Sistema immunitario immunologia

Sistema immunitario immunologia

 

 

 

I riassunti , gli appunti i testi contenuti nel nostro sito sono messi a disposizione gratuitamente con finalità illustrative didattiche, scientifiche, a carattere sociale, civile e culturale a tutti i possibili interessati secondo il concetto del fair use e con l' obiettivo del rispetto della direttiva europea 2001/29/CE e dell' art. 70 della legge 633/1941 sul diritto d'autore

 

 

Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).

 

 

 

 

Sistema immunitario immunologia

 

Immunologia

 

Immunità:esenzione, protezione nei confronti della malattia.
Parassiti, batteri, funghi, virus, agenti patogeni possono arrecare danno all'ospite, fino alla morte. Le infezioni sono limitate: nonostante siamo circondati da questi tipo di sostanze, non ci ammaliamo frequentemente, in quanto siamo dotati di un sistema di immunizzazione ai patogeni.
Studieremo, infatti, i meccanismi di sorveglianza che costituiscono il sistema di immunizzazione, network tra le cellule, tessuti e agenti patogeni.
L'immunologia è la scienza che studia le modalità con cui la cellula e le molecole del sistema interagiscono tra loro e con le strutture bersaglio. Possiamo raggruppare l' evoluzione del sistema di immunizzazione in 4 stadi:

  • fagocitosi, presente già nei protozoi, capacità di inglobare i patogeni ed eliminarli. È presente fino ai giorni nostri, l'unica forma di immunizzazione che si è conservata.
  • Riconoscimento allogenico, capacità di riconoscere ciò che ci appartiene da ciò che è estraneo. Presente nelle spugne e nei metalli. Le spugne si difendono incestandosi. Rigettano ciò che non è proprio. È ciò che succede nei trapianti.
  • Nel caso dell'evoluzione fino ai vertebrati si sono sviluppate le molecole di istocompatibilità, presenti già nelle forme primordiali di vita.
  • Sviluppo di tutti e tre i precedenti meccanismi d'immunità.

L'immunità è un concetto ancestrale. Già Tucidide parlava, nella peste di Atene, di immunità ,a era solo un concetto, che a partire dal XV secolo si è tradotto in pratica clinica, con la prima tecnica di immuniz-zazioneàinduzione deliberata di una risposta da parte dell'organismo. I cinesi presero le croste del vaiolo e dopo averle essiccate le sniffavano. Si resero conto che ciò creava protezione contro il vaioloàvariolizzazione. Soltanto nel 1798, Edward Jenner notò che le mungitrici di vacca non contraevano il vaiolo umano. Inoculando in altri animali il liquido prelevato dalle pustole di vaiolo, essi divenivano immuni dal vaiolo umano.
100 anni dopo Pasteur introdusse la teoria del germe. Un tempo si riteneva che le malattie fossero dovute al disequilibrio degli umori, mentre Pasteur sosteneva che fossero dovute alla presenza di patogeni, in seguito ai suoi esperimenti sui pulcini riguardo al colera: i pulcini in cui veniva iniettato un ceppo invecchiato, detto ceppo attenuato, ossia che ha perso la virulenza, erano immuni dal colera. Pasteur chiamò il ceppo attenuato col termine di vaccino. La vaccinazione induce una risposta nei confronti del patogeno, capace di difenderci. Si hanno vari tipi di vaccini:

  • Vaccini vivi e attenuati: la virulenza si perde con l’aumento della temperatura o con l’invecchiamento del ceppo. Il vaccino antipolio, con la zolletta di zucchero data ai neonati, protegge le mucose dal virus. I bacilli sono vivi e fabbricano le risposte anticorpali. Normalmente occorre solo un richiamo, mentre il vaccino antipolio fa eccezione in quanto richiede 3 richiami, dato che è formato da 3 ceppi (A, B, C), ognuno dei quali predomina sull’altro. Il rischio è che il bacillo diventi nuovamente virulento.
  • Vaccini uccisi: ad esempio il vaccino di Salk, un altro tipo di vaccino antipolio, ma la miglior protezione dalla poliomielite viene data dal vaccino attenuato. Occorrono più richiami.
  • Vaccini glicoconiugati: bacilli a subunità
  • Vaccini a DNA, ricombinanti.

Pasteur non aveva però capito il meccanismo. Von Behrinhìg e Kitasato (Nobel nel 1901), scoprirono che nel siero sono presenti sostanze capaci di proteggerci, gli anticorpi, che forniscono la cosiddetta risposta umorale, detta così perché un tempo i liquidi biologici venivano chiamati umori. Studiando la difterite, presero i bacilli e infettarono un coniglio. Il siero di questo venne inoculato in un altro coniglio e poi lo infettarono. Quest’ultimo coniglio non muore, dunque nel siero sono presenti gli anticorpi. Contemporaneamente Metchnikoff capì che a fornirci la protezione sono le cellule, i fagociti, i monofagi, i neutrofili, in grado di fagocitare il patogeno. Dunque c’era chi sosteneva la risposta umorale e chi la risposta cellulare, ma inizialmente non s’intuì che i due processi erano tra loro collegati e che una sola cellula, il linfocita, scoperto nel’90 da Ovans, è responsabile di entrambe la risposte.
I linfociti B sono le cellule che producono gli anticorpi. L’immunità umorale è data dagli anticorpi prodotti dai linfociti B. l’organismo deve fabbricare un’enorme quantità per contrastare i patogeni, detti antigeniàqualunque sostanza estranea con cui l’organismo viene a contatto. Delle piccole porzioni dell’antigene interagiscono con l’anticorpo, dette epitopi.
Cominciarono a sorgere delle teorie. Ad esempio, la teoria selettiva sosteneva che gli antigeni reagiscono specificamente con gli anticorpi: su queste cellule, i linfociti B, sono presenti tante catene laterali dette actofori, ognuna delle quali è dotata di una specificità, recettori, con cui interagiscono gli antigeni. Questo legame porta al rilascio di un gran numero di catene laterali che vanno in circolo. Insomma, secondo la teoria selettiva la specificità è già insita nella cellula. Questa teoria fu presto abbandonata, in quanto considerata troppo “futurista”.
Successivamente si affermò un’altra teoria, la teoria istruttiva, secondo la quale non esistono catene laterali predeterminate, ossia non esiste una specificità predeterminata, ma già l’antigene è istruito, per cui l’anticorpo si modifica a seguito del legame con l’antigene, che funge da stampo. Questa teoria fu presto considerata erronea quando venne scoperta la struttura a doppia elica del DNA: si capisce che è impossibile che le proteine antigeniche fungano da stampo alle proteine anticorpali.
Nel 1900 Paul Ehrlich riprese la teoria selettiva, individuando un errore di questa: il linfocita in realtà ha un’unica catena specifica per l’antigene  grazie a ciò propose la teoria della selezione clonale: ciascun clone di cellula B ha un solo recettore. L’interazione dell’antigene con il recettore specifico per esso, attiva la proliferazione delle cellule, dando vita ad un clone di cellule figlie dotate di uno stesso tipo di recettore tipico della cellula madre. Su questa teoria si basa tutta l’immunologia. 
Il clone si espande e si differenzia in 2 tipi di cellula:

  • cellule effettrici
  • cellule della memoria.

Gli stimoli che inducono questo clone a differenziarsi nei 2 tipi non si conoscono, ma si sa che le cellule effettrici si legano all’antigene, bloccandolo, e poi muoiono per apoptosi (morte programmata), mentre le cellule della memoria sono cellule vergini, a lunga vita, che hanno acquisito una memoria immunologia. Aggrediscono l’antigene bloccandolo con una risposta più duratura, rapida ed ampia rispetto a quella delle cellule effettrici. È proprio sulla presenza di queste cellule che si basa la vaccinazione. Questa monospecificità è frutto di meccanismi genomici. Se la specificità si acquisisce durante la maturazione delle cellule B, si possono formare recettori per gli antigeni, meccanismi genomici casuali. Tra le diverse varianti di recettori, vi sono anche cellule che con recettori per antigeni self, ossia propri del nostro organismoàmeccanismo di autoimmunizzazione. Questo tipo di cellula che contiene antigeni self viene distrutto prima della maturazioneàdelezione clonale a livello centrale, ossia negli organi linfoidi primari: timo e midollo osseo.  
Teoria della selezione clonale: interazioni tra molecole estranee ed io recettore clonale porta all’attivazione del linfocita che dà origine ad un clone di cellule figlie. Le cellule effettrici differenziate portano lo stesso recettore della cellula parentale. Su questo principio si poggia l’immunità acquisita o adattativi, che si differenzia da quella innata in quanto si tratta di un insieme di meccanismi specifici indotti dalle cellule B e T, che si verificano nel corso della vita, mentre l’immunità innata è costitutiva, nasce con noi: ad esempio, la fagocitosi, che risponde indifferentemente a tutti i patogeni. L’immunità acquisita è specifica, mentre l’immunità innata è aspecifica. La prima arma che l’organismo mette in atto è quella innata, per fornire una difesa durante il periodo di latenza (4-10 giorni) necessario per innescare l’immunità acquisita.
Umorale   à   Anticorpi
Attiva (l’organismo costruisce anticorpi da sé)à  Naturale e artificiale
Immunità                                                           Passiva (indotta dagli anticorpi formati in un
                                                                        altro animale)          

Cellulare  à  Linfociti   à                          

Innata

Immunità

                         Acquisita     Umorale
Cellulare

La somministrazione di un antisiero (siero che contiene anticorpi) in un individuo rappresenta un’immunizzazione passiva, come nel caso del colostro, in gravidanza. Su questo principio poggia l’immunità acquisita, che ha 4 cardini (pag.10 UTET):

  • specificità antigenica
  • diversità (1011 tipologue di anticorpi) 
  • memoria
  • discriminazione ra ciò che è proprio dell’organismo (self) e ciò che non lo è (non-self).

Il merito di aver individuato la frazione sierica che contiene la funzione anticorpale (pag.83 UTET) va a Tiselius e Kabat. Presero un coniglio, prelevarono il siero, immunizzarono il coniglio con l’antigene, prelevarono altro siero, inocularono solfato di ammonio per bloccare gli anticorpi, prelevarono il siero per la terza volta e praticarono l’elettroforesi in tutti e 3 i prelievi di siero:

                                      Siero preimmune

 

Siero immune

 

 

          Albumine            a                b                g

 

                                                         Siero immune anticorpi rimossi

 

 

Col termine di immunoglobuline si intendono glicoproteine plasmatiche la cui sintesi può essere indotta dall’introduzione nell’organismo di una sostanza estranea (antigene) e sono dotate della proprietà fondamentale di reagire specificamente con l’Ag (antigene). Il merito di aver individuato la struttura delle immunoglobuline va a Porter ed Edelman (pag.85 UET). Il primo utilizzò enzimi proteolitici, mentre Edelman distrusse i legami disolfuro. Prsero la formazione delle g-globuline e ottennero 2 frazioni: una a basso PM, di 8 S e 250 dalton, ed una ad alto PM, di 19 S. utilizzarono quella a basso PM e la chiamarono IgG.
Porter usò la papaina, che agisce sopra il ponte disolfuro rompendo le molecole in 3 frammenti: 2 frammenti Fab (fragment antigen-binding) ed un frammento Fc (fragmnet crystallizable). La pepsina, invece, agendo sotto il ponte disolfuro, rompe l’immunoglobulina in 2 frammenti:

  • F(ab’)2
  • FC, frammentato in tanti piccoli frammenti.

Edelman, invece, utilizzo il b-mercaptoetanolo, in grad di rompere i legame disolfuro. Lo iodoacetamide impedisce che i gruppi sulfidrilici si potessero ricompattare e la cromatografia ruppe la molecola in 4 catene, 2 pesanti e 2 leggere. Potter inoculò Fab e FC nella cavia e questa sviluppò anticorpi. Mettendo a contatto catene leggere e pesanti con gli anticorpi antiFab e antiFc: le prime riconoscono l’intera catena leggera e parte delle catene pesanti, ossia il gruppo N-terminale), mentre le seconde riconoscono la restante parte delle catene pesanti.
Regione variabile: zona che si lega all’antigene.
Le immunoglobuline sono eterogenee. L’analisi della sequenza delle immunoglobuline divenne possibile in seguito alla scoperta del mieloma multiplo, una neoplasia di plasmacellule secernenti anticorpi. La plasmacellula ha una emivita limitata, mentre la plasmacellula neoplastica, detta cellula mielomatosa, produce una quantità illimitata di anticorpi, tutti identici, detti proteine mielomatose, delle catene leggere, avendo una vita illimitata. Tali proteine vennero dette proteine di Bence-Jones, la cui presenza nelle urine dà diagnosi certa di mieloma multiplo. L’unica differenza tra gli anticorpi prodotti dalle plasmacellule normali e quelli prodotti dalle cellule mielomatose è che i primi sono eterogenei, mentre i secondi somo omogenei, tutti uguali. Ancora non si conosce cosa abbia indotto la plasmacellula a trasformarsi in cellula neoplastica.
I vari plasmocitomi hanno i primi 100 amminoacidi di tutte le catene leggere diversi, mentre i restanti sono uguali. Quindi, nell’ambito dell’immunoglobulina distinguiamo 2 regioni:

  • Regione variabile: nella terminazione N-terminale
  • Regione costante: nella terminazione C-terminale.

