Storia del trucco e del costume Antico Egitto

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Storia del trucco e del costume Antico Egitto

L’ANTICO EGITTO

 

INQUADRAMENTO STORICO

 

Con Antico Egitto si intende la civiltà sviluppatasi in quella sottile striscia di terra paludosa fertile che si distende lungo le rive del Nilo a partire dalle sue cateratte al confine col Sudan fino allo sbocco nel Mediterraneo e suddiviso in quattro grandi fasi: l'epoca arcaica o protodinastica (3160- 2705 a.C.), l'Antico Regno (2705-2035 a.C.), il Medio Regno (2035-1550 a.C.) e il Nuovo Regno (1552-1070 a.C.) più altri periodi più corti (periodo Tanita, Libico, Kushita, Saitico, Epoca Tarda, 1070- 332 a.C.) nelle quali si sono succedute XXXI Dinastie.
Politicamente l’Egitto era uno stato al cui potere c’era il faraone.

 

CANONE ESTETICO

 

L’arte nel senso attuale del termine non esisteva nell’Antico Egitto, e se era presente una  conoscenza dell’arte, questa non andava oltre i confini della sua esperienza religiosa, gli egizi usavano l’arte figurativa, al pari della scrittura, per la comunicazione e la propaganda politica.
L’Egitto era profondamente influenzato dalla magia, da una fede nell’esistenza di forze trascendenti invisibili e onnipotenti che occorreva propiziarsi per assicurarsene l’aiuto e il faraone rappresentava il tramite per raggiungere queste forze.
Accanto al politeismo (centralità del faraone) era viva nel popolo anche la concezione di un grande dio unico, con cui si identificava il dio sole RA.
I canoni estetici relativi alla struttura fisica non sono rigidi, tuttavia le rappresentazioni giunte fino a noi mostrano figure snelle e con membra minute, ma non emaciate, in cui le tipiche curve femminili sono ben disegnate, non a caso siamo ancora in una società nella quale il ruolo prevalente della donna è quello di procreatrice.


IL TRUCCO

 

Nell’Antico Egitto i sacerdoti confezionavano unguenti a base di timo, origano, mirra, incenso, lavanda, oli di sesamo, di oliva e di mandorle. Questi prodotti, usati soprattutto per la mummificazione dei corpi dei defunti, erano impiegati anche per massaggiare il corpo dei vivi dopo il bagno, per preservarlo dagli sgradevoli effetti della sudorazione. Così, all'aspetto culturale si accompagna anche quello profano: accanto ai prodotti per il tempio, si diffonde l'uso dei cosmetici anche per  la  vita  quotidiana  sia  per  le  classi  più  abbienti,  ché  per  gli  artigiani  e  gli  operai. Il papiro Ebers (ca. 1550 a.C.) riporta, tra le altre cose, la prima ricetta di cosmetico: in essa si parla di     vari     profumi     impastati     con     polvere     di     corno     e     sangue     di      lucertola.   Per gli antichi Egizi la bellezza era importante quanto la salute pertanto, i cosmetici fungevano anche    da      medicinali. Il famoso trucco applicato al contorno degli occhi con galena nera (un solfuro di piombo di colore grigio scuro) o malachite verde (un minerale color verde-smeraldo) aveva il triplice scopo di abbellire, proteggere e curare: il sole e l'aria di quei luoghi causavano riverberi intensi e la finissima sabbia dava fortissime irritazioni oculari. Il trucco con galena nera o malachite verde assicurava agli antichi Egizi la cura del tracoma (un'infezione virale dell'occhio), dell'emeralopia (ovvero la riduzione della vista durante il crepuscolo) o la più comune congiuntivite. Alle finissime polveri di queste sostanze venivano aggiunti grassi animali, cera d'api o resine, che rendevano il prodotto in grado di essere spalmato e garantivano sia l'attività terapeutica ché quella cosmetica (Fig. 4).

 

 

 

Non a caso, nei papiri questa usanza è indicata col termine mesdemet, che significa "che fa parlare gli  occhi".


Almeno fino all'Antico Regno (2705-2250 a.C.) il trucco non variava secondo il sesso (più tardi inizierà la distinzione nei colori per maschi e femmine). Le statue in pietra calcarea dipinta di Rahotep e della moglie Nofret datate al 2630 ca. rinvenuta in una tomba a Meydum lo confermano: entrambe hanno gli occhi sottolineati da un tratto di malachite verde, con una spessa riga sulla palpebra inferiore (Figg.5, 6, 7).


