Disturbi dell’alimentazione

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Disturbi dell’alimentazione

I disturbi dell’alimentazione possono essere definiti come persistenti disturbi del comportamento alimentare o di comportamenti finalizzati al controllo del peso, che danneggiano la salute fisica o il funzionamento psicologico e che non sono secondari a nessuna condizione medica o psichiatrica conosciuta.
Questi disturbi possono essere così classificati:

  • Anoressia nervosa;
  • Bulimia nervosa;
  • Disturbi dell’alimentazione atipici (o disturbi dell’alimentazione non altrimenti specificati).

Mi soffermerò in particolare sui primi due disturbi (anoressia nervosa e bulimia nervosa) e inoltre, includerò nella mia tesina anche i disturbi legati all’obesità.
L’anoressia e la bulimia sono delle vere e proprie malattie e sono anche molto complesse perché riguardano sia la psiche che il corpo; sono caratterizzate entrambe da un errato approccio e rapporto con il proprio corpo e con il cibo.

Anoressia nervosa
E’ una patologia caratterizzata da perdita dell’appetito e progressivo rifiuto del cibo e, talvolta, anche dell’acqua. E’ un disturbo dell’alimentazione con un’intensa paura di diventare grassi o di eccedere nel peso corporeo. A livello di immagine del proprio corpo si registra una vera e propria alterazione dell’autopercezione non adeguata alla realtà (il soggetto di solito si sente sovrappeso quando in realtà è severamente sotto la norma), la preoccupazione per il proprio peso diventa eccessiva e la riduzione dell’assunzione del cibo può essere totale.
Per quanto concerne i criteri diagnostici principali, può essere fatta una classificazione:

  • Mantenimento attivo di basso peso;
  • Paura di ingrassare;
  • Preoccupazione estrema per il peso e le forme del corpo;
  • Amenorrea (mancanza di almeno tre cicli mestruali consecutivi). Nella maggior parte dei casi, si tratta di amenorrea secondaria (perdita di mestruazioni dopo un periodo più o meno lungo di cicli regolari); in una minoranza, quando l’anoressia è insorta prima dello sviluppo puberale, si tratta di amenorrea primaria. Si diagnostica l’anoressia nervosa anche se le mestruazioni sono regolari ma indotte dall’uso di estroprogestinici. Negli uomini, invece, è presente una perdita dell’interesse sessuale e impotenza.

La caratteristica più tipica dell’anoressia nervosa è la severa perdita di peso ed il raggiungimento di peso corporeo molto basso, che può determinare dei gravi rischi per la salute. La perdita di peso è principalmente dovuto alla dieta ferrea e fortemente ipocalorica. Spesso, inoltre, viene associata un’attività fisica strenua ed eccessiva portata avanti per molte ore al giorno. Alcuni per dimagrire, si auto-inducono il vomito o usano altre forme non salutari di controllo del peso, come ad esempio l’uso inappropriato di lassativi o di diuretici.
Attualmente si riconoscono due sottotipi di anoressia nervosa:

  • Anoressia nervosa con restrizioni;
  • Anoressia nervosa con abbuffate/condotte di eliminazione.

Numerosi studi hanno documentato che esistono importanti differenze psicologiche e comportamentali fra le persone anoressiche che limitano continuamente la propria alimentazione senza mai perdere il controllo, e quelle che periodicamente ricorrono ad abbuffate o a comportamenti di eliminazione (ad esempio: vomito autoindotto, uso improprio di lassativi, diuretici o enteroclismi). Le anoressiche con abbuffate/condotte di eliminazione spesso sono malate da molto tempo; pesano di più all’inizio della malattia, hanno frequenti storie personali e familiari di obesità e sono più impulsive, non soltanto nell’alimentazione, ma anche in altri ambiti: abuso di alcol o di sostanze stupefacenti, cleptomania, comportamenti autolesionisti e tentativi di suicidio. Le anoressiche con restrizioni hanno invece una personalità ossessiva e sono più isolate socialmente.

