Cultura giovanile e la moda

Cultura giovanile e la moda

 

 

 

I riassunti , gli appunti i testi contenuti nel nostro sito sono messi a disposizione gratuitamente con finalità illustrative didattiche, scientifiche, a carattere sociale, civile e culturale a tutti i possibili interessati secondo il concetto del fair use e con l' obiettivo del rispetto della direttiva europea 2001/29/CE e dell' art. 70 della legge 633/1941 sul diritto d'autore

 

 

Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).

 

 

 

 

Cultura giovanile e la moda

Diego Miscioscia
Nuove frontiere delle culture giovanili


Verso dove va la cultura giovanile di fine millennio? Le sue diverse manifestazioni, a prima vista, sembrano prive di una direzione precisa, spesso sono anche in contrasto tra loro. Graffiti incomprensibili, forte e ritmata musica heavy metal, techno, hip hop o rap da una parte, riscoperta dall’altra delle melodie e dei ritmi degli anni sessanta. Assenza quasi totale dalla scena politico-sociale, ma anche presenze in aumento nel volontariato e partecipazione sempre più massiccia ai megaconcerti tenuti negli stadi. Rifiuto della moda, piercing sul sopracciglio, sulla lingua e in altre parti del corpo, tatuaggi, capelli colorati ed altre bizzarrie della cosiddetta “body-art”, e, al tempo stesso, abiti griffati, pantaloni a zampa e scarpe con la zeppa altissima.
Oggi con Internet e coi satelliti per la telecomunicazione siamo arrivati alla diffusione in tempo reale delle informazioni e delle proposte culturali. I giovani possono quindi accogliere più facilmente stimoli e suggestioni provenienti da altre culture.
Il mondo è diventato veramente un unico sistema e nei giovani il sentimento d’identità collettiva si è rafforzato e radicato profondamente.
Ma dove va, alla fine degli anni ‘90, a trent’anni dal ‘68, la cultura giovanile, visto che sembra aver abbandonato la strada dell’impegno sociale e politico?
E’ forse divenuta schiava del modello dei consumi e si è votata ad uno sterile e rassegnato nichilismo edonistico? O, al contrario, sta seguendo un suo percorso di ricerca, sotterraneo, meno visibile, più intimista, ma forse proprio per questo più vero ed incisivo per ciò che riguarda la formazione delle nuove generazioni?
La cultura giovanile nacque in America negli anni cinquanta ed entrò nella storia con il rock’n’roll, i blue-jeans e la voglia di protagonismo della prima generazione del dopoguerra. Elvis Presley, James Dean e Marlon Brando, i primi miti giovanili, in quegli anni rappresentavano il desiderio di libertà dei ragazzi, la loro esigenza di ritagliarsi uno spazio autonomo e indipendente tra l’età infantile e l’età adulta, tra il ruolo di figlio e quello di genitore.
Il corpo che si agita libero al ritmo del rock’n’roll, gli atteggiamenti anticonformisti e di sfida dei primi “teddy-boys”, i blue-jeans e i giubbotti di cuoio, furono i primi segnali che delimitavano una nuova area culturale che si appoggiava alle caratteristiche specifiche dell’adolescenza.
Nei decenni precedenti le grandi trasformazioni collegate al progresso tecnologico, e al conseguente miglioramento delle condizioni di vita in occidente, avevano modificato profondamente le caratteristiche della famiglia ed il rapporto tra le generazioni. Con lo spostamento dalle campagne alle città alla famiglia patriarcale, accentratrice e piuttosto autoritaria, s’era andata sostituendo la famiglia nucleare, più permissiva e democratica; con l’allungamento della vita ed il maggior numero d’anni passati a scuola, inoltre, si erano spostate le frontiere biologiche della riproduzione e quindi si erano modificate le distanze tra le generazioni. L’ultimo fattore che aprì le porte alla cultura giovanile è rappresentato dai cambiamenti di mentalità tra gli adulti; durante i primi decenni del novecento, infatti, si erano affermati numerosi movimenti artistici, letterari e musicali che spostavano l’accento sulla ricerca e sulla sperimentazione e che avevano raggiunto una gran popolarità grazie a nuove forme d’intrattenimento come il cinema e la televisione. Tali movimenti erano stati direttamente influenzati dall’accelerazione della tecnologia e dallo sviluppo della scienza, un ruolo importante, inoltre, era stato svolto dalla psicoanalisi che fin dai primi anni del novecento aveva portato nella cultura un modo nuovo di guardare all’uomo. La cultura adulta che usciva dal secondo dopoguerra, dunque, era molto più aperta che in passato rispetto al cambiamento, anche se, nella mentalità comune, tali spinte di rinnovamento si affiancavano al bisogno di stabilità e di conservazione dei vecchi valori; fu anche per questo che, soprattutto negli anni sessanta e settanta, spaventati dal carattere innovativo e rivoluzionario della nuova cultura giovanile, molti adulti reagirono criticamente, assumendo spesso atteggiamenti conservatori e autoritari verso i giovani.
La cultura giovanile, proprio per il suo forte impatto anticonformista sulla società, già in quegli anni influenzò numerosi artisti, poeti, scrittori e musicisti, alcuni dei quali aderirono al movimento “beat” che, più di altri, diede una grand’enfasi ai valori giovanili di trasformazione e di critica al sistema. Il movimento beat sosteneva il rifiuto del consumismo e del denaro, l’uso della droga per ampliare la mente e per modificare la percezione della realtà, la bisessualità ed il rifiuto dei valori della borghesia. La cultura beat, tuttavia, durante quel periodo non riuscì a fare molta presa sui giovani. I ragazzi degli anni cinquanta si limitarono a festeggiare la loro nascita sociale, il loro sentirsi “diversi” dagli adulti e meno condizionati da una visione rigida e moralista della vita. Ilmovimento beat, molto di là del periodo in cui era sorto, continuò ad esercitare una forte influenza sulla cultura giovanile. I suoi valori di spontaneità, autenticità, d’apertura mentale e di ricerca di se stessi sono stati per i giovani di tutte le generazioni, dagli anni cinquanta in poi, un punto di riferimento ideale per accompagnare la loro crescita e la ricerca del proprio Sé; al tempo stesso, tuttavia, l’attacco indiscriminato alle regole della società borghese, la voglia d’andare oltre e l’invito ad usare droghe nella ricerca di sè, in tutti questi anni, hanno rappresentato un orientamento molto pericoloso per le scelte fatte da tanti giovani. Jack Kerouac, uno degli esponenti più importanti della cultura beat insieme con Allen Ginsberg, nel romanzo  “On the road” del 1957 fare a Dean Moriarty, il protagonista, alcune affermazioni che sono rappresentative di un modo nuovo di guardare alla vita, dove ciò che acquista valore non è più un progetto materiale o un particolare obiettivo ideale da raggiungere, ma è l’azione stessa dello spostarsi e del cambiare punto di vista: “La strada è la vita, il tormento si placa spostandosi…se non sai dove stai andando, non potrai mai perderti”.
La cultura giovanile nacque negli USA, la maggiore potenza commerciale, l’unica, quindi, in grado di diffondere nel mondo, insieme ai suoi prodotti, la propria cultura. Bisognerà, tuttavia, aspettare gli anni sessanta per assistere ad una sua reale diffusione in tutto il pianeta. Alcuni storici fanno risalire proprio a questo periodo la nascita della cultura giovanile, ponendo l’accento sull’impegno dei giovani in campo politico e sociale nel corso di quegli anni. In effetti, l’impegno di tanti giovani nel movimento per i diritti civili, nella lotta contro la guerra in Vietnam e nella contestazione studentesca segnò un’epoca, che va dal 1967 al 1978, al termine della quale il mondo non sembrò più lo stesso. Il maggiore pluralismo culturale, la fine del dominio dell’autoritarismo in campo educativo, l’emancipazione dei neri in America, la nuova mentalità ecologica che si diffuse in tutto il mondo sostenuta soprattutto dal movimento degli hippies, la società più permissiva nei confronti della sessualità e dei diritti delle minoranza gay e tutte le conquiste del femminismo furono risultati conseguiti anche grazie all’impegno dei giovani in campo politico e culturale. Il vero collante della cultura giovanile, tuttavia, ciò che diede un forte senso d’appartenenza e d’orgoglio alla nuova generazione degli anni sessanta fu soprattutto la musica, in particolare quella dei Beatles. Il successo dei Beatles si può dire che abbia trascinato quello degli altri gruppi musicali dopo di loro ed abbia consacrato, quindi, il ruolo della musica come linguaggio principale e come strumento d’aggregazione tra i giovani; come nota il biografo dei Beatles, il musicologo Ian Mac Donald: “Lo spirito di quel tempo si è sparso attraversando le generazioni, diffondendo nel mondo occidentale un senso freschissimo di libertà paragonabile alla gioia di un’uscita da scuola prima del previsto in un pomeriggio di sole … le canzoni dei Beatles ‘Penny Lane’, ‘I want to hold your hand’ e ‘Eight days a week’ alimentarono il sublime e solare ottimismo degli anni sessanta …inoltre i Beatles agirono come il più importante canale d’immissione di energia, carattere e sensibilità neri nella cultura bianca, aiutandola a rivitalizzare la sua denutrita sensualità e avviando così la rivoluzione ‘permissiva’ del comportamento sessuale” (I. Mac Donald, 1994). Nel corso degli anni sessanta la musica si affermò anche con artisti come i Rolling Stones, Bob Dylan, Janis Joplin, Jimi Hendrix e Jim Morrison, che, rispetto ai Beatles, radicalizzarono nelle loro canzoni i contenuti trasgressivi e di protesta sociale, preparando così il terreno per le lotte studentesche del 1968.
Verso la fine degli anni settanta gradualmente i giovani s’allontanarono dalla contestazione e dall’impegno politico. L’entusiasmo dei giovani per l’impegno in campo politico si spense non solo per le degenerazioni di questa lotta, in Italia, in particolare, per colpa del terrorismo, ma soprattutto perché il movimento giovanile in quegli anni aveva conseguito risultati importanti ed ai ragazzi, dunque, il mondo adulto apparve finalmente meno chiuso ed ostile di prima. In quel periodo, inoltre, l’aumento del numero dei tossicodipendenti gettò un’ombra negativa sulla cultura giovanile che fu vista come troppo compromessa nel sostenere l’uso di sostanze stupefacenti, in particolare nell’ambito delle sottoculture hippies, psichedelica e in alcuni settori della musica rock. A partire dagli anni ottanta, quindi, s’iniziò a parlare di movimento giovanile associandolo sempre di più al disagio ed ai diversi rischi dell’adolescenza. In realtà, la cultura giovanile non era mai entrata veramente in crisi, rispetto ai decenni precedenti essa aveva preso soltanto nuove strade, che ponevano l’accento soprattutto sull’importanza dell’individuo rispetto al sociale. Quello che allora sembrò un radicale abbandono dei valori precedenti, inoltre, a ben vedere rappresentò uno sviluppo coerente delle premesse poste negli anni cinquanta, sessanta e settanta: negli anni ottanta, infatti, la cultura giovanile si mosse sempre più alla ricerca del “vero Sé”; l’enfasi posta sulla dimensione individuale spostò l’interesse dei ragazzi verso l’esplorazione in campo sociale delle possibilità d’uso degli oggetti di consumo, mentre nel mondo interno s’accentuò il riferimento alle diverse dimensioni del narcisismo.

