Felix Mendelssohn

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Felix Mendelssohn

Un genio borghese: Felix Mendelssohn
Dei primi romantici, fu il musicista piú naturale di tutti a trasformarsi in neoclassicista, custode della tradizione, musicista « puro ». Berlioz, Schumann, Chopin, Liszt furono tutti geni, ma come musicista Mendelssohn non ebbe uguali, e nessuno, tranne Mozart, ebbe altrettanto talento innato. Anzi, Mendelssohn maturò ancor piú in fretta di Mozart, poiché compose il bell'Ottetto in mi bemolle a sedici anni e l'Ouverture del Sogno di una notte di mezza estate a diciassette, eclissando di molto quello che aveva fatto il genio di Salisburgo - e se è per questo chiunque altro, nella storia della musica - alla stessa età. Mendelssohn non ebbe una specialità. Come Mozart, seppe far di tutto. Fu uno dei migliori pianisti del tempo, il piú grande dei direttori (fu attivo sul podio prima di Liszt e di Wagner) e forse il massimo organista. Se lo avesse voluto, sarebbe diventato anche un grande violinista. Ebbe un orecchio perfetto, una memoria formidabile. Inoltre fu un umanista: colto, di vastissime letture, interessato alla poesia e alla filosofia. Come è stato osservato da molti, avrebbe avuto un successo risonante qualsiasi attività avesse scelto.
Ma nella maturità non mantenne le promesse creative dei primi anni. Un certo conservatorismo, una certa inibizione emotiva gli impedirono di raggiungere le vette. La sua musica, conservando tutta la sua abilità, diventò sempre piú, con l'avanzare degli anni, una serie di gesti corretti, puliti. Di questo possiamo considerare responsabile l'ambiente al quale apparteneva. Venendo da una famiglia di banchieri ebrei, distinta, ricca, conservatrice, aveva imparato sin da bambino a comportarsi correttamente, a osservare le forme, a evitare lo scandalo. Un giovane, per quanto ardente e geniale sia, non può maturare in mezzo a grandi ricchezze e dominato da un padre sensibile ma patriarcale, senza che in lui si connaturi il conservatorismo. Mendelssohn crescendo diventò sempre piú prudente, sospettoso di tutto quanto potesse minacciare l'ordine costituito. « Non lodare ciò che è nuovo » diceva alla sorella « se non quando ha fatto un po' di progresso nel mondo e si è assicurato un nome, perché fino a quel momento è solo una questione di gusti. » Prudenza, prudenza. Poteva anche darsi che la combinazione di ricchezza e di sangue ebraico, in una Berlino fortemente antisemita, lo rendesse, inconsciamente, eccessivamente guardingo, esitante e timoroso di importunare, ansioso di farsi accettare. Per di piú, forse, il sangue lo portava a una sorta di confessato nazionalismo germanico che dette poi i suoi frutti con Wagner. Mendelssohn era tedesco e fiero di esserlo, era un patriota convinto della supremazia germanica in fatto di musica e di arte. Gli ebrei tedeschi si sono sempre sforzati, quando gliel'hanno consentito, di essere piú tedeschi dei tedeschi; e certamente Mendelssohn si considerò più tedesco che ebreo. Soltanto una volta, a quanto si sa, fece riferimento alla sua ascendenza. In ogni caso i genitori, Abraharn e Leah, non erano ortodossi e fecero battezzare i figli aggiungendo al cognome Mendelssohn un Bartholdy. (Era il cognome preso dal fratello di Leah quando si era fatto cristiano.)
I Mendelssohn erano bene integrati nella società berlinese; erano « accettati » e la loro casa era un centro di pensiero musicale e intellettuale: ma era un pensiero che rientrava nell'ordine costituito, nell'uno e nell'altro campo. L'ambiente in cui crebbe Felix non era di quelli che potevano portare a concezioni rivoluzionarie. E cosí egli fini col diventare l'epitome del ricco borghese tedesco. La natura lo favori: era un giovane di bell'aspetto, dal temperamento ardente, agile e attivo, dal portamento aristocratico, fronte alta, capelli neri e ricciuti, volto fine, espressivo. Era bene educato, un po' snob, negli anni della maturità un tantino borioso; diffidava degli eccessi; amò la tranquillità della vita familiare, ebbe una moglie premurosa, si occupò dei figli, lavorò costantemente e si distinse dagli altri ricchi borghesi solo perché si dette il caso che fosse un genio.