Chi colpisce: Fino a trent’anni fa, l’anoressia nervosa, è stata considerata una malattia rara. Oggi, invece, sembra colpire lo 0,28% delle adolescenti e delle giovani donne adulte dei paesi occidentali.
Il 90-95% delle persone colpite appartiene al sesso femminile; i maschi costituiscono tuttora una minoranza. L’età dell’esordio del disturbo è compresa fra i 12 e i 25 anni, con un picco di maggiore frequenza a 14 e 18 anni.
E’ una patologia che colpisce soprattutto la popolazione occidentale, mentre è rara nei paesi in via di sviluppo, dove non esiste una forte pressione sociale verso la magrezza. Mentre negli anni sessanta l’anoressia nervosa colpiva prevalentemente le classi agiate, attualmente è distribuita in modo omogeneo nelle varie classi sociali. Inoltre, sembra essere molto frequente in alcune categorie occupazionali (professioni che rientrano nel mondo della moda e della danza).

Le cause: Non sono ancora del tutto note e gli studiosi dell’argomento non sono sempre d’accordo. Sembra però che molti fattori possano contribuire alla loro insorgenza. Tali fattori sono:

  • Fattori predisponesti : sono legati ad alcune caratteristiche individuali quali il perfezionismo, la bassa autostima, la regolazione delle emozioni, l’ascetismo e le paure legate alla maturità psicobiologica.
  • Fattori scatenanti : legati ad esperienze quali, ad esempio, separazioni e perdite, modificazioni dell’equilibrio familiare, nuove richieste dall’ambiente in cui si vive (scuola, vita affettiva, etc.), malattie fisiche ed inizio della pubertà;
  • Fattori di mantenimento : una volta iniziata la dieta ferrea, alcuni fattori tendono a favorire la cronicizzazione del disturbo; fra questi, sono particolarmente importanti i vantaggi che l’individuo ottiene in conseguenza della perdita del peso e del controllo alimentare. In questi fattori sono inclusi i rinforzi positivi e negativi.

Complicazioni mediche: sono per la maggior parte secondarie all’uso di comportamenti non salutari di controllo del peso e al basso peso.
I sintomi fisici possono essere così classificati:

  • Eccessiva sensibilità al freddo;
  • Sintomi gastrointestinali (stipsi, pienezza dopo aver mangiato, digestione lunga e difficile);
  • Capogiri e sincope;
  • Sonno disturbato e risvegli precoci mattutini.

Riguardo ai segni fisici, invece, è possibile fare un’altra classificazione:

  • Emaciazione, blocco della crescita e mancato sviluppo delle mammelle (se l’insorgenza del disturbo avviene in età puberale);
  • Pelle secca, peluria fine sulla schiena, avambracci e lati della faccia;
  • Mani e piedi freddi, ipotermia;
  • Bradicardia; ipotensione ortostatica; aritmie cardiache;
  • Edema (che complica la valutazione del peso);
  • Debolezza dei muscoli prossimali (difficoltà dall’alzarsi da una posizione di accovacciamento).

Inoltre, sono state individuate delle anomalie di tipo: endocrine, cardiovascolari (anomalie all’elettrocardiogramma), gastrointestinali; ematologiche (anemia normocitica normocromica moderata) e metaboliche (ipercolesterolemia, disidratazione).

Terapia: esistono vari tipi di terapia. Esse sono:

  • Terapia cognitivo comportamentale (CBT) : gli interventi sono finalizzati, non solo ad affrontare i pensieri disfunzionali che mantengono la dieta estrema o la riduzione cronica del peso, ma anche le assunzioni fondamentali associate ai conflitti interpersonali, i sentimenti di inefficacia, le lotte per l’autostima e le paure associate allo sviluppo psicosociale. Sono integrate nel trattamento anche le problematiche interpersonali e componenti della terapia familiare.
  • Terapia psicodinamica : parte dal presupposto che i disturbi dell’alimentazione sono specifici e necessitano di profonde modificazioni della gestione dei sintomi.
  • Terapia familiare : è un trattamento adeguato per le pazienti giovani e/o che vivono a casa dei familiari. Comunque, se l’anoressia nervosa dura da lungo tempo e il peso corporeo è molto basso, raramente la terapia familiare è efficace, a meno che non sia affiancata da altri interventi terapeutici finalizzati alla gestione dei sintomi.
  • Farmacoterapia : ha un’efficacia molto limitata. Difatti, occasionalmente le pazienti possono ottenere dei benefici dai farmaci. Comunque è stato riscontrato che l’uso di fluoxetina, dopo la normalizzazione del peso, riduca il tasso di ricaduta.
  • Ospedalizzazione  : si pone due obiettivi: il primo è quello di stabilizzare le condizioni medico-psichiatriche per gestire le complicanze acute del disturbo. Come secondo obiettivo, si pone di iniziare o continuare un percorso di cura finalizzato all’interruzione dei fattori di sviluppo e di mantenimento del disturbo, che in molto casi può sfociare con la guarigione della paziente. Il ricovero in strutture ospedaliere di riabilitazione intensiva ha una lunga durata (circa 90 giorni) perché è necessario far raggiungere al paziente almeno il 90% del peso corporeo atteso. Tale trattamento ha un alto tasso di successo. Con queste modalità di trattamento è possibile ottenere la normalizzazione del peso e di molti sintomi psicologici associati all’anoressia.

