Fratture spostamento delle fratture

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Fratture spostamento delle fratture

 

Le complicanze tardive delle fratture

Bisogna considerare sia disturbi di consolidazione, cioè un ritardo nella formazione della pseudoartrosi, poi un altro disturbo importante, che rende necessario l’intervento chirurgico, che è la necrosi ossea, la morte dell’osso, dovuta ad alterata vascolarizzazione, mancato apporto ematico e quindi ad una situazione ischemica. Ci sono delle strutture ossee che più frequentemente vanno incontro a necrosi, specialmente le porzioni epifisarie ad es. una frattura della testa dell’omero in più frammenti dà come complicanza frequente una necrosi, tanto che se si tratta di una persona anziana talvolta non vale neanche la pena di andare a ricostruire, a quel punto conviene togliere tutto e mettere una protesi; se fosse una persona giovane bisogna invece tentare le ricostruzione della testa dell’omero, dobbiamo quindi preservare una qualità adeguata all’aspettativa di vita. Lo stesso può accadere per la testa del femore, cioè la frattura mediale, intracapsulare del collo del femore, il tentativo, specialmente in una persona anziana, di fare una sintesi è sbagliato, specialmente se c’è una dislocazione; il tentativo più adeguato è di togliere la testa e mettere la protesi. In una persona giovane bisogna tentare di fare una sintesi. Un’altra porzione che va frequentemente in necrosi è lo scafoide fratturato, tutto ciò perché queste ossa hanno una particolare vascolarizzazione, il pericolo della necrosi va tenuto ben presente anche in casi di lussazione della testa del femore con sfondamento dell’acetabolo.
Vizi di consolidazione: è un’alterata costruzione del callo osseo al di fuori di quelli che sono gli assi anatomici di carico e dell’assialità dello stesso osso lungo. In reparto c’è proprio un caso di osteogenesi imperfetta, che è una malattia che nelle forme meno gravi espone il paziente a delle frequentissime fratture, mentre nelle forme più gravi è incompatibili con la vita; in questi casi meno gravi le ossa si curvano, soprattutto quelle da carico, si fratturano facilmente, perché non c’è una buona calcificazione dell’osso, abbiamo addirittura operato casi con femori piegati a 90°. Si hanno invece vizi di consolidazione quando si pone male la frattura nella riduzione e poi praticamente si deve per forza operare, perché ci sono delle deviazioni che non consentono un buon carico, o che addirittura provocano dei notevoli accorciamenti. Poi ci può essere, in seguito alla frattura, una complicanza che fa in genere parte di una frattura a livello articolare, ed è l’artrosi postraumatica. Quindi una frattura che sta ai margini o all’interno della struttura articolare, per esempio le fratture sovradiacondiliodee, (-dia-: attraverso i condili) quindi “cascano” nell’articolazione, le fratture del piatto tibiale, le fratture dell’articolazione coxofemorale (testa del femore o acetabolo) le fratture che interessano la cavità glenoidea della scapola, il collo della scapola con l’omero stesso, sono fratture che ovviamente impediscono la motilità articolare.
Quale è la terapia provvisoria di una frattura? Prima di tutto tutela provvisoria con mezzi di fortuna: dobbiamo essere in grado di immobilizzare l’arto con ciò che abbiamo a disposizione, nel concetto di mettere a riposo l’arto lesionato, ad esempio il braccio va tenuto addotto e flesso; nell’arto inferiore l’immobilizzazione deve essere ad L (angolo piede-gamba). Frattura di gamba: frattura di tibia e peròne (non dite pèrone), mentre la frattura di avambraccio corrisponde alla frattura di ulna e radio, quindi con il piede a 90°, perché questa è la posizione di equilibrio tra muscolatura flessoria ed estensoria, inoltre la fasciatura deve essere effettuata riducendo il rischio di esposizione della frattura, frequente nella zona in cui la gamba è ricoperta solo da cute e sottocute, si può praticare con valva gessata o con immobilizzazione pneumatica, sistema che utilizzano soprattutto i militari. La terapia d’elezione è invece riduzione, cruenta (osteosintesi) o incruenta, ed immobilizzazione tramite gesso. Mostra varie immagini di immobilizzazione  trazione transcheletrica su delle sedi elettive che Sono per l’arto inferiore il calcagno nel quale si infligge un filo apposito di tre mm con un trapano oppure attraverso l’apofisi tibiale anteriore oppure un’altra sede è attraverso i condili femorali a seconda del livello della frattura. Per la frattura di femore si preferisce la trazione tibiale così il filo non invade la struttura che dovremo trattare chirurgicamente. La trazione consente di mettere in asse l’arto fratturato senza che vi siano spostamenti laterali o longitudinali della frattura. La trazione transcheletrica deve durare il meno possibile, se è possibile andrebbe evitata, se il paziente è in urgenza e deve andare in rianimazione, meglio utilizzare una fissazione esterna, che stabilizzi la frattura momentaneamente e che eviti stillicidio ematico, soprattutto se è un politraumatizzato, e consenta di evitare il dolore. La trazione classica per una frattura di omero a vari livelli è un filo di trazione che si mette attraverso l’olecrano.
Rapidissima carrellata di fratture (i lucidi sono da Universitalia) clavicola: è frequente la frattura nel neonato e nell’adulto, i tempi di consolidazione sono diversi: si passa da 6 giorni per una frattura di un bambino appena nato, ad un mese per una frattura di un adulto; la frattura nel bambino si rimodella benissimo ed in simmetria con l’arto controlaterale, mentre nell’adulto si possono creare delle asimmetrie perché i monconi si sovrappongono. Per quanto riguarda le immobilizzazioni nel neonato va messa questa qui, nel bambino questa fasciatura invece nell’adulto va messa una trazione del tipo petit cioè dei tubuli che si mettono alla radice dell’arto e tengono l’arto orientato posteriormente in modo da riparare questa frattura. Oggi si mettono anche dei più moderni tutori per la clavicola. Come si muove la frattura rispetto alle trazioni muscolari allora rispetto alla clavicola dalla parte mediale c’è l’origine dello sternocleidomastoideo e del muscolo pettorale, dall’altra parte c’è l’inserzione del trapezio, e del deltoide, allora il frammento mediale si pone in alto, mentre quello laterale in basso. La clavicola è uno di quei pochi casi di frattura in cui meno si opera e meglio è perché ci sono molte complicanze.
La lezione vera e propria finisce qui, si continua in aula Fleming con la lezione magistrale di Monteleone per l’addio all insegnamento… ci fa vedere un filmato degli anni ‘60 di una mano artificiale che il nostro progettò da giovane. In sostanza un elettrodo cutaneo posto sul moncone rileva la depolarizzazione del muscolo ed invia un segnale alla mano motorizzata che compie un movimento omologo a quello a cui era deputato il muscolo. La novità rispetto alle soluzioni precedenti (tipo capitan uncino) è che la forza per produrre il movimento proviene dalla protesi e non dal moncone. Tale protesi era in grado anche di variare la velocità di apertura e chiusura in proporzione alla frequenza di scarica rilevata sul muscolo; era inoltre possibile effettuare movimenti di pronosupinazione. Il filmato prosegue mostrando le successive modifiche per ridurre l’ingombro delle pile, dei motori e della componentistica “elettronica”. Alla fine del filmato il nostro illustra le ragioni dell’industria che gli ha dato buca e non l’ha prodotta perché in Italia non c’è la legge islamica, ed ora le protesi vengono importate dall’estero, ma nessuna ha i gradi di libertà di quella progettata da loro.