Che straordinario bambino fu il nipote del grande filosofo Moses Mendelssohn: Nacque ad Amburgo il 3 febbraio 1809, ma la famiglia, tre anni dopo, si trasferí a Berlino: e fu lí che Felix crebbe in un'atmosfera di severa cultura. Severa, perché entrambi i genitori erano decisi ad assicurare ai figli tutti quei vantaggi che il denaro e la posizione sociale potevano assicurare. La stessa Leah era musicista e artista dilettante, studiosa di letteratura inglese, francese e italiana, e capace perfino di leggere Omero nell'originale. Abraharn amava la musica ed era uomo colto. Non badavano direttamente all'educazione dei figli, ma ci tenevano a farli studiare seriamente. Questo comportava non poca fatica, e non c'era tempo per gite e divertimenti. Felix si alzava alla cinque, pronto ad applicarsi alla musica, alla storia, al greco e latino, alle scienze naturali, alla letteratura contemporanea, al disegno. (Per tutta la vita avrebbe conservato l'abitudine di alzarsi presto.) Questa disciplina gli giovò e giovò pure a Fanny, la sorella, una ragazza di talento. Aveva quattro anni piú di lui. Appena nata, la madre le aveva guardato le mani: « Dita fatte per le fughe di Bach! » aveva esclamato compiaciuta. Ecco com'erano i Mendelssohn. Fanny e Felix: altro punto in comune con Mozart, perché Fanny era brava pianista e compositrice, come Nannerl, la sorella di Wolfgang. Ma mentre Mozart, da grande, si allontanò dalla sorella, Felix rimase vicino a Fanny tutta la vita.
A nove anni, Mendelssohn dava già qualche concerto. Ignaz Moscheles, uno dei migliori pianisti del tempo, dette gli ultimi tocchi al suo stile. Non era questione di sfruttare il talento del bambino, com'era stato invece per Mozart, e le esibizioni pubbliche furono pochissime. I genitori anzi dubitavano dell'opportunità di avviare Felix alla carriera di professionista della musica e ci furono grandi consigli di famiglia in proposito. Ma ben presto fu evidente che capacità come quelle dovevano essere incoraggiate e sviluppate. Non solo Felix aveva un naturale talento strumentale, ma nel 1825, a sedici anni soltanto, aveva al suo attivo la composizione di quattro opere, concerti, sinfonie, cantate e musica pianistica, brani in gran parte ancora manoscritti. Sottopose la sua musica alla verifica dell'esecuzione con un'orchestra scritturata dai genitori. Non c'è da stupirsi se diventò un tecnico impeccabile. Gli fu possibile man mano comporre per la sua orchestra e poi dirigere le sue composizioni. La domenica mattina c'erano riunioni musicali in casa Mendelssohn, con la partecipazione dei personaggi piú celebri della vita intellettuale e mondana d'Europa. Vi partecipavano anche i bambini: Felix dirigeva o suonava il piano, Fanny suonava il piano, Rebecca (nata nel 1811) cantava, Paul (nato nel 1813) suonava il violoncello. Di tanto in tanto, quando viene riesumata questa o quella composizione giovanile di Mendelssohn, si rimane colpiti dalla sicurezza della forma, la vivacità, l'autentico professionismo. Il ragazzo era già uno dei migliori compositori d'Europa. Quando scrisse l'Ottetto in si bemolle, nel 1825, dimostrò di poter essere annoverato tra i grandi.
