metodi:
  • tasso di prevalenza della malattia nei familiari (Fairburn et al. 1999)
  • concordanza della malattia nei gemelli monozigoti e in quelli eterozigoti (Bulik et       al. 2000)
  • studi di legame tra anoressia e altri disturbi psichiatrici (Crisp, 1970).

 I risultati di questi studi suggeriscono la possibilità di una componente genetica del          disturbo, anche se non è ancora chiaro cosa venga trasmesso ereditariamente, se sia il disturbo specifico, alcuni tratti di personalità o una generale vulnerabilità alla sofferenza   psicologica.

  • Anomalie neuroendocrine e neurotrasmettoriali : Negli anni ’60 iniziò l’interesse per i neurotrasmettitori cerebrali nel controllo del comportamento alimentare quando alcuni ricercatori documentarono che delle microiniezioni di noradrenalina nell’ipotalamo ventromediale provocavano nel ratto sazio, un notevole aumento dell’assunzione di cibo, mediante l’attivazione dei recettori alfa-1-adrenergici. L’azione mostrava anche un certo grado di specificità in quanto altri neurotrasmettitori, come la serotonina e la dopamina, non provocavano nessun effetto nelle stesse condizioni, essendo invece più associati alla sensazione di sazietà (Moriconi et al. 1992). Evidenze recenti sembrano confermare l’ipotesi che il comportamento alimentare dipende dall’attività coordinata di vari circuiti cerebrali di cui le catecolamine (adrenalina, noradrenalina, dopamina) e la serotonina sono elementi essenziali (Pinel, 1990). Nelle ragazze molto denutrite si riscontrano numerose alterazioni dei neurotrasmettitori cerebrali. I sistemi noradrenergico e adrenergico (stimolatori del senso della fame) sono ipofunzionanti nella fase acuta dell’AN. I sistemi dopaminergico e serotoninergico (regolatori della sazietà) sono anch’essi ipofunzionanti (Halmi et al. 1978). Si registra inoltre l’elevazione del neuropeptide y, della vasopressina e una riduzione dei livelli di beta-endorfina e ossitocina. Tutte queste alterazioni sono secondarie alla malnutrizione e alla perdita di peso corporeo e si normalizzano dopo il recupero ponderale. Questa normalizzazione dei valori neurotrasmettitoriali al ristabilirsi del peso sembra indicare che queste alterazioni biochimiche siano la conseguenza e non la causa del processo morboso (Ruggieri e Fabrizio, 1994) anche se recentemente Kaye et al. (1991) hanno collegato i sintomi anoressici ad un’anomalia intrinseca e primitiva dell’attività serotoninergica cerebrale, anomalia che potrebbe essere il tratto biologico predisponente al comportamento alimentare disturbato.

Relativamente agli aspetti neuroendocrini del disturbo, si è visto che nelle anoressiche vi sono basse concentrazioni seriche di FSH e LH (ormone follicolo-stimolante ed ormone luteinizzante) che non crescono neanche in seguito all’azione di releasing factor ipotalamico (LRH). Inoltre vi sono bassi livelli di estrogeni che portano ad una riduzione del volume delle ovaie, ad una fibrosi dell’endometrio e all’atrofia della mucosa vaginale. (Dalle Grave, 1996).
Fattori psicologici

  • Modello Cognitivo-Comportamentale: le ragazze affette da Anoressia Nervosa hanno spesso valori, credenze e pensieri stereotipati e disfunzionali. Queste distorsioni possono avere un ruolo significativo sia nel predisporre che nel perpetuare il disturbo.

