Frédéric Chopin

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Frédéric Chopin

L'apoteosi del pianoforte: Frédéric Chopin
I compositori romantici ebbero in generale un parti pris per il romanticismo. Se ne facevano propagandisti; suonavano o dirigevano l'uno la musica dell'altro; scrivevano recensioni e articoli sulle teorie e gli stili nuovi; si aiutavano reciprocamente come meglio potevano; e quelli tra loro che insegnavano trasmettevano le proprie aspirazioni alla nuova generazione. Non cosí Frédéric Chopin. Non fece nulla di tutto ciò. Anzi, il romanticismo non gli piaceva. Giudicava volgare la musica di Liszt, non apprezzava assolutamente la musica di Schumann; quella di Berlioz o di Mendelssohn non gli diceva niente: eppure fu amico di tutti questi grandi uomini. Per Beethoven ebbe un misto di ammirazione e di antipatia; il « tonante » gli pareva troppo grossolano e sgraziato, e si senti a disagio in sua presenza. Se mai ascoltò musica di Schubert non ne parlò comunque. Solo due maestri significavano qualcosa per lui: Bach e Mozart. Per questi ebbe solo lodi. Adorava anche le opere di Bellini.
Non era molto colto, e non era sensibile all'arte romantica. Delacroix era uno dei suoi migliori amici, ma Chopin guardava i suoi quadri e borbottava qualche banale commento, preoccupato di non ferire i sentimenti del pittore. Limitò l'insegnamento - che gli permise di mantenersi in grande stile - ad allievi privati e generalmente della buona società. Gli eleganti discepoli entravano nello studio e posavano venti o trenta franchi sulla mensola del caminetto, mentre lui guardava distratto fuori dalla finestra. Era un gentiluomo, e i gentiluomini non si sporcano le mani con volgari faccende di quattrini. Gli piaceva frequentare gli ambienti aristocratici e si preoccupava moltissimo dello stile, del buon gusto, degli abiti eleganti e del bon ton. Poteva essere spiritoso, maligno, sospettoso, brusco, affascinante. C'era in lui qualcosa di felino.
Pianista fra i piú grandi della storia della musica dette pochissimi concerti pubblici; fu soprattutto un pianista da salotto. Non alto, magro, biondo, con occhi grigio-azzurri (alcuni dicono castani) naso prominente e portamento squisito, era fisicamente fragile e il suo modo di suonare non ebbe mai molta sonorità. Verso la fine la sua musica si era ridotta a un bisbiglio. Ben presto si rese conto che non doveva suonare in vasti ambienti, e la sua ultima apparizione pubblica a Parigi avvenne il 26 aprile 1935, quando aveva ventisei anni. Lungo il restante corso della sua vita - morì nel 1849 - dette soltanto altri tre recital, che furono semi-privati, nel grande salone del fabbricante di pianoforti Pleyel, davanti a un pubblico accuratamente selezionato che non superò mai le trecento persone. Suonava moltissimo ai ricevimenti musicali. Che serate dovevano essere! Chopin e Liszt suonavano a quattro mani (Chopin suonava il basso; Liszt non doveva soverchiarlo!); mentre Mendelssohn, forse voltava le pagine aspettando il suo turno alla tastiera. Poteva capitare che intorno al piano ci fossero Berlioz, Meyerbeer, Eugène Sue, Delacroix, Heine e George Sand, mentre Ary Scheffer faceva schizzi in un angolo.
Chopin si inserí magnificamente nella folle, malvagia, triste e allegra Parigi del 1830-40. Anche se non aveva molti amici intimi conosceva tutti, era simpatico a tutti e rispettato da tutti. Sapevano che era un genio. E Parigi, allora, con l'esperienza che aveva, era bravissima a riconoscere il genio. Era la capitale intellettuale e artistica del mondo. Tra i vari personaggi letterari c'erano Hugo, Balzac, Sand, Vigny, Lamartine, Heine, Gautier e Musset. Delacroix e Ingres erano al culmine della carriera. Liszt, Meyerbeer, Rossini, Berlioz e Luigi Cherubini ne avevano fatto la loro seconda patria. Mendelssohn andava e veniva. Parigi aveva tre buone orchestre e il piú grande teatro d'opera di tutta l'Europa. Ci cantavano la Malibran, la Pasta, Lablache, Rubini e Nourrit, con uno sfoggio di tali virtuosismi da dare i brividi. Parigi era il quartier generale dell'arte pianistica europea, con Kalkbrenner, Thalberg, Herz, Heller, Litolff e Prudent residenti in pianta stabile. Politicamente, c'era una certa calma, sia pure temporanea. Les Trois Glorieuses del luglio 1830 avevano cacciato dal trono Luigi Filippo e poiché la rivolta aveva avuto carattere popolare si facevano concessioni al gusto popolare. La bourgeoisie era salita al potere; e mentre le classi inferiori non avevano avuto molto piú di quanto non avessero prima, il risveglio nazionale e una crescente prosperità si manifestarono in una improvvisa fioritura delle arti. Parigi, tra il 1830 e il 1840, ebbe una rinascita pari a quella che Londra aveva conosciuto negli ultimi giorni di Elisabetta I.