LA FUNZIONE DELLA CULTURA GIOVANILE

Occuparsi di cultura giovanile significa entrare in un mondo un po’ speciale dove la fantasia è potenziata al massimo tanto che la percezione della realtà appare confusa, dove molto spesso il limite, la moderazione, la prudenza e il buon gusto non esistono, mentre al contrario la trasgressione, la provocazione e l’eccesso sono di casa; significa parlare d’emozioni forti e di stati d’animo intensi: a 20 anni non è ancora tempo di sintesi, d’integrazioni, le emozioni sono ancora allo stato puro, ci si entusiasma e si è delusi per pochissimo, ma tutti gli stati d’animo si vivono in ogni caso in modo pieno e totalizzante.
Questo è il clima un po’ particolare di questo mondo, ma perché è stato inventato? Perché anche in epoche di chiusure e di localismi regionali i giovani di tutto il mondo si chiamano, si scambiano prodotti musicali o letterari intensi e appassionati, ma anche oggetti culturali molto più poveri, enigmatici e bizzarri? Per quale fine insomma cercano insieme, in una sorta d’abbraccio collettivo, di tenere in vita una propria cultura di riferimento?
Utilizzando gli strumenti dell’analisi psico-sociale, a mio avviso, è possibile comprendere le diverse funzioni che svolge la cultura giovanile e i significati profondi che essa esprime. Il mio obiettivo in questo capitolo, dunque, sarà quello di mettere in evidenza i principali meccanismi psicologici che sottendono il discorso culturale e che governano i cambiamenti della cultura giovanile nelle diverse epoche.
La cultura mette a disposizione degli adolescenti diverse possibilità espressive, che permettono di rappresentare emozioni, affetti e desideri erotici o aggressivi tipici di quest’età ed anche di soddisfare bisogni narcisistici ed esibizionistici, ad esempio, il puro piacere che si può ricavare dalla rappresentazione dei propri stati d’animo o l’emozione d’essere sotto lo sguardo degli altri.
L’oscillazione adolescenziale tra sé infantile e sé adulto trova un’ampia eco nelle diverse manifestazioni culturali giovanili. Il linguaggio dei ragazzi, il loro modo di vestire, di danzare, di scrivere, di dipingere, ecc. contiene, al tempo stesso, significati erotici, affettivi ed etici di carattere adulto, ma anche fantasie infantili onnipotenti. Tali aspetti infantili, a volte sono presenti solo come coloritura di fondo, in altri casi, invece, costituiscono il contenuto principale del messaggio.
I ragazzi che producono cultura creano senza sosta, lavorando in uno spazio mentale profondo, più vicino al corpo, al desiderio e agli affetti che alla mente razionale. Il loro linguaggio, di conseguenza, è poco razionale ma saturo di significati affettivi, erotici ed aggressivi; per tale motivo essi preferiscono comunicare i propri messaggi con la danza, l’abbigliamento, la musica e la pittura. Il linguaggio verbale è utilizzato più per le sue possibilità espressive che per quelle esplicative: perciò è ricco d’ironia, sarcasmo, di toni forti ed è più vicino alla poesia che al saggio erudito. 
La maggioranza dei giovani fruisce passivamente della cultura, cogliendo dai diversi prodotti culturali importanti stimoli e suggestioni; identificandosi con i maggiori protagonisti in campo culturale essi possono altresì disporre di precisi modelli di riferimento per la costruzione della propria identità. Molti ragazzi riescono anche a produrre direttamente cultura e a viverla da protagonisti; il loro arricchimento personale, in questo caso, è molto più importante. Suonare, dipingere, scrivere poesie o racconti, ecc., infatti, sono attività che permettono di esprimere meglio i propri significati ed anche di mettere alla prova le nuove capacità adulte. In questo modo un ragazzo riesce a staccarsi con più forza dall’infanzia e acquisisce inoltre più sicurezza personale e maggiore valore sociale.
La cultura giovanile parla soprattutto del lento e complesso processo della crescita fisica e psichica. Essa, quindi, si alimenta soprattutto a partire da motivazioni profonde, bisogni fase-specifici che i giovani riescono ad esprimere e in parte soddisfare attraverso l’appartenenza ad un’area culturale sentita come propria.
Il possesso di una cultura di riferimento, innanzi tutto, dà maggiore identità e sicurezza agli adolescenti poiché essa appare davanti a loro come se fosse un gran cartello indicatore che, all’interno di un territorio sconosciuto e ostile, li sprona ad aver fiducia nel futuro e li orienta verso precisi percorsi etici e comportamentali che facilmente i ragazzi riconoscono come propri.  Essa, quindi, li aiuta ad uscire da quel senso di vuoto, di noia ed apatia che caratterizza l’adolescenza. Il segno culturale, infatti, rende pensabili queste emozioni complesse, permette, in altre parole, di conoscerle meglio e di contenerle. Esso consente di comunicare a se stessi e agli altri stati d’animo che altrimenti non sarebbero rappresentabili. I sentimenti d’inadeguatezza, di mortificazione e d’angoscia tipici dell’adolescenza, una volta trasformati in un messaggio culturale, acquistano un significato meno negativo poiché il soggetto può orientarsi meglio al loro interno e, se necessario, può prenderne le distanze utilizzando le indicazioni e i suggerimenti della sua cultura d’appartenenza. E’ proprio per questo che la cultura giovanile, pur svolgendo sul piano psicologico prevalentemente una funzione utile, a volte può orientare verso percorsi pericolosi.

Oltre a rassicurare i ragazzi, la cultura giovanile si rivela utile poiché permette di decifrare rapidamente i segnali del corpo e quindi il nuovo valore della sessualità. Potersi orientare rapidamente utilizzando linguaggi riconosciuti come propri, infatti, vuol dire poter nominare un desiderio che altrimenti rischia di restare a lungo muto e senza espressione; la cultura giovanile, per fortuna, mette a disposizione rituali estetici, mimici e verbali che aiutano a capire rapidamente quale relazione intrattenere con il proprio corpo erotico e con l’altro sesso. Una serata passata in discoteca per un giovane adolescente può essere più istruttiva di tanti discorsi fatti dagli adulti sulla sessualità. La propria cultura di riferimento, ovviamente, può anche ostacolare la percezione di valori e di significati fondamentali per un buon rapporto con l’altro sesso.  E’ stato così in questi ultimi anni per ciò che riguarda la prevenzione dell’Aids: la mentalità giovanile, al cui interno prevalevano valori di libertà, di spontaneità ed il gusto per il rischio, ha ritardato a lungo l’assunzione di un atteggiamento prudente nei confronti della sessualità.
La propria storia personale, dunque, condiziona a volte in modo decisivo la scelta dei propri ideali, il rapporto col mondo d’ogni ragazzo e le sue scelte etiche e culturali, tuttavia, sono nella maggioranza dei casi influenzati anche dalla più vasta cultura generazionale. Essa spinge le nuove generazioni verso scenari diversi: verso la creatività, la ricerca e la sperimentazione, oppure verso la contestazione e la rivendicazione; a volte, tuttavia, alcuni falsi miti della cultura giovanile possono impoverire l’ideale dell’Io adolescenziale, spingendolo verso strade disegnate coi colori dell’adolescenza ma in fondo alle quali, in realtà, abitano solo vecchi miti ed illusioni di marca infantile.

