La dislessia evolutiva

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La dislessia evolutiva

 

Premessa
Poiché il punto di partenza per così dire “obbligato” rispetto alla trattazione di una disabilità è rappresentato dalla definizione dell’abilità corrispondente, tale lavoro prevedrà in apertura una parte propriamente dedicata ad una sintesi esplicativa dei normali processi cognitivi legati alla lettura; tali paragrafi costituiranno un imprescindibile presupposto all’esposizione delle principali modalità di approccio moderno allo studio ed alla ricerca intorno a questo tipo di disturbo; una volta poi chiariti alcuni termini chiave e proposte le principali classificazioni medico-scientifiche elaborate in tempi recenti, la presente relazione si concentrerà sugli elementi e sui nodi problematici legati a due momenti decisivi nel modo di affrontare i deficit dell’apprendimento di tale abilità, vale a dire l’iter diagnostico ed il conseguente intervento riabilitativo.
I. L’abilità di lettura
La lettura è un’abilità definita “metalinguistica” in quanto, a differenza del linguaggio, non viene acquisita dall’uomo semplicemente attraverso un processo naturale e meccanico, bensì necessita preliminarmente di un approccio consapevole ad un training specifico di apprendimento, che conduca il soggetto all’automatizzazione del compito.
Ma come avviene concretamente l’attività del “leggere”?
Gli occhi umani, aperti dinnanzi ad un testo scritto, effettuano dei tanto piccoli quanto rapidi scatti, definiti “movimenti saccadici”; ciascuno di tali moti si verifica fra due periodi in cui invece gli occhi stanno fissi, per cui assume la denominazione di “fissazione”; tenendo conto che la percezione di un testo scritto avviene consuetamente da sinistra verso destra e che la visuale piena copre un angolo di circa due gradi, l’ampiezza di fissazione corrisponde ad un numero indicativo di sette/otto lettere; tuttavia, poiché la visione periferica riesce invece ad estendersi per una spaziatura quasi doppia, in ogni istante é teoricamente disponibile al lettore la percezione approssimativa di una quindicina di grafemi; all’integrazione delle suddette fissazioni ed alla relativa deduzione delle informazioni, è preposto un magazzino mnemonico, il quale fa parte del sistema che costituisce la memoria a breve termine, in grado di trattenere per alcuni secondi gli stimoli visivi ricevuti.
Si distinguono generalmente due livelli di lettura:
a) la cosiddetta “lettura strumentale” , che può realizzarsi ad alta voce o in modo silente, la quale consiste nella capacità di denominare le parole di un qualsiasi testo scritto, rispettando i parametri della rapidità e della correttezza;
b) la lettura intesa come comprensione di un testo scritto, la quale invece coincide con la capacità del lettore di rappresentarsi mentalmente il contenuto di ciò che si è decifrato.
Dal momento che la ricerca medico-scientifica ha dimostrato che quello di decodifica e quello di comprensione costituiscono due processi distinti, non è più ammesso cadere nell’errore di considerare esaurito l’apprendimento dell’abilità di lettura allorché si sia raggiunto un livello di capacità decifrativa tale da consentire correttezza e rapidità adeguate, o nell’inesattezza di associare direttamente la mancanza di acquisizione di questa competenza a difficoltà di comprensione: in sintesi, una lettura strumentale inadeguata non implica necessariamente una scarsa comprensione, così come un problema nel capire il contenuto di un testo scritto non è sempre legato ad un deficit di decodifica.
II.  L’apprendimento della lettura strumentale
La lettura strumentale, come si è detto, consiste nella capacità di riconoscere e nominare correttamente le parole che compongono un testo scritto.
Ma quali sono i processi messi in atto che consentono la corretta applicazione di questa abilità?
In merito a tale questione non esiste ancora una visione univoca fra i ricercatori, bensì sono stati elaborati diversi modelli; in questa sede, si vuole fornire una sintetica presentazione di tre fra questi approcci teorici moderni, che hanno avuto una eco significativa.
a) Alla fine degli anni Settanta del XX secolo, gli studi condotti nel campo della neuropsicologia cognitiva hanno condotto lo studioso Coltheart alla costruzione di un modello di apprendimento della lettura definito “a doppia via”, ripreso, fra gli altri, qualche anno dopo anche da Sartori ; secondo tale ipotesi esistono: una via diretta lessicale, attraverso cui il riconoscimento della parola avviene grazie al confronto fra le caratteristiche visive della parola e la sua rappresentazione mentale ed una via indiretta sub-lessicale o fonologica, tramite la quale ogni parola viene letta grazie alla segmentazione nei singoli grafemi ed alla sua successiva ricomposizione nella sequenza dei fonemi corrispondenti.
b) Negli anni Ottanta del secolo scorso la studiosa Frith ed i suoi collaboratori hanno elaborato un modello evolutivo a stadi, basato sul presupposto che l’apprendimento della lettura avvenisse secondo un andamento strettamente gerarchico: I) il primo stadio, definito logografico, è quello, fatto coincidere con l’età prescolare, in cui il bambino riesce a riconoscere determinate parole grazie alla presenza di alcuni indizi, che egli ha già imparato a discriminare, pur non possedendo ancora nessuna conoscenza in merito alla struttura ortografica ed a quella fonologica di quelle parole; II) il secondo, denominato stadio alfabetico, che coincide coi primi anni di scolarizzazione, durante il quale l’individuo apprende l’esistenza di una forma orale e di una scritta di ciascun termine; grazie all’applicazione pur ancora instabile del meccanismo di conversione grafema/fonema, egli riusce a leggere anche parole a lui ignote e ad imparare l’operazione di segmentazione fonetica, riconoscendo appunto la presenza delle singole lettere; III) lo stadio ortografico, vale a dire quello in cui il soggetto, avendo compreso l’esistenza di una regolarità nel meccanismo di conversione grafema/fonema, comprende che la combinazione delle lettere non è né illimitata né casuale, bensì sottoposta alle regole ortografiche e sintattiche della lingua; IV) lo stadio lessicale infine, consente al bambino l’automatizzazione della lettura attraverso la formazione di un magazzino lessicale: le conoscenze maturate nel corso degli stadi precedenti gli consentono, pertanto, di abbandonare la strategia di conversione grafema/fonema per tutte le parole, giacché quelle già note vengono lette accedendo direttamente alla forma complessiva.
c) Sempre intorno al principio degli anni Ottanta del 1900, fu proposto dallo studioso Bakker il cosiddetto “modello neuropsicofisiologico della lateralizzazione emisferica” (o “modello dell’equilibrio”) , secondo il quale i soggetti normodotati, nell’apprendimento della lettura, attraversano una prima fase in cui predominano le strategie visuo-percettive ed una successiva caratterizzata invece da strategie linguistiche; a questo passaggio da un tipo di processo all’altro corrisponde un mutamento della distribuzione dell’attività a livello celebrale: mentre, infatti, nella fase visuo-percettiva si registra la maggiore attivazione di alcune aree dell’emisfero destro, in quella linguistica s’incrementa sensibilmente l’attivazione di zone appartenenti a quello sinistro.
III. La lettura come “comprensione di un testo scritto”
L’abilità di lettura, come anticipato nel paragrafo I, non può dirsi completamente acquisita allorché sia stato automatizzato il processo di decodifica, di cui si è invece trattato nel paragrafo precedente, ma solo quando il lettore abbia anche effettivamente raggiunto lo scopo fondamentale di questa attività, vale a dire la capacità di capire il contenuto del testo che abbia di fronte; la comprensione di un testo scritto richiede, in effetti, l’attivazione di processi più complessi rispetto alla semplice decifrazione, grazie ai quali chi legge è in grado di compiere le seguenti operazioni: ricavare, elaborare e ricordare le informazioni lette; grazie a tale meccanismo, pertanto, vengono chiamate in causa le capacità mnemoniche, indispensabili per stimolare il processo di apprendimento.
Tale procedimento viene influenzato tanto da componenti variabili legate alle caratteristiche del testo (aspetti lessicali, legami sintattici, nessi logici fra le proposizioni…ecc.), quanto da quelle apportate dal singolo lettore (conoscenze pregresse, atteggiamento nell’approccio alla lettura, modalità di funzionamento dei sistemi di elaborazione, processi metacognitivi); dall’incontro di tutti questi elementi, dunque, risulta il grado di comprensione, che può allora essere definita come: la costruzione di una rappresentazione mentale risultante dall’integrazione delle nuove informazioni, tratte dal testo, all’interno delle strutture conoscitive preesistenti.

