Acconciature

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Acconciature

Le acconciature

Non si può parlare di bellezza senza fare un cenno alla cura dei capelli, oggetto prezioso per chi li possiede e un po’ meno per chi invece no!

Gli uomini
La calvizie era un problema assai sentito, in particolar modo dagli uomini, i quali spesso cercavano rimedio con misture di laudano e mirra.
Plinio consiglia una buona ricetta per far ricrescere i capelli, indicando di "strofinare con della soda la parte dove i capelli sono caduti, quindi applicare un infuso di vino, zafferano, pepe, aceto, laserpizio e sterco di topo". I Romani inoltre rimediavano spalmandosi sul cranio calvo delle pomate colorate o utilizzavano diverse parrucche e toupet.
Anche Caio Giulio Cesare fu torturato dal problema della calvizie, infatti non riuscendo mai a consolarsi di essere calvo, la nascondeva portando avanti i radi capelli o portando sempre una corona d'alloro".

 

Le donne
Leggendo tutti gli scritti che ci sono pervenuti sull'argomento delle acconciature, ci rendiamo conto che sono pochissime le cose che i romani non sapevano o che usavano nei confronti dei nostri giorni.
La cura dei capelli delle matrone romane era affidata ad ancelle, le "ornatrix", le quali ogni giorno avevano il compito di pettinarle con cura e attenzione, tra impalcature di riccioli, trecce, nastri e spilloni. Nei secoli le mode cambiavano all’ordine del giorno, tanto che le donne romane sfoggiavano sempre diversi tipi di acconciatura, da quella con i capelli semplicemente tirati all'indietro e aderenti alla nuca a quella divisi in ciocche gonfie a quella che raccoglieva i capelli in fascio alla sommità della testa ed in forma di cono. In seguito si passò ad acconciature alte sul capo e ridondanti di riccioli ottenuti arricciando i capelli con un ferro rovente, il "calamistrum", riscaldato sulla cenere; alle volte però quest’ultimo provocava danni insieme alle tinture, e per rimediarli si ricorreva all’uso delle parrucche, le quali erano molto elaborate . Qualche volta la parrucca era una mezza parrucca, un toupet, una coda, una corona a treccia sulla fronte ecc; addirittura i ritratti marmorei potevano avere le parrucche. A partire dal II secolo d.c., le donne romane ornavano le loro capigliature con nastri, diademi, e spilloni in oro, avorio o argento, appuntiti e sottili a tal punto che potevano anche essere usati come arma di difesa e di offesa; oppure le ornavano con una reticella di oro, la quale poteva trattenere l'intera chioma e poteva assomigliare ad un cappellino trasparente d’oro. La donna che usava questo oggetto sicuramente ne sfoggiava altri più comuni quali anelli, bracciali, collane, orecchini, spille ecc. Un altro oggetto originale e simpatico era una spiralina di metallo, d'oro o d'argento, che scendeva dalle tempie  di formando un boccolo. Si usava molto anche un grosso fermaglio che si posizionava sulla fronte con una gemma o diadema dal quale partivano piume colorate.
La pettinatura tipica delle spose nel giomo delle nozze è la seguente: i capelli venivano divisi in sei parti e venivano legati da nastri colorati; lo sposo, con la punta di una lancia, divideva i sei ciuffi dei capelli. La testa della sposa veniva poi coperta con un velo di color roso oppure giallo che copriva anche il volto.
Le pettinature più usate erano i capelli tirati su, quelli con la riga in mezzo e raccolti in testa, quelli con i riccioli sulla fronte e sul collo e con coda di cavallo o pigna.
La più bella acconciatura presenta una lunga treccia arrotolata a mo' di toupet alla nuca, mentre sulla fronte scendono da un alto ciuffo una miriade di piccoli riccioli.
Le capigliature corvine erano rinvigorite da coloranti minerali ed i capelli rosso tiziano si ottenevano con la polverizzazione delle foglie della pianta Lawsonia inermis, l’henna; la pozione per rendere biondi i capelli, invece, veniva ricavata da grasso di capra e cenere di faggio, che uniti insieme davano vita ad una sostanza chiamata sapo. Producevano un biondo brillante grazie ad una sostanza che proveniva dalla città germanica Mattium, la pila mattiaca.
Plinio consiglia il seguente rimedio per i capelli bianchi: dopo aver rasato per bene la testa era necessario, rimanendo all'ombra, spalmare il capo con un uovo di corvo sbattuto in un vaso di rame; l'unico effetto collaterale del trattamento, dotato di potere scurente, fosse quello di tingere anche i denti e per evitare di ritrovarsi con una dentatura apparentemente devastata dalla carie, sempre Plinio consiglia di tenere in bocca dell'olio fino a che la testa non si sia asciugata.
Colori più eccentrici, come il turchino e soprattutto il rosso carota, erano appannaggio riservato alle donne di facili costumi: per questo le prostitute venivano solitamente chiamate "rufae", rosse; il blu e il giallo carota, inoltre, erano colori che si addicevano alle cortigiane.
Dall'utilizzo delle tinture per capelli, infine, non sono immuni nemmeno gli uomini.

BIBLIOGRAFIA
AAVV Moda costume e  bellezza nella Roma antica – Electa Mondadori 2004
SITOGRAFIA
http://www.italiadonna.it/public/percorsi/01052/0105224a.htm
http://www.tibursuperbum.it/ita/note/romani/MatronaRomana.htm
http://www.donnamed.unina.it/

 

 

Fonte: http://www.centrumlatinitatis.org/cle_it/chisiamo/Aquileia/iter/documenti/acconciature.doc

Sito web da visitare: http://www.centrumlatinitatis.org/

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