Molti adulti, specialmente quelli che hanno vissuto il ’68, credono che la vitalità di una generazione dipenda dal livello del suo impegno politico e dalla capacità che essa ha di mettere in discussione i valori delle generazioni precedenti. In realtà è vero il contrario: quando una generazione è costretta a spostarsi verso una logica di protesta, essa perde parte della sua creatività e della speranza di raggiungere i propri ideali. Una ricca cultura giovanile che possa esprimersi liberamente con l’aiuto degli adulti e soprattutto con un atteggiamento di rispetto da parte loro rappresenta, per ogni una nuova generazione di preadolescenti, un buon amplificatore per dar voce ai propri valori ed è un forte acceleratore per la loro crescita.
I ragazzi con il loro consenso decretano molto rapidamente la nascita di un idolo e, con la stessa velocità, anche la sua fine. Un idolo, spesso, è destinato a restare a lungo vivo nella memoria dei ragazzi e nella storia della cultura giovanile. Un tale personaggio, tuttavia, deve avere molteplici qualità; è sufficiente, in ogni caso, che egli non sia troppo compiacente verso il mondo adulto e che sappia rappresentare con passione almeno un valore giovanile, perché possa godere per un certo periodo d’una buona popolarità presso molti giovani. Alcuni idoli sono stati nominati tali dalla cultura giovanile senza che essi avessero alcuna intenzione di diventarlo; Ernesto Che Guevara, ad esempio, è diventato un vero e proprio mito per molte generazioni di giovani, non per le sue idee politiche, ma proprio per la capacità che ha avuto d’interpretare splendidamente diversi miti affettivi adolescenziali: quelli della ribellione al potere costituito, dell’avventura, della trasgressione, della forza, della bellezza, dell’autenticità, della spontaneità, della giustizia e della difesa dei più deboli.
Gli adolescenti spesso vivono un forte sentimento di solitudine, alimentato dalla necessità biologica e sociale di staccarsi dalla dipendenza affettiva dai genitori e dalle difficoltà di stringere nuovi legami con i coetanei del proprio e dell’altro sesso.  Dopo aver abbandonato l’illusione di un’appartenenza totale alla propria famiglia naturale, il riconoscersi in una medesima area culturale, dunque, rappresenta uno strumento utile per la realizzazione della propria autonomia affettiva; sentire di far parte di un vasto gruppo culturale regala ai ragazzi un prezioso sentimento d’appartenenza che è capace di mitigare anche la condizione di solitudine di un giovane senza amici. Il far parte di una generazione di cui si condividono valori e gusti culturali, infatti, significa aver finalmente trovato una patria e non essere quindi più così soli. Il rituale collettivo dell’accompagnare durante un concerto la canzone del proprio idolo musicale con migliaia di luci degli accendini, è un esempio della funzione simbolica affettiva dell’evento culturale, che permette di superare la propria individualità per celebrare insieme con gli altri un sentimento d’appartenenza e fraternità.

 

I PERCORSI TRADIZIONALI DELLA CULTURA GIOVANILE

Gli interessi culturali dei giovani alla fine degli anni ’90 sono perlopiù ancora di tipo tradizionale. Essi dedicano la maggior parte del proprio tempo libero ad ascoltare musica e a suonarla, ai concerti, al ballo, al cinema, alla televisione, alla lettura, alla scrittura di poesie, racconti e diari personali, allo sport praticato attivamente o seguito nel ruolo di tifosi più o meno appassionati, e ad altri interessi minori. Attraverso questi strumenti culturali, apparentemente simili a quelli degli adulti, ma in realtà molto differenti nei contenuti, i giovani fanno arrivare al mondo i loro messaggi, celebrano i propri valori, vivono le proprie passioni ed elaborano le difficoltà o il disagio di questo periodo della vita.
Rispetto al passato, tuttavia, il modo di fare cultura dei ragazzi è cambiato ed anche l’importanza da loro attribuita a questi diversi strumenti culturali s’è notevolmente modificata.
Per ciò che riguarda la fruizione passiva della cultura, va registrato innanzi tutto uno spostamento d’interesse da parte dei giovani. Secondo i recenti dati del quarto rapporto Iard, negli ultimi anni vi è stato un costante calo dell’interesse per la lettura tra chi è adolescente: dal 44% del 1987, siamo passati al 36% del 1992 al 30% d’oggi; è aumentato, invece, l’interesse per la televisione, vista regolarmente dal 92,2% dei ragazzi, alto anche l’ascolto della radio (85,7%), la frequenza del cinema (40%) e delle discoteche (il 75% dei giovani è andato a ballare negli ultimi mesi).
Già da questi primi dati, è possibile scorgere una tendenza abbastanza chiara verso una fruizione della cultura più semplice e suggestiva, com’è quella della televisione e del cinema, a scapito della lettura che impegna in processi d’elaborazione più complessi e faticosi. Analizzando i contenuti, poi, risultano ancora più evidenti i bisogni regressivi e simbiotici, le paure ed il bisogno di fuga dalla realtà di questa generazione, ma anche le sue preferenze per alcune scelte culturali che rappresentano interessi e motivazioni più creative di quelle dei giovani delle generazioni precedenti.
I giovani d’oggi sono attratti in eguale misura da prodotti culturali che celebrano la dimensione degli affetti, dell'amicizia e dell’amore, è il caso ad esempio delle serie televisive “Beverly Hills, 90210”, e “Bay watch” e da prodotti culturali che affrontano le loro paure partendo da tematiche horror, violente, di fantascienza o del mistero, è il caso ad esempio delle immagini inquietanti della serie “X-files” ideata da Chris Carter. Nella speranza di esorcizzare queste paure, dunque, affollano i cinema per vedere storie di serial killer e di criminali psicopatici (hanno avuto un gran successo presso il pubblico giovanile film come “Natural born killer”, “Il silenzio degli innocenti”, “Seven”, “Il collezionista”, ecc.). Un’altra difesa di questa generazione è rappresentata dal tentativo d’uscire dalla realtà rifugiandosi nel nirvana dei mondi virtuali (è il caso di film come “Il tagliaerbe”, “Jhonny Mnemonics”, “Strange days”, “Nirvana”, ecc.) o in videogiochi sempre più complessi e suggestivi. Lo sparuto gruppo di lettori, scelgono in uguale misura storie d’amore, d’amicizia o di trasgressione, di violenza e d’orrore (gli autori preferiti dai ragazzi sono Andrea De Carlo, Herman Hesse, Daniel Pennac, Charles Bukowski, Arthur Rinbaud, Stephen King o i nuovi giovani scrittori Enrico Brizzi, Isabella Santacroce e Nicolò Ammanniti).
La scelta di tematiche horror e splatter, sia nella letteratura sia al cinema, risponde al bisogno di elaborare le intense angosce di morte legate ai processi di separazione e al bisogno d’integrare mentalmente l’idea della morte. Questi compiti evolutivi, come abbiamo visto, oggi sono particolarmente rallentati. Questa generazione, infatti, fatica a sconfiggere i propri fantasmi infantili investendo sul futuro attraverso progetti forti o attraverso proposte culturali particolarmente creative ed elaborate. I giovani, quindi, cercano di rassicurarsi attraverso le immagini sdrammatizzanti e l’ironia dei film splatter ed horror.
Altra area di forte interesse è quella della comicità: spettacoli come “Mai dire goal”, “Il laureato”, “Su la testa”, “Pippo Kennedy show”, “Scatafascio” o “La posta del cuore” raccolgono un gran consenso tra i giovani. L’umorismo e la comicità, infatti, rappresentano una forte difesa contro queste angosce: decretando la morte del senso e denunciando ironicamente le contraddizioni della realtà, i comici mostrano come sia possibile preservare l’ottimismo infantile e fare trionfare la vita sulla morte. Il linguaggio dei comici, inoltre, piace molto a questa generazione, oggi, infatti, i ragazzi sono abituati ad essere molto più informali, non solo con gli amici, ma anche in famiglia e qualche volta perfino a scuola.
L’impegno attivo in campo culturale, altra caratteristica positiva degli adolescenti attuali, è forse l’elemento di maggiore speranza di questa generazione. Fedeli alle consegne ricevute durante l’infanzia, i giovani oggi sono più protagonisti e creativi di un tempo in campo culturale: suonano molto di più, dedicano più tempo alla scrittura, fanno più attività sportive, mentre frequentano meno gli stadi come semplici tifosi.
Analizzando i cambiamenti nel campo della scrittura giovanile, troviamo alcune novità interessanti. Innanzi tutto la scrittura giovanile si è fatta più veloce, più ironica ed essenziale. Essa segue sempre di più le caratteristiche di spontaneità ed informalità tipiche del linguaggio giovanile. Le sue funzioni, però, si sono leggermente modificate: nella scrittura giovanile, attualmente, appare più importante la ricerca di un effetto estetico e ludico, rispetto agli obiettivi d’introspezione e auto consapevolezza cui il messaggio scritto permette di accedere più facilmente. I ragazzi oggi scrivono spesso soltanto per il puro piacere di imporre i propri messaggi all’attenzione degli altri e per risultare, quindi, visibili. Proprio per questo, la scrittura giovanile si appropria di nuovi spazi pubblici: non solo i bagni delle scuole, ma anche gli zaini, gli autobus, i treni, i propri pantaloni e magliette diventano pagine su cui scrivere i propri messaggi e attraverso cui comunicare.
La scrittura poetica, invece, ha mantenuto la propria funzione di rappresentazione e contenimento delle emozioni, in particolare del disagio giovanile; i suoi contenuti, in ogni modo, come rivelano Clara Capello e Paola D’Ambrosio autrici del libro “il giardino segreto. Far poesia in adolescenza”, parlano meno del mondo dei valori sociali o politici e più invece d’ecologia o di sentimenti riferiti all’amicizia intesa come gruppalità.
Il diario personale ha acquisito maggiore importanza ed è diventato un gran contenitore creativo dell’immaginario giovanile; come osserva Cristiani nel suo libro “Smetamorfosi. Adolescenza e crescita nei diari dei ragazzi” (C. Cristiani 1994), il diario oggi è sempre meno segreto ed è sempre più strumento di socializzazione tra ragazzi, esso accoglie di tutto: idee, riflessioni, poesie, citazioni, canzoni, foto d’attori, di campioni dello sport e di cantanti, disegni e oggetti vari.