Un esempio paradigmatico di queste idee disfunzionali è fornita da Liotti (1988) il quale descrive nei pazienti anoressici dei particolari schemi cognitivi interpersonali. Liotti parte dal dato di base che nella psicoterapia di persone affette da Disturbi Alimentari Psicogeni, DAP (categoria elaborata da Liotti allo scopo di unificare Anoressia, Bulimia e Obesità sotto un'unica etichetta) è molto frequente trovare uno stile comunicativo che mira a stabilire un rapporto cordiale e d’accettazione con lo psicoterapeuta, ma, contemporaneamente, mira a prevenire qualunque espressione diretta del mondo interiore, di pensieri, interessi o desideri profondi, sentimenti e memorie. Liotti vede in quest’atteggiamento l’espressione di particolari schemi cognitivi, relativi allo scambio interpersonale, che sembrano tipici dei soggetti anoressici. I tentativi di esperienze personali si incontrano con figure genitoriali invadenti o invischianti o presenti solo in modo alterato. Riflettendo e proponendo ai propri figli immagini vaghe e indefinite, i genitori rendono difficile il processo di identificazione. L’attenzione del bambino rimarrà focalizzata su quello che gli altri pensano e provano, alla ricerca di conferme e giudizi esterni che sono, contemporaneamente, temuti e indispensabili.
Come tutti gli schemi cognitivi, gli schemi interpersonali, sono strutture mentali astratte, costruite per generalizzazione e sintesi delle precedenti esperienze relazionali e comprendono la rappresentazione di sé e dell’altro. Nelle persone affette da disturbi alimentari è evidentemente operante uno schema interpersonale connesso ad una rappresentazione dell’altro come inaffidabile e minaccioso quando si tratta di confidargli i propri reali interessi, desideri e pensieri profondi. Parallelamente il Sé è rappresentato come particolarmente vulnerabile nell’incontro con altre persone significative.
Secondo Guidano (1988) l’organizzazione cognitiva individuale  che caratterizza i pazienti con un DAP si basa sull’ambiguità e l’indefinitezza che caratterizzano già i primi rapporti di reciprocità tra madre e bambino. Si tratta di un tipo di adattamento invischiante che ostacola l’emergere di un individuo autonomo. In tal modo si produce solo una demarcazione precaria tra il proprio senso di sé e le rappresentazioni interne dei genitori.
I tentativi di esperienze personali, si incontrano anche secondo Guidano con figure genitoriali invadenti o invischianti. In tal modo si produrrà un Sé confuso e indistinto. Il non mangiare vuol dire controllare il proprio corpo e quindi dare un’illusione di padroneggiare la realtà producendo una falsa sicurezza ed una pseudo-autonomia (Guidano, 1988)

  • Modello psicodinamico: forse più che modello psicodinamico di interpretazione dell’Anoressia Nervosa è più appropriato parlare di modelli psicodinamici. Infatti sotto il profilo teorico, gli psicoanalisti, all’interno del solco tracciato da Freud, oscillano tra il considerare l’Anoressia come un sintomo, scelto a copertura di una situazione nevrotica o psicotica sottostante (Freud, Abraham, Klein), e il considerarla una sindrome con una propria dignità nosografica (Bruch, Chiozza, Brusset). Inoltre, mentre alcuni autori scorgono nell’Anoressia una potente fissazione orale che impedisce al soggetto di accedere ad una sessualità adulta, altri insistono nel vedere nell’Anoressia un antagonismo radicale tra narcisismo e mondo oggettuale (Brusset, 1998).