IV. Un chiarimento terminologico: alcune etichette diagnostiche di frequente utilizzo
Prima di procedere all’approfondimento del tema centrale della presente relazione, ovvero il disturbo evolutivo specifico nell’apprendimento della lettura strumentale, si ritiene opportuno definire sinteticamente alcuni termini, che rientrano tutti nell’ambito dell’abilità di lettura, ma che rappresentano etichette diagnostiche non sovrapponibili né utilizzabili come sinonimi per alludere a situazioni cliniche analoghe; non sono in effetti interscambiabili termini quali Dislessia Evolutiva, Dislessia Acquisita ed Alessia, che pure alludono tutti ad un deficit nell’acquisizione della capacità di decodifica.
A proposito della prima espressione, di cui si tratterà ampiamente nel seguito di questo lavoro, basti per ora dire che sottintende una incapacità parziale, di natura primaria, che un individuo manifesta rispetto al compito di lettura strumentale; la seconda definizione, che condivide con la precedente il primo termine, allude però ad un disturbo non presente alla nascita, bensì subentrato in seguito ad un danno subito dal S.N.C. , generalmente a causa di traumi, lesioni o neoformazioni tumorali; tale deficit può colpire sia soggetti in età evolutiva, che in tal caso hanno solitamente buoni margini di miglioramento, sia persone adulte; l’ultima etichetta citata descrive invece una situazione nella quale, per una molteplicità di motivi possibili di natura primaria o secondaria, è presente l’incapacità pressoché totale di procedere alla decodifica di un testo scritto.