Chopin, giovane provinciale proveniente da Varsavia, era arrivato nella capitale francese nel 1831. Ci restò per sempre. Era nato a Zelazowa Wola, non lontano dalla capitale polacca. Esiste una certa confusione a proposito della data di nascita. Il registro parrocchiale dà il 22 febbraio 1810, ma la madre di Chopin insisteva nell'affermare che era nato il primo marzo, e il primo marzo celebrava il compleanno del famoso figliolo. La questione non è stata ancora risolta. Il padre era emigrato dalla Francia, la madre era polacca. Frédéric era il secondo di quattro figli e unico maschio. Rivelò il suo talento musicale prestissimo, e a sei anni era già un buon pianista. Adalbert Zywny, il suo maestro, era un musicista colto che alimentò il genio dell'allievo con molto Bach. (Bach a Varsavia nel 1816! E poi dicono che dopo la sua morte fu dimenticato!) A otto anni Chopin vide stampata la sua prima composizione. Era una polonaise. Dal 1826 al 1828 studiò composizione con Joseph Elsner, un uomo che ebbe la saggezza di rendersi conto che il suo allievo era eccezionale e doveva essere trattato con cura particolare. Da bravo accademico, Elsner auspicava fervidamente che Chopin componesse sinfonie, sonate e magari un'opera nazionale polacca.
Ma non forzò mai il suo stile e fece il possibile perché si sviluppasse secondo le sue naturali tendenze. Questo è forse il massimo contributo suo, e i posteri devono essergliene grati. In un certo modo Chopin fu un mostro musicale, piú ancora di tanti altri prodigi. Non soltanto fu un genio come pianista, ma come creatore fu uno dei piú sorprendenti e originali del secolo.
Dove prese le sue idee? Varsavia era un po' appartata rispetto ai centri cosmopoliti d'Europa, pur essendo visitata da artisti importanti. Chopin ebbe occasione di sentirne alcuni: tra gli altri Hummel, Paganini e il soprano Henrietta Sontag. La genesi di parte della musica chopiniana si può far risalire all'opera di Moscheles, Hummel e Czerny. Ma questo non spiega le qualità rivoluzionarie del pensiero di Frédéric: l'elaborazione di un modo completamente nuovo di suonare il piano; il senso armonico audace e nello stesso tempo raffinato; gli esperimenti con un tipo di sonorità pianistica che affrancò una volta per tutte lo strumento dal suo passato. Tutto ciò che si può dire è che nel giovane Chopin c'era un fermento musicale e che egli scopri di dover cambiare le regole. Quanta consapevolezza ci fosse nel suo atteggiamento mentale, resta opinabile. Era un genio, ed era nato con quei riflessi nelle dita, nelle orecchie e nel cervello che i musicisti meno fortunati non acquistano mai. Certo arrivò alla piena maturità prima di quanto non succeda, generalmente, ai compositori, e tutto pareva riuscirgli facile. « Tu sai » scriveva suo padre « che la meccanica del suonare il piano prendeva poca parte del tuo tempo, e che la tua mente era piú occupata delle tue dita. Se altri hanno passato giorni interi alla tastiera, tu hai raramente dedicato più di un'ora alla musica altrui. » Come musicista dunque Chopin fu fortunato: fu un tecnico spontaneo dallo stile facile, un compositore che decise di buon'ora di scrivere solo per lo strumento che amava. Compose soprattutto nelle forme brevi, ma contribuí a trasformare il volto della musica, e i contemporanei seppero riconoscere in lui il rivoluzionario che era. « Un cannone sepolto dai fiori » disse Schumann della sua musica.
A Varsavia capirono che era un giovane eccezionale anche se nessuno, forse, immaginava la misura incredibile della sua eccezionalità. Il primo segno si ebbe quando lasciò la Polonia per recarsi a Vienna a esibirsi come pianista-compositore. Questo succedeva nel 1829: Chopin dette diversi concerti e sbalordí gli esperti con la novità della sua musica e il modo di affrontare la tastiera. Come tutti i virtuosi del tempo si dedicò soprattutto alla propria musica. Nelle lettere alla famiglia scrisse con modestia, addirittura con disapprovazione, delle accoglienze avute, pur dicendo che « i giornalisti mi hanno preso a cuore » e che quando improvvisava su motivi polacchi « le mie spie, al pianterreno della casa, dicevano che la gente ballava sulle sedie ». Tra le varie reazioni dei viennesi, una era particolarmente significativa: come mai, si chiedevano tutti, Chopin aveva potuto imparare tante cose a Varsavia?
Tornato in Polonia, Chopin ebbe un primo amoretto, compose assiduamente, andò all'opera, fu festeggiato e vezzeggiato, e poi decise di far carriera a Parigi. Il 2 novembre 1830 lasciò per sempre la Polonia, con pochissimo denaro e una fiducia suprema nelle proprie capacità. Suonò ancora una volta a Vienna, prese dei contatti, visitò musicisti e ascoltò altri pianisti concorrenti. Tra questi c'era Sigismund Thalberg, il nuovo « giovane leone » del piano, e Chopin ne lasciò un ritratto distruttore: « Thalberg suona splendidamente, ma non è il tipo che preferisco. È piú giovane di me, popolare fra le signore, suona pots-pourris su temi tratti da Masaniello, fa i "piano" con il pedale invece che con la mano, prende le decime con la stessa facilità con la quale io prendo le ottave, e porta alla camicia bottoni di diamante. » Chopin avrebbe potuto far carriera a Vienna, ma la sua meta era Parigi, e ci arrivò verso la fine del 1831, riverito dai grandi uomini con i quali venne in contatto. Quasi immediatamente si trovò coinvolto in uno dei piú deliranti episodi della storia della musica.