Struttura di tipo dominiale: la struttura tipica delle immunoglobuline. Nell’ambito delle catene leggere e pesanti sono presenti regioni di omologia, chiamate domini. Ogni dominio è formato da 100-110 amminoacidi. Ha una formazione che conferisce una forma a loop. Ognuno di questi domini ha una propria funzione.

  • Nella catena leggera: 1 dominio variabile, 1 dominio costante
  • Nella catena pesante: 1 dominio variabile e 4 domini costanti.

Ognuno di questi domini è formato da 2 foglietti, con struttura b-planare, uno con 4 nastri e l’altro con 3 nastri, che presentano un’alternanza di amminoacidi idrofobici (all’interno) e idrofilici (all’esterno). Questi foglietti sono stabilizzati da interazioni idrofobiche e legami disolfuro (stuzzicadenti del sandwich).
Catene leggere: Si distinguono 2 tipi di catene leggere, k e l: quest’ultimo consta di 4 sottotipi l1,l2,l3,l4. i due tipi si differenziamo per il 70%, mentre tra i vari sottotipi si ha una differenza di 1-2 amminoacidi. Non esistono catene anticorpali con tutti e 2 i tipi: o solo k o solo l. Il clone produce anticorpi tutti uguali.
cosa sono le catene leggere? PROTEINE
cosa sono le catene pesanti? GLICOPROTEINE.
Catene pesanti: esistono ben 5 forme di catene pesanti (mentre dui catene leggere se ne hanno 2 tipi), dette classi:

  • a: formazione dell’IgA
  • g: formazione dell’IgG
  • d: formazione dell’IgD
  • e: formazione dell’IgE
  • m: formazione dell’IgM.

Ognuna di queste classi si differenziano tra loro per circa il 78%.
Esistono poi le sottoclassi: ad esempio, le IgG hanno 4 sottoclassi e le IgA 2. non esistono catene ibride. Le sottoclassi si differenziano tra loro per 3-4 amminoacidi. Si tratta di glicoproteine, ossia dotate di residui carboidratici, non presenti, invece, nelle catene leggere. Molteplici sono le funzioni di questi residui: stabilizzano la struttura, favoriscono la secrezione di anticorpi, proteggono la catena dagli enzimi proteolitici, favoriscono il catabolismo da parte degli epatociti, che hanno il recettore per l’Fc.
(la differenza tra immunità attiva e quella passiva è che quest’ultima non ci conferisce memoria).
La variabilità delle immunoglobuline non è segregata solo nella porzione variabile, ma è anche intercalata nelle porzioni più conservate, dette framework (cornice) (pag.88 UTET). Le parti altamente variabili sono CDR1, CDR2 e CDR3 (Complementarity-Determining Regions), perfettamente adattabili all’antigene. Quando la molecola assume una forma tridimensionale si crea una tasca caratterizzata da CDR, che prendono contatto con l’antigene. Tale tasca viene chiamata anche sito combinatorio, dove si lega l’antigene, mentre il framework rappresenta un’intelaiatura. 
Avvallamenti dell’antigene corrispondono alla protrusione degli anticorpi. Non sempre tutte e 6 le CDR prendono contatto con l’antigene voluminoso, ma sicuramente prenderanno contatto 3 CDR della catena pesante. Quello altamente variabile è proprio il CDR 3, dove avviene la maggior parte dei fenomeni gnomici.
Regione costante: è caratterizzata da domini CH1, CH2, CH3 e CH4

  • la funzione del CH1 è quella di amplificare e allungare le braccia, in modo da collocare l’antigene nella tasca.
  • Il dominio CH2 della IgG e della IgA è il sito di attivazione del complemento.
  • CH3 è la porzione Fc che interagisce con i recettori per l’Fc, presente su tante cellule (macrofagi, mastociti, ecc.).
  • Il CH4 è un dominio aggiuntivo perché solo le IgM e le IgE le contengono (IgA, IgD e IgG hanno solo 3 domini).

Il dominio CH2 dell’IgE serve da cerniera. Delle immunoglobuline esistono non solo forme secrete, con il peptide S nella porzione C terminale, ma anche una forma di membrana. Si differenzia solo per il peptide S, che viene sostituito da una sequenza amminoacidica divisibile in 3 parti:

  • extracellulare, variabile, idrofilica
  • transcellulare, di 26 amminoacidi, idrofobica
  • coda, di 3 amminoacidi, idrofilica.

Solitamente la cellule possiede code molto piccole, che non si prestano bene alla funzione recettoriale. Dunque, la cellula è in grado di riconoscere l’antigene ma non trasmette l’informazione alla cellula. Un eterodimero a-b fiancheggia la catena immunoglobulinica ai due lati. Ha sempre struttura dominiale, legame disolfuro, code molto lunghe, ricche di tirosina, fosforilata tramite l’enzima tirosina chinasi, quindi in grado di trasmettere il messaggio alla cellula (BCR: B-Cell receptoràimmunuglobulina fiancheggiata da etrodimeri a-b in grado di tradurre il messaggio (pag.103).
È indispensabile il crossing-linkage per innescare la risposta immunitaria: 2 immunoglobuline che legano l’antigene, 2 epitopi legano 2 immunoglobuline a ponte.
Poiché la natura dell’antigene è glicoproteica, oltre a produrre anticorpi, può anche comportarsi da ottimo antigene.
Definiamo isotipi determinanti antigenici presenti nella regione costante che permettono di classificare le catene pesanti e leggere di una data specie animale in classi e sottoclassi. Ogni isotipo viene codificato da un gene. Differenze presenti nella regione costante sia delle catene pesanti che delle leggere (classe o isotipo indicano la stessa cosa).
Gli isotipi sono codificati da un gene. Ogni individuo eredita l’interno setting di geni (si hanno tutti i tipi e sottotipi delle catene leggere e pesanti). La somministrazione di un isotipo di una specie in un’altra porta alla formazione di anticorpi antiisotipo, per la diagnostica, per verificare se si abbiano acquisito determinati tipi di anticorpo.
Sempre nella regione costante, si possono avere alleli multipli, differenze amminoacidiche, presenti in alcuni individui e non in altri, al contrario che l’isotipia, presente in tutti gli individui. Si tratta di allotipia. Gli allotipi interessano soprattutto le classi IgG (25 tipi), IgA2 e le catene leggere del tipo k.
Regione variabile: è ricca di glicoproteine. Si comporta non solo da sito combinatorio, ma anche da antigene. L’intero setting variabile si chiama idiotipoàl’intera quantità di epitopi dentro e fuori la cellula. L’idiotopo è il singolo epitopo presente fuori o dentro la tasca, ogni porzione variabile.
Lerner (pag.109) avanzò una teoria secondo la quale l’idiotipo serve per regolare la funzione immunitaria. Esiste un sistema che mantiene i cloni in equilibrio. C’è sempre un anticorpo che è immagine speculare dell’antigene e che mantiene il sistema in equilibrio (l’idiotopo fa produrre un anticorpo antiidiotopo, identico all’antigene).
isotipiaàdifferenze nella regione costante
allotipiaà  differenze nella regione costante
idiotipiaàdifferenze nella regione variabile.

          Immunoglobuline G: (pag.98)è l’Ig più rappresentativa del siero (80%). È una molecola piccola, monomerica, di 150 kdalton, con costante di sedimentazione di 8S. E’ talmente piccola che passa dal sangue ai tessuti e viceversa, fornendo risposte immunitarie di ogni tipo, soprattutto contro sostanze extracellulare.
Tossoidi: altro tipo di vaccino, tossine private della parte patologica ma in grado di stimolare la risposta immunitaria, come il vaccino antitetanico e antidifterico.
La risposta B si esplica contro tutti questi antigeni, come tossine, batteri. Le IgG possiedono 4 sottoclassi: Ig1, Ig2, Ig3 e Ig4, che differiscono soprattutto per la lunghezza della regione cerniera (pag.94), che si trova tra CH1 e CH2. non ha struttura dominiale ed è formata da residui di prolina (10-60) e serina. Questa regione massimalizza le funzioni dell’anticorpo, movendo l’Ig.
Fc=responsabile della funzione specifica dell’anticorpo
Regione Fab variabile=responsabile del riconoscimento e del legame con l’antigene.
Le sottoclassi si differenziano dunque per la lunghezza della regione hinge (cerniera) e per il numero di legami disolfuro intercatena. Le IgG3 sono dotate della maggiore flessibilità, in quanto la regione hinge è più lunga. È una regione suscettibile agli attacchi proteolitici, in quanto i residui di prolina la distendono.
Le IgG rappresentano l’unica classe capace di attraversare la placenta, soprattutto le IgG1 e le IgG3.
Altra funzione delle IgG è quella dell’attivazione del complemento, un sistema di ben 20 proteine, indicate con i numeri c1, c2,….cn. Il complemento rappresenta una barriera fisiologica, naturale e solubile, facente parte dell’immunità innata. La sua funzione più importante è quella di lisare la cellula bersaglio. Le IgG attivano il complemento. La sola molecola dell’IgG non riesce in questo intento, a causa della sua forma monomerica, troppo piccola: ne occorrono almeno due, che legano l’antigene attraverso il crosing linkage, modificando il dominio CH2, sito di attivazione del complemento. Un’altra importante funzione è quella di opsonizzazione (pag.95) atto di “imburrare” il patogeno rendendolo più appetibile per i fagociti, che presentano il recettore per questi. Le opsonine per eccellenza sono le immunoglobuline. Dunque, le 3 funzioni più importanti delle IgG somno:

    • passaggio placentare
    • attivazione del complemento
    • opsonizzazione.

Immunoglobuline M: (pag.99) rappresentano il 5-10% del totale delle Ig. Le IgM si
distinguono in 2 forme:

  • di membrana, monomerica [recettore immunoglobulinico]
  • secretoria (in circolo), pentamerica: 5 monomeri sono tenuti insieme da 5 legami disolfuro. Ad indurre la polimerizzazione si ha una piccola catena, la catena J (di giunzione).

1° funzione delle IgM: attivazione del complemento. È la classe anticorpale che maggiormente attiva il complemento, grazie alla struttura pentamerica. È la 1° molecola anticorpale che viene coinvolta nel neonato, ha una valenza di 5 o di 10: valenza anticorpale: numero di siti che interagisce con l’antigene). Se l’antigene è piccolo (ad es. monomerico) vengono esposti 10 siti, mentre se è più voluminoso, si espongono solo 5 siti, a causa dell’ingombro. L’IgM induce l’aggregazione degli eritrociti (agglutinazione), proprio per il suo alto PM (1000 kdalton), segregato nel distretto sanguigno.
Immunoglobuline A: rappresentano il 10-15% delle Ig totali. Si può comportare come molecola monomerica, dimerica o tetramerica. Le troviamo soprattutto nelle mucose (soprattutto nelle sottomucose). Le IgA secretorie hanno una fromazione per l più dimerica. La IgA dimerica viene a contatto con la cellule epiteliale della mucosa, che ha il recettore poli-Ig, che riconosce la catena J, componente della IgA dimerica. Una volta che l’ha legata, per endocitosi si porta nella zona luminale. Si ha una scissione enzimatica (pag.100).
Le IgA secretorie si differenziano per la componente secretoria, che ha due funzioni:

  • induce la secrezione
  • protegge la regione hinge dall’azione degli enzimi proteolitici.

Le IgA prevengono la colonizzazione batterica proteggendo la mucosa dal fibrocolera, salmonella, poliomielite (la zolletta di zucchero induce la formazione di IgA).
Le cellule M della mucosa presentano all’interno una tasca ricca di linfociti e di macrofagi, che attiva le cellule B.
Immunoglobuline D: si sa molto poco. È monomerica, caratterizzata da una zona cerniera molto grande, ricca di carboidrati che proteggono le regioni hinge, come avviene anche nelle IgA. L’unica cosa certa è che è il recettore immunoglobulinico, insieme alle IgM e allle IgD. Il marcatore per eccellenza delle IgD sono le immunoglobuline. Anche il recettore delle cellule T ha una struttura di tipo dominiale. Tutte quelle molecole che hanno struttura dominiale appartengono alla superfamiglia delle immunoglobuline, in quanto provengono da una comune cellule progenitrice.