Freud ha ipotizzato una regressione allo stadio “narcisistico” o alla fase dell’”oralità-attiva”. Esperienze traumatiche, legate all’allattamento, potrebbero provocare una rimozione della libido, una fissazione alla fase pre-edipica dell’oralità e l’instaurarsi di un legame tra pulsione di morte e alimentazione. Nel periodo della pubertà e dell’adolescenza, il riemergere della libido potrebbe di nuovo rendere attuali le pulsioni legate al trauma rimosso e portare a disturbi alimentari (Ruggieri e Fabrizio, 1994).
Le intuizioni freudiane troveranno avallo e sostegno nei lavori di K. Abraham il cui contributo è legato all’approfondimento dello studio delle fasi pregenitali dello sviluppo libidico. Abraham definisce l’Anoressia uno stato malinconico-depressivo; approfondisce la relazione tra oralità e disturbo alimentare: in questi soggetti è proibita la soddisfazione dei desideri oro-cannibalici per cui essi rifiutano ostinatamente il cibo (Basile, 1992).
Il contributo di M.Klein si inserisce nella scia degli studi di Abraham sulle fasi pregenitali della libido e sullo stabilirsi delle relazioni di oggetto. A suo avviso le prime difficoltà di alimentazione che si verificano nel neonato già nei primi giorni di vita sono da collegarsi all’angoscia persecutoria e alla pulsione di morte presente sin dalla nascita. Se a tutto ciò si aggiunge una carenza di sviluppo di relazioni oggettuali, si rafforzano i meccanismi schizo-paranoidi: le pulsioni distruttive e l’angoscia persecutoria diventano in questo caso predominanti (Segal, 1979).
Dopo un breve accenno a come la prima psicoanalisi ha pensato l’Anoressia passiamo al contributo di alcuni esponenti della psicoanalisi moderna che hanno visto nell’Anoressia un quadro nosografico con i suoi precisi confini.
Relativamente a quest’argomento è assolutamente illuminante il contributo di  Bruch (1973, 1978) che considera i deficit dell’autonomia e dell’autostima come componenti centrali nello sviluppo dell’Anoressia Nervosa.
La studiosa affermò ripetutamente che la malattia rappresenta da un lato il tentativo del soggetto di conquistare autoefficacia e rispetto da parte degli altri attraverso la magrezza, mentre dall’altro è legata alla gestione dei propri sentimenti d’incapacità, inefficacia e impotenza attraverso l’imposizione al proprio corpo di una severa autodisciplina. Il disturbo anoressico sarebbe quindi legato ad un sottostante deficit del Sé, dell’identità e dell’autonomia, in particolare in relazione al fatto che i genitori hanno sempre imposto la loro volontà alla figlia senza porre attenzione alle sue necessità e desideri: la futura ragazza anoressica è una bambina straordinariamente buona, che ottiene molti successi ed è fonte di gratificazione per i genitori; quando arriva a dover affrontare i problemi dell’adolescenza, diventa consapevole del proprio vuoto interiore provando un senso d’impotenza. La ragazza anoressica quindi, attraverso la magrezza e la perdita di peso corporeo, cerca disperatamente e dolorosamente di raggiungere un senso d’identità e autonomia che non gli è stato concesso di raggiungere in altri modi.
Interessante ci appare anche il contributo di Chiozza (1992), che mira ad individuare, pur nel rispetto di ogni percorso individuale, la “fantasia inconscia condivisa da tutte le situazioni anoressiche”. Secondo l’autore l’astinenza dal cibo, comune nelle ragazze anoressiche, è fondamentalmente collegata alla fantasia di base di svuotamento della propria forma corporea che, appunto, le anoressiche sempre perseguono. Questo svuotamento della propria forma corporea a sua volta nasconde un violento attacco “che la giovane opera nei confronti della realizzazione della sua forma che ella denigra e percepisce come repellente in una sorta di gioco bugiardo in cui, proprio in virtù della non realizzazione della forma, ella può mantenere intatta l’aspettativa idealizzata ma sempre differita della sua rivelazione” (Chiozza, 1992).

  • Abuso sessuale: Recentemente la relazione tra Anoressia Nervosa e abusi sessuali ha subito una forte enfasi. Molti studi hanno dimostrato che le esperienze traumatiche. Ed in particolare gli abusi sessuali, sono presenti in eguale misura anche in altre patologie psichiatriche. Tali esperienze, quindi, sarebbero responsabili di una generale vulnerabilità alle malattie psichiatriche e non un fattore di rischio specifico per lo sviluppo dell’Anoressia Nervosa; tuttavia esse, interagendo con specifici fattori predisponenti (biologici, psicologici e sociali), possono giocare un ruolo importante nello sviluppo di un disturbo alimentare (Smolak e Murnen, 2002).