V.  La Dislessia Evolutiva: definizioni medico-scientifiche
Rispetto al disturbo primario nell’apprendimento della lettura decifrativa, sono state elaborate molteplici definizioni; in questa sede, al semplice scopo di fornire una base di partenza all’introduzione di questo argomento, ci si riferisce a quelle proposte rispettivamente dal DSM IV e dall’ICD-10, le quali peraltro non differiscono tra loro nella sostanza.
a) La quarta edizione (1996) del Diagnostic Statistic Manual degli psichiatri nord-americani definisce tale deficit come un disturbo che si manifesta nell’apprendimento della lettura strumentale nonostante un’istruzione adeguata, in assenza di deficit intellettivi, neurologici o sensoriali ed in presenza di condizioni socio-cuturali adeguate; secondo la tabella allegata a tale definizione, inoltre, l’incidenza dei disturbi di lettura sulla popolazione sarebbe stimata addirittura intorno al 4% e ne sarebbero colpiti in prevalenza i maschi (fra il 60 e l’80%).
b) Il Manuale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ne parla come di un disturbo specifico della lettura strumentale, che comprende una specifica e significativa compromissione nello sviluppo delle capacità di lettura, non spiegata dall’età mentale, da problemi di acutezza visiva o da inadeguata istruzione scolastica.
Come si evince agevolmente, l’attenzione delle suddette definizioni  è puntata soprattutto sui fattori che escludono la presenza della dislessia evolutiva, cioè sulle “non cause” di tale disturbo, mentre manca qualsiasi riferimento ai fattori specifici che ne sarebbero responsabili.
VI. L’eziologia ed i sottotipi della Dislessia Evolutiva
Dalla pluralità di definizioni elaborate relativamente alla Dislessia Evolutiva, due delle quali si sono poc’anzi menzionate traendole da manuali di carattere generale, possono essere enucleati almeno tre punti comuni di sostanziale accordo fra gli studiosi:
a) la DE va considerata a buon diritto un disturbo specifico, in quanto si presenta come isolata rispetto al resto delle prestazioni cognitive in soggetti indenni da deficit sensoriali e da condizioni socio-economiche e relazionali non adeguate;
b) si tratta di un disturbo di natura organica presente fin dalla nascita, giacché si manifesta in soggetti privi di lesioni celebrali clinicamente evidenziabili, anche se i segnali più evidenti si mostrano generalmente nelle prime fasi della scolarizzazione; a conferma della base biologica della DE, vi sarebbe, inoltre, l’elevata percentuale di presenza della componente familiare riscontrata nei soggetti con disturbo della lettura ;
c) la definizione clinica di DE spesso, nell’uso comune, comprende anche i disturbi della scrittura e del calcolo, dal momento che i deficit in queste tre aree risultano frequentemente non disgiunti.
Tuttavia, in merito alla questione riguardante l’eziologia specifica della DE, neppure gli studi contemporanei, effettuati con tecnologie sempre più avanzate, sono ancora riusciti a fornire dei dati scientifici tali da consentire la costruzione di un quadro clinico univoco e definitivo; certamente, dapprima le indagini autoptiche e più recentemente le osservazioni condotte con l’ausilio di strumenti quali la Tomografia Assiale Computerizzata (TAC), la Risonanza Magnetica (RM) e la Tomografia ad emissione di positroni (PET), hanno consentito di individuare una molteplicità di anomalie e di alterazioni morfologiche nel substrato neuroanatomico di soggetti affetti da Dislessia Evolutiva; allo stesso modo altri studi, di tipo sperimentale, hanno messo in luce la ridotta specializzazione emisferica e la componente genetica come fattori spesso ricorrenti in pazienti dislessici dalla nascita; l’insieme degli elementi raccolti, peraltro, non ha consentito di enucleare una o più cause biologiche sicuramente determinanti.
Pertanto, come si è riferito a proposito dei processi di apprendimento della lettura strumentale, anche relativamente all’origine della DE sono stati elaborati vari modelli teorici, che hanno portato all’identificazione di diversi sottotipi della medesima:
a) applicando alla DE il modello neuropsicologico cognitivo del “doppio accesso”, proposto per l’acquisizione della lettura decifrativa, risulterebbero certificate: una dislessia fonologica ed una dislessia superficiale, in presenza delle quali solo l’una delle due vie strategiche di accesso (rispettivamente quella diretta/lessicale o quella indiretta/fonologica) sarebbe efficiente mentre l’altra non si renderebbe disponibile; a queste poi si aggiungerebbe una dislessia profonda caratterizzata da errori ascrivibili equamente al non adeguato utilizzo di entrambe le strategie; l’esistenza di due vie di lettura indipendenti nel funzionamento, e di conseguenza anche danneggiabili isolatamente, verrebbe confermata dall’esistenza di “doppie dissociazioni”, vale a dire di coppie di pazienti che ne presenterebbero il possesso o la mancanza in modo speculare; non va però dimenticato che questi sottotipi di dislessia sono stati descritti da molti studiosi negli adulti con DA , mentre fra loro stessi esiste ancora un’accesa controversia sul fatto che questi possano essere rilevati allo stesso modo anche nei soggetti con DE diagnosticata durante l’età evolutiva; così come va tenuto ben presente il fatto che l’indipendenza delle due vie rappresenta un assunto di base del modello, che parrebbe scontrarsi con la meglio documentata attività d’interazione fra la strategia lessicale e quella sub-lessicale (o fonologica);
b) un altro approccio alla classificazione in sottotipi, che ha avuto una notevole risonanza, è quello definibile come “modello clinico” , in base al quale esiste una minoranza di bambini affetti da dislessia diseidetica, cioè con difficoltà decifrative di tipo visive nella percezione e/o ricostruzione della configurazione della parola scritta, ed una maggioranza di soggetti colpiti da dislessia disfonetica (o disfonologica), vale a dire con problemi nello svolgimento di operazioni metafonologiche, quali l’analisi e la sintesi delle componenti sublessicali; anche relativamente a questa proposta, peraltro, gli studi sperimentali condotti hanno fornito risultati controversi in merito alla correttezza di una simile distinzione;