L'Ottetto è sotto molti aspetti tipico di Mendelssohn come compositore. È fedele ai principi della forma-sonata, e da questo punto di vista non tenta mai nuove vie. Non c'è mai niente nella scrittura di questo ragazzo sedicenne che faccia pensare a un rivoluzionario che lotta per rivelarsi. Ma con quanta sicurezza e quanta logica viene presentato e sviluppato l'ampio tema di apertura! È un tema che non contiene irregolarità metriche sul tipo di quelle impiegate da Berlioz, Chopin e Schumann. Mendelssohn non era orientato in questo senso, e il tema d'apertura dell'Ottetto prefigura i tempi fluenti, sereni, classicamente configurati della maturità, cosí come l'elaborazione del tema rivela già la raffinatezza, l'eleganza e la scorrevolezza delle opere posteriori. Nel terzo movimento, lo Scherzo, Mendelssohn portò qualcosa di nuovo alla musica. Quella scrittura graziosa, saltellante, lieve come l'aria era un miracolo allora ed è un miracolo adesso. Altri autori chiamavano invariabilmente « fiabesca » la musica di Mendelssohn; e in effetti ha qualcosa di incantato, da favola. Questo tipo di scrittura giunse alla sua massima espressione l'anno dopo, quando Mendelssohn compose l'Ouverture del Sogno di una notte di mezza estate. Aveva diciassette anni, e non avrebbe superato mai piú la perfezione di quest'opera. Oberon. Titania, gli amanti, Bottom vagano in un paesaggio fiabesco. La musica è rimasta eternamente fresca, ed è un esempio perfetto di contenuto sposato alla tecnica. Questo vale anche per l'orchestrazione. Mendelssohn rappresentò non solo come compositore ma anche come orchestratore il giusto mezzo. Usò esattamente ciò che doveva e niente di piú; ma quel che usò, l'usò con gusto, abilità e immaginazione.
I primi anni, a Berlino, culminarono nella preparazione e nell'esecuzione pubblica della Passione secondo San Matteo di Bach (fu data due volte, l'11 e il 21 marzo 1829). Non era stata piú eseguita in pubblico dai tempi di Bach: è vero però che Bach avrebbe avuto qualche difficoltà a riconoscere la sua opera. nella presentazione di Mendelssohn. Si servi di un coro di 400 elementi e di una orchestra enormemente ampliata. Tagliò alcune parti e ne modificò altre per rendere la musica piú adatta al pubblico berlinese, e non esitò a usare un'orchestrazione nuova ove lo ritenne necessario. Ventiquattrenne, fece né piú né meno ciò che altri compositori e direttori facevano della musica del passato, a quel tempo. La riesumazione dette un contributo decisivo al risveglio dell'interesse per Bach. Per tutta la vita Mendelssohn non si allontanò mai da Bach; e probabilmente conobbe a memoria tutta la musica sua allora nota. Tutti i buoni musicisti hanno una memoria superiore, ma quella di Mendelssohn era eccezionale. Bambino, sapeva a memoria le nove Sinfonie di Beethoven ed era in grado di suonarle al piano. Era capace di non dimenticare un brano sentito una volta sola. Charles Hallé, con un po' di esagerazione, era convinto che conoscesse ogni battuta di musica mai scritta e fosse in grado di ripeterla immediatamente.
Come tutti i giovanotti ricchi e di buona famiglia, anche Mendelssohn dovette fare il grand tour, che iniziò nel 1829. Sarebbe durato tre anni. Si recò in Italia, Francia e Inghilterra, conoscendo tutti e riuscendo simpatico a tutti. Scrisse lunghe lettere piene di particolari, spesso illustrandole con disegni a penna. Mendelssohn è stato sopravvalutato come disegnatore. I suoi schizzi sono tutti corretti e molto curati nella forma, ma senza personalità, semplici copie di ciò che vedeva. Quando affrontava la figura umana venivano fuori le sue deficienze, anche se queste figure hanno un fascino che manca invece ai paesaggi diligentemente copiati.