Ventunenne, genio dotato di uno stile pianistico perfettamente formato e originale, senti suonare Friedrich Kalkbrenner e ne rimase profondamente impressionato. Kalkbrenner era indubbiamente un pianista meraviglioso, ma era un classicista della vecchia scuola. I pianisti preromantici come lui, Moscheles, Hummel e Clementi suonavano note squillanti su e gin per la tastiera. usando poco o niente il pedale. Servendosi di colpi con i polpastrelli, suonando con la mano e col polso invece che con il gomito e il braccio, non avevano idea, quasi, delle risorse coloristiche del pianoforte (strumento che nel 1830 era ormai molto vicino per meccanica e sonorità al piano da concerto di oggi). Considerati come gruppo, non ebbero alcuna simpatia per la musica romantica. Kalkbrenner fu probabilmente il piú competente, tra loro. Era uno dei pianisti piú popolari e per di più un vanitoso damerino. Chissà perché Chopin fu affascinato dal suo modo di suonare. Si precipitò a chiedergli di dargli lezione; il grand'uomo ascoltò gravemente il piú giovane collega, poi gli disse che aveva del talento, che sarebbe diventato un buon artista se avesse studiato con lui tre anni. Chopin informò immediatamente la famiglia del passo che stava per fare. Il padre e Elsner, inorriditi, gli scrissero lettere frenetiche dalla Polonia. Per fortuna Chopin rinsaví e al principio del 1832 fece il suo debutto a Parigi. Al concerto erano presenti anche Liszt e Mendelssohn, e tutta la città parlò del giovane pianista, che finalmente rinunciò a tutti i suoi sciocchi propositi per Kalkbrenner.
Cominciò a frequentare gli ambienti piú in vista. Attraverso alcuni nobili polacchi di sua conoscenza fu presentato ai Rothschild: già questo era un passaporto sufficiente. Quasi immediatamente ebbe piú allievi di quanti potesse istruirne: la principessa tizia, la contessa caia. Da quel momento visse una vita tranquilla, finché non conobbe George Sand. Viaggiò un poco. Nel 1834 visitò Aquisgrana e rinnovò l'amicizia con Mendelssohn. L'anno dopo fece una gita a Dresda e conobbe Schumann, che l'idolatrò. Si rividero a Lipsia nel 1836. Chopin dovette molto al generoso Schumann, che con la recensione delle Variazioni sull'aria Là ci darem lo aveva fatto conoscere alla Germania e che sul " Nette Zeitschrift fiir Musik " recensiva con entusiasmo tutte le composizioni di Chopin che gli capitava di sentire. (Chopin si era molto divertito, o aveva fatto finta di divertirsi, nel 1831, quando aveva letto la famosa recensione delle Variazioni. « Nella quinta battuta dell'adagio dice che Don Giovanni bacia Zerlina sul re bemolle. Plater [il conte Ludwik Plater, un amico parigino] voleva sapere da me, ieri, dove ce l'aveva, Zerlina, il re bemolle! ».) Ma in generale Chopin non si mosse da Parigi, occupatissimo a comporre, a frequentare la buona società, a farsi amici che contavano. « Mi sono fatto strada nella migliore società » scrisse a casa, con grande soddisfazione, nel 1833. « Ho il mio posto tra ambasciatori, principi, ministri. Non so per quale miracolo è successo, perché non ho fatto niente per mettermi in vista. Ma oggi tutte queste cose mi sono indispensabili: si vuole che quegli ambienti siano la fonte del buon gusto... Ho cinque lezioni da dare oggi. Penserete che sto guadagnando una fortuna: ma il cabriolet e i guanti bianchi mi costano più di quanto guadagno, e senza queste cose non avrei bon ton... » Era in grado di farsi pagare anche trenta franchi per lezione, una somma enorme per quei tempi. Viveva nel lusso. Aveva anche la giusta quantità di amori che ha ogni maschio focoso e senza legami. Prima che la tubercolosi lo indebolisse, le sue abitudini sessuali furono perfettamente normali. Non era né effeminato né casto, anche se non amava parlare delle sue relazioni e a volte era addirittura pudibondo.
La sua vita cambiò quando fu presentato a George Sand da Liszt. Frédéric aveva ventisei anni e lei trentadue: era già scrittrice famosa, nota per l'indipendenza e il disdegno delle convenienze. Il suo vero nome era Aurore Dudevant, ma aveva adottato lo pseudonimo di George Sand per i romanzi Indiana (1831) e Lélia (1833). Entrambi i libri avevano fatto scalpore per gli attacchi alla morale convenzionale, e in particolare al matrimonio. Bassa, grassottella, la Sand aveva una intelligenza acuta ed era costantemente al centro dell'attenzione generale. Per un certo tempo si vesti da uomo, fumò sigari ed ebbe tutta una serie di amanti. La donna che era stata l'amante di Jules Sandeau, Prosper Mérimée, Alfred de Musset, Michel de Bourges, Pietro Pagello e, con ogni probabilità, Franz Liszt, non mancava certo di esperienza. Dal marito Casimir Dudevant (si separarono nel 1836) ebbe due figli, Maurice e Solange. Se dobbiamo credere a una lettera di un amico di Chopin, Frédéric in un primo momento si senti respinto da George Sand. L'amore si sviluppò lentamente: nel 1838 andarono a vivere insieme e trascorsero l'inverno 1838-39 a Majorca.