c) traendo le conseguenze dal “modello neuropsicofisiologico della lateralizzazione emisferica”, che ricalca la distinzione tra strategie visuo-spaziali e linguistiche, i soggetti affetti da Dislessia Evolutiva presenterebbero una rottura del suddetto “equilibrio” in un senso o nell’altro; gli uni, in effetti, permarrebbero nello stadio iniziale di utilizzo della strategia percettiva, gli altri, al contrario, sarebbero fin dal principio guidati da una strategia linguistica priva di un’adeguata mediazione delle componenti visuo-percettive; i bambini affetti da dislessia percettiva, pertanto, eseguirebbero una lettura strumentale lenta ed accurata, caratterizzata da una netta prevalenza di errori tempo-disperdenti, quali la correzione di lettere, sillabe o parole omesse, la sillabazione, la ripetizione di termini e le pause prolungate; quelli invece colpiti da dislessia linguistica attuerebbero una lettura ad alta voce spedita ma inaccurata, permeata di errori specifici, come l’omissione di lettere, sillabe o intere parole, l’aggiunta di termini o la loro sostituzione con altri e lo spostamento degli accenti tonici; esisterebbe infine una terza categoria di soggetti con dislessia mista, vale a dire autori di una lettura sia lenta che inaccurata, connotata in egual misura da errori specifici e tempo-disperdenti.
I modelli qui sopra presentati, pur non fornendo alcuna certezza assoluta sull’alterazione dei meccanismi del processo di lettura decifrativa nella DE e sul loro ruolo preciso nel corso dell’apprendimento di un sistema così complesso, tuttavia mettono in luce alcuni aspetti comuni, che possono così essere sintetizzati: si tratta di un disturbo con matrici eterogenee, legate alle dimensioni visuopercettiva e fonologica dell’abilità di codifica; tutti i suoi sottotipi sono vincolati alla condizione evolutiva, che ne comporta un’imprescindibile alterazione iniziale rispetto alle normali strategie di apprendimento e l’impossibilità di una guarigione completa; tutti i casi lasciano aperta la possibilità d’interventi riabilitativi efficaci nella compensazione degli specifici deficit.
Va detto, a conclusione del discorso relativo alla classificazione delle presunte forme di Dislessia, che i soggetti di cui si è fino ad ora parlato, generalmente, mantengono invece intatto  il rispetto del parametro della comprensione, che costituisce un’ulteriore difficoltà specifica; i bambini che ne sono affetti, in genere, hanno uno sviluppo intellettivo nella norma, ma forniscono prestazioni inferiori alla media nei test standardizzati di comprensione della lettura; essi sono definiti impropriamente “cattivi lettori”, costituiscono un gruppo alquanto eterogeneo e possono non presentare alcun problema di decodifica o averlo in modo solo parziale.
VII. I sintomi “allarmanti”
Fin dai primi anni di frequenza delle scuole dell’infanzia e primaria, il bambino può presentare uno o più sintomi che, se non si esauriscono in un arco di tempo ragionevolmente spiegabile con un semplice ritardo nel normale sviluppo della crescita, non andrebbero assolutamente trascurati; questi, in effetti, se non possono assolutamente considerarsi decisivi per sentenziare precocemente l’esistenza di un disturbo specifico della lettura o di tratti dislessici associati ad altri deficit, in un quadro di difficoltà miste di apprendimento, rappresentano comunque dei segnali significativi di una situazione anomala e quindi meritevole di ulteriori accurati accertamenti.
Di seguito è riportato un elenco di tratti, comportamenti, abilità, differenze percettive o di sviluppo, che possono essere presenti in misura più o meno ampia negli individui dislessici e tanto più alto è il numero delle risposte affermative, tanto maggiore è la probabilità che tale disturbo sussista.
In merito allo stile di apprendimento generale, allorché si riscontrino:
- l’acquisizione delle abilità connesse alle prime fasi dello sviluppo (camminare, parlare, ecc.)  più lenta rispetto alla media;
- la capacità di lettura e scrittura significativamente inferiore alla vivacità intellettiva;
- un rendimento scolastico basso nelle prove verbali, specialmente in quelle scritte.
- un basso livello di autostima;
- una certa difficoltà a mantenere l’attenzione e la concentrazione;
- l’acquisizione di informazioni effettuata essenzialmente attraverso l’osservazione, la dimostrazione, la sperimentazione o comunque gli aiuti visuali.
Rispetto alle abilità linguistiche specifiche, se si manifestino:
- una sensibile lentezza nella lettura strumentale;
- la difficoltà di comprensione di quanto appena letto;
- la totale assenza dello stimolo spontaneo alla lettura;
- una forte tendenza alla distraibilità durante la lettura in presenza di immagini;
- la facile distrazione, durante le attività di lettura e scrittura, in presenza di concomitanti stimoli sonori;
- l’inusuale presenza di ripetizioni, trasposizioni, aggiunte, omissioni, sostituzioni o inversioni di lettere, parole e numeri nella lettura e nella scrittura;
- la tendenza a pronunciare e/o a scrivere talvolta parole al contrario e a saltare le parole nella lettura e/o nella scrittura;
- la frequente cattiva pronuncia di parole lunghe;
- l’avvertimento di sensazioni di malessere e/o di giramenti di testa durante la lettura;
-la difficoltà nell’esposizione spontanea delle proprie idee e nella verbalizzazione del pensiero personale.
Riguardo alle capacità mnestiche, quando vi siano:
- carenze relativamente alla memoria a breve termine;
- la tendenza a non ricordare gli elenchi di dati (nomi, cose, numeri, ecc.), specie se posti in sequenza;
- la propensione a pensare principalmente per immagini senza ricorrere al dialogo interno.
A proposito del comportamento, allorquando si mostrino:
- la facile tendenza alla frustrazione;
- la continua ricerca di attenzione da parte degli altri, specie se adulti;
- l’alternanza, in classe, fra atteggiamenti di rumoroso disturbo ed altri caratterizzati da prolungati silenzi; 
- la palese manifestazione di stati emotivi ansiosi in merito ai problemi scolastici, in particolare alla lettura e alla scrittura;
- la tendenza alla drammatizzazione e platealizzazione delle sensazioni dolorose provate;
- la reiterata affermazione di un forte senso della giustizia;
- l’ipersensibilità associata ad un costante perfezionismo.