FATTORI PREDISPONENTI FAMILIARI
Negl’ultimi decenni della psicologia clinica si sono sviluppate linee di pensiero che non pongono più l’accento sul singolo individuo, ma sulla relazione. Secondo quest’impostazione teorica la famiglia viene vista come un complesso sistema sociale, caratterizzato da una matrice di fattori interagenti, dai quali scaturirebbe come organizzazione emergente il disturbo alimentare. Alla luce della teoria sistemico-relazionale  i comportamenti non sono più osservati solo in rapporto al soggetto che li produce, ma in rapporto alle relazioni dinamiche tra le diverse componenti di un gruppo-sistema (Malagoli Togliatti e Telfner, 1991). La causalità viene vista come un processo circolare piuttosto che lineare, dove la famiglia non è considerata come la causa del disturbo, ma come il suo contesto.
Da questo ambito culturale sono partite delle critiche alla Bruch ad opera di Minuchin (1978) proprio in riferimento al suo modo di interpretare, secondo una stretta causalità lineare e non circolare, la problematica dell’Anoressia Nervosa.
Il problema dell’Anoressia comincia dunque ad essere esaminato nel contesto della famiglia, considerata come un sistema stabile in continuo interscambio con l’esterno, dove ogni comportamento, specialmente quello sintomatico, è al servizio di un meccanismo che regola la stabilità ed il cambiamento familiare, secondo processi dinamici di autoregolazione (Malagoli Togliatti e Cotugno, 1996).
La maggior parte dei teorici sistemici hanno descritto la famiglia dell’anoressica come un nucleo estremamente chiuso, con confini intergenerazionali offuscati, in cui sono evitati conflitti e discussioni.
Minuchin et al. (1978) affermano che certi tipi di organizzazione familiare sono strettamente collegati allo sviluppo ed al mantenimento di sindromi psicosomatiche e che, a loro volta, sono gli stessi sintomi del figlio psicosomatico a mantenere l’omeostasi familiare. Il sintomo diventa un modo di comunicare ed il suo significato dipende dal contesto comunicativo nel quale si manifesta e delle regole familiari.
Secondo Minuchin et al. (1978) sarebbero presenti tre fattori principali:
1.            La ragazza ammalata è fisicamente vulnerabile;

  •   La famiglia ha quattro caratteristiche transazionali: invischiamento, iperprotettività,  rigidità, scarsa soluzione dei conflitti;
  •     La ragazza affetta da disturbo gioca un ruolo importante nella dinamica familiare d’evitamento dei conflitti.

La Selvini Palazzoli (1981) osserva come in queste famiglie ogni diversità viene azzerata mediante una costante opera di ridefinizione delle emozioni e dei desideri individuali che non vengono “negati” bensì “disconfermati”. Questa autrice parla infatti di “matrimonio a tre”, dove ogni membro della famiglia è come se fosse sposato con gli altri due componenti. Tutto ciò non permette alla figlia una vita autonoma. Poiché la ragazza occupa un posto centrale nei rapporti familiari, se il sistema è minacciato da un cambiamento (come può accadere ad esempio durante l’adolescenza) la figlia presenterà un comportamento disfunzionale visibile attraverso la comparsa di una particolare sintomatologia, che avrà lo scopo di segnalare il disagio, pur consentendo alla famiglia di mantenere inalterata la propria dinamica relazionale, in quanto la focalizzazione sulla sfera del cibo gli consentirà di evitare i conflitti che potrebbero scatenarsi dal confronto diretto su questioni sostanziali.
La Selvini Palazzoli (1981) descrive inoltre le madri di queste ragazze; il quadro che emerge è quello di una donna insoddisfatta del marito, che si considera vittima di lui e della famiglia estesa. Una donna che molto spesso ha rinunciato alle proprie affermazioni personali per identificarsi con il ruolo di casalinga e di madre. L’accettazione del ruolo di brave mogli passive è però solo esteriore giacchè interiormente covano idee di ribellione ed abbandono che non vengono messe in atto solo per paura della disapprovazione sociale. Nei confronti poi della propria figlia femmina è estremamente intrusiva, ambivalente e dominante, in modo da impedire alla ragazza quella maturazione di esperienze cognitive ed emotive necessarie per una normale crescita. Il padre è solitamente passivo, assente, poco autorevole. Nei confronti della moglie si potrebbe definire come un “incassatore”, cioè buono, bravo, lavoratore, intelligente, è assolutamente incapace di mettere un freno ai comportamenti intrusivi della moglie.
In conclusione va sottolineato che, nonostante la ricchezza del contributo sistemico-relazionale, vanno comunque evitati facili riduzionismi, come ad esempio l’ipotesi di una famiglia anoressogena, visto che alcune caratteristiche relazionali riscontrate in queste famiglie potrebbero non essere specifiche del disturbo.