Da fonti scritte sappiamo come gli Egizi importassero dall'Oriente oli essenziali e minerali utili alla produzione di unguenti e profumi già nel 3500 a.C.
L'uso più importante di olii aromatici e di essenze avveniva nella mummificazione: la credenza tradizionale che il corpo si fosse dovuto conservare per poter rivivere dopo la morte portò allo sviluppo di metodi di imbalsamazione tra l'inizio del periodo dinastico e l'era Cristiana.
Pratica perfezionata solamente con l’11° dinastia (2000 AC).
I corpi venivano rapidamente essiccati con natron anidro, un sale naturale composto da carbonato  di sodio e cloruro o solfato di sodio, quindi la superficie della pelle veniva rivestita con resine aromatiche ed il corpo era avvolto in un telo di lino. Non era praticata nessuna eviscerazione, ma un'oleoresina simile alla trementina era iniettata nell'ano per sciogliere gli organi. Un grado di conservazione ancora migliore fu ottenuto nel Nuovo Regno (1570-1070 AC), quando gli organi interni venivano eviscerati e posti in natron, trattati con resina bollente, avvolti in bende e collocati in quattro distinte giare. La cavità lasciata nel corpo veniva lavata con vino di palma e spezie e riempita con un materiale provvisorio, quindi l'intero corpo posto in natron per 40 giorni, trascorsi i quali veniva lavato nelle acque del Nilo.
Era solito riempire il cranio con bende di lino imbevute di resine e la cavità del corpo con sacchi di lino contenenti mirra e imbevuti di resina. Poi, la superficie esterna del corpo veniva cosparsa da una miscela di olio di cedro, cera e gomme e spezie. Infine, dopo aver riempito il naso e le orbite degli occhi con panni di lino, l'intero corpo veniva rivestito da una resina fusa per chiudere i pori. Il processo di imbalsamazione era probabilmente terminato entro il 52° giorno successivo alla morte. Nel 1973 le resine prelevate dalla mummia di Ramsete V furono analizzate e si scoprì che erano composte da olio di ginepro, olio di canfora e la gommo-resina mirra.
L'imbalsamazione continuò attraverso l'epoca dei Romani fino all'era Cristiana, quando cadde in disuso, insieme alla pratica di bruciare l'incenso,  in  quanto  considerata  una  pratica  Pagana.  L'uso di questi unguenti fu poi adottato anche da altri popoli del Mediterraneo, dapprima nell'area medio-orientale,    poi                                                    in                            quella                   europea.

 

ABBIGLIAMENTO

Nell'Antico Regno gli uomini usavano un perizoma oppure un gonnellino dall'estremità sovrapposte (Fig. 8, 9) che durante le dinastie del Medio Regno si trasformò allungandosi fino alle caviglie caratterizzato da pieghe e trasparenze. Il torace era coperto con una stola di tessuto: molto usato era il colore bianco e il tessuto di lino mentre la lana non era gradita per motivi religiosi, in quanto la pecora come animale vivo era considerato impuro.


I nobili usavano adornarsi con gioielli e usavano sandali in papiro o legno di palma con lacci di cuoio. Le donne usavano tuniche aderenti lunghe con una o due bretelle (Fig. 10). Successivamente divennero ornate di complessi disegni e colorate ma la maggior caratteristica fu l'impiego del sottilissimo trasparente lino, chiamato bisso, e delle cinture. Sempre durante il Medio Regno si incrementò l'uso di gonne lunghe e di stoffa a pieghe sul busto lasciando le braccia scoperte.
Fu proprio durante il Medio Regno che l'abito, divenuto più complesso acquisiva svariate fogge atte ad individuare la classe sociale di appartenenza come si evidenzia nelle immagini funebri (Fig. 10).


Entrambi usavano nelle cerimonie un cono profumato sulla testa e le donne si ornano con un fiore  di loto. Anche il sovrano portava sia il gonnellino che la gonna lunga ma di suo uso esclusivo era il copricapo nemes (Fig. 11 - 12).
Poteva portare pettorali in oro con pietre e smalti, la corona e lo scettro. La testa era rasata e spesso coperta con copricapo di cuoio. Il popolo si abbigliava in maniera diversa dai nobili, sia per motivi economici che pratici: semplici calzoni, gonnellini, quando addirittura non lavorassero nudi, sia uomini che donne (Fig. 13).


PETTINATURE E ACCONCIATURE

 

Dall’arte egiziana si nota come gli egizi fossero attenti al modo di acconciare la capigliatura: i bambini portavano i capelli molto corti o rasati con l'eccezione di una parte che veniva raccolta in un ciuffo per poi farlo ricadere sulla spalla destra tagliato poi all'età di dieci anni, quando diventavano adulti mentre le bambine portavano semplicemente i capelli corti.
Gli alti dignitari avevano piccoli ricci che coprivano le orecchie formando una curva dalle tempie alla nuca (Fig. 7).
Le donne portavano inizialmente i capelli molto corti, poi le acconciature si allungarono sempre di più (Fig.6). I sacerdoti avevano l'obbligo di radersi completamente testa e corpo: un segno di purificazione necessaria per l'accesso ai sacri templi (Fig. 14).

 

A partire dalla V dinastia si diffuse l'utilizzo di parrucche semplici soprattutto tra i dignitari e le loro famiglie. Erano composte da sottili treccine di capelli veri, raccolte utilizzando spilloni di vario materiale come legno, osso o avorio, oppure formate da fibre vegetali arricchendo poi ornamenti, considerati al tempo, espressione del rango sociale di appartenenza (Fig. 15).

 

Fonte: http://www.agenziaformazionelavoro.com/wp-content/uploads/2014/01/Storia%20del%20trucco%20acconciatura%20e%20abbigliamento%20attraverso%20le%20opere%20d%20arte.pdf

Sito web da visitare: http://www.agenziaformazionelavoro.com

Autore del testo: Dott.ssa Clara Chierici

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