La coesistenza in un’immunoglobulina di una egione variabile ed una costante fa pensare ad un’organizzazione genomica, infatti nel DNA sono presenti segmenti genici che codificano per catene leggere e pesanti, che per tradurre la catena e dare vita alla proteina devono riaarangioarsi e divenire funzionali. A tal proposito soo state proposte 2 teorie (pag.117):

  • Teoria germinativa: l’intero setting di geni che codificano per l’Ig si trovano nel genoma e viene  ereditato dai genitori. La cellula linfoide (B e T) è cellula somatica, ma è sde di meccanismi genici che non avvengono mai in tutte le altre cellule somatiche. Data la grandissima varietà di Ig,  dovremmo avere 100.000.000 di geni solo per la codificazione di tutta la vasta gamma delle Ig, quando in realtà l’intero genoma umano è composto di migliaia di geni. Dunque, questa teroia si è verificata erronea.
  • Teoria somatica: secondo tale teoria, ampiamente dimostrata, in realtà solo pochi geni codificano per le Ig, che vanno incontro nella cellula somatica B (o T) ad un meccanismo genico casuale.

Secondo il modello di Dreyer e Bennet: 2 geni codificano per una catena polipetidica, di cui uno per la regione variabile, l’altro per la regione costante, geni distanti, che nella cellula linfoide si riuniscono per dare origine ad un solo trascritto.
Famiglie multigeniche che costituiscono tanti segmenti genici codificano per la porzione variabile, mentre pochissimi geni codificano per la porzione costante.
Quello che è stato avanzato da Dreyer e Bennet è stato poi confermato da Tonegawa (Nobel nel 1987): prese una cellula embrionale somatica, non linfoide, ed una cellula mielomatosa (linfoide). Prelevò il DNA di queste cellule, quindi attraverso enzimi di restrizione frammentò il DNA in un gel di agarosio. Una volta che la molecola del DNA è stata frammentata si fa l’elettroforesi. Poi sono stati messi a contatto l’mRNA marcato con P32 e viene eseguita l’ibridoizzazione, ossia viene riformata la doppia elica: questa ci rivela nella cellula somatica embrionale la presenza di 2 bande molto distanti, che non s’incntrano mai, mentre nella cellula mielomatosa si ottiene una sola banda, per cui i 2 geni si sono uniti, a seguito del meccanismo di riarrangiamento. Le catene leggere e pesanti vengono codificate da superfamiglie collocate su diversi cromosomi:

  • Catena leggera di tipo kàcromosoma 2
  • Catena leggera di tipo làcromosoma 22
  • Catena pesanteàcromosoma 14.

Queste famiglie multigeniche sono formate da sequenze codificanti(esoni) e non codificanti (introni). Ogni sequenza codificante è repceduta da un segmento leader, che guida le catene. Le catene leggere sono codificate dalla sequenza VJC (Variability Junction Constant). I segmenti genici codificanti le catene pesanti sono invece VDJC (D=Diversity).
Il riarrangiamento, che avviene nel DNA, è del tutto casuale e ordinato:
1°àcodificate catene pesanti
2°àcodificate catene leggere.
Nel DNA germinativo si hanno vari esoni (1000 per la porzione variabile, 150 per la porz.costante, 4 segmenti J, 14 segmenti D). Attraverso il loro riarrangioamento (=ricombinazione genica) viene fuori quell’ampia diversità e dunque specificità verso gli antigeni.
1° riarrangiamento: un esone D si riarrangia con J. Tutto ciò che è intercalato tra J1 e D1 viene deleto, tagliato, in modo da avere l’unità DJ. Si ha un primo DNA riarrangiato. Successivamente il DJ sceglie une sone variabile, dando origine a VDJ, ossia dando origine ad un gene funzionale. La parte costante è separata da quella variabile tramite un introne. Poi si ha lo splicing, ossia la processazione dell’mRNA primario, in seguito al quale si perde l’introne, dunque si origina VDJC, che dà origine ad una catena m: l’esone più grosso vicino alla regione variabile è m, seguito da quello d. Questa catena m svolge 2 importanti funzioni:

  • regola la specificità
  • regola il riarrangiamento delle catene allelicheàesclusione allelica (pag.127).

La cellula B è diploide ma, a differenza di tutte le altre cellule somatiche, solo un allele viene riarrangiato, in modo da mantenere la monospecificità per un dato antigene. Nel 1° riarrangiamento si possono formare anche codoni stop, per cui il riarrangiamento si arresta. Se entrambi i riarrangiamenti non sono produttivi, la cellula va in apoptosi, mentre se uno è produttivo, la catena m manda un messaggio nel cromosoma 2. Anche per le catene leggere si ha il meccanismo di esclusione allelica; nell’eventualità che il 1° riarrangiamento sia produttivo si forma IgM; se, invece, è produttivo il 2° riarrangiamento, sul cromosoma 22 si forma la catena l. La monospecificità è frutto dell’esclusione allelica.
Questo riarrangiamento (delezione) avviene attraverso meccanismi di stelo ed ansa. Questa scissione (delezione, taglio) avviene ad opera delle ricombinasi (pag.123), enzimi che riconoscono sequenze palindromiche conservate eptameriche e nonameriche. Gli esoni variabili in posizione 3’ sono affianxcati da nonameri. A livello J in posizione 5’ si trova: eptamero—spaziatore di 23 nucleotidi—nonamero.
Se dobbiamo formare DJ e dobbiamo legarlo al J5, proprio perché le strutture sono palindromiche…nell’ansa è compreso tutto ciò che si trova tra Vj e V1000, ossia tutto ciò che è intercalato (da V2 a J4 [?]).
Gli enzimi ricombiansi sono sotto il controllo di 2 regioni, RAG-1 e RAG-2 (pag.123) (Geni Attivanti la Ricombinazione). La ricombinazione non basta ad intensificare la specificità anticorpale, ai quali concorrono. Dunque, la specificità è data anche da questi fenomeni:
flessibilità giunzionale: il taglio non avviene sempre nello stesso punto. Il taglio è impreciso, non avviene sempre nello stesso punto e non coinvolge sempre le stesse triplette.
aggiunta di nucleotidi N (da 1 a 15) ad opera della desossiribonucleotide transferasi a livello della catena pesante, che si aggiunge ai lati del segmento D.
assemblaggio delle catene leggere e pesanti
mutazione somatica: fino ad ora si tratta di antigeni indipendenti e di antigeni dipendenti.
Regione costante: presenta tanti esoni quanti sono i domini dell’Ig, quanti sono gli isotipi. Fiancheggiati da questi esoni, si hanno le regioni di switch (pentameri) (pag.133): nel momento in cui si richiede la formazione, ad esempio, delle IgA, gli enzimi ricombinasi o le citochine provvedono alla delezione di tutto ciò che è intercalato, agendo sulla regioni di switch, attivando gli esoni che codificano per quel particolare tipo di Ig richiesto dall’organismo. Ad esempio, l’interleuchina 4 manda un messaggio per la codificazione dell’IgE, mentre l’interleuchina 5 per l’IgA.

Le difese dell’organismo

Meccanismi di difesa specifici

Meccanismi di difesa aspecifici

1° linea di difesa

2° linea di difesa

3° linea di difesa

Cute

Cellule fagiche

Linfociti

Membrana mucose

Proteine antimicrobiche

Anticorpi

Secrezioni

Risposta infiammatoria

 

Le secrezioni, presenti sulla cute e sulla membrana, fanno anch’essi protezione, come il sudore, agendo da fattore diluente dei batteri. Questi hanno una crescita velocissima. Il pH del sudore non si presta alla moltiplicazione batterica. Il liquido lacrimale è anch’esso un fattore diluente e protettivo. Il lisozima ha un’attività batteriostatica e a volte anche batteriolitica. Anche i succhi gastrici hanno una n notevole azione protettiva.  
Nella 2° linea di difesa ci sono elementi del sangue, della linfa, componenti umorali o cellulari. Le cellule fagiche intervengono anche a distanza, dato che hanno un ottima motilità che permette loro, attraverso movimenti ameboidi, di raggiungere l’elemento estraneo, richiamati da una serie di fattori chimici, e cercano di fagocitarlo. Sono cellule ultraspecializzate. Le proteine antimicrobiche sono componenti non lesive, ma la loro presenza può essere motivo di distruzione. Un esempio è l’interferon. La risposta infiammatoria o flogosi interviene quando il patogeno scatena con la sua presenza una serie di eventi che coinvolgono cellule e tessuti. La flogosi si manifesta anche tramite la presenza di materiale inerte, non necessariamente biologicamente attivo. La risposta infiammatoria lascia, però, dei danni, ossia non si attua una guarigione totale nel punto in cui è avvenuta: è necessaria la sostituzione di parte del tessuto, ed il tessuto di riparazione non è del tutto efficiente al pari del tessuto funzionale.
La 1° e la 2° linea di difesa fanno parte di un meccanismo di difesa aspecifico: le difese che si approntano sono rivolte indiscriminatamente a tutte le cellule estranee, come le mucose, la pelle. La 3° linea di difesa è specifica. Queste cellule (linfociti) e molecole (anticorpi) costituiscono delle “armi tagliate su misura”. Si organizza una serie di meccanismi per l’impiego di linfociti che in prima persona aggrediscono l’elemento estraneo, che può essere rappresentato anche da cellule che devono essere distrutte, come quelle tumorali, da non considerare più materiale self: la cellule si è modificata, è diversa strutturalmente, soprattutto in superficie, prodotto di un cambiamento casuale, non normale. Se queste cellule non vengono distrutte si può determinare un tumore, evento relativamente raro. Il tumore ha un’incidenza maggiore nell’anziano, dato che con l’età si abbassano le linee di difesa. I linfociti costruiscono una linea di difesa contro molecole che sono “sopravvissute” alle linee di difesa aspecifiche. Gli anticorpi sono molecole formate dalle plasmacellule, componenti che rientrano nella difesa specifica, rispondendo a qualcosa di veramente pericoloso. Gli anticorpi ed il linfociti risponderanno esclusivamente ad un solo tipo di batterio. Qualsiasi cellula ha delle componenti superficiali che lo differenziano dagli altri tipi cellulari.
Esempio di 3° linea di difesa è rappresentato dalle cellule T citotossiche; certi batteri riescono ad immettersi all’interno di una cellula, in modo da non essere disturbati o aggrediti. Certe cellule, quando vengono infettate internamente, riportano all’esterno un frammento del materiale di cui il batterio è costituito. L’espressione in superficie di questo materiale permette di poter interpretare, leggere, questa cellula estranea. Il linfocita, dopo aver riconosciuto il materiale estraneo, decide di sacrificare la cellula, uccidendola, in modo da evitare la trasmissione dell’infezione ad altre cellule, utilizzando delle molecole altamente corrosive, le perforine. La cellula scoppia, uccisa dal linfocita citotossico.

 

 

I linfociti
Sulla superficie del batterio si trovano siti specifici che lo distinguono dagli altri batteri. Un batterio può essere aggredito da più tipi di anticorpi, che leggono diverse componenti del batterio.
I linfociti, come anche le cellule del sangue, sono prodotti nel midollo osseo. Poi vengono rilasciati nei vari distretti, attraverso il sistema linfatico, che va infine a confluire nel sangue, nella rete ematica. Il timo provvede alla specializzazione del linfocita T, prodotto nel midollo osseo. Anche il linfocita B è prodotto dal midollo osseo; si fa carico della risposta umorale di tipo specifico. Si chiamano B perché negli uccelli sono formati nella borsa di Fabrizio. Le adenoidi, tonsille, appendici, milza, sono punti di stazione importanti per i linfociti. I linfonodi sono presenti su tutta la rete linfatica, organuli molto piccoli, punto d’incontro e scontro tra il materiale estraneo, ossia l’antigene, e l’anticorpo.

Linfociti B:
B cellule:
risposta immune umorale (non realizzano una “battaglia corpo a corpo”)
produzione di anticorpi (Ab)
batteri, antigeni batterici (Ags), virus
circolano liberamente nei fluidi biologici
scarso citoplasma, nucleo voluminoso
morfologicamente molto simili ai linfociti T.

 

Linfociti T:
Linfociti che migrano al timo e maturano in cellule T
T cellule:
immunità cellulo-mediata
organismi estranei: funghi, protozoi, elminti
tessuti estranei (trapianto). Il rigetto del trapianto avviene quando non c’è compatibilità tra donatore e ricevente: la mente organizzativa di una risposta autoimmune è la cellula T.
regolano il sistema immune
eliminano cellule infettate (batteri/virus).   