 

FATTORI PREDISPONENTI SOCIO-CULTURALI
L’ipotesi che i fattori socio-culturali possano svolgere un ruolo importante nel favorire lo sviluppo dei Disturbi del Comportamento Alimentare è suffragata dal fatto che questi ultimi sono poco frequenti nei Paesi non occidentali, e che l’aumento della loro incidenza coincide con maggiore pressione culturale verso la magrezza, cambiamento del ruolo sociale della donna, pregiudizi nei confronti dell’obesità.
Gordon (1990), all’interno della sua analisi dello studio “anatomico” dell’Anoressia e Bulimia interpretate come epidemia sociale, suggerisce come i DCA possano essere considerati “disturbi etnici”. Alcuni criteri fondamentali per potere qualificare un disturbo etnico sono:

  • la maggiore frequenza, rispetto ad altri tipi di patologia psichica, nella cultura esaminata;
  • il rappresentare la tappa finale, comune, del disagio psichico;
  • l’inclusione di comportamenti che, in situazioni normali, vengono considerati altamente positivi;
  • il costituire un “modello di cattiva condotta” che dà la possibilità a chi lo attua di comportarsi in modo deviante ed irrazionale pur rimanendo nel socialmente accettabile;
  • il fondarsi su comportamenti accettabili, risultando pur tuttavia espressione di devianza, provocando nell’ambiente risposte ambivalenti; modalità che ne permette una certa notorietà all’interno della cultura di appartenenza; (Gordon, 1990)

E’difficile stabilire esattamente il momento in cui la moda della magrezza si è affacciata alle società occidentali. Le ricerche che si sono cimentate in quest’impresa hanno basato le loro conclusioni su dati come: dimensioni del petto, della vita e dei fianchi delle modelle apparse su delle riviste di certi paesi in determinati periodi, oppure il peso corporeo delle partecipanti a varie edizioni di famosi concorsi di bellezza.
In base a questi parametri, ricercatori come Silverstein et al. (1986) hanno stabilito che nel nostro secolo il mito della magrezza androgina è comparso a partire dagli anni ’50 fino agli anni ’80.
Dalla seconda metà degli anni ’70 una nuova enfasi è stata posta su un tipo di forma fisica, che richiede alle donne occidentali di ricercare la costruzione di un corpo atletico (molto muscoloso e con pochissimo grasso) parallelamente alla ricerca di magrezza.
Per quale motivo nella cultura occidentale è emerso in maniera così forte quest’ideale di magrezza? La risposta non è certo facile, né univoca.
Alcuni sociologi ipotizzano che la pressione sociale verso la magrezza abbia potuto accentuarsi nei momenti storici in cui la donna ha compiuto significativi progressi nel raggiungimento di una maggiore libertà politica e personale, come ad esempio il diritto al voto (Dalle Grave, 1996).
Anche il movimento femminista ha cercato d’interpretare il fenomeno considerandolo invece come un momento di progresso e di liberazione delle donne. Il corpo femminile magro sostituirebbe quello formoso, materno, accogliente del passato, esprimendo quindi conquiste d’alto livello come l’indipendenza e l’autodeterminazione.
Come già annunciato il fenomeno non è facilmente inquadrabile, ma nel tentativo di comprensione ricopre sicuramente uno spazio importante il cambiamento di ruolo sociale della donna. Secondo Gordon (1991) negli anni ’60 è avvenuto un mutamento nella società circa le aspettative sociali nei confronti delle donne che erano sollecitate verso il successo, l’indipendenza e la competitività. Tale modello entrava però in conflitto con quello tradizionale, per altri versi ancora presente, che vuole la donna sottomessa, brava moglie e madre. Quindi la “donna moderna” è spesso intrappolata in questo conflitto che gli crea angosce: mirare ad un ideale irraggiungibile di donna e fallire in questo tentativo. In questo contesto la dieta severa e le preoccupazioni nei confronti del corpo assumono il significato di risolvere il precedente conflitto, poiché se non riescono ad avere il controllo della propria vita, riusciranno almeno ad avere il controllo del proprio corpo.