Nel 1831 arrivò a Parigi e conobbe Liszt, Chopin, Berlioz e Kalkbrenner: ascoltò la prima ondata di musica romantica e non l'apprezzò molto. Chopin gli parve il migliore del gruppo, ma ebbe bisogno di un po' di tempo per superare l'iniziale diffidenza nei confronti di quelle armonie radicali e di quel nuovo modo di suonare il piano. Aveva anche altissima considerazione per Schumann come uomo, ma non aveva fiducia nella sua musica che lo faceva sentire a disagio e questo, conservatore com'era, non gli andava a genio. « Gli piacciono troppo i morti » diceva di lui, schernendolo, Berlioz. Mendelssohn fu un perfetto rappresentante del periodo Biedermeier: comodo, casalingo, monotono nei sentimenti, borghese, pratico. Ma il fatto di essere di temperamento opposto al romanticismo non gli impedí di dirigere musica romantica quando diventò direttore musicale a Lipsia nel 1835. È anche interessante notare che mentre le generazioni che vennero dopo considerarono troppo preziosa, troppo esile, troppo superficiale la sua musica, i primi romantici ne ebbero un'idea del tutto diversa. Per Schumann, ad esempio, Mendelssohn era la perfezione stessa. « Considero Mendelssohn il primo musicista dei nostri tempi, e mi tolgo il cappello davanti a lui come maestro. » Berlioz, uomo d'avanguardia, ebbe alta stima di lui come compositore, e lo stesso si può dire di Liszt. Può darsi che in parte questa ammirazione andasse alla sua bravura fenomenale di esecutore. I musicisti sono sempre sensibili alla padronanza del mestiere, e Mendelssohn aveva piú mestiere di tutti. Ma esistono anche molte prove di una precisa influenza della sua musica su quella dei romantici suoi contemporanei. E il pubblico non si stancava mai di ascoltarlo. Anzi, è quasi certo che non ci sia stato compositore altrettanto universalmente considerato dal pubblico un maestro già da vivo.
I criteri ai quali si ispirava Mendelssohn erano molto elevati e nel 1833, quando diventò direttore a Düsseldorf, ebbe modo di verificarli nei fatti. Cominciò subito a mettere in programma compositori del sedicesimo e del diciassettesimo secolo come Lassus. Palestrina e Leo, e diresse una nuova edizione del Don Giovanni all'opera. Tuttavia era musicista troppo raffinato per una cittadina sonnacchiosa e provinciale come Düsseldorf. Nel 1835, quando fu invitato a occuparsi dei concerti della Gewandhaus a Lipsia - la città di Bach! - si precipitò ad accettare. In breve Mendelssohn fece di Lipsia la capitale musicale della Germania, e rivoluzionò il modo di suonare dell'orchestra nel suo paese: portò il numero degli elementi da quaranta a cinquanta, scritturò Ferdinand David come maestro concertatore, e assicurò serenità di spirito ai suoi musicisti facendo assegnare una pensione a ogni membro dell'orchestra. Mendelssohn, che fu uno dei primi direttori che usassero la bacchetta, fece dell'orchestra un meccanismo di precisione. Come direttore era parco nel gesto, propenso ai tempi veloci e attento alla precisione del ritmo e alla scorrevolezza dell'insieme. Probabilmente fu il primo direttore moderno, nel senso che diamo alla parola oggi. Energico, teso, dittatoriale, pretendeva assoluta obbedienza dagli orchestrali e perdeva facilmente le staffe se non otteneva gli effetti desiderati.
Procedette inoltre a una revisione del repertorio. Prima che assumesse la direzione dei Concerti della Gewandhaus, i compositori piú eseguiti erano personaggi oggi dimenticati: Anton Eberl, Ignaz von Seyfried, Karl Reissiger, Alexander Fesca, Sigismund Neukomm, Ferdinand Ries e altre degne figure del genere. Mendelssohn cambiò radicalmente le cose. Fece di Mozart e Beethoven la spina dorsale del repertorio: subito dopo venivano Haydn, Bach e Hàndel. Tra i compositori moderni, fece conoscere al pubblico di Lipsia Spohr, Cherubini, Moscheles, Gade, Rossini, Liszt, Chopin, Schumann e Schubert. Eliminando la varietà da cui erano caratterizzati allora i programmi, cominciò a organizzarli piú o meno come lo sono oggi: si aprivano con una ouverture, passavano a un'opera di un certo respiro, poi a un concerto o a un'al tra opera di notevoli dimensioni e si concludevano con un brano piú breve. Né permetteva che si separassero i movimenti di una sinfonia con un divertimento. Succedeva spesso, allora, che una sinfonia di Beethoven venisse interrotta dopo due movimenti per dar modo a un solista, un violoncellista o cantante, di intrattenere il pubblico; dopodiché la sinfonia riprendeva. Evidentemente gli organizzatori erano convinti che il pubblico non potesse sopravvivere alla tensione intellettuale dell'ascolto di una sinfonia di Beethoven tutta di fila.