Esistono, inoltre, alcune pazienti croniche o resistenti che hanno partecipato a varie forme di trattamento nel corso degli anni, ma che la terapia non ha avuto successo. In questo caso, se la paziente è d’accordo, può essere inserita in un programma di “management medico” continuativo. Gli obiettivi della gestione del management medico sono solo mirati al mantenimento di una stabilità medica e psicologica.

 

Bulimia nervosa
E’ disturbo dell’alimentazione in cui il paziente sembra colpito da fame insaziabile e ingerisce alimenti in grande quantità e in modo non bilanciato. In molti casi, dopo il pasto si provoca il vomito o ingerisce lassativi, allo scopo di ingerire nuovamente cibo; in altri casi, la bulimia può alternarsi con periodi di anoressia, in cui il soggetto rifiuta il cibo.
Esiste tutto un cerimoniale nella “abbuffate”; spesso sono pianificate in gran segreto, e consumate molto rapidamente; la scelta per il cibo è quasi sempre per alimenti altamente calorici e dolci; in ultimo, il vomito viene prepotentemente cercato come liberatorio dallo stato di tensione.
La bulimia nervosa viene suddivisa in due sottotipi:

  • Bulimia nervosa con condotte di eliminazione;
  • Bulimia nervosa senza condotte di eliminazione.

Nel primo caso, la persona pratica regolarmente il vomito autoindotto o usa lassativi o diuretici o enteroclismi; nel secondo caso, invece, i comportamenti di compenso sono il digiuno o l’esercizio fisico eccessivo. Le persone che seguono condotte di eliminazione hanno, rispetto a quello che non lo fanno:

  • Un peso corporeo più basso;
  • Un’alterazione più marcata dell’immagine corporea;
  • Una maggiore ansia nei confronti dell’alimentazione;
  • Una più elevata frequenza di comportamenti autolesionisti e progetti di suicidio;
  • Un’età più precoce di insorgenza del disturbo;
  • Un elevata incidenza di abusi fisici e sessuali subiti;
  • Maggiori problemi di disidratazione e di squilibrio elettrolitico (in particolare l’ipopotassiemia).

Per quanto concerne i criteri diagnostici principali, può essere fatta una classificazione:

  • Abbuffate ricorrenti (assunzioni di grandi quantità di cibo con perdita di controllo ricorrente);
  • Comportamenti di controllo del peso estremi (ad esempio: dieta ferrea, vomito autoindotto, abuso di lassativi o diuretici, esercizio fisico eccessivo);
  • Valutazione di sé basata in modo predominante od esclusivo su alimentazione, peso, forme corporee e sul loro controllo.