VIII.  Come si diagnostica la presenza di una DE?
La DE, come si è visto poc’anzi, pur essendo un disturbo presente fin dalla nascita, si manifesta, solitamente entro i primi anni della scolarizzazione, attraverso molteplici combinazioni di sintomi; questi, inoltre, possono risultare anche alquanto differenti, non solo fra l’uno e l’altro dei presunti sottotipi di dislessia, ma anche fra ogni caso singolo e tutti gli altri; dal momento che, come già ricordato, non è stato ancora possibile individuare con precisione le cause primarie di tale disturbo, diventa necessario sottoporre ciascun soggetto, che presenti tali segnali anomali, ad un rigoroso iter diagnostico, finalizzato ad individuare preliminarmente l’eventuale esistenza di una serie di possibili fattori scatenanti diversi dalla dislessia.
Prima di procedere alla valutazione dei parametri specifici dell’abilità di lettura, infatti, va esclusa la presenza di: un ritardo mentale, uno o più problemi neurologici, psicologici, emotivo-relazionali, una situazione di svantaggio culturale e/o di difficoltà socio-economica.
Sarebbe pertanto opportuno che chi avesse riscontrato nel bambino dei sintomi che potessero far presupporre la presenza di qualche deficit nel normale sviluppo cognitivo (solitamente i primi ad accorgersene sono i familiari e/o i docenti della scuola dell’infanzia e primaria), lo segnalasse prontamente alla struttura socio-sanitaria competente; quanto più precocemente viene effettuata la diagnosi da un’équipe di esperti, infatti, tanto maggiori risultano per il soggetto le possibilità di recupero attraverso un intervento rieducativo mirato.
Supponendo quindi, nel caso specifico, di trovarsi di fronte ad una persona che in età evolutiva presentasse i segni tipici e/o secondari del dislessico, andrebbero innanzitutto allertate le seguenti figure professionali: il neuropsichiatra infantile o il neurologo per la visita neurologica, il neuropsicologo per la valutazione dell’efficienza intellettiva, lo psicologo per l’approfondimento psicodiagnostico e la valutazione della personalità, il logopedista, il pedagogista e lo psicopedagogista per tutti gli altri possibili approfondimenti specifici.
Allorché sia stata esclusa l’esistenza di patologie neurologiche, di psicopatologie primarie, di deficit uditivi o della visione e di un deficit dello sviluppo intellettivo con un QI armonico inferiore a 70 ai test d’intelligenza standardizzati, si dovrebbero somministrare le prove specifiche per la valutazione della dislessia; sulla base dell’età e dell’insieme dei sintomi manifestati, si potrebbero sottoporre i soggetti a: la lettura di un brano calibrato per la valutazione delle componenti di correttezza e rapidità , la decifrazione di liste di parole e di non parole sempre per la verifica dei medesimi parametri , i test per la valutazione della dislessia associata a disortografia , le prove per la valutazione psicometrica della dislessia .
Due tecniche moderne utilizzate con sempre maggior frequenza, infine, sono:
a) il tachistoscopio, messo a punto nel secolo XIX dagli psicologi ed utilizzato a partire dalla metà degli anni Cinquanta di quello seguente anche in campo neuropsicologico, grazie al quale, a causa delle caratteristiche neuroanatomiche delle vie visive, allorché si presenti uno stimolo nell’emicampo visivo sinistro, esso raggiungerà direttamente la corteccia visiva dell’emisfero celebrale destro e viceversa; il tachistoscopio, oltre che come strumento diagnostico, è utilizzabile anche nell’iter riabilitativo, come si vedrà nel paragrafo XII.
b) l’ascolto dicotico, una prova uditiva in cui si fanno ascoltare contemporaneamente all’orecchio destro ed al sinistro due segnali acustici diversi, allorché delle cuffie acustiche siano state collegate ad un registratore a due canali.
IX.  I “partners” privilegiati della dislessia
Da diversi studi realizzati negli ultimi decenni, è emerso che solo in pochissimi soggetti la DE si presenta come un disturbo dell’apprendimento in forma pura; nella grande maggioranza dei bambini, al contrario, essa è affiancata dalla manifestazione di uno o più dei cosiddetti “disturbi associati”; innanzitutto, dal momento che la lettura costituisce un compito linguistico, non risulta insolito diagnosticare la dislessia a bambini che già negli anni della primissima infanzia abbiano palesato dei disturbi nell’acquisizione del linguaggio, in particolare negli aspetti articolatorio e fonetico ; un “partner” tipico del disturbo evolutivo della lettura, è poi rappresentato dalla disortografia , vale a dire dal disturbo specifico della scrittura relativamente ai contenuti linguistici; accanto a questo può essere presente anche la disgrafia, cioè la difficoltà a riprodurre i segni grafici, sia alfabetici che numerici; quest’ultimo deficit è, a sua volta, spesso legato a problemi di coordinazione e di controllo motorio; non di rado sono anche riscontrabili carenze nel calcolo aritmetico e problemi di organizzazione spazio-temporale; altri disturbi pressoché costantemente associati alla dislessia, sono inoltre quelli attentivi  e quelli relativi alla memoria visiva e/o uditiva nella rielaborazione delle informazioni; possono presentarsi, infine, a completamento di quadri clinici articolati e complessi, anche dei disturbi relazionali ed emozionali.