MODA E BODY-ART

 

La moda, negli ultimi due decenni, ha acquistato anch’essa sempre maggiore importanza presso i giovani; se negli anni sessanta i ragazzi puntavano più che altro a distinguersi dalla “corrotta e consumista” società borghese, utilizzando abiti semplici e poveri (l’eschimo, i jeans e le minigonne), oggi, invece, la moda tra i giovani copre un ventaglio d'interessi e di motivazioni più ampio. L’immagine corporea e i vestiti, innanzi tutto, sono un elemento di supporto nel processo d’integrazione del Sé; in questo caso il tentativo è quello d’appoggiarsi ad oggetti esterni per facilitare l’emergere di rappresentazioni di una parte di sé, cui si sta cercando di dare più valore ed importanza. Oggi, tuttavia, è sempre più forte il bisogno d’utilizzare la moda per esprimere bisogni regressivi d’omologazione e di fusionalità con il gruppo dei pari e per cercare una relazione narcisistica al limite della perversione con un oggetto o con una parte del corpo che viene feticizzata.
E’ molto difficile, dunque, dire con precisione quale sia oggi l’area di significazione affettiva in cui si collocano la body-art e la moda.
Dai dati d’una recente ricerca su questi temi, curata dall’Istituto Minotauro per conto dell’Asl di Milano, è evidente che la body art, in parte, ha mantenuto l’originaria vena di creatività e spontaneità della cultura hippy, senza più fare riferimento, tuttavia, ai valori di pacifismo e di ritorno alla natura tipici di questa cultura. Attualmente, la body-art trae ispirazione e motivazione soprattutto dai bisogni espressivi, seduttivi ed esibizionistici dei giovani di fine millennio. In questo senso, tale cultura fornisce agli adolescenti strumenti utili e creativi, poiché permette loro d’esteriorizzare la propria soggettività e d’elaborare meglio i compiti evolutivi fase specifici, in particolare, essa sostiene i compiti di separazione e individuazione, l’integrazione mentale del corpo erotico e l’acquisizione di un’identità sociale più chiara. I significati affettivi cui fanno riferimento i ragazzi vicini alla body-art, tuttavia, sono legati soprattutto ad un’ispirazione di carattere narcisistica, provocatoria e antisociale.

 

L’ARTE DEI GRAFFITI

 

La cultura dei graffiti nasce nei quartieri ghetto di New York negli anni ’70 come forma espressiva della cultura hip hop, diffusa tra i giovani di colore e gli immigrati. Lo spirito che anima questa cultura rappresenta un tentativo di reagire al disagio dell’emarginazione sociale, attraverso un atteggiamento dinamico e attivo nel rapporto con la realtà. L’obiettivo ufficiale è quello di combattere la noia e il grigiore dei quartieri ghetto, dando libero sfogo alle proprie capacità espressive negli spazi sociali. Questa tensione creativa, per le sue caratteristiche trasgressive, avventurose e per la scelta di spazi sociali a volte pericolosi, coinvolge soprattutto gli adolescenti maschi. Fin dall’inizio, essa si sviluppa in due differenti direzioni: quella dei “writers” e quella dei “bombers” (da to bomb = colpire, bombardare). I giovani che si riconoscono nella prima posizione si definiscono artisti trasgressivi; nell’approccio a questa cultura essi mettono in primo piano esigenze decorative e tensioni riparative, centrate sull’idea che la città abbruttita e spenta abbia bisogno di loro per ritrovare bellezza e fantasia. La loro passione, dunque, li porta a decorare i luoghi più desolati (muri di periferia, fabbriche abbandonate, ecc.) con disegni o dipinti.
Quelli più vicini alla seconda posizione, invece, praticano prevalentemente la scrittura illegale, in sostanza, ripetono in modo monotono il proprio nome o sigla, con una cura che è rivolta soltanto allo stile e all’accostamento di colori. Essi sono attratti soprattutto dagli aspetti trasgressivi di questa cultura e la loro azione, perlopiù, è rivolta a soddisfare intenti esibizionistici e provocatori. A differenza dei writers, più semplicemente, i bombers hanno in mente questi due obiettivi: creare un proprio stile inconfondibile, per farsi riconoscere e farsi pubblicità, e rivendicare un proprio spazio per potersi esprimere. La loro ricerca, infatti, si orienta in modo particolare nella scelta di spazi pubblici proibiti, che sono “bombardati” come se si volessero punire gli adulti, percepiti come indifferenti, ostili, suscitando al tempo stesso una loro reazione.
Nel writing traspare soprattutto una preoccupazione per gli aspetti artistici ed estetici, nel bombing, invece, l’accento è posto sulla provocazione, sulla sfida agli adulti e sul coraggio di avventurarsi in luoghi inaccessibili, proibiti o pericolosi (tunnel di metropolitane, stazioni, treni, metro, autobus, muri d’edifici nuovi o in costruzione) per “devastare”, come dicono i bombers stessi, ossia, per mettervi le proprie “tags” (firme o sigle stilizzate).
In entrambi i casi, si manifesta un bisogno narcisistico di apparire, di lasciare un proprio segno; possiamo tuttavia considerare il writing un’espressione narcisistica più matura, tanto che le amministrazioni di molti comuni hanno assegnato ai writers muri su cui dipingere i loro graffiti, riconoscendone così ufficialmente il valore artistico. L’orientamento artistico dei writers è testimoniato anche da artisti famosi come Jean Michel Basquiat e Keith Haring, che hanno iniziato a dipingere partendo dai muri.
L’azione dei writers, dunque, sembra prevalentemente ispirata dal mito affettivo del bambino messia che arriva a ridare luce, colore e speranza ad una città grigia e triste.
L’azione dei bombers, invece, sembra ispirata soprattutto da un mito affettivo negativo; al suo interno  c’è una sorta d’angelo vendicatore (il bomber) che, come un bambino abbandonato da una madre egoista e indifferente (la città), per farle dispetto, s’appropria d’una sua parte per sporcarla e lasciare così, come Zorro, un segno inconfondibile del proprio passaggio.
Gli adulti, negli ultimi anni, sono stati abbastanza ambivalenti di fronte a queste manifestazioni culturali: se in qualche caso sporadico v’è stata una certa valorizzazione d’alcune opere dei writers, più spesso, presidi, amministratori pubblici e sindaci di molte città hanno denunciato i graffitari sorpresi “al lavoro”.
L’arte dei graffiti, specialmente nell’azione dei bombers, forse oggi rappresenta l’unica e circoscritta espressione collettiva di sfida alla cultura adulta da parte dei giovani; dietro questa limitata forma di protesta, tuttavia, v’è un disagio più esteso e profondo, vissuto da moltissimi adolescenti e giovani che non riescono ad accedere neanche a queste forme minime e primitive d’impegno culturale. Per questo è importante riflettere sul significato psicologico che può avere, per tutti i ragazzi, la risposta adulta a queste sfide giovanili.
Le due risposte più comuni da cui è tentata la cultura adulta sono l’indifferenza e la punizione severa. Queste risposte, tuttavia, sono entrambe pericolose poiché non fanno altro che confermare le fantasie negative da cui trae origine il mito dei bombers: l’indifferenza, infatti, in altre parole il lasciare “devastare” dai bombers edifici, treni, tram, metropolitane e, a volte, perfino monumenti ed opere d’arte, sembra una copia dell’atteggiamento d’una madre indifferente o troppo passiva perché colpevole; viceversa, anche la tentazione di punire severamente i bombers somministrando loro multe sempre più salate, somiglia molto al comportamento d’una madre cattiva, che punisce e mortifica un bambino che si sente già molto povero e trascurato. Una risposta creativa, a mio avviso, dovrebbe sostenere e premiare il lavoro dei writers più seri e somministrare, invece, una “punizione intelligente” ai bombers; per essere percepita come tale dalla maggioranza dei giovani, tuttavia, essa dovrebbe obbligare i ragazzi a riparare il danno fatto, ma anche valorizzare il loro desiderio di fare cultura, impegnandoli in qualche lavoro creativo di restauro di parti degradate della città

 