Quella gita, che avrebbe dovuto essere un idillio, fu un inferno. Il tempo era cattivo, pioveva continuamente, la casa in cui alloggiavano era irrimediabilmente umida e Chopin, debole di polmoni com'era, ne soffri fino quasi al punto di morire. Il viaggio fu un fiasco, e anche la Sand lo ammise. Dovette fargli da infermiera e lo riportò a Marsiglia piú morto che vivo. Chopin scrisse un biglietto disgustato a un amico: « Mi hanno visitato i tre piú famosi medici dell'isola. Uno ha annusato quello che ho sputato, il secondo ha picchiato leggermente con le dita dove avevo sputato, il terzo mi ha auscultato mentre sputavo. Il primo ha detto che ero morto, il secondo che stavo morendo, il terzo che sto per morire ». Ma nonostante la cattiva salute, a Majorca fece cose importanti. Fini i ventiquattro preludi. Uno « la goccia d'acqua », dovrebbe essere l'interpretazione musicale della pioggia che cadeva incessante sulla villa degli amanti. Ma il titolo è un'invenzione posteriore, e nessuno sa di quale preludio si tratti, ammesso che la storia sia vera, il che probabilmente non è. Alcuni propendono per il n. 15 in re bemolle, con le note reiterate nell'episodio in re bemolle minore, mentre altri, non meno convinti, dicono che « la goccia d'acqua » è in realtà il preludio in si minore, con quei regolari, tristi accordi della mano sinistra.
La relazione con la Sand durò fino al 1847. In quegli anni non si separarono mai. A Parigi abitavano vicini. D'estate andavano in casa di lei, a Nohant, dove si fermavano circa quattro mesi. Fu a Nohant che Chopin compose la sua musica píú grande. La Sand lo vezzeggiava, lo curava, lo accudiva come una madre. Sembra che quasi subito la loro relazione diventasse platonica. La Sand si accontentava, e niente fa pensare che abbia avuto altri amanti durante la lunga relazione con Chopin. La rottura fu triste. I figli della Sand, viziati e indisciplinati, ne furono la causa immediata. Maurice non andava molto d'accordo con Chopin, che prediligeva Solange. Nel 1847 la ragazza sposò uno scultore di dubbia reputazione, un certo August Clésinger, dopo aver rotto con un giovane che invece piaceva sia a Chopin che alla Sand. In famiglia ci furono liti e recriminazioni, menzogne e accuse di malafede. Solange anzi accusò la madre di avere una relazione con un amico di Maurice. La Sand non volle avere piú niente a che fare con la figlia e il marito, mentre Chopin si schierò dalla parte di Solange. Quando le cose si furono un po' calmate, la Sand e Chopin scoprirono di essere diventati definitivamente estranei l'uno all'altro. In tutta la faccenda la Sand si comportò con grande dignità e ne usci meglio di Chopin, che credeva a tutte le bugie che Solange gli raccontava. Dopo la rottura si incontrarono una sola volta, per caso. Lui usciva da un ricevimento, lei arrivava. Si scambiarono poche parole sulla porta. « Mi ha domandato come stavo » scrisse Chopin a Solange. « Le ho detto che stavo bene e poi ho chiamato il portiere per farmi aprire il portone. Mi sono levato il cappello e sono tornato a piedi a casa, in piace d'Orléans. » E in questa maniera cosí banale si separarono per sempre.
Chopin sarebbe vissuto un altro anno soltanto. Era già alla fase finale della malattia, e sputava sangue. Nel 1848 si recò in Inghilterra, accogliendo l'invito pressante di Jane Stirling, sua amica e allieva. Costei era una ricchissima zitella scozzese, probabilmente innamorata di Chopin. Lui pensò che non aveva niente da perdere accettando l'invito. A Parigi era scoppiata la rivoluzione del 1848 e i suoi allievi erano fuggiti, lasciandolo senza entrate. Si trascinò in Inghilterra e in Scozia. Era in condizioni terribili, cosí debole che doveva farsi portare in camera da letto e spogliare dal cameriere. In Inghilterra suonò per la migliore società, osservò la gente e i costumi locali, e detestò ogni cosa. Le lettere che scrisse a Parigi ci danno il quadro di un uomo esasperato oltre ogni possibilità di sopportazione. Ecco come descrive un ricevimento dato in suo onore da un'aristocratica scozzese: « Dopo che ebbi suonato e che altre signore scozzesi ebbero cantato varie liriche portarono una specie di fisarmonica e lei [la padrona di casa] cominciò a suonare dei motivi orrendi. Ma che cosa potevo aspettarmi? Queste creature mi sembrano pazze ... Quelli che conoscono le mie composizioni mi chiedono: ' suonatemi il vostro Secondo sospiro [il Notturno in sol]... Adoro le vostre campane ". E ogni commento si conclude con l'osservazione: “Leik Water”, che significa che la musica scorre come acqua. Non ho mai suonato per una inglese senza che mi dicesse: “Leik Water!!”. Si guardano le mani e suonano con molto sentimento le note sbagliate. Che gente bizzarra! Dio ne abbia pietà ».
Tornato a Parigi, lontano dalle grinfie soffocanti di miss Stirling, praticamente non lavorò piú, aspettando la fine. Era depresso. « Non ho ancora cominciato a suonare e non riesco a comporre. Lo sa Dio di che cosa vivrò, tra un poco. » Lo aiutavano miss Stirling e la sorella che, informate delle condizioni disperate di Chopin, gli mandarono un dono, anonimo, di 25.000 franchi. La sorella di lui, Louise, venne da Varsavia per fargli da infermiera durante la sua ultima malattia. George Sand le scrisse per dirle che voleva vedere Frédéric prima che fosse troppo tardi. Louise non rispose neppure. Non George Sand ma Solange Clésinger gli fu accanto quando mori, la mattina del 17 ottobre 1849. C'erano anche Louise e la principessa Martelline Czartoryska, amica di famiglia. In seguito sarebbero nate varie leggende sulle ultime ore di Chopin, e meravigliose storie romantiche su questa o quella contessa che avrebbe cantato malinconiche canzoni mentre lui moriva.