Ci parla ora dell’osteite fibrosa e del cosiddetto tumore a mieloplassi

L’osso reagisce agli insulti con l’attivazione di osteoblasti per la costruzione ed osteoclasti per il riassorbimento e talvolta finisce per costituire un tessuto patologico; spesso la displasia fibrosa partecipa alla formazione dei diversi tumori dell’osso… pistolotto sull’ignoranza degli studenti… passiamo quindi al vero argomento della lezione di oggi che è il tumore a mieloplassi, che io non considero un vero e proprio tumore, ma solo una displasia. Quando il comportamento clinico di uno pseudotumore a mieloplassi assume il comportamento di un vero tumore, a mio parere non è giusto parlare di tumore perché c’è quel tessuto fibroso che è la vera causa della benignità e della malignità, non è nel mieloplassi la vera causa, dove hanno sprecato il loro tempo moltissimi ricercatori, addirittura due autorevoli ricercatori americani avevano classificato in vari gruppi questo cosiddetto tumore, ma dopo varie discussioni e scontri che hanno avuto con me, che avevo visto centinaia di casi di cosiddetto tumore a mieloplassi, dovette ammettere che la sua classificazione era di puro interesse… (con tono schifato)  insomma per gli studenti; gesto ignobile perché agli studenti si deve dire la verità, non cose che poi risultano false. Lui (l’americano) nella classificazione faceva le differenza tra i mieloplassi in base al numero dei nuclei, in base al contenuto di cromatina…(adesso mostra una sezione di mieloplassi fatta da lui) questa cellula multinucleata è immersa in un tessuto fibroso e la chiave del comportamento non è nella cellula, ma proprio nel tessuto fibroso, infatti l’eventuale malignità va valutata quando ci sono numerose mitosi nell’ambito del tessuto fibroso. Perché io dico che il cosiddetto tumore a mieloplassi non è una cellula tumorale? Andiamola a studiare non c’è bisogno dei ritrovati di oggi ma vi farò vedere altri reperti storici che risalgono addirittura a quasi mezzo secolo fa’: questa è una micrografia elettronica del 1956, questi sono i vari nuclei, e questa moltitudine di corpiccioli neri non è altro che i mitocondri, che indicano che questa è una cellula con prevalente glicolisi anaerobia, non solo, ma è talmente differenziata che ha delle strutture ergastoplasmatiche, cioè delle strutture destinate alla sintesi proteica elevatissime, quindi è una cellula altamente differenziata. Ora voi sapete che normalmente le cellule tumorali non hanno una elevata differenziazione, anzi la malignità e maggiore se maggiore è la loro indifferenziazione. Invece la diagnosi va fatta studiando lo stroma. Il trattamento migliore se non volete avere recidive perché la forma a mieloplassi, che non è una vera e propria forma tumorale, ma è una displasia con capacità di recidiva, l’unica soluzione è la resezione. (segue qualche minuto in cui non si capisce nulla)… che cos’è?, non è altro che una cavità che in genere si scopre in maniera occasionale o in seguito ad una frattura, infatti la sede più comune è la metafisi omerale prossimale, perché nei bambini è una della cadute più frequenti. Ora: una emorragia che si vada a creare in una parete anelastica, cioè nella corticale, il tumore a mieloplassi si sviluppa infatti se c’è stata qualche emorragia nell’epifisi, mentre la cisti solitaria è più facile che si vada a formare nella metafisi perché c’è un osso più duro, decisamente anelastico in cui se si va a creare un versamento si verifica ciò che si chiama una differenza di pressione intratissutale. Ci sono degli studi ANTICHI!! ma vedremo come confermati da studi moderni che dimostrano che quando c’è differenza intratissutale di pressione il mesenchima dell’osso scatena una sindrome osteoclastica, cioè aumenta il riassorbimento, e quindi s crea una cavità che si forma per un meccanismo di difesa, quella osteite