A Lipsia Mendelssohn lavorò moltissimo, ma trovò il tempo di sposarsi. La moglie, Cécile Jeanrenaud, era figlia di un pastore della Chiesa riformata francese. Il matrimonio fu felice, benedetto da quattro figli. I Mendelssohn non amavano che si facesse pubblicità intorno alla loro vita familiare, e Cécile rimase tra le quinte. Dovette essere intelligente e utile al marito, e fece buona impressione alla sorella di Mendelssohn quando le due donne si conobbero a Lipsia. Fanne scrisse ai suoi, a Berlino:
Ho conosciuto finalmente mia cognata, ed è come se mi fossi tolto un peso dal cuore, perché non posso negare che mi sentivo molto a disagio e scontenta per non averla mai vista. È amabile, fanciullesca, fresca, brillante e ha anche carattere; e considero fortunatissimo Felix perché lei, pur essendone indicibilmente innamorata, non lo vizia; ma quando lui fa i capricci lo tratta con un equilibrio che col tempo, molto probabilmente, lo guarirà completamente dagli accessi di irritabilità. La sua presenza fa l'effetto di una fresca brezza, tanto è vivace e spontanea.
Oltre ai concerti di Lipsia, Mendelssohn curò anche quelli dell'Accademia delle Arti di Berlino nel 1841. Come direttore si esibí in tutta Europa e fu particolarmente apprezzato a Londra, dove diventò amico della regina Vittoria e del principe Alberto. Alla regina piaceva la musica non difficoltosa e Mendelssohn era il solo disposto a dargliene. Nelle lettere del compositore ci sono continui riferimenti alle serate musicali al castello di Windsor. Alla famiglia reale piaceva soprattutto sentirlo al piano. Come pianista rappresentava lo stile puro, classico, contrapposto alla tempestosità romantica della scuola di Liszt o alle sfumature delicate e agli effetti di colore dello stile di Chopin. Il suo modo di suonare era simile alla sua musica: chiaro, elegante, preciso, logico, con scarso uso del pedale. Probabilmente ricordava il modo di suonare di Kalkbrenner con in più il cervello.
Oltre a tutto questo dirigere e dar concerti - per non parlare del comporre - verso la fine del 1842 Mendelssohn fondò il Conservatorio di Lipsia, inaugurato il 3 aprile dell'anno seguente. Insieme con Robert Schumann insegnò composizione e piano. Con loro c'era anche, tra gli altri, Ferdinand David, per il violino. Era uno dei migliori violinisti d'Europa ed era stato portato da Mendelssohn a Lipsia come maestro concertatore dell'orchestra della Gewandhaus. I due diventarono amici intimi, e quando compose il Concerto in mi minore per violino, Mendelssohn consultò Davíd su diversi problemi tecnici.
Gli anni di mezzo del decennio 1840-49 lo videro dunque attivo come compositore, direttore, pianista, insegnante, amministratore, padre di famiglia e viaggiatore. Teneva, per di piú, una fitta corrispondenza e collaborò in maniera decisiva alla fondazione di vari festival musicali: a Colonia, Düsseldorf, Schwerin, Birmingham. Nel 1845 chiese di essere esentato dagli incarichi berlinesi, e questo gli lasciò più tempo per le attività di Londra. Si occupava giorno e notte dei suoi vari interessi. sempre in viaggio, sempre al lavoro, sempre piú irritabile. I familiari erano preoccupati per la sua salute. Era fisicamente e psichicamente esausto, ma non poteva fare a meno di lavorare. Al principio del 1847, per esempio, diresse il suo Paulus a Lipsia e poi andò a Londra, dove diresse quattro esecuzioni dell'Elia. Poi diresse l'Elia anche a Birmingham e a Manchester. Aveva ancora altri impegni in Inghilterra, tra cui dei concerti come pianista. Quando fini si sentiva malato e stanco; pare dicesse che un'altra settimana a Londra lo avrebbe ucciso. Lasciò la capitale inglese e arrivò a Francoforte per dirigervi dei concerti.