Chopin non ebbe false modestie circa la sua persona e le sue opere. Già nel 1831 scriveva del suo desiderio e anzi della sua intenzione « forse troppo audace ma nobile di creare da solo un nuovo mondo ». E fu proprio quello che fece. Come pianista inventò uno stile che dominò tutta la seconda metà del diciannovesimo secolo e che rimase sostanzialmente immutato finché non apparvero Debussy e Prokof'ev. Era un modo di suonare che rompeva nettamente con tutta la tradizione. Per la prima volta il pianoforte diventò uno strumento totale: uno strumento che cantava, uno strumento di colore, poesia e sfumature infinite, uno strumento eroico, uno strumento intimo. La musica per pianoforte di Schumann, per quanto meravigliosa, per quanto originale, risulta monotona al confronto. La musica di Chopin scaturí naturalmente dal suo modo di suonare il piano: e come pianista egli fu anni luce piú avanti di Schumann, e seppe sfruttare lo strumento in una maniera caratteristica del suo particolare linguaggio e completamente moderna. In ogni caso, la musica per pianoforte di Schumann esercitò un'influenza relativamente scarsa ai tempi suoi, mentre le nuove idee circa l'uso del pedale, la diteggiatura, il ritmo e le risorse coloristiche che Chopin introdusse furono immediatamente raccolte da tutti i pianisti della giovane generazione.
Pochissimi professionisti del tempo erano in grado di seguirlo. Moscheles non fu il solo ad essere sconcertato. Perfino una mente musicale fine come quella di Mendelssohn rimase in un primo momento turbata. Mendelssohn, educato da Moscheles allo stile classico - mani vicine alla tastiera, poco pedale, un minimo di rubato o di cambiamenti di tempo - dovette abituarsi per lunga consuetudine a Chopin prima di aderire alle nuove concezioni. Ma si arrese, e con lui tutti gli altri. « C'è » scrisse Mendelssohn « qualcosa di assolutamente originale nel suo modo di suonare il piano ed è nello stesso tempo cosí magistrale che lo si può definire un perfetto virtuoso... Produce effetti nuovi, come Paganini con il violino, e realizza cose che nessuno, prima, avrebbe creduto possibili. »
Perfino il grande Liszt, con tutto il suo orgoglio, imparò da Chopin. Tra i due ci fu una difficile amicizia. Si frequentavano molto, ma probabilmente tra loro regnava una inconscia ostilità. Chopin invidiava a Liszt la forza, l'estroversione, la virilità, la capacità di ipnotizzare i grandi pubblici. « Liszt suona i miei studi » scrisse a Stephen Heller « e mi trasporta fuori dai miei rispettabili pensieri. Mi piacerebbe rubargli il modo con cui suona i miei studi. » Ma in Liszt c'era un che di volgare e di falso che lo respingeva. Di tanto in tanto Frédéric se ne usciva in osservazioni malevoli, come in una lettera a Jules Fontana: « Uno di questi giorni diventerà membro del parlamento, o forse addirittura re dell'Abissinia o del Congo: ma per quanto riguarda i temi dalle sue composizioni, be’, resteranno seppelliti nei giornali ».
Liszt, invece, ammirò sinceramente l'arte pianistica di Chopin e adottò molto sue idee. Chopin dimostrò che il piano poteva essere molto piú che uno strumento da virtuoso anche in una musica virtuosistica; e, quel che piú conta, dimostrò che anche i virtuosismi piú scatenati potevano avere un significato musicale. I suoi ricami e i suoi pezzi di bravura, nelle opere della maturità, non sono mai sfoggio fine a se stesso. Chopin introdusse il concetto di ornamento funzionale. Prima di incontrarlo, Liszt era stato nient'altro che un fracassone: dopo aver conosciuto la tecnica pianistica e la musica di Chopin, cercò di dare alla sua bravura uno stile piú poetico. Ma può darsi che si sentisse a disagio in compagnia di Chopin. L'elegante polacco era un aristocratico, mentre Liszt aveva qualcosa che faceva di lui un arrampicatore sociale piú che un naturale abitante dei grandi salotti. Si vestiva in maniera troppo appariscente, parlava a voce un po' troppo alta, si vantava troppo, non reggeva l'alcool come deve reggerlo un gentiluomo. Decisamente non aveva bon ton. Di tanto in tanto c'era qualche scontro tra lui e Chopin. Una volta Liszt, che cercava sempre di « migliorare » la musica altrui, suonò un notturno dell'amico aggiungendo ogni sorta di abbellimenti. Chopin, secondo un aneddoto che si legge in un saggio di Josef Nowakowski, scattò e gli disse di suonare la musica com'era scritta o di non suonarla affatto. Ma i due piú grandi pianisti del tempo continuarono nondimeno a vedersi, e ancora nel 1848 Chopin parlava del « mio amico Liszt ».
Due cose dello stile pianistico di Chopin - e per estensione, come sempre, la sua musica - sono di estrema importanza: le idee sul rubato, e la vena classicheggiante. Il rubato, oggetto di infinite discussioni tra gli esecutori sin dai tempi di Mozart e di K. P. E. Bach, è una sorta di spostamento in cui viene delicatamente alterato il ritmo ma non l'idea del tempo basilare. Dà varietà e aggiunge interesse a una frase. Ogni musicista sensibile se ne serve; l'espediente equivale alla variazione della linea per un disegnatore. Chopin, con la sua eredità di danze polacche, si servi di un rubato cosí pronunciato che gli ascoltatori, non abituati, ne furono sconcertati. Meyerbeer, lui stesso bravo pianista, era convinto che nelle mazurche Chopin suonasse due quarti invece di tre quarti. Charles Hallé, altro bravo pianista, osservò che un aspetto cospicuo della tecnica chopiniana « era l'assoluta libertà con cui trattava il ritmo, apparentemente in maniera tanto naturale che per anni non mi aveva mai colpito ». Anche Hallé non dubitava che Chopin in alcune mazurche suonasse in tempo binario anziché ternario.