FATTORI SCATENANTI E PERPETUANTI
Uno dei fattori scatenanti più rilevanti e frequenti dell’esordio dell’Anoressia Nervosa è sicuramente la dieta restrittiva. L’inizio della dieta può essere motivato da un leggero sovrappeso, oppure in alcuni casi da uno stato depressivo. Molte volte l’inizio della dieta è associato a momenti o situazioni problematiche tipiche dell’adolescenza, come lo sviluppo puberale oppure lasciare la famiglia per fare un viaggio da soli, o ancora l’inizio o l’interruzione di una relazione sentimentale (Garfinkel, Garner et al. 1983).
Altri possibili frangenti negativi che possono associarsi all’inizio di una dieta sono: la morte di un familiare o un amico caro, una malattia (specialmente i traumi cranici), commenti spiacevoli ricevuti riguardo al proprio aspetto fisico.
Naturalmente non tutti i soggetti che si sottopongono ad una dieta sviluppano in seguito l’Anoressia, e questo sta a dimostrare quanto sia importante l’interazione tra fattori scatenanti e un “terreno fertile”, formato dai fattori predisponenti, di varia natura, come quelli sopra elencati. Anche questa certezza deve essere sempre soppesata con prudenza, poiché non in tutti i soggetti che presentano gli elementi predisponenti che abbiamo visto, la dieta rappresenta un elemento scatenante. In conclusione la prudenza è sempre consigliata davanti ad una patologia così complessa.
Passiamo ora ad un aspetto dell’universo Anoressia che negli ultimi tempi sta attirando un grande interesse da parte degli operatori e dei ricercatori: i fattori perpetuanti (Cooper, 1995). Una volta innescato, il sintomo anoressico si autoperpetua attraverso una combinazione complessa di fattori che ora accenneremo. L’interesse sottolineato precedentemente circa le modalità di perpetuazione del sintomo, scaturiscono dalla necessità di capire perché alcuni soggetti sviluppino forme lievi di Anoressia Nervosa che regrediscono rapidamente, mentre altri assumono un andamento cronico e ingravescente, che può culminare con la morte.
Attualmente esistono tre modelli per tentare un’interpretazione dei meccanismi di mantenimento del disturbo.
Il modello cognitivo enfatizza soprattutto i fattori cognitivi e comportamentali che causano e mantengono il disturbo, e che sono individuabili nell’ossessionante pensiero d’essere magri. Quindi le distorsioni cognitive riguardo al peso e alle forme corporee non solo innescherebbero il disturbo, ma lo perpetuerebbero nel tempo (Garfinkel e Garner et al. 1983).
Il modello sistemico suggerisce che i fattori più importanti per perpetuare la malattia siano invece gli eventi interpersonali e le dinamiche familiari, che molto spesso offrirebbero un rinforzo alle modalità alimentari disfunzionali del soggetto affetto (Selvini Palazzoli, 1981).
Il modello biopsicosociale afferma che le complesse modificazioni biologiche e psicologiche secondarie al digiuno agirebbero nel perpetuare e cronicizzare l’Anoressia Nervosa. Vista la sua completezza e la sua fertilità, il modello biopsicosociale merita un approfondimento.
Come abbiamo accennato, quest’approccio parte della considerazione di base che il digiuno, qualunque siano le cause, procura, se molto prolungato, delle importanti modificazioni psicologiche e biologiche, dimostrate ormai da molti studi (Hendren, 1983). Le principali modificazioni riguardano: atteggiamenti nei confronti del cibo (preoccupazione del cibo, collezione di ricette, incremento del consumo di tè, caffè, spezie); sfera emotiva e sociale (depressione, ansia, irritabilità e rabbia), sfera cognitiva (diminuita capacità di concentrazione, diminuita capacità di pensiero astratto), sfera corporea (disturbi del sonno, debolezza, disturbi gastrointestinali, ipotemia, diminuzione dell’interesse sessuale). Queste modificazioni scaturiscono da meccanismi biologici e psicologici di difesa, messi in atto dall’organismo qualora sopraggiunga una severa restrizione dietetica. Tra i meccanismi biologici più conosciuti si annoverano: la riduzione del dispendio energetico e soprattutto uno straordinario aumento della fame.
Il meccanismo principale di difesa contro il digiuno è la controregolazione, in cui, quando un soggetto perde momentaneamente il controllo e ingerisce una piccola quantità di cibo, successivamente tutto il controllo sarà perduto ed il soggetto mangerà fino al massimo della resistenza (Dalle Grave, 1996).
Arrivati a questo punto il quadro è quasi completo; ora è necessario riservare uno spazio per inserire questi elementi appena esposti in un movimento dinamico, responsabile poi di quel circolo vizioso che porta all’autoperpetuazione dei comportamenti anoressici. Vediamo allora come un individuo, sotto la spinta dei fattori individuali, familiari e sociali già descritti, decida d’iniziare una dieta che, dopo una certa perdita di peso, scatenerà i meccanismi di difesa biologici e psicologici che aumentano nel soggetto il desiderio di assumere cibo. Sotto la spinta dell’accresciuta fame la ragazza anoressica vedrà riaffacciarsi le sue angosce circa il peso e le forme corporee che la porteranno a rafforzare ancora la restrizione alimentare (Swift et al. 1986).
DISORDINI ALIMENTARI DELL’INFANZIA
Seppure nell’immaginario collettivo i Disturbi del Comportamento Alimentare siano identificati con l’adolescenza, essi sono massicciamente presenti anche nella prima infanzia.
Dobbiamo a Chatoor et al (1998) una precisa ricognizione e differenziazione dei diversi quadri di disturbi alimentari presenti nel bambino.