GLI SPORT ESTREMI

L’attività sportiva ha sempre rappresentato un veicolo fondamentale per la crescita, in particolare, in adolescenza la pratica dello sport è sempre stata un’attività al servizio dei compiti evolutivi fase specifici.
Grazie allo sport, infatti, fin dalla preadolescenza i maschi e le femmine possono facilmente canalizzare e scaricare grandi quantità d’energia legate allo sviluppo fisico ed alla crescita delle masse muscolari, essi riescono, inoltre, ad acquisire un’immagine più adeguata del sé corporeo e, infine, possono gestire meglio il desiderio erotico e le rappresentazioni mentali relative al corpo erotizzato.
Sul piano relazionale lo sport facilita la socializzazione e sostiene il processo di separazione ed individuazione. La sfida con se stesso, contro i propri limiti, la competizione con gli altri, il riconoscimento ed il rispetto di regole precise e l’accettazione dell’eventuale sconfitta accelerano il distacco dalle fantasie onnipotenti infantili ed aumentano la consapevolezza dei propri limiti e di quelli della realtà, favorendo, nello stesso tempo, il rapporto di scambio positivo anche in situazioni competitive.
Negli anni ottanta e novanta tra i giovani è cresciuto soprattutto l’interesse per gli sport estremi; sempre più ragazzi sono attratti dalla sfida contro i propri limiti fisici e le paure o contro quelli della natura: il vuoto, l’altezza, le rapide, il vento e la velocità.
Il 12% dei giovani in Italia praticano uno sport estremo. I più diffusi tra i giovani sono il free climbing, lo snowboard, il rafting, il deltaplano, il parapendio, il bungee jumping e il paracadutismo.
Gli appassionati di questi sport possono anche contare su una rivista molto seria dal titolo “No limits world” che sostiene e diffonde questa cultura. Il numero di coloro che praticano questi sport non accenna ad arrestarsi in nessun paese. Dall’inizio degli anni ottanta ad oggi, ad esempio, gli appassionati di free climbing nel mondo sono passati da 50.000 a 500.000; anche gli sport estremi più pericolosi come il deltaplano e il parapendio raccolgono oggi l’interesse di molti giovani (10.00 solo in Italia).
Questa passione per lo sport estremo è strettamente collegata alla cultura del rischio in adolescenza, presa in esame nel libro a cura di Franco Giori “Adolescenza e rischio” (F. Giori, 1998). La ricerca del rischio, tuttavia, non ha un retroterra culturale vero e proprio; essa si appoggia soprattutto sul meccanismo dell’agito impulsivo in adolescenza e sul bisogno d’esteriorizzare i conflitti interni. Coloro che praticano uno sport estremo, invece, rivendicano per sé una filosofia di vita più matura e riflessiva. Essi affermano che il loro desiderio di “superare i limiti” è espressione di un atteggiamento adulto di coraggio, autonomia e indipendenza.
Oggi non disponiamo di ricerche che permettano di fare una valutazione oggettiva del fenomeno, tuttavia, credo si possa dire con una certa sicurezza che gli sport estremi attirano due tipologie diverse di giovani.
Una prima tipologia è quella di soggetti abbastanza sicuri di sé che attraverso questi sport vogliono entrare in contatto con emozioni e stati d’animo adulti d’autonomia, forza, sicurezza, competenza, coraggio e libertà. Coloro che appartengono a questo primo gruppo evitano con attenzione i pericoli, danno molto valore soprattutto al rapporto con la natura e sono alla ricerca di stati d’animo di competenza ed abilità. Le loro fantasie convergono verso il mito affettivo della virilità, del cavaliere senza paura che si spinge di là dai confini alla ricerca di se stesso.
Una seconda tipologia, invece, è quella di soggetti spaventati dalla vita ed incapaci di misurarsi con l’idea della morte. Nello sport estremo costoro cercano soprattutto le situazioni di rischio e di sfida alla morte, per mostrare a se stessi e agli altri di non temerla e di saperla controllare. Il mito affettivo che anima inconsciamente la loro passione è quello del bambino onnipotente perennemente in lotta contro le angosce di castrazione; anche quando questi soggetti raggiungono un buon risultato sportivo non sono mai contenti. Il loro timore inconscio, infatti, è quello di poter essere come il cavaliere della canzone “Samarcanda” di Roberto Vecchioni che, dopo aver incontrato la morte, ed essere riuscito a fuggire correndo per miglia e miglia sul “cavallo più veloce che c’è”, la ritrova proprio a Samarcanda, nel luogo dove è fuggito. A causa delle proprie paure, dunque, per abbassare almeno per un po’ di tempo l’ansia e la tensione che provano, questi soggetti affrontano le situazioni più rischiose e pericolose. Chi appartiene a questo secondo gruppo, tuttavia, si sente perennemente “inseguito” dalle fantasie di morte, non può quindi illudersi, in questo modo, di superare definitivamente il proprio disagio. E’ solo un vero impegno creativo, infatti, che può rivitalizzare un individuo e risolvere in suo favore la difficile contesa psicologica con la morte.

LA FRONTIERA DEL CYBERSPAZIO

 

Il computer come strumento di lavoro, comunicazione e conoscenza sta avendo, negli ultimi anni, un fortissimo sviluppo. Il numero di persone abbonate ad Internet, ad esempio, nell’arco di soli tre anni, è passato da tre milioni di persone in rete nel 1995 ad ottanta milioni d’abbonati nel 1998; in Italia attualmente i “navigatori” sono un milione e mezzo, di questi quattrocentomila, in gran parte giovani, accedono spesso ad una Chat line. Una Chat line è un luogo virtuale dove incontrarsi per scambiarsi messaggi, conoscersi e fare amicizia; entrare è facile e gratuito, ma è necessario dare uno pseudonimo (nick name). Chi naviga su una Chat line può lasciare dei messaggi, dialogare e poi sparire per sempre; solo quando vuole aprire una corrispondenza con altri utenti è necessario che lasci il proprio indirizzo privato di posta elettronica (E-mail), senza essere obbligato, tuttavia, a svelare la propria identità.
Molti ragazzi delle ultime generazioni sono cresciuti con un computer in casa e per loro questo strumento è ormai familiare, come lo erano il telefono e la tv per i loro genitori. Il computer, come tutte le altre “protesi” che la tecnologia ha messo a disposizione dell’uomo negli ultimi cento anni,  migliora il rapporto con la realtà, ma, allo stesso tempo, modifica il rapporto con se stessi e con il mondo. Così, navigare in rete permette di comunicare in tempo reale con chiunque nel mondo; è possibile, inoltre, abbassare molte difese ed essere subito spontanei e diretti, visto che si può mantenere il silenzio sulla propria identità e corporeità. Può, quindi, succedere come ai due protagonisti del film “C’è posta per te” di Nora Ephron, che, pur disprezzandosi nella vita reale, s’innamorano incontrandosi in una Chat line. D’altra parte, però, se la comunicazione via Internet può unificare il mondo e dare ai giovani nuove opportunità di conoscenza e di lavoro, essa finisce anche per impoverire la qualità emotiva dello scambio e la possibilità di conoscersi veramente. In ogni caso, il computer è senz’altro uno strumento utile per un adulto, ma è ancora troppo presto, probabilmente, per valutare con esattezza l’influenza psicologica che esso esercita sui giovani.
L’impressione che ho ricavato dialogando con molti ragazzi, incontrandoli nelle scuole o in colloqui privati, è che il computer, nel complesso, sia un buono strumento per loro, paragonabile per certi aspetti alla televisione, ma senz’altro migliore di essa; come la tv, infatti, anche il computer si presta facilmente a diventare uno strumento di desocializzazione e di ritiro dalla realtà, tuttavia, a differenza della tv, il computer permette ai ragazzi di restare attivi e di sentirsi protagonisti. Col computer, in ogni caso, ci si può avvicinare molto vicino alla realtà vera, si possono superare le frontiere, andare in un paese lontanissimo e, attraverso un “add-on”, un software di traduzione, è possibile conversare anche con chi parla cinese o arabo. Non vanno dimenticate, poi, le abilità concrete e le nuove conoscenze cui esso consente d’accedere. In questi anni, inoltre, ho conosciuto diversi ragazzi che, pur avendo utilizzato a lungo il computer come strumento consolatorio, per colmare almeno in parte il proprio vuoto esistenziale, lo spegnevano immediatamente e senza rimpianti quando al loro orizzonte comparivano nuovi amici o altri interessi.
Molti ragazzi, fin da giovanissimi, hanno acquisito notevoli abilità nel muoversi in modo creativo nella rete e nel programmare nuovi giochi. Durante l’adolescenza, alcuni di loro diventano, a volte, dei “pirati” della rete, mettendo le proprie abilità al servizio di finalità trasgressive; essi entrano abusivamente all’interno delle segretissime banche dati dell’esercito o di multinazionali con l’intento di compiere operazioni di sabotaggio o anche solo per curiosare. E’ a questi Robin Hood del ventesimo secolo che si riferisce lo scrittore cyber-punk William Gibson nei suoi romanzi “Monna Lisa cyberpunk”, “Neuromind”, “Neuromind nel cyberspazio”. Quest’attività avventurosa, forse, nei prossimi anni potrebbe essere per gli adolescenti una nuova frontiera del rischio e della trasgressione.
Una riflessione a parte è necessaria, a mio avviso, se pensiamo all’uso del computer come “macchina per giocare”. In Italia, attualmente, almeno il 31% dei ragazzi dedica parte del proprio tempo libero ai videogiochi.
Riferendosi al tema delle abilità che i videogiochi permettono di sviluppare, J. C. Herz, un esperto americano di computer, nel libro “Il popolo del joystick” scrive: “I videogiochi costituiscono una perfetta formazione alla vita nell’America ‘fin de siècle’, dove l’esistenza quotidiana richiede abilità di saper amministrare sedici tipi diversi d’informazione lanciateci simultaneamente addosso da telefoni, fax, televisori, cercapersone, agende elettroniche, sistemi vocali di messaggeria, la posta normale, quella elettronica in ufficio e Internet. Le notizie internazionali vengono aggiornate ogni mezz’ora, e il posto di lavoro ha un piede nel cyberspazio. Ed è necessario elaborare tutto questo istantaneamente. E’ necessario saper riconoscere i differenti modelli in questo vortice d’informazioni, e in fretta. I nati col joystick in mano sono avvantaggiati. Checché ne dicano i polemici luddisti, i ragazzini svezzati a videogiochi non sono piccoli zombi illetterati, moralmente fragili, carenti nell’arte della concentrazione e dediti ai massacri per aver giocato troppo a ‘Mortal Kombat’. Sono semplicemente acclimatati a un mondo che assomiglia sempre più a una specie di esperienza da sala giochi.”.
Credo si possa dubitare del fatto che i videogiochi costituiscono una “perfetta formazione alla vita”, Herz, infatti, al di là degli aspetti operativi, non prende per nulla in considerazione le conseguenze psicologiche negative subite dai ragazzi che trascorrono un lungo periodo davanti ai videogiochi. Lui stesso, tuttavia, nota che, già nel 1981, anno del boom in America delle sale giochi video, le macchine per giocare “…risucchiavano venti miliardi di monete da un quarto di dollaro e 75.000 anni-uomo all’anno”. A differenza del computer, le “macchine per giocare” (i computer stessi e le macchine da gioco come la Playstation o il Nintendo 64, diventati negli ultimi anni oggetti di culto soprattutto tra i giovanissimi) distraggono molto di più dalla realtà. Passando molte ore davanti ai videogiochi i ragazzi tolgono spazio, non solo allo studio, ma anche all’amicizia, all’amore e a tutti gli altri compiti evolutivi della crescita. La distinzione tra realtà e fantasia, inoltre, in loro si fa meno chiara e, come hanno notato molti ricercatori, le abilità simboliche-rappresentative s’impoveriscono.
I videogiochi, in ogni caso, non devono preoccuparci tanto per il loro contenuto violento (ad es.: macchine che vanno in pezzi o che travolgono la folla, giustizieri che fanno strage di nemici o di alieni, una mietitrice che investe un pedone, lo stritola e ne sparpaglia i resti, ecc. ecc.), questi contenuti, infatti, sono presi dai ragazzi in senso ironico e servono, anzi, a sdrammatizzare le loro paure profonde. Più preoccupante, invece, è la funzione distraente rispetto alla realtà che svolgono attualmente i video giochi nel complesso panorama della cultura giovanile di fine millennio.