 

Immunita’ innata

Sviluppo del Sistema Immune: cellule staminali localizzate nel midollo osseo si specializzano in cellule finali, soprattutto in elementi del sangue. In particolare, la linea mieloide forma i neutrofili (polimorfonu-cleati) e monoliti. Questi due tipi di elementi sono accomunati dalla capacità fagica: vengono anche indicati come fagociti. La linea linfoide si caratterizza in stadi maturativi che portano alla formazione di linfociti.
linfocita T, linfocita che formandosi come precursore nel midollo osseo si trasloca nel timo, dove viene specializzato, per renderlo capace di riconoscere il self dal non self. Viene denominato T proprio perché il processo di specializzazione avviene nel timo.
linfocita B, in parallelo matura nel midollo osseo, elabora come risposta immunitaria delle moleco-le importanti: gli anticorpi. Dunque elaborano una risposta umorale.
Una volta dato l’avvio alla competenza di questi elementi, maturano poi in plasmacellule, capaci di rilasciare gli anticorpi. La popolazione dei linfociti B è chiamata così da Borsa di Fabrizio, organo in cui maturano negli uccelli, mentre nei mammiferi tale borsa è stata sostituita dalle placche del Peyer, e da altre strutture appartenenti soprattutto al tubo digerente. Il sisteme immune ha dunque 2 linee:

Mieloidi                                             Linfoidi

                 Granulociti                   Monociti                  Linfociti T    Linfociti B       Cell. Dendritiche ?                 

                   Neutrofili                  Macrofagi               Helper         Plasmacellule
Basofili                     Langerhans e          Citotossici
Eosinofili                   Kupffer                     Soppressori
Cell.dendritiche ?
I neutrofili riescono a migrare nella zona da aggredire.
La fagocitosi si continua all’interno del fagocita con un’azione di distruzione. I monocitipossono avere aspetti diversi, a seconda della zona di allocazione: quando misero in evidenza tali cellule nei vari tessuti, non si pensava fossero lo stesso tipo di cellule, per cui venne dato loro un nome diverso per ogni organo. Nel sangue vengono dette monociti, mentre nei tessuti assume una denominazione ed una morfologia diversa, ma il cambiamento della sue forma non cambia la loro capacità di fagocitosi. Queste cellule non si limitano a distruggere ciò che hanno fagocitato, ma espongono sulla superficie delle componenti di ciò che hanno fagocitato. L’esposizione in superficie ha lo scopo di indurre una presa di conoscenza, da parte delle altre cellule, dell’invasione di estranei, innescando una risposta da parte dei linfociti. Questa funzione di esporre il materiale estraneo all’esterno è posseduta dalle cosiddette cellule Apc (Cellule che Presentano l’Antigene). Antigene= materiale non self, estraneo.
I neutrofili non possiedono la capacità di esporre fuori l’antigene.
Linfocita T helperàelemento che dirige la risposta immunitaria.
Linfocita T citotossicoàcapace di determinare un danno alle altre cellule, aggredisce cellule che devono essere eliminate, in quanto non più riconosciute come self.
Linfocita T soppressoreàblocca la risposta immunitaria, una volta che è stato distrutto l’agente estraneo, dopo il quale si ha il blocco. Pone dunque un freno alla costruzione di molecole di difesa.
I linfociti B si trasformano in plasmacellule, rilasciando gli anticorpi.
Le cellule dendritiche hanno una struttura cellulare molto filamentosa, caratteristica che non ha permesso fino a poco tempo fa di studiarle. Non facilmente classificabili. Recentemente sono state isolate integre ed è stato possibile studiare le loro funzioni, tra cui la principale è quella di legare il materiale estraneo, e poi presentare l’antigene all’esterno, ossia ai linfociti. Dunque, le cellule dendriti-che sono delle cellule Apc in piena regola.

 

DIFESA IMMUNITARIA



Non specifica                                                                      Specifica


      Umorale                       Cellulare                              Umorale                              Cellulare



Complemento                        Macrofagi                            Anticorpi                         Cellule T, altre
Interferon                               Neutrofili                                                                    cellule effettrici
TNF   

L’interferon ha un’ottima attività antivirale, ma non mirata ad uno specifico virus: per tale motivo è considerato elemento della difesa aspecifica.
TNF (Fattore di Necrosi Tumorale): stimola i fagociti nella loro azione antimicrobica.
Per arrivare a formare anticorpi (non sono preformati), dopo la conoscenza dell’antigene, con cui deve completarsi, è necessario un tempo di latenza, che decorre dai 5 ai 10 giorni. Nel frattempo, nella fase iniziale, le risorse più efficaci sono demandate alla difesa non specifica; nel frattempo viene elaborata una risposta specifica.
I linfociti T attaccano fisicamente a stretto contatto l’anticorpo, determinando un danno che gli permette di ucciderlo. Nel contatto si formano molecole con attività lesive sulla membrana cellulare.

 

 

Risposta alle infezioni
InfezioneàImmunità Innata                           Immunità acquisita                         No malattia
                                                     Non malattia                                                                             Reinfezione
Malattia       

Ricovero                                            Muore
Possono presentarsi 2 casi:

  • Superare la malattia senza la necessità di una risposta specifica
  • La difesa specifica è necessaria per contrastare l’infezione.

Può succedere che nel tempo l’agente infettivo venga di nuovo a contatto con l’organismo. In tal caso il nostro organismo presenta una memoria immunologia: riesce a debellare l’infezione lasciando in eredità, a generazione di cellule successive, l’informazione sulla struttura dell’agente infettivo. Nel caso di una ripetizione dell’infezione, non si ha più la necessità del periodo di latenza per ricostruire gli anticorpi specifici, in quanto già si possiedonoàsono le cellule della memoria, di tipo B o T, che si mantengono con una crescita lenta, ma continua nel tempo, mantenendo la linea cellulare specifica per quell’anticorpo. Nel momento della reinfezione non ci si rende conto di essere sotto un’infezione, dato che immediatamente le cellule della memoria aggrediscono l’antigene, evitando la sintomatologia tipica dell’infezione. La difesa dagli agenti patogeni dev’essere sempre garantita, perché la mancanza della difesa anche da un patogeno blando potrebbe essere letale.

Vantaggi del sistema immune:
Protezione dalle infezioni
Eliminazione di cellule alterate

Svantaggi del sistema immune
Alterazioni (infiammazione)
Danno del self (autoimmunità)*

*:è il caso di alcune malattie come l’artrite reumatoide ed il diabete di tipo giovanile.

Caratteristiche dell’immunita’ innata ed acquisita

Immunità innata

Immunità specifica

Antigene indipendente

Antigene dipendente

No tempo di latenza

Periodo di latenza

No specificità antigene

Antigene specifico

No memoria immunologia

Memoria immunologia

BARRIERE FISICHE

Cute , mucose, ciglia, ecc.

Nessuna

FATTORI SOLUBILI

Alcune secrezioni: lisozima,
Interferone, Complemento

Immunoglobuline (Anticorpi)

CELLULE

Fagociti, NK*, eosinofili©

Te B linfociti

* : agiscono in maniera aspecifica
© : fanno parte dei granulociti, efficaci soprattutto sui parassiti, come sugli elminti.

Meccanismi effettori dell’immunita’ innata


Sito

Componente

Funzioni

Cute

Cellule squamose
Sudore

Desquamazione, diluizione, acidi grassi, pH

Tratto digerente

Cellule colonnari

Peristalsi, basso pH, bile, acidi biliari

Polmone

Ciglia tracheali

Elevatore mucociliare
Surfattante

Naso, faringe, occhi

Muco, saliva, lacrime

Lavaggio, lisozima (batteriostatico)

Sangue ed organi linfoidi

Fagociti
F, NK. e LAK§

Fagocitosi e killing intracellulare
Diretta e citolisi anticorpo-dipend

Siero ed altri fluidi biologici

Lactoferrina, transferrina
Interferon, TNF-a

Lisozima
Fibronectina complemento

 

Deprivazione di ferro
Proteine antivirali, attivazione fagocitosi
Idrolisi peptoglicani
Opsonizzazione, stimolazione, fagocitosi, infiammazione

Le opsonine fanno parte del complemento, anticorpi che attirano il linfocita.
§: LAK: qualcuno sostiene che si tratti di particolari stadi maturativi dei linfociti, altri che siano delle cellule diverse.
Il macrofago è una cellula grossa, nucleo vistoso, ha la proprietà di presentare all’esterno l’antigene.

Lezione del 31/10/03-Mazzarino
Il sistema immunologico protegge e difende l’unicità (univocità) molecolare e cellulare dell’individuo e ne regola le funzioni in armonia con gli altri due sistemi di regolazione quali il sistema nervoso ed endocrino. Quando questa triade viene alterata si passa dall’immunità fisiologica ad un’immunità patologica.
Il network neuro-immuno-endocrino è costituito da un insieme di segnali e messaggi diretti verso terminali e recettori disseminati su cellule immunocompetenti, cellule nervose, cellule endocrine (Anche la psiche ricade sul sistema immunitario).
Le cellule immuno-competenti possono essere paragonate a veri e propri computers con sensori e trasmettitori.
Il sistema immune è nel suo insieme un sistema di riconoscimento mobile con cellule e mediatori solubili (anticorpi) che sono ovunque per:

  • Riconoscere
  • Accettare       molecole e/o cellule estranee o ritenute tali
  • Respingere

Il sistema immunitario

Quando perfettamente efficiente, quando perfettamente organizzato riconosce, nei confronti dell’antige-ne che viene a turbare l’equilibrio dinamico che lo caratterizza, diversi “steps” (fasi), che sono alla base della:

Organizzazione del sistema immune

  • Riconoscimento dello stimolo
  • Produzione di una risposta adatta
  • Regolazione della risposta
  • Memoria

Tutte queste fasi sono permesse da un:
LINGUAGGIO (per lo più molecolare)

  • di riconoscimento
  • di attivazione (proliferazione cellulareàselezione clonale)
  • di inibizione
  • di memorizzazione (vaccino)

 

Meccanismi immunitari

1) Innati (naturali)à                 a) fattori umorali: enzimi, proteine reattive, fattori del complemento, inter-
feroni

 

                    b) cellule ad attività                   fagocitaria (PMN, macrofagi)
citotossica (cellule NK, eosinofili).

Cellule NK= linfociti né T né B. dotati di attività citotossica naturale, ossia non anticorpo-dipendente.



2) Adattativi:        Linfociti T
                   Linfociti B    elevata specificità ed efficienza
                   Macrofagi

Le risposte che ne conseguono sono di 2 tipi:

  • cellulari
  • umorali

FUNZIONE

NATURA DELLO STIMOLO IMMUNOLOGICO

ESEMPIO

ABERRAZIONI

Iper-

Ipo-

Difesa

Esogena

Microorganismi

Allergia

Disordini da deficit immunologici

Omeostasi

Endogena o esogena

Rimozione di cellule non più efficienti o danneggiate

Malattie autoimmuni

Sorveglianza

Endogena o esogena

Rimozione di mutanti cellulari

Tumori


** riconoscimento
** attivazione                  LINGUAGGIO.
** inibizione
                                          
Immunodeficit
Ipersensibilità                 RISPOSTA IMMUNITARIA
Autoimmunità
Malattie linfoproliferative

Differenze:


ASPECIFICA (innata)

SPECIFICA (acquisita)

Risposta rapida (ore)

Risposta lenta (da giorni a settimane)

Invariabile

Variabile

Numero limitato di specificità

Numerose specificità altamente selettive

Costante durante la risposta

Si perfeziona durante la risposta

 

 

        Meccanismi effettori in comune per la distruzione di patogeni.

Il sistema immunitario svolge 2 principali funzioni:

  • riconoscimento e difesa nei confronti di sostanze estranee
  • immunosorveglianza.

I componenti della immunità innata interna ed esterna sono preformati, standardizzati, senza memoria e non specifici. Quando le difese esterne come pelle, secrezione e membrane mucose non riescono a prevenire l’invasione dei patogeni, le difese innate interne come temperatura (iperpilessia), tensione di ossigeno, fagocitosi e infiammazione intervengono nel controllo delle infezioni. Nell’insieme, l’iimunità innata riduce il carico di lavoro alle difese specifiche del sistema immunitario.
L’immunità acquisita, sia essa umorale o cellulare, permette la distruzione di tutte le sostanze (viventi e non) che nel corpo non vengono riconosciute come self. Le sei principali caratteristiche dell’immunità acquisita sono:
1- specificità
2- inducibilità
3- diversità
4- memoria
5- distinzione self dal non-self
6- autoinibizione del self.
Le cellule principali del sistema immunitario sono:

  • linfociti B
  • linfociti T
  • macrofagi.