fibrosa. Si crea questo tessuto parietale in cui noi possiamo riconoscere le cellule giganti. L’intuizione di questa variazione di pressione la ebbero due ricercatori (incomprensibili) ed il sottoscritto ha trovato la conferma sperimentale, nel ’76 pubblicai uno studio su delle cisti ossee che si producevano nel coniglio, come si producevano queste cisti? Prendevo un coniglio nella fase in cui c’era ancora la cartilagine di accrescimento in maniera da essere sicuri di non invadere l’epifisi, con una fresa da dentisti producevo una cavità all’interno della diafisi, inoltre immettevo nella cavità della eparina realizzando una cavità in cui si realizzava una emorragia a pereti anelastiche. Quindi si formava una parete fibrosa in cui erano riconoscibili le cellule di..? questa è la famosa osteite fibrosa cioè il modo che ha l’osso di reagire ai vari insulti, e siccome c’era stato il versamento si verificava la comparsa degli spazzini, cioè delle cellule giganti; quindi ho dimostrato che le variazioni di pressione nell’osso provocano un meccanismo di tipo osteoclastico. Per ciò che riguarda il cosiddetto tumore a mieloplassi in cui ci sono queste zone molto ampie e quindi c’è una reazione più imponente il cosiddetto trattamento con trapianti non funziona, perché l’innesto viene riassorbito, infatti l’innesto ricrea una situazione di compressione e si va incontro ad una recidiva; inoltre quando si tratta di un’epifisi con una manifestazione clinica ed anatomopatologica molto più imponente, l’unica soluzione è quella della resezione e del cosiddetto trapianto che si dovrebbe chiamare innesto, perché oggi si dice che il trapianto e quando il segmento viene spostato con il suo peduncolo vascolare invece era assolutamente avascolare ed aveva attecchito prendendo l’estremo prossimale del peròne, applicato al posto dell’estremo prossimale radiale si modella bene, si adatta bene e non c’è bisogno del peduncolo vascolare, si riabita sempre. Arriviamo alla cisti ossea, succedeva la stessa cosa: si faceva il borraggio (che dovrebbe essere il nome di questo COSIDDETTO trattamento di riempimento della cavità con innesti), cioè ricreavano la situazione di pressione e facevano un disastro perché si ricreava la recidiva. Allora le alternative erano due la più semplice la fece Toscanelli (?) con delle infiltrazioni di cortisone, lui però non riusciva a capire perché: la spiegazione gliela ho data io e lui l’ha accettata cioè il cortisone rende permeabile la cavità e consente il riassorbimento di quel liquido che è rimasto. Se però la lesione è sotto il plateau tibiale come nel caso di una bambina di tre anni in cui non si poteva certo andare a immobilizzarla per tutto il tempo necessario ad evitarle una frattura, allora in quel caso mi venne l’idea vedendo come veniva puntellato un solaio, in cui l’abile muratore dice “io non disarmo se non ha tirato bene il cemento”, allora ho pensato ad una struttura che avesse il ruolo di sostegno meccanico ma al contempo anche un ruolo biologico: allora si apriva la cavità e si praticava questo autoinnesto, i casi più semplici si trattavano invece soltanto con il cortisone. Quando il materiale di trapianto o di innesto e prelevato dallo stesso soggetto si parla di autotrapianto o autoinnesto; quando l’innesto o il trapianto è prelevato da un individuo della stessa specie si parla di omotrapianto e omoinnesto; se invece si ricorre ad altra specie (bovino, suino e compagnia) si parla di etrotrapianto o etroinnesto. Se invece il materiale impiegato è addirittura di altro tipo rispetto all’originale si parla di alloinnesto o allotrapianto.

Fonte: http://digilander.libero.it/sbobinrete/Orto_06_06_2003.doc

Sito web da visitare: http://digilander.libero.it

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

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