I soggetti che soffrono di bulimia, a differenza di quelli che soffrono di anoressia, non conoscono il controllo ma la sconfitta.
L’introduzione del cibo, anche in questo caso, non è in relazione al fabbisogno calorico dell’organismo, ma è legata ad uno squilibrio della relazione con il mondo esterno e con se stessi.
Se però nell’anoressia l’emozione dominante è quella della vittoria, nella bulimia si cede senza potersi difendere a saziare una fame che non è del corpo ma dell’anima, e quando la sensazione di pienezza giunge, si è invasi da sensi di colpa devastanti che conducono al vomito indotto.
I mezzi di compenso, in particolare il vomito, portano però l’individuo ad avere altre abbuffate o per il meccanismo della deprivazione della dieta o perché con il vomito l’individuo pensa di aver trovato un mezzo semplice per eliminare calorie assunte in eccesso. Diventa così un circolo vizioso (abbuffata – vomito – abbuffata – vomito)
Chi soffre di questo disturbo ha spesso problemi di ansia e si tiene lontano da situazioni sociali, soprattutto se riguardano il consumo di cibo (matrimoni, feste, etc.); spesso è irritabile e va incontro a frequenti scoppi di rabbia; a volte adotta comportamenti autolesionisti per allentare la tensione o abusa di sostanze.
Il disturbo inizia in genere dopo eventi stressanti minaccianti l’autostima (ad esempio: fallimenti scolastici, problemi sentimentali, difficoltà interpersonali, commenti negativi sull’aspetto fisico) e poiché le persone a rischio di sviluppare la bulimia nervosa sono particolarmente sensibili alla pressione culturale sulla magrezza è verosimili ipotizzare che cerchino di far fronte a queste difficoltà concentrandosi sul corpo e perseguendo la magrezza.
Inoltre, c’è da dire che le persone affette da bulimia nervosa, non adottano un regime dietetico ordinario, ma seguono una dieta ferrea perché essa, oltre ad essere fortemente ipocalorica, è particolarmente rigida. Il fare la dieta in modo ferreo è probabilmente legato al perfezionismo ed al pensiero “tutto o nulla”.
La dieta ferrea è la maggior responsabile della comparsa delle abbuffate attraverso tre meccanismi:

  • Pensiero “tutto o nulla” e perfezionismo. Seguire diete ferree in modo perfezionistico porta prima o poi inevitabilmente a compiere piccole trasgressioni; quando queste si verificano, il soggetto pensa subito di aver perso il controllo e si abbuffa.
  • Alterazione della fame e della sazietà. Numerosi studi hanno evidenziato che la dieta ferrea porta ad un aumento della fame e dell’appetito nei confronti dei carboidrati in particolare, probabilmente a causa delle modificazione di alcuni neurotrasmettitori cerebrali, fra cui la serotonina, e questo effetto è più pronunciato nelle donne che negli uomini.
  • Emozioni negative. Le abbuffate, soprattutto nei primi momenti, possono determinare del piacere, perché allentano la tensione del dover seguire in modo ferreo la dieta. Questa sensazione piacevole iniziale può essere utilizzata da chi soffre di bulimia nervosa per “bloccare” altre emozioni negative. Tale comportamento da, però, origine ad un circolo vizioso poiché le abbuffate, passati i primi momenti piacevoli, determinano la comparsa di emozioni negative (senso di colpa, disgusto, paura di ingrassare) che, a loro volta, possono innescare nuove abbuffate.

Chi colpisce: il disturbo colpisce l’1% delle giovani donne. Come per l’anoressia nervosa, l’età d’esordio del disturbo è compresa fra i 12 e i 25 anni, però nella bulimia nervosa il picco di maggiore frequenza è a 17-18 anni. Gli individui colpiti nel 90% dei casi, sono di sesso femminile. Gli uomini sono colpiti raramente.
La bulimia nervosa, inoltre, sembra essere molto rara nei paesi in via di sviluppo.
Infine, le persone colpite sono generalmente di peso normale, alcune lievemente sottopeso, altre leggermente sovrappeso.

Le cause: le cause della bulimia nervosa, vanno ricercate in eventi quali: obesità nell’infanzia, obesità dei genitori, alcolismo dei genitori, ed altri fattori sociali che sensibilizzano l’individuo nei confronti del suo peso e forme corporee ed incoraggiano la dieta e la ricerca della magrezza.
Altri fattori di rischio, infine, includono peculiari tratti di personalità (ad esempio: bassa autostima o perfezionismo).

Disturbi organici: Il quadro clinico dei soggetti bulimici rivela lesioni a diversi organi: erosione dei denti, dovuta ai ripetuti episodi di vomito; lesioni della mucosa esofagea; aumento del volume delle ghiandole paratiroidi; infiammazione del tubo digerente; alterazione del bilancio idrico e dei sali, soprattutto del potassio, derivante dall’uso prolungato dei lassativi, da cui possono derivare estrema debolezza, paralisi e anomalie della contrazione cardiaca. Altri disturbi possono derivare dagli effetti collaterali dei farmaci assunti frequentemente dai bulimici, quali i lassativi, sostanze emetiche che inducono il vomito e, nel caso dei bulimici-anoressici, gli anoressizzanti per ridurre l’appetito e i diuretici.