LA MUSICA

 

La musica sicuramente è l’area d’interessi in cui più si esprime la creatività giovanile. E’ in questo settore della cultura, dunque, che possiamo aspettarci d’individuare le novità più interessanti e le rappresentazioni affettive più chiare di ciò che significa essere giovani oggi.
E’ negli anni sessanta, con le canzoni dei Beatles e di tutti gli altri gruppi e cantanti sorti al loro seguito, che la musica ha avuto per la prima volta la sua consacrazione come linguaggio principale del mondo giovanile. Oggi, inoltre, questo linguaggio sembra veramente lo strumento principe per prendere contatto con emozioni e stati d’animo legati alla crescita; come abbiamo visto, infatti, né gli altri interessi dei giovani, né lo stesso gruppo dei pari sembrano più capaci d’esercitare un’adeguata funzione di stimolo in questa direzione. La musica, invece, mette in contatto diretto con gli affetti, le ansie e i conflitti dei giovani. Essa arriva molto in profondità, scavalca difese e paure e rende finalmente pensabili i sentimenti dell’adolescenza e i nuovi bisogni, desideri e impulsi sessuali che, una volta acquisiti a livello cosciente, possono essere facilmente trasformati in parole e in azione. Il rapporto con la musica serve ai ragazzi per riconoscersi tra loro e per stabilire legami d’appartenenza, sia con il piccolo gruppo d’amici, sia, per la prima volta, con il collettivo generazionale che, nel corso di concerti o d’altre manifestazioni musicali, è acquisito come parte della propria identità e della propria storia.
La musica, dunque, svolge una fondamentale funzione di rispecchiamento e di guida. Essa conduce i ragazzi attraverso gli stati d’animo che devono essere pensati ed elaborati nel corso della crescita: trasforma la percezione del proprio corpo e fa scoprire il desiderio erotico, fa battere il cuore e rende consapevoli del proprio bisogno d’amare e d’essere amati, rende molto tristi e costringe a prendere coscienza della propria solitudine nel mondo, dell’essere ormai ineluttabilmente separati dall’infanzia, infine, restituisce gioia, euforia ed orgoglio poiché celebra la potenza affettiva del nuovo Sé adulto, erotizzato ed indipendente.
I maschi nella musica cercano soprattutto di dare senso alla propria virilità, cogliendo i passaggi forti, distorti, la perfezione tecnica del suono; la capacità del loro idolo di fare ricerca e sperimentazione e, quindi, il suo avviarsi su strade nuove ed inesplorate. Le ragazze, invece, per cogliere meglio le caratteristiche della propria femminilità, cercano di mettersi in contatto con le infinite sfumature degli affetti e con la delicatezza di certe emozioni e stati d’animo rappresentati dalla musica.
La musica, inoltre, come nessun altro interesse, coinvolge direttamente adolescenti e giovani: tra i 10 e i 13 anni si avvicina ad uno strumento il 53% dei ragazzi, tra i 14 anni e i 17 anni suona l’80% degli adolescenti; solo dopo i 25 anni c’è un progressivo calo d’interesse in questo campo (a 40 anni suona uno strumento solo il 10% degli adulti).
I ragazzi più creativi, oltre a suonare direttamente uno strumento musicale e a cercare di comporre a loro volta brani musicali, studiano con attenzione il significato profondo delle canzoni del loro idolo; s’interessano ai testi, al modo in cui é suonato un pezzo, colgono con piacere o con delusione il suo più piccolo cambiamento di stile o anche la semplice introduzione di diversi strumenti e di nuovi effetti musicali.
La ricerca di un proprio genere musicale è un compito molto importante per qualsiasi giovane. Chi non fa questa ricerca e s’accontenta di scegliere la musica degli amici o dei fratelli maggiori, parte svantaggiato nel percorso più importante e difficile per un essere umano durante l’adolescenza e l’età giovanile: la scoperta e l’affermazione del Vero Sé e della propria vocazione nella vita.
Il narcisismo giovanile ed il bisogno d’idealizzare i propri idoli e il proprio gruppo d’appartenenza, spesso, fanno ritenere a molti ragazzi che in campo musicale vi siano generi di serie A e altri di serie B. In realtà, ciò che crea la differenza tra un genere e un altro non è la qualità del tipo di musica, ma gli oggetti differenti di cui essa parla.
Osservando i gusti dei giovani, non mi sembra si possa affermare che esiste un genere per i maschi e un altro per le femmine; anche se, indubbiamente, i maschi sono più incuriositi dai suoni forti, dalla tecnica con cui è suonato un pezzo musicale o dai nuovi filoni di ricerca all’interno dello stesso genere. Le femmine, al contrario, sono attratte soprattutto da una musica capace di portare a galla le emozioni più profonde e le sfumature più delicate.
Nella scelta di un genere musicale, invece, conta molto di più il periodo di vita che si sta attraversando o, più semplicemente, lo stato d’animo del momento. Così, ad esempio, l’interesse per un nuovo cantante che suona musica molto ritmata e vivace, può servire in un certo periodo per far emergere ed integrare nella personalità una parte di sé più virile, mentre una musica più dolce e romantica può accompagnare l’integrazione d’una parte di sé più tenera e femminile.
La maggioranza dei giovani, in ogni caso, si ritrova anche oggi soprattutto nel rock, poiché è il linguaggio musicale con la sintassi più semplice e più libera. Altro genere musicale capace d’interpretare molto bene il bisogno creativo dei giovani d’abbattere qualsiasi barriera, di passare i confini, d’ampliare la mente e di rinascere psicologicamente è la “world music”, genere promosso negli anni settanta da Peter Gabriel. Questo genere, attraverso le contaminazioni del rock con la musica etnica di diversi paesi, è capace di trasportare i giovani nello spazio e di far loro scoprire, grazie al comune vocabolario degli affetti e del desiderio, il modo di sentire e d’amare d’altre culture. Grazie alla world music, negli ultimi vent’anni è molto cresciuta tra i giovani la passione per la musica etnica. In questo campo, l’interesse di molti ragazzi sembra sia rivolto ad integrare nella propria cultura originali modalità espressive, nuove sensibilità e ritmi.
La maggioranza dei giovani, nonostante abbia una forte curiosità per tutte le novità e per i diversi generi esistenti in campo musicale, solitamente mantiene a lungo lo stesso interesse per un unico o per pochi generi musicali. Il forte legame identificatorio con i propri idoli ed il sentimento d’appartenenza al gruppo d’amici, che si sperimentano in adolescenza, infatti, impediscono ai ragazzi d’esplorare con piacere gli altri generi esistenti. Molti giovani, in ogni caso, non si fermano ad un unico genere musicale, ma s’immergono indifferentemente nel suono heavy del rock, nel ritmo del rap e dell’hip hop, nelle sonorità etniche del reggae, reso famoso negli anni settanta da Bob Marley o negli altri filoni della “black music” (blues, soul, spiritual, rythm‘n‘blues, funk), oppure, essi vanno alla ricerca delle delicatissime suggestioni emotive della musica di Enya e di Loreena Mc Kennit, due artiste impegnate da anni, attraverso l’utilizzo della musica tradizionale ed etnica, in un’esplorazione delle particolari sfumature dei sentimenti umani. Il panorama della ricerca fatta dai giovani in campo musicale, come si vede, è molto ricco e vario e sembra testimoniare una gran vitalità creativa all’interno della cultura giovanile. Questa ricchezza in parte smentisce l’impressione d’originalità, ma anche di povertà di contenuti e di significati psicologici, degli altri percorsi culturali intrapresi dai giovani negli anni ottanta e novanta. Alcuni generi musicali, tuttavia, negli ultimi anni sono andati in una direzione contraria rispetto a quella vista fin qui, hanno seguito, infatti, percorsi centrati soprattutto sulla provocazione o sullo svuotamento di significato del messaggio musicale: mi riferisco al “glam rock”, al movimento “punk” e alla disco music e alla musica “techno”.
Il glam rock (contrazione di “glamorous”: affascinante) rappresenta una sorta di rivolta estetica. Esasperando la teatralità del rock degli anni sessanta, all’inizio degli anni settanta, David Bowie, Iggy Pop e Brian Ferry lanciarono questa nuova moda fatta di rock duro, musica elettronica, droga, bisessualità, ma soprattutto d’un look eccessivo, eccentrico e provocatorio, che sfocia spesso nel travestitismo o nell’uso, anche da parte degli uomini, di rimmel, rossetto, fard e di vestiti con lustrini, piume e paillettes. Questa moda influenzò profondamente il costume giovanile successivo, rafforzando la ricerca in campo estetico ed il gusto per la provocazione.
Questo movimento culturale è stato ripreso negli ultimi anni dal cantante Marylin Manson, nome d’arte di Brian Warner che nasce dall’unione di due opposti miti americani: l’angelica Marilyn Monroe ed il criminale psicopatico Charles Manson. Truccandosi fisicamente in modo da sembrare androgino, satanico e anoressico, nei suoi album (“Antichrist superstar” e “Mechanical animals” i due più famosi) Marilyn Manson esaspera in senso provocatorio violento e blasfemico l’esibizionismo della cultura glam, raggiungendo un gran successo presso molti giovani, nonostante che la sua musica sia soltanto dell’heavy metal di discreta qualità. Il bisogno di molti ragazzi d’identificarsi con questo personaggio, mostra quanto sia forte oggi l’esigenza di cercare strade alternative per elaborare la propria rabbia e il disagio personale.