I linfociti B sono responsabili dell’immunità umorale, mentre le cellule T conferiscono immunità cellulare. Diversamente dai linfociti, le cellule fagocitiche (come i macrofagi) non rispondono specificamente a sostanze estranee, ma rivestono un importante ruolo ausiliare (APC). L’immunità acquisita può essere suddivisa in passiva ed attiva, e ulteriormente in forma naturale e artificiale. La teoria della selezione clonale spiega come il sistema immunitario dei vertebrati possa riconoscere specificamente milioni di antigeni differenti. La teoria è valida per i linfociti B e T e spiega la diversità, la memoria e la specificità immunologia. La storia dello sviluppo dei linfociti B e T può essere divisa in filogenesi e ontogenesi.
Conte cellulari in condizioni normali nel sangue periferico:

 

Cell/mm3

%

Globuli rossi

5,0 x 106

 

Piastrine

2,5 x 105

 

Leucociti o GB:
Neutrofili
Linfociti
Monociti
Eosinofili
Basofili

5¸8 x 103

 

50¸70%
20¸40%¨
1¸6%
1¸4%
<1%§

¨: nel bambino arriva anche al 50%.
§: il basofilo non è in circolo, ma dislocato nei distretti in forma di mastcellula. Aumenta nel caso di tumori.
Emopoiesi

  Cellula staminale primordiale


Cellula pluripotente

  Progenitore mieloide                                                                                    Progenitore linfoide
                                                                                                       TIMOK

Eritroidi         Megacariociti     Basofili    Eosinofili   Granulociti-         Linfociti B   Linfociti T  Natural Killer
CFU                                      CFU          CFU       Monociti CFU                                                   (LGL)

 

Eritrociti               Piastrine      Basofili     Eosinofili  Granulociti  Monociti

K Il timo attua l’immunocompetenza cellulo-mediataàselezione clonale: solo 1/3 raggiunge il livello maturativo.
Ontogenesi

2x1012 cellule
1% del peso corporeo
Cellula staminale pluripotenteàsi trasforma in varie cellule finali, ad esempio, la cellula pre-T si forma nel midollo osseo, si differenzia nel timo e può essere marcata da:

  • CD4+ e CD8-àhelper
  • CD4- e CD8+àcitotossiche, citolitiche non naturali: ossia necessitano del contatto con l’antigene.

CD=Cluster of Differentaction.
L’identificazione di questi marcatori superficiali prevede l’uso di anticorpi monoclonali che legano un solo epitopo. Mediante la fluorescenza veiene espressa la presenza del marcatore.
Cellula pre-Bàcellula B maturaàplasmacellula, finalizzata alla secrezione di anticorpi.
TàTCR
BàBCR.

 

Cellula T

Cellula B

Cellula NK

Macrofago

Recettore per l’antigene

TCRab
TCRgd

Ig (di superficie):
BCR

?

Nessuno

Marcatori caratteristici di membrana

CD3, CD4 O CD8

Ig, CD5, CD9, CD10, CD20

CD16, CD56

Molecola di classe I e II. Recettori del complemento (CD11b, CD35) CD14, CD68

Funzioni

Secrezione di citochine

Secrezione di Ig, presentazione dell’antigene, secrezione di citochine

Secrezione di citochine, ADCCl: citotossicità diretta

Fagocitosi, presentazione dell’antigene, secrezioen di citochine.

l: ADCC=Antibody Dipendent Cellular Citotossicity.
Il monocitaè in circolo, mentre il macrofago è distrettualizzato.
La plasmacellula non si dovrebbe trovare mai in circolo. Se la trovassimo, potremmo pensare ad una caso di mieloma multiplo, malattia linfoproliferativa, ossia un tumore. È una cellula ricca di reticolo endoplasmico, nucleo periferico “a ruota dentata”.
Il basofilo è caratterizzato da granulazioni blu. Mastcellula=basofilo che ha lasciato la sua sede ematica.
Cellule dendritiche: sono pochissime (0,1%), importanti a livello dei distretti. Sono cellule Apc. Oggi vengono utilizzate nell’immunità attiva dei tumori. Se ne conoscono varie forme:
Cellule di Langerhans (cute)
Cellule dendritiche interstiziali (organi splancnici)
Cellule dendritiche interdigitate (organi linfatici secondari [linfonodi, milza, cute] e midollari del timo).
Cellule dendritiche circolanti [0,1% dei leucociti circolanti] e nella linfa (cellule VELATE).
Attraverso le loro propaggini, le cellule dendritiche hanno un ruolo fondamentale nel rpesentare l’antigene.
Il monocita ha un nucleo reniforme, diametro di 12 micron, mentre il macrofago è più piccolo e dotato di potere fagocitico. I microfagi o polimorfonucleati ,macrofagi (PMN) hanno un nucleo polilobato.
Immunofenotipizzare tali cellule è importante, primum movens per orientarci ed individuare patologie immunologiche.
Cellule B: allo stato G0: linfociti verginiàha un nucleo che occupa i 2/3 della sua superficie.
La cellula B presenta una serie eterogenea di Ig di superficie e molti CD: CD35, CD40, CD21, CD32, CD35.
Cellula T: anch’essa molto poliedrica. Importante il complesso TCR-CD3, pentamero, tipico ed esclusivo della cellula T. Poi presenta dei cofattoriàCD4, CD8, CTLA-4, CD25.
La cellula CD4+ viene considerata la “direttrice“di tutto il sistema immunitario, in quanto coopera con:
Macrofagi attivati
Cellule NK, indotte
Produzione di citochine che influenzano le cellule linfoidi
Produzione di fattori stimolanti colonie
Produzione di citochine che influenzano le cellule non linfoidi (dinamica intersistemica)
Cellule soppressor, indotte
Cellule T, citotossiche, indotte.

               TH1àsecerne interleuchine.

TH0àTH



                     TH2àsecerne interleuchine 4,5,13.

C’è un balance tra i 2 tipi di cellule TH (T helper).
I linfociti sono apparentemente tutti più o meno uguali tra loro dal punto di vista morfologico.
In realtà, malgrado questa apparente omogeneità, si possono distinguere nel loro ambito numerose sottopopolazioni, dotate di differenti attività funzionali.
La principale suddivisione funzionale distingue i linfociti T (timo dipendenti), i linfociti B (Precursori delle Plasmacellule Secernenti Anticorpi) e le cellule non-T e non-B o della 3° popolazione. Ne loro ambito si possono riconoscere ulteriori specializzazioni funzionali:
cellule Tà70%
cellule non T e non Bà20%
cellule Bà10%.
Le varie attività funzionali sono legate alla presenza di molecole glicoproteiche sulla superficie cellulare, sono in genere strutture recettoriali o antigeniche, indispnesabili allo svolgimento delle particolari funzioni di una data sottopopolazione.
Queste strutture prendono il nome di marcatori di superficie, in quanto permetono di “etichettare” lo stipite di appartenenza o l’attività funzioanle di una cellula in base alla presenza/assenza di una o più di queste molecole.
Il riconoscimento dei marcatori di superficie mediante anticorpi monoclonali e immunofluorescenza (analisi del fenotipo o tipizzazione) permette di enumerare rapidamente ed accuratamente le diverse popolazioni cellulari o di valutarne i rapporti relativi, che possono essere preofondamente mutanti in numerose condizioni patologiche (immunopatologia).
Inoltre, in condizioni di trasformazione neoplastica delle cellule immunocompetenti (leucemie, linfomi) si assiste alla comparsa di cloni cellulari dotati di tipici fenotipi.

Caratteristiche generali dei subsets linfocitari

Alcune sottoclassi linfocitarie che esercitano particolari attività funzionali possono essere distinte mediante l’analisi di marcatori di superficie.
Si distinguono i marcatori stabili (o strutturali), che ogni cellula esprime normalmente, dai marcatori che la cellula esprime solo in particolari condizioni (per esempio, attivazione).
Nell’uomo si impone la combinazione di più marcatori per suddividere meglio le varie sottoclassi linfocitarie.

Applicazioni (in vitro) dell’analisi dei marcatori cellulari di superficie

  • Immunopatologia

Studio e classificazione delle immunodeficienza congenite relative soprattutto al comparto linfoide.
AIDS e sindromi correlate:
(Stadiazione della malattia in base al numero delle cellule CD4+).
Distribuzione numerica sottoclassi linfocitarie a significato regolatorio o effettore
(Correlazione con il meccanismo patogenetico)
(Es. LES, Sarcoidosi, Artrite Reumatoide, ecc.)

  • Trapianto d’organo 

Monitoraggio immunologico del ricevente
Valutazione degli effetti della terapia immunosoppressiva
(Deplezione T, sottoclassi T).
Variazioni legate agli eventi immuni (rigetto, infezioni)
Attecchimento del trapianto del midollo, reazione Graft-Versus-Host: si può avere un trapianto allogenico od un autotrapianto. Comunque, nel 1° caso accade che il trapianto rigetta l’ospite, non il contrario, come di solito accade.

  • Ematologia-onocologia

Caratterizzazione e classificazione delle leucemie acute, delle leucemie croniche, dei linfomi e del plasmocitomi.
Analisi su sangue periferico, midollo, linfonodi o tessuto infiltrato.
(Leucemie acute, croniche, linfomi, mielomi)
Studio dei fenomeni associati alle leucemie ed ai linfomi
(alterazioni ematologiche indotte, studio delle popolazioni residue)

  • In associazione alla citologia convenzionale

Analisi cellule ricavate da altri liquidi corporei
(essudati, liquido pleurico, ascite, liquor, ecc.).

Le cellule T non producono anticorpi, ma sono responsabili della piena espressione dell’immunità a molti antigeni. Le cellule T sono cellule effettrici e regolatrici ed esprimono marcatori che permettono la loro suddivisione in sottopopolazioni:

  • cellule TH (ristrette alla classe II e CD4+)                                4 x 2=8 x 1: fenomeno di restrizione
  • Cellule TC [citotosiche] (ristrette alla classe I e CD8+)                                                  MHC

I linfociti pre-T del midollo osseo migrano nel timo e si sviluppano in cellule T mature (selezione positiva o negativa).
Monociti macrofagici: a cavallo tra immunità innata e specifica.



Tessuto emopoietico                           Tessuto linfoide primario (o centrale)
Timo
Cellule B
Borsa di Fabrizio (negli uccelli)


Placche del Peyer   Tessuto linfoide secondario (o periferico)
Milza
Linfonodi

MALAPONTE, 5/11/2003
(Capitolo 9: Il recettore dei linfociti T)
La cellula T ed il TCR

La cellula T assomiglia molto alla cellula B. è dotata di un recettore. È stato possibile isolare il  TCR utilizzando anticorpi monoclonali, ossia prodotti da un solo clone, anticorpi omogenei, con stessa struttura e specificità, detti anche anticorpi clonotipici (pag.218). Sono stati identificati 2 tipi di recettore:
ab, per il 95%
gd, per il 5%.
Tale recettore somiglia moltissimo all’Immunoglobulina di membrana, ha un dominio variabile, N-terminale, a cui è legata la specificità nei confronti dell’antigene, ed uno costante. La variabilità è data dai CDR. Si hanno 3 CDR nella porzione variabile. Le CDRa si appaiano con quelli b creando una strutture in grado di riconoscere e accogliere gli anticorpi.
La catena b nella porzione variabile ha anche un CDR4, che non partecipa alla riposta agli antigeni convenzionali, bensì rappresenta il sito di riconoscimento di alcuni agenti microbici: superantigeni (pag.258): si tratta di enterossintine baterriche, prodotte da batteri Gram positivi, dati dallo Stafilocco aureo e dallo Streptococco responsabili delle intossificazioni alimentari. La sindrome da shock tossico è un altro esempio delle conseguenze indotte dall’iperproduzione di citochine indotta da superantigeni. Tale sindrome è associata per lo più all’utilizzo di tamponi interni vaginali. Sono superantigeni tossine che si comportano da attivatori policlonali, anche in piccole concentrazioni, ossia inducono una massiva proliferazione di cellule T, indipendentemente dalla specificità del TCR, e dunque un’iperproduzione di citochine con conseguente tossicità sistemica. Queste enterotossine si legano al dominio variabile della catena b, al di fuori della tasca di riconosci-mento antigenico. Funzionano da ponte tra TCR  ed MHC (molecole di istocompatibilità) di classe II, espresse dalla cellula Apc, dunque non discende dal polimorfismo delle molecole di istocompatibilità. Dunque, il legame tra queste due strutture avviene al di fuori della tasca.
Il superantigene non va incontro a degradazione. Le cellule T, dotate di quella particolare catena b, sono responsive a tali superantigeni. Questi fanno produrre molte citochine infiammatorie, causando:

  • Febbre
  • Coagulazione intravasaleàcollasso circolatorioàshockà
  • Insufficienza renaleàmorte.

Le porzioni di cui è costituito un TCR sono le seguenti (pag.219):
dominio variabile, simile al dominio immunoglobulinico
dominio costante, il quale ha diverse funzioni
porzione d’aggancio alla membrana
porzione transmembrana, idrofobica, fatta di 22 amminoacidi
code formate da 5-12 amminoacidi.
Nella porzione transmembrana il TCR è caricato positivamente:

  • Catena aàarginina
  • Catena bàlisina.