X. I prevedibili risultati scolastici di un dislessico non assistito
Formulare in anticipo una precisa previsione rispetto al livello di successo o d’insuccesso scolastico di un bambino con disabilità cognitive, è un’operazione sicuramente azzardata oltre che scarsamente attendibile, a causa della molteplicità di possibili fattori intervenenti non sempre preventivabili.
Tuttavia, una corposa mole di studi medico-scientifici, condotti tanto negli Stati Uniti quanto in Europa, ha dimostrato come, in una struttura scolastica marcatamente imperniata sul privilegio delle prestazioni verbali, gli allievi ai quali sia stato diagnosticato, anche precocemente, uno o più tra i disturbi specifici dell’apprendimento, risultano già in partenza fortemente penalizzati.
Sulla base di quanto appena detto, è facile dedurre che un soggetto affetto ad esempio da dislessia evolutiva, se non prontamente ed adeguatamente supportato da un iter riabilitativo efficace, fin dai primi anni della scuola dell’obbligo patisca una condizione di doppio svantaggio (quello procurato dal disturbo stesso e quello determinato dal tipo di percorso didattico intrapreso), risultando da subito candidato ad un parziale (quando non anche globale) fallimento scolastico.

XI. I possibili problemi sociali di un dislessico non assistito
Se gli insuccessi scolastici sono riscontrabili in tempi relativamente brevi, e quindi magari risultano non così difficilmente rimediabili, gli esiti sociali a distanza di una DE non opportunamente affrontata possono invece dimostrarsi ben più gravi e di difficile soluzione.
Da diverse ricerche effettuate a livello internazionale negli anni Novanta del secolo scorso, è emerso come i disturbi dell’apprendimento abbiano influito negativamente tanto sulla realizzazione di tali disabili a livello professionale, quanto sui meccanismi di difesa individuali rispetto all’innesco di psicopatologie; si è rilevato, in effetti, che molteplici episodi di abbandono scolastico conseguenti alla presenza di una dislessia, ad esempio, hanno condotto a successive difficoltà nell’inserimento lavorativo ed al mancato sviluppo di adeguate abilità funzionali all’interazione sociale; si è notato, infine, che non raramente tali situazioni hanno prodotto l’insorgenza di forme secondarie di disturbi emozionali, quali nevrosi ansiose e depressive o psicosi.