Pure, nonostante il rubato e la musica cosí estremamente romantici, Chopin ebbe una forte vena di classicità. Teneva sempre il metronomo sul piano, e voleva che gli allievi osservassero rigorosamente il tempo; faceva loro suonare molto Mozart e Bach e andava su tutte le furie quando si prendevano delle libertà ritmiche. Il suo modo di suonare era puro, e voleva che anche gli allievi badassero alla purezza. Questo, e una assoluta flessibilità piú una vena cantabile. « Ieri abbiamo sentito Henri Herz » scriveva Joseph Filtsch ai genitori. « La sua esecuzione è elegante, gradevole e civettuola, ma priva di sottigliezza. Che differenza tra lui e Chopin, le cui dita cantano e ci fanno salire le lacrime agli occhi, e che fa tremare d'emozione chiunque abbia un po' di sensibilità. Le sue mani delicate e sottili prendono grandi pezzi di tastiera e saltano qua e là con una favolosa leggerezza; e l'agilità delle sue dita è cosí mirabile che non ho difficoltà a credere alla divertente storiella secondo la quale sarebbe stata visto mettersi un piede intorno al collo! Inoltre, questa flessibilità gli permette di suonare i tasti neri con il pollice, o tutta una serie di note con due dita soltanto, passando il dito piú lungo sul più corto e scivolando da un tasto all'altro. » Erano tutti sistemi condannati dai maestri classici. Mai suonare col pollice i tasti neri! Filtsch, poi. descrive il rubato di Chopin. « Agli allievi dice: " Fate che la vostra mano sinistra diriga e osservate rigorosamente il tempo ". E cosí la destra, ora esitante, ora impaziente, è nondimeno costretta a seguire questa grande regola e a non indebolire mai il ritmo della sinistra. » (Mozart aveva detto la stessa cosa, quasi, piú di mezzo secolo prima.) Joseph Filtsch, detto per inciso, era pianista anche lui, venuto dall'Ungheria con il fratello minore Karl per studiare con Chopin. Karl era enormemente dotato, di gran lunga il miglior allievo che Chopin avesse mai avuto. Liszt lo senti e disse che quando il giovane avesse cominciato a suonare in pubblico, lui, Liszt, avrebbe chiuso bottega. Ma il poverino mori a quindici anni.
Come compositore, Chopín è sopravvissuto a tutti i cambiamenti della moda, e oggi è popolare come sempre. Quasi tutte le sue composizioni sono rimaste nel repertorio attivo. Di quanti compositori si può dire altrettanto? Trovò molto presto il suo stile: in realtà, prima di lasciare la Polonia per recarsi a Parigi. In seguito sarebbe venuta anche una maggior profondità: ma aggiunse pochissimo alla tecnica, alle idee armoniche o alla melodia. Dopo gli Studi dell'op. 10, molti dei quali erano stati completati prima dell'arrivo a Parigi, non ci furono cambiamenti sostanziali. Aveva anche elaborato già in Polonia lo stile fondamentale delle Mazurche e dei Notturni. I Notturni derivavano da composizioni di John Fieid. Chopin ne prese la formula e la raffinò, rendendola molto piú aristocratica, con un basso arpeggiato piú interessante e melodie che ricordano le cantilene a lungo respiro che si ritrovano nel bel canto dell'opera all'italiana. Se c'era una cosa che amava era il bel canto, e molte idee melodiche gli furono ispirate dai grandi stilisti vocali del tempo.
Un altro aspetto del suo stile musicale fu il nazionalismo polacco, rappresentato dalle Mazurche e dalle Polacche. Per l'Europa, si trattava di danze curiose ed esotiche. Chopin fu il primo dei grandi nazionalisti della musica, e i grandi nazionalisti non copiano le melodie popolari. Non ne hanno bisogno. La tradizione popolare fa parte del loro passato e del loro inconscio razziale. Si manifesta come evocazione della patria, anche se (com'è nel caso di tanti nazionalisti) non si ricorre a vere e proprie ci tazioni di canti popolari. Nelle Mazurche e nelle Polacche Chopin echeggiò le melodie con le quali era cresciuto. Nella musica rimanente fu molto piú cosmopolita, anche se qua e là, come nell'episodio centrale dello Scherzo in si minore, può far capolino un motivo popolare.
Chopin fu un compositore « assoluto », e alla sua musica dette soltanto titoli astratti. In questo fu diverso dagli altri romantici. Perfino Mendelssohn, classicista, attribuí dei titoli descrittivi ad alcune sue Romanze senza parole e ad altri brani. Chopin non lo fece mai. Lo Studio sui tasti neri, lo Studio del Vento invernale, la Mazurca del Piccolo ebreo, il Preludio della Goccia d'acqua, la Polacca Militare, sono tutte invenzioni romantiche, dovute per lo piú agli editori. Nella musica chopiniana non ci sono mai implicazioni programmatiche, anche se si vuole che le quattro ballate fossero ispirate da poesie di Adam Mickiewicz, il patriota polacco. Se è vero, Chopin fu singolarmente riservato su questo punto, che è probabilmente un'altra invenzione romantica. I soli nomi dati da Chopin alla stragrande maggioranza delle sue composizioni (eccettuate, ovviamente, le canzoni polacche) ebbero carattere generico: valzer, mazurca, studio, polacca, notturno, scherzo, preludio, fantasia, improvviso, ballata, variazioni, sonata, concerto.