Questa cappa positiva destabilizza la struttura di tale recettore. Un organizzazione simile fa pensare ad un’identica organizzazione genomica, dove si ha molta analogia con l’Ig di membrana, ma i geni sono completamente diversi: Hedrick e Davis (pag.220) scoprirono che l’mRNA che codifica per i TCR si trova attaccato ai poliribosomi associati alla membrana e  non ai ribosomi liberi nel citoplasma. Isolarono e purificarono questo mRNA di membrana e utilizzarono la trascrittasi inversa per sintetizzare sonde di cDNA marcate con 32P. Poiché solo il 3% dell’mRNA dei linfociti è presente nella frazione poliribosomiale, questa procedura permetteva di eliminare il 97% dei messaggeri non codificanti proteine di membrana. Successivamente Hedrick e Davis utilizzarono una tecnica chiamata ibridizzazione per sottrazione del DNA, che permise di eliminare dalla preparazione di cDNA tutti i cDNA marcati con 32P non specifici delle cellule T. ola base razionale per questo tipo di approccio era che i linfociti B e T derivano da una stessa cellula progenitrice ed esprimono quindi molti geni in comune. In esperimenti precedenti Davis aveva dimostrato che il 98% dei geni espressi nei linfociti era comune ai linfociti B e T. dunque, Hedrick e Davis cercarono di arricchire la piccola percentuale (2%) di geni espressi selettivamente dai linfociti T, che doveva comprendere i geni del TCR. Ibridizzando i messaggeri dei linfociti B con i cDNA [32P] ottenuti dai linfociti TH, essi riuscirono a rimuovere, o a sottrarre, tutti i cDNA comuni ai linfociti B e T. I cDNA rimasti non ibridzzati rappresentavano presumibilmente gli mRNA poliribosomiali espressi unicamente dal clone TH, incluso l’mRNA codificante il suo TCR. Restava soltanto il 2% dei geni. I geni che codificano per il TCR sono dunque distinti da quelli che codificano per l’Ig di membrana, e tali geni codificano per le varie catene pesanti, sottoforma di famiglie multigeniche (fatte di segmenti genomici codificanti e non, ossia esoni ed introni), collocati però in cromosomi diversi:

Gene

Localizzazione cromosomica

Segmenti genici

Catena a

14

VJ

Catena b

7

VDJ

Catena g

7

VJ

Catena d

14

VDJ

Nella porzione costante mancano i segmenti di switch isotipico, a differenza che nelle Ig.
L’organizzazione induce la delezione di tutto ciò che è interposto: non si potranno mai formare contemporaneamente  2 tipi di catene: il codificamento dell’una esclude l’altra: ecco perché si trovano nello stesso locus: o si forma ab o si forma gd. 
Il meccanismo genomico è identico tra ab e gd. Un qualsiasi esone variabile della catena a si appaia con la catena Jàdà origine a VJàsi forma il trascritto primarioàsplicingàformazione di mRNA: anche nella formazione del TCR, come nel caso dell’Ig, si trova un segmento leader che trasporta il trascritto al RE:
1° riarrangiamentoàcatene b
2° riarrangiamentoàVJ si unisce a DàVDJàcatena bàsplicingàVJCàcatena a.
Sono presenti 2 esoni costanti (segmenti C) nella catena b  e uno solo nella catena a (pag.223). La scelta dell’una o dell’altra non influenza la specificità perché la porzione costante del recettore è solo un dominio strutturale, che non influisce sulla specificità del recettore. Tali esoni costanti codificano per tutte quelle porzioni che permettono di ancorare la molecola al recettore, ossia:
tratto di giunzione
dominio costante
porzione transmembrana
coda.
L’esone variabile è invece responsabile della formazione di CDR1, CDR2 e CDR3.
Ci dovremo chiedere cosa differenzia una cellula T da una cellula B dal punto di vista della struttura (recettori), dei marcatori di superficie, della funzione e dell’organizzazione genomica.
Le ricombinasi riconoscono sequenze palindromiche di ottameri e nonameri, andando a compiere la delezione di tutto ciò che è intercalato. Il meccanismo di riarrangiamento è molto delicato, perché il genoma durante questo riarrangiamento è esposto alla traslocazione cromosomica (pag.549): di solito la cromatina è addensata,inattivando i geni RAG1 e RAG2, ma quando la cromatina è aperta può aver luogo una traslocazione cromosomica. Ad esempio, il c-myc, che codifica per la proliferazione della cellula, quando è incontrollato porta a diventare un oncogeneàtrasformazione neoplasticaàlinfoma di Burkitt: le cellule neoplastiche di alcuni pazienti affetti da tale linfoma presentano una traslocazione che sposta una parte del cromosoma 8 sul cromosoma 14. il 90% di queste ricombinazioni porta le cellule B e T all’apoptosi.
(pag.227) Vari meccanismi operanti durante il riarrangiamento del TCR contribuiscono a originare una diversità molto elevata nel TCR:

  • Flessibilità giunzionale
  • Aggiunta di nucleotidi, che si affiancano nella catena pesante.

Il TCR, nonostante il numero dei geni variabile sia minore rispetto a quello delle Ig di membrana (300 vs 1000), presenta una variabilità più alta di quella delle Ig (dell’ordine di 1018 vs 1011) perché:

  • un minor numero di geni variabili viene soppiantato da un maggior numero di geni J (500 vs 5)
  • si possono verificare ricombinazioni alternative: anche la catena b può essere formata dal VJ o dal  VDDJ,  VDDDJ, o dal D (nel caso della catena gd).
  • aggiunta di nucleotidi N e P ad opera delle desossiribonucleotide trasferasi sia nelle catene a che nelle catene b (sia g sia d), mentre nelle Ig ciò avviene solo nelle catene pesanti.
  • Mutazione somatica: meccanismo antigene dipendente, non avviene mai nel TCR!!La specificità che si è sviluppata nel timo è la stessa per la cellule T in circolo, al contrario delle cellule B.

Se è vero che la mutazione somatica può aumentare la variabilità, come nel caso delle cellule B, è anche vero che nella cellula T potrebbe avere delle conseguenze letali: la cellula B autoreattiva, per produrre anticorpi autoreattivi, necessita della cellula T autoreattiva (è la cellula T a guidare la risposta immuni-taria, umorale e celulare ): quest’ultima, fortunatamente (pag.229) non si forma, perché i geni del TCR non vanno incontro a mutazione somatica. Un raro processo di mutazione somatica potrebbe rendere la cellula iporeattiva, in quanto non è in grado di riconoscere la molecola d’istocompatibilità.

 


Confronto tra le proprietà strutturali e i meccanismi genici principali delle Ig e del recettore della cellula T: TCR

Geni

Proteine

 

Ig

TCR

 

Ig

TCR

Molti VDJs, pochi Cs

Forme di membrana

Riarrangiamenti VDJ

Forme secrete

No

Appaiamenti V per il sito di riconoscimento dell’antigene

Isotipi con funzioni distinte

No

Ipermutazione somatica

No

Valenza

2

1

La coda del TCR è simile a quella dell’Ig e presenta la proteina CD3 (pag.229). Il TCR ed il CD3 sono molto vicini sulla membrana dei linfociti T. Il CD3 è necessario per l’espressione in membrana dei TCR ab e gd: la pdita dei geni che codificano il CD3 o le catene del TCR causa la macata espressione in membrana di tutto il complesso molecolare. L’anticorpo monoclonale anti-TCR riconosce anche la proteina CD3, formata da 5 catene polipeptidiche monomorfiche che si associano a formare 3 dimeri:

  • Eterodimero  ge
  • Eterodimero de e Omodimero zz
  • Eterodimero zh.

Circa il 90% dei complessi CD3 presenta omodimeri zz ed il rimante 10% contiene eterodimeri zh. Il complesso del TCR può quindi essere visto come un complesso costituito da 4 dimeri:

  • L’eterodimero ab o gd determina la specificità di legame con l’antigene
  • I 3 dimeri del CD3 sono necessari per l’espressione del TCR e per la traduzione del segnale.

La porzione transmembrana del CD3 contiene è carica negativamente in quanto è ricco di residui di acido aspartico, che si lega all’arginina e alla lisina del TCR, dunque funziona da stabilizzante della struttura del TCR, di per sé instabile. Il vantaggio del DC3 è di avere code molto lunghe (anche di 114 amminoacidi) in cui sono presenti le sequenze ITAM (Immunoreceptor Tyrosine-based Activation Motif=motivo contenente tirosina coinvolto nell’attivazione dell’immunorecettore), motivi a mò di salsicciotto (le catene g, d ed e del CD3 contengono una singola copia di ITAM, mentre le catene z ed h ne contengono 3 copie). Il CD3 non è polimorfo, ma è identico in tutte le cellule T della stessa specie.
Anche nelle code del TCR sono presenti le sequenze ITAM, motivi di riconoscimento di recettori tirosini-ci, che vengono fosforilati dalla tirosin chiansi a tirosina, che attiva le proteine chinasi, ad esempio le ZAP-70 (pag.255)àfosforilano tantissimi substrati, attivandoli, ad esemopio enzimi come la fosfolipasi C, incrementando la formazione del Ca2+àattivazione dei fattori di trascrizione, traslocati da citoplasma l nucleoàcodificazione per le varie proteine, come le citochine.
Il TCR ha un’affinità molto bassa per l’antigene ed ha una costante di dissociazione molto rapida: l’interazione tra cellula T e cellula Apc si dissocia nel giro di qualche secondo, dunque la cellula T non avrebbe il tempo di discriminare l’antigene: intervengono le molecole accessorie, che interagiscono su:

  • Matrice extracellulare
  • Cellula epiteliale
  • Cellula Apc.

La funzione delle molecole accessorie è quella di facilitare l’adesione tra cellule T e cellule Apc. Due di queste molecole, oltre a comportarsi da molecole di adesione, sono anche dei corecettori (pag.230). Essi favoriscono una maggior adesività e partecipano alla traduzione del segnale alla cellula:
CD4: monomerica. Presenta 4 domini, appartiene alla superfamiglia delle Ig. Interagisce con la cellula Apc (molecola di istocompatibilità) e tale interazione avviene tra D1 e D2.
CD8: eterodimero ab, tenuto insieme da un ponte disolfuro. Anch’esso appartiene alla superfamiglia delle Ig.
CD4 e CD8 prendono contatto con la molecola d’istocompatibilità e partecipano alla trasduzione del messaggio, insieme al CD3.
Delle proteine chinasi attivano le ZAP70, e delle chinasi CD4 e CD8 portano alla fosforilazione di molti substrati.

MALAPONTE, 7/11/2003
(le due principali barriere epiteliali sono le giunzioni a stretto contatto tra le cellule e lo strato corneo, che impediscono il passaggio degli antigeni).
(I residui di mannosio sono gli elementi presenti sulla superficie dei patogeni che vengono riconosciuti dai macrofagi, permettendo il loro attacco da parte di questi ultimi).
(CD25=marcatore di superficie specifico della cellula T attivata).
(Switch isotipico= meccanismo antigene dipendente in cui la cellula B matura presenta in seguito all’incontro con l’antigene: la stessa variabilità che si sviluppa si può accoppiare con altri isotipi, ossia, in base alla funzione che la cellula deve svolgere, pur mantenendo la stessa variabilità, dunque lo stesso VDJ, si sviluppano classi diverseàciò vuol dire che può variare la C che corrisponde ad un’altra immunoglobulina (e la C precedente, più vicina a VDJ, viene inglobata nel “loop” e viene deleta): a livello 5’ della regione costante sono presenti regioni di switch conservate dove agiscono le ricombinasi, che svolgono la delezione col meccanismo di “stand and loop”, e le citochine, presenti nel microambiente, che favoriscono lo switch.

 

Maturazione dei linfociti T
(capitolo 10, pag.241)
Ha aspetti comuni alle cellule B: entrambi risentono dell’influsso stromale, entrambi subiscono il riarrangiamento.
Il timo (pag.47) costituito da epitelio corticale, epitelio midollare e connettivo che insieme costituiscono lo stroma timico.
Corticale: contiene cellule epiteliali timiche e timociti immaturi
Midollare: contiene cellule dendritiche, timociti maturi e macrofagi.
La centralità del ruolo del timo nella funzione immunitaria è dimostrata da alterazioni congenite umane come la sindrome di Digeorge: si tratta di una ipoplasia timica dovuta ad un’alterata formazione del timo a carico della 3° e della 4° tasca branchiale. I bambini che ne sono affetti sono soggetti ad infezioni ricorrenti. Nonostante la cellula B sia presente, a causa dell’assenza della cellula T  non può esplicare la propria funzione. Stesse caratteristiche presenta la cosiddetta sindrome da topo nudo, e inoltre, in seguito alla timectomia, non ha luogo alcuna risposta immunitaria.
I progenitori midollari entrano nel timo, dopo essere stati prodotti dal midollo osseo. Alla loro superficie non esprimono alcun marcatore, ma sono attratti da fattori chemiotattici, di natura ormonale, prodotti dalle cellule stremali, quali, ad esempio:

  • Timopentina
  • Timulina
  • Timopoietina
  • Interleuchina 7

La maturazione della cellula T consta di 3 stadi:

  • Attivazione
  • Proliferazione
  • Selezione.