Fu lí che nel maggio 1847 lo raggiunse la notizia della morte improvvisa della sorella adorata. Aveva avuto un attacco a Berlino, ed era morta il giorno 14. Quando Mendelssohn ne fu informato ebbe un attacco cardiaco anche lui, e non si riprese mai piú. Dovette smettere di lavorare - finalmente! - e si recò con la famiglia in Svizzera, dove cercò di rilassarsi dipingendo e lavorando a un quartetto d'archi e ad altre composizioni. Nel mese di settembre tornò a Lipsia, assicurando che si sentiva meglio; ma un altro attacco lo lasciò parzialmente paralizzato. Mori il 4 novembre 1847, a trentotto anni.
Il romanticismo di Mendelssohn fu di gran lunga piú moderato di quello di altri grandi compositori attivi tra il 1830 e il 1850. Non ebbe aspirazioni romantiche e neppure le alate concezioni che piacevano tanto ai romantici. « Spesso la gente lamenta » scrisse una volta « che la musica è troppo ambigua, che non è chiaro che cosa si debba pensare ascoltandola, mentre le parole sono chiare a tutti. Per me è vero il contrario... I pensieri che mi vien fatto di esprimere nella musica che amo non sono troppo vaghi per essere tradotti in parole, ma anzi troppo precisi. » È la dichiarazione di uno che reagisce alla logica, in musica, e la musica di Mendelssohn è soprattutto logica. Istintivamente rifuggi dagli eccessi di ogni genere, nella musi¬ca, nell'arte, nella vita. La musica stravagante di Berlioz, com'è ovvio, gli ripugnava: « Un pasticcio spaventoso, incongruo... Bisognerebbe lavarsi le mani dopo aver toccato un suo spartito ». In alcune delle sue prime opere, fece degli esperimenti con qualche armonia avanzata, ma subito vi rinunciò, quasi spaventato. La sua musica non ha la ricchezza strutturale di quella di Schumann, Chopin e Liszt. Non ha quegli accordi alterati, quei rapporti di tonalità cosí poco ortodossi, quei raggruppamenti ritmici irregolari. È soprattutto diatonica. Mendelssohn e i romantici non parlavano la stessa lingua.
Fu questa mancanza di mordente armonico che contribuí a renderlo tanto popolare. Gli ascoltatori di gusti convenzionali, turbati dalle sfrenate dissonanze degli altri romantici, potevano rilassarsi tranquillamente con la musica di Mendelssohn. Essa era fortemente legata a quella allora popolare di Hummel, Cherubini, e perfino di certi compositori da salotto. Tuttavia, a metterla su un piano infinitamente piú elevato erano la grazia, l'eleganza tipicamente mendelssohniana e la precisa, chiara costruzione. Le nuove generazioni avrebbero trovato noioso questo tipo di perfezione, stancanti le sue melodie, troppo regolari e prevedibili i suoi ritmi. L'elemento sorpresa nella musica di Mendelssohn è presente in misura assai inferiore che in quella degli altri compositori. Ma la prima metà del diciannovesimo secolo lo considerò quasi divino; specialmente in Inghilterra la sua influenza rimase costante per tutto il secolo, e dominò la scuola britannica. Mendelssohn amò l'Inghilterra dal momento stesso in cui mise piede a Londra, e la sua ammirazione fu ricambiata. Sir George Grove, anzi, lo rivendicò, quasi, all'Inghilterra: « È stato a lungo considerato per metà inglese. Parlava bene l'inglese, scriveva fluentemente lettere e appunti nella nostra lingua; si esibí in provincia; la sua prima opera importante si basò su Shakespeare... E la Sinfonia Scozzese e l'Ouverture Le Ebridi dimostrano quanto profondamente il paesaggio dell'Inghilterra abbia influito su di lui ».