XII. L’iter riabilitativo
Nonostante l’elevato numero di ricerche sulla rieducazione dei bambini dislessici, effettuate negli ultimi decenni con strumenti sempre più all’avanguardia, al momento presente non è ancora disponibile un numero sufficiente di prove convincenti relativamente agli effettivi risultati raggiunti da alcuno degli approcci medico-scientifici esistenti. I maggiori problemi finora verificatisi, in effetti, sono risultati appartenere a due tipologie: da un lato quelli metodologici (trattamenti scarsamente definiti, disegni sperimentali poco chiari, gruppi campione o di controllo mal selezionati), dall’altro quelli relativi alla scarsa replicabilità dei risultati osservati.
In generale, l’introduzione del Personal-Computer, nella riabilitazione, ha fornito un importante impulso ai programmi di recupero basati sull’incremento dell’automatizzazione dell’accesso sublessicale alla lettura decifrativa; ciò ha giovato soprattutto ai soggetti che leggevano lentamente e con accuratezza, in quanto si è potuto controllare e calibrare costantemente la variabile del tempo di presentazione dello stimolo verbale sullo schermo ; allo stesso modo l’utilizzo dei cosiddetti “libri parlanti”, vale a dire la somministrazione di testi accompagnati da registrazioni su audiocassette o compac disk in modo da produrre simultaneamente stimoli orali e scritti, ha arrecato dei benefici a coloro che, servendosi di strategie lessicali, leggevano con normale rapidità ma inadeguata correttezza. Tali strumenti, oltre a fornire un aiuto concreto e specifico al soggetto con difficoltà di lettura, si prestano ottimamente alla costruzione di un precoce programma di potenziamento della motivazione alla lettura, dal momento che è stata ampiamente dimostrata l’esistenza di uno stretto rapporto fra abilità di lettura, desiderio spontaneamente manifestato dal bambino, al principio della frequentazione scolastica, d’imparare a leggere ed il suo effettivo tipo di approccio al testo scritto; soprattutto nei primi anni dell’inserimento scolastico, può risultare molto utile in tal senso l’utilizzo di giochi enigmistici, esercizi visivi di ricerca rapida di parole all’interno di configurazioni complesse (ad esempio il nome di una località all’interno di una carta geografica) e libri-game.
Un discorso particolare merita invece un tipo d’intervento specifico che ha avuto, e mantiene ancora, una notevole rilevanza, vale a dire quello proposto da Bakker e finalizzato alla stimolazione celebrale; esso si basava sulla teoria che nei bambini, durante le prime fasi di apprendimento, gli stimoli di tipo strettamente verbale (lettere, parole e frasi) risultassero ancora di notevole complessità, da cui si ipotizzerebbe un maggiore coinvolgimento dell’emisfero destro; in seguito, solitamente entro i due anni, tali stimoli diventerebbero maggiormente familiari, con la corrispondente progressiva diminuzione della complessità percettiva; il bambino, quindi, non avendo più la necessità di analizzare scrupolosamente ogni singolo dettaglio, percepirebbe parole e frasi attivando maggiormente l’emisfero sinistro; di conseguenza, attraverso l’utilizzo del tachistoscopio (per una stimolazione emisferica specifica) e di testi percettivamente complessi o richiedenti un’analisi linguistica (per una stimolazione emisferica aspecifica), l’attivazione dell’emisfero celebrale destro e di quello sinistro, rispettivamente nei dislessici linguistici ed in quelli percettivi, produrrebbe un sensibile miglioramento nell’apprendimento della lettura strumentale. L’efficacia di tale iter riabilitativo è stata dimostrata recentemente grazie alla messa a punto di un programma computerizzato, chiamato “Flash Word” , finalizzato al trattamento dei bambini italiani con dislessia.
Conclusioni
Al termine di questo breve percorso effettuato relativamente al disturbo specifico di apprendimento della lettura, è emerso un quadro estremamente complesso e variegato che, se da un lato non ha condotto all’acquisizione di risultati certi e definitivi, dall’altro ha sicuramente offerto una serie di spunti problematici interessanti.
Sulla base delle molteplici informazioni acquisite dalle diverse fonti consultate, in effetti, è stato possibile enucleare alcuni concetti di rilievo, i quali possono essere sintetizzati nel modo seguente:
a) la lettura è un’attività che coinvolge  e combina insieme componenti di tipo sensoriale (visive/uditive) e linguistico (articolatorie/fonologiche/lessicali); la medesima costituisce un’abilità metalinguistica, in quanto, prima di automatizzarsi, necessita di un consapevole training specifico di apprendimento; vanno tenute ben distinte  le attività rispettivamente di decodifica e di comprensione di un testo scritto, giacché vanno valutate sulla base di parametri differenti ed implicano l’attivazione di processi anch’essi diversi, che danno luogo a prestazioni non analoghe;
b) il disturbo di apprendimento della lettura comprende una molteplicità di situazioni diverse, per cui la sua definizione necessita di una corrispondente pluralità di etichette verbali, quali Dislessia Evolutiva, Dislessia Acquisita, Alessia, Disturbo della comprensione, Tratti dislessici in un quadro di disturbi misti, che non possono essere utilizzate indifferentemente;
c) non è ancora chiara a tutt’oggi l’eziologia precisa della Dislessia Evolutiva, tanto che i risultati emersi da diversi studi medico-scientifici hanno prodotto la formulazione di varie classificazioni in sottotipi, tutte peraltro sostanzialmente legate alla presenza di deficit percettivi e/o fonologici;
d) la DE, pur presente fin dalla nascita, si manifesta generalmente entro le prime fasi della scolarizzazione, attraverso la comparsa di alcuni sintomi a livello cognitivo e comportamentale, i quali potrebbero suggerire la sussistenza di un quadro biologico anomalo;
e) prima di procedere alla valutazione scientifica dei parametri specifici della lettura, attraverso la somministrazione di prove standardizzate costruite ad hoc, è necessario sottoporre il soggetto segnalato ad un rigoroso iter di esami, finalizzato alla costruzione di una diagnosi il più possibile concreta e precisa;
f) i soggetti dislessici sui quali non venga operata una diagnosi precoce e dettagliata e per i quali non sia prevista un’assistenza adeguata, risultano maggiormente esposti a forme più o meno gravi d’insuccesso tanto nel rendimento scolastico quanto nell’inserimento sociale e lavorativo;
g) la DE generalmente non si presenta in forma pura, bensì si trova accompagnata da uno o più “disturbi associati”, fra i quali spiccano quelli linguistici di tipo articolatorio e fonologico, la disortografia, la disgrafia, la discalculia, deficit attentivi e della MBT , difficoltà di orientamento spazio-temporale, disturbi emotivi e relazionali;
g) la diagnosi dei casi di DE è funzionale alla predisposizione di un iter riabilitativo mirato ed efficace, che spesso costituisce l’attuazione concreta di uno o più tra i modelli teorici incentrati sulle modalità di apprendimento dell’abilità di lettura; negli ultimi decenni su questo fronte ci si è potuti servire di strumenti tecnologici in costante aggiornamento e perfezionamento, primo dei quali il Personal-Computer.