Il movimento punk, invece, è esploso verso la metà degli anni settanta, in particolare con il gruppo rock dei Sex Pistols, ed è diventato ben presto un modo di pensare ed una filosofia di vita. I punk sono contro tutto: contro la tradizione e contro la società borghese, contro il presente ma anche contro il futuro. Nel loro modo di vestire sono attratti da ciò che è brutto e provocatorio: capelli colorati, spille sul viso, giacche di pelle con borchie e, in più, anelli, collane e braccialetti molto kitsch. A differenza del glam verso cui è molto critico, il movimento punk è maggiormente politicizzato ed è apertamente contro il sistema. Il suo nichilismo anarchico, tuttavia, sembra aver raccolto l’entusiasmo solo di pochi giovani, in particolare, di quelli che non riescono a tenere separati dentro di sé i propri ideali dalla tristezza e dalla rabbia.
La disco music e la techno, la prima nell’ultima parte degli anni settanta, la seconda all’inizio degli anni novanta, hanno spostato l’attenzione dei giovani sul ballo. La techno, in particolare, ha riscosso molto successo, rivoluzionando costumi e linguaggi musicali; un segno del suo successo è la “Love parade”, grande festa techno con parata per la città, che si tiene a luglio da nove anni a Berlino e che  nel 1998 ha visto la partecipazione di più d’un milione di giovani giunti da tutta l’Europa. Nella musica techno non conta la bellezza di una canzone, ma la sua forza, l’energia che ha dentro e la capacità che ha con il suo ritmo rock elettronico vertiginosamente accelerato di scuotere e fare ballare chi l’ascolta. Le sue varie sigle (nu house, hardcore, ambient, progressive, trance, jungle e big beat), in sostanza, indicano un unico genere musicale ed una sola filosofia: “lose yourself” (perditi) e “let the rhythm take control” (fatti prendere dal ritmo). Coerentemente con questi obiettivi, i suoi fans l’ascoltano nei rave party (rave sta per delirante), nelle discoteche e nei disco-bar, ballando ininterrottamente fino a che non sono esausti. In questi posti, sono utilizzate, per perdersi meglio e per resistere più tempo a ballare, varie droghe, soprattutto l’ecstasy; l’uso di droga rappresenta praticamente la normalità, soprattutto nei rave, ritrovi illegali in capannoni abbandonati o altri edifici periferici, dove s’arriva solo attraverso il passa parola e dove sono organizzate feste che durano 24 ore o anche più giorni. Il protagonista della serata non è quasi mai una rock star, ma sono uno o più dee jay, molto esperti di musica elettronica e, in genere, capaci di combinare insieme in modo perfetto suoni e ritmo; a differenza degli altri generi musicali, tuttavia, queste figure restano, di solito, sullo sfondo e non diventano degli idoli per il loro pubblico, essi sono solo dei celebranti d’una liturgia che ha come scopo il raggiungimento di stati simili al trance da parte del pubblico. La significazione degli affetti, dunque, anche per ciò che riguarda lo specialissimo rapporto tra il pubblico e il suo idolo musicale, s’impoverisce e si ridimensiona.
Le provocazioni del glam e del punk e il riduzionismo della disco music e della techno non rappresentano, a mio avviso, soltanto delle particolari deviazioni negative dal percorso creativo che la musica ha intrapreso negli ultimi decenni; esse, invece, esprimono anche con coerenza la profonda vocazione della musica d’interpretare tutte le diverse sfaccettature dell’animo giovanile. I movimenti musicali del glam e del punk, in particolare, permettono ai ragazzi d’entrare in contatto con la propria forza ed aggressività e consentono quindi, anche a parti di sé ferite e piene di rabbia dei ragazzi di questa generazione, di trasformarsi all’interno del discorso musicale in un linguaggio più chiaro e meno distruttivo. La disco music e la techno, invece, aprono una sorta di gran luna park consolatorio per molti giovani che, essendo incapaci di pensare al futuro, sentono spesso il bisogno di perdersi e di fuggire da una realtà per loro troppo difficile e complessa.
Non sono, dunque, i generi glam, punk, la disco music e la techno a creare una cultura violenta e provocatoria o a spingere i ragazzi verso la fuga dalla realtà. Essi, più semplicemente, attirano ragazzi curiosi, trasgressivi o che già stanno male e offrono loro un supporto culturale piuttosto elementare, ma vicino al loro modo di sentire.
L’utilizzo della droga, fatto spesso da chi va in discoteca e soprattutto ad un rave, i gravi incidenti automobilistici che a volte accadono quando, dopo aver ballato per molte ore di seguito, si esce a tarda notte stanchi, storditi e ancora “fuori di testa”, non sono un segnale della patologia di queste culture, moltissimi giovani, infatti, frequentano discoteche e raves senza mai fare uso di droghe pesanti; indicano, tuttalpiù, quanto sia pericoloso, per chi è debole e senza alcun orientamento culturale, appoggiarsi a queste forme di divertimento, quanto poco, in sostanza, la cultura del perdersi e dell’andare fuori di testa, proposta in alcune discoteche e nei raves, aiuti chi sta male e non sa controllarsi a trovare un buon rapporto con la realtà. La cultura della discoteca e del rave, al pari di quella del glam, del punk e di altri generi culturali come la body-art e i graffiti, è debole e svolge prevalentemente una funzione di tipo difensivo. Essa, infatti, se da una parte aiuta i giovani a liberarsi e a scoprire la propria corporeità erotica, dall’altra, sul piano psicologico, più che altro anestetizza e consola rispetto al proprio disagio personale, ma non orienta quasi mai verso un orizzonte affettivo ed etico più maturo, capace di trasformare creativamente il proprio malessere.
La grande passione dei giovani per la musica sta lentamente cambiando il loro rapporto con il mondo. Grazie al potere che ha la cultura giovanile d’influenzare anche i comportamenti e valori adulti, inoltre, questa passione sta gradualmente modificando i riferimenti culturali ed etici in un ambito più vasto.
La musica giovanile, prima di tutto, sta cambiando profondamente la percezione del proprio spazio d’appartenenza, facendo sentire i giovani, come mai prima d’ora, cittadini del mondo. La fruizione simultanea di una stessa canzone o di uno stesso video-clip in diverse parti del mondo e le convivenze sonore di più culture presenti all’interno della world music, hanno anticipato di molti anni la globalizzazione.
Questo processo d’unificazione è senz’altro merito soprattutto della musica rock. Il rock, infatti, è un genere musicale che non ha barriere, è uno strumento comunicativo immediatamente traducibile in tutte le culture. Con le canzoni dei Beatles, per la prima volta nella storia, v’era stata la possibilità di una fruizione simultanea della stessa musica, almeno in tutto il mondo occidentale. L’universalità del rock, inoltre, ha orientato la cultura giovanile verso un altro orizzonte etico: l’impegno per una cultura di pace e per la giustizia sociale.
Il “Bed-in” di John Lennon e Yoko Ono nel 1969, la prima e più singolare forma di protesta per la pace, è stata seguita da altri numerosi eventi musicali, i più importanti sono stati i concerti di solidarietà. Il primo fu quello organizzato da George Harrison nel 1971, per la raccolta di fondi in favore delle popolazioni alluvionate del Bangladesh. Nel 1984, promosso da Bob Gheldof, con personaggi del calibro di Sting, Bono, Bob Dylan, Paul Mc Cartney, Elthon John, Phil Collins, i Queen e i Led Zeppelin, si tenne un doppio concerto a Wembley e a Philadelphia per aiutare le vittime della carestia in Etiopia; a questo concerto assistettero un miliardo di persone da 147 paesi collegati grazie ai satelliti artificiali. Altro momento importante, fu il concerto per Mandela e contro l’apartheid, nel 1980, ancora a Wembley.
Molti cantanti, come John Lennon, Bob Dylan, Sting, Peter Gabriel, Bruce Springsteen, Tracy Chapman, il senegalese Youssou N’Dour, i R.E.M. e gli U2, inoltre, hanno dedicato molte canzoni del loro repertorio a questi temi. Tra le canzoni più famose vi sono: quella di John Lennon “Give peace a chance”, di Bob Dylan “Masters of war” e “Blowing in the wind”, di Sting “They dance alone”, dedicata alle madri dei desparecidos argentini e cileni, e, infine, “Aquarius”, il più celebre brano dal musical “Hair”. Queste canzoni, negli ultimi anni, hanno rappresentato la colonna sonora d’un importante processo di cambiamento culturale e, al tempo stesso, un importante veicolo di presa di coscienza per molti giovani dei valori di pace e giustizia sociale.
Un altro orizzonte etico della cultura giovanile in campo musicale è rappresentato dai concerti. Il concerto è ormai diventato un rituale cui ogni idolo musicale deve sottostare periodicamente. Esso è finalizzato a celebrare la reciproca appartenenza tra il cantante e il suo pubblico e, al tempo stesso, la loro comune devozione ad ideali ed affetti profondi.