Successivamente alla comparsa di 2 primi marcatori, CD7 e CD2, presenti nei progenitori midollari, contemporanemante comincia ad aver luogo il riarrangiamento del DNA germinale, con geni doppi negativi, ossia che non presentano né CD4 né CD8. non si sa se questi precursori siano già istruiti nel fabbricare ab o gd, ma è sicuro che esistono dei segnali regolatori che agiscono sui geni g. Quindi i progenitori ab presentano una proteina silenziatore, che agisce deprimendo i geni g, mentre le cellule destinate a produrre gd non presentano tale proteina. Le prime cellule ad essere prodotte sono le gd, con una specificità limitata, in quanto manca ancora la desossiribonucleotide trasferasi e dunque non avviene l’aggiunta di nucleotidi.

  • Se viene riarrangiato l’esone g5àil linfocita migra verso l’epidermide
  • Se viene riarrangiato l’esone g6àil linfocita migra verso l’epitelio riproduttivo.

I linfociti che derivano dal riarrangiamento degli altri esoni migrano nei restanti tessuti. Infatti, i linfociti gd restano fissi nei tessuti, non circolano. Hanno azione simile alle cellule NK, ossia sono dotati di un’attività citotossica non ristretta alle molecole di istocompatibilità. Secondo altri studiosi, essi rappresentano un primordiale sistema di sorveglianza agente sull’epidermidi, evitando che i patogeni passino attraverso la lamina basale.
Alla nascita la linea principale diventa l’ab (95%), mentre le cellule gd acquisiscono l’ampia variabilità che li caratterizza, grazie alla comparsa della desossossiribonucleotide trasferasi. Le prime catene ad essere riarrangiate sono le catene b. Il riarrangiamento di tale catena nel linfocita pro-TàVJàVDJ sintetizzata nel citoplasma. Dunque, il linfocita pro-T presenta una catena b intracitoplasmatica. Il linfocita pre-T è invece caratterizzato dallo spostamento della catena b, che da intracitoplasmatico diventa di superficie, e dall’espressione delle molecole CD4, CD8 e CD3àdoppio positivo. Inoltre, comincia ad essere presente un surrogato di catena a. A questo punto, parte il riarrangiamento della catena a.

  • Nella cellula pro-Tàcatena b intracitoplasmatica
  • Nella cellula pre-Tàcatena b di superficie.

Nei linfociti immaturi si completa il riarrangiamento, il cui meccanismo è identico nei 2 tipi di cellula, ab e gd, per cui si realizza il controllo dell’autoreattività. Avverrà la formazione delle cellule T che hanno un recettore capace di riconoscere MHC self.
Selezione timica dei linfociti T (pag.244): In entrambe le selezioni, positiva e negativa, le cellule stremali hanno un ruolo importantissimo, in quanto presentano ,molte molecole d’istocompatibilità (di MHC) di I e II classe. Quindi, la selezione positiva,che avviene nella corticale del timo, elimina le cellule T il cui recettore non riconosce l’MHC self: ossia, fa maturare tutte le cellule T con bassa affinità per l’MHC self ed alta affinità per il non self.
Movendosi verso la midollare, s’incontrano cellule con lunghi processi. Se il recettore non riconosce l’MHC self presente nella cellula stromale, la cellula T va in apoptosi: la selezione positiva ci assicura la restrizione della risposta.
Si realizza anche una tipizzazione fenotipica che ci assicura l’espressione di CD4 o di CD8: in tal modo si assicura la specificità che il recettore deve avere per molecole di I o di II classe, a seconda che esprimano CD8 o CD4.
Ma ci chiediamo, mediante quale processo i timociti doppi positivi decidono di diventare linfociti T CD4+CD8- o CD4-CD8+? Per spiegare la trasformazione di un timocita doppio positivo in uno dei due possibili singoli positivi sono stati proposti 2 diversi meccanismi (pag.250):
Meccanismo stocastico: afferma che l’inattivazione di CD4 o di CD8 è regolata in modo casuale, senza alcuna relazione con la specificità del TCR. In questo caso maturano solamente i timociti in cui il TCR ed il corecettore riconoscono la stessa classe di MHC.
Meccanismo istruttivo: sostiene che interazioni ripetute tra il TCR, i corecettori CD8+ o CD4+ e le molecole di classa I o classe II istruiscano la cellula a diventare singola positiva rispettivamente per CD8 o CD4. Questo modello prevede che un TCR associato ad un MHC di classe I e al corecettore CD8 trasduca un segnale diverso rispetto a quello generato dal complesso TCR-MHC di classe II e dal corecettore CD4. 
A livello della giunzione cortico-midollare avviene la selezione negativa. In questo meccanismo sono molto importanti i macrofagi e le cellule dendritiche, presenti sia a livello centrale, cioè nel timo, sia a livello periferico. Attraverso la selezione negativa vengono eliminati tutti i timociti che esprimono alta affinità per l’MHC self e per gli autoantigeni, in modo da garantire l’autotolleranza.
Selezione positivaàgarantisce la restrizione,proprietà che differenzia la cellula B dalla cellula T
Selezione negativaàgarantisce l’autotolleranza.
I singoli positivi migrano dal timo agli organi linfoidi secondari. Dunque, ricapitolando:
Timociti immaturi doppiamente negativi CD3, CD4, CD8

                                               Nella corticale

 

Timociti immaturi doppiamente positivi CD3, CD4, CD8

                                               Nella midollare

 

Timociti maturi CD4+CD8- e CD4-CD8+

Matureranno solo antigeni che hanno bassa affinità per autoantigeni ed alta affinità per gli antigeni non self.

Risposta della cellula t
(Capitolo 7àl’MHC; Capitolo 8àProcessazione presentazione dell’antigene)
La risposta della cellula T prevede che l’antigene venga processato (degradato) all’interno della cellula Apc e sia esposto sulla superficie nel contesto della molecola di istocompatibilità. Ciò significa che:

  • il TCR, oltre a funzionare da recettore per l’antigene, funziona da recettore per la cellula Apc
  • la molecola dell’MHC funge da recettore per l’antigene.

Infatti, la struttura della molecola dell’MHC è capace di accogliere l’antigene in una nicchia,in una tasca, con la struttura b-planare, con foglietti b aventi 8 nastri paralleli che fanno da pavimento a questa nicchia, mentre le pareti sono date da catene a.
Una struttura simile, nonché il polimorfismo, ossia la presentazione di più alleli in uno stesso locus nella stessa specie, assicura la variabilità della molecola dell’MHC, cellula poligenica e polimorfica. Nell’uomo i geni che codificano per tale molecola si trovano sul cromosoma 6. ogni individuo ha una diversa struttura della molecola dell’MHC. L’elevato polimorfismo comporta:

  • l’insuccesso del trapianto
  • gran successo della presentazione dell’antigene alla cellula T, dotata del TCR.

La lunghezza di questa nicchia condiziona la lunghezza del peptide antigenico, ma è necessario analizzare separatamente la molecola di classe I e quella di classe II (pag.180):
Struttura della molecola di classe I:
Espressa su tutte le cellule nucleate, è dotata di catena a, che si risolve in 3 domini, legata non covalentemente alla b2-microglobulina. Tasca a1a2. Segmento transmembranario, coda citoplasmatica. La tasca della molecola di classe I è chiusa. Ciò significa che il fetide deve contrarre legami con l’MHC ai 2 estremi, amino e carbossiterminale. Per lo più coinvolge 1 o più amminoacidi. Se isoliamo il complesso peptide+MHC, la lunghezza del peptide, ancorato nella tasca, è dell’ordine di 8-9 amminoacidi. Tale peptide presenta sequenze di ancoraggio che vanno a legare in modo complementare motif presenti nella molecola dell’MHC, mentre catene laterali, diverse da peptide a peptide, sporgono al di fuori della tasca. Il segmento ancorato sulla tasca è lineare, disteso, mentre tutto ciò che sporge al di fuori interagisce col TCR. Dunque,

      • l’unità di base viene riconosciuta dall’MHC
      • tutto ciò che sporge dalla tasca interagisce specificamente col TCR.

Struttura della molecola di classe II:
a1a2 b1b2. La tasca è data da a1b1. il segmento che si ancora è più lungo (fino a 30 amminoacidi), in quanto l’interazione avviene solo ad un estremo, di solito nell’ammino terminale. Ciò è dovuto al fatto che la tasca della molecola di classe II è aperta. Antigene—molecola dell’MHC—TCR formano un sistema trimolecolare. Il TCR deve riconoscere sia l’MHC che il peptide. Il legame che il recettore stabilisce con l’MHC è dato da CDR1 e CDR2. il peptide deve presentare due facce, una esposta all’MHC e l’altra esposta al TCR:

  • faccia esposta al recettoreàidrofilica, detta epitopo, interagisce col CD3
  • faccia esposta all’MHCàidrofobica, detta agretopo.

Cosa differenzia la cellula B dalla cellula T? La cellula B riconosce gli antigeni extracellulari allo stato nativo, qualunque sia la loro natura; riconosce per lo più epitopi mobili, in superficie, solubili, contigui e idrofilici. Gli epitopi (determinanti antigenici) B linfocitari possono essere contigui o discontinui (sequenziali o non sequenza-li). Se gli epitopi sono discontinui nel contesto dell’antigene, ossia non sono vicini, ne momento in cui tale proteina si ripiega, legandosi all’immunoglobulina, gli epitopi si giustappongono, in modo da essere contigui
               Immunoglobulina

                                                                  epitopo lineare                     epitopo discontinuo

La cellula T, invece, riconosce antigeni intracellulari, con epitopi anfipatici, lineari (entra la B riconosce anche gli epitopi non lineari). Infatti, la cellula T ha il compito di preservare il self, dunque non è in grado di riconoscere batteri e virus liberi, mobili: la cellula T riconosce antigeni di superficie, non solubili, presentati dalle cellule. Il fatto che antigeni solubili non possono interagire con le cellule T ha lo scopo di concentrare l’attenzione delle cellule T esclusivamente sulle cellule affette da patogeni. Proprio a tal scopo le cellule T sono state rese in grado di riconoscere antigeni processati (degradati) in catene polipetidiche, presentate al di fuori di una cellula infetta. Dunque:
Cellula Bàriconosce antigeni extracellulari
Cellula Tàriconosce antigeni intracellulari.
Più precisamente, le cellule T riconoscono l’MHC: ciò che guida la cellula T all’antigene bersaglio è l’MHC, per massimalizzare la sua funzione, ossia per concentrare la sua azione sulla preservazione di tutto il self invaso da patogeni (cellule infettate-allogeniche-senescenti-neoplastiche, ecc).
La funzione della cellula T è MHC ristretta: CD4 e CD8 sono ristretti (pag.203). Affinché la cellula T risponda all’antigene espresso dalla cellula Apc, è necessario che la cellula T e la cellula Apc condividano lo stesso aplotipo MHC, gli stessi alleli MHC. Vediamo sperimentalmente questi aspetti: la funzionalità della cellula T viene indicata dalla quantità di reattività espressa dalla timidina triziata, che si lega al DNA: più radioattivitààmaggiore attività mitotica della cellula T. negli anni ’70 Rosenthal e Shevach dimostrarono che la proliferazione antigene-specifica dei linfociti TH (cellule CD4) avveniva solo in risposta all’antigene presentato da macrofagi esprimenti lo stesso aplotipo MHC. Essi prelevarono delle cellule di essudato peritoneale (costituito per il 90% da macrofagi) e le misero su una piastra di plastica o di vetro, su cui i macrofagi aderiscono strettamente. Preleviamo anche delle cellule linfonodali. Stimolando i macrofagi con gli antigeni non si ha mitosi (non si ha radioattività della timidina triziata). Anche le cellule T, da sole, non esprimono attività mitotica (non proliferation: 1200 corpi/minuto), ma quando si mischiano cellule T e macrofagi si ha proliferazione (180.000 corpi/minuto). La stessa tecnica, detta di blastilizzazione, viene utilizzata nella diagnostica dell’AIDS: in caso di malattia, la cellula CD4 non presenta attività proliferativaàil sistema immunitario è deficitario).
Eseguendo il test su due cavie diverse, ci si rende conto che, affinché si verifichi una risposta, ossia venga espressa un’attività proliferativa, è necessario che macrofagi e cellule T appartengano allo stesso individuo, ossia abbiano lo stesso aplotipo MHC.
La restrizione immunitaria determinata dal MHC per i linfociti T CD8 venne inizialmente dimostrata da Zinkernagel e Doherty (Nobel 1996), analizzando l’attività citotossica delle CD8 (pag.204), saggiata attraverso il rilascio di cromo 51 (avente una semivita di circa 21 giorni, dunque molto meno pericoloso del trizio, che ha un tempo di decadimento di parecchi anni): un topo viene infettato da un virus qualsiasi. Dopo 7 guiorni il tipo viene sacrificato, si asporta la milza, viene collocata su una piastra e spremuta allo scopo di prelevare le CTL (linfociti T citotossici specifici) specifiche per il virus. Poi incubiamo queste CTl con fibroblasti infettati da virus e li marchiamo con il cromo 51. Le CTL rompono i fibroblasti, rilasciando il Cr51: dalla quantità di cromo 51 rilasciato si valuta l’attività citotossica delle CTL.  Anche in questo caso è necessario che i fibroblasti e le CTL abbiano lo stesso aplotipo MHC perché si verifichi la risposta.
Cellule Apc
(pag. 205) In realtà, tutte le cellule del corpo, dato che esprimono MHC, sono potenzialmente tutte cellule Apc, ma per convenzione chiamiamo cellule bersaglio quelle che esprimono MHC di I classe, le cellule nucleate, che le presentano alle cellule CD8. Le classiche cellule Apc interagiscono, invece, con i CD4, presentando MHC di II classe. Ecco quali sono:
Macrofagi
Cellule dendritiche
Cellule di Langerhans
Cellule epiteliali timiche
Linfociti B
Cellule endoteliali vascolari.
Mentre nella cellule B la captazione dell’antigene avviene grazie al recettoreglobulinico, nel macrofago il processo avviene tramite la fagocitosi, internalizzando l’antigene. L’antigene viene processato dentro le CTL, dopo essere state esposte sottoforma di catene peptidiche e riconosciute dalle cellule T. Le cellule B e i macrofagi sono le uniche cellule Apc ad essere anche cellule effettrici.
Dunque, la cellula bersaglio è qualunque cellula dell’organismo che, infettata, espone MHC di I classe, mentre la cellula CD8 lisa la cellula bersaglio. La processazione dell’antigene avviene all’interno della cellula Apc e della cellula bersaglio. È indispensabile l’Apc: se blocchiamo il macrofago con la gluteraldeide, la processazione dell’antigene, e dunque la risposta immunitaria, non hanno luogo.