Terapia: La terapia più efficace della bulimia nervosa, sembra essere la terapia cognitivo comportamentale (CBT). Il trattamento è diviso in tre fasi, finalizzate ad erodere i principali fattori comportamentali e cognitivi di mantenimento del disturbo (dieta ferrea, abbuffate, vomito autoindotto e preoccupazione estrema per il peso e l’aspetto fisico). Gli studi più recenti hanno evidenziato che la CBT determina una riduzione media del numero di abbuffate alla fine del trattamento variabile dal 73% al 93% dei casi, e una riduzione dei mezzi di compenso dal 77% al 94%.
La diminuzione della frequenza nelle abbuffate è accompagnata da una significativa riduzione dei livelli di restrizione alimentare, con un aumento della quantità di cibo assunto fra gli episodi bulimici ed una diminuzione significativa della preoccupazione per il peso e le forme del corpo. La terapia, infine, procura un notevole miglioramento della depressione, un aumento dell’autostima e della funzionalità sociale e una diminuzione dei disturbi di personalità spesso associati alla bulimia nervosa.
L’esperienza clinica, comunque, suggerisce, che si possono provare le seguenti opzioni:

  • Terapia cognitivo comportamentale focalizzata sui fattori interpersonali e sul deficit del concetto di sé;
  • Terapia farmacologica con antidepressivi;
  • Terapia interpersonale.

Obesità
Patologia caratterizzata dall'accumulo di eccessive quantità di tessuto adiposo a livello sottocutaneo, e da un peso corporeo molto al di sopra dei valori normali. Lo sviluppo dell’obesità a partire da uno stato iniziale di sovrappeso può avvenire più o meno gradualmente, a seconda dell’individuo colpito. Il sovrappeso può manifestarsi nell’infanzia e successivamente regredire, oppure perdurare anche nella vita adulta. L’obesità può anche comparire in età avanzata.
La presenza di grasso corporeo si riscontra in tutti i mammiferi, in alcuni dei quali spessi pannicoli adiposi permettono la sopravvivenza in climi particolarmente rigidi o durante il periodo del letargo. In condizioni normali, nella specie umana il grasso corporeo costituisce il 25% del peso corporeo delle donne e il 15% di quello degli uomini; quando esso supera tali valori, porta progressivamente a una condizione di sovrappeso e, infine, di obesità vera e propria. Per dare una valutazione pratica del grado di sovrappeso o di obesità di un individuo, si utilizza il cosiddetto indice di massa corporea (IMC, o indice di Quetelet), che corrisponde al rapporto tra il peso (espresso in chilogrammi) e il quadrato dell’altezza (espressa in metri quadrati). Utilizzando tale parametro, si parla di sovrappeso se esso è compreso tra 25 e 30, e di obesità se supera il valore 30.

Si può evidenziare una differente distribuzione del grasso corporeo:

  • Androide : fascio-tronculare (o all’addome);
  • Ginoide : bacino, anche, glutei, cosce;

Queste sono fisiologiche, mentre vi sono distribuzioni dell’adipe patologiche:

  • A “manicotto” : alle anche, cosce, braccia, doloroso alla pressione (malattia di Dercum)
  • Alle anche, glutei, arti inferiori con dimagrimento fascio-toracico (malattia di Barraquet-Simon).

Chi colpisce: notevole è la diffusione nei paesi industrializzati: 40-50% della popolazione degli USA, di varie decine di punti percentuali in Europa.
E’ stato, inoltre, notato che vi è un aumento dell’obesità nella fascia della popolazione più anziana.

Le cause: si tratta di un fenomeno dove le cause genetiche ed ambientali si intrecciano e si avvitano con modalità complesse, che coinvolgono aspetti sociali, fattori familiari, abitudini di vita, motivazioni psicologiche, stress situazionali, etc.
Sul piano psicologico, va evidenziata la confusione fra bisogni diversi, dove stanchezza, malessere ed altre esigenze vengono sedate con il cibo, come se l’alimentazione potesse soddisfare ogni bisogno. Il cibo, infatti, è associato a sensazioni di sicurezza, soddisfazione, amore e piacere.
Oppure le reazioni individuali agli stress, per cui mangiare può compensare un’affettività repressa, sostituire un’aggressività che non può essere espressa, consolare le piccole delusioni, fino a placare l’angoscia o la depressione.
Inoltre, possono anche essere presenti disturbi a livello dell’apparato digerente, che alterano la capacità di assorbimento delle sostanze nutritive. Alcuni ricercatori hanno dimostrato che gli individui di peso normale compensano eventuali eccessi alimentari in modo fisiologico, alimentandosi in minore quantità, mentre gli obesi non sembrano in grado di attuare questo controllo. In alcuni di questi, la massa corporea può raggiungere un valore superiore alla norma perché, anche se i meccanismi che controllano il metabolismo energetico sono efficienti, vengono ”regolati” su un valore di equilibrio troppo alto. In tal caso, la causa della patologia può risiedere in un’alterazione dei centri di controllo nervosi. Si è anche verificato che l’obesità può insorgere dopo alcuni eventi scatenanti, quali la gravidanza, un’attività fisica forzatamente ridotta e disturbi psicologici.