Da giovane scrisse musica piena di grazia, esuberante, ricca di invenzioni, brillante, caratterizzata da una spiccata predilezione per il virtuosismo. Come tutti i suoi predecessori, Chopin intese le sue composizioni come veicolo per esecuzioni pubbliche, e naturalmente le tagliò sulla misura delle sue qualità pianistiche. Abbiamo i due concerti, le Variazioni sull'aria Là ci darem la mano per piano e orchestra, i primi studi, il Krakoviak per piano e orchestra (che si suona di rado ma è una composizione indimenticabile). Sono tutte opere caratterizzate da una estensione della tecnica pianistica allora conosciuta. Schumann, che intanto lavorava indipendentemente in Germania, stava scrivendo composizioni in cui la cosa che contava era la musica. Chopin scrisse con un maggior equilibrio tra musica e pianoforte, considerato come cosa-in-sé. Le sue composizioni sono molto piú peculiari di quelle di Schumann, in termini di tastiera. Si adattano alla mano, mentre Schumann è spesso goffo. t, in molti casi musica che toglie il fiato, scintillante e lampeggiante, musica che prende figurazioni complicate, le spezza e le sparge sulla tastiera, mentre le note appaiono come tanti puntini fiammeggianti.
In realtà c'erano compositori all'altezza di Chopin per quanto riguardava i virtuosismi tecnici: tra gli altri Moscheles e Kalkbrenner, e anche il giovane Liszt. Quello che distinse immediatamente la musica di Chopin e la rese differente fu una combinazione di risorse melodiche e armoniche di un fascino e di una ricchezza senza precedenti. Pochi compositori hanno avuto il suo orecchio, il suo talento per la modulazione, il suo gusto nel combinare il virtuosismo puro con un tipo aristocratico e poetico di melodia. Queste cose si avvertirono subito nella sua musica, ed egli non cambiò mai l'impostazione generale. Ma con gli anni le forme diventarono più rigorose. Diminuirono le verbosità, e ogni nota ebbe una sua precisa funzione. La musica poteva essere difficile, ma era anche condensata e perfettamente controllata. Aveva dissonanze, comprese delle seconde e delle none aspre, che risultavano intollerabili suonate dai pianisti classici; e la nuova generazione di pianisti dovette imparare ad affrontarle, a farle luccicare e a risolverle con un'abile uso del pedale. Queste armonie cromatiche e audaci influirono sul pensiero musicale del diciannovesimo secolo e gettarono il seme di molte idee. Chopin come armonista influí su Wagner e anche su compositori che vennero dopo. La Barcarola anticipò addirittura Debussy, con quel pedale liberamente fluttuante e quelle armonie quasi impressionistiche. Il compositore polacco, cosí fragile e malaticcio, pesò con forte mano sul futuro della musica.
Fragile e malaticcio: ma ciò non significa che la sua musica manchi di forza. Gli scherzi e le ballate, la Fantasia in fa diesis minore, le ultime polonaises (in special modo quella eroica in fa diesis minore, opera ancor piú elettrizzante e magistrale della popolare polonaise, in la bemolle), le ultime due sonate (ne compose tre, ma quella in do minore è una composizione per studio non piú in repertorio) contengono tutte espressioni maestose. Sono composizioni rivestite di forme perfettamente adatte al materiale, le forme che la musica esigeva. Tranne che nelle Sonate, Chopin non tentò mai di imporre una forma a un'idea. Per quanto lirica e spontanea appaia, la sua musica era il prodotto di molto lavoro e di molta riflessione. Non buttava in fretta le idee sulla carta, come fecero tanto spesso Mozart e Schubert. Lavorava lentamente e non autorizzava la pubblicazione di un brano se non era sicuro di averlo reso prezioso, impeccabile, il piú possibile logico. Le idee iniziali gli venivano immediate, ma l'elaborazione era un'esperienza tormentosa. Molte composizioni nacquero da improvvisazione. Filtsch ha descritto il suo modo di lavorare: « L'altro giorno [siamo nel marzo del 1842] ho sentito Chopin improvvisare in casa di George Sand. È meraviglioso ascoltarlo quando compone cosí. La sua ispirazione è talmente immediata e completa che suona senza esitazioni, come se non potesse essere altrimenti. Ma quando si mette a scrivere e cerca di recuperare il pensiero originale in tutti i dettagli, vive giorni e giorni in una tensione nervosa e in una disperazione che fanno quasi paura. Modifica e ritocca incessantemente le stesse frasi, passeggiando su e giú come un pazzo ». Chopin continuava a sentirsi insoddisfatto anche dopo la pubblicazione di un'opera. Faceva modifiche tutte le volte che poteva: in molte sue composizioni, cosí, si riscontrano varianti, anche importanti tra le edizioni francesi e tedesche.
La sua musica è tutta d'un pezzo. Di breve durata, come il Preludio in do diesis minore dell'op. 28, contenuto in non piú di venti secondi (esiste un brano piú breve in tutta la letteratura musicale?) o di ampio respiro, come nella Sonata in si minore, la sua è una musica altamente caratterizzata, nelle melodie graziose, spesso malinconiche, e nella ricchezza di tessuto armonico da un cromatismo quasi franckiano. Ma non è un cromatismo stucchevole. Chopin aveva una mentalità troppo precisa per consentire al colore di dominare la forma. La sua è generalmente una forma di musica eminentemente puntuale, condensata, che in qualcuna utilizza una sola idea. Quest'ultimo aspetto si nota negli studi, nei preludi, nelle mazurche e nei notturni, anche se nelle mazurche e nei notturni piú lunghi appaiono idee sussidiarie.