  • Disturbo alimentare d’omeostasi. E’ un disturbo precoce, che tende a comparire nei primi mesi di vita e riguarda gli aspetti regolativi dell’alimentazione, soprattutto in termini di corrispondenza, ovvero di capacità della madre di sintonizzarsi con i segnali provenienti del figlio.
  • Disturbo alimentare dell’attaccamento. Compare tra il secondo e il quarto-quinto mese di vita e riguarda il legame d’attaccamento, che in questa fase va a precostituirsi.
  • Anoressia mentale. Questo quadro è stato riconosciuto recentemente dalla Chatoor che, dopo aver osservato una serie di bambini che avevano questo disturbo, lo mise in rapporto con il processo dì separazione-individuazione. L’autrice notò che esso tendeva ad instaurarsi più tardivamente rispetto ai quadri precedentemente descritti, comparendo fra i sei mesi e i tre anni.

Le caratteristiche cliniche di questo quadro consistono nel fatto che il bambino si rifiuta di mangiare, con un concomitante disturbo dell’accrescimento, nonostante la madre cerchi d’alimentare il figlio utilizzando diverse strategie, come ad esempio raccontando delle storie o insistendo con la forza.
Il risultato finale è un’estremo stato di conflitto della relazione madre-bambino sia in ambito alimentare che relativamente agli aspetti dell’autonomia e dipendenza.


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Fonte: http://www.psicoterapiasociale.it/wp-content/uploads/Attaccamento-e-Disturbi-Alimentari.doc

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