La cultura giovanile negli ultimi quattro decenni s’è mossa lungo strade nuove, affascinanti, ma, al tempo stesso, anche pericolose. I diversi percorsi culturali che i giovani hanno affrontato dagli anni cinquanta ad oggi sono stati ispirati soprattutto dai desideri e dalle fantasie dell’adolescenza; anche i rapporti spesso conflittuali con gli adulti e l’esperienza culturale delle generazioni precedenti, tuttavia, hanno profondamente influenzato la loro ricerca. Essi sono andati fino ai limiti estremi della propria fisicità, hanno esplorato nuove dimensioni della mente e della realtà virtuale, hanno ridisegnato la geografia dei rapporti sessuali, affettivi e sociali, hanno scoperto, infine, nuove forme espressive e comunicative.
I ragazzi non hanno creato una propria cultura solo per motivi ludici o consolatori, essi hanno anche cercato di trovare una risposta ad ognuno dei grandi quesiti dell’adolescenza e della vita: l’amore, la morte, il desiderio, la solitudine, la scoperta di sé e del proprio futuro, le scelte etiche.
Le strategie sperimentate dai giovani, in sostanza, propongono tre differenti soluzioni.
La prima, di marca infantile, è fondata sulla regressione e sulla fuga dalla realtà per affrontare il dolore ed il disagio della crescita. Essa, quindi, suggerisce di recuperare il piacere ed il benessere nell’ambito della fantasia e dell’illusione. L’esperienza eccitatoria della musica techno e d’alcune situazioni di rischio, il grande spazio onirico aperto dalle droghe e dalla realtà virtuale, la dimensione del gioco e del consumo, sono i luoghi privilegiati in cui si realizza concretamente questo tipo di ricerca. Chi si rifà a quest’area culturale, tuttavia, in qualche caso riesce ad anestetizzare il proprio disagio, ma difficilmente può impostare un progetto valido per la vita adulta; al contrario, muovendosi lungo questa strada si rischia di ipotecare negativamente tutto il proprio futuro, dando troppo potere ad una parte di sé infantile ed onnipotente che non è in grado di gestire le situazioni più complesse e le responsabilità della vita adulta.
La seconda strategia utilizza la trasgressione e la provocazione per richiamare l’adulto alle sue responsabilità e per elaborare le difficoltà dell’adolescenza. Questa seconda strada facilita lo sviluppo d’atteggiamenti critici ed anche propositivi a livello sociale. E’ quello che è successo con la contestazione degli anni sessanta e con l’innovazione culturale favorita da molti movimenti alternativi. E’ anche vero, tuttavia, che la trasgressione e la provocazione, oltre a rappresentare degli elementi di rischio, da sole non costituiscono degli ingredienti sufficienti per un vero progetto creativo.
La terza strategia, infine, la più creativa, prefigura un modo nuovo di guardare al futuro, più carico d’affettività, pace e socialità. Essa s’appoggia sulle capacità intuitive ed artistiche dei giovani, e lascia intravedere più chiaramente una realtà futura in cui potranno aprirsi nuovi spazi espressivi e comunicativi.
La cultura giovanile, come abbiamo visto, quando non è alla ricerca di soluzioni difensive e consolatorie, è capace di cogliere creativamente i mutamenti in corso nella società e riesce a sostenere la nascita di nuovi valori. Essa, dunque, in questi anni, ha partecipato attivamente a una sorta di “mutazione genetica” dei valori sociali.
I cambiamenti sociali sponsorizzati direttamente dalla cultura giovanile, infatti, vanno nella direzione di una società più pacifica e interculturale, all’interno della quale gli individui, grazie ad una comunicazione più informale e spontanea, tipica del linguaggio giovanile, possono avere rapporti di scambio più veri e affettuosi. La diffusione della musica, che spesso sembra accompagnare i giovani nell’arco di tutta la loro giornata, testimonia l’esigenza dei ragazzi d’avere più calore affettivo; essi ricercano forme comunicative più vere e coinvolgenti, impregnate di significati affettivi forti, che possano aiutarli a superare la solitudine ed il proprio senso di vulnerabilità e che riescano, nello stesso tempo, a ricostruire un sentimento d’appartenenza sociale non più infestato da fantasmi paranoici nazionalistici.
Un’altra caratteristica della cultura giovanile è quella di lasciar intravedere il futuro del mondo. Studiando le nuove tendenze culturali, i gusti e gli orientamenti dei ragazzi, infatti, è possibile prevedere, come nella sfera di cristallo di un mago, l’evoluzione della società. Il mito del “perdersi” e del fuggire nella fantasia, presente nella cultura giovanile fin dalla sua nascita, come abbiamo visto, oggi ha trovato nei nuovi interessi culturali dei giovani di fine millennio un terreno fertile e molto pericoloso. E’ possibile, dunque, ipotizzare un futuro molto difficile per i ragazzi di questa generazione; anche per questo, oggi c’è urgentemente bisogno di un’alleanza tra tutti gli adulti che non si sono “persi” nel corso della loro adolescenza e i giovani dell’ultima generazione. Questa alleanza servirà soprattutto ai ragazzi, ma potrà essere utile anche agli adulti, per trovare nuove risposte e soluzioni a molti quesiti esistenziali che, nel corso della loro crescita, essi hanno dovuto lasciare in sospeso.

 

BIBLIOGRAFIA

Agosti A., Passerini L., Tranfaglia N., a cura di, 1991, La cultura e i luoghi del ’68, Franco Angeli.
Bevilacqua E., 1990, Guida alla beat generation, Theoria.
Brizzi E., 1996, Bastogne, Mondadori, Milano.
Coupland D., 1992, Generazione X, Interno Giallo, Milano.
Capello C., D’Ambrosio P., 1993, Il giardino segreto, Bollati Boringhieri, Torino.
Capanna M. 1994, Speranze, Rizzoli, Milano.
Cristiani C., 1994, a cura di, Smetamorfosi. Adolescenza e crescita nei diari dei ragazzi, Baldini e Castoldi.      
Da Empoli G., 1996, Un grande futuro dietro di noi, Marsilio.
Fornari F., 1966, Psicoanalisi della situazione atomica, Rizzoli, Milano.
Flores M., Bernardi A., 1998,Il sessantotto, Il Mulino, Bologna.
Giori F. (a cura di), 1998, Adolescenza e rischio, F. Angeli.
Herz J.C., 1998, Il popolo del joystick, Feltrinelli, Milano.
Kerouac J., 1957, On the road, Einaudi, Torino.
Lasch C., 1995, La ribellione delle elite, Feltrinelli, Milano.
Mac Donald I., 1994, The Beatles. L’opera completa, Mondadori oscar saggi, Milano.
Miscioscia D., 1999, Miti affettivi e culture giovanili, F.Angeli, Milano
Mitscherlich A., 1972, L’idea di pace e l’aggressività umana, Bompiani.
Mitterauer M., 1991, Giovani in Europa dal medioevo a oggi, Laterza, Bari.
Pistolini S., 1995, Gli sprecati, Feltrinelli, Milano.
Salinger J.D., 1951, Il giovane Holden, Einaudi, Torino.
Santacroce I., 1995, Fluo, Castelvecchi, Firenze.
Thornton S., 1995, Dai club ai rave, Feltrinelli, Milano.

 

Fonte: http://minotauro.it/wp-content/uploads/2012/11/Diego-Miscioscia_Nuove-frontiere-delle-culture-giovanili.docx

Sito web da visitare: http://minotauro.it

Autore del testo: Diego Miscioscia

Il testo è di proprietà dei rispettivi autori che ringraziamo per l'opportunità che ci danno di far conoscere gratuitamente i loro testi per finalità illustrative e didattiche. Se siete gli autori del testo e siete interessati a richiedere la rimozione del testo o l'inserimento di altre informazioni inviateci un e-mail dopo le opportune verifiche soddisferemo la vostra richiesta nel più breve tempo possibile.

 

Cultura giovanile e la moda

 

 

I riassunti , gli appunti i testi contenuti nel nostro sito sono messi a disposizione gratuitamente con finalità illustrative didattiche, scientifiche, a carattere sociale, civile e culturale a tutti i possibili interessati secondo il concetto del fair use e con l' obiettivo del rispetto della direttiva europea 2001/29/CE e dell' art. 70 della legge 633/1941 sul diritto d'autore

Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).

 

Cultura giovanile e la moda

 

"Ciò che sappiamo è una goccia, ciò che ignoriamo un oceano!" Isaac Newton. Essendo impossibile tenere a mente l'enorme quantità di informazioni, l'importante è sapere dove ritrovare l'informazione quando questa serve. U. Eco

www.riassuntini.com dove ritrovare l'informazione quando questa serve

 

Argomenti

Termini d' uso, cookies e privacy

Contatti

Cerca nel sito

 

 

Cultura giovanile e la moda