 

 

 

 

 

Fonti consultate

Alberti, B. e Fabbro, F. Il bambino e il linguaggio, Ghedimedia, Milano 2002

Appunti del corso di Neuropsicologia clinica dell’età evolutiva del prof. Fabbro F., A.A. 2002/2003

Appunti del laboratorio di lettura e scrittura della prof.ssa Masutto, C., A.A. 2002/2003

Brizzolata, D. e Stella, G. “La dislessia evolutiva”, da Manuale di Neuropsicologia dell’età evolutiva, a cura di G. Sabbadini Zanichelli 1999, pp.411-439

Cornoldi, C. Le difficoltà di apprendimento a scuola, Il Mulino, Bologna 1999

Tressoldi, P. “I disturbi strumentali di lettura e scrittura”, da I disturbi dell’apprendimento, a cura di C. Cornoldi, Il Mulino, Bologna 1991, pp.353-371

Tressoldi, P. e Vio, C. Diagnosi dei disturbi dell’apprendimento scolastico, Eriksson, Trento 1996

Tressoldi, P. e Vio, C. Trattamento dei disturbi dell’apprendimento scolastico, Eriksson, Trento 1998


Nella presente relazione si utilizzeranno indifferentemente le seguenti espressioni: lettura strumentale, lettura decifrativa e decodifica.

Coltheart M., “Lexical access in simple reading tasks”, in Strategies of information processing, Academic Press, London 1978

Sartori G., La lettura, processi normali e dislessia, Il Mulino, Bologna 1984

Frith U. “Beneath the surface of surface dyslexia”, in: Marshall J.C., Coltheart M., Patterson K. (a cura di) Surface dyslexia and surface dysgraphia, Londra 1985

Bakker D.J., “Hemisphere-specific dyslexia models”, in Lateralization of language in the child , 1980

Traduzione dell’espressione inglese “bilance-model”.

“Sistema Nervoso Centrale”

In realtà, secondo Cornoldi 1999 p.62, questa sembrerebbe essere una sovrastima comunque includente tanto i disturbi di decodifica, che costituiscono meno dell’1%, quanto quelli misti e quelli di sola comprensione

“Dislessia Evolutiva”.

Si pensi al fatto che, mentre spesso in colui al quale viene diagnosticato un ritardo mentale sono presenti tratti dislessici, viceversa i dislessici hanno generalmente un QI nella media o comunque uno sviluppo intellettivo disarmonico.

A tal proposito però va precisato, come testimonia Cornoldi 1999 pp.63-64, che se alcuni studiosi danno alla condizione biologica particolare del soggetto un’incidenza sul disturbo del 100%,  molti altri assumono una posizione più prudente, secondo la quale il quadro organico anomalo sarebbe solo uno dei fattori convergenti alla base della dislessia; tale posizione, a differenza della prima,  ha il merito di giustificare l’estrema varietà fisionomica dei casi rilevati.

“Dislessia Acquisita”.

Questo modello fu proposto dallo studioso Boder nel 1973

Nuove Prove di Lettura M.T. per la scuola primaria e Nuove Prove di Lettura M.T. per la Scuola Media Inferiore di Cornoldi C., Colpo G. Edizioni O.S. Test GIO-MA. Giovanardi Rossi P., Malaguti T. Edizioni del Cerro.

Batteria per la Valutazione della Dislessia e della Disortografia Evolutiva di Sartori G., Job R., Tressoldi P.E. Edizioni O.S.

G. Sartori, R. Job, P.E. Tressoldi.(1995)

Faglioni, P., Gatti, B., Paganoni, A.M., Robutti, A. (1967). La valutazione psicometrica della dislessia. Infanzia anormale, 81, 628-661.

Recentemente si è dato vita allo studio sistematico del rapporto fra Dislessia e Disturbi Specifici del Linguaggio, partendo dall’ipotesi che in numerosi casi la Dislessia dipenda da un disturbo latente  e/o pregresso del linguaggio.

Questo disturbo evolutivo presenta le seguenti caratteristiche: difficoltà nella discriminazione, categorizzazione, associazione ed elaborazione di suoni; difficoltà di segmentazione e fusione di grafemi; difficoltà nell’acquisizione delle regole ortografiche e delle relative eccezioni; presenza di errori costanti nel dettato; presenza di molti errori nella scrittura spontanea.

Questo aspetto è spiegato chiaramente nel contributo di Brizzolara e Stella 1999,  p.433-434

Anche a questa tematica è dedicato un paragrafo da Brizzolara e Stella 1999,  p.435

Un’interessante esperienza in questo senso è rappresentata da: “La lettura rumorosa”, usare Power Point per aiutare bambini con difficoltà di apprendimento della lettura” di Paolo Stivano e Laura Totonelli dell’ Azienda Sanitaria Locale distretto XIII Unità Operativa di Neuropsichiatria Infantile.

Tale programma è stato messo a punto dai professori Franco Fabbro e Cristina Masutto.

Memoria a Breve Termine

Fonte: http://www.linussio.it/content/download/5741/35513/file/tesina%20sulla%20dislessia.doc

Sito web da visitare: http://www.linussio.it

Autore del testo: D.Rossi

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