Nel ventesimo secolo la fama di Mendelssohn ebbe un brusco ribasso. Pure, non c'è mai stato un momento in cui la sua musica sia scomparsa dal repertorio, nonostante gli sprezzanti giudizi dei critici intellettuali. Non solo era passato di moda, in generale, il romanticismo - cosa che mise nell'ombra Schumann, Liszt e perfino Chopin - ma i critici d'avanguardia sentenziarono, quasi all'unanimità, che la musica di Mendelssohn era troppo priva di originalità e che addirittura peccava nel gusto. Paul Rosenfeld, critico americano, ebbe solo parole di disapprovazione per spartiti come l'Elia e il Paulus. In certi articoli fece capire che Mendelssohn era stato un ebreo snob preoccupato di farsi accettare dalla buona società cristiana con le sue composizioni sacre. Il giudizio di Rosenfeld fu in generale condiviso dai teorici dell'avanguardia. Ma il pubblico non badò alle polemiche. Il Concerto per violino, la Sinfonia Italiana e la Sinfonia Scozzese, il Sogno di una notte di mezza estate e Le Ebridi (conosciuta anche col titolo La grotta di Fin gal) rimasero popolari. Dovunque ci fosse una orchestra da camera, si suonarono sempre il Trio in re minore, il Trio in do minore e diversi quartetti per archi. Le Variations sérieuses non scomparvero mai dalla letteratura pianistica, e cosí il Concerto in sol minore per piano.
D'altro canto, è curioso che tanti musicisti e critici del periodo che va dal 1920 al 1940 avessero una cosí bassa opinione di Mendelssohn. È comprensibile che un pubblico maturato con l'antiromanticismo di uno Stravinskij o di un Bartók si sentisse a disagio con la sgargiante estroversione di un Liszt o con i sommessi stati d'animo di uno Schumann. Ma la musica di Mendelssohn ha chiarezza di linee e bellezza di struttura; ed è quasi tutta esente da esagitazioni romantiche. Mendelssohn avrebbe dovuto essere entusiasticamente adottato dagli antiromantici del ventesimo secolo. Forse è stata la mancanza dell'elemento avventuroso nella sua musica ad allontanare per un po' di tempo il pubblico.
In ogni caso, quest'ultima parte del ventesimo secolo sta riscoprendo Mendelssohn. Perfino le Romanze senza parole, una volta derise, cominciano ad essere considerate con rispetto in quanto impeccabili pezzi di antiquariato che testimoniano di una notevole personalità. I pianisti tornano ai tre Studi, ai sei Preludi e Fughe e a certe composizioni virtuosistiche come la Fantasia in fa diesis minore (op. 28). Gli ultimi anni hanno visto un approfondimento della musica che Mendelssohn compose a Berlino quando aveva dodici anni, e gli ascoltatori sono sbalorditi dall'impeto, dalla dolcezza e dall'esperienza tecnica che essa rivela: da quelle sinfonie per archi, da quei concerti per due piani e dalle composizioni da camera. Ritornano le sue liriche. Perfino - mirabile dictu! - gli oratori non sono piú considerati automaticamente noiosi esempi di moralistica devozione vittoriana. Mendelssohn comincia adesso a essere collocato nella giusta prospettiva. È stato molto piú che un compositore corretto e dotato di incredibile tecnica. La sua musica ha sensibilità, stile e grande personalità, e lui almeno un esemplare perfetto per ognuna delle molteplici forme musicali: sinfonia, concerto, piano, musica da camera, lied, ouverture da concerto, oratorio. Tutto, in sostanza, tranne opere. La sua influenza si ritrova nella musica della scuola francese (specialmente in Gounod e Fauré), nel giovane Richard Strauss, nelle prime composizioni di Cajkovskij. Oggi, c'è ancora una certa diffidenza nei confronti del sentimento implicito in tanta parte della musica di Mendelssohn. Ma mentre la musica seriale e post-seriale fa il suo corso e ritorna il neoromanticismo (come sembra che ritorni in questi anni settanta), la musica di Mendelssohn, come quella di Liszt, sarà accettata ancora una volta e Mendelssohn sarà riconosciuto per quel dolce, puro, perfettamente proporzionato maestro che è stato.
Harold C. Schonberg (da I GRANDI MUSICISTI, traduzione di Vittorio Di Giuro, ed. Mondadori, 1972)

 

Fonte: http://www.resmusica.it/doc/Un%20genio%20borghese.doc

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Autore del testo: non indicato nel documento di origine

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