Processazione dell’antigene

     Ciclo citosolico: per gli antigeni intracellulari, che seguono  un destino simile a quello delle proteine.  

Processazione dell’antigene

       Ciclo ENDOCITICO: per gli antigeni extracellulari.

A seconda della provenienza dell’antigene, la cellula risponde:
Cellula Bàper gli antigene extracellulari
Cellula Tàper gli antigeni intracellulari.
CICLO ENDOCITICO:
Una volta che l’antigene viene internalizzato, si dirige nel compartimento microsomiale, fatto di endosomi ad acidità crescente: si tratta di una serie di enzimi litici, dove l’antigene viene degradato a frammenti peptidici di 15-22 amminoacidi, in modo da essere ancorato alla tasca della cellula MHC di II classe. Ecco la struttura del compartimento endosomico:

  1. endosomi precoci
  2. endosomi tardivi: pH=5-6
  3. endolisosomi: pH=3
  4. lisosomi

         CICLO citosolico:
Gli antigeni intracellulari seguono lo stesso destino delle proteine: tutto ciò avviene nel compartimento proteolitico, detto proteasoma (pag.208) La proteina che deve essere degradata è bollata dall’ubiquitina, che entra nel proteosoma. La degradazione avviene al centro di questa struttura cilindrica, fatta di 26 unità, definibile come una “palla di enzimi” proteolitici. È un polipeptide a basso PM. Le subunità 2 e 7 del proteasoma provvedono a degradare gli antigeni intracellulari. Queste due subunità, dette LMP (polipeptidi a basso PM),si trovano in un locus vicno al gene che codfica per l’MHC. I frammenti petidici prodotti dal proteasoma sono costituiti di 8-9 amminoacidi e vengono trasportati al Reticolo Endoplasmatico Rugoso (RER) dal TAP, eterodimero ab codificato dai geni TAP1 e TAP2, anch’essi posti in vicinanza dei geni che codificano per il MHC e dunque per l’LMP.

Presentazione dell’antigene

Nel RE vengono sintetizzate anche le MHC; a stabilizzare queste proteine intervengono le chaperonine (pag.210). La prima di queste ad intervenire è la calnessina, la quale stabilizza le catene a dell’MHC di I classe. Poi la calreticolina stabilizza l’intero complesso di catene ab e mantiene ripiegate le molecole. La tapasina collega il trasportatore TAP all’MHC ed alla catena ab, permettendogli di legare il peptide.
Successivamente, le chaperonine abbandonano l’MHC e la tasca viene denaturata se non arreca almeno un peptide. Poi l’MHC, con il peptide, si presenta alla superficie della cellula Apc.
Nel RER si forma anche l’MHC di II classe. Come mai i peptidi del RER non se ne vanno sulla tasca dell’MHC di II classe? Perché nel RER sono presenti le cosiddette catene invarianti (pag.212), che svolgono 2 importanti funzioni:

    • occupano la tasca, in modo che i fetidi non si collochino in tasca MHC di II classe, ma nella tasca dell’MHC di I classe.
    • Guidano l’MHC di II classe verso il compartimento endosomico  dove si sta sviluppando il peptide. Qui anche la catena invariante viene digerita. Di questa rimane solo un piccolo frammento, detto CLIP.

Quando nel compartimento endosomico si formano i peptidi, essi devono andare ad occupar la tasca, che adesso è occupata da CLIP. L’HLA-DM (piccola proteina non polimorfa, somigliante all’MHC), libera il CLIP dalla tasca dell’MHC di II classe ed il peptide si va ad ancorare lì.  

CORDOPATRI, 12/11/2003

Complemento
Il complemento è uno dei componenti dell'immunità innata, umorale, aspecifica. Fondamentale per la comprensione di tante attività specifiche di difesa, si tratta di una serie di 30 componenti proteiche. Tali componenti si attivano tra loro e interagiscono.
BREVE STORIA:
Il complemento fu scoperto nel 1894 da Bordet.
Dimostra l'attività litica del siero fresco.
L'attività litica viene distrutta dal riscaldamento a 56° C per 30 minuti.
In una delle sue prove, l'agglutinazione, ossia la lisi batterica, non avvenne: il siero, riscaldato a 56°, contiene degli anticorpi ancora non denaturati, dunque Bordet non continuava a spiegarsi la mancata avvenuta di agglutinazione. Con l'aggiunta di siero fresco privo di anticorpi, la lisi si verificò: evidentemente nel siero c'è qualcosa che fa avvenire in modo completo l'incontro tra Ag (antigene) ed Ab (anticorpo): un componente aggiuntivo, il complemento, permette il completarsi della reazione Ag-Ab. Si tratta di tante molecole connesse tra loro da un'attivazione reciproca.

FUNZIONI DEL COMPLEMENTO
Il complemento non è solo finalizzato ad unirsi ad Ag ed Ab.
Benefici per l'ospite:
Opsonizzazione per facilitare la fagocitosi: le opsonine hanno l'abilità di legarsi chimicamente a materiale estraneo (microrganismi, soprattutto). Le opsonine rivestono i batteri, facilitando l'attrazione ed il legame dei fagociti. Sono dei recettori a rendere "più appetibile" l'antigene per i fagociti: questi ultimi, infatti, riconoscono le opsononine e le fagocitano; insomma, ciò che riconosco-no dell'antigene sono le opsonine. Alcuni componenti del complemento sono anche delle opsonine.
Attrazione ed attivazione fagociti: chemiotassiàattrazione per gradiente chimico. Nel punto in cui entrano i batteri si ha esigenza di richiamare i fagociti.
Lisi dei batteri e cellule infettate: il complemento spacca la cellula da distruggere.
Regolazione risposta anticorpale
Clearance di immuno-complessi: quando questi si formano, devono essere allontanati, non eliminati. Il complemento si lega agli immuno-complessi, che vengono poi attaccati dai fagociti. I globuli rossi hanno un recettore per il complemento, così agganciano l'immuno-complesso, portandolo alla milza.
Clearance di cellule apoptotiche, "invitate al suicidio", ormai morte. Devono essere allontana-te, dopo essere agganciate al complemento.

Svantaggi per l'ospite:
Infiammazione, anafilassi. Il danno residuo è anche frutto del complemento, "arma esplosiva", spacca le cellule estranee, quindi deve essere ben controllato. In concentrazioni elevate (come nel sito flogistico) si può verificare un danno alle cellule self.

DEFINIZIONI

  • C-attivazione: alterazioni di proteine del C in modo da poter agire sul componente successivo. Il complemento è un fenomeno "a cascata piramidale", ossia, dal 1° componente attivato, ci sarà un'azione amplificata sui componenti successivi.
  • C-fissazione: utilizzazione di C da complesso Ag-Ab.
  • Unità emolitica: diluizione di siero che lisa una proporzione (50%) di Ab-legato r.b.c. (CH50)
  • C-inattivazione: denaturazione (da calore) di un componente iniziale del C. se la denaturazione avviene sul 1° componente, si blocca tutto il sistema del complesso.
  • Convertasi/esterasi: alterazione di proteine del C che agiscono come enzimi rpoteolitici per latri componenti del C.

Un componente attiva il successivo attaccandolo enzimaticamente, e dunque trasformandolo ad enzima che può attivare il complemento a lui successivo.

proteine del sistema del complemento

  • C1 (qrs), C2, C3, C4, C5, C6, C7, C8, C9. Questo è un percorso di attivazione del complemento, ma la serie numerata non rispetta la cronologia dell'attivazione.
  • Fattori B, D, H e I o properdina (P)
  • Mannose Binding Lectin (MBL), MBL associated serine proteases (MASP-1, MASP-2).

Il complemento si attiva con 3 percorsi diversi, in modo indipendente o assieme, a seconda dei casi.

  • C1 inibitore (C1-INH, serpin), C4-binding protein (C4-BP), decay accelerating factor (DAF)
  • C1 recettore (CR1), proteina-S (vibronectina).

 
Componenti attivanti il complemento

Componenti attivati sono sopralineati es.: c1 qrs
Quando enzimaticamente olivati, la componente più pesante si legherà al complesso di attivazione o alla membrana ed il peptide più leggero viene rilasciato nel microambiente.
L'enzima taglia il componente successivo, ottenendo 2 parti della molecola: la componente più pesante di queste 2 continua nell'attività della cascata complementare, mentre quello più leggero va nel microambiente.
La lettera "b" è usualmente addizionata alla componente pesante legante la membrana, e "a" al peptide più leggero (es. C3b/C3a, C4b/C4a, C5b/C5a, eccetto C2àC2a: pesante, C2b: leggera).

Vie d'attivazione del complemento

Via classica                                               Via lectinica                                     Via alternativa



Anticorpo dipendente                                                     Anticorpo indipendente
Questa via, per partire, necessita      

Fonte: http://dottortano.altervista.org/Documenti/immunologia.doc

Sito web da visitare: http://dottortano.altervista.org

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

Il testo è di proprietà dei rispettivi autori che ringraziamo per l'opportunità che ci danno di far conoscere gratuitamente i loro testi per finalità illustrative e didattiche. Se siete gli autori del testo e siete interessati a richiedere la rimozione del testo o l'inserimento di altre informazioni inviateci un e-mail dopo le opportune verifiche soddisferemo la vostra richiesta nel più breve tempo possibile.

 

Sistema immunitario immunologia

 

 

I riassunti , gli appunti i testi contenuti nel nostro sito sono messi a disposizione gratuitamente con finalità illustrative didattiche, scientifiche, a carattere sociale, civile e culturale a tutti i possibili interessati secondo il concetto del fair use e con l' obiettivo del rispetto della direttiva europea 2001/29/CE e dell' art. 70 della legge 633/1941 sul diritto d'autore

Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).

 

Sistema immunitario immunologia

 

"Ciò che sappiamo è una goccia, ciò che ignoriamo un oceano!" Isaac Newton. Essendo impossibile tenere a mente l'enorme quantità di informazioni, l'importante è sapere dove ritrovare l'informazione quando questa serve. U. Eco

www.riassuntini.com dove ritrovare l'informazione quando questa serve

 

Argomenti

Termini d' uso, cookies e privacy

Contatti

Cerca nel sito

 

 

Sistema immunitario immunologia