Un particolare gene, chiamato “Ob”, codifica per un ormone, la leptina, che agisce a livello del tessuto adiposo e regola l’assunzione di cibo in dipendenza del consumo energetico. La mutazione di questo gene determina la sintesi di un ormone inefficace. Poiché il gene Ob è un gene recessivo, affinché si sviluppi l’obesità devono risultare mutati entrambi gli alleli portati dall’individuo; la presenza di anche un solo gene sano permette, dunque, un normale controllo del peso. L’obesità può svilupparsi anche quando risultano mutati non i geni, ma i recettori cellulari della leptina presenti nel cervello; in tal caso, infatti, anche se l’ormone viene prodotto normalmente, non può agire perché i recettori mutati non riescono a riconoscerlo e a legarlo correttamente e, dunque, non consentono a livello cerebrale la trasmissione del segnale di controllo per l’assunzione del cibo.

Complicanze mediche: I soggetti obesi vanno incontro a possibili complicazioni del loro stato di salute generale, perché il sovrappeso ha effetti negativi soprattutto sull’apparato scheletrico e sull’apparato circolatorio.
Rappresenta un fattore di rischio per:

  • Le malattie cardiovascolari : ipertensione, insufficienza cardiaca, ischemia miocardica;
  • Le malattie respiratorie : sindrome di Pickwick;
  • Le malattie dismetaboliche : diabete melitto, ipercolesterolemie, ipertriglicedidemie;
  • Le malattie osteo-articolari : in particolare l’artrosi;
  • Le complicanze chirurgiche : aumento del rischio anestesiologico.

Terapia: Il tradizionale trattamento del paziente obeso consiste in un regime alimentare ipocalorico (in cui l’introito giornaliero di calorie è inferiore a quello ritenuto normale per una persona della stessa età e che svolge una normale attività fisica) che viene stabilito da un medico specialista (dietologo) e, nei casi più gravi, può essere seguito in appositi centri di cura. Talvolta vengono prescritte diete proteiche liquide, simili a quelle utilizzate per alcuni pazienti ricoverati in ospedale, che, tuttavia, sconvolgono il naturale equilibrio idrosalino dell'organismo e compromettono la funzionalità cardiaca. Altri approcci terapeutici possono affidarsi a farmaci anoressizzanti, i cui principi attivi, derivati dalle anfetamine, agiscono inibendo la sensazione di fame. Vi sono dubbi, comunque, sull’efficacia dei risultati ottenuti con questa terapia; inoltre, sembra che la prolungata assunzione di essi provochi dipendenza. Per questi motivi, l’uso di anoressizzanti è oggi sempre più raro.

Terapia chirurgica: Esistono due tipi di intervento chirurgico che permettono di affrontare l’obesità grave e resistente ai regimi alimentari: il by-pass ileale e il by-pass gastrico. Nel primo intervento viene asportato un tratto di intestino allo scopo di ridurre l'assorbimento delle sostanze nutritive; questo intervento è comunque attualmente assai poco praticato, poiché può innescare gravi effetti collaterali, come danni al fegato e diarrea cronica, e ha provocato persino decessi. Nella procedura del by-pass gastrico, una considerevole proporzione dello stomaco viene chiusa con graffe chirurgiche; in tal modo, viene notevolmente ridotta la quantità di cibo che il soggetto riesce ad assumere.

 

 

Fonte: http://www.atuttascuola.it/allegati/pedagogia/Tesina_scienze_biomediche.doc

Sito web da visitare: http://www.atuttascuola.it

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

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