Le composizioni piú ampie - Scherzi, Ballate, Fantasia in fa minore - costituiscono la soluzione data da Chopin al problema della forma-sonata. La forma-sonata classica non lo interessava soverchiamente. Nella Sonata in si minore svolge coscientemente i movimenti dell'esposizione, sviluppo e ripresa, facendo un esercizio di buona scrittura appena sufficiente. Quello che salva la sonata, e che l'ha resa tanto popolare, è la ricchezza di idee e la libertà con la quale essa si muove una volta superato il primo movimento. La Sonata in si bemolle minore, quella della Marcia funebre, una composizione giovanile, risulta completamente estranea alla concezione della sonata classica, e neppure un ammiratore devoto come Schumann riuscí ad accettarla. Questa non è una sonata, disse. Chopin ha semplicemente messo insieme per i suoi quattro movimenti « quattro dei suoi figli piú scatenati ». Cosa abbastanza paradossale, succede che il primo movimento sia l'esperimento piú riuscito di Chopin in fatto di forma sonata. È sempre preciso, bene organizzato e coerente. Dopo quel movimento, Chopin e la sonata si separano. Piú sconcertante di tutto il resto è il finale, un passaggio « sottovoce », mormorante in rapidi passaggi all'unisono che non dura piú di un minuto e mezzo. Avrebbe potuto essere un preludio e, per quanto si sa, come tale era stato concepito. Il Preludio in mi bemolle minore (n. 14) è tanto vicino al finale della Sonata in si bemolle minore, come stato d'animo, soluzione e impostazione tecnica, da apparire come il suo gemello. Furono composti entrambi, piú o meno, nello stesso periodo. La Sonata in si bemolle minore è del 1839, mentre i Preludi furono composti tra il 1836 e il 1839.
Negli ultimi anni Chopin cominciò a introdurre strutture polifoniche nella sua musica. In questo compositore tra i piú romantici c'era sempre stata una vena classica: fu classico nella rigorosa organizzazione delle sue forme, classico nell'elegante abilità tecnica, classico perché nelle opere della maturità evitò ogni vuoto passaggio virtuosistico. Per quanto efficace, scintillante, addirittura spettacolare possa essere la sua scrittura (come nell'ultimo episodio dell'Improvviso in fa diesis maggiore o nella cascata di figurazioni dello Scherzo in do diesis minore), ogni nota ha un significato espressivo o coloristico che trascende la semplice esibizione. Non c'è mai volgarità, non ci sono mai effetti fine a se stessi. Altre cose ancora, nella musica di Chopin, fanno pensare al classicismo e, in particolare, al suo adorato Bach. I ventiquattro Preludi seguono l'idea del Clavicembalo ben temperato, passando attraverso tutte le tonalità maggiori e minori attraverso la catena delle quinte. (Hummel aveva fatto la stessa cosa, anche lui in una serie di piccoli Preludi composti almeno quindici anni prima di quelli di Chopin.) Il primissimo Preludio composto da lui, quello in do maggiore, sottintende forse un omaggio al Preludio in do maggiore che apre la grande serie di Bach? Se si suona con un tempo molto lento quello di Chopin, si nota tra i due una impressionante affinità. E anche negli Studi Chopin iniziò uno schema di tonalità relative, ma senza portarlo mai a termine. Poi, come nella Ballata in fa minore o nella conclusione della Mazurca in do diesis minore (op. 63, n. 3), ci sono passaggi in imitazione canonica. In molte composizioni posteriori ci imbattiamo in una scrittura polifonica. Chopin considerò la fuga come l'ultima parola in fatto di logica musicale, e lo disse a Delacroix, il quale annotò coscienziosamente nel diario le sue osservazioni: « Conoscere a fondo la fuga significa conoscere l'elemento di tutta la ragione e la coerenza della musica ». Questo è un suo aspetto sconosciuto a molti. Compose, che si sappia, solo una fuga; è un lavoro di studio e non è in repertorio.
Dopo che Chopin si fu affermato, la sua musica ebbe pochissime critiche. Fu accettata come l'opera di un maestro, e anche coloro che rimasero a lungo esitanti - come Ludwig Rellstab, il critico berlinese, e James William Davison, l'autorità londinese - finirono col cedere. Nel 1841 Liszt scriveva: « Questa squisita, nobile ed eminentemente aristocratica celebrità resta incontestata. Un completo silenzio di critiche già regna su di lui, come se la posterità fosse già venuta ». Liszt si limitava a riferire un dato di fatto. Certo gli uomini informati del tempo - Liszt, Mendelssohn, Schumann, Berlioz - capirono che Chopin era immortale; che entro i limiti che lui stesso si era imposti, era la perfezione stessa. Nel diciannovesimo secolo, per essere considerato grande pianista fu indispensabile essere grande esecutore di Chopin. E cosí pure nei giorni - cosí poco romantici - che seguirono alla prima guerra mondiale. Oggi la cosa è meno vera, essendo l'esecuzione romantica un'arte quasi perduta. Pure, ancora ai nostri giorni, la musica di Chopin ha una parte non inferiore a quella di ogni altro compositore nei programmi dei concerti pianistici, e certamente vi figura molto piú di quella di altri romantici. Generalmente, i compositori conoscono alti e bassi. Chopin non tramonta, e la letteratura pianistica sarebbe inconcepibile senza di lui. Lo si direbbe al riparo da ogni mutamento del gusto.
Harold C. Schonberg (da I GRANDI MUSICISTI, traduzione di Vittorio Di Giuro, ed. Mondadori, 1972)

 

Fonte: http://www.resmusica.it/doc/L'apoteosi%20del%20pianoforte.doc

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